Palazzo ducale, Urbino

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La

fotografia per il restauro

Palazzo Ducale Diploma di II livello in Grafica delle Immagini specialistica in Fotografia per i Beni Culturali i Tecniche di Fotografia e Imaging per il Restauro Prof. Angelo Rubino Giulia Nascimbeni a.a 2013-2014


INDICE 1. PALAZZO DUCALE 1.1 la galleria nazionale delle marche 1.2 gli ambienti del palazzo 1.3 l’appartamento roveresco

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2. I BENI CULTURALI 2.1 Codice dei beni culturali e del paesaggio

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3. IMAGING PER IL RESTAURO

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4. DIAGNOSTICA FOTOGRAFICA 4.1 la fotogrammetria 4.2 Macrofotografia e Microfotografia 4.3 Alta definizione (HD) 4.4 Il multifuoco

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5. ILLUMINAZIONE PER LA DIAGNOSTICA 5.1 L’evento colore e la resa in stampa 5.2 Luce diffusa 5.3 Luce trasmessa 5.4 Luce radente 5.5 Fluorescenza UV

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6. AUTORI ED OPERE DOCUMENTATE 6.1 Simone e Solerzio de Magistris “MADONNA COL BAMBINO, I SANTI FRANCESCO, GIOVANNI BATTISTA E IL DONATORE”

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6.2 Andrea Lilli “SAN FRANCESCO D’ASSISI E SAN GIACOMO DELLA MARCA”

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“SAN FRANCESCO, SAN BONAVENTURA, SANT’ANTONIO DA PADOVA E IL BEATO LEONE”

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“SAN ROCCO”

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6.3 Andrea Boscoli “L’ULTIMA CENA”

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7. LA FOTOGRAFIA PANORAMICA

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MONOGRAFIA DELLA RIPRESA

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BIBLIOGRAFIA

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1. PALAZZO DUCALE La nascita e lo sviluppo del palazzo è tuttora oggetto di discussione fra gli storici dell’arte e dell’architettura, a causa dell’incertezza legata alla pochezza di documenti riguardante il suo sviluppo. L’edificazione del palazzo risale al xv secolo e si è via via ampliato in fasi successive. Fra le innumerevoli maestranze che furono impiegate nella maestosa costruzione, si ricordano i nomi dei tre architetti che ebbero il merito di rendere l’edificio uno dei palazzi più eccelsi dell’epoca rinascimentale: il fiorentino Maso di Bartolomeo, il dalmata Luciano Laurana e il senese Francesco di Giorgio Martini. Sono cinque le tappe in cui, schematicamente, si può suddividere la storia della sua fabbrica: gli antefatti, la fase prelauranesca, la fase lauranesca, quella martiniana e, infine, il periodo dei Della Rovere. I. Il nucleo più antico del palazzo, denominato “Palazzetto della Jole”, fu edificato per volontà del padre di Federico di Montefeltro, il conte Guidantonio. Ad egli si deve la scelta di abitare nell’antica sede dei Priori, di fronte al Duomo di Urbino. Sotto sua volontà se ne iniziò la ristrutturazione: il suo Palazzetto divenne in seguito l’Appartamento della Jole, che può considerarsi il nucleo più antico dell’edificio. Non conosciamo gli architetti di questi primi interventi, che furono comunque ampiamente modificati e coperti dalle trasformazioni successive. II. Federico di Montefeltro prese il potere nel 1444 e andò ad abitare nell’appartamento degli avi. Il progetto della nuova fabbrica fu avviato nel 1454. Nel primo decennio fu ristrutturato l’Appartamento della Jole e iniziarono i lavori, in particolare, del lato meridionale (Appartamento dei Melaranci). Responsabile di questi lavori sarebbe stato Maso di Bartolomeo, che introdusse a Urbino l’influsso brunelleschiano. Ad alcuni suoi allievi (Il Greco e Pasquale da Montepulciano) si deve la decorazione lapidea di elementi interni ed esterni alle stanze della Jole. Nel 1460 ebbero luogo le nozze tra Federico e Battista Sforza. III. Non è noto quando esattamente Luciano Laurana divenne l’architetto principale del Palazzo, è probabile però la sua presenza già dagli anni 1464–66 (risale al 1467 la “patente” in cui Federico lo chiama “ingegnero”); si sa invece che nel 1472 lasciò definitivamente Urbino per

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Napoli. E’ in questo arco di tempo che i nuovi ambienti acquisirono il maggior nitore spaziale: si tratta in particolare dell’ala settentrionale, con lo Scalone d’onore, la Biblioteca e le sale contigue, il Salone del Trono, la Sala delle Veglie, la Sala delle Udienze e le Sopralogge a completamento del Cortile d’onore. A Laurana si deve anche, probabilmente, l’ideazione della facciata dei Torricini, con l’inserimento dello Studiolo e delle Cappelline. I prospetti già ultimati con le merlature e le grandi arcate di sostegno del Castellare (all’estremo nord) davano al Palazzo l’aspetto di un Castello ben munito e difeso. IV. Francesco di Giorgio Martini fu a capo dei lavori del Palazzo almeno a partire dal 1474 e vi rimase fino al 1485: Federico morì nel 1482 e gli successe Guidubaldo I (con la reggenza di Ottaviano Ubaldini). Fu dunque compito del senese, oltre che sovrintendere ad altre opere commissionate dal Duca (tra cui il Palazzo Ducale di Gubbio, le Rocche e altre chiese urbinati, ecc.) completare molte parti della fabbrica (finestre, cornici, decorazioni), disegnare le tarsie lignee di molte porte e le formelle all’ingresso del Palazzo. Molti, tuttavia, furono anche i nuovi interventi, dalla Rampa elicoidale al Giardino pensile con i suoi annessi, dagli ambienti del Bagno del Duca alla Scala a lumaca, ecc; inoltre tutto il complesso degli impianti idrici. Con il suo contributo, insomma, il Palazzo divenne ciò che appare ancora oggi: una costruzione raffinata, eccezionalmente bella ma anche straordinariamente comoda per le centinaia di persone che era in grado di accogliere. V. Nel secolo successivo l’unico intervento di un certo peso fu promosso da Guidubaldo ii, con la ristrutturazione dell’Appartamento roveresco, situato sopra a quello della Jole, e la sopraelevazione delle Terrazze sul lato meridionale, abolendo le merlature. Architetto fu Filippo Terzi.

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1.1 la galleria nazionale delle marche Dal 1912, Palazzo Ducale è sede della Galleria Nazionale delle Marche che ha permesso il recupero di numerose opere d’arte. Federico di Montefeltro fu un grande mecenate e colmò il proprio Palazzo di opere d’arte e di splendidi arredi, tradizione questa proseguita dai suoi successori. Purtroppo già a partire dal 1502, all’epoca del duca Valentino (Cesare Borgia), il Palazzo Ducale iniziò a subire più o meno radicali spoliazioni. Le peggiori avvennero però con l’estinzione della casata dei Della Rovere: per cominciare, due matrimoni degli ultimi eredi urbinati con membri della famiglia de Medici portarono a Firenze e nelle raccolte medicee gran parte del patrimonio artistico mobile. Dal 1912 a oggi gli allestimenti della Galleria Nazionale hanno via via seguito i progressivi recuperi e restauri degli spazi interni del Palazzo, da un lato, e l’ampliamento delle collezioni, dall’altro. Il problema di come armonizzare contenuto e contenitore è stato variamente affrontato secondo il gusto e le suggestioni culturali dell’epoca e il personale approccio dei dirigenti che si sono succeduti alla guida della Galleria. Se rispettare nel percorso museale la scansione cronologica delle opere oppure privilegiare una suddivisione in sezioni tematiche; come presentare le opere e trattare gli ambienti che le ospitano: sono questi i grandi temi su cui si sono misurati gli allestitori. Si è talora privilegiato il gusto storico, cercando di restituire l’appartamento signorile impreziosito dalle collezioni d’arte, oppure si è posto l’accento con rigore sulle strutture architettoniche. La filosofia che ha improntato gli allestimenti attuali è stata quella di creare per le opere d’arte elementi sostenitori di minimo impatto visivo e, soprattutto, che non comportassero interventi fissi a carico delle pareti o dei pavimenti né interferissero con l’architettura altissima delle sale.

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1.2 gli ambienti del palazzo Cortile d’onore

Mirabile costruzione del Laurana, per leggerezza ed astrazione geometrica. È cinto ai quattro lati da un bel portico ad archi su colonne con capitelli compositi. Sulla prima trabeazione si legge un’iscrizione latina che celebra Federico da Montefeltro.

Biblioteca del Duca

La celebre biblioteca di Federico, già depredata da Cesare Borgia nel 1502, fu trasferita a Roma nel 1657: i suoi capolavori si trovano nella Biblioteca Vaticana. In alcune sale adiacenti è esposta una serie di formelle, che raffigurano macchine belliche e di pace, opera quattrocentesca di Ambrogio Barocci, su disegno di Francesco di Giorgio Martini.

Scalone monumentale

Opera del Laurana, lo stupendo scalone fu decorato dal Barocci. Contiene lo stemma del duca Federico e una statua dello stesso, opera di Girolamo Campagna (1604).

Appartamento della Jole

Contiene, tra l’altro: una lunetta in terracotta invetriata (Madonna e Santi), opera di Luca della Robbia; una testa di Madonna, di Agostino di Duccio; il bassorilievo di Federico da Montefeltro e del segretario Ottaviano Ubaldini, attribuito a Francesco di Giorgio Martini; affreschi attribuiti a Giovanni Boccati; l’alcova del duca Federico, forse di Giovanni da Camerino; una bella tavola (Storia della vita di San Savino) del Boccati; la Crocifissione e la Madonna col Bambino di Girolamo di Giovanni.

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Appartamento dei melaranci

Accoglie opere del Trecento: un polittico di G. Baronzio, un Crocefisso dipinto del Maestro di Verucchio, un trittico (Incoronazione della Vergine) del Maestro dell’Incoronazione di Urbino, una Madonna col Bambino di A. Nuzi.

