Officinae Marzo 2012

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Trimestrale internazionale di attualità , storia e cultura esoterica — Anno X XIV - Marzo 2012 - n.1


Trimestrale internazionale di attualità, storia e cultura esoterica Anno XXIV - n.1 - Marzo 2012 Direttore Editoriale e Responsabile LUIGI PRUNETI Direttore ANNA GIACOMINI Segreteria di Redazione ROBERTO PINOTTI SIMONE TADDEI Comitato di Redazione LINA ROTONDI LUISA CERAVOLO SABRINA CONTI VALERIA DI PACE STEFANO MOMENTÉ FEDERICA POZZI GIANCARLO GUERRIERI MATTEO BARTOLETTI RENATA SALERNO Comitato Scientifico VINCENZO CIANCIO ALDO A.MOLA PAOLO ALDO ROSSI IDA LI VIGNI RAFFAELE MARRŸ PAOLO MAGGI Renato ARIANO BARBARA NARDACCI Consulente Legale PIERPAOLA MELEDANDRI hanno collaborato a questo numero MICHELE ANGIULI ANTONIO BINNI CLIZIA GALLAROTTI GIUSEPPE IVAN LANTOS VALERIO MEATTINI ALDO ALESSANDRO MOLA LUIGI PRUNETI PAOLO ALDO ROSSI PATRIZIA TASSELLI LEO TOSCANELLI FABRIZIO TURRINI ISABELLA ZOLFINO progetto e realizzazione PAOLO DEL FREO


Sommario L.Pruneti - Primavera d’intorno — 2 A.A.Mola - Il Supremo Consiglio — 4 L.Pruneti - L’Italia, il Montenegro e la Massoneria — 12 G.I.Lantos - Bet Ayn Zayn — 22 P.Tasselli - Enkidu e Gilgamesh — 30 P.A.Rossi - Il fungo degli sciamani — 36 A. Binni - ‘Discorso sulla servitù volontaria’ — 46 I.Zolfino - Jean Louis Annecy — 50 M.Angiuli - Il dualismo e le equazioni differenziali di Laplace — 58 C.Gallarotti - Vogliamo che la Patria sia in buone mani — 62 F.Turrini - Il mistero — 66 La Grande Loge Féminine de France — 70 In Biblioteca — 74 Fregi di Loggia — 79


Primavera d’intorno Luigi Pruneti

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o ancora davanti a me le immagini di metà Febbraio, quando l’Italia era stretta nella morsa della neve, le comunicazioni interrotte, la Capitale precipitata nel caos. In quei giorni immagini incredibili si avvicendavano sui telegiornali o ruscellavano attraverso la rete per sbigottire chi si fosse posto davanti al terminale. Fra le tante ricordo la foto emblematica di Urbino, con il Palazzo Ducale trasformato nel castello della regina del gelo. Oggi quelle visioni sembrano echi di un mondo lontano, di una dimensione nordica agli antipodi del Bel Paese che si specchia nell’azzurro del Mediterraneo, del “greco mar, da cui Vergine nacque Venere”, come scrisse Foscolo, ricordando la materna Zacinto. Sì, “primavera d’intorno …”; il calicanto ha ormai smarrito i suoi bottoni d’oro e di nostalgia e nell’aria percepisci l’inebriante profumo della mimosa. Il cielo è terso di nubi che non osano più offenderne l’azzurro e i campi spolverati di verde celebrano il rito antico della luce, tornata a consolare la vita. L’equinozio è alle porte e presto il Sole entrerà in Ariete, domicilio di Marte e di Plutone, per ricordare a tutti il suo novello vigore, per contrastare l’ombra e regalare all’uomo uno spiraglio di speranza. Rinnoviamo anche Noi il sogno di giorni radiosi. I tempi non sono dei miglio-

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ri e gli ultimi mesi ci hanno assediato con cattive notizie: crisi economica, naufragi, emergenze climatiche, sterile litigiosità, vaniloqui e sciorinamento di stupidari che, more solito, hanno chiamato in causa pure la Massoneria. Ricordiamoci che spesso l’oscurità sorge dall’uomo stesso, dal suo insipiente egoismo, dall’incapacità, tutta terrena, di non guardare in prospettiva, dalla demoniaca grettezza di sacrificare le speranze del domani per la cupidigia dell’oggi. Cerchiamo da Liberi Muratori di seminare in questa primavera consapevolezza e ragione, coesione e tolleranza e raccoglieremo al Solstizio d’Estate saggezza, fratellanza, serenità ed attese di felicità. Officinae cercherà, come sempre, di recitare la propria parte proponendo, soprattutto, itinerari di ricerca, orizzonti di conoscenza, spunti di riflessione.

In questo numero, a brani poco notidi storia massonica e profana, si sommano ricerche antropologiche, pagine di pensiero, suggerimenti sul simbolismo, sul mito e sull’umano, complesso viaggio dell’uomo verso la sorgente, sempre lontana e nascosta, della verità. Buona lettura, dunque, raccomandando, caso mai, di non dimenticare i versi del poeta turco Nazim Hikmet: “Il più bello dei mari è quello che non navigammo. / Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto / I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti. / E quello che vorrei dirti di più bello / non te l’ho ancora detto”. P.2-3: Intorno all’equinozio (foto P.Del Freo).


...Primavera d’intorno Brilla nell’aria, e per li campi esulta, Sì ch’a vederla intenerisce il core... Giacomo Leopardi

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Storia

Il Supremo Consiglio

del Rito Scozzese Antico e Accettato istituÏ il Grande Oriente d’Italia (Parigi, 16 marzo - Milano, 20 giugno 1805) Aldo A.Mola

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l bicentenario della costituzione del Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico e Accettato per l’Italia e del Grande Oriente d’Italia nel “Regno d’Italia” ha propiziato qualche utile chiarimento su quanto veramente accadde fra il 16 marzo e il 22 giugno 1805. Il 150° delle prime Costituzioni della Massoneria Italiana discusse e votate dalla prima Assemblea Costituente Massonica Italiana nelle tenute delli 27, 28, 29, 30 e 31 dicembre 1861 ha invece lasciato in ombra il nodo centrale: la presunta continuità tra il Grande Oriente d’Italia del 1805 e quello menzionato nel punto c) dell’art. 6, Capo Secondo, delle predette Costituzioni: denominazione stabilmente assunta dall’organizzazione massonica faticosamente sorta nell’ottobre 1859. Quel cammino raggiunse un primo risultato stabile la mattina del 23 maggio 1864 quando l’Assemblea generale costituente della Massoneria italiana approvò che “Il G(rande) O(riente) ha il potere sovrano mass(onico) amministrativo con tutte le prerogative inerenti ad esso, secondo gli Statuti generali dei diversi Riti, meno la parte liturgica e dommatica”. In altre parole, il Grande Oriente d’Italia di Ettore Ferrari, fondato sulla pretensione del governo dei Riti da parte dell’Ordine, è tutt’altra cosa da quello del 18611905: tema così vasto da meritare un libro. In uno spazio forzatamente limitato va comunque ricordato che il Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico e Accettato (d’ora in poi RSAA) ha continuità storica documentata proprio perché non identificato con un territorio, mentre il Grande Oriente d’Italia del 31 Dicembre 1861 non ha continuità diplomatica né

meno ancora storica e/o politico-morale con quello del 1805. Bastino al riguardo due considerazioni, ovvie, ma troppo spesso dimenticate: il “Regno d’Italia” del 1805 era una “marca” dell’Impero dei Francesi e il titolare della sovranità ne era Napoleone I. Crollati l’Impero e il Regno, quel Grande Oriente cessò di esistere a tutti gli effetti, a differenza di quello di Francia, che seguì le sorti dello Stato. Il Grande Oriente del 1861, sia pure nella babele delle lingue che ne angustiò il lentissimo parto, sorse proprio per rifiuto dell’egemonia della Francia sulla massoneria italiana: non per caso la risposta non tardò a venire con la costituzione del Supremo Consiglio grande Oriente d’Italia sedente in Palermo, che lestamente si dette per Sovrano Gr. C. e Gran Maestro Giuseppe Garibaldi. Ne riparleremo. Qui torniamo sulla instaurazione del Supremo Consiglio per l’Italia, il cui “atto di nascita” è riproposto con la ristampa anastatica dell’Estratto de’ primi travagli della Gran Loggia Generale dell’Ordine r.(ea)le della Franca Massoneria Scozzese al Rito Antico ed Accettato sotto la denominazione di G\ O\ d’Italia – Extrait des Prémiers (sic) Travaux de la Grande Loge Générale de l’Ordre r(oya)l de la Franc-Maçonnerie Ecoss.. au Rite Ancien ed Accepté sous la denomination (sic) de G\O\ en (sic) Italie, Dalla stamperia del G\O\ d’Italia, 5805- De l’Imprimerie du G\O\ d’Italie, 58051. Il testo è molto citato (quasi sempre di seconda mano e quindi in modo impreciso) ma pressoché ignoto. Tuttora in attesa di uno studio esaustivo, esso racchiude documenti compilati in tempi diversi, riveduti e stampati per dare forma alla fondazione del Grande Oriente d’Italia insediato a Milano il 20 giugno 1805 e indicarne in modo inequivoco la paternità: il Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico e Accettato (RSAA) “per” l’Italia, vale a dire per il “regno d’Italia”, da Napoleone, titolare della corona, affidato al figlio adottivo Eugenio di Beauharnais, con rango di viceré.

I “capitoli” non vi sono disposti secondo la sequenza cronologica degli eventi che li generarono. La “Circolare” pubblicata in premessa non lascia dubbi. Dichiara che “Dei (orrendo partitivo francesizzante, NdC) Principi Sovrani” scozzesisti francesi “hanno creato e nominato

Storia per l’Italia un Supremo Consiglio…” al fine di organizzare una Gran Loggia Generale sotto il nome di Grande Oriente. Quella Massoneria non fu dunque né giacobina, né criptorepubblicana, né rivoluzionaria. Nacque e visse “napoleonica”. Nel 1805 i suoi fondatori non avevano neppure un chiaro “progetto Italia”. Tra le poche certezze vi era che Piemonte e Liguria avrebbero fatto parte integrante dell’Impero napoleonico, e cessando quindi di essere “Italia”. Il resto sarebbe dipeso dalle fortune di Napoleone… Come quel Grande Oriente possa essere rivendicato quale antecedente della Massoneria Italia postunitaria, cioè del regno sorto quale Stato sovrano dell’Italia “una e indivisibile” rimane un mistero o quanto meno risulta curioso. L’Estratto dell’insediamento del Grande Oriente riferisce fatti del 20° giorno del 4° mese 5805, cioè del 20 giugno 1805. Esso non è un vero e proprio processo verbale ma una compilazione successiva agli eventi, come indica la certificazione finale: “Visto e approvato…”, Collationné sur la minute et verifié par nous Orateur protempore, su mandato del Grande Oriente, con controfirma del facente-funzione di Segretario. Il libro comprende inoltre la Carta istitutiva del Supremo Consiglio, con indicazione esatta della sua redazione: “Sotto il volto celeste del Zenito al punto verticale del g°.. 48.., min…50 e 14.. secondi, lat.. Nord”, ma senza data. Seguono il Tableau du G\O\ d’Italie, cioè l’organigramma del Supremo Consiglio, il quadro della Gran Loggia Generale e il repertorio delle (poche) logge in Italia (cioè in Lombardia), completo del Trattato di Unione sottoscritto il 22 giu5


