Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale Sperimentazione nell’utilizzo di Blender sulle Aree Protette del Po e della Collina Torinese
Candidato Giulio Donati Sarti Relatore Gabriele Garnero Corso di Laurea LM in Geografia e Scienze Territoriali Anno Accademico 2020 - 2021
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale Sperimentazione nell’utilizzo di Blender sulle Aree Protette del Po e della Collina Torinese
Candidato Giulio Donati Sarti Relatore Gabriele Garnero Corso di Laurea LM in Geografia e Scienze Territoriali Anno Accademico 2020 - 2021
Sommario Abstract
ix
Abstract
xi
Introduzione
xiii
Definizioni e concetti teorici fondamentali Cartografia 3D
1
Definizioni di cartografia 3D
1
Premessa terminologica - Cartografia 3D e termini correlati
2
Vista a volo d’uccello
3
Vista panoramica
3
Cartografia tridimensionale
3
Vista obliqua e vista prospettica
3
Scena
3
Cartografia come mezzo di comunicazione - L’ambiente tridimensionale
4
Caratteristiche degli elaborati cartografici
6
La scala
6
Le proiezioni cartografiche
7
I simboli
8
Esperienze significative e ambiti di applicazione
11
Viste a volo d’uccello - evoluzione storica
11
Viste panoramiche - evoluzione storica
18
Aspetti umani
27
Comunicazione e percezione degli oggetti spaziali
27
Aspetti tecnici
31
Processo di progettazione
31
Principi fondamentali
32
Aspetti della produzione cartografica 3D
32
Processo di progettazione della cartografia 3D
33
Fasi del processo di progettazione della cartografia 3D
35
Variabili progettuali e variabili grafiche
37
Variabili progettuali e variabili grafiche di modellazione del terreno
38
Variabili progettuali e variabili grafiche di pianificazione
41
Variabili progettuali e variabili grafiche di modellazione degli elementi cartografici
54
Variabili progettuali e variabili grafiche di simbolizzazione
55
Variabili progettuali e variabili grafiche di visualizzazione
66
Sperimentazione nell’utilizzo di Blender per la rappresentazione delle Aree Protette del Po e della Collina Torinese 76 Introduzione
77
Obiettivi della ricerca
77
Blender
78
Area di studio
80
Processo di progettazione degli elaborati
83
Vista d’insieme delle Aree Protette del Po e della Collina Torinese
83
Modellazione del terreno
83
Pianificazione della scena
85
Modellazione degli elementi cartografici
91
Simbolizzazione
93
Visualizzazione
98
Vista del Parco Naturale della Collina di Superga
101
Modellazione del terreno
101
Pianificazione della scena
102
Modellazione degli elementi cartografici
105
Simbolizzazione
107
Visualizzazione
112
Conclusioni e prospettive future
115
Bibliografia
119
vi
Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Abstract La cartografia tridimensionale (3D) sta riscoprendo una notevole popolarità nell’ultimo decennio. Lo sviluppo tecnologico ha infatti dato la possibilità a tutti i cartografi di realizzare questi elaborati, riducendo il tempo e le capacità artistiche necessari. Tuttavia la conoscenza relativa alla progettazione delle mappe 3D è generalmente carente nella comunità cartografica. Solamente in un numero ristretto di ricerche sono stati trattati i principi da seguire per questo tipo di rappresentazione. La presente tesi ha lo scopo di fornire una visione, il più completa possibile, dello stato dell’arte della cartografia 3D. L’oggetto di studio su cui ci si è concentrati sono le mappe 3D statiche, sia in formato digitale che cartaceo. Sono stati analizzati in principio i termini legati alla cartografia 3D, in modo da predisporre le conoscenze di base necessarie per affrontare il tema. Attraverso lo studio dell’evoluzione storica delle viste prospettiche e del loro utilizzo, si sono approfondite le tecniche sviluppate nei secoli dagli artisti ed il contesto in cui queste venivano usate. Fino al XVIII secolo tali viste prospettiche sono state i mezzi di comunicazione cartografica prevalenti, successivamente sostituiti dagli elaborati cartografici tradizionali realizzati con la proiezione ortogonale. Durante lo studio si è evidenziata la presenza di due fattori limitanti, che hanno ostacolato la diffusione dell’utilizzo delle viste prospettiche: (i) l’indispensabile capacità artistica e (ii) l’elevata quantità di lavoro richiesta. Con lo sviluppo di strumenti informatici più performanti, verso la fine del XX secolo, la rappresentazione cartografica 3D ha riscoperto una sempre maggiore popolarità. In questo elaborato si sono approfondite le tecniche utilizzate dagli artisti per realizzare le viste prospettiche e si sono analizzati i fattori che entrano in gioco in ogni fase del processo. Le evidenze emerse sono state utili per delineare le linee guida relative all’impiego dei suddetti fattori e per sviluppare una nuova metodologia volta alla creazione di elaborati cartografici 3D digitali. Questa metodologia è stata sperimentata per la rappresentazione delle Aree Protette del Po e della Collina Torinese per mezzo del software Blender. Nello specifico sono state descritte le tecniche sviluppate per realizzare due elaborati cartografici 3D. Le principali riguardano i seguenti temi: (i) generalizzazione verticale, orizzontale e locale del terreno, (ii) esagerazione locale del terreno, (iii) simbolizzazione dei dati relativi all’uso ed alla copertura del suolo, (iv) simbolizzazione delle informazioni tematiche, (v) generazione automatica delle etichette attraverso un codice Python, (vi) simbolizzazione delle aree coperte da vegetazione arborea con l’ausilio di immagini o modelli 3D e (vii) realizzazione della proiezione progressiva della scena. Con il presente studio ci si auspica di stimolare l’interesse della ricerca verso la rappresentazione cartografica 3D, poiché in futuro tale approfondimento permetterebbe di realizzare elaborati sempre più comunicativi ed innovativi.
Abstract Three-dimensional (3D) cartography has rediscovered considerable popularity in the last decade. Technological development has in fact made it possible for all cartographers to produce these maps, reducing the time and artistic skills required. However, knowledge about 3D map design is generally lacking in the cartographic community. Only a small number of studies have investigated the principles to be followed for this type of representation. The aim of this thesis is to provide a view, as complete as possible, of the state of the art of 3D cartography. The focus of the study is on static 3D maps, both in digital and paper format. In the beginning, the terms related to 3D cartography were analysed in order to prepare the basic knowledge needed to deal with the topic. Through the study of the historical evolution of perspective views and their use, the techniques developed over the centuries by artists and the context in which they were used were explored. Until the 18th century, these perspective views were the prevalent methods of cartographic communication, which were later replaced by traditional cartographic drawings made using orthogonal projection. Two limiting factors were identified during the study, which hindered the widespread use of perspective views: (i) the indispensable artistic ability and (ii) the high amount of work required. With the development of more powerful computer tools, towards the end of the 20th century, 3D cartographic representation became increasingly popular.
This paper investigated the techniques used by artists to create perspective views
and analysed the factors that come into effect at each stage of the process. The findings were useful in outlining guidelines for the use of these factors and in developing a new methodology for the creation of digital 3D cartographic works. This methodology was tested for the representation of the Protected Areas of Po and Collina Torinese through the use of Blender. Specifically, the techniques developed to produce two 3D cartographic outputs were described. The main ones concern the following topics: (i) vertical, horizontal and local terrain generalisation, (ii) local terrain exaggeration, (iii) symbolisation of land use and land cover data, (iv) symbolisation of thematic information, (v) automatic generation of labels through a Python code, (vi) symbolisation of areas covered by trees using 3D images or models, and (vii) creation of the progressive projection of the scene. It is hoped that this study will stimulate the interest of research in 3D cartographic representation, as in the future this will allow for more communicative and innovative work.
Introduzione La cartografia tridimensionale (3D) può essere definita come una rappresentazione cartografica prospettica degli elementi che insistono sullo spazio geografico, creata con l’ausilio di uno o più software (vedi Capitolo 1.1 - Cartografia 3D). Questo tipo di rappresentazione ha un’origine lontana nella storia (vedi Capitolo 1.2 - Esperienze significative ed ambiti di applicazione). Dal ‘500 le viste a volo d’uccello sono diventate i mezzi di comunicazione più usati per rappresentare lo spazio urbano (Stroffolino, 2012). Nel XVIII secolo l’uso di tali viste per scopi militari ed amministrativi viene soppiantato dalle mappe tradizionali (Evans, 2011). Tuttavia, grazie alla loro capacità di evidenziare l’aspetto degli insediamenti urbani, continuarono ad essere utilizzate come mezzi per esaltarne i cambiamenti (Hodgkiss, 1973; Corboz, 1994). La richiesta di viste panoramiche raffiguranti aree naturali, d’altronde, aumentò molto a fine XVIII secolo (Wood, 2001). La loro capacità di comunicare in maniera immediata e, allo stesso tempo, affascinante le relazioni spaziali le ha rese il tipo di rappresentazione prediletto per la promozione turistica (Wood & McCrorie, 1993; Patterson, 2000; Hell, 2001). Entrambe le suddette tipologie di rappresentazione prospettica sono tornate in uso negli ultimi anni. Questa tendenza può essere ricondotta a due fattori principali: (i) l’innovazione tecnologica e (ii) la crescita del settore turistico. L’avanzamento nel campo della tecnologia è stato fondamentale poiché ha fornito gli strumenti per la nascita della cartografia 3D. Infatti, le viste prospettiche iniziarono ad essere realizzate sulla base di informazioni geometriche spazialmente riferite e non più su schizzi planimetrici. Inoltre, l’uso dei computer ha reso accessibile la realizzazione di questi elaborati anche a persone senza spiccate capacità artistiche, riducendo notevolmente il tempo di realizzazione. Il secondo impulso che ha portato all’aumento della richiesta di viste cartografiche oblique è legato al settore turistico (Patterson, 2005; Warnaby, 2012). La crescita di tale settore (WTTC, 2020) ha spinto attori pubblici e privati a concentrarsi sulla creazione e sulla comunicazione di una propria immagine positiva, anche con l’ausilio della cartografia, intesa come rappresentazione grafica del milieu (Kraak, 1988). Nello specifico l’utilizzo di viste 3D ha permesso di veicolare efficacemente il messaggio, grazie alla loro facilità di comprensione e alla loro attrattività (Vedi Capitolo 1.3 - Aspetti umani) (Wood & McCrorie, 1993; Preppernau & Jenny, 2015; Atoyan & German, 2017). Nonostante l’aumento della richiesta degli elaborati cartografici 3D, questi non risultano comunque essere largamente diffusi; tale tendenza sembra dipendere da due fattori limitanti. In primis lo studio relativo ai principi da seguire nella produzione delle mappe 3D è circoscritto ad un numero limitato di ricerche (Patterson, 1999; Terribilini, 2001; Häberling, 2003; Patterson, 2005). Con la presente tesi si è cercato, quindi, di implementare tali studi
(vedi Capitolo 1.4 - Aspetti tecnici), andando ad approfondire: (i) gli aspetti relativi al processo di progettazione e (ii) le variabili progettuali e grafiche. Si è sviluppato un nuovo processo per la creazione delle mappe 3D, schematizzabile nelle seguenti fasi: (i) modellazione del terreno, (ii) pianificazione della scena, (iii) modellazione degli elementi cartografici, (iv) simbolizzazione e (v) visualizzazione. Ognuna di queste fasi è caratterizzata da una serie di variabili, che possono essere sia uguali sia sostanzialmente diverse da quelle della cartografia tradizionale (Patterson, 1999; Terribilini, 2001; Häberling, 2003; Patterson, 2005). Il secondo fattore limitante è legato proprio all’aspetto tecnologico. La realizzazione delle mappe 3D continua a non essere un processo facile, nonostante i recenti miglioramenti tecnologici. Infatti, una delle difficoltà principali risiede sicuramente nella necessità di conoscere, saper utilizzare, e integrare gli strumenti specifici di numerosi software (Patterson, 1999). Tra questi risultano indispensabili: (i) GISs, necessari per la pre-elaborazione dei dati spazialmente riferiti, (ii) applicazioni di grafica 3D, per la realizzazione del modello 3D, (iii) software di grafica digitale raster, per ritoccare l’aspetto finale della scena e (iv) programmi di grafica digitale vettoriale, per aggiungere simboli vettoriali ed elementi testuali. A ciò si aggiunge il problema economico, dovuto al notevole costo delle licenze. Questa problematica interessa soprattutto le applicazioni di modellazione 3D, dato il loro limitato utilizzo negli uffici che si occupano di cartografia e analisi GIS. Per questo motivo si è ritenuto interessante sperimentare l’utilizzo del software open-source Blender. Negli ultimi anni, grazie ad una community molto attiva ed un numero di sponsorizzazioni in forte crescita (Blender, 2020a), Blender si è affermato come un programma di largo utilizzo per la visualizzazione 3D in ambito scientifico (Kent, 2015). Con lo sviluppo dell’estensione BlenderGIS1 è stata resa possibile la lettura dei geodati all’interno del software. Questa possibilità è stata sfruttata soprattutto per creare hillshades maggiormente realistici per la cartografia tradizionale (Hite, 2014, 2019; Huffman, 2014, 2019; Atwood, 2019a, 2019b, 2020). Solo in limitati casi è stata trattata la realizzazione di viste 3D con questa nuova estensione (Mandolesi, 2020; Powell, 2020a, 2020b). Per questo motivo, in questa tesi, si è esami� nata più nel dettaglio la potenzialità di Blender nella realizzazione delle mappe 3D, testando congiuntamente anche l’efficacia del processo di progettazione sviluppato. A questo scopo sono state realizzate due viste 3D, rappresentati le Aree Protette del Po e della Collina Torinese, i cui passaggi sono descritti nel Capitolo 2.1. La loro realizzazione ha permesso di delineare alcune tecniche riproducibili attraverso gli strumenti forniti da Blender.
1 github.com/domlysz/BlenderGIS
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Sezione Prima Definizioni e concetti teorici fondamentali
CAPITOLO 1.1
CARTOGRAFIA 3D Nel presente capitolo si affronterà il concetto di cartografia tridimensionale (3D), andando ad illustrare le proprietà principali che un elaborato cartografico 3D deve avere per essere definito tale. Per raggiungere questo obiettivo verranno analizzate, in parallelo, le caratteristiche della cartografia tradizionale e di quella 3D. In particolare, si approfondirà l’idea di cartografia come mezzo di comunicazione e di come la visualizzazione 3D incida sulla comunicazione dello spazio. In seguito, si valuterà in che modo le proprietà fondamentali della cartografia tradizionale variano se applicate all’ambiente 3D. Attraverso questo percorso strutturato, quindi, si cercheranno di mettere in luce similitudini e differenze che intercorrono tra i due tipi di rappresentazione cartografica. Prima di entrare nel merito di questi argomenti (i) saranno riportate alcune delle più accreditate definizioni di “cartografia 3D” e (ii) verrà illustrato il significato dei termini chiave di questo elaborato.
1.1.1
Definizioni di cartografia 3D Il termine “cartografia” o “mappa” ha moltissime definizioni. Questo si evince in modo chiaro dalla ricerca condotta da John Andrews (1996), il quale ha raccolto 321 definizioni di “mappa” trovate in dizionari, glossari, enciclopedie, libri di testo, monografie e riviste scientifiche. Nonostante la relativamente recente (ri) scoperta della visualizzazione cartografica 3D, anche in quest’ambito sono state sviluppate diverse definizioni di “cartografia 3D” o “mappa 3D”. Con lo scopo di fare una panoramica sui diversi approcci, ed anche sul cambiamento di significato che il termine ha avuto nel tempo, di seguito sono elencate alcune definizioni di cartografia 3D:
• rappresentazione prospettica di superfici statistiche o topografiche come se fossero viste dallo spazio (Jenks & Brown, 1966); • rappresentazione grafica del milieu1 contenente stimoli che fanno percepire all’utente della mappa il suo contenuto tridimensionale (Kraak, 1988); • rappresentazione virtuale, tridimensionale, generata con il computer e definita matematicamente, della superficie terrestre, degli oggetti e dei fenomeni della natura e della società (Bandrova, 2001);
1 Robinson & Petchenik (1976) nel loro libro Nature of maps definiscono la mappa come una rappresentazione grafica del milieu.
• prodotto che integra e rappresenta i fenomeni sul modello digitale del terreno secondo le convenzioni di simbolizzazione e di generalizzazione cartografica, permettendo la percezione del paesaggio in modo prospettico tridimensionale, anche quando il supporto usato è bidimensionale (Häberling, 2002); • rappresentazione del terreno con una finta tridimensionalità, avente una prospettiva che diminuisce la scala delle aree lontane (Schobesberger & Patterson, 2007); • vista prospettica, generata con il computer, contenente oggetti topografici o tematici georeferenziati, generalizzati e simbolizzati (Häeberling, 2008); • rappresentazione cartografica vista obliquamente e percepita tridimensionalmente (Jenny et al., 2010).
Da queste definizioni si osserva come alla cartografia 3D siano stati affidati ambiti di rappresentazione più o meno ampi: dai dati statistici, alle informazioni topografiche fino ad arrivare a oggetti, fenomeni ed addirittura il milieu. L’aumento degli ambiti di utilizzo degli elaborati cartografici 3D tende ad accrescere notevolmente con il continuo progresso tecnologico. Questo ha portato a un forte aumento di interesse nella materia, osservabile anche dalla densità di definizioni emerse negli ultimi decenni. Nonostante il progressivo aumento delle finalità della disciplina, possiamo constatare che, generalmente, la cartografia 3D viene definita come: una rappresentazione cartografica prospettica, creata digitalmente, riproducibile anche su un mezzo bidimensionale. La visualizzazione 3D avviene quindi tramite stimoli che fanno percepire la tridimensionalità. Inoltre, i principi e le tecniche di simbolizzazione e di generalizzazione propri della cartografia 2D risultano centrali anche nella rappresentazione 3D.
1.1.2
Premessa terminologica - Cartografia 3D e termini correlati In questa tesi si tratterà della cartografia 3D, intesa come la rappresentazione tridimensionale delle geometrie dello spazio geografico attraverso l’uso di uno o più software. Il presente lavoro esaminerà il tema della realizzazione delle mappe 3D, in formato digitale o cartaceo, soffermandosi sulla creazione di elaborati statici. I termini “cartografia tradizionale” e “cartografia 2D” saranno usati per identificare i prodotti cartografici convenzionali, realizzati tramite la proiezione ortogonale. Dato che le rappresentazioni tridimensionali dell’ambiente geografico vengono identificate con diversi termini, risulta necessaria una prima precisazione sull’uso che ne verrà fatto nel presente testo. Secondo Tom Patterson (2005) le espressioni più comunemente usate per riferirsi alle viste oblique sono: vista a volo d’uccello, vista panoramica, vista obliqua, vista prospettica, vista tridimensionale e scena. Tutti questi sono appropriati, ma osservando l’uso che ne è stato fatto nel passato è possibile, e preferibile, fare alcune precisazioni.
2
Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Vista a volo d’uccello L’espressione “vista a volo d’uccello” è stata coniata circa nel 1600 (vedi Capitolo 1.2) per identificare le viste dall’alto, con un’angolazione obliqua, che hanno come soggetto principale l’ambiente costruito (Patterson, 2005). Sebbene non siano generalmente realizzate in scala, mostrano in prospettiva i tracciati delle strade, i singoli edifici e le principali caratteristiche del paesaggio urbano e limitrofo. Solitamente, data l’estensione limitata dell’area rappresentata, non tengono conto della curvatura della superficie terrestre (Jenny, 2011). Inoltre, in alcuni testi il termine “volo d’uccello” viene usato per riferirsi a viste, anche di aree extraurbane, realizzate da un punto situato nel cielo e non sulla superficie terrestre. Vista panoramica Il termine “vista panoramica” è stato storicamente associato alle viste oblique che pongono enfasi sull’ambiente naturale o semi-naturale. Come le viste a volo d’uccello anche le viste panoramiche sono state tradizionalmente create da pittori (Patterson, 2000), i quali, rappresentando in modo realistico il paesaggio, pongono molta attenzione alla geografia, cercando di rendere riconoscibili gli elementi paesaggistici (Slocum et al., 2013). Nelle viste panoramiche la curvatura terrestre è spesso enfatizzata per suggestionare l’osservatore. Cartografia tridimensionale Con “cartografia 3D” o “mappa 3D” si identificano le rappresentazioni oblique dell’ambiente geografico, con le sue caratteristiche tridimensionali, derivate da informazioni geometriche spazialmente riferite. I suddetti termini sono adatti per indicare una vista prospettica dove le informazioni sono generalizzate e dove l’aspetto grafico degli oggetti è classificato ed è riferito a una legenda (Häberling, 1999). A causa della difficoltà nel rappresentare tali informazioni in modo analogico, la cartografia 3D non è stata realizzabile nell’era pre-digitale (Patterson, 2000). Le mappe 3D possono essere statiche o permettere all’utente la navigazione e l’interazione con lo spazio geografico virtuale. Inoltre, possono essere sia presentate tramite mezzi di comunicazione 2D, ma percepite come 3D (pseudo-3D), sia in modo da creare una reale visione stereoscopica (true-3D). Vista obliqua e vista prospettica I termini “vista prospettica” e “vista obliqua” sono entrambi usati sia per identificare elaborati basati su informazioni metriche - come la cartografia 3D - sia per elaborati più astratti - come le viste a volo d’uccello e le viste panoramiche -, poiché identificano la modalità di visualizzazione più che il livello di accuratezza delle informazioni. Scena Quando si parla di “scena” si identifica la porzione di spazio, e tutti gli elementi presenti in essa, che viene riprodotta nell’elaborato, indifferentemente che questi siano stata rilevati con strumenti per il rilievo metrico o meno.
Cap. 1.1 - Cartografia 3D
3
1.1.3
Cartografia come mezzo di comunicazione - L’ambiente tridimensionale I cartografi hanno visioni diverse su cosa è la cartografia. Le differenti definizioni sono spesso influenzate dalle tendenze della società (Kraak & Fabrikant, 2017) o dal background culturale e dal tipo di interessi personali. Alcuni cartografi si concentrano più sull’aspetto tecnologico della produzione cartografica, altri sulla parte geometrica e altri ancora sul lato artistico. Ormeling (1982) ha cercato di fare chiarezza su questa varietà di definizioni, identificando quattro macro-scuole di pensiero che sono emerse nella seconda metà del XX secolo, le quali vedono rispettivamente la cartografia come: (i) scienza della comunicazione, (ii) parte della semiologia, (iii) scienza formale e (iv) scienza cognitiva. Nel primo approccio la cartografia è vista come un mezzo per trasferire informazioni spaziali. Nella seconda scuola di pensiero la cartografia è presentata come scienza dei sistemi di segni, focalizzandosi sulle interrelazioni tra i simboli e la loro posizione sull’immagine. La terza prospettiva vede la cartografia come la scienza della logica e della metodologia, in questo ambito il cartografo ha il ruolo di stabilire correttamente metodi e regole per rappresentare i dati spaziali. L’ultima tesi è quella che vede la cartografia come il mezzo per lo studio della geografia attraverso la modellazione dello spazio. Possiamo tuttavia asserire che ciascuno di questi approcci è correlato tra di loro e che essi sono tutti estremamente fondamentali all’interno della scienza cartografica. La validità di ciascuno dei precedenti quattro orientamenti si evince dalla definizione di cartografia fornita dall’International Cartographic Association (ICA):
“[Cartography is] A unique facility for the creation and manipulation of visual or virtual representations of geospace – maps – to permit the exploration, analysis, understanding and communication of information about that space.” (ICA, 2003: p. 17) Questa definizione considera la cartografia, contemporaneamente, come una scienza della comunicazione (communication of information about that space), come parte della semiologia (visual or virtual representations of geospace), come scienza formale (facility) e come scienza cognitiva (to permit the exploration, analysis, understanding). Nella presente sezione si è ritenuto fondamentale analizzare la cartografia come scienza della comunicazione, approccio diventato predominante con l’avvento del computer. Dal 1960, infatti, la cartografia ha fondamentalmente cambiato significato: da essere intesa come la “scienza della produzione delle mappe” a “disciplina volta alla trasmissione di dati geospaziali attraverso le mappe” (Kraak & Ormeling, 2010). La cartografia è stata così inserita nel campo delle scienze della comunicazione. Questo si evince in modo chiaro dalla definizione di Arthur H. Robinson (1960), il quale nella seconda edizione del suo libro Elements of Cartography, fu uno dei primi a illustrare la cartografia come:
4
Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
“[...] scienza volta alla pianificazione concettuale ed alla progettazione della mappa come mezzo di comunicazione o di ricerca.”2 (p. v) La necessità dell’uomo di esprimersi ha portato, da sempre, allo sviluppo di diverse forme di rappresentazione del sapere. Le abilità di leggere e scrivere, individuate rispettivamente con le espressioni literacy e articulary, insieme all’abilità di comunicare attraverso l’uso dei numeri, identificata con il termine numeracy, sono le modalità di comunicazione fondamentali. Ci sono però alcune situazioni in cui queste competenze di base - identificate anche come Three Rs o semplicemente Rs - non risultano le più funzionali per evocare nella mente dell’interlocutore ciò che si vuole comunicare. Queste occasioni si verificano specialmente quando l’obiettivo è quello di descrivere le relazioni che intercorrono nello spazio. Infatti, se ammettiamo che il metodo di comunicazione più appropriato sia quello che riesce a semplificare meglio la trasmissione dell’informazione (Balchin & Coleman, 1966), la descrizione della configurazione spaziale di un quartiere risulta molto impegnativa con l’uso esclusivo delle Three Rs. L’impiego di metodi di comunicazione come il disegno, la fotografia o la cartografia facilitano la comunicazione di qualcosa che è lontano nel tempo o nello spazio (Patterson, 2005). Balchin e Coleman (1966) proposero il termine graphicacy, definendolo come l’abilità di comunicare, e comprendere, in modo efficace quelle relazioni che non possono essere espresse esclusivamente con un testo, un discorso o attraverso la notazione matematica. Gli strumenti visivi che fanno parte di tale modo di comunicare si estendono dalla pittura alla fotografia fino ai diagrammi ed alle planimetrie. La cartografia, intesa come la scienza che realizza e studia le mappe in tutti i loro aspetti, è estremamente funzionale alla comunicazione di analisi, idee e relazioni che avvengono nello spazio bi- e tridimensionale3 (Robinson et al., 1995). La cartografia si è evoluta in stretta connessione con l’arte della pittura, innescando una forma di dialogo creativo (Rees, 1980) e dato che rappresenta l’ambiente in modo tecnico attraverso l’ausilio di segni grafici, la cartografia si posiziona all’intersezione tra la sfera della scienza e quella dell’arte. Possiamo quindi definire la cartografia come la scienza volta alla rappresentazione ed alla comunicazione dell’ambiente geografico tramite i segni grafici. La cartografia 3D svolge la stessa funzione della cartografia tradizionale, andando però a ritrarre le geometrie che insistono sullo spazio con l’ausilio delle tre dimensioni. In questo modo si rende possibile la comunicazione delle relazioni volumetriche che intercorrono tra gli elementi spaziali. Riprendendo l’esempio precedentemente descritto, la comunicazione della configurazione di un quartiere tramite la cartografia 3D rende visualizzabili, e quindi confrontabili, le dimensioni verticali degli elementi che compongono l’ambiente urbano (es. immobili e vege2 Traduzione dell’autore. 3 Liqiu (2005) individua due tipi di mappe tradizionali: (i) descrittive, volte a trasferire le conoscenze dal cartografo all’utente ed (ii) esplorative, le quali servono a confermare o generare ipotesi, facendo emergere concetti non facilmente visibili. Cap. 1.1 - Cartografia 3D
5
tazione), fornendo anche la possibilità di comunicare le caratteristiche presenti nelle superfici perpendicolari al terreno (es. finestre e porte) (Patterson, 2005). Al di fuori dell’ambiente urbano la cartografia 3D facilita la visualizzazione e la comprensione dei rapporti morfologici presenti nello spazio. Infatti, soprattutto per la popolazione non abituata a leggere le carte topografiche, la comprensione della morfologia del paesaggio attraverso i segni della cartografia tradizionale (es. isoipse, punti quotati e shaded reliefs) non genera una mappa virtuale4 realistica (Häeberling, 1999; Schobesberger & Patterson, 2007). La cartografia 3D offre quindi una forma di educazione spaziale sui rapporti tra montagne, crinali e valli (Wood, 2001).
Paragrafo 1.1.4
Caratteristiche degli elaborati cartografici La cartografia è un modello della realtà che fornisce informazioni riguardanti i fenomeni spaziali. Per comunicare tali dati i cartografi utilizzano delle tecniche che portano inevitabilmente alla distorsione della realtà. L’alterazione dell’ambiente geografico reale è, infatti, imprescindibile dal momento in cui si vuole rappresentare il mondo tridimensionale su un supporto facilmente maneggevole dagli utenti. Mark Monmonier (1996) nel suo classico How to Lie With Maps, identifica tre caratteristiche fondamentali degli elaborati cartografici: (i) scala, (ii) proiezione e (iii) simbolizzazione. Ciascuno di questi elementi fornisce delle potenzialità e contemporaneamente delle limitazioni sia per la cartografia tradizionale che per la cartografia 3D. Nel campo della cartografia tradizionale queste caratteristiche sono state ampiamente studiate, tuttavia non sono ancora state approfondite nell’ambito della cartografia 3D. La scala La scala è la relazione dimensionale che intercorre tra la realtà e la mappa. Viene usata per convertire una misurazione effettuata sull’elaborato in una stima della distanza reale sul terreno (Robinson et al., 1995). Nella cartografia tradizionale, generalmente, il rapporto di scala non varia all’interno dell’elaborato cartografico: una misura presa nella parte centrale della carta equivale a una misura rilevata vicino al bordo. Tuttavia, questo non è sempre vero, infatti se prendiamo come esempio una cartografia a piccola scala (1:250 000 o inferiore), il rapporto di scala sarà valido solamente in prossimità della standard line5. Nelle viste prospettiche l’uso del rapporto di scala, per misurare la distanza equivalente nella realtà, non è possibile, se non in modo approssimativo in una determinata porzione della scena. Infatti, all’interno di una vista 3D la prospettiva porta non solo la scala a diminuire
4 Kraak (1988) identifica le mappe mentali come “mappe virtuali” e ne distingue due tipi: (i) la mappa che si forma sulla base della conoscenza personale e sulla percezione dell’ambiente quando, per esempio, si ripercorre mentalmente un percorso da “A” a “B” e (ii) l’immagine che risulta dall’interpretazione di una mappa. 5 Linea di tangenza tra la superficie di sviluppo ed il globo terrestre.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
continuamente verso le aree di sfondo, ma anche a cambiare in modo ininterrotto anche sul piano verticale che su quello orizzontale. Pertanto, le misurazioni su questi elaborati possono essere effettuate solo in maniera approssimativa . La variazione della scala può rendere la cartografia 3D poco scientifica agli occhi di alcuni cartografi. Tuttavia, nel mondo cartografico, è sempre più riconosciuto che le viste panoramiche riescano a far comprendere più facilmente le informazioni, proprio perché sono meno astratte e più simili alla realtà rispetto alle mappe tradizionali (Schobesberger, 2007) (vedi Capitolo 1.3 - Comunicazione e percezione degli oggetti spaziali). In letteratura, inoltre, alcuni studi che hanno dimostrato che le persone riescono a identificare le distanze nelle viste 3D con la stessa accuratezza verificata nelle rappresentazioni cartografiche classiche (Wood et al., 2007; Seipel, 2013). Le proiezioni cartografiche Le proiezioni cartografiche vengono utilizzate per trasformare la superficie 3D della terra in un piano bidimensionale (2D). I metodi di proiezione utilizzati nella cartografia tradizionale non permettono quasi mai la visualizzazione 3D dell’ambiente geografico. Infatti, dato che storicamente le principali funzioni della cartografia erano quelle di navigazione, d’ingegneria e catastali, venivano utilizzate quasi esclusivamente le proiezioni che facilitano la rappresentazione e la misurazione accurata di direzioni, distanze ed aree (Ward, 1979). Solamente alcune proiezioni cercano di preservare le tridimensionalità della terra (Kraak, 1988). Queste proiezioni sono quelle che simulano la vista della terra dallo spazio, dando modo al cartografo di rappresentare la curvatura terrestre (Snyder, 1981). Tra queste possiamo menzionare: General Perspective Projection, General Vertical Perspective e Tilted Perspective Projection (Snyder, 1989). Attraverso queste proiezioni, applicando al modello del terreno un notevole valore di esagerazione verticale, si rendono visibili lateralmente i versanti dei promontori, dando un effetto di tridimensionalità alla mappa (Jenny et al., 2010). Secondo George F. Jenks & Dwight A. Brown (1966) la cartografia 3D è il risultato di un processo di costruzione che ha origine dalla mappa planimetrica, la quale viene trasformata da una prospettiva angolare ed infine estrusa sull’asse verticale. La scelta della proiezione cartografica da utilizzare per un determinato progetto deve essere quindi svolta sulla base delle indicazioni della cartografia tradizionale (vedi Slocum et al., 2013). Nella cartografia 3D si aggiunge però la variabile del tipo di proiezione prospettica da usare per rappresentare il modello 3D su un piano 2D. La maggior parte delle immagini generate con metodi di grafica computerizzata utilizzano la proiezione prospettica centrale o parallela (Jenny et al. 2010); tuttavia sono state sviluppate nuove forme di proiezione che, quando applicate correttamente, riescono a comunicare efficacemente lo spazio geografico (vedi Capitolo 2.4 - Variabili progettuali e variabili grafiche). Il tipo di proiezione, infatti, influisce sulle distorsioni che si vengono a creare nell’elaborato e deve quindi essere scelta ad hoc a seconda dell’obiettivo. Per fare un esempio, la proiezione prospettica centrale porta gli oggetti aventi la stessa dimensione nella realtà a essere più grandi in primo piano e più piccoli - se non impercettibili - sullo sfondo. Usando la proiezione prospettica paralCap. 1.1 - Cartografia 3D
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lela, invece, gli oggetti mantengono la stessa dimensione indipendentemente dalla distanza dall’osservatore, permettendo così una comparazione più facile delle dimensioni. I simboli I simboli grafici sono l’ultimo elemento della triade che, insieme alla scala ed alle proiezioni, costituisce qualunque elaborato cartografico. Attraverso l’uso dei simboli si rende possibile la visualizzazione degli elementi e dei fenomeni che insistono sullo spazio geografico. I simboli grafici di base, nella cartografia tradizionale, sono le primitive geometriche: (i) punto, (ii) linea e (iii) area. Nella scelta del simbolo da utilizzare, e quindi nella determinazione della dimensione spaziale di un fenomeno, la scala della mappa gioca un ruolo chiave (Slocum et al, 2013). Per esempio, un corso idrico viene simbolizzato attraverso l’uso di una geometria areale nelle mappe a grande scala e con geometrie lineari in elaborati a media o piccola scala. A ciascun simbolo può inoltre essere attribuita una o più variabili visuali, descritte per la prima volta nel 1983 da Jacques Bertin. Bertin identifica sei variabili visuali indispensabili a comunicare fenomeni o processi geografici: (i) forma, (ii) dimensione, (iii) orientamento, (iv) colore, (v) luminosità e (vi) texture. Benché queste siano degli elementi fondamentali per la ricerca e la progettazione cartografica, variano notevolmente nella letteratura scientifica (Roth, 2017). Possiamo trovare sette variabili accettate da quasi tutti i cartografi: (i) forma, (ii) dimensione, (iii) orientamento, (iv) tonalità, (v) luminosità, (vi) saturazione e (vii) texture (Tyner, 2010). Secondo Kraak (1988), l’uso della terza dimensione nell’ambito cartografico provoca le maggiori conseguenze proprio nell’applicazione delle regole del sistema di segni grafici. Ciò non implica che le regole applicate nella cartografia tradizionale non siano valide nella rappresentazione 3D, ma piuttosto che entrano in gioco variabili aggiuntive. Mentre nella cartografia tradizionale i simboli grafici di base sono geometrie elementari che possono essere rappresentate sul piano, lavorando nello spazio 3D deve essere aggiunto un quarto elemento grafico di base: il volume (Hsu, 1979). Infatti, nonostante che nella cartografia 3D sono presenti anche simboli bidimensionali, volti alla rappresentazione di caratteristiche spaziali prive di proprietà volumetriche, i simboli 3D sono i più usati. Questi vengono posizionati sul modello del terreno per raffigurare elementi e fenomeni spaziali tramite geometrie più o meno realistiche. Petrovic (2003) individua cinque tipi di simboli che vengono usati nella cartografia 3D: (i) simboli geometrici 3D, (ii) simboli realistici 3D, (iii) simboli lineari 3D, (iv) simboli superficiali e (v) simboli volumetrici 3D. Il primo tipo di simbolo viene utilizzato per evidenziare particolari elementi o posizioni spaziali (es. il pin di Google Earth). Sia la sua dimensione che la forma variano a seconda dell’oggetto e del livello di dettaglio. L’uso dei simboli 3D realistici invece è consigliato specialmente per gli elementi naturali (es. vegetazione). I simboli lineari sono impiegati per oggetti che hanno una dimensione predominante e le altre per lo più fisse (es. strade). I simboli superficiali vengono usati quando gli elementi spaziali sono completamente distribuiti sul modello del terreno e non hanno caratteristiche volumetriche. L’ultimo tipo di simbolo è quello volumetrico, che rappresenta gli oggetti nella loro dimensione reale
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
ed è usato soprattutto per rappresentare l’edificato. Le variabili visuali, identificate da Jacques Bertin (2010) nel suo libro Semiology of Graphics, per la cartografia tradizionale devono essere applicate alla cartografia 3D con degli accorgimenti. Infatti, non è sempre possibile usare tali variabili visuali esclusivamente per identificare i differenti tipi di oggetti e le loro caratteristiche, dal momento in cui queste svolgono anche la funzione di “spunti di profondità” (Kraak, 1993) (vedi Capitolo 1.3 - Comunicazione e percezione degli oggetti spaziali). Kraak nel 1988 ha messo in evidenza questi legami tra le variabili visuali della cartografia tradizionale e gli spunti di profondità, individuando le seguenti relazioni: (i) dimensione e dimensione dell’immagine retinica, (ii) orientamento e prospettiva, (iii) colore ed effetto di chromostereopsis (Allen & Rubin, 1981), (iii) luminosità e ombreggiatura e (iv) texture e gradiente della texture. Nel primo caso l’uso della variabile della dimensione, che nella cartografia 2D viene impiegata per rappresentare fenomeni quantitativi, subisce delle distorsioni in ambiente 3D; poiché la dimensione degli oggetti viene usata per dare un’impressione di profondità all’immagine. Gli oggetti in primo piano, che nella realtà hanno la stessa dimensione degli oggetti nello sfondo della scena, vengono visualizzati più grandi, provocando possibili incomprensioni. La variabile dell’orientamento si riferisce alla direzione dei segni che compongono il simbolo - nel caso di simboli puntuali indica la direzione del simbolo stesso - viene usata soprattutto per rappresentare dati nominali. L’applicazione della prospettiva influenza le relazioni geometriche dei simboli, i quali si inclinano seguendo le linee prospettiche. L’uso del colore - inteso come risultato dell’applicazione di tonalità, luminosità e saturazione - è appropriato sia per fenomeni quantitativi che qualitativi6. Il colore viene anche usato come spunto di profondità, sfruttando l’illusione visiva che ci fa percepire i colori più o meno vicini in base alla lunghezza d’onda (Allen & Rubin, 1981). L’uso di alcune combinazioni di colore nella scena può disorientare l’osservatore, portandolo a confondere le relazioni spaziali tra gli elementi geografici. Il grado di luminosità dei colori viene usato nella cartografia 2D per rappresentare delle differenze all’interno della stessa categoria. Simboleggiando la variazione del grado di intensità o di quantità. In ambiente tridimensionale le variazioni di luminosità sono usate per fornire la sensazione di profondità e si parla quindi di ombreggiatura, dato che l’effetto è ottenuto dall’uso di una fonte di luce che illumina gli oggetti. La variazione del valore di luminosità a causa delle ombre proiettate dagli elementi della scena può provocare delle difficoltà nella comprensione di alcuni elementi della cartografia. Nella cartografia tradizionale la variabile grafica della texture - alle volte identificata anche come “spaziatura” (Slocum et al, 2013) - viene usata per identificare variazioni in termini quantitativi: texture più dense rappresentano un valore del dato più alto e viceversa.