Appartamento degli ospiti

È decorato da Federico Brandani con stucchi raffiguranti i simboli delle casate dei Montefeltro e dei Della Rovere. Contiene sculture lignee del 1400, una raccolta di monete d’oro quattrocentesche trovate a Mondavio, e vari dipinti, alcuni attribuiti ai Crivelli, altri di G.. Bellini e di A. Vivarini. La Sala delle Udienze ospita due capolavori di Piero della Francesca: la Flagellazione e la Madonna di Senigallia. La cappellina di Guidobaldo è ornata da stucchi del Brandani. Baccio Pontelli ha decorato le pareti dello studiolo del Duca con le sue mirabili tarsie, che raffigurano libri, armi, strumenti musicali, il ritratto del Duca, le tre Virtù teologali. Giusto di Gand ha dipinto i ritratti di uomini illustri , alcuni dei quali sono oggi al Louvre). Preziose le decorazioni marmoree della cappellina del Perdono, accanto alla quale è il tempietto delle Muse, un tempo ornato da dipinti di Giovarmi Santi. La camera da letto del duca contiene il Ritratto di Federico da Montefeltro e del figlio Guidobaldo di Pedro Berruguete e una tavola – Madonna col Bambino – della scuola del Verrocchio. Notevole la Sala degli Angeli, decorata dal Rosselli. Splendide le porte intarsiate, forse su disegno del Botticelli. La sala è lo scrigno più prezioso, che contiene: la Comunione degli Apostoli, opera di Giusto di Gand (1473); il Miracolo dell’Ostia profanata di Paolo Uccello; la Veduta della città ideale, forse del Laurana, forse di Piero della Francesca; il cassone intagliato e intarsiato, con la quattrocentesca Prospettiva della città. Si

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nota infine la Sala delle Veglie, ove si tenevano le riunioni e le serate culturali rese celebri dal Cortegiano di Baldassarre Castiglione: contiene una Crocifissione e una Pentecoste di Luca Signorelli e la pala Buffi (Madonna col Bambino e santi, 1489) di Giovanni Santi.

Appartamento della Duchessa

È riservato alle opere del Cinquecento. Nel vestibolo spicca l’Annunciazione, vetrata di Timoteo Viti; subito dopo il salotto della Duchessa, sono esposti i capolavori della Galleria Nazionale delle Marche: di Raffaello, La Muta (il Ritratto di gentildonna considerato una delle massime espressioni dell’urbinate) e Santa Caterina d’Alessandria (forse un’opera giovanile); il Cristo benedicente, attribuito al Bramantino; i Santi Tommaso Becket e Martino fra l’arcivescovo Arrivabene e il duca Guidobaldo, opera del Viti; l’Ultima Cena e la Resurrezione di Tiziano Vecellio; la Madonna del Soccorso e Santi di Raffaellino del Colle; l’Annunciazione di Vincenzo Pagani. Nel guardaroba sono conservate opere di Pellegrino Tibaldi, Taddeo Zuccari e Federico Brandani. Sette arazzi degli Atti degli Apostoli ornano la Sala del trono, il grande ambiente che il duca usava per le feste.

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1.3 l’appartamento roveresco Il secondo piano del Palazzo fu realizzato, su progetto di Bartolomeo Genga, per volere di Guidobaldo ii della Rovere. La prima sezione è dedicata alla pittura, spiccano le opere del Barocci e della sua scuola (l’Assunzione, la Concezione, le Stimmate di San Francesco e la Crocifissione), ma contiene anche opere di O. Gentileschi, G. Francesco Guerrieri, A. Lilio, il Mastelletta, S. Cantarini, C. Ridolfi. La seconda contiene il Museo della Ceramica, oltre ad una collezione di disegni e stampe. La seconda sala dell’appartamento Roveresco (sala III) è caratterizzata da peculiarità decorative databili tra il 1555 e il 1558. La Sala presenta due Portali sovrastati da grandi Mete roveresche. L’attenzione si concentra sul camino particolarmente sontuoso di stucco dorato, che mostra alla sommità gli emblemi delle Tre Mete1 terminanti con la ghirlanda roveresca: nelle volute frutti e ghirlande, nella cartella la scritta in greco “PHILARETOTATO” (all’amantissimo della virtù). Di notevole importanza la resa della colonna in cui viene simulata sulla pietra un drappeggio di stoffa. Lo stemma in pietra di un’aquila entro un serto di quercia attorniato da girali, sovrasta la sala. In questa sala sono raccolte opere del secolo XVII di autori marchigiani quali Vitali, Lilli, de Magistris, Marini e Boscoli.

1. LE TRE METE: tre piramidi o coni affusolati di cui quello centrale più alto degli altri. Simboleggiano le virtù di cui la somma, cioè la più alta, è la “mediocritas” classica, intesa in senso aristotelico, concetto ispiratore ripreso dall’Umanesimo, alla quale il Signore doveva senz’altro ispirarsi per essere un giusto governatore. Il motto, scritto in greco, alla base delle piramidi significa “colui che ama oltremodo la virtù”.

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Appartamento Roveresco Soprelevazioni Roveresche Sale non visibili Uffici

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2. I BENI CULTURALI Lezione della Dott.ssa Costanza Longo (ICR), Urbino, 18 febbraio 2014 Per bene culturale si intende il complesso di manufatti fisicamente tangibili (beni materiali) e di installazioni non permanenti, ma anche dialetti, ricette (beni immateriali), che appartengono e costituiscono l’identità culturale di un popolo e di una nazione. A livello legislativo, la Convenzione dell’Aja sulla protezione dei beni culturali nei conflitti armati (1954) riguardava solo la gestione di beni culturali materiali, senza considerare gli immateriali. Il Codice dei beni Culturali e del Paesaggio (2004) ha integrato la precedente normativa delineando il concetto di patrimonio ed espresimendo inoltre una chiarificazione del concetto di tutela tra pubblico e privato. Innanzitutto il bene dev’essere riconosciuto come tale dallo Stato. Successivamente si può procedere con la valorizzazione e la sua promozione attraverso il sostegno di sponsor (qualora il si tratti di un bene non statale subentra la potestà legislativa regionale) che rendono possibile l’attuazione di piani di prevenzione, manutenzione e restauro. La prevenzione si esegue monitorando il grado di degrado attraverso l’analisi di sistemi di illuminazione, ventilazione, umidità e temperatura. La manutenzione ed il restauro vero e proprio costituiscono la conservazione, il cui principio guida prevede che l’intervento debba essere minimo e soprattutto distinguibile, reversibile e compatibile. In accordo con la Teoria del restauro di Cesare Brandi del 1963 il concetto di opera d’arte si definisce per tre momenti: il concepimento e la crazione, l’intervallo di tempo tra la creazione ed il suo riconoscimento, la folgorazione della coscienza nel riconoscimento delle attività individuali che hanno portato all’opera. Il restauro non agisce sui beni industriali ma sui prodotti dell’attività umana che si definiscono opera d’arte materiale, senza però creare un falso storico. Per evitare ciò l’integrazione di lacune dev’essere visibile e riconoscibile, ma non incisiva se vista a distanza. La patina naturale che è prodotto dell’invecchiamento dell’opera va

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lasciata e le integrazioni vanno realizzate attraverso lo sfruttamento della somma ottica dei colori. Il restauro si trova quindi ad avere un doppio ruolo nella storia: di conservare ma anche di mettere in luce i valori sensibili che delineano l’oggetto, sviluppando un giudizio critico. Il degrado che le opere d’arte subiscono è dovuto a stress climatici repentini, all’invecchiamento naturale e/o alla perdita di funzionalità del manufatto. Attraverso una stratigrafia, il restauratore indaga i procedimenti costitutivi e gli interventi umani e non umani che si sono susseguiti, nell’ottica di progettare l’intervento definitivo. Nei dipinti su tavola generalmente si distinguono: – la struttura di sostegno; – il supporto; – gli strati preparatori con il disegno; – gli strati pittorici; – la vernice “protettiva”, che per i restauratori è un grande nemico. Dall’analisi degli strati si deducono i materiali e le tecniche utilizzate per la realizzazione, gli eventuali interventi di restauro precedenti e si delinea lo stato di conservazione dell’opera. L’approccio diagnostico prevede: – analisi visive e tattili; – una schedatura con documentazione; – lo studio dell’opera e la documentazione storica relativa; – le ricerche scientifiche; – la diagnostica per immagini attraverso luce radente e fluorescenza uv, che ne conferma i procedimenti costitutivi, l’effettivo stato di degrado e i precedenti interventi di restauro e la pulitura successiva a questi con annessa verniciatura. Anche la fotografia applicata come diagnostica del restauro dev’essere il meno invasiva possibile e veritiera. Dev’essere visibile la stratificazione e, nel caso si stia parlando di un affresco, delle giornate in cui è stato

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eseguito. Devono essere visibili il viraggio di colore, le linee di struttura ovvero i buchi dei chiodi e le incisioni per le linee guida di disegno e anche l’ocra impiegato per l’abbozzo iniziale dei disegni. Tutto ciò che è stato celato dalla natura o dall’artificio dev’essere riportato al visibile poichè ogni piccola imprecisione sull’opera è segno del passaggio dell’uomo e della natura; ogni piccolo segno è essenziale per riuscire a comprendere i fenomeni che hanno portato al degrado questi manufatti nonchè la storia ad essi legata, ma soprattutto è fondamentale riuscire a conoscere per poter conservare e tramandare nel tempo.

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2.1 Codice dei beni culturali e del paesaggio PARTE PRIMA Disposizioni generali Articolo 1 Principi 1. In attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale in coerenza con le attribuzioni di cui all’articolo 117 della Costituzione e secondo le disposizioni del presente codice. 2. La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura. 3. Lo Stato, le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e la valorizzazione. 4. Gli altri soggetti pubblici, nello svolgimento della loro attività, assicurano la conservazione e la pubblica fruizione del loro patrimonio culturale. 5. I privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale sono tenuti a garantirne la conservazione. 6. Le attività concernenti la conservazione, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale indicate ai commi 3, 4 e 5 sono svolte in conformità alla normativa di tutela. Articolo 2 Patrimonio culturale 1. Il patrimonio culturale è costituito dai Beni Culturali e dai beni paesaggistici. 2. Sono Beni Culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà. 3. Sono beni paesaggistici gli immobili e le aree indicati all’articolo 134, costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge. 4. I beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della collettività, compatibilmente con le esigenze di uso istituzionale e sempre che non vi ostino ragioni di tutela. Articolo 3 Tutela del patrimonio culturale 1. La tutela consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione. 2. L’esercizio delle funzioni di tutela si esplica anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale. Articolo 6 Valorizzazione del patrimonio culturale 1. La valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale.

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2. La valorizzazione e’ attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze. 3. La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale. PARTE SECONDA Beni Culturali Articolo 10 Beni Culturali 1. Sono Beni Culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. 2. Sono inoltre Beni Culturali: a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico; b) gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico; c) le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico. 3. Sono altresì Beni Culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’articolo 13: a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1; b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante; c) le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale; d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose; e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, rivestono come complesso un eccezionale interesse artistico o storico. 4. Sono comprese tra le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lettera a): a) le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; b) le cose di interesse numismatico; c) i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni, con relative matrici, aventi carattere di rarità e di pregio; d) le carte geografiche e gli spartiti musicali aventi carattere di rarità e di pregio; e) le fotografie, con relativi negativi e matrici, le pellicole cinematografiche ed i supporti audiovisivi in genere, aventi carattere di rarità e di pregio; f) le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico; g) le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico; h) i siti minerari di interesse storico od etnoantropologico; i) le navi e i galleggianti aventi interesse artistico, storico od etnoantropologico; l) le tipologie di architettura rurale aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell’economia rurale tradizionale.