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gno da Paul Vidal, plenipotenziario del Supremo Consiglio di Francia e di quello d’Italia, e da Giuseppe Lechi, Gran Maestro del Grande Oriente della Divisione Militare d’Italia, nel Regno di Napoli, due giorni prima presente all’installazione del Grande Oriente del Regno d’Italia. Il volume stringe dunque insieme i documenti di fondazione della Massoneria voluta e/o autorizzata da Napoleone tre mesi dopo la sua incoronazione a imperatore dei Francesi (2 dicembre 1804) e proprio quando, il 15-17 marzo 1805, la Repubblica italiana, ex Cisalpina (cioè lombardo-emiliana) divenne Regno d’Italia, cioè “marca” italiana dell’Impero. Esso invita alla rilettura della massoneria in quell’età napoleonica che non ebbe affatto per scopo l’unità e l’indipendenza dell’Italia, bensì la sua subordinazione agli interessi dell’Imperatore e dei Francesi di cui Napoleone era sovrano, secondo un disegno 6

filosofico la cui solidità e durata nel 18051813 nessuno era in grado di valutare. L’opera sollecita anche a risalire all’originale della costituzione del Supremo Consiglio per l’Italia, giacché indica la città della sua fondazione (Parigi), ma ne omette la data: 16 marzo 1805. Contrariamente a quanto a lungo fu detto, il Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico e Accettato (RSAA) “per l’Italia” non nacque affatto a Milano, il 5 marzo o il 4 aprile 1805, come ancora solitamente si legge. Esso venne costituito nella capitale francese il 16 marzo 1805 per iniziativa di un nucleo di alti dignitari del Supremo Consiglio scozzesista d’Oltralpe d’intesa con alcuni autorevoli rappresentanti della Repubblica Italiana in quei giorni presenti nella capitale dell’Impero ove si erano recati per chiedere a Napoleone di proclamare il “Regno d’Italia”. L’Imperatore li accontentò. D’altronde era stato

egli stesso a suggerire – anzi, a imporre – quella svolta. Per darle nerbo, solide basi e prospettive occorreva però un “partito”, una rete di collegamenti tra politici e militari cresciuti negli staterelli in cui sino a quel momento erano rimaste divise le terre del nascente Regno d’Italia. Per capire l’importanza della “svolta” impressa alla massoneria italiana con la costituzione del Supremo Consiglio del RSAA occorre risalire dalle leggende ai documenti e leggerli correttamente, rimediando alla costante distrazione, causa di errori di storia e svarioni geografici. Nel 1975 Manlio Cecovini, all’epoca Luogotenente Gran Commendatore del Supremo Consiglio del RSAA incorporato nel Grande Oriente d’Italia, pubblicò il Report presentato all’XI Conferenza internazionale dei Supremi Consigli del Mondo radunata a Indianapolis dall’1 al 5 giugno. L’opuscolo (Freemasonry in Italy: a few historical notes on ancientness of the Supreme Council of Italy, redatto in francese, inglese, tedesco e spagnolo) illustrò la genesi del Supremo Consiglio. Asserito, senza supporto di documenti, che il RSAA “in realtà esisteva in Italia molto prima di Napoleone”, Cecovini scrisse che esso venne organizzato ufficialmente il 16 marzo 1805 quando il conte Augusto di Grasse-Tilly prese l’iniziativa di costituire in Milano un Supremo Consiglio e una Gran loggia generale, che, a sua volta, sull’esempio della Francia, assunse il nome di “Grande oriente d’Italia del RSAA”. A conferma pubblicò in copia anastatica sei pagine “dell’atto di nascita” del Supremo Consiglio conservato negli archivi del Rito, a quel tempo inse-


diato in via Giustiniani, a Roma. Cecovini citò esattamente la data di costituzione (16 marzo 1805), ma sbagliò il luogo, indicando Milano. Di tale atto esistono varie copie, a Parigi, a Roma, tra le Carte Lechi a Brescia e in tuttora impenetrabili archivi privati. L’Archivio di Stato di Pistoia ne ha un esemplare tra le carte della “Donazione Gelli”, il cui inventario è stato redatto personalmente dal Donatore quale invito, poco raccolto, a studiare. La ricerca dell’originale per ora non ha dato frutti, ma nessuno ha contestato l’autenticità delle copie in circolazione. Nel 1983 una di esse fu pubblicata integralmente in anastatica da Brunello Nardini, massone e studioso di grande probità, editore del celebre Secreta. In premessa Nardini scrisse: “Il 4° giorno del 2° mese dell’anno 5805 (4 aprile1805), de GrasseTilly, Pyron, Vidal e Renier, scrissero e sottoscrissero a Milano l’Atto che, per la prima volta, viene qui riprodotto in fac-simile unitamente alla sua versione in lingua italiana. Grazie a questo prezioso e incontestabile documento, il R.S.A.A. d’Italia – scomparso il S.C. delle Isole Francesi – diventa, per anzianità, il terzo del mondo, dopo quello “madre” del 1801 e quello di Francia del 1804”. Nardini non si soffermò sull’incipit e confuse la data della copia (4 aprile) con quella dell’originale: un peccato veniale se confrontato col merito di aver dato alle stampe il documento. Un anno prima, nel 1982, François Collaveri aveva pubblicato La Franc-maçonnerie des Bonapartes con prefazione di Georges Dumézil. Sulla scorta del Livre d’Or du Suprème Conseil, conservato alla Biblioteca Nazionale di Parigi, Fondo Manoscritti, poi studiato anche dall’autore di queste pagine con la benevolenza dell’impareggiabile M.me Florence de Lussy, sua conservatrice, Collaveri spiegò che la Massoneria francese era sotto la protezione speciale di Napoleone, il 2 di-

cembre 1804 autoincoronatosi Imperatore dei Francesi. Poiché Napoleone era anche presidente della Repubblica italiana, i massoni francesi decisero di organizzare in Italia una Gran loggia metropolitana e un Gran capitolo metropolitano “dopo una ricognizione dei luoghi”. Inizialmente l’iniziativa pareva riservata al Grande Oriente di Francia. Quest’ultimo venne però battuto sul tempo dai supremi dignitari del Rito Scozzese, che rivendicavano la primogenitura nella costituzione di corpi massonici nell’ambito dell’Impero, sul cui territorio avevano (o afferma-

vano di avere) priorità sovrana assoluta, attestata anche dall’aquila bicipite orgogliosamente iscritta nel sigillo del Rito. In virtù dei poteri con i quali aveva dato vita al Supremo Consiglio dei Caraibi francesi e a quello di Francia, il conte Augusto di Grasse-Tilly conferì il grado di Grande ispettore generale a Pietro Calepio, Giambattista Constabili, Marco Alessandri, Gustavillani, Daniele Felici, Pietro Parma “per costituire e installare un Supremo Consiglio del 33° grado

al fine di regolare e governare, par nous, la Massoneria in Italia di Rito Scozzese antico e accettato”. Il documento, datato 16 marzo 1805, venne siglato da Grasse-Tilly e dal suo “secretaire des commandements” Paul Vidal e controfirmato da tre italiani: Pierre (Pietro) Calepio, Consta-

Storia bili e Alessandri. “Vidal - proseguì Collaveri - si recò a Milano (CdA) e con i cofirmatari dell’Atto e altri massoni, ai quali conferì i gradi sommi del rito, creò il Supremo consiglio d’Italia”. Sempre sotto la sua autorità venne approntata l’installazione in Milano di una Gran loggia generale (o Grande Oriente), cui concorsero due gruppi di logge all’epoca attive. Collaverì non indicò esplicitamente la distanza temporale tra la costituzione del S. C. del RSAA per l’Italia (16 marzo) e l’ “installazione” della Dieta Generale o Grande Oriente d’Italia in Milano (20 giugno). Perciò la generalità degli studi ha ignorato il luogo di fondazione del SC e spesso è inciampata nella data. E’ il caso del saggio di Gian Marco Cazzaniga sulla Nascita del Grande Oriente d’Italia (Torino, Einaudi, 2005), ove si legge che la “nuova Obbedienza”, cioè il Grande Oriente d’Italia, “nasce da Milano il 16 marzo 1805 come Supremo Consiglio di Sovrani grandi Ispettori Generali del 33° grado, di cui sarà Sovrano Gran Commendatore il figlio adottivo di Napoleone, il principe Eugenio di Beauharnis, viceré d’Italia, e il documento costitutivo risulta controfirmato in calce da De Grasse-Tilly, Renier e Vidal il 4 aprile 1805 (solita confusione tra la copia e l’Atto, NdA). Poi sempre a Milano nasce come Ordine il 20 marzo 1805 (in realtà giugno NdA), ordine dapprima chiamato Gran loggia Generale Scozzese e poi dal 20 giugno 1805 Grande Oriente d’Italia (…) Tutto questo avviene con una netta pre7


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valenza di logge militari e con una certa fretta: infatti la cosiddetta Bolla di Fondazione, di cui abbiamo copia manoscritta, innalza al 33° grado, con la benedizione del conte De Grasse-Tilly, sei fratelli italiani, che sono o saranno ministri e generali del Regno d’Italia, ma risulta firmata a Parigi il 16 marzo 1805, il che pone qualche problema dal momento che gli stessi fratelli risultano nello stesso giorno come cofondatori a Milano del Supremo Consiglio. D’altra parte il documento di Costituzione generale del G\O\ in Italia risulta datato 5 marzo 1805…”. Una babele di date e di quesiti non risolti, come accade, appunto, quando si procede “con una certa fretta”: ci si avvicina alla verità ma si rimane ancorati ai luoghi comuni solo perché si salta a piè pari quanto gli autori del documento scrissero a tutte lettere e fu ripetuto nell’edizione a stampa. La matassa è però meno ingarbugliata di quanto paia, se appena si abbia la pazienza di leggere i documenti. Procediamo dunque con ordine. Proprio l’atto di fondazione del Supremo Consiglio, sia nella versione integra8

le pubblicata da Nardini (32 facciate) sia in quella monca prodotta da Cecovini (solo 6 pagine, ma essenziali), sgombra il campo dalle incertezze sulla data e, ancor più, sul luogo in cui ebbe luogo il solenne evento. Il documento inizia con l’intestazione-invocazione: “Universis Orbis Terrarum Architectoris gloria(m) ab ingenii”: formula di niente affatto agevole interpretazione, giacché ab regge l’ablativo, mentre nel manoscritto l’avverbio è seguito dal genitivo di ingenium. Il senso torna se si concede all’amanuense un lapsus calami, leggendo ad anziché ab. Sotto il sigillo del Rito, figura la formula rituale “Deus meumque ius. Ordo ab Chao”. Ed ecco, per stralci e in traduzione (nostra), i passi fondamentali dell’ “atto”: “Sotto la Volta Celeste dello Zenith nel punto verticale del 48° Gr. 50 mins., 14 secon. Latit. nord. Noi Sovrani Principi Massoni Grandi Ispettori Generali del 33 gr., debitamente e regolarmente costituiti e patentati dal Potentissimo fr. Augusto Degrasse Tilly, Sovrano Gran Commendatore ad Vitam, di tutti i Concistori e Supremi Consigli di

Francia e delle Isole francesi d’America. E i Sovrani Principi Massoni Grandi Ispettori Generali del 33° Grado di Francia e delle Isole francesi d’America, gli Illustrissimi ffr. Renier, Pyron e Vidal. Considerando che l’Ordine Massonico in Italia non ha ancora conseguito tutto lo Splendore e la maestà che gli sono dovuti; che le diverse logge istallate sino a oggi non hanno ancora un punto di raccolta in un Corpo Rappresentativo e Amministrativo; che i loro lavori non hanno affatto attinto la regolarità loro necessaria; che le alte Scienze mistiche verso la cui conoscenza i massoni non cessano di volgere i loro voti, non possono ricevervi le comunicazioni e gli sviluppi di cui sono suscettibili, poiché (il loro NdA) insegnamento non è ancora per nulla organizzato in Italia. Considerando inoltre che i Sovrani Consigli del 33° Grado, eretti dalla potenza Suprema alla quale essi debbono la loro esistenza, ha (sic) per obiettivo, di regolare e governare, nei due emisferi del globo, le diverse Logge Massoniche, quali che siano i loro Riti, e di richiamarli incessantemente all’osservanza dei principi e dei fondamenti originari dell’Ordine dei liberi e valenti massoni liberi e accettati, hanno (sic) preso la seguente deliberazione seguente: 1° art.1. È costituito ed eretto in Italia un Supremo Consiglio di Sovrani Grandi Ispettori Generali del 33° grado. art.2. Il Supremo Consiglio del 33 Grado in Italia è formato da Nove membri, senza contarvi il Gran Commendatore e il Segretario dei comandamenti (omissis) art.3. La nomina del Gran Commendatore ad Vitam sarà immediatamente votata e presentata alla maestà del Re d’Italia. art.4. Il Supremo Gran Consiglio del 33° nomina alla dignità di Luogotenente del Gran Commendatore l’illustrissimo fr. Calepio. A quella di Gr. Oratore l’Ill.mo fr. Felici. A quella di Segretario del Santo Impero l’Ill. fr. Constabili. A quella di Gran Cancelliere (manca il nome NdA). A quella di gran Tesoriere del S. Impero l’Ill.fr. Alessandri. A quella di Capitano delle Guardie l’Ill. fr. Guastavillani. art.5. Il Sovrano Gran Consiglio volendo dare agl’Il. ff. De-Grasse-Tilly, Re-


nier, Pyron e Vidal, segni particolari di riconoscenza dell’Ordine Massonico in Italia, per i servizi che essi hanno reso all’Ordine, essendone i principali fondatori, li nomina e proclama membri del Supremo Consiglio in Italia. E il fr. Vidal Gran Segretario d’Ordinanza del Sovrano Gran Commendatore ad Vitam. art.6. La creazione del Supremo Consiglio del 33° Grado in Italia, sarà notificata ai Sovrani Grandi Ispettori del 33° in Francia e a tutti quelli esistenti nei due emisferi. 2° art.1. Il Supremo Consiglio del 33 Grado, crea e costituisce di Sovrana autorità una Gran Loggia generale in Italia, con la denominazione di Grande Oriente d’Italia, di Rito Scozzese Antico e Accettato, unendo a lui tutti i Riti conosciuti nei due emisferi”. (omissis) Da pagina 4 l’atto reca la Constitution Générale de l’Ordre Maçonnique en Italie, in cui si legge ch’esso è posto “sotto la direzione diretta d’un Sovrano Consiglio di Principi Massoni Grandi Ispettori Generali del 33° Grado” ed è rappresentato da una “Dieta massonica con la denominazione di Grande Oriente d’Italia”. Seguono le disposizioni concernenti le assemblee del Grande Oriente e la sua organizzazione, la Gran Loggia Generale Simbolica, il Gran Capitolo Generale, la Gran Loggia Amministrativa Generale, il Consiglio dei ventisette, il Sovrano Tribunale degli Ispettori di 31° grado, il Gran Concistoro del 32°, i Rappresentanti Aggiunti agli Esperti, la nomina degli Ufficiali del Grande Oriente, i poteri del Gran Maestro, del Cancelliere, del Guardasigilli, degli Amministratori Generali, dei rappresentanti del Gran Maestro, della Gran Loggia Generale Simbolica, del Capitolo Generale. L’atto di nascita del Supremo Consiglio della giurisdizione italiana del RSAA e del progetto di Gran Loggia Generale, denominata Grande Oriente d’Italia, venne integralmente copiato nelle 32 facciate poi edite da Nardini (e in parte da Cecovini), aperte e suggellate con indicazione del luogo di redazione con la formula di rito: “Fait et arreté sous le point vertical du Zénith, répondant au 48 dég:. 50 min.. 14 second..Latit..Nord et après