6 Slocum et al (2013) specificano che le variazioni di tonalità sono adatte per i fenomeni qualitativi mentre la luminosità e la saturazione sono più idonee per far emergere differenze quantitative. Cap. 1.1 - Cartografia 3D
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Nella cartografia 3D le texture, a seguito degli effetti prospettici, vengono visualizzate più fini nella porzione di sfondo rispetto a quelle applicate a oggetti in primo piano. Questo va a creare dei problemi nella comunicazione delle informazioni tramite l’uso di questa variabile visuale.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
CAPITOLO 1.2
ESPERIENZE SIGNIFICATIVE E AMBITI DI APPLICAZIONE La rappresentazione prospettica del territorio, modalità maggiormente diffusa fino al XVIII secolo, è stata oggetto negli ultimi decenni di una riscoperta che può sembrare anacronistica. Tuttavia, alla base di questa tendenza vi si trova lo sviluppo informatico e tecnologico che ha permesso la realizzazione della cartografia 3D. Altro elemento fondamentale di questo rinnovato interesse è individuabile nello sviluppo del settore turistico. Nel presente capitolo si andrà a ripercorrere l’evoluzione storica della rappresentazione obliqua - sia a volo d’uccello sia panoramica - dello spazio geografico e, nel fare questo, si cercherà di mettere in risalto il rapporto tra gli elaborati cartografici 3D e il loro fine sociale, economico e politico.
1.2.1
Viste a volo d’uccello - evoluzione storica Le viste a volo d’uccello forniscono una visione più ampia del contesto urbano rispetto ad una mappa tradizionale, andando a soffermandosi più sull’aspetto artistico (es. vista prospettica degli edifici, delle persone e del paesaggio) che su quello tecnico (es. mancanza della scala) (Popescu & Ştefan-Gorîn, 2016). Tali rappresentazioni solitamente mostrano in modo idealizzato le città, presentandole sotto una luce positiva. Dal ‘500 la vista a volo d’uccello, grazie alla sua facilità di comprensione rispetto alle mappe tradizionali, risulta la tipologia iconografica prediletta per la rappresentazione degli spazi urbani (Stroffolino, 2012). In età medievale le cronache acquisiscono un particolare rilievo e in queste si trovano molto spesso illustrazioni di vedute delle città. Alcuni esempi possono essere (i) il Fasciculus temporum, l’opera di Werner Rolewinck realizzata nel 1480, dove è visibile la città di Cologne (Figura 1.2.1) e (ii) la vista di Roma disegnata da Jacopo Filippo Foresti all’interno di Supplementum chronicarum, pubblicato nel 1483 (Figura 1.2.2) (Schulz, 1978; Cabezos-Bernal & Cisneros-Vivó, 2015). Le prime rappresentazioni di questo tipo non sono realistiche ma schematizzate; tendono ad enfatizzare gli elementi più rappresentativi delle città medievali, come la cinta muraria circolare e gli edifici simbolo (es. chiese e palazzi civici), mentre gli altri prospetti sono generici (Nuti, 2010). Juergen Schulz (1978) chiama queste rappresentazioni “geografie moralizzate” per indicare il predominio, in esse, dell’interpretazione sull’informazione; il paesaggio urbano sottolinea la ricchezza ed il potere della città, le informazioni topografiche passano in secondo piano. La prima vista di città che comunemente viene considerata “moderna” è la Veduta della Catena di Firenze realizzata da Francesco Rosselli, tra il 1471 e il 1482 circa (Figura 1.2.3). L’opera è il primo tentativo di fondere l’osservazione diretta, il sistema prospettico e il con-
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Figura 1.2.1: Anonimo, Vista di Colonia. In Werner Rolevinck, Fasciculus temporum, Colonia, 1480. Fonte: commons.wikimedia.org
Figura 1.2.2: Jacopo Filippo Foresti, La città di Roma. In Jacopo Filippo Foresti, Supplementum chronicarum, Venezia, 1483. Fonte: freakonometrics.hypotheses.org
Figura 1.2.3: Francesco Rosselli, Veduta della Catena, ca. 1471-82
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Figura 1.2.4: Jacopo de’ Barbari, Venetie MD, 1500
trollo del corretto rapporto spaziale tra i punti di riferimento noti (Nuti, 1994). La vista, presa da un punto elevato e distante rispetto alla città, crea un campo spaziale continuo che permette di ospitare non solo gli edifici, ma anche le piazze e persino il tracciato delle strade in costruzione (Friedman, 2001). In questa opera Rosselli ha realizzato una serie di deformazioni in modo da: enfatizzare gli allineamenti degli edifici chiave, mostrare alcune facciate altrimenti non visibili e far apparire la città come un organismo geometricamente controllato (Nuti, 1994; Friedman, 2001; Nuti, 2010). Pochi anni dopo viene realizzata un’altra opera, fondamentale nella storia della rappresentazione obliqua della città: Venetie MD, realizzata da Jacopo de’ Barbari (Figura 1.2.4) (Nuti, 2010). L’opera, volta a sottolineare la ricchezza ed il potere di Venezia, ha una differenza sostanziale nell’impostazione del metodo di rappresentazione. Infatti, l’autore nella realizzazione applica una tecnica, spiegata da Piero della Francesca nel trattato De perspectiva pingendi, che permette di arrivare alla vista prospettica combinando la pianta e la sezione. In questo modo de’ Barbari riesce a riprodurre una vista della città nella sua totalità con l’ausilio di un punto di vista più alto di quello a cui gli esseri umani potevano in quel momento aspirare (Nuti, 1994). Nel 1500, secondo Lucia Nuti (2010), la ricerca di un moderno sistema di rappresentazione della città può considerarsi compiuta, con lo sviluppo della “pianta prospettica”. Tale tecnica si diffuse in tutta Europa e la produzione di queste viste prese piede nella seconda metà del ‘500. Un esempio può essere quello dell’artista fiammingo Anton van den Wyngaerde che, investito dall’incarico di Filippo II, disegna le viste di 62 città spagnole tra il 1562 e il 1570 (Figura 1.2.5) (Haverkamp-Begemann, 1969). Per le opere commissionate dal Re di Spagna, sovrano mosso dall’idea che il controllo visivo fosse importante quanto quello metrico per avere una documentazione sistematica del paese, l’artista usa una tecnica simile a quella sviluppata in Italia. Si notano però dei miglioramenti rispetto agli esempi precedenti, individuabili nella qualità dei dettagli e nel grado di realismo. Tuttavia, nonostante l’attento studio delle città rappresentate, l’autore, continua a idealizzare lo spazio urbano enfatizzandone la simmetria degli assi e della forma (Cabezos-Bernal & Cisneros-Vivó, 2015). Durante il XVII secolo questi tipi di viste sono continuate ad essere prodotte, principalCap. 1.2 - Esperienze significative e ambiti di applicazione
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Figura 1.2.5: Anton van den Wyngaerde, Vista di Valencia, 1563
mente per scopi militari ed amministrativi. La diffusione di strumenti, come la camera ottica e il pantografo, permettono una maggiore fedeltà delle rappresentazioni prospettiche e le vedute acquisiscono un carattere di oggettività (Micalizzi, 2011). Nel XVIII secolo si assiste al passaggio dalle vedute prospettiche alle vedute verticali, che può essere spiegata con la diffusione dei principi dell’illuminismo, dove la visione imprecisa e non oggettiva è soppiantata dalla visione accurata e oggettiva delle mappe tradizionali (Evans, 2011). Le vedute a volo d’uccello restano tuttavia visivamente più interessanti e riescono ad evidenziare maggiormente l’aspetto ed il carattere dell’insediamento (Hodgkiss, 1973). Per questo motivo, le viste oblique, nel XIX secolo vengono impiegate come mezzi per rafforzare l’orgoglio civico e le ambizioni future; le viste delle città dall’alto diventano ancora più realistiche ed enfatizzano la dinamicità dello spazio urbano attraverso la raffigurazione di pedoni e veicoli. Queste vedute restano ideologiche, come le precedenti, ma piuttosto che esaltare il carattere unico di ogni città (es. attraverso l’enfatizzazione degli edifici simbolo) esaltano la modernità e la superiorità della cultura urbana contemporanea (Corboz, 1994). Alfred Guesdon, architetto, incisore e litografo francese, è uno degli artisti più importanti di questa nuova corrente di rappresentazioni oblique della città. L’autore pone molta attenzione alla scelta dei punti di vista, in modo da mettere in risalto gli immobili industriali e rappresentativi della contemporaneità. L’uso di una prospettiva ad un orizzonte molto alto permette di raffigurare, oltre alla trama stradale e la tessitura dell’edificato, l’interno degli isolati (Orefice, 2011). Guesdon rappresenta le maggiori città della Francia, Italia, Spagna e Svizzera, enfatizzandone l’aspetto innovativo e dinamico attraverso la vista di grandi centri industriali e di mezzi di trasporto moderni, come le barche a vapore ed i treni. Un esempio si può trovare nella vista di Barcellona dove la stazione ed il porto dominano la scena mentre la città fa da sfondo (Figura 1.2.6). Tra il tardo XIX e l’inizio del XX secolo, si assiste all’età d’oro delle viste a volo d’uccello negli Stati Uniti ed in Canada (Patterson, 2005). La crescita urbana che ha investito gli
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Figura 1.2.6: Alfred Guesdon, Vista di Barcellona. In Alfred Guesdon, L Espagne a Vol D´Oiseau, Parigi, 1854
Figura 1.2.7: Henry Wellge, Vista di Norfolk, 1892
USA a seguito dell’industrializzazione ha dato un senso di vitalità e di orgoglio civico, che veniva comunicato anche attraverso le viste oblique delle città. Inoltre, le viste prospettiche sono state usate anche per promuovere la vendita di immobili, raffigurando le aree pianificate. La vista prodotta nel 1892 da Henry Wellge, commissionata della Pollard Brothers Real Estate, per esempio, rappresenta i nuovi cantieri a Norfolk, Virginia (Figura 1.2.7) (Library of Congress, 2012). Tra il 1825 ed il 1925 si stima che siano state create circa 5 000 viste a volo d’uccello rappresentati quasi 2 400 città degli Stati Uniti e del Canada (Patton et al, 2015; Hornsby, 2017). Gli autori più prolifici, e di successo, di questa corrente furono Thaddeus Mortimer Fowler, creatore di più di 400 viste, e Albert Ruger che realizzò 60 viste solamente nel 1869 (Hébert & Dempsey, 1984). Questi autori, per realizzare le viste a volo d’uccello, svolgevano un lavoro particolarmente dettagliato che si articolava in: (i) costruzione di una griglia prospettica per illustrare la maglia stradale, (ii) camminare nella città e disegnare le facciate degli edifici, gli alberi e altri elementi da rappresentare come se fossero visti da un’altezza di 600 - 900 metri
Cap. 1.2 - Esperienze significative e ambiti di applicazione
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e (iii) redazione della vista finale in laboratorio, dettagliando gli schizzi ottenuti sul campo (Library of Congress, 2012). Il crollo di Wall Street nel ‘29 e la successiva Grande depressione ha portato ad un calo della produzione industriale e, di conseguenza, anche delle vedute a volo d’uccello.
Nel dopoguerra Hermann Bollmann, artista e cartografo tedesco, realizza a intervalli
regolari delle viste prospettiche rappresentanti le città tedesche con lo scopo di documentarne la ricostruzione. Mentre questi disegni sono realizzati interamente a mano libera e senza l’ausilio di una prospettiva reale, negli anni ‘60 l’autore elaborò un nuovo metodo per produrre tali elaborati. La tecnica di Bollmann si basa sull’acquisizione di numerose foto sia dal piano stradale, con obiettivo grandangolare, sia aeree, con l’ausilio di camere speciali montate su un aeromobile leggero. In questo modo l’autore riusciva a produrre le sue viste oblique con notevole velocità. Il suo lavoro più conosciuto è la vista del centro di Manhattan realizzata nel 1962, in soli otto mesi, per l’Esposizione Universale di New York del 1964 (Figura 1.2.8). La realizzazione del disegno ha comportato la presa di 17 000 foto aeree e 50 000 foto dal suolo; queste ultime, secondo Bollmann, decisive per la qualità della rappresentazione. Successivamente gli scatti vengono usati come base per il disegno (Hodgkiss, 1973). Dato che la vista di Manhattan è stata realizzata con lo scopo di servire da guida per i visitatori dell’Esposizione Universale, l’angolo di presa è elevato (circa 60°), in modo da mostrare chiaramente la maglia stradale e l’altezza degli edifici esagerata (di circa la metà), in modo da mostrare meglio le facciate ed enfatizzare l’imponenza dei grattacieli.
Un’organizzazione che ha una solida storia nella creazione e nell’utilizzo delle viste
a volo d’uccello è il National Park Service (NPS) degli Stati Uniti. Il NPS usa questo tipo di rappresentazione per ritrarre i siti dei parchi dove gli edifici ed altri elementi antropici sono prevalenti, con lo scopo di promuovere il patrimonio culturale e storico. Dalla sua fondazione, nel 1970, la Harpers Ferry Center (HFC) - struttura responsabile della realizzazione di mezzi di comunicazione interessanti ed affascinanti per migliorare l’esperienza dei visitatori dei parchi statunitensi - ha commissionato circa 10 000 opere ad artisti e illustratori
Figura 1.2.8: Hermann Bollmann, Vista di Manhattan, 1962
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Figura 1.2.9: Greg Harlin, Oxon Hill Farm, Maryland, 2005
Figura 1.2.10: Chris Casady, Appomattox Court House, Virginia, 2004
(Patterson, 2005). Lo stile di queste rappresentazioni varia significativamente da prodotto a prodotto e vengono realizzare sia a mano che tramite mezzi digitali. Per la creazione delle viste a volo d’uccello dipinte i materiali di base sono: (i) fotografie aeree oblique e (ii) immagini aeree ortogonali drappeggiate sul DTM e viste obliquamente (Figura 1.2.9). La resa della vista avviene in tre fasi: (i) schizzo iniziale con la matita, (ii) schizzo finale con la matita e (iii) pittura dell’opera. L’intero processo può durare più di un anno (Patterson, 2005). Tuttavia, da qualche decennio, i prodotti del NPS vengono realizzati interamente con mezzi digitali, utilizzando software come: Adobe Illustrator, Adobe Photoshop, Bryce, Autodesk Maya e SketchUp (Figura 1.2.10). Questo passaggio, a detta di Tom Patterson1 (2005) si è rivelato una sfida difficile. Infatti, le applicazioni di grafica vettoriale come Adobe Illustrator non sono adatte per rappresentare le scene in modo artistico e realistico. L’uso
1 Tom Patterson è stato cartografo presso U.S. National Park Service, Harpers Ferry Center fino al 2018. Attualmente ricopre la posizione di direttore esecutivo della North American Cartographic Information Society (NACIS). Cap. 1.2 - Esperienze significative e ambiti di applicazione
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Figura 1.2.11: International Mapping, Weir Farm National Historic Site, Connecticut
congiunto di questa applicazione con software 3D è risultato necessario per introdurre nella rappresentazione elementi come luci soffuse, ombre leggere, corpi d’acqua riflettenti, foschia atmosferica e texture organiche (Figura 1.2.11). Patterson (2005) sottolinea come l’uso di questi software risulta molto complesso ed è necessaria molta esperienza per acquisire un certo livello di competenza. La creazione di una vista a volo d’uccello richiede la realizzazione, nel software 3D, di un modello virtuale accurato e dettagliato dell’intero sito. Per questo motivo la creazione di rappresentazione oblique complesse, viene realizzato dallo staff del NPS in collaborazione con artisti che si occupano di modellazione 3D (es. Chuck Carter e Chris Casady). Secondo Tom Patterson (2005) mentre un secolo fa è stata l’economia industriale a dare l’impulso per la produzione delle viste a volo d’uccello oggi è l’economia turistica a richiedere tali elaborati. La diffusione delle viste panoramiche delle località sciistiche, come vedremo nel paragrafo successivo, evidenziano questa tendenza. Inoltre, sempre più viste a volo d’uccello dei centri urbani vengono commissionate dalle amministrazioni pubbliche per stimolare l’interesse dei fruitori, evidenziando attrazioni turistiche e attività commerciali. Oggigiorno, grazie alla diffusione di piattaforme come Google Earth, le visualizzazioni 3D sono molto popolari. Questi modelli di dati consistono in immagini satellitari ad alta risoluzione distribuite su Digital Surface Model (DSM) a bassa risoluzione e forniscono la possibilità di attivare e disattivare ulteriori livelli (es. strade, fiumi, confini, toponimi) (Häberling, 2008). Il loro sviluppo ha delineato una delle più grandi innovazioni nella visualizzazione 3D dello spazio geografico, dando la possibilità di visualizzare, in qualsiasi direzione, centinaia di città nel mondo.
1.2.2
Viste panoramiche - evoluzione storica Le viste oblique nell’ambito della cartografia hanno una lunga storia e, nonostante oggigiorno l’uso delle mappe planimetriche sia predominante, fino a due secoli fa erano molto
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Figura 1.2.12: Leonardo da Vinci, Vista della Val di Chiana, ca. 1502
Figura 1.2.13: Leonardo da Vinci, Carta a volo d’uccello della Toscana occidentale, ca. 1503
comuni (Patterson, 2005). I primi cartografi disegnavano l’ambiente geografico così come lo vedevano, spesso rivelando la natura tridimensionale dello spazio urbano ed extraurbano. Probabilmente, uno dei più famosi autori di viste prospettiche è stato Leonardo da Vinci. Il suo dipinto del Valdarno, realizzato nel 1473, ma soprattutto la vista obliqua di Arezzo e della Val di Chiana (1502 circa) (Figura 1.2.12) e la vista del litorale toscano da Campiglia Marittima a Lucca (1503 circa) (Figura 1.2.13) sono, grazie al loro punto di vista elevato, degli esempi di rappresentazioni a metà strada tra un disegno del paesaggio e una mappa topografica. Difatti nonostante l’attenzione posta da Leonardo nel rappresentare le distanze in modo corretto le colline appaiono di profilo, così come le città fortificate site alla loro sommità. Sebbene le rappresentazioni di tipo panoramico siano state realizzate da ben prima nella storia è solo alla fine del XVIII secolo che è iniziato ad emergere un vero e proprio genere identificabile. Secondo il cartografo Michael Wood (2001), questa tendenza può essere ricondotta al desiderio, sempre più diffuso durante lo sviluppo dell’Illuminismo, di cercare esperienze visive raffiguranti orizzonti aperti. Questo ha portato ad un aumento dell’importanza di tali esperienze visive e ha promosso una nuova forma d’arte associata alle viste Cap. 1.2 - Esperienze significative e ambiti di applicazione
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panoramiche. L’artista Robert Barker è considerato il primo a concepire l’idea della vista panoramica. Infatti, fu proprio Barker che a seguito dell’esibizione del 1793, nella quale il suo dipinto a tutto tondo dello skyline di Londra (Figura 1.2.14) venne esposto nei pressi di Edimburgo, ha coniato il termine “panorama”. Espressione formata dai termini greci pan e hórama, tradotti come “veduta della totalità” (Bordini, 1984). Nell’800 c’è stata una diffusione di questi dipinti omnidirezionali e l’attenzione sempre maggiore ricevuta da giornali e riviste ha portato il termine “panorama” a diventare parte della lingua europea (Benosman & Kang, 2001). L’opera di Barker è considerata la prima comunicazione visiva di massa (Oettermann, 1997) e il suo successo ha spinto alla costruzione di edifici rotondi - il primo realizzato a Londra nel 1793 volti a offrire ai visitatori una vista completa dei panorami a 360°. La sempre maggiore popolarità di queste nuove gallerie ha provocato anche l’aumento della richiesta di souvenir e questo, secondo Wood (2001), fornisce una possibile spiegazione per la diffusione delle incisioni panoramiche di piccole dimensioni tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Il concetto originale di panorama si è quindi ampliato: oltre alle miniature delle viste panoramiche di paesaggi extraurbani e urbani iniziò a crescere rapidamente la richiesta per panorami raffiguranti l’ambiente montano e le aree naturali, sia con viste dal livello del suolo che da punti sospesi nel cielo, maggiormente simili alla cartografia tradizionale (Patterson, 2000). Questa richiesta fu stimolata anche dell’apertura dell’area alpina ai traffici ed al turismo nel XIX e XX secolo, anni nei quali la suddetta regione divenne una meta sempre più richiesta (Stadler, 2013). Nonostante le carte topografiche rappresentanti le Alpi erano già presenti, con le inaugurazioni di nuovi Hotel e l’aumento della promozione dell’area iniziarono a essere richiesti panorami realizzati con lo scopo di illustrare la regione geografica e per fornire un’anteprima ai viaggiatori. Dall’inizio del XIX secolo vennero realizzate centinaia di viste panoramiche rappresentanti l’ambiente montano, anche con l’uso della camera oscura, in modo da ottenere effetti artistici.
Figura 1.2.14: Robert Barker, Vista Panoramica di Londra, 1792
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Il turismo può essere identificato come l’ambito che ha fornito il maggior incentivo per la produzione di massa delle viste panoramiche, volte alla vendita al pubblico o all’inclusione in guide e riviste, definibili come “panorami pieghevoli” (Figura 1.2.15) (Hell, 2001). Dalla metà dell’800 divennero predominanti le viste panoramiche realizzate con l’uso del colore e tra il 1850 e il 1910 sempre più rifugi, alberghi e uffici turistici richiedevano questi prodotti (Hell, 2001). Secondo Michael Wood & Ian McCrorie (1993), le viste panoramiche hanno raggiunto una tale popolarità, alle volte anche maggiore rispetto alla cartografia tradizionale, per le seguenti ragioni: (i) hanno una tradizione storica rispetta, (ii) forniscono un’immagine immediatamente apprezzabile, che non richiede particolari capacità percettivo-cognitive per la loro interpretazione, (iii) le persone apprezzano la loro qualità artistica, (iv) nonostante la presenza di deformazioni geometriche e topografiche, la loro utilità come fonti d’informazione non è messa in dubbio, grazie alla presenza di landmarks nella scena e (v) sono spesso fornite in omaggio.
Figura 1.2.15: Heinrich Keller, Panorama presso San Gallo, 1821
Figura 1.2.16: Heinrich C. Berann, Panorama del Grossglockner, 1934
Cap. 1.2 - Esperienze significative e ambiti di applicazione
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Con lo sviluppo della fotografia, nel ventesimo secolo, il numero di artisti impiegati nella realizzazione di queste opere grafiche sono diminuiti. Tuttavia, artisti come Heinrich Caesar Berann, Hal Shelton e Richard Edes Harrison hanno continuato a perfezionare lo stile grafico con una sempre maggiore sensibilità verso la cartografia, l’accuratezza panoramica e l’estetica. Il pittore austriaco Heinrich C. Berann è considerato l’autore di panorami più esperto di tutti i tempi. Durante la sua carriera cinquantenaria, l’artista, ha disegnato più di 500 viste panoramiche (Patterson, 2000). La sua carriera cartografia è iniziata nel 1934 con la realizzazione della vista di un passo vicino al Grossglockner, a seguito della sua inaugurazione (Figura 1.2.16). La sua fama di pittore di mappe panoramiche si diffuse rapidamente e
Figura 1.2.17: Heinrich C. Berann, Giochi Olimpici Invernali di Cortina, 1956
Figura 1.2.18: Heinrich C. Berann, World Ocean Floor Map, 1977
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
lo portò ad essere incaricato di redigere diverse rappresentazioni per le olimpiadi: Cortina (1956) (Figura 1.2.17), Roma (1960), Innsbruck (1964), Innsbruck (1976), Sarajevo (1984) e Nagano (1998). Nel 1963 inizia una collaborazione con la National Geographic Society per la produzione di due panorami dell’area del Monte Everest. In collaborazione con Bruce Heezen e Mary Tharp realizza, nel 1977, l’iconica World Ocean Floor Map (Figura 1.2.18). La preparazione di un panorama da parte di Berann inizia concordando con il committente la copertura geografica e la migliore direzione da cui rappresentare la scena. Successivamente, basandosi sulle informazioni presenti nelle carte topografiche, realizza il primo schizzo a matita per stabilire definitivamente la scena della vista panoramica. Il disegno della vegetazione, delle trame delle montagne e di altri dettagli della superficie è realizzato con l’ausilio di foto aeree oblique. In seguito, l’autore, inizia a dipingere l’opera, prevalentemente con l’ausilio delle tempere. I suoi panorami attraggono i fruitori, trasmettendo un intenso piacere visivo e, al tempo stesso, valorizzando artisticamente i panorami in modo da ridurre al minimo le distrazioni del paesaggio naturale e permettendo al lettore di comprendere meglio l’area geografica (Patterson, 2000). Le tecniche di rappresentazione panoramiche di Berann includono alcune abitudini non convenzionalmente accettate dalla scienza cartografica, come la rotazione di montagne, l’ampliamento delle valli e l’uso particolare dell’esagerazione verticale (alcune di queste tecniche saranno discusse nel Capitolo 1.4 - Aspetti tecnici). A fianco ad artisti come Berann, grazie alla rapida crescita tecnologica avvenuta a fine del XX secolo, sono iniziate a diffondersi le rappresentazioni panoramiche digitali. La modellazione 3D è diventata una parte importante nel campo della computer-aided visualisation, andando a trasformare le modalità in cui gli scienziati presentano ed esplorano i propri dati. L’avanzamento tecnologico ha fornito la possibilità a cartografi, e non, di sperimentare le rappresentazioni 3D dello spazio geografico anche senza possedere eccelse competenze artistiche. Infatti, tali viste, una volta venivano realizzate solamente da pochi artisti - aventi sia particolari capacità pittoriche sia conoscenze tecniche e geografiche - e richiedevano un ammontare di lavoro dell’ordine delle centinaia di ore2. Mentre una stessa illustrazione digitale richiede da uno a quattro giorni (Patterson, 1999). Lo sviluppo di applicazioni di modellazione 3D, nonostante la notevole capacità di elaborazione necessaria per realizzare i rendering, ha ridotto notevolmente il tempo, e quindi il costo, di produzione. L’uso del computer nella produzione delle viste prospettiche ha fatto venir meno la scissione tra cartografi e artisti (Patterson, 2000), fornendo gli strumenti tecnici per la realizzazione della cartografia 3D. Intesa come vista obliqua derivata da informazioni geometriche spazialmente riferite. Negli anni ‘80 vennero realizzati alcuni software - come ArcGis, al secolo ARC/INFO, prodotto da Esri e TVES (Terrain Visualisation Exploitation System) di Laser-Scan - di modellazione digitale del terreno per la produzione delle viste 3D. Tuttavia, solo negli anni ‘90, sono diventati sufficientemente facili da usare e in grado di produrre output visivamente 2 Generalmente per produrre un’illustrazione prospettica con i metodi tradizionali servivano diverse settimane, o anche mesi, a seconda dell'esperienza dell’artista. Cap. 1.2 - Esperienze significative e ambiti di applicazione
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Figura 1.2.19: Kümmerly & Frey, Lenk, ca. 1989
accettabili (Figura 1.2.19) (Wood et al, 2007). La realizzazione delle viste oblique con l’uso dei computer ha portato diversi vantaggi, identificati da Michael Wood & Ian McCrorie (1993): (i) diverse prospettive geometriche disponibili, (ii) qualsiasi punto di vista (determinato da altezza, direzione e distanza) può essere scelto, (iii) si possono introdurre molte combinazioni di illuminazione (e di ombreggiatura), (iv) i render sono sempre più realistici, (v) i parametri atmosferici possono essere introdotti per aumentare il realismo, (vi) la creazione di queste viste può essere svolta anche da grafici senza competenza geografiche. A fine del XX secolo l’interesse verso la cartografia 3D è cresciuto rapidamente e ha visto una rinascita grazie alla rapida evoluzione della cartografia multimediale3 (Patterson, 2000). Secondo Tom Patterson (1999), la sfida della cartografia multimediale è quella di fondere il patrimonio tecnico della cartografia tradizionale con le tecniche digitali contemporanee. Come cartografo presso l’U.S. National Park Service (NPS), Patterson, è stato al centro della ricerca che ha portato l’organizzazione dei parchi statunitensi a produrre le viste panoramiche con applicazioni di grafica digitale (Figura 1.2.20 e Figura 1.2.21). L’autore è uno dei primi cartografi che, in un articolo del 1999, ha indagato le tecniche digitali necessarie per creare delle mappe 3D (vedi Capitolo 1.4 - Aspetti tecnici), basandosi sui metodi di progettazione adottate precedentemente dai pittori e su nuovi fattori presenti nel mondo digitale. L’autore asserisce che per realizzare le viste prospettiche digitali ed in particolare quelle panoramiche, considerate le più difficili da produrre, non esiste un unico software capace di soddisfare tutte le esigenze di progettazione e di gestione dei dati, per questo sono neces3 Peterson (1999) parla di cartografia multimediale per identificare il processo di cambiamento che sta investendo dagli anni ‘80, a seguito dell’avvento dei computer, la scienza cartografia.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Figura 1.2.20: Harpers Ferry Center, Panorama dell’isola di Maui
Figura 1.2.21: Joe Milbrath & Jim Eynard, Panorama del parco nazionale e riserva di Katmai, 2016
sari più programmi. Nel suo articolo Patterson illustra il suo workflow che si incentra sulle seguenti fasi: (i) elaborazione dei dati geografici, ricavati attraverso tecniche di telerilevamento, con software Geographic Information Systems (GISs), (ii) preparazione del Digital Terrain Model (DTM) con Adobe Photoshop, (iii) settaggio della scena 3D con Bryce3D e (iv) Cap. 1.2 - Esperienze significative e ambiti di applicazione
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operazioni di post-produzione del render sempre con Adobe Photoshop. Nonostante le fasi di produzione siano più o meno invariate, in un articolo successivo Patterson (2018) indica l’uso dell’applicazione Natural Scene Designer Pro per il rendering della scena 3D e le applicazioni sviluppate da Avenza Systems (MAPublisher e Geographic Imager) per lavorare con i dati geografici all’interno di software di grafica digitale sviluppati da Adobe (Illustrator e Photoshop). La produzione digitale delle viste panoramiche 3D può quindi essere svolta con l’uso di svariati software, più o meno costosi. Ottenere, attraverso queste applicazioni, viste graficamente attraenti come quelle realizzate da molti degli autori citati in questo paragrafo è senza dubbio una sfida ardua. Tuttavia, i render panoramici soddisfano e superano la maggior parte degli standard qualitativi di pubblicazione e, inoltre, sono ottenuti in modo rapido ed economico rispetto alla produzione tradizionale.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
CAPITOLO 1.3
ASPETTI UMANI La sempre maggiore popolarità acquisita dalle rappresentazioni 3D non è riconducibile a motivi puramente estetici, ma anche al loro ruolo di supporto alla comunicazione. Infatti, nell’ambito della cartografia è stato più volte constatato come i prodotti cartografici 3D forniscano una comprensione più intuitiva dello spazio geografico (Buckler, 1988; Preppernau & Jenny, 2015; Carrera et al, 2017). Questi prodotti, comunque, presentano alcuni svantaggi come la distorsione, l’occlusione e la mancanza di una scala unica. In questo capitolo verranno affrontati (i) i temi della comunicazione e percezione degli oggetti spaziali e (ii) i metodi di visualizzazione.