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5. Salvo quanto disposto dagli articoli 64 e 178, non sono soggette alla disciplina del presente Titolo le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lettere a) ed e), che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni. Articolo 11 Beni oggetto di specifiche disposizioni di tutela 1. Fatta salva l’applicazione dell’articolo 10, qualora ne ricorrano presupposti e condizioni, sono Beni Culturali, in quanto oggetto di specifiche disposizioni del presente Titolo: a) gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli e gli altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista, di cui all’articolo 50, comma 1; b) gli studi d’artista, di cui all’articolo 51; c) le aree pubbliche di cui all’articolo 52; d) le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d’arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, di cui agli articoli 64 e 65; e) le opere dell’architettura contemporanea di particolare valore artistico, di cui all’articolo 37; f) le fotografie, con relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento, le documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali, comunque realizzate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni, di cui all’articolo 65; g) i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni, di cui agli articoli 65 e 67, comma 2; h) i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta anni, di cui all’articolo 65; i) le vestigia individuate dalla vigente normativa in materia di tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale, di cui all’articolo 50, comma 2. Articolo 17 Catalogazione 1. Il Ministero, con il concorso delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, assicura la catalogazione dei Beni Culturali e coordina le relative attività. 2. Le procedure e le modalità di catalogazione sono stabilite con decreto ministeriale. A tal fine il Ministero, con il concorso delle regioni, individua e definisce metodologie comuni di raccolta, scambio, accesso ed elaborazione dei dati a livello nazionale e di integrazione in rete delle banche dati dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali. 3. Il Ministero e le regioni, anche con la collaborazione delle università, concorrono alla definizione di programmi concernenti studi, ricerche ed iniziative scientifiche in tema di metodologie di catalogazione e inventariazione. 4. Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, con le modalità di cui al decreto ministeriale previsto al comma 2, curano la catalogazione dei Beni Culturali loro appartenenti e, previe intese con gli enti proprietari, degli altri Beni Culturali. 5. I dati di cui al presente articolo affluiscono al catalogo nazionale dei Beni Culturali. 6. La consultazione dei dati concernenti le dichiarazioni emesse ai sensi dell’articolo 13 è disciplinata in modo da garantire la sicurezza dei beni e la tutela della riservatezza.

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3. IMAGING PER IL RESTAURO Le documentazioni che riguardano la conservazione dei beni culturali sono formate dall’integrazione di varie tecnologie e campi del sapere: modelli CAD, fotografie, indagini biologiche, fisiche e chimiche, notizie storiche; il tutto confluisce nella creazione di un sistema informativo a livello di cartografica metrica. Con il termine documentazione, quindi viene indicato un processo di registrazione di dati finalizzato all’acquisizione di una conoscenza più ampia di un manufatto. La fotografia per il restauro non è una mera riproduzione di manufatti bensì uno strumento di analisi: essa va a svelare le strutture, nonchè le tecniche pittoriche e di manifattura delle opere d’arte. È uno strumento scientifico, non emozionale e costituisce, attraverso la redazione di una Monografia della ripresa1, quella parte della documentazione associata alle opere prima del restauro che consente al restauratore di valutare lo stato dell’opera prima durante e dopo l'intervento. Quest'ultimo deve essere preceduto da una raccolta, più ampia possibile, di notizie storiche e di analisi a carattere scientifico e costituisce un momento propedeutico e di guida per la progettazione dell’intervento di restauro e per la diagnostica. L’esame scientifico deve rappresentare la raccolta di un insieme di dati ottenuti con l’applicazione dei diversi metodi di analisi, la cui elaborazione deve costituire la base per una collaborazione fra esperti dei settori tecnico, scientifico e storico che, attraverso una valutazione globale, potranno trarre le più corrette conclusioni. Le informazioni ottenibili con le metodologie diagnostiche non sono di facile interpretazione se non si conoscono i principi su cui si basano. Con l’espressione diagnostica artistica s’intende l’insieme di indagini scientifiche che forniscono informazioni altrimenti non desumibili in merito sia alla tecnica esecutiva che allo stato di conservazione di un’opera d’arte. Tali indagini utilizzano porzioni dell’intero spettro di radiazioni elettromagnetiche, siano esse visibili, come la luce, o non visibili, come gli ultravioletti, i raggi x e gli infrarossi; oppure applicando metodologie chimico-fisiche. Il contributo conoscitivo di alcune indagini diagnostiche è legato alla didattica e consiste nel

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trasformare l’osservazione in una documentazione critica e mirata per mettere in relazione la struttura materiale dell’opera e le molteplici sue rappresentazioni, in funzione alla luce, alle facoltà percettive e al bagaglio di conoscenze dell’osservatore. Risulta estremamente utile che il fotografo sia a conoscenza degli interventi di restauro e delle problematiche dei materiali per poter collaborare con il restauratore stesso. Questi, via via che procede nell’esecuzione materiale dell’intervento, potrà rielaborare e interpretare correttamente ciò che le indagini gli hanno mostrato, potrà valutare con precisione quando e in quali zone eseguire nuovamente gli esami e gli eventuali prelievi da sottoporre all’indagine del laboratorio chimico. Le procedure che svolge il fotografo in supporto ai laboratori di restauro si dividono in tre momenti fondamentali e fanno parte di esami diagnostici non invasivi, non prelevano nessun campione dall’opera, né danneggiano la materia dell’opera d’arte. Il termine “imaging” è stato coniato negli USA per definire l’evoluzione dei processi di produzione e riproduzione dell’immagine. È stato ideato per sopperire ai limiti settoriali dei termini legati all’immagine fotografica (informatica, grafica, sviluppo, stampa) e nasce dalla necessità di visualizzare nell’immediato i risultati delle foto. Gli operatori del “digital imaging” utilizzano solo tecnologie digitali, in quanto permettono una migliore accuratezza cromatica grazie a software che equilibrano il colore dell’oggetto fotografato, eliminando dominanti, e permettono di scattare immagini e macrofotografie ad alta definizione.

1. Tutta quanta la documentazione composta dalle ricerche e dalle analisi eseguite dovrà essere parallelamente affiancata ad una scheda tecnica della fotografia o “Monografia di ripresa”, che deve accompagnare ogni ripresa fotografica, precisando la tecnica impiegata, l’apparecchiatura in uso e tutti gli aspetti tecnici connessi, le condizioni di illuminazione, la distanza di ripresa. La “relazione finale” dovrà raccogliere la documentazione fotografica, le ricerche e tutte le analisi eseguite; ne sarà conservata copia presso la Soprintendenza competente e presso l’Istituto Centrale del Restauro.

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4. DIAGNOSTICA FOTOGRAFICA Dal punto di vista geometrico una fotografia di un qualsiasi elemento può essere assimilata, con sufficiente approssimazione, ad una proiezione centrale dello stesso ottenuta proiettando i punti dell’oggetto su un piano – detto piano o quadro di proiezione – da un punto esterno ad esso – detto centro di proiezione o di vista. Le rette congiungenti i punti dell’oggetto con il centro di proiezione sono dette rette proiettanti. I loro punti di intersezione con il piano di proiezione costituiscono le proiezioni od “immagini” dei punti dell’oggetto. Nel caso della fotografia, il piano di proiezione è assimilabile al piano della emulsione fotografica, il centro di proiezione ad un punto dell’obbiettivo della camera fotografica, le rette proiettanti ai raggi luminosi che hanno formato l’immagine fotografica in questione.

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4.1 La fotogrammetria Con il termine fotogrammetria si intendono tutte quelle procedure che utilizzano immagini fotografiche di un oggetto per ricavarne le dimensioni. Effettuare il rilievo di un oggetto significa ricavare la posizione spaziale di tutti i punti di interesse. Mediante la fotogrammetria questa operazione viene fatta, in gran parte, non direttamente sull’oggetto ma operando su immagini fotografiche. La fotogrammetria è dunque una tecnica di rilievo che trova fondamento nella volontà di ricostruire in modo rigoroso la corrispondenza geometrica tra immagine e oggetto al momento dell’acquisizione. Questo avviene definendo tra i punti immagine, i centri di presa e i punti oggetto i raggi di proiezione nello spazio, secondo il modello geometrico della prospettiva centrale. “La fotogrammetria rappresenta ormai uno strumento di acquisizione di dati metrici e tematici tra i più affidabili e più immediati, e va estendendo sempre più la sua diffusione e le sue applicazioni. Essa costituisce infatti una procedura di rilevamento, prospezione e documentazione – di rara efficacia – delle realtà territoriali, ambientali, urbane e architettoniche. Tali peculiari caratteristiche, non invasive e non distruttive, la qualificano meglio di ogni altra metodologia di rilevamento e prospezione nella individuazione e misura delle più minute modificazioni morfologiche degli oggetti considerati, e nella lettura dei vari aspetti specifici della loro definizione spaziale, talvolta non evidenti alla normale osservazione visuale. Inoltre le nuove modalità fotogrammetriche nella rappresentazione e nella documentazione degli oggetti considerati consentono descrizioni grafiche e numeriche più pertinenti e assicurano la possibilità di istituire periodici e sistematici controlli dei loro stati di consistenza ai fini della salvaguardia e conservazione. Queste caratteristiche della metodologia fotogrammetrica la rendono particolarmente utile nel settore dei beni culturali.” M. Fondelli, Trattato di Fotogrammetria urbana e architettonica, Ed. Laterza Fotogrammetria viene utilizzata per la costruzione di immagini ad alta definizione (High Definition images) e per la realizzazione di modelli cad tridimensionali. In questi ultimi casi si effettua un rilievo tramite triangolazione e attraverso laserscanner appositi per il campo architettonico o statuario. La fotografia hd può essere ottenuta: – attraverso una fotocamera dal grande sensore es. Hasselblad – attraverso l’unione (stitching) di più immagini.

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4.2 Macrofotografia e Microfotografia Ottenuta attraverso l’impiego di obbiettivi macro o obiettivi accoppiati a lenti addizionali con tubi di prolunga, duplicatori focali o soffietti di estensione, la macrofotgrafia consente di ottenere un ingrandimento fotografico che riproduce – in dimensioni uguali o maggiori dell’originale – particolari di un’opera, isolandoli dal contesto con valori in scala 1:1 o superiori. È un’indagine che permette di leggere gli aspetti tecnici, esecutivi e conservativi legati alle opere d’arte. Il “rapporto d’ingrandimento” è quello fra le dimensioni fisiche reali del soggetto e la dimensione riportata sul fotogramma. Per ottenere queste immagini si possono impiegare obiettivi macro. Con la microfotografia si ottiene una riproduzione fortemente ingrandita (anche 20-30 volte) di un soggetto visibile ad occhio nudo. Le immagini fotografiche si ottengono con l’aiuto di un microscopio arrivando quindi a catturare immagini notevolmente più grandi dei soggetti ripresi (oltre l’1:1). La messa a fuoco, che per la scarsa luminosità dell’immagine e specialmente per i forti ingrandimenti sarebbe estremamente faticosa e spesso impossibile col classico obbiettivo, si realizza intercettando una parte dei raggi che dovrebbero cadere sul sensore e che forniscono un’immagine per mezzo di un obbiettivo che è regolato in modo che quando l’immagine risulta nitida per l’occhio umano risulterà nitida anche per il sensore.