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avoir pris l’avis de plusieurs Princes Vaillans et libres Maçons acceptés, tant en France qu’en Italie”. Si tratta incontestabilmente della latitudine di Parigi, non di Milano, la cui latitudine (nord), infatti, è di 45 gradi, 27 minuti e 59 secondi. L’ Atto costitutivo del Supremo Consiglio si conclude con l’elenco dei firmatari: Calepio, Allessandri (sic), Renier, Costabilli (sic), Degrasse Tilly, Pyron, Kellelman, Paul Vidal. In continuazione esso detta le norme dell’ Organisation du G. O. en (non “d’”) Italie. Jean-Baptiste Pyron fu lo stratega della fondazione della Massoneria bonapartista nella delicatissima fase del trapasso dalla Repubblica italiana al Regno d’Italia. Queste sono le carte. Questa è la storia. Aggiungiamo infine che l’ “atto di nascita” del Supremo Consiglio, comprendente l’annuncio della fondazione della Gran Loggia Generale (o Grande Oriente), venne redatto in francese, a sottolineare che esso traeva legittimità dal Supremo Con-

siglio scozzesista di Francia. Tanto nell’edizione Cecovini quanto in quella Nardini, il documento termina con il sigillo in ceralacca e la scritta: “Pour copie conforme ...”, 4° giorno del 2° mese 5805”, cioè 4 aprile 1805. Seguono le firme di Renier, De Grasse Tilly, Gr. Comm., P Vidal, “secr. des commandements du Gr Commandeur d’Italie”, Pyron. Su questa data si sono fermati quanti ne hanno dedotto quella dell’intero documento, mentre è solo della sua copia. Non di rado è quindi passato in ombra il giorno esatto dell’istituzione del Supremo Consiglio, cioè il 16 marzo 1805. Ma anche chi se ne è accorto e si è guardato dall’indicare la costituzione del Gran Consiglio al 5 marzo o al 4 aprile 1805 ha poi scritto e ancor oggi ripete che esso nacque a Milano. I documenti pubblicati nell’ Estratto del 1805 ora riproposto in anastatica, messi a confronto con i già citati originali, consentono una parola definitiva sul primo Grande Oriente e di coglierne tutte 9


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le differenze rispetto al Grande Oriente Italiano faticosamente sorto tra il 1859 e il 1862, quando prese denominazione di Grande Oriente d’Italia, senza alcuna certificata continuità diplomatica né, meno ancora, morale e politica con quello del 1805-1814: un tema, codesto, che meriterà apposita trattazione. Il 16 marzo 1805 il ventiquattrenne Eugenio di Beauharnais (Parigi, 1781 – Monaco di Baviera, 1824) entrò in Milano per Porta Marengo (già Porta Ticinese) accompagnato da cacciatori e granatieri a cavallo della guardia imperiale, da gendarmeria scelta e mamelucchi fedelissimi all’imperatore2. Il 1° febbraio precedente da mero colonnello egli era stato elevato da Napoleone a principe e cancelliere dell’impero francese. Il 17 marzo - ma a Parigi, come detto, non a Milano -, una folta delegazione della Repubblica 10

italiana, guidata dal suo vicepresidente, Francesco Melzi, da Marescalchi, Caprara, Paradisi, Fenaroli, Constabili, Luosi, Guicciardi, Guastavillani, Lambertenghi, Villotti, Dombrowski, Rangone, Calepio, Litta, Fé, Alessandri, Salimbeni, il pittore e antico massone Appiani e altri presentò all’Imperatore il deliberato del 15 precedente con il quale lo pregavano di accettare e assumere il titolo di Re d’Italia e lo invitavano a Milano per celebrarvi l’incoronazione. Era esattamente quanto Napoleone s’attendeva. Il 19 la Consulta di Stato della Repubblica Italiana pubblicò lo Statuto Costituzionale che dichiarava Napoleone I, Re d’Italia. I milanesi ne ebbero notizia con l’arrivo di un corriere speciale, alle 6 del mattino del 26 marzo. Napoleone aveva già annesso alla Francia il Piemonte e stava progettando ugual

sorte per la Liguria. Coltivava altri propositi per la Toscana e l’Italia centro-meridionale. Con sette milioni di abitanti, centri d’antica civiltà, strade carrozzabili, agricoltura prospera, manifatture da secoli famose, il Lombardo-Veneto era stato per secoli il terreno di lotta per l’egemonia sull’Europa Assorbito dall’organizzazione dell’Impero e dal completamento della “grande opera”, Napoleone assegnò la corona del regno d’Italia al figlio adottivo Eugenio di Beauharnais, col rango di viceré: suo missus dominicus, senza alcuna autonomia, neppure nelle scelte minute, inclusa l’eventuale sostituzione della tappezzeria della camera da letto, come ruvidamente gli scrisse. Il principe Eugenio aveva ventiquattro anni: aveva bisogno assoluto di un “partito” a suo sostegno. Perciò venne creato a Parigi il Supremo Consiglio del RSAA sedente in Milano. A differenza di quanto si legge nel volume degli Annali della storia d’Italia sulla Massoneria (Einaudi), esso non fu affatto “rivoluzionario”. Anzi, doveva domesticare i massoni repubblicani e giacobini. A tale scopo il 20 maggio 1805 vennero arrestate varie personalità di spicco, colpevoli di “discorsi imprudenti” sull’imminente incoronazione dell’Imperatore a Re d’Italia. Fra questi il massone e già abate Francesco Saverio Salfi, un tempo di sentimenti giacobineggianti e ancora quanto meno repubblicano. Il 26 maggio, al culmine di una fastosa cerimonia iniziata col corteo da Palazzo Reale al Duomo di Milano, “Napoleone di tutti i Riti” si pose sul capo la Corona Ferrea fatta recare appositamente da Monza. Il più era fatto. Un mese dopo, il 20 giugno, anche l’Imperatrice Giuseppina giunse a Milano. Lo stesso giorno nella capitale del Regno d’Italia “il Supremo Consiglio de’ Sovrani Inspettori Gen. del 33. ed ultimo g°., dell’Ordine Reale e Militare della Franca-Massoneria Scozzese, secondo il Rito antico ed accettato, regolarmente radunato in Concistoro, al punto verticale del Zenith, 45. gr. 27. min. 57 (sic) sec., lat. Sett., sotto la presidenza del G. Commendatore ad Aggiunto del G. Maestro” riunì i Venerabili e Ufficiali delle Logge milanesi “Reale Napoleone”, “Reale Giuseppina”, “Eugenio”, “Heureuse Rencontre” e “Concordia” e della “Unione” di Bergamo per erigere e costituire “una Gr.


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Loggia Gen. Scozzese secondo il Rito antico ed accettato, la quale riunisca tutti i riti”. Nel bel mezzo della cerimonia venne annunciato l’arrivo del generale Giuseppe Lechi, che un anno prima, mentre combatteva valorosamente nell’Italia meridionale, aveva dato vita a un Grande Oriente d’Italia. Egli dichiarò l’adesione alla Gran Loggia Nazionale del Grande Oriente, formato da logge castrensi. Debitamente e previamente concordata, la profferta venne accolta con entusiasmo. Il Trattato di unione, però, reca la data del 22 giugno. Sapendo bene quel che facevano, i massoni d’Italia a quel punto pregarono Napoleone di “designare a sua scelta un Commendatore e Gran Maestro nella persona del Principe Eugenio, viceré, o di qualunque altro Principe più gli aggradi (sic) della sua Augusta Famiglia, assicurandolo nel tempo stesso della nostra divozione, e de’ più profondi sentimenti di rispetto, ond’è animato ciascuno di noi per le di lui volontà”. L’Imperatore ne accolse i voti. Eugenio aveva 24 anni3… Due anni di documenti prodotti dalla Loggia “Ausonia” installata a Torino l’8 ottobre 1859 e dalle molte altre Officine via via costituite sino al 1862 dicono in modo chiaro che la denominazione più usata dai liberi muratori era Massoneria

Italiana, cui seguì Grande Oriente Italiano. Il titolo distintivo Grande Oriente d’Italia evocava un’età di servaggio alla Francia di Napoleone I, poco gradita a chi si batté poi per dare agli Italiani unità, indipendenza e libertà a dispetto di Napoleone III che ne voleva invece una meno fastidiosa “unione”, mirò ad assegnare le Due Sicilie al principe Luciano Murat, tutelò Francesco II di Borbone e protesse il papa-re sino a quando venne travolto dalla Prussia a Sedan. Malgrado tanti scritti d’occasione, quel primo decennio della Massoneria italiana postunitaria rimane dunque da esplorare documenti alla mano e da capire nella sua discontinuità con il Grande Oriente dei Bonaparte4. _______________ Note: 1 Esso è ora pubblicato in edizione anastatica dall’Editore Pontecorboli (Firenze) per iniziativa del benemerito Centro Studi “Lino Salvini” di Firenze. L’Estratto de’ primi travagli della Gran Loggia Generale è conservato tra le Carte Lechi (Brescia), gentilmente messe a disposizione dell’autore da parte del conte ing. Piero Lechi. 2 Il 16 marzo Napoleone aveva ancora titolo di Presidente della Repubblica italiana, fondata nei “Comizi di Lione” (Carlo Zaghi, L’Italia dalla Cisalpina al Regno. Storia d’Italia diretta

da G. Galasso, vol,. XVIII, Torino, Utet, 1986). 3 Per saperne di più: Alessandro Luzio, La Massoneria e il Risorgimento italiano. Saggio criticostorico,Bologna, Zanichelli, 1925, voll.2; Renato Soriga, Le società segrete, l’emigrazione politica e i primi moti per l’indipendenza, Modena,1942; Enrico Simoni, Bibliografia della Massoneria in Italia, Foggia, Bastogi, 1992 e Id., Appendice di aggiornamento (dicembre 1997), pref. di A. A. Mola, id., id., 1998. V. anche Susana Cuartero Escobés e José Antonio Ferrer Benimeli, Bibliografìa de la Masonerìa, Madrid, Fundaciòn Universitaria española, 2004,voll.3; Luigi Pruneti, La tradizione del Supremo Consiglio e della Gran Loggia degli A\L\A\M\ Obbedienza di Piazza del Gesù dal 1805 ad oggi, Roma, Edimai, 1994; François Collaveri, Napoleone imperatore e massone, introduzione e traduzione a cura di A.A.Mola, Firenze, Nardini, 1986. 4 Il tema non è affrontato nei saggi raccolti in F. Conti - M. Novarino, Massoneria e unità d’Italia. La Libera Muratoria e la costruzione della nazione, Bologna, il Mulino, 2011.

P.4: Giuseppe Lechi, ritratto, olio su tela, XIX sec. collez. privata; p.5: Ritratto di anonimo, olio su tela, XIX sec. collez. privata e a destra - gioiello di età napoleonica; p.6: Eugene de Beauharnais, ritratto di R.J.Heinrich, olio su tela, XIX sec. collez. privata e - a destra - Ritratto di anonimo, olio su tela, XIX sec. coll.priv.; p.7: Elsa e guardamano di sciabola napoleonica; p.8-9: Ritratti di anonimo, olio su tela, XIX sec. coll.priv.; p.10: Napoleone Re d’Italia, dipinto di Andrea Appiani, olio su tela, Kunsthistorisches Museum, Vienna. p.11: Apoteosi di Napoleone, affresco di Andrea Appiani, Como.

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L’Italia, il Montenegro e la Massoneria Una storia del secolo breve - parte III Luigi Pruneti

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Vittorio Emanuele III fra ansie e delusioni È evidente che l’epilogo della questione Montenegro non avesse lasciato soddisfatto Vittorio Emanuele III il quale, pur partendo dal presupposto che “un re regna ma non governa”, sentiva la responsabilità di essere il simbolo dell’Unità del Paese, il garante della dignità e dell’orgoglio nazionale, l’emblema dei valori risorgimentali, il custode dello Statuto. Negli anni Venti tutto ciò sembrava a rischio: l’economia era in crisi, la vittoria pareva essere stata tradita e, soprattutto, la situazione interna era esplosiva. La storia, per volontà e incapacità, non è stata in grado di trasmettere l’atmosfera degli anni immediatamente posteriori al conflitto. L’Italia era sul lastrico, la guerra era

costata più di 400 miliardi di lire oro ed aveva provocato danni di ogni genere, a cominciare dalle perdite umane: 680.000 morti, 1.000.000 di feriti, 675.000 mutilati. La macchina da guerra che per quattro anni aveva fronteggiato gli austro ungarici nelle trincee o sulle vette delle montagne, veniva ora, seppur lentamente, smobilitata e centinaia di migliaia di soldati ritornarono a casa trovando solo disoccupazione e miseria. L’agricoltura era in crisi, le fabbriche erano incapaci di riconvertirsi, il naviglio mercantile aveva subito perdite notevoli. Inoltre, specie gli ufficiali di complemento, circa 21.0001, incapaci di dismettere l’uniforme, erano oggetto di derisione e di attacchi da parte di forze eversive che avevano a modello la Rivoluzione d’Ottobre2. Le intemperanze, anche brutali, erano all’ordine del giorno e, pur trattandosi spesso di episodi isolati e poco significativi, aumentavano timori 1 P. Pieri, L’Italia nella prima guerra mondiale (1915 – 1918), Torino 1968, p. 205. 2 S. Sgueglia Della Marra, Le aggressioni agli ufficiali nel primo dopoguerra, in “Nuova storia contemporanea”, a. XV, n. 3 Maggio – Giugno 2011.