1.3.1
Comunicazione e percezione degli oggetti spaziali La percezione delle informazioni e la costruzione della conoscenza sono processi individuali che si formano attraverso l’interesse personale, la motivazione, l’esperienza e la conoscenza preesistente dell’utente (Jobst & Germanchis, 2007). L’interesse esplicito della mappa come forma di comunicazione ha cambiato radicalmente la cartografia. La scienza cartografica è passata dall’occuparsi delle tecniche per la realizzazione delle mappe allo studio della comunicazione delle informazioni attraverso l’uso delle mappe stesse. La ricerca riguardo la comunicazione cartografica ha avuto due fasi principali: (i) dagli anni ‘50 ha adoperato i metodi di ricerca della psicofisica per studiare il rapporto stimolo-risposta degli individui ed (ii) a fine anni ‘70 si è sviluppata la ricerca verso la psicologia cognitiva esaminando come le mappe vengono elaborate e ricordate (Peterson, 1994).
Secondo la teoria sviluppata dallo psicologo Ulric Neisser (1978) la percezione ed
i processi di sequenziamento dell’acquisizione della conoscenza possono essere descritti come un “ciclo della percezione”. L’idea si basa sull’assunzione che la percezione e la cognizione siano processi in continuo svolgimento. Per questo motivo l’azione del guardare, per esempio, deve implicare l’anticipazione dell’informazione, oltre che al suo recepimento. Le strutture personali che determinano, insieme alle informazioni effettivamente disponibili nell’ambiente, le informazioni anticipate e quindi ciò che si osserva sono identificate come “schemi”. Questi schemi anticipatori sono strutture mutevoli che indirizzano l’osservazione verso le informazioni che ci aspettiamo di trovare. Su queste basi Neisser afferma che la percezione è un processo costruttivo ciclico dove l’osservatore: (i) prevede il tipo di informazione che sarà disponibile e si prepara ad accettarla, (ii) esplora attivamente, con la vista e con il tatto, in modo da ottenere più informazioni, (iii) utilizza queste ultime per modificare lo schema originale e (iv) sulla base del nuovo schema si prepara per acquisire ulteriori informazioni. Le esperienze e le interazioni influenza-
no quindi la conoscenza, andandola a modificare, aggiornare ed impiegare a seconda delle situazioni. Il ciclo della percezione implica il fatto che l’utente abbia una base di conoscenze che gli permetta di poter imparare e comprendere in modo efficace. In cartografia la costruzione della conoscenza iniziale dalla quale può partire la cognizione è la legenda, attraverso la quale i simboli della mappa sono spiegati attraverso l’ausilio del testo o di elementi grafici (Buziek, 2000). Altri tipi di accorgimenti possono supportare l’acquisizione delle conoscenze, come l’uso di codifiche rappresentative che rimandano alle caratteristiche reali degli elementi cartografati (Jobst & Germanchis, 2007; Tyner, 2010; Peterson, 2014). Per esempio, l’uso di tonalità del blu per rappresentare la classe di oggetti “corpi d’acqua” aiuta il fruitore a comprendere la presenza di un elemento idrico, andando ad automatizzare il processo cognitivo. La differenza di tempo tra la percezione e la cognizione è indice del sovraccarico di informazioni. Nella situazione in cui sono disponibili troppi input sensoriali che non possono essere elaborati prima dell’arrivo dell’input sensoriale successivo il cervello lascia le informazioni non elaborate (Jobst & Germanchis, 2007). Le persone sono naturalmente portate al pensiero spaziale e tendono quindi a codificare in modo spontaneo la disposizione e le proprietà dello spazio geografico (Kaiser, 1991). Il cervello umano interpreta le informazioni sulle relazioni spaziali dell’ambiente attraverso i “sensori” visivi, acustici e tattili. Tra questi gli input visivi sono i più importanti in questo processo (Buchroithner et al, 2000). Gli individui creano quindi nella loro testa delle immagini mentali che sono delle rappresentazioni generalizzate, proprio come le mappe (Peterson, 1994). Il linguaggio cartografico è, per svariati motivi, il mezzo più efficace per comunicare la conoscenza spaziale (Turnbull, 1996). Tuttavia, qualsiasi rappresentazione 2D, sia dinamica1 che statica, di un oggetto 3D è intrinsecamente ambigua. Il fruitore è infatti costretto a strutturare delle ipotesi per recuperare le relazioni 3D da un’immagine 2D (Proffitt & Kaiser, 1991). Per superare questa ambiguità nel tempo gli artisti hanno sviluppato delle convenzioni pittoriche definite come spunti di profondità pittorica. Tuttavia, l’uso di questi spunti (es. ombreggiatura e occlusione) permettono solamente di diminuire l’ambiguità poichè la sola rotazione può portare alla definizione della struttura 3D di un oggetto in modo univoco (Proffitt & Kaiser, 1991). La tipologia di rappresentazione oggetto di studio del presente testo è la riproduzione cartografica 3D su supporto 2D, sia che esso sia analogico o digitale. In questo tipo di visualizzazione lungo una qualsiasi linea di vista è visibile un solo oggetto (Russell & Miles, 1991) e la struttura della scena originale si può solo dedurre in maniera approssimativa. Nel linguaggio comune il termine “3D” viene usato in una moltitudine di contesti e con diversi significati. Knust & Buchroithner (2014) distinguono due macroaree: (i) per indicare la modellazione della scena e (ii) per riferirsi alle tecniche di visualizzazione e percezione. Il 3D nel contesto della modellazione può quindi essere indipendente dal contesto della percezione. Per esempio, una scena modellata con l’ausilio di un software 3D non implica che questa scena sia
1 Nelle rappresentazioni 2D dinamiche il tempo può sostituire la dimensione spaziale persa.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
destinata alla percezione stereoscopica2. Infatti, la vista della suddetta scena su uno schermo viene percepita come piatta. Le tecniche di visualizzazione 3D sono diverse3 ed a seconda di quella scelta, varia il tipo di percezione del modello 3D. Queste tecniche di visualizzazione si dividono in due gruppi: true-3D e pseudo-3D. Se il modello viene visualizzato in modo da permettere una percezione tridimensionale, non solo grazie alla prospettiva, si parla di true-3D. Questo tipo di visualizzazione consiste spesso in due o più immagini che mostrano la scena da angolazioni diverse per creare un effetto 3D. Il secondo gruppo di visualizzazioni 3D sono le pseudo-3D. Tali rappresentazioni spaziali vengono visualizzate su supporti piani digitali (es. lo schermo di un monitor) o analogici (es. un foglio di carta). L’osservatore riceve quindi un’impressione di tridimensionalità grazie alla prospettiva ed agli spunti di profondità (es. le viste di Heinrich C. Berann). Gli oggetti 3D vengono pertanto rappresentati in immagini con tridimensionalità simulata, anche identificate come 2.5D. L’uso di metodi di visualizzazione pseudo-3D (o 2.5D) è presente anche nella maggior parte degli elaborati cartografici tradizionali. Per permettere l’ottimizzazione della percezione del rilievo, infatti, i cartografi usano diversi metodi di rappresentazione4 basati sull’uso degli spunti di profondità (es. hill-shading e hachure). Le visualizzazioni 3D possono essere degli strumenti utili per trasmettere le informazioni correlate allo spazio geografico per una molteplicità di fattori come: (i) facilità nella comprensione e (ii) stimolazione dell’interesse e dell’attenzione. Per rafforzare la trasmissione della conoscenza spaziale si usano disegni metaforici come le mappe. Da un punto di vista percettivo e cognitivo i prodotti cartografici 3D possono essere visti come elementi di connessione tra l’astrazione della cartografia tradizionale 2D e la realtà. L’astrazione 2D fornisce una maggiore precisione geometrica, ma procura anche meno supporto alla cognizione spaziale rispetto alla rappresentazione 3D (Buckler, 1988; Preppernau & Jenny, 2015; Carrera et al, 2017). L’idea di base delle tecniche 3D User-Centered Design5 (UOD) è quella di fornire all’utente una rappresentazione maggiormente realistica, in modo che possa essere percepita come una specie di “scena del mondo reale” (Buchroithner et al, 2000). Il passaggio da una visualizzazione 3D del mondo reale ad una visualizzazione 3D virtuale è infatti relativamente piccolo rispetto al passaggio verso una rappresentazione 2D schematica. Inoltre, il livello di modificazione dello schema mentale di partenza, e quindi il livello di apprendimento, è dato in prima istanza dall’attenzione posta dall’osservatore nel visualizzare la scena. L’attrattività 2 La stereoscopia è una sensazione psicologica umana (come i colori) che ci permette di elaborare due immagini leggermente diverse in modo da farle percepire come un’unica immagine 3D. 3 Vedi Knust & Buchroithner (2014) per una classificazione esaustiva. 4 Vedi Imhof (1982) per una spiegazione approfondita dei metodi di rappresentazione cartografica del rilievo. 5 Termine coniato dallo psicologo cognitivo Donald Norman, negli anni ‘80, e successivamente diventato ampiamente usato dopo la pubblicazione del libro User-Centered System Design: New Perspectives on Human-Computer Interaction (Norman & Draper, 1986). L’User-Centered Design è un termine che descrive una filosofia, e una serie di metodi di progettazione, dove i bisogni, i desideri e i limiti degli utenti finali influenzano la progettazione del prodotto. Cap. 1.3 - Aspetti umani
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di quest’ultima determina, insieme ad una serie di altre variabili, il grado di attenzione (Grusec, 1992). Alcuni studi hanno dimostrato come le mappe 3D attraggono più osservatori e per più tempo rispetto alle rappresentazioni tradizionali (Häberling, 1999; Schobesberger & Patterson, 2007; Slocum et al, 2013). Questo risultato può essere letto, alla luce di quanto esplicitato precedentemente, come una maggiore capacità, da parte degli elaborati 3D, di trasmettere informazioni geografiche agli utenti.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
CAPITOLO 1.4
ASPETTI TECNICI I software di modellazione 3D hanno numerose funzionalità che possono essere utilizzate per creare viste prospettiche dello spazio geografico. Queste devono essere impiegate in modo consapevole per realizzare elaborati efficaci e graficamente attraenti. Gli aspetti relativi alla progettazione e alla definizione dei principi da applicare alla cartografia 3D, tuttavia, sono stati studiati solo in un numero circoscritto di ricerche (Bandrova, 2001; Terribilini, 2001; Häberling, 2003; Wood et al, 2005; Häberling et al, 2008). Nel presente capitolo si andranno a descrivere gli aspetti tecnici necessari alla realizzazione degli elaborati cartografici 3D, implementando quelli proposti nelle ricerche precedenti. Nello specifico si tratteranno i seguenti temi: (i) processo di progettazione e operazioni da svolgere durante le sue fasi e (ii) variabili progettuali e grafiche da considerare nei vari stadi delineati in (i).
1.4.1
Processo di progettazione La progettazione cartografica è un processo nel quale il cartografo concettualizza e realizza una mappa in modo da soddisfare i bisogni degli utenti finali (Slocum et al, 2013). Tale processo si può dire concluso con successo quando la mappa comunica in modo efficace, semplice e chiaro le informazioni geografiche. Secondo Terry A. Slocum et al (2013) la progettazione cartografica è regolata in gran parte da norme, linee guida e convenzioni ma risulta comunque relativamente destrutturata. Non esiste, infatti, un’unica soluzione ottimale per un determinato problema cartografico. Una mappa ben realizzata può essere definita come: la soluzione migliore tra le tante, data una serie di vincoli imposti dal problema (Dent, 1999). Judith A. Tyner (2010), nel suo libro Principles of Map Design, afferma che il processo di progettazione cartografica non è lineare1 e si divide in quattro fasi: (i) pianificazione, (ii) analisi, (iii) presentazione e (iv) produzione/riproduzione. Nella prima fase il cartografo deve delineare in maniera chiara lo scopo e il tema della mappa, con quale mezzo di comunicazione verrà presentata e quali saranno i fruitori. Sulla base di queste informazioni, si procede alla fase di analisi, dove vengono raccolti, sintetizzati e analizzati i dati. Durante la presentazione gli elementi come titolo, legenda, scala, testo, ecc. sono organizzati in un layout. A questo punto la mappa deve essere osservata in maniera critica e, nel caso sia necessario, deve essere modificata. Nell’ultima fase, quella della produzione/riproduzione, la mappa viene pubblicata sul supporto stabilito nella prima fase.
1 L’autore sottolinea come in molti casi due o più processi vengono svolti contemporaneamente.
Principi fondamentali Nello svolgimento del processo ci sono dei principi fondamentali che devono essere tenuti in considerazione: (i) le esigenze dell’utente devono guidare le scelte svolte in ciascuna fase, (ii) l’intero processo è iterativo e (iii) in ciascun stadio del processo bisogna tenere in considerazione le fasi precedenti e successive del processo stesso (Hájek et al, 2016). Inoltre, nonostante i già citati vantaggi delle mappe 3D, è fondamentale valutare a priori se sia opportuno realizzare una cartografia 3D per il progetto corrente. Infatti, questi elaborati hanno una serie di fattori limitanti che Tom Patterson (2018) individua in: (i) tempo, necessitano da due a tre volte in più rispetto alla cartografia tradizionale, (ii) costo, proporzionale al tempo, (iii) dati, la presenza di informazioni relative all’altimetria è imprescindibile, (iv) geografia, alcuni paesaggi non sono adatti alla rappresentazione 3D (es. quando importanti caratteristiche del paesaggio rimangono nascoste), (v) scopo/utenti, se la morfologia non è una parte essenziale del messaggio della mappa non ha senso redigere una mappa 3D, (vi) georeferenziazione, non è possibile localizzare in diretta la posizione degli utenti, (vii) punto di vista, nelle mappe 3D esiste un solo punto di vista e non è quindi possibile ruotarle, e (viii) vista, a causa dell’uso della vista obliqua la dimensione dello spazio geografico rappresentato è inferiore, rispetto ad una mappa tradizionale. Aspetti della produzione cartografica 3D In maniera analoga al processo di realizzazione della cartografia tradizionale, nella progettazione cartografica 3D, si devono tenere in considerazione tre aspetti principali: (i) concettuale, (ii) tecnico e (iii) del prodotto (Häberling et al, 2008). L’aspetto concettuale prende in considerazione sia le abilità e le competenze dell’utente finale (es. educazione ed esperienza) sia lo scopo dell’elaborato (es. orientamento o visualizzazione analisi), ma anche le circostanze legate al tempo ed al luogo di osservazione (es. uso sul campo o limitato tempo di fruizione). Come per la cartografia tradizionale, anche per quella 3D la scelta di come la mappa verrà riprodotta ha un impatto su quasi tutte le scelte. Gli aspetti tecnici della progettazione di una mappa 3D riguardano i dati digitali in input e le specifiche applicazioni informatiche da usare. I dati georeferenziati che vengono utilizzati possono essere: Digital Terrain Model (DTM), Digital Surface Model (DSM) ed altri layers di dati. I dati spazialmente riferiti in formato raster, come DTM e DSM, servono come informazioni altimetrica di base mentre ortofoto o immagini satellitari possono essere usate come texture per le mappe 3D. Tuttavia, il contenuto informativo può essere sia in formato raster che vettoriale2. Per rappresentare i geodati in mappe 3D di grande impatto visivo sono necessari sia una strumentazione informatica molto potente sia sofisticati software di grafica. Tra questi giocano un ruolo fondamentale i software di modellazione 3D, sviluppati principalmente per la realizzazione di videogiochi o film, ma adattabili anche per la rappresentazione dei 2 Il formato di dati vettoriale offre maggiore flessibilità e permette un più elevato livello di interattività nel caso di cartografia 3D dinamica (Häberling et al, 2008).
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
dati geografici. Alcune tra le applicazioni più usate a questo fine sono Maxon Cinema 4D3, Houdini4, Natural Scene Designer5 e, nell’ultimo anno, sta diventando sempre più comune l’uso di Blender6 7. L’ultimo aspetto della produzione cartografica 3D, quello relativo al prodotto, tiene conto dei contenuti tematici, dell’usabilità, dei costi e della resa grafica dell’elaborato finale. L’aspetto estetico è infatti uno dei fattori più importanti per attirare gli utenti a visualizzare ed esplorare un elaborato cartografico, che sia tradizionale o 3D. Processo di progettazione della cartografia 3D Anche il flusso di lavoro del processo di progettazione delle mappe 3D si articola in modo simile al processo di creazione delle mappe tradizionali. Questo, secondo Andrea Terribilini (2001) può essere suddiviso in tre macro-fasi: (i) modellazione, (ii) simbolizzazione e (iii) visualizzazione (Figura 1.4.1). Alla luce di quanto appreso nello studio del processo di progettazione adottato negli anni dagli artisti e da quanto consigliato da alcuni dei cartografi con più esperienza nel settore della cartografia 3D (vedi Patterson, 2005; 2016; 2018), nel presente studio si illustra un nuovo flusso di lavoro sviluppato per la creazione elaborati cartografici 3D statici. Tale processo, illustrato in Figura 1.4.2, si articola in: (i) modellazione del terreno, (ii) pianificazione della scena, (iii) modellazione degli elementi cartografici, (iv) simbolizzazione e (v) visualizzazione.
Figura 1.4.1: Fasi del processo di progettazione della cartografia 3D (elaborazione da Terribilini, 2001)
Figura 1.4.2: Fasi del processo di progettazione per la cartografia 3D statica 3 maxon.net/en/cinema-4d 4 sidefx.com/products/houdini 5 naturalgfx.com 6 blender.org 7 I progetti di Craig Taylor sono realizzati con l’uso di Maxon Cinema 4D e Houdini (vedi mapzilla.co.uk). Tom Patterson produce i suoi elaborati prevalentemente con Natural Scene Designer (vedi shadedrelief.com). Owen Powell, Peter Atwood e Daniel P. Huffman usano Blender per generare le loro viste cartografiche 3D (vedi rispettivamente: owenpowell.wordpress.com, peteratwoodprojects.wordpress.com e somethingaboutmaps. com). Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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L’uso di questo processo permette di aver maggior controllo sul flusso di lavoro, sui dati e sulle variabili che entrano in gioco durante il progetto. Sostanzialmente, procedendo per prima cosa alla creazione del modello 3D del terreno ed all’impostazione della scena si vanno a delineare le caratteristiche di base che avrà l’elaborato. Consolidare tali variabili nella fase
Figura 1.4.3: Diagramma di flusso per la realizzazione di una mappa 3D statica
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
iniziale permette di avere un’idea più chiara riguardo al tipo di dati ed al livello di dettaglio che dovranno avere gli elementi cartografici. A questo punto si procede al reperimento dei dati spazialmente riferiti rientranti nella scena e, quindi, alla creazione del modello 3D. A questi dati, vengono poi attribuiti dei simboli e, successivamente si procede alla creazione della cartografia 3D. Il diagramma di flusso in Figura 1.4.3 sintetizza i passaggi e le scelte, di seguito descritte, fondamentali per la creazione di una mappa 3D attraverso il sopracitato processo di progettazione. Fasi del processo di progettazione della cartografia 3D Modellazione del terreno Nella prima fase di progettazione si va a creare, ed impostare, la superficie di base del modello cartografico 3D. Prima di procedere al reperimento dei dati altimetrici, per avere una prima idea sull’estensione dell’area di interesse (AOI), della topografia, della copertura del suolo e dell’organizzazione delle infrastrutture può essere d’aiuto usare applicazioni per la visualizzazione 3D come Google Earth. In questo modo si possono già identificare delle possibilità su come poter inquadrare la scena all’interno di un formato rettangolare e, inoltre, a stimare l’estensione che dovranno avere i dati altimetrici. Dato che questa estensione determina anche l’estensione massima che avranno i dati cartografici e, quindi, l’intero elaborato, è necessario prestare notevole attenzione alla sua identificazione. Per evitare successivi problemi è consigliato quindi aumentare l’AOI di una volta e mezzo rispetto a quanto stabilito inizialmente (Patterson, 2016). Una volta definita l’estensione dell’AOI, si procede al reperimento dei dati altimetrici, basandosi su: (i) scopo del progetto, (ii) dati disponibili e (iii) tempo e capitale economico disponibile. Queste variabili incidono profondamente sul dettaglio che avrà l’elaborato finale. Per esempio, l’assenza di dati altimetrici con una risoluzione metrica sufficientemente alta può essere un forte fattore limitante che impedisce una rappresentazione morfologica dettagliata. D’altrocanto, gestire dati altimetrici con un’alta risoluzione nei software di modellazione 3D può risultare difficile senza delle strumentazioni con un elevato livello di prestazione. Per questo motivo, durante la fase di modellazione del terreno, è opportuno adottare il principio di minimizzazione delle geometrie, riducendo al minimo indispensabile la risoluzione metrica del dato (Hájek et al, 2016). Una volta stabiliti i dati altimetrici da adottare nel progetto, si procede ad importarli nel software di grafica 3D così da creare il modello 3D del terreno. Pianificazione della scena Prima di procedere con la fase che porta alla creazione del modello 3D è opportuno curare la pianificazione della scena. In questo frangente è necessario stabilire definitivamente, con il cliente, la copertura Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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geografica e la direzione di presa della scena. Infatti, adottare solo una piccola modifica ai parametri di base della scena (es. direzione della vista) nelle fasi più avanzate, richiede diverse ore di lavoro. Proprio per questo motivo la realizzazione di un elaborato cartografico 3D comporta molta più interazione con il cliente rispetto alle mappe tradizionali. Il cartografo deve procedere a presentare al cliente diverse viste preliminari del modello 3D di base, in modo da stabilire quale soddisfi meglio le sue esigenze. Le viste preliminari devono contenere, oltre al modello 3D del terreno, gli elementi di base per rendere comprensibile l’estensione della mappa finale (es. limiti amministrativi, centri abitati e infrastrutture principali) e non necessitano di essere graficamente raffinate. In base allo scopo della mappa è inoltre essenziale valutare se il modello 3D del terreno riesce a comunicare in modo efficace la morfologia del paesaggio. Nel caso contrario in questa fase il tecnico deve utilizzare una serie di tecniche per enfatizzare le relazioni morfologiche che intercorrono nell’AOI. Modellazione degli elementi cartografici In questa fase ci si occupa del reperimento, della gestione e della pre-elaborazione degli ultimi dati georiferiti da collocare sul modello 3D del terreno, in modo da produrre dati aggregati e armonizzati8 (Wood et al, 2005). Svolgere queste attività dopo aver pianificato la scena, e quindi dopo aver determinato le impostazioni relative alla presa della scena, permette di avere un’idea più chiara dei dati che devono essere inseriti nell’elaborato. Come per il reperimento dei dati altimetrici, anche in questo frangente è necessario che i dati relativi agli elementi cartografici siano in linea con: (i) scopo del progetto, (ii) dati disponibili e (iii) tempo e capitale economico disponibile. Una volta raccolti i dati si procede ad importarli nel software di modellazione 3D così da creare un modello 3D di base, contenente gli elementi caratteristici del paesaggio. In alcuni casi i dati di base necessitano di essere convertiti in formati supportati dal software specifico utilizzato per la produzione cartografica 3D (Häberling, 2002). Per rendere il lavoro all’interno del software di modellazione 3D più fluido è bene adottare anche in questo frangente il principio fondamentale della minimizzazione del numero di poligoni e delle altre primitive geometriche (Hájek et al, 2016). Simbolizzazione La fase della simbolizzazione è strettamente correlata a quella di modellizzazione del modello del terreno e degli elementi cartografici. Questa riguarda gli aspetti relativi alla comunicazione delle informazioni geografiche agli utenti. In questo frangente, i dati usati per realizzare il modello 3D, vengono rappresentati attraverso una simbologia, andando così a realizzare il modello cartografico 3D. Come per la cartografia tradizionale, anche per quella 3D, il livello di generalizzazione dei simboli deve 8 Quando i dati spaziali provengono da varie fonti è necessario creare una struttura unificata. Spesso per questo scopo vengono usati sistemi di Extract-Transform-Load (ETL) (vedi Janecka et al, 2013).
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
essere scelto in funzione della scala di visualizzazione (vedi Variabili progettuali e variabili grafiche di simbolizzazione). Dato che le mappe 3D, rispetto alle mappe tradizionali, rappresentano gli elementi del mondo reale in modo più realistico i simboli adottati dovrebbero essere simili all’aspetto dell’oggetto reale. Anche nella scelta della simbologia bisogna tendere a minimizzare il numero di poligoni usati per ogni simbolo. Visualizzazione L’ultima fase riguarda la visualizzazione, nella quale il modello cartografico 3D viene presentato sotto forma di cartografia, o mappa, 3D. A questo punto del processo si procede con la renderizzazione della mappa 3D, all’eventuale post-produzione e, infine, alla sua visualizzazione sul supporto concordato nella fase iniziale.
1.4.2
Variabili progettuali e variabili grafiche Per ognuna delle cinque fasi di progettazione in cui si articola il processo di realizzazione della cartografia 3D (modellazione del terreno, pianificazione della scena, modellazione degli elementi cartografici, simbolizzazione e visualizzazione), si identificano delle variabili progettuali e delle variabili grafiche (Häberling, 2003; Häberling et al, 2008). Le relative impostazioni devono essere tenute sotto controllo per capire in quale modo, queste, vanno ad influenzare la visualizzazione del modello cartografico 3D. Le variabili progettuali includono gli elementi fondamentali che entrano in gioco nella realizzazione degli elaborati cartografici 3D. Queste possono essere divise, sulla base delle suddette fasi di progettazione della cartografia 3D, in: (i) variabili progettuali di modellazione del terreno, (ii) variabili progettuali di pianificazione, (iii) variabili progettuali di modellazione degli elementi cartografici, (iv) variabili progettuali di simbolizzazione e (v) variabili progettuali di visualizzazione. Ogni variabile progettuale include una o più variabili grafiche, ovvero un fattore di progettazione, le cui impostazioni influenzano direttamente una caratteristica specifica della scena e degli oggetti in essa situati. Alcuni studi hanno analizzato tali variabili - basandosi su quanto teorizzato da Jacques Bertin (1967) relativamente ai prodotti grafici 2D -, proponendo dei principi da seguire nella realizzazione degli elaborati topografici 3D (Häberling, 2002; 2003; Petrovic, 2003). Altre ricerche forniscono, invece, consigli pratici sulla rappresentazione cartografica 3D, basandosi anche sulle tecniche utilizzate in passato dagli artisti per realizzare manualmente le viste oblique (Patterson, 1999; 2000; 2005; 2018; Häberling et al, 2008). Nella presente tesi si è svolto uno studio volto ad approfondire le variabili progettuali e le variabili grafiche individuate nel primo filone di ricerche, integrando però le tecniche sviluppate, con l’esperienza e la maestria, dagli artisti.
Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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Di seguito verranno illustrate: (i) le variabili progettuali che entrano in gioco in ciascuna fase del processo di realizzazione della cartografia 3D (Tabella 1) e (ii) le variabili grafiche fondamentali di ognuna. VARIABILI PROGETTUALI Modellazione del terreno
Pianificazione della scena
DTM
Fotocamera Alterazione del DTM
Modellazione degli elementi cartografici
Simbolizzazione
Visualizzazione
Oggetti rappresentati
Aspetti grafici
Illuminazione
Oggetti di orientamento
Aspetti grafici speciali
Ombreggiatura
Testo
Effetti atmosferici e fenomeni naturali
Proiezione (prospettiva)
Accorgimenti di finitura Tabella 1: Variabili progettuali per ogni fase del processo di progettazione della cartografia 3D
Variabili progettuali e variabili grafiche di modellazione del terreno Il modello 3D del terreno è l’elemento di base per ciascun elaborato cartografico realizzato in tre dimensioni. La raccolta e l’elaborazione dei dati altimetrici rappresentano quindi processi molto importanti per la realizzazione di una mappa 3D capace di comunicare in modo efficace il messaggio stabilito. In questa fase si identifica pertanto una sola variabile progettuale di modellazione del terreno riguardante la modellazione del Digital Terrain Model (DTM), a sua volta composta da tre variabili grafiche (Tabella 2). MODELLAZIONE DEL TERRENO Variabili progettuali DTM
Variabili grafiche Forma Risoluzione Esagerazione verticale
Tabella 2: Variabili progettuali e variabili grafiche della fase di modellazione del terreno
Modellazione del DTM La prima variabile si riferisce al DTM, il dato di base della cartografia 3D, sul quale si dispongono tutte le altre informazioni georeferenziate. Il DTM può essere definito come: una rappresentazione numerica delle caratteristiche del terreno (Kraak & Ormeling, 2010). Infatti, è un file raster dove ogni cella contiene le informazioni relative alla posizione ed all’elevazione dei punti di una sezione del paesaggio. In questo caso entrano in gioco tre variabili grafiche, le quali si riferiscono: (i) alla forma, (ii) alla risoluzione ed (iii) all’esagerazione verticale.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Forma La forma della sezione del DTM concorre a determinare l’estensione dell’area rappresentata nell’elaborato cartografico e può essere: (i) quadrata, usata per rappresentare sezioni di paesaggi galleggianti (Patterson, 1999), (ii) rettangolare, tipica delle visualizzazioni geologiche a block diagram (Slocum et al, 2013), e (ii) irregolare, ricavata dalla forma di una geometria poligonale (es. confini amministrativi ed aree di interesse). Risoluzione La risoluzione del DTM è una variabile grafica fondamentale nella realizzazione di una cartografia 3D e, più in generale, di qualsiasi elaborato cartografico. Infatti, questo parametro definisce la precisione con cui il modello del terreno rappresenta la morfologia del paesaggio reale. Tale risoluzione è data dalla dimensione della cella del file; più è piccola e più il DTM conserva le caratteristiche topografiche fini del terreno. Come ogni informazione presente in un elaborato cartografico, anche il modello del terreno deve essere generalizzato, in modo da avere una risoluzione consona alla scala di rappresentazione9. Usare un DTM con una risoluzione troppo alta porterà la rappresentazione del terreno ad avere dei dettagli topografici che vanno a disturbare la comunicazione delle principali forme morfologiche (Patterson, 2001; Leonowicz et al, 2010). In cartografia per avere un’idea della risoluzione che deve avere il DTM in relazione alla scala della mappa, ed alla risoluzione della visualizzazione, viene usata la seguente equazione (1):
(1) R = S ÷D dove: R = risoluzione del DTM (cm) S = fattore di scala dell’elaborato (cm) D = densità dei pixel (pixels/cm) (derivata da Kimerling, 2011) La densità minima di pixel necessaria ad avere un’immagine omogenea e, quindi, dove non sia possibile distinguere le singole celle è convenzionalmente stabilita di 40 pixels/cm. La risoluzione del DTM, soprattutto nella cartografia 3D, oltre ad influenzare la precisione e la chiarezza con cui viene rappresentata la morfologia è una variabile chiave poiché determina la potenza di calcolo necessaria, il tempo di elaborazione e la dimensione del file (Esri, 2016). La risoluzione ottimale del DTM dovrà essere quindi determinata in base alla precisione morfologica richiesta nell’elaborato, cercando però di mantenere il tempo di risposta del software ad un livello accettabile. Per questo motivo, nella modellazione del DTM, è sempre bene applicare il principio di minimizzazione delle geometrie. Nel caso sia necessario diminuire la risoluzione del DTM originale è opportuno usare 9 La generalizzazione del DTM non è adatta per le mappe a grande scala poiché queste devono riprodurre più da vicino le nostre impressioni sull’aspetto reale del terreno. Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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un metodo di ricampionamento adeguato ai dati di tipo continuo (es. bilinear Interpolation o cubic convolution interpolation). Questi algoritmi, oltre a rimuovere le irregolarità locali del terreno, tendono però a levigare i crinali ed i margini delle valli. Per questo motivo l’uso di metodi di generalizzazione del DTM, specificatamente sviluppati per il calcolo dell’ombreggiatura dei rilievi è consigliato. A questo scopo Anna M. Leonowicz et al (2010) hanno sviluppato Terrain Sculptor10, un’applicazione che, grazie ad una successione di operazione raster, generalizza il DTM in modo da garantire una corretta visualizzazione delle caratteristiche morfologiche principali. Un altro modo per ovviare all’arrotondamento dei crinali dovuto alla generalizzazione è quello di usare la tecnica del Resolution bumping (RS). Questa metodologia, sviluppata da Tom Patterson (2001a), consiste nel combinare un DTM a bassa risoluzione con un DTM ad alta risoluzione, al fine di preservare la leggibilità del primo ed i dettagli, che ci aspettiamo di trovare in un terreno montuoso, presenti nel secondo dato. L’aspetto del risultato finale dipende dalla risoluzione del DTM generalizzato e dalla percentuale di fusione con il DTM originale. Patterson (2001a) consiglia di ridurre la risoluzione del DTM al 10/20% rispetto alla risoluzione originale e di fonderli con un rapporto di 40:60 con il dato ad alta risoluzione. Inoltre, è bene sottolineare che, applicare questo effetto in mappe a piccola scala rappresentanti versanti ripidi va a generalizzare anche le già modeste variazioni presenti nelle aree pianeggianti. Per ovviare a questa eccessiva perdita di dettagli una soluzione è quella di applicare il RB solamente nelle aree montuose. Bisogna tenere presente che DTM prodotto dal software Terrain Sculptor, o tramite la tecnica del RB, è un dato generalizzato, ma mantiene comunque la stessa risoluzione metrica del dato in input. Dato che, come è stato detto più volte, nella rappresentazione cartografica 3D la minimizzazione delle geometrie è fondamentale, a questo punto è necessario l’uso dei sopracitati algoritmi di ricampionamento. Esagerazione verticale Nonostante un’esagerazione delle proporzioni orizzontali (coordinate x e y), del DTM, non sia consigliata, modificare i valori di altezza (coordinate z) enfatizza o attenua le differenze di quota, e contribuisce a rendere più chiare le caratteristiche del terreno (Häberling, 2004). Nelle cartografie 3D l’esagerazione verticale è molto spesso necessaria per rappresentare il paesaggio in modo che si avvicini alle nostre aspettative antropocentriche (Patterson, 2000). Infatti, considerando che il punto di vista medio di un uomo si trova a circa 1,8 m sopra la superficie terrestre, anche un promontorio alto 100 m ci sembra significativo. Per determinare l’esagerazione verticale ottimale è necessario considerare la scala della mappa, il rilievo, le caratteristiche topografiche e la funzione prevista dell’elaborato. Una maggiore esagerazione è solitamente necessaria per rendere più attraenti scene a piccola scala, con un punto di presa molto elevato e con un terreno avente delle variazioni altimetriche limitate. Viceversa, in viste a grande scala con un rilievo locale elevato l’esagera-
10 terraincartography.com/terrainsculptor
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zione deve essere inferiore (Imhof, 1982). Infatti, un fattore di scala verticale troppo elevato distorce il territorio in maniera innaturale e tende ad enfatizzare le imperfezioni presenti nel DTM. Scegliere il valore di esagerazione verticale è una decisione grafica che deve essere presa in modo che il paesaggio venga percepito più realistico possibile. Nella cartografia tradizionale l’esagerazione consigliata è tra il 100% e il 500% (Imhof, 1982). Mentre nelle viste cartografiche 3D il valore varia generalmente tra il 150% e il 200% del valore originale (Patterson, 1999), anche se in alcuni panorami di Berann l’esagerazione arriva anche al 400% (Patterson, 2000). Tom Patterson (2016) fornisce una serie di linee guida sull’utilizzo dell’esagerazione verticale: (i) non ridurla mai al di sotto del 100%, (ii) quando siamo incerti meglio usare un valore più basso che più alto, (iii) non è necessaria in terreni molto alti e pendenti, (iv) è più richiesta in rappresentazioni a piccola scala rispetto a quelle a grande scala, (v) ha risultati migliori se applicata a DTM generalizzati e smussati, (vi) a parità di scala un terreno prevalentemente pianeggiante necessita di una maggiore esagerazione rispetto a un terreno montuoso, (vii) è utile per avvertire le persone della presenza di sentieri ripidi e altezze pericolose e (viii) non è la sola variabile che enfatizza la morfologia, infatti una modesta esagerazione combinata con dei punti di illuminazione, tinte ipsometriche o la copertura del terreno riescono a migliorare l’effetto tridimensionale. Variabili progettuali e variabili grafiche di pianificazione Nella seconda fase del processo di creazione della cartografia 3D entrano in gioco delle variabili che vanno a determinare alcune caratteristiche fondamentali degli elaborati. Infatti, nella fase di pianificazione si procede a stabilire le impostazioni delle variabili relative alla vista e di conseguenza l’estensione geografica ed il contenuto dell’elaborato. Le variabili progettuali di pianificazione sono relative: (i) alla fotocamera, (ii) all’alterazione del DTM ed (iii) alla prospettiva (proiezione) (Tabella 3). PIANIFICAZIONE Variabili progettuali
Variabili grafiche
Fotocamera
Geometria interna Geometria esterna
Alterazione del DTM
Generalizzazione Manipolazione dell’altimetria Filtraggio Pittura e sostituzione topografica Deformazione locale
Proiezione (prospettiva)
Centrale Parallela Cilindrica Progressiva
Tabella 3: Variabili progettuali e variabili grafiche della fase di pianificazione
Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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In questa fase il cartografo deve proporre al cliente alcune possibili scene realizzate impostando le suddette variabili in base alla propria esperienza. Le decisioni finali devono, tuttavia, essere prese di comune accordo con il cliente. L’obiettivo di questa fase è quella di definire una ragionevole, se possibile ottimale, vista del modello 3D in base alla disposizione degli elementi da rappresentare. Fotocamera Le mappe 3D rappresentano la superficie della terra come se fosse vista dal livello del terreno o da una posizione qualsiasi nel cielo. Il punto di presa, teoricamente, può essere situato in qualsiasi posizione e avere qualsiasi angolazione, sopra o sotto l’orizzonte11. Stabilire le impostazioni relative all’osservazione della scena è la prima decisione che deve essere presa nel procedere alla creazione dell’elaborato cartografico 3D (Patterson, 2018); poiché determinano quale porzione del modello del terreno sarà visibile nell’elaborato finale. Le variabili riguardanti la vista della scena sono analoghe a quelle di una fotocamera e, si riferiscono alla geometria interna ed alla geometria esterna della fotocamera stessa (Häberling, 2003). Geometria interna Per quanto riguarda le scelte riferite alla geometria interna della fotocamera devono essere valutate le impostazioni delle seguenti variabili: (i) formato dell’immagine, (ii) lunghezza focale, (iii) angolo di apertura e (iv) prospettiva. Formato dell’immagine Per prima cosa bisogna definire il formato dell’immagine, ovvero il rapporto tra la lunghezza e l’altezza dell’immagine. Tale proporzione, solitamente espressa con il formato x:y, descrive la forma dell’immagine. I formati dell’immagine più comuni sono: (i) 1:1, formato quadrato usato soprattutto per le fotografie stampate, negli schermi dei cellulari e nei social network, (ii) 3:2, rapporto tipico della fotografia e nei formati di stampa, (iii) 4:3, usato per i monitor delle televisioni, dei computer e delle fotocamere digitali, e (iv) 16:9, rapporto che ha una forma più allungata rispetto al precedente e viene usato sempre più spesso per gli schermi delle televisioni e dei computer. Il tipo di formato deve essere scelto in base alla distribuzione spaziale dell’area d’interesse e quindi in base allo scopo dell’elaborato. Per questo motivo, i formati rettangolari possono essere orientati in modalità landscape o portrait. Lunghezza focale La variabile fondamentale della geometria interna è la lunghezza focale, ovvero la distanza tra il centro dell’obiettivo della fotocamera ed il centro dell’immagine. Da questa misura dipende sia l’angolo di apertura sia la prospettiva.