Un esempio di macrofotografia di una foglia d’oro. Il provino è stato posto su un cavalletto. L’immagine accanto è il risultato dell’unione di 35 fotografie con fuochi differenti, assemblate assieme dal software Helicon Focus. La camera si trovava vicinissima all’opera, gli scatti eseguiti con un’ottica 105 mm MACRO ad f/25 1/250.

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4.3 Alta definizione (hd) La metodologia eseguita per ottenere delle immagini ad alta definizione prevede l’unione (stitching) di più fotogrammi scattati alla medesima distanza, in accordo con la tecnica usata convenzionalmente per la realizzazione di foto panoramiche, nell’ottica di aumentare i pixel attorno alle singole unità che compongono l’immagine. Dopo aver montato la fotocamera in bolla su un treppiede avvalendosi di una testa panoramica1 o di una testa micrometrica2, si eseguono gli scatti con una modalità detta “a serpentina”: partendo da uno degli angoli estremi dell’affresco o del quadro da documentare, si esegue una prima striscia orizzontale di scatti prima di scendere verticalmente assicurando sempre una sovrapposizione del 30-40% tra uno scatto e il successivo. La sovrapposizione consente lo stitching eseguito successivamente dal software in uso ed è corrispondente ad una rotazione della testa micrometrica di circa 5°. Affinchè non vi siano deformazioni nello stitching è necessario che il cavalletto sia posizionato centralmente rispetto all’opera. È preferibile avere una distanza sufficentemente ampia tra macchina ed opera, ed avvalersi di un teleobbiettivo in modo da ridurre in massima parte la distorsione prospettica.

Definizione punto nodale

Se l’obbiettivo della camera fotografica fosse costituito da una lente infinitamente sottile, il centro di proiezione coinciderebbe con il centro di tale obbiettivo. In un sistema ottico complesso, qual è nella realtà un obbiettivo fotografico, non esiste un unico centro. In esso possono invece individuarsi due punti, posti ad una certa distanza l’uno dall’altro, lungo l’asse ottico del sistema. Tali punti sono detti punti nodali. I raggi luminosi provenienti dallo spazio esterno, (spazio oggetto), alla camera fotografica, passano dal primo di tali punti nodali, (punto nodale esterno), ed emergono nello spazio interno alla camera fotografica, (spazio immagine), passando dal secondo punto nodale, (o punto nodale interno), in direzione parallela a quella che essi avevano nello spazio

1. La testa panoramica consente tramite apposite scale graduate e piastre scorrevoli di eseguire gli scatti senza lo slittamento dovuto alla rotazione della macchina su un punto non corrispondente al punto nodale. Questo slittamento prospettico non consentirebbe lo stitching del panorama. Lo scorrimento della fotocamera sulle piastre consente dunque di trovare il punto nodale della lente usata, che varia a seconda dell’ottica. Alla base della testa panoramica si trova inoltre una doppia scala, a passi prefissati in base

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oggetto, raggiungendo quindi il piano della emulsione fotografica. Si può dire che tra tutti i punti possibili ne esiste uno, nodale anteriore, che gode della proprietà per cui tutti i raggi che lo attraversano riemergono dall’altra parte dell’obbiettivo paralleli a loro stessi. I raggi uscenti, invece, sembrano provenire dal punto nodale posteriore. La duplicazione dei centri di proiezione a cui abbiamo ora accennato non ha conseguenze di carattere geometrico, è possibile assimilare il primo punto nodale al centro di proiezione della immagine fotografica e considerare nulla la distanza fra i due punti nodali. La distanza fra il secondo punto nodale dell’obbiettivo ed il piano focale, misurata lungo l’asse ottico dell’obbiettivo stesso è chiamata distanza focale.

Qui di seguito uno schema di rappresentazione dei punti nodali, indicati con N1 ed N2.

Punto nodale fisso all’angolo di campo dell’obbiettivo utilizzato, funzione questa che rende molto agevole e veloce la sequenza degli scatti. 2. La testa micrometrica o a cremagliera consente di realizzare inquadrature di altissima precisione consentendo la rotazione sui tre assi e anche una rotazione sferica.

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Punto nodale fisso

Rotazione fotocamera sul centro del cavalletto

Ricordando che il punto nodale corrisponde al centro ottico dell’obbiettivo, si parla di punto nodale fisso quando il centro ottico dell’obbiettivo rimane fisso e la macchina compie una rotazione su un asse immaginario passante per questo centro. In questo caso la ripresa viene effettuata in senso orario, da sinistra a destra, dall’alto scendendo a forma di serpentina. Questo tipo di ripresa viene eseguito in caso di spazi ampi e nella riproduzione di opere di grandi dimensioni.

Punto nodale parallelo

Rotazione fotocamera sul punto nodale anteriore

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In questo caso il centro ottico dell’obbiettivo si muove parallelamente all’opera. La fotocamera, dotata di un obbiettivo macro o di un duplicatore di focale, viene fatta scorrere ad una distanza prestabilita da sinistra verso destra, su di un’asta millimetrica fissata a due pali laterali. Al termine della prima striscia di ripresa, si prosegue alzando l’asta di una distanza costante, sempre secondo la modalità “a serpentina”, come se fosse uno scanner. Gli spostamenti della macchina e la regolazione dell’altezza degli stativi devono essere eseguiti mantenendo la stessa distanza dall’opera, in rapporto alle proporzioni dell’immagine finale. È quindi necessario adoperare un metro o un distanziometro per verificare se le ripetute azioni non abbiano spostato la distanza di partenza della macchina e quindi la distanza del punto nodale. Il punto nodale parallelo viene eseguito in condizioni spaziale limitate, per opere di piccole dimensioni e utilizzando diaframmi aperti per guadagnare maggiore luminosità e ricorrendo, qualora ce ne fosse bisogno, alla tecnica del multifuoco. Questa tecnica di ripresa, se eseguita correttamente, rende la scansione dell’opera estremamente regolare.


Backstage della riproduzione con punto nodale fisso.

Backstage della riproduzione con punto nodale parallelo.

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4.4 Il multifuoco Il multifuoco è una tecnica che combina più immagini scattate con diverse distanze di messa a fuoco per ottenere un’immagine con una maggiore profondità di campo rispetto a qualsiasi delle immagini sorgenti utilizzate. Questa tecnica, molto usata nelle riprese a microscopio, permette di avere una profondità di campo totale, anche con obiettivi di lunga focale o diaframmi aperti. Il numero di scatti ideale sarà pari al numero di piani perfettamente a fuoco che, sulla base del diaframma impostato, sono compresi nell’intero spessore del soggetto. Poi, ovviamente, nella pratica si tenderà ad effettuare il numero di scatti più accettabile per scopo, risultato e produttività, dopo aver speso molto tempo nel tentativo di catturare tutti i piani che tagliano il soggetto.

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Questa è una riproduzione di una porzione di cornice in foglia d’oro risultato risultato dell’ unione di 12 foto a fuochi differenti.

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5. ILLUMINAZIONE PER LA DIAGNOSTICA 5.1 L’evento colore e la resa in stampa Lezione del dott. Matteo Miccoli, ricercatore presso ProfiloColore La diagnostica fotografica parte dallo spettro del visibile. Il colore è una proprietà degli oggetti che viene generato negli occhi dell’osservatore e rielaborato nel cervello e che deriva dalla proprietà della luce. L’evento del colore si può riassumere come una sensazione evocata nell’osservatore dalle frequenze d’onda, necessita di tre attori: luce, osservatore, oggetto. La luce è caratterizzata da due grandezze fondamentali: lunghezza d’onda (m) e frequenza (Hz), inversamente proporzionali determinano il campo del visibile (tra 400/700 nm) all’interno dell’intero spettro della luce. Il metodo colore rgb segue l’ordine dei colori all’interno dello spettro. La luce viene rappresentata per curve spettrali che seguono degli illuminanti standard, che vengono usati per restituire coerentemente la realtà di ciò che vediamo (si ricordi infatti che vediamo il risultato dell’interazione tra luce e oggetto). Gli illuminanti sono (a) incandescenza, (b) spettro del sole, (d) luce al variare della giornata, (e) spettro piatto che non rappresenta nessuno spettro, (f) lampade fluorescenti. Standardizzando, il colore viene rappresentato da una terna colorimetrica xyz che ragionando su tre dimensioni, attinge i dati da uno spettro colorimetrico nel quale sono rappresentate tutte cromaticità visibili i cui confini sono curve monocromatiche. Questa teoria segue la Legge di Grassman secondo cui in accordo con la sintesi additiva, presi tre punti che identificano un triangolo si possono rappresentare tutti i colori contenuti al suo interno. Ne risulta però un diagramma non uniforme poichè a piccole distanze nello spazio colore corrispondono grandi differenze cromatiche. Alla luce di queste considerazioni risulta evidente la necessità di creazione di un nuovo spazio colore che imiti l’occhio umano: lab (1976). Il lab consente di definire la minima distanza che l’occhio risce a percepire. La differenza tra due colori simili corrisponde al cosiddetto numero δe che per non essere percepito dall’occhio

1. Il Gamut è il sottoinsieme dei colori visibili che il dispositivo è in grado di catturare e riprodurre.

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umano dev’essere inferiore a 2,5. Questo valore determina quanto la stampa finale si avvicinerà all’oggetto riprodotto, eliminando cioè ogni soggettività. Con il termine color management si intende la conversione controllata della rappresentazione del colore nei diversi dispositivi, nell’ottica di avere un buon match e ricreare lo stesso evento-colore sfruttando combinazioni di luci differenti. Per fare ciò bisogna fare i conti con i gamut1 dei diversi dispositivi (scanner, digital camera= rgb; computer, monitor= xyz o lab; stampante= cmyk) con i quali si opera. La gestione si attua attraverso la creazione di profili colore e con la gestione delle mappe colore attraverso gli intenti di rendering2.

5.2 Luce diffusa

Le fotografie con le quali vengono documentati i dipinti e le opere d’arte sono normalmente eseguite a luce diffusa, ovvero ricreando artificialmente, condizioni di illuminazione che rendano al meglio leggibile la composizione e i suoi valori cromatici. Cercando di eliminare qualsiasi riflesso speculare della superficie ma al tempo stesso cercando di rispettare il più possibile le normali condizioni di osservazione dell’opera in modo che in tutti i punti ci sia lo stesso tipo di esposizione. Viene usata anche per la riproduzione di parti in oro e argento o per i quadri con vetro protettivo. Quadri con vetro: Per evitare i riflessi qualora non si posseggano polarizzatori sia per l’obbiettivo fotografico che per i flash, bisogna schermare con un pannello nero attorno alla macchina. Argenti: Questo è valido anche per la resa di argenti, dove anzichè un pannello nero è corretto usare un softbox bianco.