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e psicosi collettive: i soviet, insomma, parevano dietro l’angolo. In questo humus nacque, il 23 Marzo del 1919 in Piazza San Sepolcro a Milano3, il fascismo. Consisteva all’origine in un movimento politico indefinito e indefinibile, vago da un punto di vista ideologico, ma determinato a contrapporsi con la violenza alle “forze eversive antipatriottiche”. Le prepotenze, gli atti criminosi, i tumulti, le vittime così si moltiplicarono, vi furono le spedizioni squadristiche, gli espropri proletari, l’occupazione degli opifici del Settembre del 1920, con le fabbriche “difese” dalle guardie rosse, armate di moschetti e di mitra3 G. Carocci, Storia del fascismo, Milano 1972, p. 16.

gliatrici4, mentre sugli opifici garrivano le bandiere rosse del comunismo e i temuti vessilli dell’anarchia. La città emblema di questo caos violento fu Firenze, dove l’antico spirito di fazione, il secolare odio fra guelfi e ghibellini, sembrò rincarnarsi nei fascisti e negli antifascisti. Qui i raid squadristici erano iniziati prima di Piazza San Sepolcro, giacché già nel Novembre del 1918 una “squadra” aveva assaltato e disperso una manifestazione, ritenuta antipatriottica in piazza Cavour5. Una giornata terribile fu quella del 27 Febbra4 P. Spriano, L’occupazione delle fabbriche settembre 1920, Torino 1964, pp. 63-76. 5 Ora Piazza delle Libertà. R. Cantagalli, Storia del fascismo fiorentino 1919 – 1925, Firenze 1972, p. 53.

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io del 1921, quando, in Piazza Antinori, qualcuno lanciò una bomba a mano nel mezzo di un corteo organizzato dai liberali. Un carabiniere della scorta ne rimase ucciso e uno studente di 23 anni fu gravemente ferito tanto che morì pochi giorni dopo. Ma non finì qui. Mentre si stavano trasportando i feriti, davanti alla Loggia del Bigallo, un carabiniere notò il giovane ferroviere Gino Mugnai che aveva un atteggiamento di dispregio verso le vittime, trasse allora la pistola dalla fondina e gli sparò, uccidendolo. Intanto i fascisti imposero la chiusura dei negozi, attaccarono le sedi dei partiti di sinistra e dei sindacati; in via Taddea, sede della Camera del Lavoro dei Ferrovieri, uccisero il Segretario regionale Spartaco Lavagnini, immediata fu la risposta dei lavoratori che proclamarono lo sciopero dei trasporti. Le violenze si estesero a macchia d’olio, dilagarono nei quartieri più popolari e nella provincia. Nelle strette viuzze di San Frediano si eressero delle barricate e venne assassinato un giovane fascista Giovanni Berta “ a cui schiacciano con le scarpe le mani aggrappate al parapetto di un ponte […] per farlo precipitare in Arno e morire annegato”6. Quando ormai la si6 Alcuni aspetti dell’omicidio di Giovanni Berta, figlio di un noto industriale metallurgico ed iscritto al partito fascista, non sono del tutto chiari. Secondo la versione più accreditata sembra che egli fosse catturato dai Comunisti mentre in bicicletta cercava di raggiungere i camerati, fu quindi gettato in Arno dal Ponte Sospeso (ora ponte San Niccolò). La sua vicenda ispi-

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tuazione diventò insostenibile intervenne l’esercito che pose la città in stato di assedio. Una situazione di tal genere non trovava risposta nei governi che si susseguivano, sostenuti da maggioranze risicate. La vecchia compagine liberale era debole, usurata7, incapace di misurarsi con fascisti e socialcomunisti e minata pure dal sindacalismo cattolico, sospettoso e mal disposto verso il regno sabaudo nato, a dispetto della Chiesa, nel 1861. Fragilità e inconsistenza politica, febbre sociale, crisi economica, mancanza di ordine pubblico interagirono con l’isolamento internazionale e il mito della vittoria mutilata. Ne nacque un clima d’incertezza e d’inquietudine che rendeva il futuro fosco oltre ogni immaginazione. Nel 1922 il governo Mussolini, parve al Re e ai suoi consiglieri una via da provare. Egli aveva rinunciato alla pregiudiziale antimonarchica, prometteva di essere un deterrente allo stato preinssurezionale del Paese, assicurava di allontanare dall’Italia ogni spettro di bolrò anche una canzoncina, spesso fischiettata dagli antifascisti; la prima strofa recitava: “Hanno ammazzato Giovanni Berta, figlio di pescecani, evviva il comunista che gli pestò le mani”. Cfr. Bertoldi, Camicia nera. Fatti e misfatti di un ventennio italiano, Milano 1994, p. 35. 7 La crisi dello schieramento liberale lo si vide fin dalle elezioni del Novembre 1919 quando i socialisti ottennero 156 deputati (31,86 % dei voti), i popolari 100 (20,35 %), mentre i partiti liberali passarono da 310 seggi a 179. G. M. Tonlorenzi, Raoul Vittorio Palermi tra Massoneria e Fascismo, Bari 2003, p. 23.

scevismo e, infine, desiderava dare una svolta forte alla politica estera. “La conquista del potere – scrive Ferraioli – costituiva per Mussolini e per il fascismo il presupposto per la disapplicazione sostanziale della “politica di Rapallo”, e per dare possibilmente inizio a una politica nuova rispetto a quella liberale. Gli ambiti e i settori verso cui questa politica si sarebbe dovuta indirizzare, dovevano restare, ovviamente, gli stessi […] ma erano i metodi d’azione e gli obiettivi ultimi, molto più ambiziosi, che il fascismo voleva cambiare”8. Vi era dunque una sostanziale identificazione di vedute, per quanto concerneva l’estero, fra il Re e il capo del fascismo9 il che, probabilmente, accreditò quest’ultimo presso Vittorio Emanuele III, preoccupatissimo per l’ordine pubblico e deluso da come il Montenegro e le rivendicazioni adriatiche fossero state liquidate. A togliere gli ultimi dubbi al Re se impedire la “marcia su Roma” o se provare ad istituzionalizzare il fascismo, offrendo a Mussolini l’incarico di formare un nuovo governo, vi pensò Facta, incapace, come in altre occasioni, di valutare la situazione. Se egli, infatti, avesse facilitato, prima dell’adunata fascista di Napoli10, la formazione di un nuovo esecutivo con a capo Giolitti, è probabile che le cose sarebbero andate in modo diverso. Solo alle cinque del mattino del 28 Ottobre, dopo ripetute sollecitazioni del Re, Facta si decise a convocare con un telegramma a Roma Benito Mussolini, Giovanni Giolitti e Filippo Meda. Sarebbe stata quella una possibile via per dare uno sbocco pacifico alla gravissima emergenza, d’altra parte già da diversi giorni Vittorio Emanuele III aveva invitato il capo del Governo ad affrontare in Parlamento la crisi. Giolitti era l’unico capace di prendere in mano la situazione e l’uomo politico temuto dal leader in camicia nera, tanto che questi, nello spronare i suoi all’azione, scriveva: “Se Giolitti va al potere siamo fottuti. Ricordati che a Fiume ha fatto cannoneggiare D’Annunzio. Bisogna bruciare le tappe”11. Quan8 L. P. Ferraioli, Mussolini a pieni voti. Il governo Facta e la svolta dell’Ottobre 1922, Torino 2011, p. 10. 9 Ibidem. 10 Cfr. G. Albanese, La marcia su Roma Ottobre 1922, Roma – Bari 2006. 11 A. A. Mola, Giolitti lo statista della nuova Italia… cit, p. 48; N. Valeri, Da Giolitti a Musso-


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do Facta ruppe gli indugi era troppo tardi: “Giolitti […] pur deciso a raggiungere Roma anche per mare, rinunciò quando seppe che la ferrovia Torino – Genova era bloccata dai fascisti ad Alessandria”12. Fu così che gli eventi presero una piega diversa e, dopo il tentativo di costituire un esecutivo con Salandra13, presidente del Consiglio divenne colui che di lì a poco si sarebbe proclamato “duce”. Può darsi che nell’offrire l’incarico a Mussolini, “optando per una soluzione extraparlamentare ma non anticostituzionale”14, il re fosse rassicurato anche dal fatto che una buona parte della massoneria fosse favorevole ad un simile esecutivo. Se, infatti, Vittorio Raoul Palermi si era dichiarato “fascistissimo” e alla vigilia della marcia su Roma era corso ad assicurare l’appoggio a Mussolini, Domizio Torrigiani dimostrava di essere su posizioni simili. Quella secolare associazione non raggruppava forse molti reduci, buoni patrioti, leali sudditi e cittadini fedeli allo Statuto e alle regole democratiche? Tutto dunque lasciava presagire

lini, Milano 1967, pp. 184 - 185. 12 A. A. Mola, La leggenda della rivoluzione fascista, in “Storia in rete”, n. 69 – 70, Luglio – Agosto 2011, p. 36. 13 Il 28 Ottobre. R. De Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere 1921 – 1925, Torino 1995, pp. 306 e 309 – 310. 14 A. A. Mola, La leggenda della rivoluzione fascista… cit, p. 34.

che quella fosse l’unica via percorribile15; d’altronde un po’ d’ordine valeva bene un incarico di governo. 15 G. M. Tonlorenzi, Raoul Vittorio Palermi tra Massoneria e Fascismo… cit, p. 39.

6. La Massoneria e la questione montenegrina A molti sembrerà strano che queste vicende abbiano qualcosa da spartire con la massoneria; in realtà la storia che ho cercato di ricostruire ebbe probabilmente degli effetti notevoli sugli eventi delle Comunioni italiane nell’immediato primo dopoguerra e sull’atteggiamento dei reduci e del re verso le stesse. Ma procediamo per gradi. La Libera Muratoria francese allo scoppio del primo conflitto mondiale era particolarmente legata al governo tanto che il Presidente del Consiglio René Viviani era un Fratello del Grand Orient de France, al quale le logge espressero nell’Agosto del 1914 “l’assurance de son entier dévouement au gouvernement de la Republique”16. Vi era fra la più grande Comunione Francese e l’esecutivo un’assoluta sintonia, tanto che il primo 16 G. Chassagnard, Les Annales de la Franc – Maçonnerie ou Acta Latomorum, Principauté de Monaco, 2009, p. 541.

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era funzionale alle linee politiche del secondo e mirava a trarre nella sua orbita altre Obbedienze straniere con lo scopo di facilitare i progetti del dicastero degli esteri. Fra le Comunioni in rapporti di amicizia e collaborazione col Grand Orient vi era il Grande Oriente d’Italia. Dopo la scissione del 1908 e il riconoscimento ottenuto da Saverio Fera nella Conferenza di Washington dell’Ottobre del 191217, l’Obbedienza di Palazzo Giustiniani era rimasta abbastanza isolata da un punto di vista internazionale ed aveva nei fratelli transalpini i più importanti alleati. Fra l’altro le due potenze massoniche erano in particolare sintonia, condividendo in larga misura l’interpretazione della funzione e dell’azione massonica. La Comunione francese fin dalla fine dell’Ottocento, pur rinunciando ad una marcata esteriorizzazione politica che avrebbe messo in crisi la tradizione pluralistica, riteneva necessario “riunire le truppe repubblicane oggi giorno disper17 L. Pruneti, La tradizione massonica scozzese in Italia, Roma 1994, p. 89.

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se e sparse18”. In virtù di ciò già nel 1895, numerosi esponenti di spicco della massoneria avevano fondato un “Comitato d’Azione” che aveva animato la propaganda radicale in vista delle elezioni del 1898. Questa linea di tendenza aveva fatto sì che negli anni successivi molti esponenti radicali e socialisti entrassero a far parte dell’Obbedienza19. In maniera analoga il Grande Oriente d’Italia aveva avuto una deriva sempre più “democratica”, con esponenti come Ettore Ferrari che si erano segnalati, anche in Parlamento, per una visione repubblicana e un virulento quanto superato anticlericalismo20. Va sottolineato come la “vocazione politica” del G.O.I. si fosse accentuata quando nel 1904 riassorbì la “Federazione Massonica” di Milano, gruppo scissionista che nel 18 Encyclopédie de la Franc – Maçonnerie, diretta da E. Saunier, Paris 2008, p. 692. 19 Ibidem, p. 693. 20 F. Conti, L’attività politico – parlamentare di Ettore Ferrari (1882 – 1892), a.c. di A. M.Isastia, in Il progetto liberal – democratico di Ettore Ferrari. Un percorso tra politica e arte, Milano 1997, pp. 29 e segg.