11 Con un inclinazione a -90° rispetto all’orizzonte la cartografia 3D e quella tradizionale sarebbero molto simili e gli effetti prospettici verrebbero minimizzati, dato che la mappa presenterebbe tutte le informazioni su un piano di profondità costante (McCleary, 1991).
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Angolo di apertura L’angolo di apertura indica l’ampiezza della scena che viene ripresa e viene usato per classificare gli obiettivi fotografici; più è lunga la lunghezza focale minore è la scena catturata (teleobiettivo) e più è corta la lunghezza focale e più ampia risulta la sezione di scena catturata (grandangolo)12. Le tre macroclassi fondamentali sono: (i) grandangolare, con una lunghezza focale minore di 35 mm ed un angolo di campo superiore a 54°, (ii) standard, aventi una lunghezza focale compresa tra 35 mm e 70 mm e il relativo angolo di campo compreso tra 54° e 28° e (iii) teleobiettivo, con lunghezza focale maggiore di 70 mm ed angolo di campo inferiore a 35° 13. Nelle applicazioni 3D, l’area di visibilità, è definita Field of View (FoV) e varia da 1 a 180°, ma può arrivare anche a 360° in immagini visualizzate tramite realtà virtuale (VR) (Patterson, 2005). Prospettiva La lunghezza focale determina anche la prospettiva di un’immagine; ritraendo uno stesso soggetto l’obiettivo grandangolare allunga la prospettiva (gli oggetti distanti risultano molto più piccoli) rispetto al teleobiettivo che la comprime (gli oggetti in primo piano e nello sfondo hanno una dimensione maggiormente simile). Questo accade perché nel primo caso la fotocamera deve essere più vicina ai soggetti in primo piano per riprenderli completamente, mentre nel secondo la fotocamera è più lontana dai soggetti e questo fa sì che le dimensioni relative nell’immagine finale siano più vicine alla realtà (Sony, 2013). Rappresentare un’area ampia all’interno di uno spazio ristretto porta quindi ad aumentare le distorsioni. Infatti, se l’angolo dell’FoV è molto amplio le aree di sfondo diventano molto più piccole e più ci si allontana dall’asse centrale della vista e più gli oggetti si deformano. Viceversa, un teleobiettivo, avente quindi un FoV inferiore, porta una diminuzione dell’effetto prospettico dell’immagine, rendendola più ortogonale14. Questo ultimo tipo di obiettivo risulta il più indicato per le mappe 3D proprio perché, con le sue caratteristiche, riduce le distorsioni degli elementi cartografati e rende il modello più adatto ad essere rappresentato in un layout rettangolare15 (Patterson, 2018). Per compensare la diminuzione di prospettiva è possibile usare gli effetti atmosferici (vedi Effetti atmosferici e fenomeni naturali) (Patterson, 2005). L’uso di un obiettivo grandangolare è preferibile qualora si voglia realizzare una rappresentazione di tipo block diagram o la mappa necessiti di poche etichette o elementi lineari (Patterson, 2018). 12 L’angolo di apertura è determinato sia dalla lunghezza focale sia dal formato del sensore della camera. Quindi data una certa lunghezza focale l’angolo di apertura sarà diverso a seconda del sensore scelto (Sony, 2013). 13 Gli angoli di campo indicati sono veri per una macchina fotografica analogica 35 mm e una digitale full-frame Digital Single-Lens Reflex (DSLR). 14 Il vantaggio delle viste ortogonali oblique è che le dimensioni degli oggetti di dimensioni simili in primo piano e sullo sfondo sono paragonabili (Patterson, 2005). 15 Tom Patterson (2018) consiglia di iniziare a impostare la scena con una lunghezza focale di 70 mm per poi modificarla successivamente a seconda della necessità. Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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Geometria esterna Le impostazioni relative alla geometria esterna della fotocamera determinano la posizione e l’orientamento con cui viene visto il modello 3D. Precisamente tali impostazioni si riferiscono a: (i) posizione della fotocamera, (ii) azimut di visualizzazione e (iii) inclinazione di visualizzazione. Posizione della fotocamera La posizione della fotocamera è determinata da due coordinate piane, x e y, e dall’altezza, z (Häberling, 2003). Azimut di visualizzazione L’azimut di visualizzazione, o direzione di osservazione, è un parametro fondamentale nella rappresentazione 3D. Questo perchè differenza delle mappe tradizionali le mappe 3D sono meno flessibili durante la navigazione. Infatti, questi elaborati non possono essere ruotati in base alle diverse direzioni di osservazione occupate dal fruitore, ma hanno una direzione fissa. Per questo motivo è consigliabile orientare la vista, delle mappe a grande scala, verso la direzione di percorrenza e, nel caso di cartellonistica, realizzare viste diverse a seconda della posizione che assumeranno (Patterson, 2005). Per gli elaborati a piccola scala, invece, orientare l’osservazione verso nord è preferibile poichè gli utenti tendono ad avere meno familiarità con la geografia16 (Patterson, 2018). Tuttavia, ruotare la vista di circa 30° verso est o ovest può essere utile per rendere la scena molto più interessante. In ogni caso, come afferma Tom Patterson (2018), è fondamentale tenere ben presente l’obiettivo della mappa così da posizionare le informazioni più importanti nella porzione alta del primo piano ed usare lo sfondo per fornire il contesto geografico e l’equilibrio grafico. Inoltre, è opportuno evitare che le viste dai promontori siano dirette verso la valle, poiché possono disorientare le persone. Inclinazione di visualizzazione L’inclinazione di visualizzazione, anche chiamata camera pitch, determina l’aspetto obliquo della scena ed è definita dall’angolo che si forma tra la direzione di osservazione ed il piano orizzontale. Questo valore può variare da 90°, ovvero la fotocamera inquadra il cielo, a -90°, che rappresenta il terreno in modo simile alle mappe tradizionali, passando per 0°, vale a dire una fotocamera orizzontale. Generalmente un’inclinazione bassa, sia negativa che positiva, crea delle rappresentazioni più realistiche. Mentre angoli vicini a -90° creano scene che sono più adatte a rappresentare le relazioni spaziali e per assistere la navigazione (Patterson, 2005). Cambiare l’inclinazione influenza anche l’estensione della porzione di terreno che viene visualizzata e la variazione della scala all’interno dell’elaborato. Per esempio, usare un pitch 16 Tuttavia per rappresentare meglio le caratteristiche morfologiche si può selezionare una direzione di osservazione diversa rispetto al nord.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
molto basso porta un limitato cambio di scala tra gli elementi in primo piano e quelli di sfondo. Tuttavia, in questo modo, è molto probabile che gli elementi di primo piano coprano il resto della scena, situazione che potrebbe portare gli utenti ad avere problemi nel localizzare gli elementi (Häberling et al, 2008). Inoltre, il camera pitch influenza anche l’estensione geografica della scena che viene rappresentata, più è elevato il valore minore è la porzione del modello rappresentabile. Häberling et al (2008) hanno identificato, a seguito di un sondaggio somministrato ad esperti nel settore della geoinformazione, che valori di inclinazione intorno a -45° sono preferibili. Il cielo Le impostazioni della fotocamera giocano un ruolo fondamentale nella rappresentazione del cielo nella mappa 3D. Questo elemento ha la capacità di rendere la scena più affascinante e attraente, grazie alla tranquillità che infonde il colore blu. Tuttavia, per inserirlo, è necessario sacrificare molto spazio del layout e incrementare considerevolmente il tempo impiegato nella realizzazione del progetto (Patterson, 2016). Basandosi sui dipinti realizzati da artisti come Heinrich C. Berann è consigliato che il cielo, quando presente, non occupi più di un terzo del layout17 (Patterson, 2000). Alterazione del DTM Per produrre elaborati cartografici 3D è spesso richiesta la manipolazione del Digital Terrain Model (DTM). I DTMs contengono i dati relativi all’altimetria del terreno e sono la base digitale di tutte le visualizzazioni cartografiche 3D. L’alterazione del DTM può, infatti, migliorare l’aspetto e la leggibilità della topografia nelle mappe 3D (Patterson, 2001). A differenza della propensione che i cartografi e gli specialisti GIS hanno nel modificare i dati vettoriali per produrre mappe di tipo tradizionale, molto poco spesso editano i DTMs. Secondo Tom Patterson (2001) il fatto che i DTMs vengano modificati solamente quando il dato ha degli artefatti di produzione (es. il gridding18) può essere ricondotto alle seguenti cause: (i) la persistente convinzione che i DTM, come i paesaggi che rappresentano, siano immutabili, (ii) l’attenzione nel mantenere integri i dati creati da altri tecnici, (iii) la scarsa familiarità con le applicazioni e le tecniche necessarie e (iv) la limitata conoscenza del concetto stesso di manipolazione dei DTMs. L’autore, tuttavia, individua una serie di motivi per cui la manipolazione dei DTMs risulta fondamentale: (i) come i dati vettoriali anche i DTMs devono essere generalizzati per rimanere leggibili ad una scala più piccola, (ii) piccoli elementi topografici, la cui importanza è sproporzionata rispetto alla loro dimensione, possono essere valorizzati utilizzando un esagerazione verticale selettiva e (iii) modificare la morfologia topografica del DTM permette di descrivere il paesaggio in fasi precedenti o successive 17 Nelle rappresentazioni oblique del NPS il cielo occupa circa il 20% / 30% dell’area visibile totale (Patterson, 2000). 18 Il gridding è prodotto dalla discontinuità tra le patch dei DTM adiacenti (vedi Oimoen, 2000; Siddiqui, 2011).
Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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allo stato attuale. La manipolazione del DTM è un lavoro altamente specializzato che richiede una conoscenza approfondita del paesaggio, dei processi geomorfologici, della visualizzazione 3D e dei software necessari. Le tecniche di manipolazione usate sono identificabili in: (i) generalizzazione, (ii) manipolazione dell’altimetria, (iii) filtraggio e (iv) pittura e sostituzione topografica. Esistono diverse possibilità che permettono di realizzare queste tecniche, sia tramite software di grafica digitale sia con software di modellazione 3D. Generalizzazione del DTM La generalizzazione del DTM, nella fase attuale del processo di realizzazione della cartografia 3D, non viene applicata in modo uniforme a tutto il modello digitale. La generalizzazione può, infatti, variare: (i) orizzontalmente, (ii) verticalmente e (iii) localmente. In tutti e tre i casi oltre ad aggiungere delle proprietà alla scena, la generalizzazione, a seconda della tecnica con la quale viene realizzata, può diminuire il tempo di rendering; un fattore importante nella creazione delle mappe oblique (Moore, 1999). Generalizzazione orizzontale Nel caso della generalizzazione orizzontale, il livello di semplificazione del DTM aumenta gradualmente dal primo piano verso lo sfondo. Questa accortezza è necessaria poichè, come negli elaborati cartografici tradizionali, la risoluzione del DTM è correlata alla scala di rappresentazione. Dal momento in cui, nelle mappe 3D, la scala varia in maniera continua con l’allontanarsi dal punto di presa è opportuno generalizzare il DTM in funzione al Level of Detail relativo alla porzione della scena (vedi Variabili progettuali e variabili grafiche di simbolizzazione). Non adottare una generalizzazione progressiva nella scena, soprattutto se a media o piccola scala, porta alla formazione di un disturbo nelle aree di sfondo che non permette la comprensione delle macro-forme morfologiche (Jenny et al, 2011). Inoltre, con questa accortezza, si aumenta l’illusione ottica di profondità nella scena 3D (Patterson, 2001a). La generalizzazione progressiva orizzontale si può ottenere anche con software sviluppati ad hoc per questo scopo, come Terrain Equalizer19. Generalizzazione verticale La generalizzazione verticale viene, a differenza della precedente, applicata sull’asse verticale del DTM. Questa metodologia si basa sulla tecnica della Aerial perspective teorizzata da Eduard Imhof (1982), secondo cui: aumentare il contrasto delle forme del terreno nelle aree più elevate accentua l’effetto tridimensionale. Questo perché, nella cartografia tradizionale, le porzioni di terreno poste a quota maggiore sono teoricamente più vicine all’osservatore, e quindi necessitano di più dettagli, rispetto alle aree a quota minore20.
19 terraincartography.com/terrainequalizer/ 20 Patterson (2001b) illustra come ottenere questa generalizzazione con i software di grafica digitale, mentre Jenny & Patterson (2020) spiegano come realizzarla con gli strumenti di calcolo presenti nei software GIS.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Generalizzazione locale Infine, adottare una generalizzazione locale, e quindi, lasciare invariata la risoluzione del DTM in corrispondenza di importanti elementi topografici, e diminuirla nel resto del DTM, aiuta a direzionare l’attenzione dell’osservatore verso specifiche aree della scena. Manipolazione dell’altimetria La manipolazione dell’altimetria consiste nell’alzare o nell’abbassare la superficie del modello del terreno. Applicare questa tecnica a specifiche aree del terreno, come una montagna sulla quale è presente un impianto sciistico, permette di esagernarne l’altezza rispetto alle aree circostanti, e quindi di rappresentarla in modo più attraente (Patterson, 2001). In maniera opposta è possibile abbassare porzioni del DTM in primo piano che oscurano la porzione di scena in sfondo (Patterson, 2016). Estremizzando la manipolazione dell’altimetria, si può rimuovere porzioni del terreno, permettendo la realizzazione di sezioni in modo da mostrare gli elementi posti sotto al piano di campagna. Filtraggio La terza tecnica di manipolazione del DTM è il filtraggio che può essere usata per: (i) editare l’andamento del terreno o (ii) creare texture della copertura del suolo. Nel primo caso le informazioni relative all’altimetria, contenute nei pixel del DTM, vengono filtrate in modo da rimuovere i dettagli. Tale risultato si può ricavare attraverso il filtro Gaussian Blur (Patterson, 2001a). L’ampiezza del filtro controlla il livello di filtraggio: un raggio piccolo produce un DTM smussato mentre un raggio maggiore, o un’applicazione ripetuta dello strumento appiattisce il DTM ad una quota media tra il punto più alto e quello più basso della sezione del DTM a cui viene applicato. Questo può essere utile per livellare le aree intorno agli edifici posti su un pendio o per creare una sezione stradale pianeggiante rimuovendo il terreno di sterro e aggiungendo quello di riporto. Appiattire il DTM, per esempio, può anche risultare fondamentale quando il modello del terreno non rappresenta il percorso attuale del letto del fiume. In questo caso, per aggiornare il percorso del corso d’acqua, applicare il filtro Gaussian Blur con un raggio maggiore rende perfettamente piano il letto del fiume. D’altrocanto l’uso dei filtri, prevalentemente quelli presenti nei software per l’elaborazione grafica delle immagini digitali, permette di riprodurre sul DTM le texture che le coperture del suolo creano nel paesaggio21. Pittura e sostituzione topografica Il DTM può anche essere manipolato attraverso le tecniche di pittura e di sostituzione topografica. La prima consiste nel disegnare sopra il DTM con gli strumenti per la pittura, presenti 21 Per esempio, l’uso del filtro Median o Gaussian Blur applicato in aggiunta ad un Noise Filter crea un effetto simile a quello di una foresta vista dall’alto o un lieve livello di Noise FIlter simula la lava di tipo AA (Patterson, 2001a). Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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in quasi tutti i software di grafica 2D o 3D. Dato che questi strumenti simulano le tecniche di disegno, per applicarli sono necessarie delle competenze manuali simili a quelle per le illustrazioni tradizionali. Inoltre, disegnare sul DTM può risultare complesso poiché è difficile immaginare l’aspetto che il dato 2D, in scala di grigi, avrà nella visualizzazione 3D22. Questo tipo di tecnica può essere utile per ricostruire, o simulare, i fenomeni geomorfologici (Patterson, 2001a). La sostituzione topografica è invece una soluzione più semplice che prende spunto dal modo in cui nei libri di geomorfologia si descrivono ipotetici paesaggi passati e futuri: facendo riferimento a paesaggi attuali analoghi (Patterson, 2001a). Con la sostituzione topografica si vanno a rappresentare i fenomeni geomorfologici clonando porzioni di topografia da un DTM ad un altro23. In questo modo, una volta scelto un DTM di origine appropriato, la rappresentazione sarà più semplice e realistica della tecnica precedentemente descritta. Deformazione locale del terreno Un’ulteriore deformazione fondamentale per le rappresentazioni oblique è la deformazione locale del terreno. Come abbiamo già visto le viste prospettiche hanno delle limitazioni che, secondo Helen Jenny et al (2011), si possono identificare in: (i) occlusione, dovuta alla parziale o totale copertura degli oggetti di sfondo da parte degli oggetti di primo piano, (ii) prospettiva, a seconda del tipo di prospettiva usata gli elementi cartografici nello sfondo possono risultare irriconoscibili, e (iii) orientamento della vista, per quanto possa essere scelto in maniera accurata il punto di presa ci saranno sempre dei landmarks che non saranno rappresentati in modo chiaro o risultano nascosti. Per far fronte a questi problemi gli artisti hanno sviluppato nel tempo la tecnica della deformazione locale degli elementi cartografici (Patterson, 2000; Jenny, 2011). L’inconveniente legato all’occlusione è rilevante soprattutto nelle mappe turistiche (es. legate all’escursionismo o allo sci), dove parti dei percorsi, importanti landmarks e infrastrutture turistiche possono essere coperte da montagne o boschi. Questo porta gli utenti ad avere evidenti problemi legati alla pianificazione dell’escursione e all’orientamento. Gli artisti hanno perciò iniziato a spostare le montagne, allargare i fondivalle, raddrizzare le anse dei fiumi, ingrandire i punti di riferimento e livellare il terreno. L’effetto della prospettiva, soprattutto di quella centrale, può rendere irriconoscibile landmarks, percorsi o infrastrutture turistiche posti nello sfondo dell’elaborato. Diminuire la dimensione di importanti catene montuose, anche se non in primo piano, ha effetti sia sull’estetica sia sulla facilità di lettura della mappa 3D (Jenny et al, 2011). Per compensare questi problemi i pittori impegnati nella rappresentazione panoramica ingrandiscono elementi del paesaggio che altrimenti riceverebbero troppa poca attenzione dall’osservatore.
22 Un problema che emerge nell’ usare software di grafica per la manipolazione del DTM è che tali applicazioni non offrono una modalità di anteprima What You See Is What You Get (WYSIWYG). 23 All’interno dei software di grafica digitale tale manipolazione può essere realizzata con lo strumento Clone Stamp, andando poi a sperimentare la modalità di fusione ottimale tra i due DTM (Patterson, 2001a).
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Infine, la selezione del punto di presa porta inevitabilmente a mostrare il lato meno suggestivo o familiare, di importanti sezioni del paesaggio. Per questo motivo i pittori tendono a ruotare gli elementi del paesaggio per ritrarre il lato più conosciuto o informativo. L’uso di queste tecniche, nonostante non facciano parte degli standard cartografici tradizionali, è spesso necessario nelle rappresentazioni cartografiche 3D (Patterson, 2000). Le deformazioni devono però risultare necessariamente plausibili, estetiche e corrispondere a ciò che l’utente si aspetta di vedere (Jenny et al, 2011). L’Institute of Cartography del Politecnico Federale di Zurigo (ETH Zurich), ha sviluppato delle funzionalità, all’interno del software open-source Terrain Bender24, che permettono di muovere orizzontalmente, ruotare e scalare elementi elementi del paesaggio (Jenny et al, 2010; 2011). Tuttavia, queste funzionalità non sono ancora presenti nelle versione pubblica del software (Jenny, 2020). Proiezione (prospettiva) La scelta del tipo di proiezione, o prospettiva, determina il modo in cui il modello 3D viene proiettato sul piano. La rappresentazione cartografica obliqua prevede metodi di proiezione che non sono correlati alle comuni proiezioni usate nella cartografia tradizionale (es. Mercatore e Gall-Peters). Viene piuttosto adottato il concetto della proiezione dei raggi di luce (Jenny & Patterson, 2007). Il processo di trasferire il terreno 3D su un’immagine 2D è medesimo sia per le tradizionali tecniche di produzione analogica che per i moderni sistemi di rendering presenti nei computer (Jenny, 2004). Entrambi utilizzano i raggi di luce che partono dal punto di presa (l’occhio del pittore o la fotocamera) con una direzione ben definita. Ogni raggio interseca il piano di proiezione - situato tra il punto di presa e il terreno, e generalmente perpendicolare alla linea di vista centrale - in un punto A’ e il terreno in un punto A. Procedendo nell’unione di più punti del paesaggio sulla tela si va a creare la vista obliqua (Figura 1.4.4). A questo punto il pittore procede nel colorare l’area intorno al punto A’ con un colore simile a quello percepito nel punto A. Analogamente, attraverso la tecnica di ray-tracing, l’algoritmo del render dirige i raggi di luce simulati nella scena e assegna il colore al pixel nel punto A’ sulla base del colore che assume il punto A. Tale colore è determinato dall’interazione tra i raggi Figura 1.4.4: Creazione di una rappresentazione 2D dal paesaggio reale tramite la proiezione prospettica centrale (Imhof, 1963)
di luce e le varie proprietà assegnate agli oggetti (es. trasparenza e riflettività).
24 terraincartography.com/terrainbender/ Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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Nella produzione delle viste oblique dello spazio geografico vengono usate principalmente quattro proiezioni: (i) centrale, (ii) parallela, (iii) cilindrica e (iv) progressiva. La scelta del tipo di proiezione da utilizzare deve essere presa a seconda dello scopo della mappa e dell’area che si deve rappresentare. Infatti, come vedremo in seguito, ciascuna proiezione è in grado di mostrare in modo più chiaro ed efficace diverse caratteristiche del terreno. In questa fase il cartografo deve quindi scegliere se redigere l’elaborato in modo che sia più pratico o risulti più realistico (Jenks & Brown, 1966). Proiezione prospettica centrale La proiezione prospettica centrale corrisponde al modo in cui l’occhio umano avverte il mondo e per questo tendiamo a percepire le rappresentazioni che adottano questo tipo di proiezione come maggiormente realistiche. In questo caso le linee di vista che si estendono dallo spettatore verso la profondità della scena convergono verso un punto di fuga centrale, posto ad una distanza finita, mentre le linee perpendicolari alla direzione di vista rimangono parallele. Questa costruzione fa sì che la scala varia in modo continuo, sia orizzontalmente che verticalmente, in tutta la superficie della mappa. Per questo motivo le misurazioni nell’elaborato possono essere svolte solo in modo approssimativo usando dei punti di riferimento presenti nella scena. Con la proiezione prospettica centrale si creano, quindi, elevate distorsioni geometriche degli oggetti della scena, portando gli elementi distanti ad essere più piccoli rispetto agli oggetti vicini (Jobst & Dollner, 2008). Queste distorsioni aumentano con l’aumentare della distanza dal centro dell’immagine (Figura 1.4.5). Nonostante queste distorsioni nella produzione di elaborati cartografici 3D, realizzati attraverso l’ausilio di software di grafica, viene utilizzata quasi sempre questo tipo di proiezione. Proiezione parallela Nella proiezione parallela, invece, il punto di fuga si trova ad una distanza infinita e le linee di vista non convergono ma rimangono parallele. In questo modo gli oggetti mantengono le stesse dimensioni indipendentemente dalla loro distanza dal punto di presa. Le proiezioni parallele si dividono a loro volta tra (i) ortografiche e (ii) parallele oblique, a seconda dell’angolo che si forma tra le linee di vista ed il piano di proiezione. Figura 1.4.5: Distorsioni di un cubo in funzione della distanza dal centro dell’immagine utilizzando la proiezione prospettica centrale (Terribilini, 2001)
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Nel primo caso si forma un angolo retto ed è il tipo di proiezione che viene usata nella cartografia tradizionale. Nelle proiezioni
Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
parallele oblique, usate per le viste oblique del terreno, le linee di vista restano parallele ma non sono perpendicolari al piano. Tale inclinazione può essere prodotta (i) dall’inclinazione del piano di proiezione o (ii) dalla posizione del piano di proiezione rispetto al modello 3D (Figura 1.4.6). Nel primo caso il piano viene inclinato in modo da formare un angolo minore di 90° con le linee di vista. Nel secondo caso, invece, il piano resta parallelo alla base del modello ma viene traslato in modo da non essere più centrato rispetto all’area da rappresentare. Questo tipo di proiezione parallela porta alla realizzazione del Plan oblique relief (POR), una tecnica sviluppata recentemente per rappresentare il terreno in modo tridimensionale25 (Jenny, 2006). Senza inclinare il piano di proiezione si eliminano gli effetti della prospettiva, permettendo la misurazione delle distanze che intercorre tra punti posti alla stessa quota. Il miglior uso del POR è per rappresentazioni cartografiche a piccola scala, specialmente quando sono presenti rilievi isolati (Jenny & Patterson, 2007). A prescindere da cosa sia causata l’inclinazione delle linee di vista, in tutte le viste oblique aventi una proiezione parallela, la scala della scena rimane costante lungo ogni linea parallela, sia che questa sia orientata orizzontalmente che verticalmente (Jenks & Brown, 1966). Questo permette il confronto delle dimensioni di alcuni elementi presenti nella scena e la misurazione delle distanze direttamente dell’immagine. A causa del suo carattere isometrico però, questa proiezione, dà l’impressione di inarcarsi verso l’alto sullo sfondo e va in contrasto con il sistema cognitivo umano (Jobst & Dollner, 2008). Proiezione cilindrica Un’altra proiezione usata nella produzione delle viste oblique è quella cilindrica. La proiezione cilindrica va a generare dei panorami a 360° proiettando il paesaggio circostante su un cilindro verticale virtuale e poi srotolando il cilindro, in modo da generare un’immagine piana. Solitamente il punto di fuga viene situato al centro dell’estensione verticale della sezione del terreno, in modo da ridurre al minimo le distorsioni nei punti più bassi e più alti dell’immagine. Questo tipo di proiezione viene usata spesso per fornire informazioni relative allo scenario che si gode dalla cima di una montagna.
Figura 1.4.6: Tipologie di proiezioni parallele 25 Per vedere una rappresentazione interattiva del POR visitare la web map: cartography. oregonstate.edu/tiles/PlanObliqueEurope/ Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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Proiezione progressiva La proiezione progressiva è una tecnica di costruzione proiettiva molto comune nei panorami cartografici dipinti a mano e ciascuna delle suddette proiezioni può essere modificata in modo da acquisire questa caratteristica. Una visione progressiva riproduce il modo in cui i passeggeri di un aereo percepiscono il paesaggio. Con questa tecnica il primo piano della scena viene raffigurato come se venisse guardato da un punto di vista alto, simile ad una mappa tradizionale, mentre lo sfondo è rappresentato come se fosse visto da un punto di vista più basso (Jenny et al, 2010). In questo modo viene meno il bisogno di trovare un compromesso, spesso insoddisfacente, tra la visualizzazione ottimale del primo piano e la migliore visualizzazione dello sfondo. Non esistono delle formule esatte per la costruzione della proiezione prospettica poiché la griglia di costruzione e il grado di distorsione necessitano di essere adattate al paesaggio oggetto della rappresentazione. Mentre nella proiezione prospettica centrale lo sfondo della mappa 3D viene tagliato quando termina il modello, la proiezione progressiva dà l’impressione di rappresentare un orizzonte reale. In questo modo riesce a trasmettere meglio la morfologia del terreno, focalizzare l’attenzione dell’utente, guadagnare profondità di visualizzazione dell’immagine e ridurre le occlusioni. L’area di primo piano e l’area centrale della scena (dove solitamente si trovano le informazioni principali) risultano simili ad una mappa tradizionale mentre gli elementi sullo sfondo vengono visti frontalmente, permettendo quindi l’inserimento dell’orizzonte e del cielo in modo da rendere la vista più realistica26 (Patterson, 2001). Questa tecnica porta anche dei vantaggi in termini di utilizzo dei pixel dell’immagine per trasferire le informazioni. Infatti, quando il contenuto del pixel non può essere riferito ad uno specifico elemento, o al contenuto complessivo della visualizzazione, a causa della quantità limitata di pixel usati si parla di Dead values (DV). Dato che la proiezione progressiva riduce l’infinito numero di scale presenti nella scena ad alcuni classi, si riduce anche il numero di DV e quindi si ottimizza l’uso dei pixel per trasmettere le informazioni (Jobst & Dollner, 2008). La costruzione digitale della proiezione progressiva può essere ricavata con due metodi distinti: (i) modificando la proiezione della camera e (ii) deformando il modello 3D. Il primo metodo si realizza a sua volta tramite due tecniche: (i) la curvatura delle linee di vista e (ii) l’interpolazione delle fotocamere. Per creare una proiezione progressiva curvando le linee di vista (o di proiezione) queste vengono piegate verso il basso nell’area di primo piano, creando un angolo di vista elevato, e verso l’alto sullo sfondo, ottenendo un angolo di vista minore (Figura 1.4.7). L’approccio dell’interpolazione delle fotocamere, invece, consiste nell’uso di due fotocamere. La prima che va a rappresentare il primo piano della vista, mentre la seconda fotocamera cattura lo sfondo. Le aree centrali dell’immagine vengono riprese usando una terza 26 Specialmente per le applicazioni volte alla navigazione viene preferito mantenere la vista del primo piano della scena in modo prospettico e rappresentare lo sfondo quasi ortogonalmente. In questo modo vengono rappresentate più informazioni relativi al contesto di navigazione migliorando la stima della distanza (vedi Pasewaldt et al, 2012; 2014).