2. Intenti di rendering: Percettivo: in cui si conserva la relazione visiva tra i colori, le proporzioni tra essi. La saturazione si riduce comprimendo lo spazio di input nella gamma dello spazio lavoro. Cambia tutti i valori secondo il criterio di distanza minima per avvicinare i valori al punto di bianco. Relativo colorimetrico: i colori fuori gamut di destinazione vengono spostati al suo interno verso il punto di bianco. Questo comporta l’allineamento di due colori inizialmente diversi che poi si trovano a coincidere. Colorimetrico Assoluto: segue le matematiche teoriche.

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Ori: Nel caso dell’oro è auspicabile puntare le luci sul soffitto e porre in basso i pannelli riflettenti per evitare la caduta di luce. Generalmente è preferibile torgliere completamente il riflesso, qualora non sia possibile è comunque interessante che si legga omogeneamente su tutta la superficie.

5.3 Luce trasmessa

Si procede ponendo la fonte luminosa dietro alla tela o il supporto dell’opera per rendere visibili toppe ed eventuali fori o imperfezioni dovute all’usura del tempo o alla manifattura.

5.4 Luce radente

Generalmente utilizzati in opere senza cornice, la radenza mette in evidenza la tridimensionalità delle pennellate e gli andamenti della pellicola pittorica. Si procede ponendo una fonte luminosa laterale (tra 0°– 5° affinchè si visualizzi la matericità) in posizione mediana rispetto alla superficie da documentare e allontanandosi via via per ottenere più omogeneità possibile. Le alette del flash servono sia per evitare che i riflessi entrino in macchina, sia per concentrare la luce sulla tela. Ci si può avvalere di più fonti luminose purchè siano unidirezionali e di norma si esegue alla stessa potenza su tutti i lati dell’opera.

5.5 Fluorescenza UV

Impiegata per vedere gli strati preparatori e lo strato di vernice protettiva. Le zone dove questo non è presente, rappresentano le zone originali dell’opera.

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6. AUTORI ED OPERE DOCUMENTATE

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6.1 Simone e Solerzio de Magistris Nato a Calderola (mc) nel 1538, Simone era figlio del pittore Giovanni Andrea de Magistris e nipote di Durante Nobili, noto per essere stato a lungo aiuto di Lorenzo Lotto. Proprio grazie allo zio, il giovane Simone fu accolto nella bottega dell’artista veneziano, dove rimase per un periodo molto breve. Succesivamente si ipotizza che sia stato alunno di Pellegrino Tibaldi, ad ogni modo la sua formazione dovette avvenire sulla spinta del manierismo romano. Distaccatosi dalla collaborzione col fratello, intorno agli anni settanta del xvi secolo risalgono gli affreschi della cappella della Passione a S. Francesco di Matelica. Questi spiccano per l’originalità dell’impostazione legata alla vita di Cristo, per la libertà creativa frutto di una vasta cultura appresa a Roma. La figura di Simone risulta – tra le maggiori operanti – quella che nella aderenza alla realtà religiosa del momento ha saputo interpretare il nuovo misticismo portato dalla controriforma, da lui espresso con un sentimento religioso, severo ed illuminante assieme, affine a quello della popolazione, del cui fervore egli appare interprete sottile e veritiero, quasi un El Greco marchigiano. Come quest’ultimo anche Simone opera una profonda inversione rispetto alla cultura rinascimentale, che aveva tentato di trasferire l’evento religioso in certezza umana. Le sue opere e il suo stile si va delineando come testimonianza di un’attività autoctona, nella quale tuttavia confluiscono e vengono riassorbiti atimoli culturali nuovi probabilmente suggeriti dai pittori presenti a Loreto: Lotto, Tibaldi, Muziano, Zuccari, Barocci, Lilli ed infine Boscoli ai quali va aggiunta la diffusione delle stampe nordiche. Riguardo l’attività del figlio Solerzio non si hanno molte notizia e non si conoscono le date di nascita e di morte. Firmò col padre nel 1590 le Allegorie dei tre regni, conservate oggi presso il Municipio di Offida (Ascoli Piceno). Allo stesso anno risale anche la Natività della collezione Zeri di Mentana. Dopo la Madonna e i santi nella Galleria Nazionale delle Marche, nel 1611 firmò una quietanzaanche a nome del fratello Federico per lavori fatti nella Cappella del Crocefisso nella chiesa di S. Angelo in Ascoli. Infine si sa che nel 1598 collaborò alla decorazione delle stanze di palazzo Pallotta del Castello a Caldarola..

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Per la realizzazione di quest’opera ho utilizzato: – Treppiedi Manfrotto 150xprob – Testa micrometrica Manfrotto 410 – due flash Bowens 1500 con paraluce; – Canon 5D Mark ii – obbiettivo Canon ef 70-200 f/4 l is usm con paraluce – color checker Software impiegati per l’elaborazione: – Adobe Bridge – Adobe Camera Raw – Kolor Autopano Giga 3.08 – Adobe Photoshop CS6 – ColorChecker Passport 0. Previsualizzare l’immagine 1. Posizionamento del cavalletto e messa in bolla della macchina, ad una distanza minima di messa a fuoco con la messa a fuoco sull’infinito. Si dimezza la distanza iperfocale1 aumentando la profondità di campo. E’ necessario ridurre il più possibile la deformazione prospettica con l’ausilio dello zoom. L’altezza della macchina dev’esser circa uguale al centro dell’opera (sia verticalmente che orrizontalmente), per evitare deformazioni durante la cucitura e ridurre la correzione con software. 2. Considerare tutto ciò che apparirà nell’immagine finale e impostare la messa a fuoco di conseguenza. È consigliabile sfruttare appieno la profondità di campo (pdc) dell’obbiettivo usato, dunque è bene aiutarsi con le indicazioni di profondità di campo riportate sul barilotto, sempre presenti sulle ottiche fisse ma spesso assenti sulle ottiche zoom. 3. Impostazione del diaframma: si utilizzano diaframmi abbastanza chiusi (f/11 ed oltre) in quanto si utilizzano sempre ottiche con lunghezza focale maggiore di quella che sarebbe servita per riprendere la stessa scena con uno scatto singolo, pertanto avremo una minor profondità di campo disponibile. 4. Posizionamento delle luci: l’opera è stata scattata in luce diffusa, i flash sono stati puntati verso l’alto per evitare i riflessi della pellicola pittorica

1. Distanza iperfocale: in un obbiettivo con la messa a fuoco all’infinito corrisponde al limite prossimo della profondità di campo ed è stabilita dall’apertura dell’obbiettivo stesso. La distanza iperfocale è tanto più vicina alla fotocamera quanto più chiuso è il diaframma impostato sull’obbiettivo e mettendo a fuoco sulla distanza iperfocale si ha la massima profondità di campo.

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“MADONNA COL BAMBINO, I SANTI FRANCESCO, GIOVANNI BATTISTA E IL DONATORE”

Riproduzione hd a punto nodale fisso in luce diffusa Olio su tela, cm 223 x 128

L’opera Madonna con Bambino, i Santi Francesco e Giovanni Battista e il donatore, conservata presso la Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, è una pala d’altare proveniente da una cappella votiva della chiesa di Santa Maria della Carità in Ascoli. Nel 1606 il mercante ascolano Giovanni Francesco Gilio commissiona a Simone la decorazione plastica e pittorica di questa cappella. A confermare l’autorialità del dipinto, una pergamente posta sopra ad un masso ai piedi dei Santi, recita: Simon d. Magistris de Caldarola et Solertius fius filius artificis 1608

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Riproduzione HD a punto nodale fisso in Luce radente Della stessa opera è stata eseguita anche un’analisi in luce radente. Il set realizzato ha previsto la collocazione dei due flash uno sopra all’altro per assicurare una maggiore omogeneità. Per quanto riguarda i procedimenti di assemblaggio e modifica, i passaggi sono i medesimi per realizzare l’hd. Per ragioni di spazio è stata eseguita una sola radenza.

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5. Scatti generali con color checker. 6. Sequenza di ripresa secondo la modalità “a serpentina” precedentemente nominata. 7. Al termine della ripresa i file sono stati montati provvisoriamente in Autopano, per controllare l’effettiva riuscita del panorama. Gli scatti sono stati eseguiti in modalità raw+jpeg. Il formato di salvataggio raw ci permette la massima lavorazione del file e la massima qualità d’informazioni. Il formato jpeg è servito per il montaggio immediato nel luogo di ripresa per un monitoraggio veloce e per controllare la correttezza delle riprese. 8. Trascrizione delle misure e delle distanze del set. N.B. È importante che l’angolo di campo (fov), ovvero la porzione di immagine visibile, resti sempre costante in tutti gli scatti. Quando il punto di messa a fuoco cambia cioè si modifica la lunghezza focale, anche l’angolo di campo cambia. Per evitare questi spostamenti bisogna mantenere fisso il fuoco fisso. Si procede ora con il montaggio dei file. 9. Creare il profilo della macchina fotografica con ColorChecker Passport, il profilo creato dal .dwg verrà inserito automaticamente nei file di raccolta di Camera Raw. 10. Aprire tutti i file da Bridge in Camera raw, per eseguire alcune correzioni circa bilanciamento del bianco, correzione lente, eventuale correzione di aree sovraesposte. Nelle correzioni si cerca di essere il meno invasivi possibile, non si tratta di enfatizzare ciò che c’è ma semplicemente di portarlo alla luce. Per questo alcuni parametri relativi a contrasto, chiarezza e vividezza si azzerano. Salvare i file in .tif per avere una compressione non distruttiva dei dati acquisiti. 11. Aprire i file da Bridge in Autopano ed avviare lo stitching. 12. Alla fine del riconoscimento è fondamentale guardare il dato rms che riporta la qualità della cucitura. Un rms sufficientemente buono dev’essere inferiore a 3. È possibile ottimizzare il panorama, attraverso l’analisi dei punti di controllo che il software ha individuato. Qualora il

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software non abbia identificato sufficienti punti di controllo, si possono aggiungere autonomamente. 13. Si procede con il raddrizzamento delle linee orizzontali e verticali. 14. Nelle opzioni di colore si dovrebbe togliere la correzione automatica, e qualora ci siano delle cadute di luce è possibile andare a modificare le curve colore di ogni singola foto. 13. Terminate le modifiche si può renderizzare. 14. Ottenuto il file in alta definizione, si procede ad eventuali piccoli aggiustamenti in Photoshop, sempre conservativi ed il meno invasivi possibile. Per quanto riguardo lo scontorno finale, è bene che questo non tagli e lasci inalterate le possibili imprecisioni e sfilacciature nei bordi della tela.

Di seguito il flusso di lavoro addottato.