1898 aveva ottenuto patenti costitutive dal Grand Orient e da questi, in seguito, fosse stato eterodiretto21. Siffatta vicinanza comportò che il Grande Oriente d’Italia fosse invitato a partecipare in Rue Cadet22, tra il 28 e il 30 Giugno del 1917, al “Congresso delle massonerie delle nazioni alleate e neutre” che fu però disertato dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra e dalle altre Gran Logge del Regno Unito e degli Stati Uniti. La delegazione italiana era composta dal Gran Maestro Ettore Ferrari, e dagli alti dignitari Alberto Beneduce, Ernesto Nathan, Giuseppe Meoni e Carlo Berlenda23. Si pensava che l’assise massonica si limitasse ad una condanna della guerra “delitto contro l’umanità” e alle solite invettive contro gli Imperi Centrali che con la loro aggressione l’avevano causata. Le cose, però, andarono diversamente. André Lebey che aveva il compito di introdurre la discussione sollevò la questione dei futuri assetti europei attribuendo all’Italia il diritto di annettersi Trento e Trieste, ma non parlò della questione adriatica, riconoscendo implicitamente le rivendicazioni serbe. D’altra parte, i membri del così detto “Comitato Jugoslavo”, favorevoli alla creazione di un vasto regno serbo, erano in gran parte massoni che avevano ottenuto forti consensi fra i fratelli transalpini24 e, di conseguenza, buone credenziali nei confronti 21 L. Pruneti, La tradizione massonica scozzese in Italia … cit, p. 62; F. Cordova, Massoneria e politica in Italia dal 1892 al 1908, Bari 1985, p. 77. 22 Strada di Parigi dove ha sede tuttora la casa massonica nazionale del Grand Orient de France. 23 A. A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano 1992, p. 426. 24 A. Sbutega, Storia del Montenegro… cit, p. 354.


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del Governo, già propenso a creare uno stato panslavo da contrapporre alle mire egemoniche italiane sull’Adriatico. André Lebey, in effetti, delineò senza dichiararli quali erano i piani del governo francese, in questo scacchiere e tali aperture incoraggiarono Militchevich, il rappresentante dei Serbi in esilio, a parlare di plebisciti per attribuire a una nazione quei territori dove coesistevano popolazioni diverse. Una risposta del G.O.I. vi fu ma non risultò sufficiente a ribaltare un clima contrario alle aspettative italiane. La stampa profana ne fu subito informata, cosicché il caso divenne di dominio pubblico. Di lì a poco la delegazione giustinianea fu messa sotto accusa dai suoi stessi confratelli, tanto che il 14 Luglio Ferrari fu costretto a dimettersi da Gran Maestro e il suo posto fu preso, pro tempore, dal Gran Maestro Aggiunto Gustavo Canti25. D’altra parte era cosa nota che il Grand Orient de France appoggiasse la nascita di una grande Serbia a scapito del Montenegro e delle mire italiane sulla Dalmazia. Questa Obbedienza era, poi, storicamente vicina alla 25 A. A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni… cit, p. 429.

Serbia, paese dove i massoni erano numerosi e spesso appartenevano a logge nate grazie a patenti francesi26. Specie le Officine poste all’Oriente di Belgrado contavano nelle proprie colonne professionisti, burocrati, militari e numerosi esponenti del Governo, d’altra parte anche la corona era favorevole all’Istituzione tanto che ne facevano parte re Petar e il Reggente Aleksandar Karageorgevic. In Montenegro, invece, vi era una sola loggia a Cettigne e pochi erano gli intellettuali iscritti a logge straniere, fra i quali vi erano Eugenio Popovic e un paio di ministri del governo di Nikita27. Furono proprio questi ultimi che cercarono di opporsi all’asse franco–serbo, ma inutilmente, data la sproporzione fra le forze. Fu così, secon26 Esponenti della politica e diplomatici serbi erano iscritti anche a logge di Comunioni straniere. Alla “XX Settembre 1870” dell’Oriente di Roma all’Obbedienza della Serenissima Gran Loggia d’Italia, faceva parte Stamoje Mihajlovitch, Segretario della Legazione serba nella Capitale. L. Pruneti, Annali della Gran Loggia d’Italia degli A.L.A.M. 1908 – 2010, a.c. di A. A. Mola, Bari 2010, p. 72. 27 Fra questi Pero Soc. Cfr. S. Ratoder, Crna Gora u egzilu II, Podgorica 2004, pp. 609 – 610.

do Jovan Plomenac, che nell’Ottobre del 1918 a Parigi, nell’ennesima assise massonica, si decise di appoggiare l’annessione del Montenegro alla Serbia, tale risoluzione avrebbe pesato anche sulle scelte fatte a Versailles28. Non sappiamo con certezza se a questa deliberazione abbiano contribuito esponenti del G.O.I, ma anche se ciò non fosse avvenuto, i fatti del ’17 e la nota amicizia dell’Obbedienza di Palazzo Giustiniani con i confratelli francesi erano stati sufficienti a diffondere la voce che una parte della massoneria italiana aveva complottato contro le attese italiane. Si consideri, inoltre che all’interno del Grande Oriente d’Italia erano fortissime le istanze antimonarchiche e filo repubblicane. “Tra le colonne dei Templi – scrive Mola – la repubblica guadagnava terreno29”, tanto più che già nel 1917 alcuni rapporti di polizia affermavano che all’interno di Palazzo Giustiniani si complottava contro la Corona. Particolarmente drammatica è un’informativa 28 A. A. Sbutega, Storia del Montenegro… cit, p. 363. 29 A. A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni… cit, p. 458.

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iniziazione di D’Annunzio nel 1920 e di numerosi ex combattenti che poi avrebbero costituito il nucleo dei legionari dell’Immaginifico. Vi fu, inoltre, la crescita esponenziale della Comunione fondata da Saverio Fera. A prestare fede alla “Catena d’Unione” gli iscritti alla Serenissima Gran Loggia che nel 1917 erano 2.500, distribuiti in cinquanta Officine, sarebbero saliti a 14.000 nel 1921, per poi diventare ben 22.000 l’anno successivo32. È pur vero che sulla crescita della Comunione guidata in quegli anni da Vittorio Raoul Palermi pesò la Conferenza di Losanna33 e che la “Catena d’Unione”, rappresenta una fonte di limitata attendibilità, rimane però un fatto che l’Obbedienza di Piazza del Gesù moltiplicò il numero dei propri iscritti, come dimostrano i Registri di matricola della Serenissima Gran Loggia (anni 1915 -1925). Dal loro esame, infatti, risulta che nel 1918 furono fondate o risvegliate 20 nuove logge, mentre nell’anno successivo furono 37, si passò quindi a 58 nel 1920, per arrivare a ben 67 nel ’2134. È interessante notare come il nome delle nuove officine si riferisse a date del grande conflitto, alle terre liberate, alla Dal-

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del 21 Marzo del 1917 dove si legge: “Fra i più eminenti Fratelli massoni appartenenti al gruppo più avanzato di Palazzo Giustiniani [è stato formato un comitato] col preciso scopo di travolgere la monarchia”; il piano prevedeva di “proclamare la Costituente e di affidarne la presidenza a Bissolati; il quale, a sua volta, avrebbe potuto valersi di ufficiali superiori del nostro esercito”. Inoltre si vociferava di attentati a Vittorio Emanuele III e di un possibile sequestro della famiglia reale30. Con tutta probabilità si trattava solo di allarmismo era, comunque, indubbio che il Grande Oriente d’Italia era legato alla più importante Comunione francese e che la 30 Ibidem, p. 422.

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componente antimonarchica al suo interno fosse notevole. Le posizioni assunte dal G.O.I, il pasticcio del 1917, la questione adriatica, le voci di un complotto franco–massonico, favorirono il proselitismo della Serenissima Gran Loggia d’Italia fra i reduci dal fronte. Ciò accrediterebbe la testimonianza di Allegri31 sulla presunta 31 Secondo Allegri, già nel 1920, Gabriele D’Annunzio avrebbe fatto parte della R.L. “XXX Ottobre” all’Obbedienza di Piazza del Gesù. Egli nel 1928, infatti, affermò: “Nel 1920 mentre mi trovavo a Fiume quale legionario tenente aiutante maggiore dell’8° Reparto d’assalto, venni iniziato dalla loggia massonica “XXX Ottobre” per mezzo di un certo Grande Ufficiale Ettore Vecchietti, che si trovava di passaggio a Fiume quale ispettore della Cassa Nazionale Infortuni.

Tale loggia dipendeva dalla Massoneria di Piazza del Gesù. Venerabile di essa era l’ingegnere Attilio Prodam e fra gli iscritti vi erano molti membri del Gran Consiglio Nazionale fiumano fra i quali rammento il comandante D’Annunzio, Bacci, Bonfanti”. G. Vannoni, Massoneria, Fascismo e Chiesa cattolica, Bari 1980, p. 52, nota 133. Sull’appartenenza di Gabriele D’Annunzio alla massoneria cfr. L. Pruneti, Gabriele D’Annunzio fra massoneria ed esoterismo, in La Masoneria espanola, vol. II, a.c. di J. A. Ferrer Benimeli, Zaragoza 2010, pp. 1290 – 1291. 32 “La Catena d’Unione (miscellanea massonica) Organo dell’Unione Massonica di Rito Scozzese Ant. Ed Acc. Documenti per la storia della Massoneria italiana (1908 – 1946)” Fasc. I Novembre 1946. 33 Il 29 Maggio del 1922 si riunì a Losanna la “Conferenza universale dei Supremi Consigli del Rito Scozzese Antico ed Accettato”, che deliberò l’essere “il Supremo Consiglio presieduto dal Potentissimo Fr. Vittorio Raoul Palermi […] il solo Supremo Consiglio regolare d’Italia e in tale sua qualità dichiaratamente riconosciuto da tutti i Supremi Consigli rappresentati alla Conferenza”. Le deliberazioni della Conferenza dei Supremi Consigli Federati del Rito Scozzese Antico ed Accettato a Losanna, Roma 1922, pp. 3 – 5. Cfr. S. Spadaro, Massoneria Scozzese italiana, documenti storici, Foggia 1983, pp. 20 – 22. 34 L. Pruneti, Annali Gran Loggia d’Italia degli A.L.A.M. 1908 – 2010… cit, pp. 410 – 416.


to la netta divisione fra potere temporale e potere spirituale42. Egli, comunque, tenne sempre solo rapporti formali con la massoneria che non escludevano un sotterraneo favore sostanziale, evidente in un telegramma inviato dal fronte nel 191743 ai vertici delle due Comunioni italiane. In

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mazia, all’Albania e a Fiume, non mancava, comunque, una R.L. “Montenegro”, fondata all’Oriente di Roma, l’8 Aprile del 192035. Numerosi erano, inoltre, le figure istituzionali iscritte negli elenchi della matricola, erano burocrati, magistrati, deputati, alti ufficiali dell’esercito e della Regia Marina36, fra questi si diceva che vi fossero pure Armando Diaz e Paolo Emilio Thaon de Revel37. Infine, a partire dal 1919, pure noti esponenti del fascismo andarono ad ingrossare le file palermiane, il loro nome compare in buona parte nei registri della matricola38. Alla luce di 35 Ibidem, p. 412. 36 Ricordiamo fra gli altri: Generale Ugo Cavallero (R. L. “Nazionale” Or. di Roma) , Francesco Nevi Primo Segretario delegato al Tesoro, Tommaso Calderaro Segretario del Ministro delle Poste e Telegrafi, Alfredo d’Alessandro Segretario del Ministro dei Trasporti, Francesco Alberto Caristo, magistrato (R. L. “Italia Nuova Or. di Catanzaro), Generale Vincenzo Crotta (R. L. “Nazionale” Or. di Roma), Egidio Rovaro Brizzi (R.L. “Premuda” Or. di Zara), Michele Terzaghi, deputato (R. L. “Umanità e Progresso” Or. di Milano), Giovanni Mancini magistrato (R. L. “IV Novembre” Or. di Teramo, Maggiore Generale Giovanni Battista Ameglio, Manfredo Chiostri deputato (R.L. “Nazionale” Or. di Roma), Giuseppe Bonocore deputato, Generale Cesare Faccini (R.L. “V Novembre” Or. di Pola), Tenente Generale Italo Bresciani (R. L. “Nazionale” Or. di Roma), Ammiraglio Giacomo Biando (R. L. “Italia Nova” Or. di La Spezia), Generale di Brigata Giuseppe Barbieri (R. L. “Nazionale” Or. di Roma), Luigi Giannetti magistrato (R. L. Neapolis Nova” Or. di Napoli). Ibidem pp. 72 – 85. 37 Ibidem, p. 85. 38 Mi riferisco ai vari Acerbo, Sardi, Torre, Bi-

quanto abbiamo detto una simile presenza non deve stupire, seppur avesse vissuto momenti estremamente difficili39, la comunione di Piazza del Gesù, garantita dai suoi rapporti internazionali, da sempre filomonarchica, offriva maggiori garanzie rispetto al G.O.I, la cui disavventura del ’17 pareva a molti una macchia indelebile. Rimane da valutare come si ponesse Corona nei confronti delle due Obbedienze. Fin dalle origini del Regno d’Italia i Savoia avevano mostrato una certa vicinanza ai liberi muratori40, le simpatie di Vittorio Emanuele III erano, poi, evidenti, tanto che fin dalla sua ascesa al trono si era sussurrato di una sua adesione alla massoneria41; in particolare aveva dato consistenza alle voci il discorso della Corona del 1902, dove il sovrano aveva rimarcalucaglia, Cesare Rossi, Bottai, Dino Perrone Compagni. M. Terzaghi, Fascismo e massoneria, Milano 1950, p. 42; R. Uboldi, La presa di potere di Benito Mussolini, Milano 2009, p. 128. 39 In particolare a un anno di distanza dalla morte di Saverio Fera, nel Dicembre del 1916 Giovanni Francica Nava, Giovanni Camera e Dario Cassuto cercarono con un colpo di mano di far confluire la Comunione di Piazza del Gesù nel Grande Oriente d’Italia. Il tentativo fallì ma i tre estensori del piano ritornarono fra le colonne di Palazzo Giustiniani, portandosi a seguito diversi Fratelli. L. Pruneti, Annali Gran Loggia d’Italia 1908 – 2010… cit, pp. 67 – 68; L. Pruneti, Il “golpe” della riunificazione, in un documento del 27 Dicembre 1916, in “Officinae”, a. XVIII, n. 1, Marzo 2006. 40 A. A. Mola, Declino e crollo della monarchia in Italia… cit, p. 158. 41 R. E. Esposito, La massoneria e l’Italia dal 1800 ai nostri giorni, Roma 1969, p. 282.