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
fotocamera avente dei parametri intermedi rispetto alle due telecamere principali (Figura 1.4.8). Entrambi i metodi appartenenti a questo gruppo non vanno a modificare la geometria del modello 3D del terreno, tuttavia risulta difficile per il cartografo avere un controllo sufficiente nella progettazione della proiezione progressiva (Jenny et al, 2010). L’approccio della curvatura del terreno fa invece parte del secondo gruppo. In Figura 1.4.7: Proiezione progressiva tramite la curvatura delle linee di vista (elaborazione da Jenny et al, 2010)
questo caso la proiezione progressiva si realizza andando a deformare la superficie del modello in due modi: (i) piegando l’area
in primo piano e applicando un angolo di presa basso o (ii) piegando l’area di sfondo e applicando un angolo di presa più elevato. I metodi per realizzare queste deformazioni sono diversi. Tom Patterson (2001), per esempio, descrive una tecnica che prevede di importare il DTM all’interno di Photoshop e di fonderlo con una sfumatura in scala di grigi per creare una curvatura convessa. Questa sfumatura dovrà essere: perpendicolare alla direzione di visualizzazione del modello 3D, di colore bianco nell’area che si vuole elevare e nera, o trasparente, nella parte inferiore e superiore. Visto che i dati altimetrici presenti nel DTM vengono rappresentati come una variazione di tonalità tra il colore nero, aree più vicine al livello del mare, ed il bianco, aree più elevate, la tecnica sopra descritta porterà ad elevare progressivamente l’area dove è maggiormente presente la sfumatura bianca27. L’utilizzo di questa tecnica non permette però di impostare l’esagerazione verticale della topografia in modo indipendente. Infatti, aumentando l’esagerazione di un DEM convesso si enfatizza ancora di più l’inclinazione della superficie del modello. Per questo motivo trovare la giusta intensità della sfumatura necessità di numerose
Figura 1.4.8: Proiezione progressiva tramite l’interpolazione delle fotocamere (elaborazione da Jenny et al, 2010)
27 Combinando il DTM con una sfumatura a forma di arco convesso che si inclina verso l’osservatore si crea una superficie topografica a cupola (Patterson, 2001). Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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prove (Patterson, 2001). Sulla base del metodo sviluppato da Patterson l’Institute of Cartography del Politecnico Federale di Zurigo (ETH Zurich), ha sviluppato Terrain Bender, un software open-source per la creazione di viste progressive (Jenny et al, 2010). Con l’ausilio di questo software gli utenti possono controllare il grado di curvatura ed esaminare l’anteprima del terreno deformato. L’utente può scegliere se applicare la vista progressiva a una proiezione: prospettica centrale, parallela o cilindrica. Inoltre, Terrain Bender altera solamente i valori della quota mentre le coordinate x e y del DTM restano georeferenziate, permettendo così di applicare dati spazialmente riferiti al modello. Variabili progettuali e variabili grafiche di modellazione degli elementi cartografici Una volta raccolti i dati geografici necessari a completare l’elaborato cartografico i dati vengono caricati nel software 3D per essere modellati. Si va quindi a creare il modello 3D di base, posizionando sul modello 3D del terreno due tipi di elementi: (i) gli oggetti da inserire nella mappa e (ii) gli oggetti volti ad assistere gli utenti finali nell’estrazione delle informazioni georiferite dalla mappa. Sulla base di questi due elementi, Christian Häberling (2003), individua altrettante variabili progettuali di modellazione, relative alla: (i) modellazione degli oggetti rappresentati e (ii) modellazione degli oggetti di orientamento. Ognuna composta da una serie di variabili grafiche di modellazione (Tabella 4). MODELLAZIONE DEGLI ELEMENTI CARTOGRAFICI Variabili progettuali
Variabili grafiche
Oggetti rappresentati
Dati vettoriali Dati raster
Oggetti di orientamento
Etichette Coordinate Freccia del nord Barra di scala
Tabella 4: Variabili progettuali e variabili grafiche della fase di modellazione degli elementi cartografici
Modellazione degli oggetti rappresentati La prima variabile che entra in gioco in questa fase di progettazione della cartografia 3D riguarda la modellazione degli oggetti rappresentati. Ciascuno di questi geodati viene collocato sul DTM e può avere un formato di tipo vettoriale o raster. Dati vettoriali I dati di tipo vettoriale si differenziano in base alla loro dimensionalità in: (i) puntiformi, oggetto a dimensione zero che specifica la posizione dell’oggetto, (ii) lineari, oggetto monodimensionale che indica il tracciato, (iii) areali, oggetto bidimensionale che definisce l’estensione di un elemento, o (iv) volumetriche, ha carattere tridimensionale e definisce il volume di un oggetto.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Dati raster Le informazioni contenute in un file raster (es. il DTM) invece sono distribuite su una struttura regolare di pixel. Questi dati risultano adatti a rappresentare delle informazioni che variano continuamente nello spazio (es. copertura del suolo) e spesso vengono usati anche come texture. Modellazione degli oggetti di orientamento L’ultima variabile grafica che completa il modello 3D è quella legata agli oggetti d’orientamento. Ovvero quegli elementi che aiutano l’utente ad individuare la geolocalizzazione degli oggetti cartografati. Gli oggetti di orientamento si dividono nei seguenti gruppi: (i) etichette, volte a denominare gli elementi della mappa, richiedono almeno un vettore di posizione a cui sono allegate le informazioni in formato testo, (ii) dettagli della posizione, indicano le coordinate direttamente nel modello attraverso informazioni puntuali o grazie al reticolato geografico28, (iii) freccia del nord, è necessario inserirla quando la mappa non è orientata verso nord o quando la mappa viene usata per funzioni dove la determinazione della direzione è cruciale (es. navigazione ed escursionismo) e (iv) scala, serve per facilitare la stima della distanza29. Gli oggetti di orientamento da inserire nel modello vengono scelti in questa prima fase e, come gli altri elementi cartografici, sono simboleggiati nella fase successiva. Tuttavia, è possibile inserirli anche nella fase di visualizzazione con l’ausilio di software di grafica digitale (vedi Accorgimenti di finitura). Variabili progettuali e variabili grafiche di simbolizzazione Le variabili di simbolizzazione sono le impostazioni che determinano l’aspetto dei geodati presenti nel modello 3D. Ad ognuno di questi elementi viene applicato un simbolo appropriato, precedentemente stabilito in una apposita legenda. Nella cartografia 3D i geodati risultano più o meno vicini al punto di presa, in base alle scelte precedentemente fatte nella fase di pianificazione della scena (es. fotocamera e tipo di prospettiva), e quindi hanno un impatto visivo diverso (Donati Sarti, 2021). A seconda della loro posizione spaziale, durante questa fase, è necessario applicare il concetto di Level of Detail (LoD) cioè il grado di corrispondenza tra l’aspetto dell’oggetto rappresentato e l’aspetto dell’oggetto nel mondo reale (Biljecki et al, 2014). Questo grado di fedeltà dipende dalla distanza che intercorre tra l’oggetto ed il punto di presa, e quindi dalla scala dell’elaborato. Mentre nella cartografia tradizionale le mappe possono essere a grande, media e piccola scala - in base al rapporto di scala che viene adottato - nella cartografia 3D tale classificazio28 Il reticolato geografico aiuta il fruitore della mappa a interpretare la dimensione dell’area rappresentata ma anche ad interpretare il grado di distorsione dell’elaborato (Robinson, 1985). 29 Dato che negli elaborati cartografici 3D la scala varia in maniera continua l’uso delle barre di scala può essere valida solo per una determinata area dell’elaborato. Per questo motivo è consigliato l’uso di più barre di scala o del reticolato geografico. Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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SIMBOLIZZAZIONE Variabili progettuali
Variabili grafiche
Aspetti grafici
Forma Dimensione Colore Suddivisione della superficie Rugosità Trasparenza Proprietà dei materiali Texture
Aspetti grafici speciali
Distribuzione degli oggetti Posizione degli oggetti
Testo
Tipologia Dimensione Colore Posizionamento Direzione Spaziatura Effetti
Tabella 5: Variabili progettuali e variabili grafiche della fase di simbolizzazione
ne varia a seconda dell’estensione del territorio visualizzato nella scena (Bandrova & Bonchev, 2013). Inoltre, dato che in una mappa 3D esistono infinite scale, è necessario usare più simboli per rappresentare una stessa classe di elementi cartografati, a seconda della posizione che assumono nell’elaborato. Si va quindi a scaglionare la scena, cioè stabilire un numero intervalli discreFigura 1.4.9: Esempio di scaglionatura della scena (Terribilini, 2001)
ti e prevedere per ogni oggetto un set di simboli diversi, a seconda dell’intervallo in cui ricade (Figura 1.4.9). I simboli usati per rappresentare oggetti vicini all’osservatore sono più realistici, dettagliati e luminosi, mentre con l’aumento della distanza, essi, diventano sempre più semplici, scuri, geo-
Figura 1.4.10: Cambio di simbologia di uno stessto elemento cartografico in base alla distanza dal punto di presa (Petrovic, 2003)
metrici e meno dettagliati (1.4.10) (Petrovic, 2003). L’Open Geospatial Consortium (OGC)
propone cinque LoDs per la costruzione dei modelli 3D delle città. Questi variano tra il LoD0, dove gli edifici vengono rappresentati nella loro proiezione a terra, al LoD4, nel quale si arriva a rappresentare la disposizione interna delle stanze negli edifici (OGC, 2012). Tuttavia, nella cartografia 3D viene solitamente adoperato un numero di classi variabile tra tre e quattro.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Queste identificano i seguenti piani prospettici: (i) l’area di primo piano, (ii) l’area centrale e (iii) l’area di sfondo (Terribilini, 2001; Häberling, 2002; Petrovic, 2003). L’estensione di questi piani si può determinare in base alla quota ed al pitch che assume la fotocamera al momento del render (Capitanio et al, 2015). A parità di inclinazione di visualizzazione (pitch), maggiore è la quota e maggiore sarà la profondità dell’area di primo piano, dell’area centrale e dell’area di sfondo. A parità di quota del punto di presa, invece, maggiore è il valore di pitch e maggiore risulta sia l’effetto prospettico sia la variazione di scala tra il primo piano e lo sfondo. Sulla base della letteratura scientifica si possono adottare le seguenti descrizioni delle classi di LoD per la cartografia 3D: (i) il LoD0 rappresenta le classi di uso e copertura del suolo (LULC) con la loro proiezione a terra, attraverso texture prive di molti dettagli e gli elementi puntuali fondamentali per l’orientamento vengono rappresentati con simboli semplici, (ii) il LoD1 ritrae le classi relative al LULC estruse di un valore stimato in base alle proprie dimensioni medie e gli edifici aggregati ed estrusi per un valore pari alla loro altezza media, infine (iii) il LoD2 va a raffigurare il LULC con simboli simili alla realtà, gli edifici non sono generalizzati e possono avere anche i dettagli delle facciate e della tipologia di copertura. Quest’ultima classe viene usata per l’area di primo piano, il LoD1 per l’area centrale mentre il LoD0 per l’area di sfondo. In alcuni casi, per facilitare l’orientamento degli utenti, è consigliato rappresentare i landmarks con le caratteristiche del LoD2, esagerando le dimensioni rispetto realtà, in modo da facilitare la visibilità, anche se ricadono in aree più lontane del primo piano30. Il LoD utilizzato deve anche essere relazionato allo scopo dell’elaborato cartografico; se stiamo realizzando una mappa per un parco risulta consono usare un LoD più alto per le aree all’interno del parco stesso e più basso all’esterno (Patterson, 2005). La tecnica del LoD permette di ridurre la complessità della scena e quindi influenza significativamente la velocità di visualizzazione e di rendering dell’elaborato; per questo motivo il livello di dettaglio adottato deve essere direttamente correlato alla velocità di elaborazione del computer (Häberling, 2002). Concluso il processo di simbolizzazione il modello 3D, precedentemente creato, diventa un modello cartografico 3D31. Häberling (2003) distingue tre variabili progettuali di simbolizzazione: (i) aspetti grafici, (ii) aspetti grafici speciali e (iii) elementi testuali (Tabella 5). Una volta completato il processo di simbolizzazione è opportuno verificare come sono rappresentati gli oggetti spaziali nell’elaborato. Infatti, la topografia dell’area di interesse, la posizione spaziale in cui ricadono gli oggetti, la proiezione scelta, il punto di presa e la simbolizzazione adottata vanno a determinare la visibilità e la distorsione degli oggetti sulla mappa. Per questo è necessario considerare se gli oggetti della mappa sono visibili e ricono-
30 In generale i dettagli attraggono l’attenzione degli osservatori e informano, inconsciamente, quest’ultimi che si tratta di luoghi degni di nota (Patterson, 2005). 31 Tuttavia, è fondamentale tenere in considerazione che l’aspetto degli oggetti nell’elaborato finale è fortemente influenzato dagli aspetti progettuali di visualizzazione. Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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scibili e, in caso contrario, stabilire se, e come, devono essere rappresentati. Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione in questa fase è la densità dell’immagine, ovvero il rapporto tra l’area dell’immagine occupata dagli oggetti cartografici simbolizzati e l’area del terreno visibile32 (Häberling, 2003). Più questo indice risulta alto e meno superficie del terreno risulterà visibile nella carta. Se la scena appare troppo coperta da simboli è necessario procedere con l’omissione di alcuni oggetti o classi di oggetti. Per attuare questa forma di generalizzazione bisogna prima determinare le caratteristiche minime di visualizzazione (es. corsi d’acqua principali, aree boschive con più di una certa estensione o insediamenti in primo piano) e poi andare a effettuare una selezione automatica, o semi-automatica, degli oggetti da escludere nella banca dati di base.
In alcuni casi può risultare ottimale concludere il processo di simbolizzazione di alcu-
ni elementi cartografici all’interno di software di grafica vettoriale (es. Illustrator). Questo è consigliabile quando gli elementi necessitano di essere comunicati in maniera estremamente chiara (Patterson, 2016); svolgendo la simbolizzazione nei software di modellazione 3D, infatti, non è sempre possibile trovare un’alternativa al vasto numero di effetti presenti nei software di grafica 2D. I software di grafica vettoriale sono, per loro natura, molto utili per la realizzazione di simboli. Nelle viste oblique a grande scala, per esempio, tali software possono essere usati per rappresentare in modo prospettico gli edifici principali. In questo modo i simboli possono inoltre essere facilmente modificati, così da renderli visibili anche se originariamente sono posti in porzioni nascoste dalla morfologia del terreno. Allo stesso modo, inserire nell’elaborato gli elementi testuali attraverso l’uso di software di grafica vettoriale permette una maggiore libertà di stilizzazione e una maggiore semplicità nella correzione di eventuali errori. Tuttavia, così facendo, il processo di posizionamento delle etichette non è automatizzato, come potrebbe essere all’interno dei software di modellazione 3D, e di conseguenza risulta più lungo. Il procedimento che può essere adottato per simbolizzare gli elementi cartografici di un elaborato 3D all’interno di un software di grafica vettoriale 2D è quello di: (i) importare gli elementi cartografici nel software di modellazione 3D in formato vettoriale, (ii) disporli sul terreno, (iii) esportarli, in formato vettoriale o raster, in base all’inquadratura della scena e (iii) importarli nel software di grafica vettoriale. Tali informazioni verranno poi posizionate sulla mappa di base nella fase di visualizzazione. Per accentuare la sensazione di prospettiva le linee, e gli oggetti in generale, devono essere progressivamente meno spesse dal primo piano della scena verso lo sfondo. Aspetti grafici La presente variabile di progettazione determina le caratteristiche base dei simboli presenti nell’elaborato cartografico 3D. Queste sono definite dall’uso di otto variabili grafiche, rispettivamente riferite: (i) alla forma, (ii) alla dimensione, (iii) al colore (iv) alla suddivisione della
32 Questo rapporto, oltre a dipendere dalle caratteristiche della simbolizzazione, dipende fortemente dalle impostazioni delle variabili di pianificazione.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
superficie, (v) alla rugosità, (vi) alla trasparenza, (vii) alle proprietà dei materiali e (viii) alle texture. Forma La prima variabile determina la forma dei simboli. Questa deve essere simile alla forma degli oggetti reali, in modo da rendere la comprensione della mappa più semplice agli utenti. Il grado di similitudine, o se preferiamo di astrazione, tra la forma del simbolo e la realtà, può variare tra uno stile astratto ad uno stile realistico. Häberling et al (2008) hanno, a seguito di un sondaggio, definito i seguenti principi che devono essere seguiti nella definizione della forma di un simbolo: (i) deve essere volumetrico, (ii) deve essere costituito da forme geometriche semplici e (iii) deve avere un aspetto naturale e realistico ma non deve essere fotorealistico. In aggiunta ci deve essere una buona differenziazione tra le singole classi di oggetti (Häberling, 2003). Nella realizzazione, o nella scelta, dei simboli da utilizzare è bene tenere sempre in considerazione il principio di minimizzazione del numero di poligoni. Infatti, usare dei simboli dettagliati nella scena porterà il progetto ad essere inutilizzabile a causa della richiesta di calcolo non sostenibile per il computer. Inoltre, c’è il rischio che questi dettagli risultino impercettibili nell’elaborato finale. Per questo nella scelta della forma del simbolo è opportuno trovare delle strategie per ridurre la dimensione del file. Usare, per esempio, un albero con meno foglie ma di dimensioni maggiori è utile per raggiungere tale obiettivo senza intaccare la qualità finale dell’elaborato (Patterson, 2005). Dimensione La seconda variabile grafica definisce la dimensione metrica dei simboli. Generalmente la dimensione adeguata a una classe di simboli deve essere definita in base allo scopo della mappa ed agli aspetti di carattere estetico. Inoltre, la dimensione determina in modo sostanziale la leggibilità di un’informazione, intesa come la possibilità di vedere e riconoscere qualcosa. Anche per questa variabile Häberling et al (2008) hanno individuato due principi da seguire: (i) i simboli devono essere identificabili sia in primo piano sia nello sfondo e (ii) i simboli non devono coprirsi l’un l’altro. La dimensione orizzontale dei simboli molto spesso deriva direttamente dai dati selezionati nel processo di modellazione. Tuttavia, esagerare la dimensione di alcuni simboli, fondamentali per l’elaborato, aiuta ad attirare l’attenzione del fruitore (Patterson, 2005). Colore Il colore è una variabile fondamentale per differenziare qualitativamente e quantitativamente, gli oggetti della scena (Slocum et al, 2013). Il colore può essere applicato in modo omogeneo o sfumato agli elementi del modello 3D. L’uso di colori che si trovano in natura è consigliabile poichè rende l’elaborato meno
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suscettibile a interpretazioni errate e facilita la memorizzazione della scena33 (Wichmann et al, 2002). Per assegnare dei colori naturali all’elaborato si può: (i) applicare una foto aerea alla scena o (ii) selezionare dei colori in base alle caratteristiche del paesaggio. La prima tecnica fornisce un aspetto realistico con l’uso di immagini aeree. Per quanto facile e speditivo questo procedimento porta con sé non pochi problemi, che Tom Patterson (2002) individua in: (i) inversione del rilievo, le immagini satellitari sono catturate a metà mattinata quando nell’emisfero nord la luce del sole arriva da sud-est, (ii) ombre proiettate, possono oscurare importanti porzioni di terreno, (iii) eccessive informazioni, i contenuti dell’immagine non sono generalizzati e rendono difficile la comprensione, (iv) informazioni inappropriate, linee elettriche o aree in costruzione non sempre sono congruenti allo scopo della mappa, (v) informazioni invisibili, a causa delle dimensioni o della presenza di nubi alcuni elementi non possono essere riconosciuti, (iv) assenza di gerarchia, elementi fondamentali ed elementi secondari per lo scopo della mappa risultano ugualmente significativi e (vii) sensibilità temporale, le fotografie aeree mostrano un singolo momento nel tempo e non rappresenta il paesaggio medio durante l’anno. Tuttavia, l’uso di strumenti presenti nei comuni software di grafica (es. contrasto e saturazione) permettono di risolvere alcuni di questi problemi (vedi Patterson, 2016). La seconda tecnica va a formare una palette di colori attraverso lo studio del paesaggio in questione. Questo può essere fatto in modo automatico con software come MapComposer34, il quale crea delle mappe con colori naturali basandosi sui dati relativi all’altimetria e alle precipitazioni (Darbyshire & Jenny, 2017). O, in modo simile alla tecnica usata recentemente da Google per selezionare i colori del proprio servizio di navigazione (Banerjee, 2020), identificando i colori rappresentativi di ogni categoria di copertura del suolo tramite dalle immagini satellitari. Creare una palette dalle fotografie, anche scattate da terra, del luogo rappresentato aiuta a selezionare colori che si trovano tipicamente nel luogo stesso (Patterson, 2005). In ogni caso alcuni elementi del paesaggio non possono essere rappresentati con i propri colori reali. Questo può accadere per motivi di convenzioni cartografiche (es. usare il blu per i corpi d’acqua) o chiarezza (es. usare colori innaturali per rappresentare elementi antropici) (Patterson & Kelso, 2004). Nella scelta dei colori risulta opportuno tenere in considerazione le seguenti linee guida: (i) i colori devono essere scelti in modo che ci sia un buon livello di contrasto tra gli oggetti della scena e quindi l’osservatore possa distinguere facilmente i singoli simboli e (ii) il livello di contrasto, cioè di differenza, tra i colori usati nell’elaborato deve essere adeguato. Per verificare quest’ultimo fattore si può usare l’indice di contrasto del colore. Tale indice varia da 1:1, quando non c’è contrasto (es. simbolo nero su sfondo nero) a 21:1, massimo contrasto
33 L’idea delle mappe con colori naturali è nata negli anni ‘50, quando Hal Shelton, incaricato di redigere delle mappe per i passeggeri di una compagnia aerea, pensò che usare i colori presenti nel paesaggio reale potesse aiutare la comprensione dello stesso (Patterson & Kelso, 2004). 34 github.com/OSUCartography/MapComposer
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(es. simbolo nero su sfondo bianco)35. Per rendere la lettura dell’elaborato accessibile a tutti gli utenti è consigliabile usare combinazioni di colori che non creino difficoltà alle persone con problemi nel visionare gli stessi. Un software utile a questo scopo è Colour Oracle36, il quale applica un filtro all’intero monitor del computer che permette di simulare ciò che vede una persona affetta da discromatopsia (o daltonismo) (Jenny & Kelso, 2007). Risulta fondamentale tenere presente che i colori scelti in questa fase saranno influenzati dalle decisioni prese nella fase di visualizzazione (Häberling, 2003). Pertanto, sarà importante verificare che gli oggetti mantengono la leggibilità nella fase finale. Suddivisione della superficie Il valore di suddivisione della superficie è l’indice con cui le facce di un oggetto vengono divise in facce più piccole o, in alternativa, più grandi. Il primo caso viene adottato quando si vuole smussare una superficie, fornendogli un aspetto più liscio. Questo accorgimento può essere usato per compensare la bassa risoluzione spaziale del DTM (Häberling, 2003). Diminuire la complessità delle facce, viceversa, risulta utile per ridurre la potenza di calcolo necessaria per visualizzare la scena, eliminando i dettagli non necessari. Rugosità della superficie La rugosità della superficie determina la regolarità o l’irregolarità della superficie e quindi il modo in cui viene riflessa la luce. Una superficie rugosa porta ad una riflessione diffusa, il raggio di luce incidente viene diffuso in molte direzioni, mentre una superficie liscia riflette il raggio incidente in un angolo determinato, si parla quindi di riflessione speculare. A seconda del tipo di oggetto da rappresentare la struttura della superficie può essere liscia o ruvida. Un corpo d’acqua, per esempio, necessità di avere un valore di rugosità molto basso, così da permettere la riflessione nell’acqua degli oggetti adiacenti della scena. Viceversa, la porzione di terreno con copertura del suolo a “prati stabili” avrà un valore di rugosità molto più alto. Trasparenza La trasparenza determina se la luce può passare attraverso un oggetto o meno. Questa variabile può essere usata su un determinato oggetto per rendere visibile la porzione di scena retrostante. In generale, tuttavia, negli elaborati cartografici 3D gli elementi della scena sono completamenti opachi e quindi l’utilizzo di questa variabile è molto rara. Proprietà dei materiali I software di modellazione 3D riescono a variare le proprietà dei materiali, simulando fenomeni fisici. In questo modo gli oggetti della scena possono acquisire un aspetto più o meno naturale. Queste possibilità permettono di raggiungere un elevato grado di realismo che gio-
35 Per calcolare l’indice di contrasto esistono numerose applicazioni online (es. Contrast Checker e Color contrast checker). 36 colororacle.org Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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ca un ruolo fondamentale nel comunicare efficacemente i fenomeni geografici ad un numero maggiore di utenti (Patterson, 2002). I risultati della ricerca condotta da Häberling et al (2008) hanno sottolineato come nella cartografia 3D un certo grado di realismo è necessario, ma gli oggetti non devono diventare fotorealistici. Texture Le texture sono immagini digitali che vengono applicate al modello 3D. Queste hanno un ruolo fondamentale nella creazione degli elaborati cartografici 3D, infatti l’applicazione di immagini o dettagli irregolari ai geodati, rende la scena più realistica. L’uso delle texture è proprio uno dei quattro accorgimenti necessari per creare degli elaborati cartografici realistici, poiché forniscono un effetto tattile che imita più da vicino la natura37 (Patterson, 2002). Le texture possono avere un aspetto che varia da quello geometrico-astratto (es. campitura puntuale regolare) al simbolico-immaginario (es. campitura con grappoli d’uva stilizzati) fino a quello fotorealistico (es. foto aeree) (Häberling, 2003). Le texture possono essere estratte da foto aeree con le tecniche del Texture substitution (Nighbert, 2000; Patterson, 2002) e del Bump mapping (BM) (Patterson, 1999; 2016). Quest’ultima, particolarmente efficace nel produrre texture realistiche, va a creare irregolarità sulla superficie del modello 3D senza modificarne effettivamente la forma. Per fare ciò vengono usate le informazioni di contrasto presenti nella foto aerea dove, come avviene per la generazione dell’hillshade dal DTM, i toni chiari rappresentano una porzione di copertura di suolo più alta rispetto a quelli scuri. In questo modo si riesce, per esempio, a fornire un aspetto tridimensionale alla vegetazione, basandosi proprio sulle texture presenti in natura. Usando questa tecnica è necessario porre attenzione ad evitare di rendere la scena troppo scura o contrastata (Patterson, 2005). Per aggiungere dei dettagli al DTM, e quindi enfatizzare delle caratteristiche morfologiche di un terreno, si può usare, al posto delle foto aeree, l’output prodotto dalla tecnica della Texture Shading (TS) (Brown, 2014; Patterson, 2014; 2015). Tale tecnica, sviluppata da Leland Brown (2014), riesce a rivelate dei dettagli del terreno, altrimenti non facilmente visibili, andando ad aumentare il contrasto del DTM. Un altro modo per raggiungere un risultato simile è quello di usare l’algoritmo del Topographic Position Index (TPI) (Weiss, 2001; Jenness, 2006). Il TPI mette a confronto il dato relativo all’elevazione delle celle del DTM con il valore medio di un intorno specifico di ogni cella. Questo indice può essere usato per svolgere diversi tipi di analisi a livello paesaggistico (Tagil & Jenness, 2008; Ilia et al, 2013; Donati Sarti, 2020), ma dato che produce un output simile al TS può essere usato al posto di quest’ultimo. Secondo Tom Patterson (2005) ci sono quattro linee guida per creare texture efficaci da applicare agli elaborati cartografici 3D: (i) evitare texture piatte, piccole variazioni di luce e ombra forniscono realismo ed attrattività agli elementi, (ii) non usare texture ripetitive o 37 Oltre all’uso di texture le altre regole sono: (i) non usare geometrie lineari, (ii) usare dati in formato raster e (iii) usare piccole variazioni tonali al posto di colori uniformi (vedi Patterson, 2002).
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geometriche e (iii) non usare eccessivamente le texture, poiché la scena rischia di diventare pesante. Infatti, non tutti gli elementi della scena sono adatti ad essere rappresentati con le texture e lasciare porzioni dell’elaborato non texturizzate fornisce all’occhio del lettore un posto dove riposarsi (Patterson, 2002). Aspetti grafici speciali Nella fase di simbolizzazione ci sono ulteriori variabili da tenere in considerazione. Tra quelle descritte da Häberling (2003), hanno una notevole importanza le seguenti: (i) distribuzione degli oggetti e (ii) posizione degli oggetti. Distribuzione degli oggetti La distribuzione degli oggetti è una variabile fondamentale nella cartografia tradizionale come in quella 3D. Infatti, una distribuzione meno densa degli elementi nell’elaborato aiuta il processo di percezione (Häberling, 2003). Nella progettazione della mappa prospettica bisogna tener conto delle relazioni che intercorrono tra gli oggetti vicini e tra quelli appartenenti ad una stessa classe. Occorre quindi valutare la distribuzione degli oggetti nelle diverse porzioni della scena (primo piano, area centrale e sfondo). Le scelte prese in questo frangente devono essere guidate dall’intento di voler far percepire, in modo chiaro, le strutture essenziali all’utente. Posizione degli oggetti Nonostante la posizione degli oggetti sul modello 3D del terreno sia determinata dalla loro geolocalizzazione, dopo il processo di simbolizzazione può essere richiesto un loro spostamento. Si possono infatti verificare delle interferenze tra i simboli di oggetti vicini che non sempre garantiscono la loro riconoscibilità. In questi casi uno dei due oggetti deve essere spostato dalla propria posizione georeferenziata originale in modo da preservare la leggibilità o si può introdurre un nuovo simbolo che li rappresenti tutti. Lo spostamento, come nella generalizzazione delle mappe tradizionali, deve però preservare l’essenza ed il contenuto delle informazioni originali (Kraak & Ormeling, 2010). Testo Sebbene la cartografia sia una rappresentazione simbolica, gli elementi testuali giocano un ruolo fondamentale. Infatti, si può affermare che, l’aggiunta del testo trasforma l’elaborato da un’opera d’arte ad una mappa (Patterson, 2002). Secondo Wood (2000) il testo in una mappa può avere i seguenti scopi: (i) letterale, fornisce il nome degli oggetti, (ii) localizzativo, mostra la posizione, (iii) qualitativo, distingue le classi di oggetti e (iv) quantitativo, indica le differenze di dimensioni. In generale l’uso del testo è indispensabile quando la sola simbolizzazione grafica non è in grado di comunicare al lettore delle informazioni importanti per il raggiungimento dello scopo dell’elaborato.