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Riconoscimento su autopano e controllo dell’ rms

Ottimizzazione dei punti di controllo

Ottimizzazione del panorama

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Correzione colore da “automatica” a “nessuna”. tramite le curve per ogni singolo fotogramma

Correzione linee verticali ed orrizzontali

Rendering

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6.2 Andrea Lilli E’ un pittore originario di Ancona in attività tra il xvi–xvii sec. Le notizie sulla sua vita sono state ricostruite attraverso le testimonianze dei storiografi come Baglione, Ricci, ma anche dall’analisi stilistica per riordinare cronologicamente le opere ad esso attribuite. La sua formazione, avvenuta prima dell’arrivo a Roma nel 1600 è incerta, ma è presumibile un apprendistato giovanile presso un artista locale di cui, tuttavia, non si hanno notizie documentate. La critica ha comunque evidenziato influssi di artisti, quali Lorenzo Lotto e Pellegrino Tibaldi, che hanno lasciato ad Ancona e nella provincia opere da cui il Lilli trasse spunti e suggestioni, mentre il cantiere lauretano, dove tra il 1576 e il 1578 lavorarono Girolamo Muziano e Cesare Nebbia, con buona probabilità offrì al giovane pittore una preziosa occasione di studio e di confronto. In questi anni si ipotizza anche un viaggio formativo in Toscana a cui fanno riferimento alcuni rimandi al manierismo del Rosso Fiorentino, del Pontormo, del Beccafumi. Giunto a Roma agli inizi del pontificato di Sisto v, fu coinvolto nelle grandi imprese decorative avviate dal pontefice, a partire dagli affreschi eseguiti in S. Maria Maggiore, all’interno della cappella Sistina dedicata al Presepe, realizzati nel 158687 sotto la direzione di Nebbia. Gli affreschi rappresentano la prima testimonianza della sua attività romana. Il pittore continuò a intervenire nella decorazione del palazzo ad alterne riprese fino alla fine degli anni Ottanta. Tra le decorazioni di questo periodo che sono concordamente riferite al Lilli vanno ricordate le figure allegoriche della Fortezza, della Fortuna e della Fede nella volta della sala degli Obelischi. Si fa l’ipotesi di una collaborazione con Antonio Viviani, detto il Sordo d’Urbino, discepolo diretto del Barocci per la realizzazione degli affreschi che decorano la sala dei Patti, in particolare l’episodio del Tu es Petrus. Da questa collaborazione ne deriva una compostezza fredda che non è presente quando il Lilli opera da solo e le figure si allungano e si slanciano. Tra il 1587 e l’anno successivo lavorò agli affreschi della Scala Santa ed è in queste opere che si svela con tutta evidenza l’avvenuto incontro con F. Barocci che ne influenzò le scelte cromatiche iridescenti e cangianti

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e il modo tormentato di modellare i panneggi assecondando le torsioni dei personaggi, cui non è estraneo il legame con la prima stagione del manierismo toscano. Riguardo le opere che si è scelto riprodurre si può dire che entrambi i disegni documentano un momento di meditazione dotato di intenso ascetismo che, nel percorso figurativo dell’autore trovano consonanza in alcuni artefatti pittorici fortemente influenzati dalla spiritualità francescana propugnata dalla Controriforma. Anche dal punto di vista stilistico i disegni testimoniano una fase di decantazione delle visioni convulse, dei cangiantismi esasperati, dai languidi pietismi di tante tele disseminate nelle province marchigiane che documentano il fervore religioso e la sensuale emotività di questo originale artista. Ambo le scene risultano stilisticamente equilibrate, cromaticamente sobrie e vibranti.

Backstage della riproduzione con punto nodale parallelo. Vista la presenza del vetro è stato necessario munirsi di un cartoncino nero creando una sorta di softbox antiriflesso

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“SAN FRANCESCO D’ASSISI E SAN GIACOMO DELLA MARCA” Riproduzione hd a punto nodale parallelo in luce diffusa e multifuoco

disegno su pergamena, acquerello e matite colorate cm 26 x 20

Il secondo disegno ha come protagonisti San Francesco d’Assisi e probabilmente San Giacomo della Marca il quale, sebbene privo di consueti attributi iconografici, appare identificabile attraverso le caratteristiche somatiche del volto. La loro meditazione sulla caducità dell’uomo, simboleggiata dal teschio, è in realtà un’allegoria dell’Osservanza francescana. Al linguaggio palese di certi attributi quali la corona “dei sette gaudi” e gli zoccoli, fa da contrappunto la suggestione di un paesaggio montano che circonda un edificio sacro. Nel quadro domina l’attenzione un’austera croce lignea, metafisicamente vuota ma pronta a ricevere una nuova vittima sacrificale. Questa iconografia, mero segno dell Passione di Cristo, diventa un nudo simbolo dell’invito rivolto ai seguaci di Francesco ad assimilarsi all’Uomo-Dio trafitto dal dolore.

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Per la realizzazione di quest’opera ho utilizzato: – punto parallelo – piasta micrometrica – due flash Bowens 1500 con paraluce; – Canon 5D Mark ii – obbiettivo Canon ef 60 macro f/2.8 – softbox nero – pannello bianco di schiarita – color checker Software impiegati per l’elaborazione: – Adobe Bridge – Adobe Camera Raw – Helicon Focus 6.0.1 di Helicon Soft Ltd. – Kolor Autopano Giga 3.08 – Adobe Photoshop CS6 – ColorChecker Passport Come già accennato in precedenza dal multifuoco (noto anche come stacking focus) si può ottenere un’immagine con una profondità di campo maggiore attraverso la combinazione di più immagini scattate con diverse distanze di messa a fuoco. Per avere una maggiore profondità di campo e preservare la luminosità dell’opera, è stato usato un diaframma aperto. Mi sono servita del punto parallelo, caratterizzato da un asta con piastra retta da due pali con segnata una scala metrica. Ho usato il multifuoco per riuscire ad avere una profondità di campo che comprendesse la cornice, le sue decorazioni e il dipinto. Essendo dotato di un vetro protettivo, è stato creato un softbox nero per eliminarne il riflesso. Il quadro è stato suddiviso in sei settori e per ognuno di questi sono state realizzate dalle 2 alle 3 foto per le diverse messe a fuoco. Successivamente alle modifiche in Camera Raw, i file sono stati uniti su Helicon Focus, in modo da ottenere singoli fotogrammi di profondità di campo superiore. Qualora non si riescano a cucire fotogrammi: assicurarsi una foto con tutta la cornice a fuoco e una con il dipinto e poi unire il tutto su Photoshop. In mancanza di un programma come Helicon focus, è possibile ottenere un analogo risultato caricando le foto da Bridge su Photoshop su livelli separati per eseguire una fusione automatica dei livelli mantenendo colori uniformi (Bridge > selezionare i file > Strumenti > Photoshop > Carica su livelli separati > Modifica > Fusione automatica dei livelli). La decisione di utilizzare un software o l’altro è determinata dalla precisione che si vuole ottenere. Nel mio caso Photoshop non riusciva ad allineare i fotogrammi pertanto ho eseguito l’allineamento con il secondo software, che è altamente più presciso. Infine ho unito i file su Autopano ed eseguito le successive modifiche come nel caso dell’hd.

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Esempio del flusso di lavoro su Helicon focus:

Importare le immagini scelte su Helicon Focus

Avviare il rendering scegliendo il metodo preferito

Helicon Focus individua tra i fotogrammi inseriti i punti a fuoco creando un unica foto. La comparsa di un triangolo rosso indica l’impossibilità per il software di trovare le coincidenze necessari per l’unione

Dopo aver ottenuto sei immagini complessivamente a fuoco, eseguire lo stitching in Autopano e successivamente eseguire eventuali modifiche su Photoshop.

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“SAN FRANCESCO, SAN BONAVENTURA, SANT’ANTONIO DA PADOVA E IL BEATO LEONE”

Riproduzione hd a punto nodale parallelo in luce diffusa e multifuoco disegno su pergamena, acquerello e matite colorate, cm 21 x 18 cornice lignea intarsiata in argento, cm 32 x 29,3

Nell’Archivio Barberini il pittore marchigiano Andrea Lilli compare nel 1927 come beneficiario di un mandato di pagamento di 15 scudi per questa miniatura su pergamena. Il soggetto, caro all’iconografia francesccana della Controriforma, rinvia ad un dipinto su tela eseguito dallo stesso Lilli per la Chiesa ascolana di Santa Maria in Solestà, della quale potrebbe essere uno studio preparatorio. Il disegno, commissionato da una committenza privata, fu originariamente montato su rame e posto entro un’elegante cornice lignea ornata d’intarsi in argento. Si pone in evidenza il significato allegorico della composizione cin ricorsi figurativi di sapore tardo cinquecentesco: Francesco d’Assis, Antonio da Padova, e Bonaventura da Bagnoregio, i tre pilastri dell’ordine mendicante (il Mistico, il Taumaturgo ed il Teologo), additano al giovane frate Leone la Croce come mera dell’ascesi cristiana, per raggiungere la quale è necessario abbracciare i voti di castità, povertà ed ubbidienza, simboleggiati da cuore, monete e teschio, la cui iconografia viene ripresa dai testi agiografici duecenteschi che descrivono la vita di San Francesco.

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“SAN ROCCO” Riproduzione hd a punto nodale fisso in luce diffusa olio su tela, cm 81 x 86

Non si conosce la provenienza di questo dipinto entrato nelle collezioni della Galleria Nazionale delle Marche nel 1969. La data segnata a destra dall’autore attesta che l’opera fu eseguita a Roma, probabilmente trattandosi di una delle ultime opere del periodo romano. Di forte caratterizzazione manieristica per la scelta dei colori acidi e dissonanti riconducibili a Rosso Fiorentino, subentra in quest’opera un nuovo clima, caratterizato da una costruzione meno dispersiva del quadro, da una luce violenta e individuata in una fonte, da cui piove rilevando drammaticamente la figura sull’intonazione cupa del fondo. Per rgioni temporali non si può ancora parlare di un richiamo al Caravaggio (che difatti era attivo solo da qualche anno), ma il cambiamento di stile va inserito in quel clima di riforma pittorica creatosi all’interno dell’ultimo manierismo che aveva un dei poli di diffusione nell’ambiente fiorentino. La luce segna puntualmente l’ombra portata della mano e del rosario, come quella delle foglie sulla mantella del santo, indugia sulla natura morta del ramo e del cappello da pellegrino ma batte anche sugli aspri panneggi angolosi e sul corpo di S. Rocco, di lontana matrice michelangiolesca, piegata ad una furiosa deformazione espressionistica: le membra sono livide fino al paradosso (come le labbra azzurre sul volto torvo del santo cacciatore), e scomposti sono i contorcimenti cui si abbandona la figura, con un’enfasi quasi insolente nell’esibizione della piaga all’interno della coscia. L’atmosfera saturnina dell’opera si estende anche all’intensa caratterizzazione del cane sullo sfondo, il cui grande occhio affiorante dall’oscurità cattura lo spettatore.

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Riproduzione hd a punto nodale fisso in luce radente In questo caso la radenza è stata eseguita su entrambi i lati destro e sinistro risultando molto interessante e rendendo ben visibili le pennellate nella radenza da destra. È stata posizionata una sola luce a metà dell’opera ed è stata allontanata per avere un omogneità. Essendo un quadro molto scuro, è risultato complesso riuscire ad ottenere un’omogeneità complessiva su tutta la pellicola pittorica ma soprattutto garantirne la lettura in ogni suo punto.