quel documento ufficiale il Monarca sottolineava meriti civili e patriottici della massoneria, scrivendo: “Ho molto apprezzato le manifestazioni di patriottismo della Massoneria italiana che ha donato tanti valorosi soldati alla causa nazionale e ha offerto alla guerra un apporto così devoto, così nobile e così disinteressato […] Indirizzo alla Massoneria italiana che voi rappresentate così degnamente, i miei saluti affettuosi, facendo voti per la prosperità e l’avvenire sempre più glorioso dell’Italia, madre immortale della civilizzazione”44. È presumibile che in seguito egli abbia manifestato un sempre maggior interesse per la Serenissima Gran Loggia. Questa predilezione sarebbe stata ben motivata: l’obbedienza, retta da Palermi, non aveva al suo interno consistenti derive repubblicane ed era ligia alla monarchia, non manteneva rapporti col Grande Oriente di Francia ma con le Comunioni anglofile di oltreoceano. Per di più numerosi suoi esponenti erano fautori dell’egemonia del Regno nell’Adriatico e di conseguenza dell’indipendenza del Montenegro, la patria della Regina Elena, per la quale il Re nutriva una particolare e del tutto motivata sensibilità45. Proprio per questo è possibile che il Sovrano abbia voluto dimostrare la sua simpatia all’Obbedien42 Vittorio Emanuele III aveva, fra l’altro, affermato: “Onorare il clero, ma contenerlo nei limiti del Santuario; portare alla religione e alla libertà di coscienza il più illimitato rispetto, ma serbare inflessibilmente incolumi le prerogative della potestà civile, i diritti della sovranità nazionale”. Ibidem, p. 283. 43 Il telegramma fu inviato dal Re durante i drammatici giorni di Caporetto. 44 M. Rygier, La Franc – Maçonnerie italienne devant la guerre et devant le fascisme, Paris 1930, p. 58. È da ricordare che il 4 Novembre Vittorio Emanuele III rispose ad un telegramma del Grande Oriente d’Italia di felicitazioni per la vittoria. Cfr, G. Leti, Carboneria e Massoneria nel Risorgimento italiano, Bologna 1925. 45 D. Mack Smith, I Savoia Re d’Italia… cit, p. 211.

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ne di Giuseppe Dosi, Commissario capo di pubblica sicurezza presso il Counter Intelligence Corps, vergata all’indomani del secondo conflitto mondiale. Nel rapporto “riservatissimo”, pubblicato da Aldo Alessandro Mola in appendice della Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni48 si legge: “Raul Palermi fa di tutto per tenersi a galla, malgrado le ostilità delle altre famiglie massoniche Scozzesi, specialmente di quelle del De Cantellis e di Scervini. Egli attende tuttora risposta esauriente ad alcune lettere inviate a Washington al Supremo Consiglio del Sovrano Gran Commendatore John H. Cowles per farsi riconoscere una priorità di diritto riallacciando le relazioni già avute in America nel suo viaggio del 1926 […] Cowles specifica che Palermi gli portò dall’Italia un libretto rosso che doveva essere un annuario massonico con i nomi dei membri attivi del Supremo Consiglio. Egli vorrebbe ora una copia di questo libretto che ha perduto e ricorda che Palermi vi figurava come n. 2 e che il n. 1 dei membri stessi era lasciato in bianco affermando il Palermi che i profani non dovevano conoscere chi fosse. (Da fonte massonica si sa ora che era il re Vittorio Emanuele III)”49. L’unica fonte certa ad oggi, è dunque un rapporto di polizia che riporta il ricordo di una confidenza vecchia di venti anni, da parte di un personaggio abile millantatore. Siamo, di conseguenza, nel campo delle ipotesi e non delle certezze, di ipotesi però plausibili, su eventi e collegamenti possibili, maturati fra le pieghe di una storia tutta italiana, da tanti studiata ma ancor oggi poco chiara. _______________

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Bibliografia:

za scozzese, accettandone, come afferma Peter Tompkis46, l’iscrizione onoraria e il brevetto del 33° Grado. Le voci di una seppur simbolica militanza massonica di Vittorio Emanuele III nelle file della Obbedienza di Palermi si sono 46 Peter Tompkis (1919 - 2007) fu giornalista, corrispondente del “New York Herald Tribune”, agente segreto dell’OSS americano e storico, in alcune sue opere evidenzia, soprattutto, i rapporti fra Vittorio Raoul Palermi e il fascismo. Cfr. P. Tompkins, Dalle carte segrete del Duce, Milano 2001, p. 69.

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attestate poi nell’immaginario latomistico, tanto da diventare certezza, in taluna letteratura romanzata sulla massoneria. Cito a tal proposito la fortunata opera di Pier Carpi, Il Venerabile, dove la notizia del re libero muratore è data per sicura47. L’asserzione dello scrittore emiliano e di Tompkis trova conferma in una relazio47 Scrive Pier Carpi: “Anche Vittorio Emanuele III era massone, ma della famiglia di Piazza del Gesù”. P. Carpi, Il Venerabile, Parma 1993, p. 159.

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Massoneria

Bet Ayn Zayn II parte Giuseppe Ivan Lantos

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L

e lettere dell’Alfabeto ebraico hanno un legame anche con i Tarocchi e, in particolare, con quelli che sono definiti Arcani Maggiori: sono, infatti, nel numero di ventidue, proprio come le lettere ebraiche1. In molte rappresentazioni, infatti, a ciascuna Lama, così vengono definite le carte, corrisponde una lettera dell’Alfabeto ebraico. Le prime carte da gioco, la più antica testimonianza delle quali è cinese, fecero la loro comparsa in Europa nel XIV secolo, introdotte, forse, dai Mamelucchi egiziani. Il mazzo di Tarocchi comprendente gli Arcani maggiori è una realizzazione italiana come sarebbe certificato due documenti di pagamento del ducato ferrarese degli Estensi datati 1442, i primi nei quali viene citata una fornitura di Carte da trionphi, nome attribuito, appunto, ai Tarocchi. Per trecento anni i Tarocchi furono utilizzati soltanto come carte da gioco finché, verso il 1773, Antoine Court de Gebelin pubblicò i nove volumi di Le monde primitif analysé et comparé avec le monde moderne, opera enciclopedica rimasta incompiuta per la morte dell’autore. Antoine Court de Gebelin era un pastore protestante, appassionato di ricerche archeologiche ed esoteriche, massone affiliato alla Loggia parigina Les Neuf Soeurs, della quale facevano parte anche gli enciclopedisti Denis Diderot e Jean-Baptiste D’Alembert, gli scienziati Benjamin Franklin e Joseph Jérôme Lefrançois de Lalande, i teorici della rivoluzione Georges Jacques Danton e Camille Desmoulins e l’eroe dell’Indipendenza americana Gilbert du Motier de La Fayette. Court de Gebelin fu anche affiliato all’Ordre des Philalèthes, una società paramassonica tra gli scopi della quale c’era quello di trovare nei riti della Massoneria i rapporti con le antiche dottrine esoteriche. Nell’ottavo volume di Le monde primitif 1 Gli Arcani Maggiori sono: 1 Il Bagatto, 2 La Papessa, 3 L’Imperatrice, 4 L’Imperatore, 5 Il Papa, 6 L’Innamorato, 7 Il Carro, 8 La Giustizia (al numero 11 nei tarocchi Rider-Waite per la cartomanzia e nei mazzi successivi), 9 L’Eremita, 10 La Ruota, 11 La Forza (al numero 8 nei tarocchi Rider-Waite per la cartomanzia e nei mazzi successivi), 12 L’Appeso, 13 La Morte, 14 La Temperanza, 15 Il Diavolo, 16 La Torre, 17 Le Stelle, 18 La Luna, 19 Il Sole, 20 Il Giudizio, 21 Il Mondo e Il Matto, solitamente privo di numero.

Massoneria

analysé et comparé avec le monde moderne, pubblicato nel 1781, Court de Gebelin riferisce della riscoperta del mitico Libro di Thot 2 e del suo rapporto con il gioco dei Tarocchi. L’articolo Du Jeu des Tarots comincia descrivendo la “sorpresa che causerà la scoperta di un libro egizio [...] Questo libro è il Gioco dei Tarocchi”. Nel 1854, Eliphas Levi, al secolo Alphonse Louis Constant, abate passato allo stato laicale, iniziato alla Massoneria presso la Loggia La Rose du Parfait Silence del Grande Oriente di Francia, autore di numerose opere di argomento esoterico, pubblicò a Parigi Dogme et rituel 2 I Libri di Thot sono testi mitici redatti dal dio egizio Thot e lasciati sulla terra, nei quali si troverebbe la chiave dei misteri dei cieli e predizioni di eventi planetari futuri. Nascosti in biblioteche egiziane segrete furono poi dispersi.

de la Haute Magie, nel quale sosteneva, in polemica con Court de Gebelin, che i Tarocchi avessero raggiunto l’Europa nel medioevo, attraverso i cabalisti, in quanto la loro origine doveva essere attribuita agli Ebrei, teorizzando l’assimilazione degli Arcani Maggiori alle ventidue lettere dell’Alfabeto ebraico e ai ventidue sentieri dell’Albero sephirotico. Tra coloro che aderirono alla teoria di Eliphas Levi ci fu lo svizzero tedesco Joseph Paul Oswald Wirth3. Emigrato a Parigi all’età di vent’anni, entrò in contatto con diversi studiosi delle scienze occulte, in particolare con i membri della Société Magnétique de France, e si affilò 3 Tra le opere di Oswald Wirth (1860-1943) ricordiamo anche La massoneria resa comprensibile ai suoi adepti, in tre volumi: L’Apprendista, Il Compagno, Il Maestro, Atanor, Roma, 1985

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al Grande Oriente di Francia. Elaborò il Tarocco di Marsiglia correggendone gli errori di stampa e i colori delle figure. Su ciascun Arcano Maggiore inserì l’attribuzione di una lettera ebraica, secondo lo schema ideato da Eliphas Levi, sintetizzando il pensiero, i principi e il sim-

Massoneria bolismo delle più importanti correnti massoniche. Secondo l’impostazione di Oswald Wirth, la lettera Bet corrisponde all’Arcano della Papessa, la guardiana della porta del Tempio. È seduta su un trono, avvolta da un manto rosso e porta in testa una tiara d’oro sormontata dalla luna, un’evidente allusione alla legittimità dell’iniziazione femminile. La tiara sostiene un velo che non copre il volto, ma lo “disvela”. I piedi poggiano su cuscino posato su un pavimento a scac-

‫ג ב א‬

‘Alef

Bet

‫מ ל‬

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chi. Alle sue spalle si ergono due colonne, una rossa e l’altra azzurra. Nei Tarocchi Rider-Waite, sulle colonne, una nera e l’altra bianca, sono iscritte le lettere “B” e “J”, con una più esplicita allusione alla Tradizione massonica. La Papessa ha in grembo un libro che tiene semiaperto con il dito indice e che reca sulla copertina il simbolo yin-yang, il libro della Gnosi. Nella mano sinistra stringe due chiavi una d’oro e l’altra d’argento “che aprono l’interno delle cose”. La Papessa è il principio femminino sacro, l’Antica Madre che trasmette sapere e sapienza, colei che detiene il sapere e lo diffonde con amore. Il riferimento è alle Dee della conoscenza e della Gnosi, l’egiziana Iside, l’antica ligure Belisama, la greca Athena, l’omologa Tanit fenicia e la Sophia gnostica. In altre parole, potremmo affermare che la Papessa rappresenta la Massoneria stessa. Per quanto riguarda

Gimel

‫ד‬

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‫ה‬

‫נ‬

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‫ת ש ר ק צ פ ע‬

Nun

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He

Ayin

‫ו‬

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Pe

‫ז‬

Zayn

Chet

Tsadi

la lettera Bet, mi fermo qui, anche se, forse, molto ci sarebbe ancora da ragionare. Continuiamo, dunque, la nostra compitazione “cabalistica”: Ain è la sedicesima lettera dell’Alfabeto ebraico. Nella scrittura protosinaica l’ideogramma che la rappresenta è un cerchio che riporta alla descrizione di un occhio del quale sono evidenziati soltanto il contorno della pupilla e l’iride, che si possono interpretare come la fonte della vista. È - forse - questa la ragione per la quale, in ebraico, Ain significa occhio ma può anche essere messa in relazione con la parola mayan, fonte nella quale scorre l’acqua. La percezione visiva, secondo questa interpretazione, è come una fonte che permette alla luce di essere ricevuta. Pensiamo, allora, al recipiendario al quale la benda sugli occhi impedisce di vedere fintanto che, iniziato, gli viene restituita la vista che si spalanca sulla Luce dell’Oriente. Nel Ri24