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L’impiego del testo nella cartografia 3D segue, generalmente, le regole della cartografia tradizionale (vedi Tyner, 2010; Peterson, 2015), risulta comunque importante approfondire le seguenti variabili: (i) tipologia, (ii) dimensione, (iii) colore, (iv) posizionamento, (v) direzione, (vi) spaziatura ed (vii) effetti. Tipologia La tipologia di carattere da usare nell’elaborato è la prima scelta che deve essere presa in questa fase. I caratteri usati più spesso in cartografia appartengono alle categorie dei serif e sans serif, anche se ne esistono molte di più (es. monospace e display). Ogni carattere, da qui in poi font, ha una sua personalità e deve essere perciò scelto in base allo scopo e, di conseguenza, allo stile della mappa. La prima categoria di font, quella dei serif ha le così dette “grazie”, cioè degli allungamenti alle estremità del carattere che lo rendono più elegante e classico. I sans serif, invece, sono “senza grazie” e hanno una forma tendenzialmente squadrata; caratteristica che li fa risultare più essenziali e moderni. I font appartenenti ad ognuna di queste due categorie possono comunque essere molto differenti, quindi la scelta non è sempre immediata. Da un punto di vista di leggibilità - intesa come livello di distinzione tra le lettere di un font - la presenza delle grazie condiziona in modo negativo la chiarezza a certe distanze e con basse risoluzioni. I serif sono quindi più consigliati per elaborati che devono essere osservati ad una breve distanza, mentre il titolo della mappa è generalmente consigliato scriverlo in sans serif (Peterson, 2014). In cartografia ci sono delle convenzioni che devono essere necessariamente tenute in considerazione quando si inserisce del testo nell’elaborato: (i) le lettere iniziali sono sempre maiuscole, eccezione fatta per i nomi delle grandi città e degli oceani che possono essere tutti maiuscoli, (ii) gli elementi idrografici vengono rappresentati con lo stile italic e (iii) gli insediamenti urbani come le catene montuose sono identificate con font non italic. Tipicamente nelle mappe vengono usati due tipi di font, uno serif e un’altro sans serif, con i propri stili (es. regular, bold e italic). Tuttavia, secondo Gretchen N. Peterson (2014) queste convenzioni possono, con delle buoni motivazioni, anche non essere seguite. Nelle cartografie 3D, per esempio, a causa dell’uso di molte texture e della presenza di ombre, lo stile regular non è sempre ben visibile (Patterson, 2002). Dimensione La dimensione dei font è una variabile che determina la riconoscibilità del testo nell’immagine. La dimensione di un font è determinata dalla distanza che intercorre tra il carattere più alto (es. H) e quello più basso (es. “g”). Viene indicata in points (pt) (punti tipografici) dove 1 pt = 0,352778 mm. La variabile principale da tenere in considerazione nello scegliere la dimensione del font, come nello scegliere la dimensione dei simboli, è la distanza d’osservazione. A causa della presenza della prospettiva negli elaborati cartografici 3D gli elementi testuali devono essere scalati in base alla posizione che assumono nella scena (Häberling,
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2003). Per questo la dimensione più piccola del carattere - comunque maggiore della dimensione minima che garantisce la leggibilità - deve essere applicata al testo sullo sfondo. Colore Il colore del testo rende più chiaro a quale classe di oggetti si riferisce l’etichetta. Per convenzione le etichette degli elementi idrografici hanno una tonalità blu (es. ciano o azzurro), leggermente più scura del colore dei simboli stessi, o bianca. Le etichette delle città sono molto spesso nere o grigio scuro. Il rosso viene usato per etichette riferite ad elementi importanti, mentre il verde ed il marrono sono usati per oggetti naturali (es. parchi nazionali e catene montuose). La scelta del colore del testo deve essere quindi fatta seguendo le convenzioni cartografiche ma è fondamentale che sia presente un buon contrasto con gli altri elementi dell’elaborato. Il World Wide Web Consortium (W3C) (2008) ha stabilito che il rapporto minimo di contrasto, tra il testo e lo sfondo della pagina, per garantire l’accessibilità delle informazioni agli utenti deve essere di 4,5:138. Tale valore nell’ambito cartografico non è sempre facile da raggiungere, ma può, tuttavia, essere preso come riferimento. Posizionamento Il posizionamento delle etichette è un’altra variabile molto importante nella cartografia. Una buona scelta della posizione aiuta nella lettura della mappa e ne migliora anche l’estetica. Eduard Imhof (1975) fornisce una serie di principi da seguire nel posizionamento degli elementi testuali nelle mappe: (i) leggibilità, mettere un testo su un’area con molti simboli è controproducente, (ii) chiara associazioni grafica, il nome deve essere chiaramente associato all’oggetto che identifica, (iii) evitare sovrapposizioni, non devono disturbare gli altri elementi della mappa, (iv) sono tenuti ad evidenziare l’estensione territoriale e l’importanza degli oggetti e (v) non devono né essere troppo dispersi né troppo densi. Le regole di posizionamento delle etichette testuali varia a seconda del tipo geometria del simbolo: (i) puntuale, (ii) lineare o (iii) areale. Per i simboli puntiformi l’etichetta deve essere sopra, accanto o sotto l’oggetto. Le etichette posizionate in alto a destra del simbolo sono consigliate, mentre mettere il simbolo e l’etichetta sullo stesso livello può far diminuire la leggibilità. I simboli lineari, usati per esempio per i corsi d’acqua o le strade, devono essere posizionati lungo, o non troppo distanti, dalla linea a cui si riferiscono e seguirne la direzione, ponendo attenzione a non curvare troppo il testo. In molti casi è necessario ripetere l’etichetta più volte lungo l’oggetto poiché la toponomastica potrebbe variare durante il percorso. Le etichette che si riferiscono a geometrie areali (es. parchi e catene montuose) devono coprire il più possibile lo spazio orizzontale degli elementi stessi39. Alle volte è consigliabile 38 vedi il paragrafo riferito al “Colore dei simboli” per la spiegazione del rapporto e per le applicazioni usate per calcolarlo. 39 Lasciando però uno spazio di almeno una volta e mezza la dimensione del carattere Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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trattare i simboli areali come punti (es. per un edificio) o come linee (es. un corso d’acqua). Direzione La direzione degli elementi testuali non è scontato che sia orizzontale, specialmente nelle mappe 3D, poiché la prospettiva diminuisce il numero di elementi orizzontali. La direzione del testo accettata deve quindi seguire l’andamento dell’elemento a cui si riferisce. Un’altra regola è quella di cercare di allineare il testo in modo che sia spostato verso l’interno della mappa invece che verso l’esterno (Peterson, 2014). Molto spesso però non è possibile seguire queste regole e risulta opportuno scegliere la posizione che ci sembra migliore. Spaziatura La spaziatura definisce lo spazio che intercorre tra due caratteri adiacenti. Questo dipende molto spesso dalla dimensione degli elementi a cui l’etichetta si riferisce e dal grado di densità delle informazioni nella mappa. Un testo esteso dovrebbe riferirsi ad un’area vasta e, quindi, probabilmente più importante. Inoltre, una spaziatura maggiore dovrebbe essere accompagnata da un carattere più grande (Imhof, 1975). Viceversa, una spaziatura piccola porta il testo ad essere più compatto e più facile da posizionare. Effetti Gli effetti sono ulteriori modi per rendere più efficace l’uso del testo nelle mappe. Questi non vanno a cambiare la forma dei caratteri degli elementi testuali ma aumentano la chiarezza della mappa e ne migliorano l’aspetto (Brewer, 2016). Si possono distinguere in: (i) didascalie (callouts), (ii) ombreggiatura (shadows) e (iii) bagliore esterno (halo). Le didascalie sono costituite da un elemento lineare che collega l’etichetta all’oggetto a cui si riferisce e vengono usate per identificare elementi della mappa che si trovano in aree molto dense di informazioni. L’ombreggiatura consiste in una copia dell’elemento testuale, spostata leggermente dal testo d’origine, colorata con un colore molto contrastato. L’ombreggiatura aumenta la leggibilità della mappa, aumentando il contrasto sia nelle aree dove lo sfondo dell’elaborato è chiaro sia quando è scuro. Il bagliore esterno estende il contorno dei caratteri ed ha una funzione simile all’ombreggiatura. Il bagliore però deve avere un’estensione limitata e il colore deve essere il più simile possibile al colore di sfondo. Quest’ultima caratteristica permette al testo di essere più separato da altri elementi della mappa (es. corsi d’acqua e strade). Variabili progettuali e variabili grafiche di visualizzazione L’ultima fase del processo di progettazione della cartografia 3D è quella della visualizzazione. In questo frangente il contenuto informativo dell’elaborato cartografico 3D viene visualizzatra il confine dell’oggetto e la fine dell’etichetta (Imhof, 1975).
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
VISUALIZZAZIONE Variabili progettuali
Variabili grafiche
Illuminazione
Tipologia Posizione Azimut Inclinazione Intensità Colore Ulteriori sorgenti
Ombreggiatura
Modello Intensità Ombre proiettate Intensità ombre proiettate
Effetti atmosferici e fenomeni naturali
Struttura del cielo Foschia Nebbia Stagioni Corpi d’acqua Corpi celesti Decorazioni
Accorgimenti di finitura
Risoluzione render Smussatura dei bordi Multipass rendering Editing con programmi di grafica raster Editing con programmi di grafica vettoriale
Tabella 6: Variabili progettuali e variabili grafiche della fase di visualizzazione
to, con le proprie caratteristiche finali, sul supporto 2D stabilito nella fase iniziale. In questa fase devono essere prese in considerazione le seguenti variabili progettuali: (i) illuminazione, (ii) ombreggiatura, (iii) effetti atmosferici e fenomeni naturali e (iv) accorgimenti di finitura (Tabella 6). Illuminazione L’illuminazione è un aspetto fondamentale per la creazione di una scena tridimensionale. Nonostante sia usata anche nella cartografia tradizionale (es. relief shading), nella cartografia 3D sono necessari ulteriori accorgimenti. Infatti, questo tipo di elaborati permettono una maggiore libertà nella variazione dell’illuminazione (Patterson, 2000). Si possono identificare le seguenti variabili grafiche relative all’illuminazione: (i) tipo di luce, (ii) posizione della luce, (iii) azimut di illuminazione, (iv) inclinazione dell’illuminazione, (v) intensità luminosa, (iv) colore della luce e (v) ulteriori sorgenti. Tipologia In natura esistono diverse situazioni di illuminazione. Gli sviluppatori dei software di grafica 3D, mossi dalla volontà di raggiungere un livello di fotorealismo sempre maggiore, hanno introdotto numerosi algoritmi per ricreare diversi tipi di illuminazione. I principali sono quelli che riproducono: (i) la luce puntiforme, omnidirezionale, la direzione con cui la luce che colpisce la superficie è determinata dalla retta che unisce i due corpi, (ii) luce spot, emette un fascio di luce a forma di cono in una determinata direzione, (iii) luce areale, simula la
Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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luce proveniente da una superficie, e (iv) luce solare, irradia la stessa quantità di luce in tutte le direzioni ma è emessa ad una distanza infinita, creando un’illuminazione uniforme. Posizione La posizione della luce è una variabile che determina la posizione spaziale (x, y e z) che le sorgenti luminose occupano nella scena. La vicinanza al modello del terreno, insieme all’intensità luminosa ed all’inclinazione dell’illuminazione, definisce quanto, e in che modo, la scena viene illuminata. Questa variabile non influisce in alcun modo quando viene usata un’illuminazione di tipo solare, poiché essa viene automaticamente posizionata ad una distanza infinita. Azimut L’azimut di illuminazione individua la direzione della sorgente luminosa. Il valore dell’angolo viene misurato in senso orario a partire da nord e può assumere un valore tra 0° e 360°. In una mappa orientata a nord un azimut di 90° indica che l’illuminazione proviene da est, 180° da sud e 270° da ovest. Nella cartografia tradizionale l’illuminazione proviene, convenzionalmente, da nord-ovest (315° per le mappe orientate a nord). Questa impostazione aiuta a minimizzare l’effetto dell’inversione del rilievo. Tuttavia, l’uso di questa impostazione nelle viste oblique porta i crinali rivolti verso lo spettatore ad essere coperti da ombre che ne oscurano i dettagli (Patterson, 2000). Per viste prospettiche orientate a nord, un’illuminazione proveniente sia da sud-est (135°, più o meno 30°) sia da sud-ovest (225°, più o meno 30°), è invece da preferire. Poiché in questo modo l’illuminazione incide la scena frontalmente, minimizzando la formazione di ombre nell’area di primo piano (Patterson, 2016). In particolare, l’illuminazione proveniente da sud-ovest approssima maggiormente la convenzione cartografica. A differenza delle mappe 3D a grande scala, in quelle a piccola scala l’illuminazione da sud-est può provocare l’inversione di rilievo. La scelta dell’azimut di illuminazione deve essere presa in modo che: (i) la morfologia del terreno sia più definita possibile, (ii) che siano minimizzate le ombre e (iii) non siano eccessivamente illuminati i versanti orientati verso il punto di presa. Per questo motivo è meglio evitare di scegliere un azimut di illuminazione di 0°, 45°, 180° e 315° nelle viste rivolte verso nord (Patterson, 2016). Inclinazione L’inclinazione di illuminazione è l’angolo di elevazione della sorgente luminosa rispetto all’orizzonte. Questo parametro varia tra 0°, quando la sorgente è al livello dall’orizzonte, e 90°, nel momento in cui la luce si trova direttamente sopra di noi. Quando siamo più siamo vicini al primo caso la scena risulta molto scura, mentre nel secondo caso la scena è molto più illuminata. L’inclinazione migliore è quella che varia tra 20° e 50° sopra l’orizzonte (Patterson, 2016).
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
In questa situazione il sole è abbastanza basso da rendere la scena spettacolare e, allo stesso tempo, sufficientemente alto per renderla illuminata. Intensità L’intensità luminosa regola la potenza con cui ogni sorgente luminosa emette e quindi controlla l’illuminazione della scena. Come per le impostazioni che vanno a determinare la direzione dell’illuminazione, anche in questo caso le scelte devono essere fatte in modo che la scena sia illuminata in modo da avere un aspetto morbido e dei colori saturi (Patterson, 2016). Un valore troppo elevato rischia di creare una scena troppo poco contrastata, anche se in questo modo si facilita il posizionamento degli elementi testuali sulla mappa (Patterson, 2016). Colore Dato che in natura le luci non sono completamente bianche, per creare delle scene realistiche in alcuni software di modellazione 3D è possibile scegliere la temperatura di colore in gradi kelvin (K). Generalmente è consigliata adottare un’illuminazione colorata con una sfumatura molto chiara di grigio o una sfumatura chiara di giallo (Patterson, 1999). Ulteriori sorgenti Nella cartografia 3D oltre alla sorgente di illuminazione globale possono essere presenti delle ulteriori sorgenti. Infatti, in alcuni casi, la presenza di una sola sorgente luminosa non riesce a rappresentare a dovere tutti i dettagli topografici. Questo si può verificare quando le forme morfologiche del terreno sono parallele alla direzione dell’illuminazione poiché non si crea abbastanza contrato nell’immagine. Per ovviare a questo problema, nella cartografia tradizionale, vengono usate diverse tecniche, come quella di combinare più hillshades (Gantenbein, 2012). Nel caso delle rappresentazioni cartografiche oblique, dato che c’è più libertà nel posizionamento delle sorgenti luminose, usare un numero maggiori di luci è consigliabile per ovviare a questo problema. Le nuove sorgenti devono essere posizionate in modo da evidenziare le caratteristiche significative del terreno (Huffman, 2014) e da influenzare il meno possibile l’intera scena. Le sorgenti luminose possono essere usate anche per indirizzare lo sguardo dell’osservatore in una determinata porzione di scena o per colorarne altre (Patterson, 2005). Ombreggiatura Come l’illuminazione anche l’ombreggiatura influenza la nostra capacità di riconoscere la tridimensionalità degli oggetti. La geometria dell’ombreggiatura dipende dalla forma stessa dell’oggetto illuminato e dalle varie impostazioni dell’illuminazione. In una scena si formano due tipi di ombre: (i) quella sulle facce opposte alla direzione di illuminazione dell’oggetto stesso e (ii) quelle proiettate. Le variabili grafiche che influenzano l’ombreggiatura sono quelle relative al (i) modello di ombreggiatura, (ii) intensità di ombreggiatura, (iii) ombre proiettate e (iv) intensità ombre Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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proiettate. Modello Il modello di ombreggiatura è la tecnica usata dai software 3D per calcolare correttamente l’ombreggiatura nella scena. Questi algoritmi tengono in considerazione l’orientamento della superficie degli oggetti, l’angolo d’incidenza dei raggi di luce e delle proprietà del materiale (Häberling, 2003). Intensità L’intensità di ombreggiatura può essere regolata in modo da rendere più riconoscibili i dettagli delle superfici in ombra. Nei software di modellazione 3D selezionare una riflessione diffusa o speculare ha un effetto diretto sull’illuminazione delle aree in ombra degli oggetti. Inoltre, è possibile selezionare anche quante volte un singolo fascio di luce può colpire le superfici. Ombre proiettate Le ombre proiettate sono quelle che derivano dalla presenza di uno, o più, oggetti tra la sorgente luminosa e la superficie. Nella cartografia tradizionale non vengono comunemente rappresentate perché, data la mancanza di un rapporto diretto con il terreno locale, possono essere incomprensibili in paesaggi con una morfologia densa (Imhof, 1982). Nella cartografia 3D però sono spesso usate poichè riescono a fornire un carattere realistico alla scena. Intensità ombre proiettate Regolare l’intensità dell’ombra proiettata permette di non oscurare completamente la porzione di scena dove cade, rendendo le ombre più lievi. Quando il software dà la possibilità di colorare le ombre è consigliabile scegliere dei colori che contrastino i colori caldi delle aree illuminate (es. grigio molto chiaro e grigio-blu chiaro) (Patterson, 2000). Effetti atmosferici e fenomeni naturali Come è stato detto più volte in questo testo, nella produzione cartografica 3D entrano in gioco molte variabili che non rientrano nella cartografia tradizionale. Una di queste è sicuramente la possibilità di aggiungere degli effetti atmosferici e fenomeni naturali nell’elaborato. Integrare questi elementi nell’elaborato può favorire una migliore percezione delle caratteristiche della mappa (Häberling et al, 2008). Le variabili grafiche relative a questo argomento sono: (i) struttura del cielo, (ii) foschia, (iii) nebbia, (iv) corpi d’acqua, (v) corpi celesti, (vi) stagioni e (vii) decorazioni. Struttura del cielo Come è già stato accennato nelle Variabili progettuali e variabili grafiche di pianificazione la presenza del cielo dipende soprattutto dalle impostazioni della fotocamera, ma anche da altre variabili come l’estensione del modello e la prospettiva adottata. Il cielo rende la scena più realistica e naturale, ma se viene deciso di dedicare dello spazio del layout per inserire questo elemento, bisogna considerare gli aspetti relativi alla sua
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
struttura. La tonalità di colore preferibile per rappresentare il cielo è il blu, colore che riesce anche a far trasparire un senso di serenità. Nei dipinti di Heinrich C. Berann la tonalità del colore varia dall’alto (più scura) al basso (più chiara) e da sinistra a destra in base alla posizione della sorgente luminosa (Patterson, 2000). La presenza delle nuvole rende la scena più affascinante ma, dato che lo scopo è quello di comunicare le caratteristiche morfologiche, non deve essere eccessiva. In una scena 3D, come esplicato da Tom Patterson 2016, possono essere presenti due tipi di nuvole, quelle posizionate: (i) sopra l’orizzonte e (ii) sotto l’orizzonte. Il primo tipo non interferisce con la visibilità del terreno e vengono inserite soprattutto nelle parti marginali del cielo, in modo da enfatizzare la prospettiva e creare l’effetto dell’apertura di un sipario che rivela al pubblico il paesaggio (Patterson, 2000). Il secondo tipo di nuvole sono posizionate sotto l’orizzonte e possono essere usate sia per direzionare l’attenzione dell’osservatore sia per nascondere le aree meno attraenti (Patterson, 1999). Posizionando, per esempio, le nuvole alla metà dell’altezza del promontorio, preoccupandosi di lasciare visibile la vetta, se ne enfatizzare l’altezza. In questa fase bisogna cercare di non rendere la struttura del cielo dominante, poiché questo potrebbe distrarre il fruitore dai contenuti principali della mappa (Patterson, 2016). Foschia In natura la foschia atmosferica, causata dalle goccioline d’acqua e polvere, creano un velo grigio-blu. Questo fenomeno facilita la comprensione delle distanze relative degli elementi del paesaggio, diminuendo il contrasto con l’aumentare della distanza dal punto di presa (Imhof, 1982). Il colore della foschia deve essere bianco, grigio chiaro o una sfumatura molto chiara del blu (Patterson, 1999). L’effetto della foschia può essere prodotto nei software di modellazione 3D con la maschera di distanza.40 Anche l’uso di una sfumatura scura nella parte in primo piano della scena aiuta a dare un senso di profondità, aiutando il fruitore ad immergersi nell’elaborato (Patterson, 2005). Nebbia La nebbia riduce la visibilità sia in direzione orizzontale che verticale. Bisogna quindi valutare attentamente se usarla o meno negli elaborati 3D, poiché porta all’occlusione di parti della scena. Tuttavia, aggiungere dei banchi di nebbia, magari non troppo coprenti, nelle valli può aiutare a enfatizzare la morfologia del terreno, creando contrasto con i promontori. Anche questa variabile può essere usata per creare profondità alla scena, facendone un uso più marcato nelle aree di sfondo (Patterson, 2016).
40 Patterson (2016) illustra come usare i programmi di grafica digitale creare questo effetto. Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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Corpi d’acqua I corpi d’acqua nelle mappe 3D sono elementi che possono dare una grande eleganza alla scena. Inserendo dei dettagli, come l’increspatura dovuta al vento o i riflessi, la scena diventa meno statica e prende vita. In particolare, mostrare nei corpi d’acqua i riflessi degli elementi adiacenti, permette all’acqua, al terreno e alle nuvole di interagire tra di loro in modo naturale (Patterson, 1999). Un’altra variabile che può essere inserita nei corpi d’acqua è il riflesso del sole, un effetto che evita la presenza di colori piatti, inesistenti in natura (Patterson, 2016). Per quanto riguarda le onde, la loro ampiezza deve essere relazionata alla scala di rappresentazione del terreno (Patterson, 1999). Corpi celesti In alcune rappresentazioni cartografiche 3D, possono essere visibili anche i corpi celesti. I software di modellazione 3D in questo caso facilitano la loro creazione, permettendo di selezionare le caratteristiche reali (es. dimensione e radiazione) (Häberling, 2003). Stagioni Specialmente quando lo scopo dell’elaborato cartografico è quello turistico aggiungere degli elementi che rimandano alle stagioni è, molto spesso, indispensabile. Una mappa che rappresenta un impianto sciistico, per esempio, è necessario che sia ambientata in un periodo invernale, con la neve presente sugli oggetti rappresentati. Viceversa, una vista obliqua di una località balneare verrà rappresentata nel periodo estivo. Per questo motivo anche durante la scelta dei simboli bisogna tener conto della stagione. Decorazioni Aggiungere piccole decorazioni nell’elaborato permette di aggiungere informazioni ed interesse alla scena. Tom Patterson (2016), per esempio, usa dei particolari di foto aeree per rappresentare la colonna di fumo proveniente dal cratere dei vulcani. In altri casi, l’autore, utilizza gli strumenti di Photoshop per rappresentare il vapore che si genera dalle cascate Accorgimenti di finitura Una volta definite le impostazioni delle diverse variabili di progettazione e delle variabili grafiche il modello cartografico 3D deve essere restituito graficamente su un’immagine. Come nella cartografia tradizionale anche in quella 3D la rappresentazione dell’elaborato si conclude nei comuni software di grafica 2D (Patterson, 2005). Questo ulteriore passaggio permette di avere più controllo nella gestione degli aspetti grafici e più possibilità stilistiche (Peterson, 2014; Huffman, 2018). Gli accorgimenti di finitura includono le seguenti variabili grafiche: (i) risoluzione del render, (ii) multipass rendering , (iii) ritocchi con programmi per l’elaborazione di immagini digitali e (iv) inserimento elementi con programmi di grafica vettoriale. Risoluzione del render
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
La risoluzione del render indica la dimensione dell’immagine, espressa in numero di pixel lungo l’asse orizzontale per il numero di pixel lungo l’asse verticale. La nitidezza dell’immagine finale è determinata dalla relazione tra la dimensione dell’immagine e la densità di pixel. Quest’ultima variabile è denominata risoluzione grafica e può essere misurata in numero di pixel per pollice (ppi), per le immagini visualizzate su un monitor, o in numero di punti per pollice (dpi), per le immagini stampate. Ovviamente la risoluzione grafica deve essere imposta anche in base alla risoluzione massima supportata dal dispositivo con il quale viene riprodotta la mappa. La risoluzione grafica massima della maggior parte delle stampanti, per esempio, è di 300 dpi. In questo caso, procedere con la stampa di un elaborato con una risoluzione grafica maggiore non porta a nessun miglioramento nella nitidezza, poiché la stampante non è in grado di inserire più di 300 punti di inchiostro per pollice (2,54 cm). Per gli elaborati che vengono visualizzati su un monitor il valore di ppi non va ad incidere sulla nitidezza dell’immagine. Difatti ogni monitor ha la propria densità di ppi e questa non può essere variata, come avviene invece in fase di stampa. In questo caso il numero di informazioni presenti nell’immagine è determinato dalla dimensione dell’immagine (numero di pixel verticale per numero di pixel orizzontale). La dimensione dei pixel varia in base alla risoluzione del monitor: un’immagine visualizzata in uno schermo avete una risoluzione massima di 96 ppi apparirà quattro volte più piccola rispetto alla stessa immagine visualizzata in uno schermo con risoluzione di 384 ppi. Questo perché la dimensione dell’immagine (numero di pixel verticale per numero di pixel orizzontale) rimane invariata ma i suoi pixel possono essere rappresentati in un’area più piccola dello schermo. Quindi, per gli elaborati cartografici rappresentati su dispositivi digitali la risoluzione dell’immagine è quella che ne determina la nitidezza. Solitamente, sia nei software GISs sia in quelli di grafica 2D, la dimensione fisica finale che deve avere l’elaborato viene specificata all’inizio del progetto. Pertanto, quando si vuole avere un output più nitido l’utente aumenta il valore di ppi e, in automatico, il software incrementa la risoluzione orizzontale e verticale del output (Peterson, 2014). I software di modellazione 3D, invece, non permettono di stabilire la dimensione fisica finale ma solo di impostare la risoluzione orizzontale e verticale del render. Questi due valori stabiliscono il numero di pixel che compongono l’immagine e, quindi, la sua nitidezza. Pertanto, nel caso in cui la mappa debba essere stampata in una certa dimensione fisica e con una determinata risoluzione grafica, ovvero la densità di punti ogni pollice, la risoluzione orizzontale del render deve essere stabilita con l’equazione (2), mentre la risoluzione verticale con l’equazione (3).
Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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(2) Lres = (L × I) ÷ 2,54 (3) Ares = (A × I) ÷ 2,54 dove: Lres = risoluzione orizzontale del render (px) Ares = risoluzione verticale del render (px) L = larghezza immagine finale (cm) A = altezza immagine finale (cm) I = risoluzione grafica (ppi o dpi) Una volta ottenuto il render l’immagine può essere importata in un software di grafica digitale dove, impostando la risoluzione richiesta, verrà adattata alle dimensioni reali prestabilite, lasciando invariata la quantità di informazioni presenti41 (Adobe, 2020). Usare una risoluzione grafica non troppo elevata aiuta il cartografo a progettare le mappe con un messaggio semplice, che i fruitori si ricorderanno con più facilità (Patterson, 1999). Multipass rendering La tecnica del multipass rendering consiste nel realizzare dei render multipli che poi vengono uniti insieme in un secondo momento. Questo permettere una maggiore libertà nella post-produzione dell’elaborato e, nel caso di errori, velocizza l’operazione di correzione. Tom Patterson (2005) consiglia di realizzare i seguenti render di una stessa scena: (i) la vista completa priva di effetti atmosferici, (ii) una maschera ad alto contrasto degli oggetti nella scena, in modo da facilitare eventuali modifiche nei colori, e (iii) una maschera di distanza in scala di grigi, per inserire la foschia in modo realistico. Il numero e le caratteristiche dei singoli render possono variare da progetto a progetto. Realizzare una maschera di altezza, per esempio, può facilitare l’inserimento di effetti specifici in base all’altimetria del terreno. Per usare questa tecnica bisogna verificare che la risoluzione dei render abbiano tutti la stessa dimensione, in modo da essere perfettamente sovrapponibili nei software di elaborazione grafica. Editing con programmi di grafica raster I render realizzati vengono combinati insieme con programmi per l’elaborazione di immagini digitali. In questi software possono essere svolti una moltitudine di processi per modificare l’aspetto finale della scena. Infatti, molte delle variabili grafiche discusse in questo testo sono realizzabili anche in questa fase. Tra le più significative sono quelle relative alla prospettiva poiché non sempre è possibile modificare la prospettiva all’interno dei software 3D in modo che l’orizzonte ed
41 Questo accade quando l’opzione di ricampionamento non viene adottata. Il ricampionamento, infatti, va ad alterare la quantità di dati dell’immagine modificando la dimensione dei pixel.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
il cielo siano visibili nella scena. Questo accade soprattutto quando il punto di presa si trova molto in alto e con un pitch molto basso (simili alla cartografia tradizionale). Per i casi in cui si verificano queste condizioni Tom Patterson (2016) ha sviluppato la tecnica del Terrain truncation, che si articola in due fasi: (i) creazione di un falso orizzonte rimuovendo i dati altimetrici nella porzione di scena più lontana, quelli che si trovano oltre ad un promontorio e (ii) inserire il cielo al posto di quest’ultimi. In aggiunta a questa tecnica, l’autore, usa il procedimento del Transform selection. Il quale va a comprimere, lungo l’asse verticale, le aree nello sfondo della scena in modo da simulare la progressiva formazione dell’orizzonte. L’ultima tecnica è quelle del Merging terrains. In questo caso vengono realizzati due render nel software 3D, uno con un’angolazione della fotocamera più simile alle mappe 2D e la seconda più rivolta verso l’orizzonte. I due render vengono poi uniti nei software per l’elaborazione di immagini digitale. Nelle rappresentazioni cartografiche oblique a piccola scala aggiungere la curvatura dell’orizzonte è un accorgimento che aumenta l’autenticità alla scena ed aiuta a comunicare un senso di importanza e di ampiezza all’area d’interesse (Patterson, 2016). Per realizzare questo effetto si può usare un filtro che permette di deformare la scena, alzando la parte centrale42. Editing con programmi di grafica vettoriale L’ultimo passaggio del processo di creazione di una cartografia 3D viene svolto nei software di grafica vettoriale. In questa fase gli elementi che sono stati simbolizzati attraverso l’uso di software di grafica vettoriale vengono uniti al render della mappa di base. Inoltre, è necessario anche aggiungere gli elementi di base degli elaborati cartografici, come: titolo, legenda, eventuale scala approssimativa, testo con ulteriori informazioni, fonti, ecc.
42 Jenny (2006) consiglia di usare la trasformazione “Upper Arc” di Photoshop per raggiungere questo effetto. In questo modo le aree della scena in primo non vengono deformate. Cap. 1.4 - Aspetti tecnici
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Sezione Seconda Sperimentazione nell’utilizzo di Blender per la rappresentazione delle Aree Protette del Po e della Collina Torinese
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
CAPITOLO 2.1
INTRODUZIONE
2.1.1
Obiettivi della ricerca La sperimentazione descritta in questa sezione della tesi esamina l’applicazione di Blender per la rappresentazione cartografica 3D. Per avere una visione completa delle potenzialità che offre Blender per realizzare le mappe 3D si è cercato di testare le risorse che fornisce per applicare in modo adeguato i principi cartografici definiti nel Capitolo 1.4 - Aspetti tecnici. Questa ricerca descrive il processo adottato per la rappresentazione 3D delle Aree protette del Po e della Collina Torinese, aree per le quali gli obiettivi primari sono: (i) conservare la biodiversità, (ii) contribuire a rendere gli insediamenti umani sostenibili, sani ed equi, (iii) divulgare i principi di sviluppo sostenibile e (iv) contrastare i cambiamenti climatici (SiTI, 2015). Lo scopo degli elaborati è quindi quello di comunicare in modo attraente i percorsi ed i servizi presenti nelle aree e, contemporaneamente, informare i fruitori del patrimonio naturale, ecologico, paesaggistico e culturale presente. Per svolgere la sperimentazione si è deciso di simulare la realizzazione di due tipi di elaborati - uno a media scala e l’altro a grande scala - in grado di rappresentare, nel modo più oggettivo possibile, l’essenza delle aree protette e di porre in risalto i due elementi chiave: il fiume Po e la collina torinese. Inoltre, gli elaborati realizzati condivideranno uno stile grafico caratteristico che li faccia percepire come parte di un unico sistema di segnaletica. Le scelte grafiche - riferite alla parte testuale, ai pittogrammi ed alle mappe - saranno fatte in modo da semplificare la comunicazione e fornire la giusta gerarchia delle informazioni. L’elaborato a media scala offrirà una vista d’insieme delle Aree Protette del Po e della Collina Torinese, comunicando visivamente la sua identità. La brochure cartacea è stata progettata di 29,7 cm x 42 cm da aperta e di 10,5 cm x 14,85 cm da chiusa, in cui la mappa occuperà uno spazio di 21 cm x 29,7 cm1. Questa sarà uno dei principali strumenti che i fruitori dell’area potranno usare per orientarsi e per pianificare la loro esperienza all’interno del parco. Per l’elaborato a grande scala è stato deciso di rappresentare l’area del Parco Regionale della Collina di Superga, la cui mappa verrà inserita su una bacheca espositiva localizzata davanti alla fermata Sassi. Il pannello misurerebbe 60 cm x 70 cm e la mappa rientrerà in un riquadro di 50 cm x 63 cm. L’elaborato ha come obiettivo quello di fornire una panoramica dell’area in questione, aiutando i visitatori ad esplorarla con semplicità, mostrando i percorsi
1 Pari ad un foglio ISO A4.
presenti, mettendo in evidenza i servizi ed incoraggiando le persone a visitare le aree chiave del parco. Nonostante questo elaborato sia a grande scala e, quindi, specificatamente progettato per rappresentare una porzione limitata di terreno, sarà importante cercare di comunicare un senso di continuità con le aree protette limitrofe. All’interno della mappa si cercherà quindi di rappresentare un’area sufficientemente ampia in modo da fornire il contesto ed aiutare l’orientamento.
2.1.2
Blender Blender è un programma di grafica digitale 3D open-source, mantenuto dalla Blender Foundation. Il software permette di svolgere ogni aspetto della modellazione 3D. Proprio per questo Blender non viene spesso considerato come un unico programma quanto insieme di applicazioni che condividono la stessa interfaccia e l’accesso ai dati (Gumster, 2016). Il software, infatti, oltre alla modellazione 3D può essere usato per moltissime funzioni. Tra queste possiamo menzionare: (i) realizzazione di animazioni, sia 2D che 3D, (ii) editing di video e (iii) programmazione in Python attraverso l’Integrated Development Environment (IDE) dedicado2 (Baechler & Greer, 2020). Blender è un software in continua evoluzione e circa ogni tre mesi viene pubblicata una nuova versione (Blender, 2020b). I cambiamenti più importanti si sono riscontrati con il passaggio, nel 2009, dalla versione 2.49 alla 2.50 e successivamente, nel 2019, dalla 2.79 alla 2.80 (Blain, 2021). Al momento della redazione di questa ricerca la versione stabile più recente è la 2.92. La Graphical User Interface (GUI) di Blender è costituita da una serie di pannelli chiamati Editors. Gli Editors interagiscono tra di loro e ciascuno permette la visualizzazione e la modifica di diversi parametri dei dati. Ogni Editor ha un Header e dei sottopannelli che contengono i pulsanti per attivare, o visualizzare, le azioni disponibili. La GUI di default è composta da quattro Editors3 che formano la Workspace4: (i) 3D Viewport Editor, il quale consente di interagire con la scena 3D, (ii) Outliner Editor, per raccogliere la lista degli di oggetti presenti nella scena, (iii) Properties Editor, necessario per mostrare e modificare le proprietà degli oggetti presenti nella scena, ed il (iv) Timeline Editor, che fornisce una panoramica sull’animazione della scena. Il primo Editor può essere visualizzato nelle seguenti modalità: (i) Object Mode, dedicata alla modifica dei Data-Blocks5, (ii) Edit Mode, volta a modi2 Per una panoramica complete sulle funzioni presenti in Blender visita: blender.org/ features/ 3 Gli Editors presenti in Blender sono numerosi e vengono divisi in quattro categorie: (i) General, (ii) Animation, (iii) Scripting e (iv) Data. Vedi il manuale di Blender per una panoramica completa: docs.blender.org/manual/en/latest/editors/index.html. 4 Il Workspace è lo spazio di lavoro e può essere modificato in base alle esigenze. 5 I Data-Blocks sono l’unità base di qualsiasi progetto realizzato in Blender e possono essere: mesh, oggetti materiali, texture, node trees, scene, testi, pennelli, ecc. (Blender,
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
ficare la forma dei Data-Block renderizzabili, (iii) Sculpt Mode, per la modellazione 3D delle mesh6, (iv) Vertex Paint, permette di impostare i colori delle mesh, (v) Weight Paint, consente di determinare l’influenza degli effetti sulle diverse parti delle mesh, e (vi) Texture Paint, la quale dà la possibilità di applicare le texture sulle mesh. In Blender, il processo di modifica di una mesh viene indicato con il termine Modeling e può essere svolto in Edit Mode. La forma delle primitive può essere alterata, con una serie di strumenti di trasformazione, selezionando i vertici, i bordi o le facce. Le trasformazioni che possono essere realizzate sono numerose e variano dall’estrusione alla smussatura7. Per definire i materiali e le texture, ovvero le proprietà superficiali degli oggetti, Blender usa il Node System; un sistema di nodi la cui interazione determina l’aspetto della mesh. In Blender i nodi sono rappresentazioni grafiche dei dati o delle funzioni, disposte in un flusso di lavoro, che contribuiscono all’aspetto finale della mesh8. Per lavorare con i nodi è indispensabile usare lo Shader Editor, all’interno del quale si possono scegliere le funzioni (i nodi) disponibili divisi per categorie9. Un’altra funzionalità fondamentale presente in Blender sono i Modifiers; degli algoritmi non distruttivi che influenzano la geometria di un oggetto. Questi codici, a differenza degli strumenti presenti nell’Editing Mode, modificano il modo in cui un oggetto viene visualizzato ma non la sua geometria originale. I Modifiers sono divisi in quattro categorie: (i) Modify, i quali non agiscono sulla geometria dell’oggetto quanto su altri dati (es. gruppo di vertici), (ii) Generate, che influenzano l’intera topologia10 della mesh o aggiungono una nuova geometria, (iii) Deform, necessario per cambiare la forma dell’oggetto ma non la sua topologia, e (iv) Simulate, permettono di simulare dei fenomeni fisici reali. Una volta creata la scena, attraverso il processo del rendering, si convertono i dati visualizzati nella fotocamera, presenti nel 3D Viewport Editor, in un’immagine o, nel caso di un’animazione, in un videoclip. Per fare questo Blender esegue una serie di passaggi sull’immagine, ciascuno dei quali ne migliora la qualità, riducendo il disturbo ed aumentando la precisione. Il numero di passaggi è definito dal numero di Samples. Blender mette a disposizione tre Render Engines: (i) Eevee Render11, il quale crea un’immagine usando degli algoritmi che stimano come la luce interagisce con gli oggetti ed i
2020c). 6 In Blender con il termine mesh si intendono le dieci primitive presenti (es. piano, cubo e cilindro), le quali vengono modificate o combinate tra di loro. 7 Per una panoramica completa degli strumenti di trasformazione presenti in Blender consultare il manuale: docs.blender.org/manual/en/latest/modeling/meshes/editing/index.html 8 I nodi possono essere usati anche per creare lo sfondo di una scena o per comporre un’immagine. 9 Il manuale di Blender fornisce un resoconto dei tipi di nodi disponibili: docs.blender. org/manual/en/latest/render/shader_nodes/index.html 10 La topologia identifica il modo in cui i componenti di una mesh sono collegati tra di loro. 11 Acronimo di: Extra Easy Virtual Environment Engine. Cap. 2.1 - Introduzione
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materiali12, (ii) Cycles Render, che fornisce dei render fisicamente più accurati calcolando il percorso dei raggi di luce13 e (iii) Workbench Render, usato per mostrare la scena nel 3D Viewport ed avere un’anteprima del render finale.