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6.3 Andrea Boscoli Nasce a Firenze nel 1560 e vive la sua formazione artistica al fianco di Santi di Tito, caposcuola della corrente pittorica detta “riformata” che allontanandosi dai canoni del manierismo “cortese” ricerca una pittura più rispondente alle esigenze della controriforma e rivolta ad un pubblico più vasto di quello rappresentato dalla committenza aristocraticao daglie eruditi in materia religiosa. Ben presto si distacca dalla impaginazione misurata della corrente e attinge al repertorio del primo manierismo fiorentino, in particolare al Pontorno a cui aggiunge sottilineature umorali e popolaresche. Svolge le sue figurazioni in un verticalismo che lo avvicina al gusto neogotico ed al contemporaneo Andrea Lilli. Nonostante molta della sua produzione pittorica profana sia andata perduta, Boscoli rappresenta uno dei protagonisti principali della grafica italiana di fine Cinquecento e i suoi disegni godevano di una forte notorietà a livello europeo. Attinge ad una trama di relazioni che vanno dalla scuola di Raffaello al più colto manierismo nordico di Bloemaert. Nelle pale d’altare e negli affreschi l’estro espressivo e il violento cromatismo si impongono pressochè sempre sul tema devozionale. Di questa produzione sacra la parte più consistente si trova proprio nelle Marche in seguito ad un lungo soggiorno che l’artista ebbe all’inizio del 1600. Ed è in questi anni che si colloca anche l‘opera riprodotta: l’Ultima Cena, conservata presso la Galleria Nazionale delle Marche di Urbino.

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“L’ULTIMA CENA” Riproduzione hd a punto nodale fisso in luce diffusa Dipinto su tavola, cm 95 x 145

Riproduzione hd a punto nodale fisso in luce radente La radenza è stata ottenuta impostando una sola luce da sotto. Inizialmente si provò a spostare la luce lungo il lato dell’opera, da destra a sinistra, seguendo il corso della serpentina, ma il risultato fu molto più disomogeneo.

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7. LA FOTOGRAFIA PANORAMICA Ricerca del Punto Nodale Anteriore

1. Posizionare il cavalletto in bolla; 2. fissare la fotocamera alla staffa di sostegno (normalmente in posizione verticale) facendo attenzione che il piano del sensore rimanga verticale (aiutarsi eventualmente con una bolla applicata direttamente sul corpo macchina); 3. utilizzare la slitta di traslazione per far coincidere l’asse dell’ottica con la colonna centrale del cavalletto; 4. individuare una scena con due riferimenti posti in verticale, uno nelle vicinanze della fotocamera, l’altro verso l’infinito; 5. comporre l’inquadratura in modo che i due riferimenti siano perfettamente allineati; 6. utilizzando lo snodo alla base della testa, ruotare la fotocamera e controllare che nel mirino i due riferimenti rimangano nella stessa posizione tra loro, in caso contrario utilizzare l’altra slitta per spostare in avanti o indietro la fotocamera; ripetere poi il controllo; 7. una volta raggiunta la situazione “visivamente” corretta, sarebbe utile affinare ulteriormente la regolazione controllando le immagini scattate al computer: usando solo il mirino, infatti non si possono apprezzare le piccole variazioni di posizione dei due riferimenti. Per la realizzazione della panoramica abbiamo utilizzato: – Testa panoramica – Treppiedi Manfrotto 150xprob – Canon 5D Mark ii – Obbiettivo Canon ef 16-35 mm Software impiegati per l’elaborazione: – Adobe Bridge – Adobe Camera Raw – Kolor Autopano Giga 3.08 – Adobe Photoshop CS6

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Dopo aver calcolato sulla base dell’ottica impiegata, lo slittamento delle piastre necessario per non avere uno sfasamento in fase di cucitura, ci siamo posizionate al centro ottico della stanza. La scena è stata suddivisa in otto spicchi, consentendo sempre una sovrapposizione del 30% tra i fotogrammi e dunque una rotazione di 30°. Si è proseguito eseguendo poi lo stesso numero di scatti col medesimo spostamento, sia inclinando verticalmente la macchina di 30° verso il soffitto, sia in direzione del pavimento, più uno scatto al soffitto e uno al pavimento, nel punto in cui era posizionato il cavalletto. Dopo aver effettuato le modifiche in Camera raw, i file sono stati riconosciuti da Autopano come panorama sferico detto Equirettangolare. questo tipo di riconoscimento è usata principalmente per le foto a 360°x180° (immersive). Panorami di questo tipo sono composti da una serie di scatti messi a ricoprire interamente le pareti interne di una sfera con l’osservatore posto al centro di questa. La visione oltre ad essere di 360° orizzontalmente è di 180° verticalmente (da +90 a -90). Esse rappresentano la realtà vista dal punto di osservazione, nella sua interezza. Per la loro visione occorre utilizzare software appositi che effettuano la conversione prospettica da un immagine curva ad un immagine piatta sul monitor. La foto sferica ha un rapporto dimensionale fisso di 2:1 indipendentemente dall’ottica utilizzata e, se stampata, rende un immagine prospetticamente distorta. Il riconoscimento di questo tipo, è usato normalmente per le foto con campo inquadrato superiore a 100°-120°.

Nelle pagine succissive vi è un esempio della rielaborazione delle panoramiche tramite software:

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Selezione files, dopo aver eventualmente fatto le modifiche su CameraRaw

Apertura su autopano

Riconoscimento su autopano e controllo dell’ RMS

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Stitching, modifiche e ottimizzazioni. Da notare che il software ha gestito le immagini con una cucitura sferica

Ritaglio e impostazione del rendering

Rendering

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Panoramica della Sala II dell’Appartamento Roveresco, II piano, Palazzo Ducale, Urbino

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MONOGRAFIA DELLA RIPRESA

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ISIA URBINO - Diploma di II livello ID

in Grafica delle Immagini - Fotografia per i Beni Culturali

1

Monografia di Ripresa Regione

Provincia Comune Edificio/Ambiente Condizione giuridica Inventario

Marche PU Urbino Palazzo Ducale Demaniale 1990 DE 190

Materiale

Tela

Soggetto

Madonna con Bambino e Santi

Autore

Simone e Solerzio de Magistris

Secolo/Anno

XVI-XVII

MTS_AP/Macchina fotografica MTS_OB/Obiettivo

Canon EOS 5D Mark II EF 70/200 f2,8

MTS_LS/Distanza luce-soggetto MTS_VL/Impiego luce

MTS_TP/Shutter MTS_DI/Diaframma

potenza flash

1/200 s 11 1000 1/1

MTS_IL/Illuminatori MTS_TL/Tipo di luce MTS_DR/Distanza ripresa

3m diffusa n째 2 Bowens 1500 Flash con parabola puntati in direzione soffitto 3,20 m

area scala

Schema di ripresa

FVCF/Nome del file

Madonna_deMagistris_HD

FVM/Cartella-Numero del cd o DVD FVCN_D/Descrizione

Fotografo

Giulia Nascimbeni

LRD/Data di ripresa

27-05-2014

LRE/Data di elaborazione

28-05-2014

FVCN/Note

FVCP/Software di elaborazione

FVCU/Pixel totali FVCM/Dimensione sensore

ColorChecker Passport Camera Raw Autopano Giga 3.0.3 Adobe Photoshop CS6 1592 x 25096 35 mm

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ISIA URBINO - Diploma di II livello ID

in Grafica delle Immagini - Fotografia per i Beni Culturali

1

Monografia di Ripresa Regione

Provincia Comune Edificio/Ambiente

Marche PU Urbino Palazzo Ducale

Condizione giuridica Demaniale Inventario

1990 DE 190

Materiale

Tela

Soggetto

Madonna con Bambino e Santi

Autore

Simone e Solerzio de Magistris

Secolo/Anno

XVI-XVII

MTS_AP/Macchina fotografica MTS_OB/Obiettivo

Canon EOS 5D Mark II EF 70/200 f2,8

MTS_LS/Distanza luce-soggetto MTS_VL/Impiego luce

MTS_TP/Shutter MTS_DI/Diaframma

potenza flash

1/200 s 11/10 1000 1/1

MTS_IL/Illuminatori MTS_TL/Tipo di luce MTS_DR/Distanza ripresa

1m radente n° 2 Bowens 1500 Flash con parabola radenti all’opera 3,20 m

area scala

Schema di ripresa

FVCF/Nome del file

Madonna_deMagistris_RAD

FVM/Cartella-Numero del cd o DVD FVCN_D/Descrizione

Fotografo

Giulia Nascimbeni

LRD/Data di ripresa

27-05-2014

LRE/Data di elaborazione

28-05-2014

FVCN/Note

FVCP/Software di elaborazione

FVCU/Pixel totali FVCM/Dimensione sensore

ColorChecker Passport Camera Raw Autopano Giga 3.0.3 Adobe Photoshop CS6 18519 x 25874 35 mm

75



ISIA URBINO - Diploma di II livello ID

in Grafica delle Immagini - Fotografia per i Beni Culturali

1

Monografia di Ripresa Regione

Provincia Comune Edificio/Ambiente

Marche PU Urbino Palazzo Ducale

Condizione giuridica Demaniale Inventario

1990 D 283

Materiale

Acquerello su pergamena

Soggetto

S. Francesco e S.Giacomo

Autore Secolo/Anno

Andrea Lilli XVI-XVII

MTS_AP/Macchina fotografica MTS_OB/Obiettivo

Canon EOS 5D Mark II EF 70/200 f2,8

MTS_LS/Distanza luce-soggetto MTS_VL/Impiego luce

MTS_TP/Shutter MTS_DI/Diaframma

potenza flash

1/125 s 2 1000 1/8

MTS_IL/Illuminatori MTS_TL/Tipo di luce MTS_DR/Distanza ripresa

2,45 m diffusa n째 2 Bowens 1500 Flash con parabola, softbox, pannello schiarita 0,60 m

area scala

Schema di ripresa

FVCF/Nome del file

S.Francesco_Giacaomo_HD

FVM/Cartella-Numero del cd o DVD FVCN_D/Descrizione

Fotografo

Giulia Nascimbeni

LRD/Data di ripresa

27-05-2014

LRE/Data di elaborazione

28-05-2014

FVCN/Note

FVCP/Software di elaborazione

FVCU/Pixel totali FVCM/Dimensione sensore

ColorChecker Passport Camera Raw Autopano Giga 3.0.3 Adobe Photoshop CS6 6556 x 7616 35 mm