‫ט ח‬

Qof

Tet

Reš

‫י‬

Yod

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‫כ‬

Kaf

Tav

tuale d’iniziazione al Grado di Compagno, a Occidente è posto un cartello con la scritta: “Vista, Udito, Tatto, Odorato, Gusto”. Ed ecco la spiegazione che viene fornita in merito alla Vista: “L’occhio umano è il più meraviglioso e il più perfetto dei nostri organi. La vista può essere considerata come la generatrice [la fonte, N.d.A.] dell’immaginazione: in uno spazio di pochi millimetri, l’occhio raccoglie l’universo intero, distingue i colori, le loro gradazioni, la bellezza dei corpi, l’armonia dei segni, lo splendore della luce”. C’è qualche analogia con quanto sul significato di Ain ci suggerisce il cabalista: “L’occhio è un microcosmo che riassume la creazione, tramite il quale l’anima percepisce il mondo materiale e ci si manifesta4”. E, certamente, non 4 Georges Lahy, L’Alfabeto Ebraico-I ventidue arcani della Qabalah, Roma, 2008.


possiamo ignorare che nel Tempio, centrale tra i simboli dell’Oriente, alle spalle del Maestro Venerabile, spicca il Delta luminoso, un triangolo equilatero che ha al centro un occhio. Detto anche Triangolo di Salomone, il Triangolo Equilatero prende il suo nome dalla forma maiuscola della terza lettera dell’Alfabeto greco. Rappresentazione geometrica del tre (la triplicità è di fondamentale importanza nella simbologia muratoria), nella tradizione pitagorica simboleggia l’ascesa del molteplice all’Uno, in quella cristiana la trinità, e compare in molte altre teosofie come simbolo della divinità come Perfezione. Nel Tempio, il Delta luminoso può avere al centro il G dalle numerose interpretazioni (God, oppure Gnosi, Geometria, Generazione) o il tetragramma ebraico o lo schema della tetractis pitagorica o l’occhio divino, simbolo del principio creatore o del sole, principio luminoso della vita. E ancora, la raffigurazione sincretistica del Grande Architetto dell’Universo, quale simbolo di Dio, del Verbo, del Logos. Per l’Antico e Primitivo Rito Orientale di Misraïm e Memphis è l’Udjat, l’occhio destro solare di Horus5. Nello Zohar, leggiamo che l’Ain, Luce, diviene Ain Soph, Infinito o Luce Infinita, e ulteriormente Ain Soph Aur, Luce Assoluta non Manifesta, per rendere Sé comprensibile a se stesso, che poi per auto concentrazione, Tzim-Tzum, si concentra in un unico Punto centrale e privo di dimensioni. Qui ci troviamo in uno spazio che sovrasta il punto più alto dell’Albero sephirotico, Kether, la Corona. A questo punto mi viene fatto di chiamare in causa il Fratello Gotthold Ephraim Lessing, secondo il quale la Libera Muratoria è eterna frazione di eternità, è un tendere a zero, quello zero che, aggiungo, distingue l’Ain6. Mi piacerebbe azzardare anche un’interpretazione personale dell’ideogramma protosinaico che ha dato origine ad Ain, il cerchio. Perché non leggervi l’Ouroboros, il Serpente gnostico? Se è vero che 5 Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraïm: Rito Massonico nato dalla definitiva fusione dei riti già confederati di Memphis e di Misraim, avvenuta nel 1899, ma già fin dal 1881 preparata dal Gran Maestro Giuseppe Garibaldi. 6 Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781), autore, tra l’altro, di Ernst e Falk. Dialoghi massonici, Foggia, 2006

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Ain è un occhio o una sorgente, l’Ouroboros potrebbe a buon diritto essere l’occhio aperto sulla Conoscenza, o la sorgente della Conoscenza stessa. Nell’Albero sephirotico, Ain è la lettera che distingue il sentiero che collega la sesta Sephiroth, Tiphereth, la Bellezza, con l’ottava, Hod, lo Splendore. Tiphereth segna il centro dell’Albero sephirotico, è posta a metà del cammino, è il giusto mezzo a metà strada tra l’alto e basso, tra destra e sinistra. Nei nostri Templi, la Bellezza è, insieme con la Forza e la Saggezza uno dei pilastri della Loggia, l’accensione dei quali è uno dei momenti salienti dell’apertura dei Lavori in Grado d’Apprendista. È uno dei due simboli archetipali del femminile posto nel Tempio massonico, l’altro è la

Saggezza-Minerva. La Bellezza è rappresentata dalla statua di Venere-Afrodite, dea della Bellezza e dell’Amore, ma con un significato diverso da quello attribuito dalla consuetudine profana. “Il culto di Venere ha poco a che fare con i canoni di bellezza così come li concepisce la nostra cultura dell’immagine e, oggi, del consumismo […] La bellezza afroditica è approssimabile più a uno stato di grazia, in cui si fondono fascino e audacia, che a un’adesione a un canone stabilito”.7 Ma possiamo interpretare la Bellezza come Armonia, quella che si realizza nell’Eggregore che Eliphas Levi definì “un fenomeno di psichismo collettivo, 7 Ginette Paris, La rinascita di Afrodite, Bergamo, 1997

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volontariamente orientato”, orientato dalla Catena d’Unione e che trova la sua simbolica rappresentazione nella fune che con i suoi nodi d’Amore abbraccia tutto il Tempio. Hod - lo Splendore - è la capacità dinamica dell’individuo, applicata al mutare delle circostanze esterne. È la velocità di cambiamento, l’adattarsi a nuove esigenze. È il saper perdere, cioè il non abbattersi per le sconfitte, ma l’imparare da 26

esse ciò che va cambiato. Alcuni studiosi assimilano l’Albero delle Sephiroth alla Menorah sulla quale ogni singola candela corrisponderebbe a una Sephirah e a una funzione di Loggia, tre delle quali, però, disposte lungo l’asta di sostegno. In questa disposizione, la candela posta all’estremità sinistra coincide con Hod e il Primo Sorvegliante, e la terza posizione, dal basso, lungo l’asta è quella di Tiphereth e del

Maestro delle Cerimonie. Nello Sepher Yetzirah si legge: “Egli fece regnare la lettera Ain, la coronò e con essa formò il Capricorno nell’universo”. Bet e Ain, Saturno e Capricorno, Pianeta e il Segno dei quali abbiamo già detto. Secondo le varie interpretazioni della Ghematria, il valore assoluto di Ain è 70, 7 o 16, tutti riconducibili al numero 7 che contraddistingue i Maestri. Secondo Oswald Wirth, Dignitari e Ufficiali di Loggia possono disegnare nel loro insieme l’Albero sephirotico: Tiphareth, Bellezza, amenità, sentimento, identificherebbe il Maestro delle Cerimonie, Hod, Splendore, Gloria, armonia coordinatrice, il Secondo Sorvegliante. In entrambi i casi è, comunque, difficilmente ravvisabile il Sentiero che, nell’Albero delle Sephiroth, unisce Tiphereth a Hod. Nei Tarocchi, Ain è la lettera dell’Alfabeto ebraico che appare sull’Arcano della Torre, il sedicesimo. Si tratta di un Arcano complesso nel quale appaiono molti simboli. La torre di mattoni la sommità merlata della quale, colpita da un fulmine, sta per cadere a terra, nell’angolo alto a destra c’è il sole, a terra, come se fossero precipitati dalla torre, in un turbinare di sfere colorate, due personaggi, l’uno coronato e l’altro prono colpito da un mattone, un’immagine, nel complesso, inquietante. Infatti, nell’interpretazione profana, la Torre ricorda il mito della Torre di Babele, costruita per arrivare fino a Dio e competere con la sua gloria, e mai terminata perché gli operai che vi lavoravano, colpiti da maledizione divina, presero a parlare


in diverse lingue senza potersi più comprendere. Per questo, tradizionalmente, la Torre è associata alla punizione dell’orgoglio. La Torre rimanda a un conflitto doloroso ma necessario, un mutamento violento e improvviso.
 Per uscire da una situazione critica, divenuta insostenibile, non rimane altro che distruggere l’equilibrio, ormai stagnante, e accettare il cambiamento, in qualsiasi ambito esistenziale si riveli necessario. Se, però, esaminiamo quest’Arcano alla luce della Tradizione massonica, potremmo trovarvi la rappresentazione di un’iniziazione massonica, dettata dalla necessità, per l’essere umano, di scoprire la propria, recondita essenza di saggio. La corona d’oro sul capo dell’’uomo caduto rappresenterebbe l’effimero mondo dei metalli intesi come l’infecondo possesso del potere e dei beni terreni. L’immaginario raggiungimento della sommità della torre simboleggia, in quest’ottica, il conseguimento del successo profano. Ma, proprio nel momento in cui lo scalatore s’illude di aver conquistato la sua meta, una folgore e la grandine colpiscono lo sconsiderato, il quale, mentre la torre, il monumento alla sua albagia, crolla, precipita a terra, verosimilmente esanime. Ma dietro la nube dalla quale è scaturita la folgore, s’affaccia un sole. È lì non per illuminare una scena di morte, ma per irraggiare con la sua forza vivificante il caduto. Morto alla profanità, ai falsi valori, alle illusorie lusinghe del mondo, potrà risorgere grazie al riscatto della luce solare, il simbolo della vera Luce che erompe dall’iniziazione massonica. Il profano è dovuto cadere per poter risorgere. La terza lettera della nostra compitazione è Zain, la settima dell’Alfabeto ebraico. Nella scrittura protosinaica, due tratti orizzontali paralleli uniti da un tratto verticale leggermente obliquo, l’abbinamento con un oggetto è controverso. Qualcuno identifica un’arma, una spada con la guardia, altri due guerrieri, le linee orizzontali, che combattono con un’arma, il tratto verticale, altri ancora una bilancia, non come simbolo di equilibrio, ma come strumento per misurare. “La spada recide e separa, la bilancia discerne tra due valori opposti, funzione che troviamo nel simbolismo di Zain”.8

Il simbolismo della lettera ebraica riporta al concetto della forza necessaria per conquistare quella libertà e quell’indipendenza che consentono l’esercizio del libero arbitrio dal quale deriva la capacità di distinguere tra il bene e il male. E, in tema di libertà, il pensiero corre al Rituale d’Iniziazione al Primo Grado. Il Maestro Venerabile, spiegando al recipiendario che cosa sia la libertà, dice: “Per noi, profano, la libertà è il dovere di compiere e di non compiere atti secondo la determinazione della propria volontà. È il diritto di fare tutto ciò che non è contrario alla legge, alla morale e alla libertà altrui. È il

8 Georges Lahy, L’Alfabeto Ebraico - I ventidue

arcani della Qabalah, Roma, 2008

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diritto di approfittare dei vantaggi garantiti dalla legge a tutti i cittadini, di partecipare col proprio voto alla promulgazione della legge, che deve essere rispettata e obbedita da tutti”. Se Zain spada deve essere, perché non quella impugnata dal Copritore Interno a difesa del Tempio; o quella che l’Esperto punta sul petto dell’iniziando, mentre il Maestro Venerabile gli spiega che essa è simbolo del rimorso che lo tormenterà in caso di tradimento; o ancora, le spade che il recipiendario vede rivolte verso di lui nella “mezza luce”, a simboleggiare la difesa fornitagli da tutti i Fratelli se egli rimarrà fedele al giuramento e la loro intesa solidale nel punirlo se al giuramento 27