2.1.3
Area di studio L’area usata per sperimentare la rappresentazione cartografica 3D ricopre l’estensione delle Aree protette del Po e della Collina Torinese. Tali aree sono state istituite nel 2012, con la Legge Regionale n. 19/2009 “Testo unico sulla tutela delle aree naturali e della biodiversità”, dall’unione del Parco del Po Torinese con il Parco Naturale della Collina Torinese (SiTI, 2015). Dal gennaio 2021 la fusione delle Aree Protette del Po e della Collina Torinese con le Aree Protette del Po Vercellese-Alessandrino ha portato all’istituzione del nuovo Parco Naturale del Po Piemontese. Il primo parco di cui sono costituite le aree protette oggetto dello studio è il Parco del Po Torinese. Tale parco rientra nel progetto di tutela del territorio fluviale del Po varato dalla regione Piemonte nel 1990 con la Legge Regionale n. 28/1990. Questa legge ha istituito il Sistema delle aree protette della Fascia fluviale del Po Piemontese, un’area con un’estensione di oltre venticinquemila ettari, che si estende dalla sorgente, situata a Pian del Re, fino al confine amministrativo con la Regione Lombardia14 (Parco fluviale del Po Torinese, 2009). Le attività di gestione delle suddette aree sono svolte da tre enti: cuneese, torinese e vercellese-alessandrino (Regione Piemonte, 2020). Tra questi, l’Ente del Parco Fluviale del Po Torinese, amministra il tratto fluviale centrale, coincidente con il confine amministrativo provinciale; un’area interessata dal territorio metropolitano torinese e per questo molto lontano dallo stereotipo di parco naturale (Ostellino, 2008). L’istituzione di questo ente nasce proprio dall’esigenza di migliorare un ambiente posto sotto pressione dalla forte antropizzazione limitrofa (Parco fluviale del Po Torinese, 2009). La seconda area che costituisce le Aree Protette del Po e della Collina Torinese è quella del Parco Naturale della Collina Torinese. Istituito nel 1991 con la Legge Regionale n. 55/1991 era costituito, a sua volta, da due aree protette: (i) la Riserva Naturale speciale del Bosco del Vaj ed (i) il Parco Naturale della Collina di Superga. La tutela della riserva del Bosco del Vaj è stata avviata nel 1978 per la presenza di una faggeta, specie tipica dell’ambiente montano, relitto dell’ultima glaciazione (SiTI, 2015). Il Parco Naturale della Collina di Superga, d’altrocanto, è stato istituito per tutelare e valorizzare un territorio di notevole interesse per le sue peculiarità ambientali, architettoniche e paesaggistiche ancora ben conservate nonostante la vicinanza alla città di Torino (Aree protette del Po Piemontese, 2020). 12 Questo processo è chiamato rasterization. 13 Questa tecnica è chiamata ray tracing. 14 Estensione aumentata a seguito della legge n. 65/1995.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Le Aree protette del Po e della Collina Torinese comprendono più di cinquemila ettari (Figura 2.1.1) di superficie distribuiti in un territorio con due elementi di risorse di estremo interesse: il corridoio ecologico del fiume Po e la collina torinese. La loro prossimità ad un’area profondamente urbanizzata, quale l’area metropolitana di Torino, gli fa assumere ancor più un ruolo fondamentale per la tutela ambientale (SiTI, 2015). L’area si delinea quindi come un territorio protetto complesso e diversificato, con grandi centri urbani, paesaggi di alta qualità percettiva, luoghi ricchi di testimonianze storiche ed ambienti di elevata qualità naturalistica e di biodiversità (Cimnaghi et al, 2014). Queste caratteristiche hanno Figura 2.1.1: Inquadramento delle Aree protette del Po e della Collina Torinese
portato l’Ente gestore dell’area protetta a candidare, nel 2014, le aree di sua competenza, ed altre, a Man and Biosphere Reserve (MAB) (Aree Protette Po e Collina Torinese, 2015). Tale riconoscimento gli è stato conferito lo stesso anno dalla United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization (UNESCO). Il programma MAB mira a migliorare le relazioni tra le persone e l’ambiente in cui vivono attraverso programmi di ricerca e promuovendo approcci innovativi allo sviluppo economico che siano adeguati dal punto di vista sociale, culturale e sostenibili dal punto di vista ambientale (UNESCO, 2021). L’adesione al programma MAB da parte delle Aree Protette del Po e della Collina Torinese, e la creazione della CollinaPo Man and Biosphere Reserve ha dato un’ulteriore spinta verso una gestione innova-
Figura 2.1.2: Distribuzione delle tre zone della Riserva MAB CollinaPo
tiva del territorio e della fruizione turistica (Aree Protette Po e Collina Torinese, 2015).
Sotto questo ultimo punto di vista, data la forte crescita della connotazione turistica dell’aCap. 2.1 - Introduzione
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rea metropolitana di Torino, negli ultimi anni sono stati attuati progetti volti ad aumentare l’offerta escursionistica (SiTI, 2015). La Riserva MAB CollinaPo è divisa in tre zone (Figura 2.1.2): (i) Core Area, in cui viene preservata la biodiversità vegetale e animale, destinata alla ricerca (ii) Buffer Zone, zona cuscinetto di gestione ecologica per le attività a basso impatto in termini di silvicoltura, agricoltura ecologica ed ecoturismo, e (iii) Transition Area, zona di sviluppo sostenibile delle risorse per l’artigianato, i servizi e le attività agro-silvo-pastorali più estensive (Cimnaghi, et al, 2014). Le Core Zone sono 14, di cui 12 lungo il fiume e 2 rappresentative dell’ambiente collinare-boschivo, per un totale di 3 853,05 ha. Queste aree delimitano delle eccellenze ecosistemiche dall’elevato valore naturalistico. La Buffer Zone ha lo scopo di connessione ecologica-funzionale delle suddette aree ed è, per questo motivo, situata intorno a queste, per un’estensione pari a 21 161,45 ha. Infine, la Transition Area è la zona dove si sviluppano le attività quotidiane delle comunità locali (es. agricoltura, industria e turismo) e ricoprono una superficie di 146 219,46 ha. Queste tre tipologie di aree interagiscono tra di loro, grazie alla presenza di un sistema di corridoi ecologici formato dal Po, dai suoi affluenti, dalla vegetazione ripariale connessa e dai boschi (SiTI, 2015).
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
CAPITOLO 2.2
PROCESSO DI PROGETTAZIONE DEGLI ELABORATI
2.2.1
Vista d’insieme delle Aree Protette del Po e della Collina Torinese La vista d’insieme delle Aree Protette del Po e della Collina Torinese deve essere lo strumento per l’orientamento e la pianificazione dell’esperienza all’interno delle stesse. Per questo motivo è fondamentale che i tempi di percorrenza dei percorsi risultino facili da determinare, in modo da permettere la scelta dell’itinerario più consono alle proprie capacità, alla propria preparazione atletica ed ai propri interessi. La vista deve essere quindi pianificata in modo da risultare comoda da usare in qualunque punto del parco. Le aree protette devono essere visualizzate e percepite come un tutt’uno, enfatizzando così il loro ruolo di corridoio ecologico. Inoltre, dovranno essere poste in risalto, tenendo conto della scala di rappresentazione, le caratteristiche peculiari di ciascuna porzione delle aree protette, mostrando le caratteristiche morfologiche e idrografiche. Per comunicare il parco in modo più chiaro la brochure, nella quale sarà inserito l’elaborato, sarà composta anche da parti testuali. Modellazione del terreno L’area di interesse (AOI) dell’elaborato coincide con l’estensione, pari a 171 233,85 ha, della riserva Man and the Biosphere (MAB) CollinaPo, all’interno della quale sono presenti le Aree Protette del Po e della Collina Torinese (Figura 2.1.2). L’AOI risulta molto eterogenea e complessa: le aree naturali si relazionano con aree urbane e le porzioni collinari con le zone pianeggianti. Da un punto di vista morfologico l’area di pianura è quella maggiormente presente ed ha quote che variano tra i 14015 m s.l.m ed i 250 m s.l.m., mentre la collina si eleva tra i 250 m s.l.m. ed i 71516 m s.l.m. e si sviluppa tra sud-ovest e nord-est (SiTI, 2015). L’area collinare ha due versanti differenti: quello a sud-est più dolce, mentre quello verso Torino presenta valli incise e pendenze ripide. Per avere una prima idea dell’estensione che dovranno avere i dati da scaricare è stata valutata una possibile inquadratura della scena usando Google Earth (Figura 2.2.1). Dato che lo scopo dell’elaborato è quello di facilitare la navigazione lungo tutta l’estensione delle aree protette l’inclinazione della vista non dovrà essere troppo elevata e l’orientamento dovrà tendere il più possibile verso nord. Per ottimizzare l’uso dello spazio della brochure dedicato alla mappa, tuttavia, una leggera inclinazione verso est potrebbe essere presa in considerazione. 15 Il valore di quota minimo si registra a nord-est dell’area. 16 Il valore di quota massimo è localizzato al Colle della Maddalena.
Una volta delineata la possibile estensione dell’AOI17 questa viene aumentata di una volta e mezzo, in modo che i dati scaricati siano sufficienti a supportare eventuali cambiamenti (Figura 2.2.2). Per fare ciò si usa lo strumento Affine transform di QGIS, impostando i fattori di scala x e y pari a 1,22474518. Il nuovo rettangolo rappresentate l’AOI scalata viene posizionato con il centro coincidente all’origine del Coordinate Reference System (CRS). Creando una geometria puntuale coincidente con il centroide dell’AOI iniziale e una sul centroide del AOI scalata, infine, usando tali punti come Start and End Points del plugin Move Features si posiziona correttamente l’AOI scalata. Per l’area in esame sono presenti diverse banche dati ufficiali che forniscono informazioni georeferenziate. Tra queste,
Figura 2.2.1: Inquadramento preliminare definito su Google Earth
le più utili per il progetto sono state considerate quelle della Regione Piemonte, attraverso il relativo geoportale19, e dell’Ente di gestione delle Aree Protette del Po Torinese, mediante il suo sito web20. Il geoportale della Regione Piemonte mette a disposizione diversi dati geografici sia in formato raster che vettoriale. I dati raccolti dall’ente che gestisce le aree protette, invece, sono distribuiti esclusivamente in formato vettoriale e rappresentano i punti di interesse, gli itinerari, i prodotti tipici, le strutture di ricezione e per la ristorazione che caratterizzano la riserva.
Figura 2.2.2: Estensione dell’AOI originale e dell’AOI scalata
Il modello cartografico 3D ha come dato di base il Digital Terrain Model (DTM), reperibile
17 L’AOI è stata scelta di forma rettangolare in modo da adattarsi meglio allo spazio, di 21 cm x 29.7 cm, disponibile nella brochure. 18 Per aumentare l’area di un rettangolo di un certo valore, i lati devono essere moltiplicati per la radice quadrata del valore stesso. 19 geoportale.piemonte.it/cms/ 20 areeprotettepotorinese.it/pagina.php?id=196
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
dal geoportale della Regione Piemonte. Il DTM avrà una sezione rettangolare, coincidente con l’estensione dell’AOI scalata. Per stabilire la risoluzione del DTM idonea alla rappresentazione si è usata la formula derivata da Kimerling (2011) (pag. 39), la quale divide il fattore di scala dell’elaborato per la densità di pixel21. Il fattore di scala da usare è di 1 : 300 000, valore determinato in base alla scala che avrebbe l’elaborato se fosse presentato sotto forma di cartografia tradizionale in un formato ISO A4. Usando la sopracitata formula se ne deriva che la risoluzione minima del DTM, da usare per questo tipo di rappresentazione, è di 70 m. Dato che la Regione Piemonte mette a disposizione due DTM, uno con risoluzione di 5 m ed il secondo di 25 m è necessario ricampionare il dato. Prima di fare ciò il DTM a 25 m è stato ritagliato con lo strumento di QGIS Clip raster by mask layer e successivamente caricato nel software Terrain Sculptor, dove è stato definito il livello di dettaglio e lo stile di generalizzazione in funzione della scala. In questo modo sono stati eliminati i dettagli fini del terreno, mantenendo però la chiara percezione delle forme principali. A questo punto il DTM è stato processato con lo strumento r.resamp.interp di GRASS GIS, impostando il Sampling interpolation method come Bilinear Interpolation22 e la dimensione della cella in uscita a 70 m. Il DTM è stato poi importato in Blender, attraverso la funzione Import Georeferenced raster di BlenderGIS. L’esagerazione verticale è stata impostata del 150%. Nella fase di pianificazione, una volta definite le impostazioni della fotocamera, verrà poi rivista. Pianificazione della scena Una volta creato il modello 3D del terreno è stata pianificata la scena. Per facilitare le operazioni di questa fase si è ricavata dal sito web dell’Ente di gestione delle Aree Protette del Po Torinese l’estensione dell’area MAB CollinaPo. Tale dato viene fornito in formato vettoriale e per poterlo posizionare sul modello 3D del terreno è stato necessario rasterizzarlo con lo strumento rasterize di SAGA GIS, impostando una dimensione della cella di 20 m. Durante l’esportazione23 risulta fondamentale selezionare l’estensione del file raster coincidente all’estensione dell’AOI scalata. Questa operazione permette di posizionare correttamente, all’interno di Blender, i file raster sul DTM. I dati di tipo raster sono inseriti sul modello come texture con l’ausilio dell’Image Texture Node. Un’operazione necessaria per visualizzare in modo corretto i dati raster sul modello 3D del terreno è quella di proiettare il modello stesso su una superficie 2D, attraverso la funzione UV Project From View24 di Blender. Prima di attivare l’algoritmo è necessario posizionarsi 21 Convenzionalmente stabilita di 40 pixels/cm. 22 Questo metodo di interpolazione assegna il nuovo valore di ogni cella in base alla media ponderata delle quattro celle adiacenti. 23 Per contenere la dimensione del progetto di Blender i dati di tipo raster sono esportati da QGIS in formato GeoTIFF (.tif), selezionando il Profilo Alta compressione. 24 Per gli oggetti molto grandi, come nel caso di un DTM, questo algoritmo è preferibile Cap. 2.2 - Processo di progettazione degli elaborati
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Figura 2.2.3: Posizionamento dell’estensione della Riserva MAB CollinaPo sul modello 3D del terreno
Figura 2.2.4: Orientamento della vista a nord (a sinistra) e ruotato di 20° verso est (a destra)
in top view e, una volta avviato lo strumento, selezionare le opzioni: Orthographic e Scale to Bounds. In questo modo, inserendo nel materiale del DTM la texture, essa sarà visibile sul modello (Figura 2.2.3) A questo punto si sono stabilite le impostazioni della fotocamera. Per quanto riguarda il formato dell’immagine, visto la forma dell’AOI e dello spazio per la mappa nella brochure, è
rispetto al metodo manuale (Blender, 2020d).
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
stato impostato a 3:4, con orientamento di tipo portrait. Per diminuire la distorsione prospettica dell’immagine si è scelta una lunghezza focale della fotocamera di 70 mm. Data la scala dell’elaborato, per facilitare l’orientamento, la direzione di osservazione consigliata per la scena è verso nord. Tuttavia, è stato preferito applicare un’inclinazione di 20° verso est in modo da rendere il più grande possibile la scala della scena (Figura 2.2.4). Visto che lo scopo dell’elaborato è quello di assistere l’orientamento in tutte le aree del parco, l’inclinazione di visualizzazione è stata scelta di 20°
25
(Figura 2.2.5). Questo valore è
stato giudicato il più adatto perché, nonostante renda la vista meno realistica, permette di visualizzare con precisione anche le porzioni più distanti dal punto di presa. Nell’elaborato si è deciso di non ritagliare dello spazio per inserire il cielo, poiché il suo inserimento necessiterebbe un aumento significativo dell’inclinazione della fotocamera e quindi dell’effetto prospettico nella scena. Per questo progetto sono state adottate due tipi di generalizzazione del modello 3D del terreno, entrambe realizzate applicando la texture prodotta dal DTM a 25 m (Figura 2.2.6). La prima generalizzazione della rappresentazione topografica è di tipo orizzontale. Essa, vista la lieve inclinazione della camera e l’uso di una lunghezza focale elevata, è stata usata per aumentare l’effetto prospettico. Per controllare l’influenza spaziale di tale texture è stata applicata una maschera costituita da una sfumatura che, variando dal primo piano della scena fino allo sfondo, fa aumentare la presenza dei dettagli topografici prossimi al punto di presa. Per rendere più evidenti le variazioni morfologiche presenti alle quote più elevate si è usata una seconda maschera, questa volta verticale. Tale accortezza, ispirata alla tecnica dell’Aerial perspective, aumenta l’effetto tridimensionale. Per realizzare queste due generalizzazioni è stato creato un insieme di nodi rappresentati in Figura 2.2.7.
Figura 2.2.5: Inclinazione della vista di 10° (a sinistra), 20° (al centro) e 35° (a destra) 25 In Blender il valore di rotazione attorno all’asse x da inserire per avere la fotocamera inclinata di - 20° è 20. Cap. 2.2 - Processo di progettazione degli elaborati
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Figura 2.2.6: Maschera per la generalizzazione orizzontale (a sinistra), verticale (al centro) e risultato finale (a destra)
Figura 2.2.7: Nodi usati per la realizzazione della generalizzazione verticale ed orizzontale
Con lo scopo di indirizzare l’attenzione degli osservatori verso l’area della riserva MAB CollinaPo, è stata applicata una generalizzazione locale della topografia situata al di fuori della suddetta area (Figura 2.2.8). Per fare questo è stato applicato il Modifier Vertex Weight Edit al DTM, impostando come Texture Mask lo shapefile, precedentemente rasterizzato, rappresentante l’estensione della riserva. In questo modo si crea un nuovo Vertex Weight Group, che andrà usato come maschera, all’interno del Mask Modifier, così da permettere la sola visualizzazione della porzione di DTM rientrate nell’area della riserva. A questo punto, entrando in Edit Mode, con lo strumento Select Box, si selezionano le facce del DTM visibili e si assegna la selezione ad un nuovo Vertex Group. Tale gruppo viene usato per determinare l’area di incidenza dello Smooth Modifier. Una volta applicata la generalizzazione il Mask Modifier viene disattivato. I Modifiers applicati al modello 3D del terreno sono illustrati in Figura 2.2.9. Per rappresentare in modo più chiaro la morfologia della collina torinese è stata applicata una manipolazione locale dell’altimetria (Figura 2.2.10). Si è quindi creata una Shape Key
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Figura 2.2.8: Modello 3D del terreno originale (a sinistra) e con la generalizzazione locale della topografia (a destra)
rappresentante la forma originale del DTM. Successivamente è stato creato un Vertex Group, con lo strumento Select Lasso, relativo all’area di terreno che si vuole scalare e un’altro con un’estensione maggiore a quella strettamente necessaria (Figura 2.2.11). Una volta creata una nuova Shape Key e dopo aver selezionato l’ultimo Vertex Group realizzato, in Edit Mode è stato scalato di 4 lungo l’asse z. I due Shape Keys, quello rappresentante il modello del terreno originale e quello relativo al modello con la porzione della collina torinese scalata, vengono quindi combinati tra di loro usando la modalità Relative. Per avere una transizione graduale tra il modello del terreno scalato e quello originale si è usato il primo Vertex Group che è stato creato. Aumentando il Value della seconda Shape Key, si può controllare l’influenza che il terreno scalato ha sul terreno originale, in modo da determinare l’esagerazione locale ottimale per il DTM. In questo caso è stato usato un valore di 0,6. La proiezione usata per proiettare il modello 3D sul piano è quella prospettica centrale. Questa scelta è stata fatta in modo da rendere più facile possibile la comprensione dell’elaborato e, di conseguenza, l’orientamento degli utenti. A causa del basso grado di inclinazione Cap. 2.2 - Processo di progettazione degli elaborati
Figura 2.2.9: Modifiers applicati al modello 3D del terreno per realizzare la generalizzazione locale della topografia
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Figura 2.2.10: Modello 3D del terreno originale (a sinistra) e con un esagerazione locale del terreno applicata alla collina torinese (a destra)
Figura 2.2.11: Vertex Group dell’area da scalare (a sinistra) e Vertex Group con estensione maggiore (a destra)
della fotocamera, infatti, l’uso di una proiezione parallela avrebbe diminuito di molto l’effetto tridimensionale della scena. Inoltre, la distorsione geometrica che causa il tipo di proiezione scelto viene limitata dall’uso di una lunghezza focale elevata. Nella scena non è stata applicata la curvatura progressiva, in modo da non distorcere l’estensione dell’AOI.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Modellazione degli elementi cartografici Gli oggetti da posizionare sul modello 3D del terreno sono stati stabiliti in modo da evidenziare le caratteristiche delle aree protette e del paesaggio circostante. Per quanto riguarda le informazioni relative all’uso ed alla copertura del suolo (LULC), si è deciso di usare un dato in formato raster, in modo da facilitare la simbolizzazione all’interno di Blender e rendere lo stile dell’elaborato più naturale (Patterson, 2002). In particolare, è stato usato il dato relativo al LULC del 2012 messo a disposizione dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) attraverso il portale Groupware26. La scelta di usare questo dato invece di altri, anche più recenti, come il CORINE Land Cover (CLC) del 2018, è dovuta al fatto che esso presenta una risoluzione metrica giudicata consona alle caratteristiche dell’’elaborato. Infatti, il passo delle celle di 10 m permette agli elementi lineari principali della copertura del suolo (es. corsi d’acqua ed infrastrutture) di essere rappresentati come entità continue. Il LULC prodotto da ISPRA deriva dall’integrazione dei dati di monitoraggio (Corine Land Cover, High Resolution Layers, Urban Atlas e Riparian Zones) del servizio Land realizzati all’interno del programma Copernicus riferiti al 2012 e dalle banche dati regionali riferite al periodo 2011-2013. La classe delle superfici artificiali (codice 11000) deriva invece dalla carta nazionale del suolo consumato 2019. Il LULC adoperato individua 26 classi di uso e copertura del suolo, una classificazione considerata eccessivamente dettagliata per lo scopo della mappa. Per questo, tramite lo strumento Reclassify by Table, è stata svolta una riclassificazione che ha prodotto un raster di sole cinque classi: (i) superfici artificiali ed edifici, (ii) superfici naturali ed erbacee, (iii) vegetazione arborea, (iv) corpi idrici e zone umide e (v) ghiacci e nevi permanenti. Il LULC è stato poi esportato sotto forma di file GeoTIFF (.tif), con Profilo Alta compressione e un dato a 8 bit, in modo da minimizzare la dimensione del progetto di Blender. Il raster relativo al LULC è stato quindi caricato in Blender, dove si è usato il metodo di interpolazione Closest, cosicché le classi del LULC restino invariate e non si creino valori intermedi. Attraverso l’uso di tre Color Ramp Node, con interpolazione di tipo Constant, sono state divise le classi di LULC presenti nell’area di studio (Figura 2.2.12). Per la classe relativa alla vegetazione arborea si è scelto di usare il metodo di interpolazione del LULC di tipo Cubic e del Color Ramp Node di tipo Cardinal. In questo modo si riesce a creare una transizione più naturale tra l’area boscata e le altre classi. Per facilitare l’orientamento degli utenti sono sono stati inseriti nell’elaborato le informazioni relative alla toponomastica. Tali dati derivano dalle classi Toponomastica e Località Significative contenute nella Base Dati Territoriale di Riferimento degli Enti (BDTRE), distribuita dalla Regione Piemonte. Nello specifico, dalla prima classe sono stati usati gli attributi relativi al livello dei Laghi e dell’Idrografia Principale. Mentre dalla seconda classe si sono estrapolate le informazioni 26 groupware.sinanet.isprambiente.it Cap. 2.2 - Processo di progettazione degli elaborati
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Figura 2.2.12: Nodi usati per dividere le classi di LULC
rientranti nel livelli dei Nuclei Abitati e dei Monti. Per tutte le classi usate si è provveduto a realizzare una selezione manuale dei toponimi principali da inserire nell’elaborato. Tutti e quattro i livelli sono stati caricati all’interno di Blender, usando l’add-on BlenderGIS, impostando il DTM come base altimetrica. Le informazioni tematiche relative alla Riserva MAB CollinaPo sono state estratte dai dati distribuiti dall’Ente parco. In particolare, sono stati aggiunti sul modello 3D del terreno le seguenti informazioni: (i) l’estensione della riserva, (ii) i percorsi escursionistici, (iii) i percorsi ciclabili, (iv) i punti di interesse naturalistico ed (v) i punti di interesse artistico ed architettonico. L’estensione dell’area della Riserva MAB CollinaPo è stata esportata in formato raster, come file GeoTIFF (.tif) a 8 bit, con una risoluzione metrica di 70 m. I percorsi escursionistici e ciclabili digitalizzati, in formato vettoriale, dall’Ente Parco sono stati generalizzati con lo strumento v.generalize di GRASS, usando l’algoritmo di DouglasPeucker. In questo modo si è ridotto il dettaglio delle geometrie lineari, affinchè risultino più comprensibili alla scala dell’elaborato. Successivamente sono stati importati all’interno di Blender attraverso la funzione Import Shapefile, presente nell’add-on BlenderGIS, stabilendo il DTM come oggetto dal quale estrapolare le informazioni altimetriche. Gli elementi puntuali, forniti dall’Ente Parco, utilizzati nell’elaborato sono quelli relativi: (i) ai punti di interesse naturalistico e (ii) ai punti di interesse artistico e architettonico. Questi vengono importati in Blender, attraverso l’add-on BlenderGIS, separando gli elementi puntuali in base al campo categoria. Per l’inserimento della toponomastica si è svolto il processo analogo a quello relativo ai percorsi ed ai punti di interesse.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Simbolizzazione In questa fase gli elementi che compongono il modello 3D vengono simbolizzati in modo da facilitare la comunicazione delle informazioni geografiche. Per gli elementi cartografici considerati fondamentali nell’elaborato è stato deciso di procedere alla simbolizzazione all’interno di Illustrator. In questo modo si riesce ad avere maggiori libertà nella rappresentazione e quindi a rendere più chiara la comunicazione delle informazioni. L’elevata quota della fotocamera e la sua inclinazione relativamente bassa portano all’assenza di un notevole cambio di scala tra l’area di primo piano e quella di sfondo. Per questo motivo è stato deciso di usare solamente due classi di Level of Detail (LoD) (Figura 2.2.13), relative ai piani prospettici: (i) di primo piano e (ii) centrale. Nel primo piano prospettico viene adottato un LoD di primo livello (LoD1), dove vengono rappresentate le classi di uso e copertura del suolo (LULC) estruse di un valore stimato in base alle relative altezze medie, mentre nell’area centrale si adopera un LoD di livello zero (LoD0), dove la LULC viene raffigurata con la loro proiezione a terra e con texture contenenti pochi dettagli. L’estensione dell’area di primo piano è stata determinata creando, in QGIS, un elemento puntuale posizionato approssimativamente in corrispondenza del punto di presa e realizzando da qui un buffer di 55 km. Successivamente il file vettoriale è stato esportato come raster con estensione GeoTIFF (.tif) a 8 bit, con una risoluzione metrica di 70 m, che servirà come maschera di ritaglio tra l’area di primo piano e quella centrale. All’interno di Blender ad ogni classe di LULC è stato assegnato un colore usando il Mix RGB Node (Figura 2.2.14). Per le classi relative alle superfici naturali ed erbacee ed alla vegetazione arborea, si sono creati due gruppi di nodi che usano delle procedural texture presenti in Blender per creare un effetto tridimensionale. I colori per le classi della LULC sono stati campionati dall’immagine satellitare del 2020 di Google Earth e poi aggiustati prima di essere utilizzati. La differenziazione della simbolizzazione del LULC in base al LoD è stata applicata attraverso le impostazioni del Bump mapping (BM), usando come maschera il file raster, precedentemente creato, rapFigura 2.2.13: Estensione dei due piani prospettici sulla scena
Cap. 2.2 - Processo di progettazione degli elaborati
presentate l’area di primo piano e l’area centrale (Figura 2.2.15). In particolare, è stato deciso di usare delle texture per rappre93
Figura 2.2.14: Nodi usati per assegnare il relativo colore alle classi di LULC
Figura 2.2.15: Nodi usati per realizzare le texture relative alle classi di LULC della vegetazione arborea e delle superfici artificiali ed edifici ricadenti nell’area di primo piano e centrale
sentare solamente due classi di LULC, in modo da non appesantire troppo la scena (Figura 2.2.16). Per la classe della vegetazione arborea si è usato un Noise Texture Node, avente rugosità diversa in base al piano prospettico in cui si trova l’elemento. La classe delle superfici artificiale ed edifici, situata in primo piano, è stata rappresentata
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Figura 2.2.16: Texture generata per la vegetazione arborea di primo piano (in alto a sinistra) e dell’area centrale (in alto a destra) e per le superfici artificiali e gli edifici di primo piano (in basso a sinistra) e di sfondo (in basso a destra)
usando il Digital Surface Model (DSM) con risoluzione a 5 m fornito dalla Regione Piemonte. Il DSM è stato ricampionato tramite lo strumento r.resamp.interp di GRASS GIS, impostando il Sampling interpolation method come Bilinear Interpolation27 e la dimensione della cella in uscita a 15 m. In questo frangente l’uso di una risoluzione metrica elevata è utile per mantenere percepibili le volumetrie urbane. Infine, per rappresentare in modo più definito la morfologia del terreno, è stato deciso di
Figura 2.2.17: Hillshade generato dal DTM a 5 m e Texture Shading con valore di 1,5 27 Questo metodo di interpolazione assegna il nuovo valore di ogni cella in base alla media ponderata delle quattro celle adiacenti. Cap. 2.2 - Processo di progettazione degli elaborati
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usare la tecnica della Texture Shading (TS). Per fare ciò è stato utilizzato l’algoritmo, accessibile tramite riga di comando28, sviluppato da Leland Brown (2014). Impostando come valore 1,5 si riesce ad estrapolare ulteriori informazioni dal DTM (Figura 2.2.17). Tale texture è stata inserita sul modello con la funzione del Bump mapping (BM). La rappresentazione delle informazioni relative alla toponomastica è stata curata all’interno di Illustrator. Per facilitare la localizzazione delle etichette nella vista prospettica gli elementi puntuali contenuti nei dati georeferenziati del BDTRE sono stati sostituiti con una con una mesh sferica, avente colore differente in base alla classe di riferimento. Successivamente è stato creato un codice, scritto in Python, per generare automaticamente un’etichetta con il nome dell’elemento d’origine e ruotarla in modo che risulti frontale rispetto alla fotocamera. Il codice, usato nella Python Console di Blender, è il seguente: # Script to automatically generate labels for all objects in a collection and position them in the camera view. # Replace ‘collection’ with the name of the collection where are located the objects from which the labels are to be generated. # Replace ‘font’ with the link to the font you want to use. # Generated labels are prefixed with ‘_generated.’ and replaced each time the script is run. # Note that any objects with a name that happens to start with ‘_generated.’ will be automatically deleted. # This script will automatically create a material named ‘_generated.Label’ and assign it to all generated labels. # The generated material can be modified to affect the appearance of the labels. import bpy from bpy_extras.object_utils import world_to_camera_view scn = bpy.context.scene cam = scn.camera col = bpy.data.collections.get(‘collection’) # Pickup the label material if it exists mat = bpy.data.materials.get(“_generated.Label”) if mat is None: # Material doesn’t exist, create it mat = bpy.data.materials.new(name=”_generated.Label”) # Get each object in turn for obj in col.objects: if obj.name.startswith(‘_topon.’): # Delete the old label scn.objects.unlink(obj) bpy.data.objects.remove(obj) else: # Create a new label bpy.ops.object.text_add()
28 app.box.com/v/textureshading
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
tobj = bpy.context.object # Set the name of the label to include the prefix so we can identify them and set the text tobj.name = ‘_topon.’+obj.name tobj.data.body = obj.name # Position the label between the camera and the object diffloc = obj.location - cam.location dist = (diffloc[0]**2 + diffloc[1]**2 + diffloc[2]**2)**0.5 if dist == 0: tobj.location = cam.location else: tobj.location = obj.location # Set the rotation the same as the camera and scale it appropriate to the distance tobj.rotation_euler = cam.rotation_euler tobj.scale = (300,300,300) # position adjustments tobj.location.z =+200 # Assign material to object if tobj.data.materials: # assign to 1st material slot tobj.data.materials[0] = mat else: # no slots tobj.data.materials.append(mat) #Assign a font font = bpy.data.fonts.load(‘font’) tobj.data.font = font
Le etichette sono state quindi renderizzate ed esportate su Illustrator. All’interno del software si è provveduto a copiare il contenuto testuale delle etichette ed a posizionarle nell’elaborato. Il font usato è l’Open Sans29, in stile italic per gli elementi idrici e regular per gli altri. Una volta creata la mappa di base sono state inserite nell’elaborato le informazioni tematiche relative alla Riserva MAB CollinaPo. L’estensione dell’area viene rappresentata con l’ausilio di un contorno sfumato e, per renderla più visibile si è leggermente desaturata la porzione esterna della scena. I percorsi, precedentemente importati in Blender, sono stati convertiti in un oggetto di tipo curva attraverso lo strumento Convert Curve from Mesh. In questo modo si rende possibile creare un volume intorno alla curva con la funzione Bevel cosicché gli elementi siano visibili in fase di render. Dato che i percorsi sono un elemento fondamentale dell’elaborato, si è deciso di concludere la loro simbolizzazione in Illustrator. Per fare questo sono stati realizzati due render
29 fonts.google.com/specimen/Open+Sans Cap. 2.2 - Processo di progettazione degli elaborati
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della scena, il primo contenente solamente i percorsi escursionistici ed il secondo solo con i percorsi ciclabili. Questi sono stati poi importati in Illustrator dove attraverso la funzione Image Trace, usando il preset Outline, si vettorializzano i percorsi. La simbolizzazione di tali informazioni verrà conclusa nella fase di visualizzazione. Anche per la simbolizzazione degli elementi puntuali si è deciso di usare Illustrator. In questo caso, per facilitare il posizionamento dei punti di interesse nell’elaborato, si è realizzato un render dove gli elementi puntuali sono stati sostituiti con una mesh sferica, avente colore diverso in base alla categoria di appartenenza. A questo punto il posizionamento dei simboli avviene nella fase di visualizzazione
.