77



ISIA URBINO - Diploma di II livello ID

in Grafica delle Immagini - Fotografia per i Beni Culturali

1

Monografia di Ripresa Regione

Provincia Comune Edificio/Ambiente

Marche PU Urbino Palazzo Ducale

Condizione giuridica Demaniale Inventario

1990 D 282

Materiale

Acquerello su pergamena

Soggetto

S. Francesco, S. Bernardo, S.Antonio e Beato Leone Andrea Lilli

Autore Secolo/Anno

XVI-XVII

MTS_AP/Macchina fotografica MTS_OB/Obiettivo

Canon EOS 5D Mark II EF 70/200 f2,8

MTS_LS/Distanza luce-soggetto MTS_VL/Impiego luce

MTS_TP/Shutter MTS_DI/Diaframma

potenza flash

1/125 s 2 1000 1/8

MTS_IL/Illuminatori MTS_TL/Tipo di luce MTS_DR/Distanza ripresa

2,45 m diffusa n째 2 Bowens 1500 Flash con parabola, softbox, pannello schiarita 0,60 m

area scala

Schema di ripresa

FVCF/Nome del file

S.Francesco_Bernardo_HD

FVM/Cartella-Numero del cd o DVD FVCN_D/Descrizione

Fotografo

Giulia Nascimbeni

LRD/Data di ripresa

27-05-2014

LRE/Data di elaborazione

28-05-2014

FVCN/Note

FVCP/Software di elaborazione

FVCU/Pixel totali FVCM/Dimensione sensore

ColorChecker Passport Camera Raw Autopano Giga 3.0.3 Adobe Photoshop CS6 8011 x 8753 35 mm

79



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in Grafica delle Immagini - Fotografia per i Beni Culturali

1

Monografia di Ripresa Regione

Provincia Comune Edificio/Ambiente

Marche PU Urbino Palazzo Ducale

Condizione giuridica Demaniale Inventario

1990 D 101

Materiale

Tela

Soggetto

S. Rocco

Autore Secolo/Anno

Andrea Lilli XVI-XVII

MTS_AP/Macchina fotografica MTS_OB/Obiettivo

Canon EOS 5D Mark II EF 70/200 f2,8

MTS_LS/Distanza luce-soggetto MTS_VL/Impiego luce

MTS_TP/Shutter MTS_DI/Diaframma

potenza flash

1/200 s 10 500 5

MTS_IL/Illuminatori MTS_TL/Tipo di luce MTS_DR/Distanza ripresa

2m radente n째 2 Bowens 500 Flash con parabola orientati verso la camera 2m

area scala

Schema di ripresa

FVCF/Nome del file

S.Rocco_Lilli_HD

FVM/Cartella-Numero del cd o DVD FVCN_D/Descrizione

Fotografo

Giulia Nascimbeni

LRD/Data di ripresa

27-05-2014

LRE/Data di elaborazione

28-05-2014

FVCN/Note

FVCP/Software di elaborazione

FVCU/Pixel totali FVCM/Dimensione sensore

ColorChecker Passport Camera Raw Autopano Giga 3.0.3 Adobe Photoshop CS6 12441 x 11858 35 mm

81



ISIA URBINO - Diploma di II livello ID

in Grafica delle Immagini - Fotografia per i Beni Culturali

1

Monografia di Ripresa Regione

Provincia Comune Edificio/Ambiente

Marche PU Urbino Palazzo Ducale

Condizione giuridica Demaniale Inventario

1990 D 101

Materiale

Tela

Soggetto

S. Rocco

Autore Secolo/Anno

Andrea Lilli XVI-XVII

MTS_AP/Macchina fotografica MTS_OB/Obiettivo

Canon EOS 5D Mark II EF 70/200 f2,8

MTS_LS/Distanza luce-soggetto MTS_VL/Impiego luce

MTS_TP/Shutter MTS_DI/Diaframma

potenza flash

1/125 s 11 500 5

MTS_IL/Illuminatori MTS_TL/Tipo di luce MTS_DR/Distanza ripresa

2m radente n° 1 Bowens 500 Flash con parabola orientati verso l’opera da destra 2m

area scala

Schema di ripresa

FVCF/Nome del file

S.Rocco_Lilli_RAD_DX

FVM/Cartella-Numero del cd o DVD FVCN_D/Descrizione

Fotografo

Giulia Nascimbeni

LRD/Data di ripresa

27-05-2014

LRE/Data di elaborazione

28-05-2014

FVCN/Note

FVCP/Software di elaborazione

FVCU/Pixel totali FVCM/Dimensione sensore

ColorChecker Passport Camera Raw Autopano Giga 3.0.3 Adobe Photoshop CS6 14568 x 13212 35 mm

83



ISIA URBINO - Diploma di II livello ID

in Grafica delle Immagini - Fotografia per i Beni Culturali

1

Monografia di Ripresa Regione

Provincia Comune Edificio/Ambiente

Marche PU Urbino Palazzo Ducale

Condizione giuridica Demaniale Inventario

1990 D 101

Materiale

Tela

Soggetto

S. Rocco

Autore Secolo/Anno

Andrea Lilli XVI-XVII

MTS_AP/Macchina fotografica MTS_OB/Obiettivo

Canon EOS 5D Mark II EF 70/200 f2,8

MTS_LS/Distanza luce-soggetto MTS_VL/Impiego luce

MTS_TP/Shutter MTS_DI/Diaframma

potenza flash

1/125 s 11 500 5

MTS_IL/Illuminatori MTS_TL/Tipo di luce MTS_DR/Distanza ripresa

2m radente n° 1 Bowens 500 Flash con parabola orientati verso l’opera da sinistra 2m

area scala

Schema di ripresa

FVCF/Nome del file

S.Rocco_Lilli_RAD_SX

FVM/Cartella-Numero del cd o DVD FVCN_D/Descrizione

Fotografo

Giulia Nascimbeni

LRD/Data di ripresa

27-05-2014

LRE/Data di elaborazione

28-05-2014

FVCN/Note

FVCP/Software di elaborazione

FVCU/Pixel totali FVCM/Dimensione sensore

ColorChecker Passport Camera Raw Autopano Giga 3.0.3 Adobe Photoshop CS6 12679 x 12056 35 mm

85



ISIA URBINO - Diploma di II livello ID

in Grafica delle Immagini - Fotografia per i Beni Culturali

1

Monografia di Ripresa Regione

Provincia Comune Edificio/Ambiente

Marche PU Urbino Palazzo Ducale

Condizione giuridica Demaniale Inventario

1990 D 281

Materiale

Tela

Soggetto

Ultima Cena

Autore Secolo/Anno

Andrea Boscoli XVI-XVII

MTS_AP/Macchina fotografica MTS_OB/Obiettivo

Canon EOS 5D Mark II EF 70/200 f2,8

MTS_LS/Distanza luce-soggetto MTS_VL/Impiego luce

MTS_TP/Shutter MTS_DI/Diaframma

potenza flash

1/200 s 11 1000 1/8

MTS_IL/Illuminatori MTS_TL/Tipo di luce MTS_DR/Distanza ripresa

1,70 m diffusa n째 2 Bowens 1500 Flash con parabola 1,70 m

area scala

Schema di ripresa

FVCF/Nome del file

UltimaCena_Boscoli_HD

FVM/Cartella-Numero del cd o DVD FVCN_D/Descrizione

Fotografo

Giulia Nascimbeni

LRD/Data di ripresa

27-05-2014

LRE/Data di elaborazione

28-05-2014

FVCN/Note

FVCP/Software di elaborazione

FVCU/Pixel totali FVCM/Dimensione sensore

ColorChecker Passport Camera Raw Autopano Giga 3.0.3 Adobe Photoshop CS6 17953 x 11750 35 mm

87



ISIA URBINO - Diploma di II livello ID

in Grafica delle Immagini - Fotografia per i Beni Culturali

1

Monografia di Ripresa Regione

Provincia Comune Edificio/Ambiente

Marche PU Urbino Palazzo Ducale

Condizione giuridica Demaniale Inventario

1990 D 281

Materiale

Tela

Soggetto

Ultima Cena

Autore Secolo/Anno

Andrea Boscoli XVI-XVII

MTS_AP/Macchina fotografica MTS_OB/Obiettivo

Canon EOS 5D Mark II EF 70/200 f2,8

MTS_LS/Distanza luce-soggetto MTS_VL/Impiego luce

MTS_TP/Shutter MTS_DI/Diaframma

potenza flash

1/125 s 11 1000 1/8

MTS_IL/Illuminatori MTS_TL/Tipo di luce MTS_DR/Distanza ripresa

0,30 m radente n째 2 Bowens 1500 Flash con parabola 2,90 m

area scala

Schema di ripresa

FVCF/Nome del file

UltimaCena_Boscoli_Rad

FVM/Cartella-Numero del cd o DVD FVCN_D/Descrizione

Fotografo

Giulia Nascimbeni

LRD/Data di ripresa

27-05-2014

LRE/Data di elaborazione

28-05-2014

FVCN/Note

FVCP/Software di elaborazione

FVCU/Pixel totali FVCM/Dimensione sensore

ColorChecker Passport Camera Raw Autopano Giga 3.0.3 Adobe Photoshop CS6 18187 x 12206 35 mm

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BIBLIOGRAFIA Pittori nelle Marche tra ‘500 e ‘600, Soprintendenza per i Beni artistici e storici delle Marche Azienda autonoma di soggiorno e turismo accademia Raffaello, Urbino Bonita Clerici, Simone de Magistris un interprete del suo tempo, in Simone de Magistris e i pittori di Caldarola, a cura di Pietro Zampetti, pp. 63-67 Pietro Zampetti, Simone de Magistris, Una ricerca sulla pittura marchigiana nella seconda metà del sec. xvi, in Simone de Magistris e i pittori di Caldarola, a cura di Pietro Zampetti, pp. 17-25 aa. vv.,

Maria Rosaria Valazzi, Andrea Boscoli in Restauri e acquisti a Urbino e per le Marche, Catalogo N° 6 Maria Giannatiempo Lòpez, Andrea Lilli in Restauri e acquisti a Urbino e per le Marche, Catalogo N° 6 Maria Giannatiempo Lòpez, Andrea Lilli in Acqisti donazioni restauri, Catalogo N° 8 aa. vv.,

Andrea Lilli nella pittura delle Marche tra Cinquecento e Seicento, Multigrafica Editrice, Roma 1985

Guida al recupero, ricomposizione e restauro di dipinti murali in frammenti, Ministero per i beni e le attività culturali, Istituto centrale per il restauro, 2001, Pagg. 102-109 G. Barucca, La luce e il mistero: la Madonna di Senigallia nella sua città, Il Lavoro Editoriale 2011, Pagg. 97-151 M. Cardinali, M. B. De Ruggeri, C. Falcucci, Diagnostica artistica. Tracce materiali per la storia dell’arte e per la conservazione, Palombi Editori 2007, Pagg. 95-119 aa. vv.,

Martina Agostini, La fotografia per il restauro, 2013 Stefano Ciocchetti, Museo Palazzo Ricci, 2014 Ansel Adams, La fotocamera, Zanichelli, Bologna, 1989 SITOGRAFIA: http:// www.treccani.it/enciclopedia/simone-de-magistris http://artimarche.beniculturali.it/index.php/galleria-nazionale-delle-marche http://www.palazzoducaleurbino.it/ http://guide.travelitalia.com/it/guide/urbino/palazzo-ducale-urbino/

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