Visualizzazione Nell’ultima fase del processo di realizzazione della vista d’inquadramento della riserva MAB CollinaPo si sono prese in considerazioni le ultime Variabili progettuali e grafiche. L’illuminazione principale della scena (Figura 2.2.18) deriva da una sorgente di tipo solare, avente la direzione di illuminazione proveniente dal lato sinistro (in questo caso da sud-ovest) rispetto alla direzione di osservazione. In Blender si è quindi definita la rotazione della sorgente di luce impostando come valore y = 50° e z = 315°, dove il primo valore determina l’inclinazione dell’illuminazione ed il secondo il suo azimut30. I valori usati per impostare l’illuminazione consentono di avere i versanti rivolti verso la direzione di osservazione illuminati e delle ombre non troppo marcate nella direzione opposta.
Figura 2.2.18: Scena illuminata con la sorgente principale (a sinistra) e con una seconda sorgente (a destra) 30 All’interno di Blender un’illuminazione perpendicolare al terreno ha valore y = 0 mentre una parallela al terreno di y = 90. Quando invece abbiamo z = 0, l’illuminazione proviene da est per poi ruotare in senso antiorario.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
L’intensità luminosa della sorgente di luce principale è stata stabilita di 12, con una sfumatura chiara di giallo come colore. Per regolare l’intensità di ombreggiatura, si è impostato il comando Sun Size con un valore di 90°. Tramite questo parametro si regola la morbidezza delle ombre nella scena; valori molto bassi producono delle ombre molto definite che possono andare ad oscurare completamente parte del terreno. Per aumentare l’effetto realistico nella scena si è attivata l’impostazione Cascaded Shadow Map della sorgente luminosa solare. Tale funzione serve a generare le ombre proiettate, in questo caso dal DTM, su scene di grandi dimensioni. Per far sì che le ombre proiettate non abbiano un colore nero si è aggiunta una seconda sorgente luminosa di tipo solare, avente direzione opposta a quella principale e intensità molto bassa (pari a 1). Questa fonte di luce ha come colore una sfumatura chiara del blu-turchese, in modo da creare un maggiore contrasto con i colori caldi delle aree illuminate. Dato che le impostazioni della fotocamera non permettono la visualizzazione del cielo e visto che l’area della Riserva MAB CollinaPo ricopre quasi tutta l’estensione dell’elaborato gli effetti atmosferici ed i fenomeni naturali nella scena sono molto limitati. Per questo motivo verranno realizzati solamente all’interno di Photoshop nella fase di combinazione dei render. La risoluzione scelta per svolgere i render è di 2 480 px x 3 508 px, dimensione che permette di avere una risoluzione grafica di 300 dpi nell’elaborato stampato in formato A4. Adoperando la tecnica del multipass rendering sono stati realizzati diversi render distinti della scena: (i) vista completa, (ii) DTM, (iii) Texture Shading (TS), (iv) maschera dell’area MAB e (v) maschera dei corpi e corsi idrici. I render sono stati quindi caricati ed assemblati all’interno di Photoshop. In particolare, si è aggiunto, alla vista completa, il layer relativo al TS con la modalità di fusione luce soffusa ed una opacità del 60%. Il DTM è stato usato come maschera di ritaglio per far sì che i dettagli apportati dal TS alla vista non siano presenti nelle aree pianeggianti. La maschera dell’area MAB è stata usata per enfatizzare il profilo dell’area stessa, andando a schiarire il resto della scena. La maschera dei corpi e corsi idrici è servita ad applicare un effetto, ai relativi elementi, di profondità ed il riflesso del sole. Come ultima cosa, per dare maggiore profondità alla scena è stata aggiunta nell’area di sfondo una sfumatura molto chiara di turchese, con la modalità di fusione Schiarisci. In questo modo si crea un effetto che ricorda l’aumento della foschia a mano a mano che ci si allontana dal punto di presa. Prima di esportare il documento in formato Portable Network Graphics (.png) è stato impostato il formato A4 come dimensione dell’immagine. Si è quindi caricata la vista completa della scena all’interno di Illustrator dove sono stati inseriti i percorsi, i punti d’interesse e la toponomastica precedentemente vettorializzati. Inoltre, è stata aggiunta la barra di scala approssimativa per il primo piano. L’elaborato definitivo (Figura 2.2.19 e Figura 2.2.20) è quindi esportato in formato .png.
Cap. 2.2 - Processo di progettazione degli elaborati
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Figura 2.2.19: Vista d’insieme delle Aree Protette del Po e della Collina Torinese
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Figura 2.2.20: Inserimento della vista d’insieme delle Aree Protette del Po e della Collina Torinese nella brochure del parco
2.2.2
Vista del Parco Naturale della Collina di Superga La vista del Parco Naturale della Collina di Superga verrà realizzata in modo da poter essere esposta in una bacheca, di 70 cm x 60 cm, situata alla stazione di Sassi; punto di inizio della storica tranvia a dentiera Sassi - Superga. Per facilitare l’orientamento la vista dovrà avere una direzione di osservazione simile a quella che assumerà la bacheca ai piedi della tranvia. Nell’elaborato dovranno essere chiare le caratteristiche morfologiche e floristiche dell’area. L’elaborato cartografico 3D sarà uno strumento che permetterà ai fruitori del parco di organizzare la propria esperienza escursionistica dal punto più basso verso la collina del parco stesso. Nell’area sono presenti numerosi percorsi pianificati in modo da far apprezzare le risorse attraverso i ritmi dell’escursionismo. Da un punto di vista floristico i boschi che si trovano nell’area sono composti prevalentemente da querce e cerro, ma variano a seconda dell’esposizione dei versanti. Modellazione del terreno Il presente parco è la Core Area dell’area MAB CollinaPo con la quota più alta (670 m s.l.m. in prossimità della Basilica di Superga) e presenta pendii ripidi. Per stabilire l’inquadratura ottimale e determinare l’estensione dei dati da scaricare è stato usato Google Earth (Figura 2.2.21). In questo caso è risultato preferibile adottare un’inclinazione della vista maggiore, in modo da avvicinarsi di più a ciò che viene osservano nella realtà dagli utenti della mappa. Per lo stesso motivo l’orientamento non sarà rivolto verso nord ma verso est. L’AOI identificata viene quindi scalata di una volta e mezzo usando gli stessi strumenti adoperati per la vista d’insieme (Figura 2.2.22). Cap. 2.2 - Processo di progettazione degli elaborati
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Figura 2.2.21: Inquadramento preliminare definito su Google Earth
Le banche dati impiegate per reperire i dati georeferenziati usati nel presente elaborato sono state le medesime di quelle consultate per la realizzazione dell’elaborato precedente. Per determinare la risoluzione del Digital Terrain Model (DTM), avente estensione pari all’AOI scalata si è usata la formula derivata da Kimerling (2011) (pag. 39). Risolvendo tale equazione e usando come fattore di scala 1 : 45 000 - valore necessario per rappresentare l’AOI scalata all’interno di un elaborato cartografico di tipo tradizionale di dimensione pari alla dimensione della bacheca - si ricava una risoluzione consigliata del DTM di 12 m. Dato che con questa risoluzione il progetto di Blender risoluta eccessivamente pesante si è utilizzato un DTM con risoluzione pari a 15 m. Per ricavare il DTM alla suddetta risoluzione metrica è stato ricampionato il DTM a 5 m fornito dalla Regione Piemonte con lo strumento s.resamp.interp di GRASS GIS, usando l’interpolazione di tipo bilinear. Il DTM viene quindi importato all’interno di Blender con la funzione DEM raw data build. In questa fase è stata impostata un’esagerazione verticale del 170%, considerata consona per rendere più chiara la morfologia dell’area. Figura 2.2.22: Estensione dell’AOI originale e dell’AOI scalata
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Pianificazione della scena Per la presente vista è stato giudicato
Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Figura 2.2.23: Posizionamento dell’estensione della Riserva MAB CollinaPo sul modello 3D del terreno
opportuno usare un formato dell’immagine di 4:3, in modo da avvicinarsi al rapporto che intercorre tra l’altezza e la larghezza della bacheca. Per stabilire in modo definitivo le impostazioni relative alla fotocamera è stato distribuito sul DTM un file raster rappresentante le aree della Riserva MAB CollinaPo (Figura 2.2.23). La prima variabile grafica riferita alla fotocamera è relativa alla lunghezza focale. Dato che il Parco Naturale della Collina di Superga sarà posizionato nella parte centrale della vista e che gli elementi di sfondo avranno solo la funzione di orientamento e di decorazione è stata scelta una lunghezza focale di 50 mm; in modo da aumentare l’effetto prospettico della scena. La fotocamera è stata localizzata in prossimità della confluenza tra il Po e la Dora Riparia. Questo perché il Parco della Collina di Superga si sviluppa, prevalentemente, sui versanti rivolti verso ovest e risulta quindi maggiormente apprezzabile dal suddetto punto. L’azimut di visualizzazione utilizzato permette di rappresentare il parco nella stessa direzione in cui sarà posizionato il pannello. Di conseguenza l’angolo di rotazione z della fotocamera è stato impostato a 287°. Mentre l’angolo di rotazione x, il quale si riferisce all’inclinazione della visualizzazione, è stato stabilito di 50°. Tali parametri sono stati giudicati ottimali poiché permettono la localizzazione del Parco Naturale della Collina di Superga nella porzione alta del primo piano e di mostrare in modo chiaro sia la sua estensione sia il contesto in cui si trova (Figura 2.2.24). Al DTM è stata applicata una generalizzazione orizzontale graduale dal punto di presa fino allo sfondo della scena, in modo da mantenere costante la risoluzione della rappresentazione topografica con il cambio di scala che si verifica all’aumentare della distanza dal punto di presa. In questo modo le porzioni di terreno poste sullo sfondo mantengono solamente le
Cap. 2.2 - Processo di progettazione degli elaborati
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Figura 2.2.24: Impostazione definitiva dei parametri relativi alla vista della scena
Figura 2.2.25: Weight Paint per la generalizzazione orizzontale del modello 3D del terreno
forme principali. Tale generalizzazione è stata eseguita in modalità Weight Paint, creando un gradiente lineare che avesse più peso nell’area di sfondo e sempre meno con l’avvicinarsi al primo piano (Figura 2.2.25). Questo gradiente è stato impostato come Vertex Group per il nuovo Smooth Modifier applicato al DTM. In maniera analoga è stata creata una generalizzazione verticale, per la quale è stato realizzato un gradiente verticale che aumentasse l’effetto tridimensionale della scena (Figura 2.2.26). Anch’esso è stato applicato come Vertex Group di un secondo Smooth Modifier.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Figura 2.2.26: Weight Paint per la generalizzazione verticale del modello 3D del terreno
La proiezione usata per l’elaborato è quella prospettica centrale progressiva (Figura 2.2.27). La scelta della proiezione centrale è dovuta al fatto che l’elemento principale della vista è situato nella parte centrale della scena e, quindi, le sue distorsioni sono relativamente controllate. L’uso di una proiezione progressiva aumenta invece l’effetto prospettico della scena. L’approccio usato per realizzare questo tipo di proiezione è quello della curvatura del terreno. All’interno di Blender è stato creato un Vertex Group, simile a quello realizzato per la generalizzazione orizzontale. Successivamente è stato aggiunto al DTM un Simple Deform Modifier applicato in base al suddetto Vertex Group. Tale modifier è stato impostato in modalità Bend e con un angolo di deformazione pari a -70°. Per stabilire l’orientamento della deformazione è stata definita come origine del modifier un Empty Plain Axes ruotato di 90° sull’asse x. Modellazione degli elementi cartografici Come per la vista d’insieme anche in questo caso è stato usato il dato relativo all’uso Figura 2.2.27: Weight Paint per realizzare la proiezione progressiva (in alto), vista frontale della proiezione (al centro) e vista laterale (in basso) Cap. 2.2 - Processo di progettazione degli elaborati
ed alla copertura del suolo (LULC) fornito da ISPRA, con risoluzione a 10 m. Il LULC è
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stato riclassificato, passando dalle 26 classi originali alle seguenti otto: (i) superfici artificiali ed edifici, (ii) suolo nudo e rocce, (iii) prevalenza di querce caducifoglie, (iv) prevalenza di altre latifoglie, (v) vegetazione erbacea, (vi) arboricoltura da legno, (vii) seminativi e (viii) corpi idrici. Il LULC è stato quindi esportato in formato GeoTIFF (.tif) a 8 bit ed importato in Blender, in modo analogo alla vista di inquadramento, con metodo di interpolazione Closest. Anche in questo caso per separare le nove classi di LULC sono stati usati altrettanti Color Ramp Node (Figura 2.2.28).
Data la scala dell’elaborato è stato
ritenuto consono rappresentare in modo tridimensionale gli edifici che ricadono nell’area di primo piano. Per far questo si è usata la classe UN_VOL del BDTRE, fornito
Figura 2.2.28: Nodi usati per dividere le classi di LULC
dalla Regione Piemonte, la quale rappresenta i volumi elementari degli edifici (BDTRE, 2019). Tale classe è stata preferita ad altre poichè contiene, nella colonna attributi UN_VOL_AV, le informazioni relative all’altezza degli edifici. Prima di importare gli edifici in Blender sono state eseguite una serie di azioni, in QGIS, volte alla loro generalizzazione. Per prima cosa gli edifici adiacenti sono stati aggregati in modo da avere una singola geometria per ogni isolato. Per fare questo è stato usato lo strumento Dissolve e, poi, attraverso il tool Multipart to single parts si sono ricavate le geometrie relative agli isolati. Dato che questo processo non mantiene gli attributi delle geometrie originali è stato necessario usare la funzione Join attributes by location (summary), in modo da trasferire la media dei valori relativi all’altezza degli edifici alla geometria dell’isolato di cui fanno parte. La generalizzazione delle unità volumetrica si è conclusa eliminando le geometrie aventi una superficie minore di 60 m2.
Le informazioni riguardanti la toponomastica dell’area rappresentata sono state
reperite, come per l’elaborato precedente, dalle classi Toponomastica e Località Significative presenti nel BDTRE. In questo caso, data la scala più grande dell’elaborato e data la dimensione maggiore che avrà la mappa finale, si sono selezionate più informazioni relative alla toponomastica. Tali dati sono stati importati in Blender con l’ausilio dell’estensione BlenderGIS.
Per quanto riguarda le informazioni tematiche della Riserva MAB CollinaPo, reperite
nel sito del relativo ente, le classi di informazioni usate sono le medesime di quelle dell’elaborato di inquadramento: (i) estensione della riserva, (ii) percorsi escursionistici, (iii) percorsi
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
ciclabili, (iv) punti di interesse naturalistico e (v) punti di interesse artistico ed architettonico. Anche in questo caso la selezione delle informazioni da rappresentare è stata compiuta sulla base della scala e per questo è meno stringente rispetto all’elaborato precedente. Simbolizzazione La simbolizzazione del presente elaborato cartografico 3D è stata svolta in due modalità. La prima all’interno di Blender e la seconda tramite gli strumenti forniti da Illustrator. Come vedremo di seguito gli elementi simbolizzati nel progetto di Blender sono quelli legati al LULC mentre all’interno di Illustrator si è svolta la simbolizzazione degli elementi tematici fondamentali dell’elaborato.
L’inclinazione più elevata della fotocamera favorisce la creazione di una scena più
realistica, ma al contempo aumenta la differenza tra la scala dell’area di primo piano e la scala dell’area di sfondo. Per questo motivo è stato deciso di usare tre Level of Detail (LoD) (Figura 2.2.29), rispettivamente riferiti all’area: (i) di primo piano (LoD2), (ii) centrale (LoD1) e (iii) di sfondo (LoD0). Per i dati rientranti nell LoD2 sono stati usati gli edifici aggregati per isolati, estrusi di un valore pari alla propria altezza media e nelle classi di LULC riferite alla vegetazione arborea sono stati usati dei modelli realistici rappresentanti le tipologie di piante prevalenti (Figura 2.2.30). Nel LoD1 sono state rappresentate le proiezioni a terra degli edifici e le classi di LULC contenenti vegetazione arborea sono simbolizzate con una texture. Nell’area di sfondo, avente un LoD0, le aree urbane sono rappresentate con una texture prodotta dal DSM, mentre le classi di LULC texturizzate nel livello precedente vengono rappresentate con texture meno complesse. I piani prospettici sono stati determinati attraverso dei buffer eseguiti a partire da un elemento puntuale rappresentate il punto di presa (Figura 2.2.31). Il primo piaFigura 2.2.29: Texture generata per le superfici artificiali e gli edifici di primo piano (in alto a sinistra), dell’area centrale (al centro a sinistra) e dell’area di sfondo (in basso a sinistra. Texture per rappresentare le classi di vegetazione arborea rientranti nell’area: di primo piano (in alto a destra), centrale (al centro a destra) e di sfondo (in basso a destra)
no ricopre un’area che si estende per 8 km dal punto di presa, l’area centrale per i successivi 5 km e l’area di sfondo per il resto della scena. Per la simbolizzazione degli elementi cartografici di primo piano ad ogni classe di LULC è stato associato un colore,
Cap. 2.2 - Processo di progettazione degli elaborati
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ricavato da una ripresa dell’area fornita da Google Earth, tramite il Mix RGB Node (Figura 2.2.32). Per questa porzione di scena alle classi relative alla vegetazione arborea - prevalenza di querce caducifoglie, prevalenza di altre latifoglie ed arboricoltura da legno - è stato attribuito uno stesso colore poiché, come vedremo di seguito, la distinzione viene realizzata attraverso l’ausilio di modelli degli alberi. Per quanto riguarda la simbolizzazione delle superfici artificiali ed edifici di primo piano si sono selezionati, tramite lo strumento Select by location, gli isolati che intersecano l’area di primo piano. Tali isolati sono stati caricati caricati all’interno di Blender, selezionando la colonna UN_VOL_AV come campo per l’estrusione Figura 2.2.30: Modelli usati per rappresentare le classi di vegetazione arborea di primo piano riferite a: querce caducifoglie (in alto), altre latifoglie (al centro) e arboricoltura da legno (in basso)
ed il DTM come oggetto sul quale posizionare gli isolati. Importartando all’interno di Blender gli shapefile non vengono però rispettati i fori che sussistono all’interno
delle geometrie . Quindi eventuali corti interne presenti negli isolati non sono, inizialmente, 31
rappresentate e ciascun foro risulta come una faccia sovrapposta alla mesh dell’isolato. Per evitare questo problema è necessario creare un Vertex Group relativo alle facce dei fori32 e creare due copie dell’oggetto. In una delle due copie si procede a cancellare tutte le facce che non sono all’interno del Vertex Group e, inversamente, nella seconda si mantengono solamente le facce relative ai fori. Usando lo strumento Knife Project si ottengono gli edifici corretti. Come è stato accennato precedentemente, per simbolizzare le classi di LULC caratterizzate da una prevalente copertura arborea si sono creati dei modelli degli alberi, rappresentati in Figura 2.2.30. Per rendere il progetto di Blender più leggero questi modelli sono stati salvati, ed importati all’interno del software, come immagine. Ad ognuna di queste tre classi si è aggiunto un Particle System di tipo Hair. Tale funzione permette di stabilire numerose impostazioni in modo da distribuire i modelli degli alberi sul modello 3D del terreno. Tra queste le fondamentali sono: (i) Number, identifica il numero di alberi, (ii) Distribution, distribuisce gli alberi in modo casuale o seguendo una griglia, (iii) Rotation, ruota i modelli, 31 Scaricando i dati di OpenStreetMap (OSM) direttamente da Blender, attraverso la funzione Get OSM presente nel add-on BlenderGIS, questo problema non sussiste. 32 Per aiutarsi nella creazione di tali Vertex Group è possibile usare lo strumento Select Similar Normal.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Figura 2.2.31: Estensione dei tre piani prospettici sulla scena
Figura 2.2.32: Simbolizzazione delle classi di LULC rientranti nel primo piano
e (iv) Render, permette di scegliere uno o più modelli degli alberi da posizionare sul terreno e la loro dimensione. Una volta stabilite le impostazioni di base dei Particle Systems, attraverso una texture che va ad influenzare la densità, si definisce in quali porzioni del modello 3D del terreno devono essere localizzati gli alberi. Sono state quindi generate tre texture, una per ogni classe di LULC. A tali texture è stato associato il colore bianco quando le porzioni di territorio
Cap. 2.2 - Processo di progettazione degli elaborati
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Figura 2.2.33: Simbolizzazione delle classi di LULC rientranti nel piano centrale
Figura 2.2.34: Nodi usati per applicare la texture alle classi relative alla vegetazione arborea rientrante nel piano centrale
sono coperte dalla relativa classe di LULC e di nero se tale classe non è presente33. Per rappresentare le aree coperte da vegetazione erbacea e quelle ad uso a seminativi è stata usata la ripresa aerea ICE realizzata tra il 2009 ed il 2011 34. Tale dato è stato ricampionamento in modo da avere delle celle di 7 m, con lo strumento strumento Warp (reproject), usando l’interpolazione di tipo cubic. Successivamente, con il tool Raster Calculator si è tagliata l’ortofoto in corrispondenza delle suddette classi di LULC. L’ortofoto è stata quindi applicata al modello del terreno 3D tramite un Mix RGB Node presente in Blender. Le porzioni del primo piano della scena coperte da suolo nudo e rocce sono rappresentate attraverso l’ausilio di un Texture Node collegato ad un Bump Node. La simbolizzazione dei corpi idrici è stata realizzata attraverso in modo uguale per l’intera scena attraverso l’ausilio 33 Si può anche usare una texture in scala di grigi per rendere più realistica la variazione di densità all’interno di una singola classe di LULC. Inoltre, la texture può essere usata per variare altri parametri, come la dimensione dei modelli. 34 geoportale.piemonte.it/geonetworkrp/srv/ita/metadata.show?uuid=r_piemon:8839df82-fced-41b0-a4b1-498c7e7154ac
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Figura 2.2.35: Simbolizzazione delle classi di LULC rientranti nel piano di sfondo
Figura 2.2.36: Nodi usati per applicare la texture alle classi relative alla vegetazione arborea rientrante nel piano di sfondo
di un Glossy BSDF Node. Nell’area centrale la simbolizzazione ha un LoD1, quindi si presenta una diminuzione del livello di dettaglio. Per questo nelle aree relative alle superfici artificiali al posto degli isolati estrusi in base alla loro altezza media sono state rappresentate le proiezioni a terra degli stessi. Le classi di LULC relative alla vegetazione arborea rientranti in questa porzione di scena sono rappresentate attraverso l’uso di tre tonalità di verde (Figura 2.2.33). Per rendere un effetto tridimensionale a queste classi è stato applicato un Noise Texture al Bump Node (Figura 2.2.34). La simbolizzazione delle aree coperte da vegetazione erbacea e quelle ad uso a seminativi è stata realizzata attraverso l’uso della sopracitata ripresa aerea ICE, questa volta ricampionata a 30 m. In questa porzione della scena la classe suolo nudo e rocce viene rappresentata con un Texture Node avente un livello di rugosità inferiore rispetto al LoD precedente. Per quanto riguarda la classe riferita alle aree coperte da superfici artificiali presenti Cap. 2.2 - Processo di progettazione degli elaborati
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nella porzione di sfondo della scena è stata rappresentata solamente con l’ausilio di un colore grigio chiaro. L’ortofoto è stata ricampionata a 50 m, in modo da essere applicata per la simbolizzazione delle classi relative alle aree coperte da vegetazione erbacea e quelle ad uso a seminativi (Figura 2.2.35). In questa porzione della scena le rocce ed il suolo nudo sono rappresentate con il relativo colore. La vegetazione arborea viene simbolizzata con una texture più leggera del livello precedente (Figura 2.2.36). Infine, per rendere più chiara la rappresentazione della morfologia del terreno è stata usata la tecnica della Texture Shading, con un valore di 1. Anche per questo elaborato la rappresentazione della toponomastica è stata realizzata all’interno di Illustrator. Tali informazioni sono state, in maniera analoga all’elaborato precedente, inserite sul modello 3D all’interno di Blender e poi esportate all’interno di Illustrator. Visualizzazione Nella fase di visualizzazione è stata stabilita per prima cosa l’illuminazione della scena (Figura 2.2.37). La sorgente luminosa principale è di tipo solare e permette perciò di creare un’illuminazione uniforme su tutta la scena. L’azimut di illuminazione è stato impostato in modo da provenire dal lato destro rispetto
Figura 2.2.37: Illuminazione della scena
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
al punto di presa (sud-ovest), mentre l’inclinazione ottimale è stata definita di 50°. L’intensità luminosa è stata imposta di 12, in modo da rendere vivaci i colori della scena. Il colore di questa sorgente luminosa è una sfumatura chiara di giallo. Per non avere delle ombre troppo definite si è impostato un Sun Size di 90°. In questa scena, oltre ad attivare l’effetto Cascaded Shadow Map si è usata la funzione Contact Shadow in modo da rappresentare le ombre proiettate dagli oggetti (es. gli edifici) sul modello del terreno. Una seconda sorgente luminosa, sempre di tipo solare, è stata aggiunta alla scena per evitare che le ombre abbiano un colore nero. Tale sorgente ha quindi una direzione opposta rispetto alla sorgente principale e un una sfumatura chiara del blu-turchese come colore. Anche per questo elaborato gli effetti atmosferici sono stati generati, in una fase successiva, all’interno di Photoshop.
La risoluzione con cui svolgere i render è stata determinata di 7 441 x 5 905, in modo
che l’elaborato risulti con una risoluzione grafica di 300 dpi quando verrà stampato con le dimensioni finali di 53 cm x 60 cm. Per i render è stata usata la tecnica del multipass rendering, per cui si sono realizzati diversi render, successivamente uniti all’interno di Photoshop. In particolare, si sono effettuati i seguenti render: (i) LULC, (ii) hillshade, (iii) area del parco, (iv) edificato e (v) Texture Shading. All’interno dell’elaborato sono stati inseriti i modelli scalati della stazione di sassi superga e della basilica di Superga. Tali modelli si sono ricavati ritagliando una vista da Google Earth e applicando il Cutout filter in Photoshop in modo da generare uno stile più astratto.
Una volta assemblati i diversi render e ottenuta la scena finale l’immagine è sta-
ta importata in Illustrator dove sono state posizionate le etichette della toponomastica, i percorsi ed i punti di interesse. L’elaborato è stato quindi esportato in formato .png (Figura 2.3.38; Figura 2.3.39).
Cap. 2.2 - Processo di progettazione degli elaborati
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Figura 2.2.38: Vista del Parco Naturale della Collina di Superga
Figura 2.2.39: Vista del Parco Naturale della Collina di Superga impaginata
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Conclusioni e prospettive future L’obiettivo principale di questo progetto di tesi è stato quello di definire i principi da seguire per realizzare, attraverso l’ausilio dei mezzi digitali, degli elaborati cartografici 3D comunicativi ed esteticamente attraenti. Nel corso degli anni gli artisti hanno sviluppato numerose tecniche per la rappresentazione pittorica sia delle viste panoramiche sia di quelle a volo d’uccello, fondamentali anche per creare mappe 3D digitali. Questi metodi, sviluppati dai pittori, sono qui stati analizzati e impiegati come fonte di ispirazione per lo sviluppo di tecniche digitali.
Nella prima parte della tesi si sono studiate le definizioni di cartografia 3D e le princi-
pali differenze che intercorrono tra le mappe 3D e quelle tradizionali, realizzate attraverso la proiezione ortogonale. Successivamente è stato approfondito il processo di evoluzione che ha subito nel tempo la rappresentazione obliqua dello spazio geografico, sia in riferimento ai centri abitati (viste a volo d’uccello) sia agli spazi più ampi (viste panoramiche). Nella parte centrale dello studio si è sviluppato un nuovo processo per la produzione degli elaborati cartografici 3D statici. Tale processo è stato strutturato sulla base del flusso di lavoro adottato dagli artisti per la realizzazione delle viste panoramiche e su alcuni studi contemporanei riguardanti la cartografia 3D digitale. La strutturazione del processo in cinque fasi permette di gestire in modo lineare le numerose variabili che entrano in gioco durante la creazione di una mappa 3D. Per ogni fase del processo sono descritte le possibili impostazioni delle variabili, in modo da aiutare i cartografi ad avere un controllo maggiore sul risultato finale del progetto. La realizzazione di una mappa 3D è infatti un compito complesso, dove entrano in gioco un numero cospicuo di variabili grafiche, molte delle quali non considerate nel processo di creazione della cartografia tradizionale. Nel presente testo tali variabili sono state esaminate e, sulla base dei principi cartografici e sulla ricerca, si sono formulate delle linee guida per la progettazione di mappe 3D. Queste indicazioni non sono da intendersi come regole rigide, quanto più dei suggerimenti di partenza per realizzare elaborati che comunichino in modo efficace le informazioni agli utenti della mappa. Difatti, data l’unicità di ciascuna vista 3D e l’elevata libertà artistica applicabile in essa, non possono essere adottate delle regole universali. Nella parte conclusiva della tesi si è sperimentata la possibilità di utilizzare Blender, un software di modellazione 3D open-source, per la rappresentazione cartografica 3D. Le linee guida delineate nella fase precedente dello studio si sono applicate per la raffigurazione delle Aree Protette del Po e della Collina Torinese. Per sperimentare in modo esauriente le variabili grafiche della cartografia 3D sono state realizzate due viste: una d’insieme ed una a scala più grande. Per entrambi gli elaborati sono state esposte le scelte progettuali adottate ed i passaggi svolti per passare dai dati geografici alle viste 3D. Nella fase di progettazione sono state sviluppate varie tecniche che consentono ai cartografi di: (i) risolvere, all’interno di Blender, alcuni problemi tipici che si presentano nella realizzazione delle mappe prospettiche ed (ii) emulare alcune delle tecniche usate dai pittori.
Il processo di creazione della vista d’insieme ha permesso di sviluppare diverse tecniche che permettono di applicare al modello del terreno generalizzazioni orizzontali (in base alla distanza dal punto di presa), verticali (in base alla quota) e locali (in base allo scopo della mappa). Una metodologia per l’esagerazione locale dell’altimetria è stata delineata. Si è descritto l’uso del Node System di Blender per la simbolizzazione sia dei dati relativi all’uso ed alla copertura del suolo sia di informazioni tematiche dell’area. Si è creato un codice scritto in Python che, quando letto nella Python Console di Blender, genera le etichette relative alla toponomastica dell’area di studio. Nella realizzazione della vista a scala più grande si è delineata una seconda modalità per attuare la generalizzazione orizzontale e verticale del modello del terreno. Si è trattato l’uso del Particle System Modifiers per la simbolizzazione delle aree coperte da vegetazione arborea. Inoltre, è stata sviluppata una tecnica per realizzare la proiezione progressiva della scena attraverso la curvatura del terreno. I risultati ottenuti da queste sperimentazioni hanno lo scopo di illustrare alcune delle potenzialità fornite da Blender per la rappresentazione cartografica 3D. I metodi esposti in questa tesi possono essere sfruttati per riprodurre alcune tecniche, fondamentali nelle viste oblique dello spazio geografico, fino ad ora accessibili solamente a persone dotate di uno spiccato talento artistico. In questo modo ci si auspica anche di tramandare la conoscenza ereditata dai pittori ai cartografi contemporanei e, allo stesso tempo, di suscitare un maggiore interesse da parte della ricerca nell’ambito della cartografia 3D. Sulla base di quanto presentato, studi futuri potrebbero: (i) approfondire le tecniche usate dai pittori per rendere l’aspetto dei panorami naturale e sviluppare dei metodi per applicarle nella cartografia 3D digitale, (ii) esaminare l’uso degli strumenti forniti da Blender per la manipolazione della geometria dei modelli del terreno, (iii) indagare più nel dettaglio la generalizzazione delle informazioni cartografiche in relazione alla variazione della scala all’interno della vista, (iv) sperimentare l’uso di Blender per la realizzazione di elaborati cartografici 3D interattivi contenenti diversi layers tematici, (v) ampliare gli studi riguardanti l’efficacia delle mappe 3D nella comunicazione dei percorsi e (vi) comparare e valutare l’efficacia delle mappe tradizionali e delle mappe 3D per scopi differenti da quello escursionistico. I software di modellazione 3D, come Blender, offrono numerosi strumenti utili per la rappresentazione dello spazio geografico. La sperimentazione nell’uso di questi, da parte dei cartografi, si deve basare sui principi teorici della cartografia, ma lo spirito creativo dell’autore non deve essere ostacolato in modo eccessivo. Seguendo questo accorgimento, così come i pittori di viste panoramiche hanno ispirato i principi della cartografia 3D odierna, ci sarà la possibilità di sviluppare nuove tecniche digitali per la rappresentazione cartografica obliqua.
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
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Principi e tecniche per la rappresentazione cartografica tridimensionale
Ringraziamenti Desidero ringraziare tutte le persone che hanno contribuito alla mia formazione, personale e professionale. Vorrei ringraziare innanzitutto il Professore Gabriele Garnero per aver creduto in questo progetto, per i suoi preziosi consigli, il suo continuo supporto e la sua pazienza durante la realizzazione dell’intera ricerca. Un grazie speciale va ai miei amici di una vita e a quelli che ho incontrato lungo il percorso accademico. Se state leggendo questi ringraziamenti significa che avete fatto parte del mio viaggio e colgo questa occasione per dirvi quanto mi senta fortunato ad aver condiviso del tempo con voi. Infine voglio dedicare questo lavoro alla mia famiglia, fonte di continuo sostegno. Grazie per avermi insegnato a vedere sempre il lato positivo della vita.
Giulio