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di fedeltà venisse meno. E anche, la spada fiammeggiante con la quale il Maestro Venerabile inizia, costituisce, consacra l’Apprendista Libero Muratore. Credo sia opportuno porre l’accento sul fatto che, in nessun caso, la spada impugnata dal Massone è uno strumento d’offesa, ma sia sempre brandita per difendere l’Istituzione e i suoi membri. Personalmente, osservando la lettera Zain nel suo modello protosinaico, ho creduto di ravvisarvi la possibile forma di un aratro primitivo, in alto il manico, in basso il vomere, uno degli strumenti agricoli più antichi e indispensabili, usato per smuovere il terreno e prepararlo per la semina. Nel Medioevo, la forma dell’Orsa Maggiore aveva sugge28

rito l’idea di un aratro di legno. Zain diventa così un simbolo riconducibile all’Equinozio d’Autunno, l’inizio dell’Anno Massonico; così come nel Solstizio d’Estate abbiamo raccolto il frutto del nostro Lavoro, nell’Equinozio d’Autunno gli diamo inizio. Il Massone può a buon diritto essere considerato al tempo stesso seme e seminatore. Come il seme per fruttificare deve essere gettato nella terra, così il profano per diventare Libero Muratore deve scendere nelle oscure profondità della Terra nel Gabinetto di Riflessione. Come un seme, potrà diventare vigoroso germoglio grazie all’azione dell’aria, dell’acqua e del fuoco inteso come calore incubante, infatti, in assenza di aria, senza l’irrorazione del suolo e il nutrimento dei raggi solari, il seme non può trasformarsi in albero e dare quei frutti che produrranno nuovo seme. Non è certamente per caso che tra i simboli più significativi della Massoneria ci siano tre Melegrane, poste nel Tempio sul capitello della colonna Jakin. La Melagrana è, infatti, un frutto all’interno del quale sono racchiusi, e strettamente connessi fra loro, innumerevoli semi, che tutti insieme costituiscono il frutto e la sua rigogliosa esuberanza. Così, per analogia, ogni seme può esse-

re visto come un Libero Muratore, unico nella sua singolarità ma strettamente legato ai propri Fratelli in un’unica grande famiglia, la prosperità della quale è diretta conseguenza di tale unione. Poiché la funzione del seme è quella di fruttificare, la loro abbondanza nella Melagrana simboleggia anche l’augurio e la volontà dei Massoni di tutto il mondo di proliferare sempre più. Insieme, la molteplicità dei semi allude alla molteplicità di apporti sapienziali e filosofici che hanno creato, nel tempo, una tradizione compatta. Nell’Albero sephirotico, Zain segna il Sentiero che unisce Binah, l’Intelligenza, la Comprensione, l’Intuizione, a Tiphareth, la Bellezza, l’Armonia. È facile comprendere come l’una non possa esistere senza l’altra. Soltanto l’Armonia consente di realizzare quella Comprensione che, nel linguaggio della Libera Muratoria è la Tolleranza, non passiva sopportazione, bensì la capacità attiva del tollere latino, di farsi carico, cioè, delle altrui ragioni quand’anche contrastano con le nostre. Secondo la Ghematria, il numero associato a Zain è 7. È il numero più importante della Torah, quello dei giorni della Creazione, dei giorni della settimana, delle sette terre, dei sette mari, dei sette cieli e dei sette palazzi celesti, quello dei pastori d’Israele: Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Aronne, Giuseppe e David; quello delle braccia della Menorah e, per i Massoni, quello del Grado di Maestro e del numero di Maestri necessario perché una Loggia sia “giusta e perfetta”. Nel Sepher Yetzirah è scritto: “Egli fece la lettera Zain, la coronò e con essa formò i Gemelli nell’universo”. Nel Tempio, sotto il simbolo astrologico dei Gemelli, al capo della Colonna del Meridione, è seduto l’Oratore, il custode della Legge, e il simbolo dei Gemelli ci riporta alle colonne del Tempio. L’Oratore, insieme con il Segretario, Acquario, secondo il Sepher Yetzirah, la lettera Tzadi dell’Alfabeto ebraico, e con il Copritore Interno, Bilancia, la lettera Lamed, costituisce il triangolo d’Aria. Il Tempio Massonico è un grande libro astrologico. Nel Tempio, durante le Tornate, si creano triangoli energetici messi in essere da tre fonti energetiche, tre Ufficiali e Dignitari di Loggia, che combinano la loro emanazione magnetica in modo da creare un triangolo, uno spazio sacro nel quale si concentra sorgente energetica riferita


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agli elementi fondamentali9. Zain è la lettera che, nei Tarocchi, contraddistingue il settimo Arcano, il Carro. Ritrae un personaggio che impugna uno scettro, sul suo capo poggia una corona con tre stelle, che guida un carro di forma cubica, sormontato da un baldacchino azzurro trapunto di stelle e retto da quattro colonnine. Il carro è tirato da due sfingi, una chiara, l’altra scura, in altre raffigurazioni si tratta di due cavalli. Secondo l’interpretazione esoterica il personaggio alla guida del 9 Il triangolo del Fuoco è costituito dal Maestro Venerabile, dal Primo Sorvegliante e dal Secondo Sorvegliante; il triangolo dell’Acqua è costituito dal Maestro delle Cerimonie, dall’Ospitaliere e dal Secondo Esperto; il triangolo della Terra è costituito dal Tesoriere, dal Primo Esperto e dall’Esperto Terribile.

Carro altri non sarebbe che il Bagatto del primo Arcano, l’Iniziato, il quale appresa la percezione della conoscenza si è trasformato nell’Imperatore, l’Arcano numero 4, che ha uno scettro in mano, simbolo di un potere cosciente, potere che, grazie a ulteriori trasformazioni, consente al guidatore del Carro di intraprendere un cammino dinamico equilibrato dalla capacità di dominare le due sfingi, la Forza e la Giustizia. Se traduciamo tutto questo in termini massonici, potremmo individuare il conducente del Carro nel Maestro Venerabile, anch’egli seduto sotto un baldacchino, nello scettro il maglietto, nel Carro il Trono e, ancora meglio, la Loggia, nelle due sfingi, le due colonne Boaz e Jakin. E, tornando alla Ghematria, se sommiamo i valori numerici di Bet, Ain

e Zain, 2+7+7, otterremo 16=6+1=7. Ricompare, quindi, il numero del Grado di Maestro, quasi a volerci ricordare, attraverso la Parola Sacra dell’Apprendista che, in qualsiasi Grado si svolgano in nostri Lavori nell’Ordine, essi s’aprono sempre in Grado d’Apprendista, perché anche per salire la scala dai sette gradini, dobbiamo sempre ripartire dal primo. In conclusione, dopo tutto questo congetturare su Bet-Ain-Zain, con un resipiscente atto di modestia è forse opportuno tornare a confessare: io non so leggere né scrivere, ma soltanto compitare. P.22: Rovine romane in Libia; p.23: Tarocchi, xilografia, sec. XVI; p.24: La Papessa in due serie di Tarocchi e l’alfabeto ebraico; p.25: Albero sefirotico, disegno dal Gabinetto delle Meraviglie di Athanasius Kircher, sec. XVII; p.26: Venere di Milo e - a destra - Minerva neoclassica, Louvre, Parigi. p.27: Sol Invictus, 2011, E.Neri, collez. privata. p.28: Melagrana. p.29: La sfinge di Giza, Egitto.

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Mitologia

Enkidu e Gilgamesh

Ovvero il mito dell,eterna rinascita Patrizia Tasselli

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I giovani uomini di Uruk erano angustiati nelle loro abitazioni: “Gilgamesh non permette che il figlio stia con suo padre” (essi dicevano) “Giorno e notte il suo comportamento è oppressivo. Egli è il pastore di Uruk, l’ovile,

rima di Ercole, prima di Achille e di Ulisse, prima di Enea, prima di Siddharta. prima di tutti c’era lui, Gilgamesh il Costruttore. Le sue gesta si narrano fin dalla notte dei tempi. Partorito dopo un lungo travaglio spirituale dall’umanità che sta prendendo coscienza di sé, egli diventa l’Eroe, il Saggio, il Benefattore, l’Esempio. All’inizio dei Tempi la sua storia si ascolta, non si legge, non si vede. Si ascolta, intendendo il significato vero della parola ascoltare che, partendo dal semplice gesto del prestare l’orecchio, si integra con la percezione, l’intendimento, la capacità di apprendere in silenzio, perché senza silenzio non c’è ascolto. L’umanità presta dunque l’orecchio in silenzio, e impara. Gilgamesh è il costruttore di Uruk, la città eterna che esiste da tempi immemorabili, è l’uomo che custodisce la chiave che apre lo scrigno dei Segreti: Cerca la cassetta di rame delle tavolette, sboccane la serratura di bronzo, apri la porta che cela i segreti, solleva la tavoletta di lapislazzuli e leggila: vi è la storia di quell’uomo, di Gilgamesh che sperimentò ogni possibile sofferenza. Gilgamesh, l’Iniziato. L’umanità si è evoluta, ha alzato gli occhi verso il cielo a cui pone domande e da cui si aspetta risposte. Ma dal cielo arrivano solo strani e indecifrabili messaggi. Gli dèi hanno creato la vita sulla Terra e dispongono a loro piacimento dell’umanità che sembra non avere possibilità di riscatto. Che senso ha una vita di passiva sudditanza? Il re di Uruk intanto spende la sua vita spensierata, ornato di oro e pietre preziose, godendo della sua ricchezza smisurata. Una ricchezza fatta di gioventù, di bellezza, di forza, di potere. E di prepotenza. Ammirato, rispettato, temuto, non amato. Gilgamesh è l’uomo del primo sviluppo, della tecnologia che semplifica la vita, una vita intesa come mero passaggio nel mondo, un semplice soggiorno da trascorrere nel migliore dei modi. E il re può davvero godersi la vita. In Uruk, l’ovile di Inanna, egli va avanti e indietro, si mostra superiore, tiene la testa alta come un toro selvaggio; egli non ha rivali, le sue armi sono sempre

Mitologia egli è il loro pastore eppure il potente, il superbo, l’intelligente e l’esperto Gilgamesh non permette alla fanciulla di stare con suo marito”. (Tav.I) I sudditi di Uruk non sopportano più le intemperanze del loro giovane re, fremono indignati ogni volta che esercita il diritto di giacere con una ragazza il giorno delle nozze e si rivolgono agli dèi perché pongano rimedio. Essi allora convocarono Aruru, la grande: “proprio tu, o Aruru, l’hai creato; crea ora la sua controparte.” (Tav.I)

Di colui che vide ogni cosa, voglio narrare al mondo; di colui che apprese e che fu esperto in tutte le cose. Di Gilgamesh che raggiunse la più profonda conoscenza, che apprese e fu esperto in tutte le cose... sollevate e al suono del suo tamburo debbono accorrere i suoi camerati. (Tav.I) Gilgamesh non ha ancora preso coscienza della parte divina del suo essere, per due terzi egli è dio e per un terzo uomo (Tav.I), ma con tutto se stesso si impegna per godere appieno dei suoi privilegi e soddisfare i suoi istinti rozzi e primordiali.

L’entità creatrice è imperfetta, la sua unità non è compiuta, è scomposta nei principi fondanti della visione umana, il maschile e il femminile. E il Creatore, Aruru, è femmina, in ricordo della Grande Madre. È a lei che si rivolgono gli dèi, le Energie universali. E Aruru si mette subito al lavoro. Quando Aruru udì queste parole concepì l’immagine di Anu. Aruru lavò le sue mani, prese un grumo di creta e lo piantò nella steppa. (Tav.I) Con questa bella allegoria della dea che plasma con l’argilla l’immagine di Anu, dio del cielo, ovvero crea un uomo a immagine di Anu, che sembra essere addirittura la matrice del mito giudaico cristiano della Creazione, si narra la nascita di Enkidu e si introduce poeticamente il tema della doppiezza nella personalità umana. La dea sembra aver commesso un errore nella creazione di Gilgamesh, “proprio tu, o Aruru, l’hai creato”, inserendo in lui solo la parte negativa, e le viene chiesto di rimediare. La correzione sembra non poter avvenire agendo direttamente sul soggetto “difettoso”, ma necessita della creazione di un altro essere, 31


to, egli ha strappato le reti che avevo teso. Egli ha aiutato il bestiame, le bestie selvagge della steppa, a sfuggire alla mia cattura. Egli non mi ha consentito di lavorare nella steppa. (Tav.I) Enkidu, il cattivo, in fondo non fa altro che aiutare gli animali suoi simili, ma per il cacciatore, che vede resi vani i suoi sforzi, lui è il male. Male è tutto ciò che contrasta l’interesse personale di ogni individuo, che non esita a scacciare il male con un altro male. Il cacciatore si rivolge quindi a Gilgamesh; meglio il re prepotente piuttosto che Enkidu il selvaggio.

Mitologia

Suo padre aprì la bocca e parlò al cacciatore: “Figlio mio, in Uruk vive Gilgamesh non vi è nessuno che riesca a sopraffarlo. … Va’, rivolgiti a lui, racconta a Gilgamesh della forza di quest’uomo. (Tav.I)

complementare al primo, anch’esso primitivo, grezzo, incolto, ma tale da poter essere plasmato e trasformato fino a diventarne antitetico e successivamente parte integrante. In questo mito l’imperfezione insita nell’uomo è come un’entità separata, indispensabile per essere combattuta e vinta. Il bene e il male sono scissi al fine di potersi incontrare, uno dei due prevarrà nell’Io, ma sarà l’individuo consapevole a scegliere quale e non sarà una scelta definitiva. Nasce così Enkidu, l’uomo grezzo, un essere mostruoso che incontra un cacciatore, incutendogli terrore. 32

Il cacciatore aprì la sua bocca e disse, così parlò a suo padre: “Padre mio, vi era un giovane uomo che scese dalla montagna ... La sua forza era incontrastata, come il firmamento di Anu: egli percorre la montagna senza posa: senza posa egli bruca l’erba con il bestiame senza posa egli pone i suoi piedi nelle pozze d’acqua. … Egli ha riempito le buche che avevo scava-

Comincia così la marcia di avvicinamento dei due eroi, l’uno alter ego dell’altro; inconsapevoli, si prestano ai disegni divini. Gilgamesh ordina al cacciatore di portare con sé una prostituta sacra, Shamkhat, perché “addomestichi” il selvaggio. Ancora lontano dal razionalismo maschilista ellenico, nel mondo mesopotamico l’incontro con una prostituta sacra costituiva un vero e proprio rito iniziatico. Le prostitute sacre, ma forse sarebbe meglio chiamarle sacerdotesse, incarnavano la Dea e pertanto per un giovane accoppiarsi con una di loro aveva una forte valenza iniziatica. Il rituale dell’accoppiamento permetteva esotericamente di assorbire tutto il potere e la forza del femminile; avendo “posseduto” simbolicamente tutto il genere femminile, il giovane maschio completava la sua personalità ed era pronto ad essere accolto a pieno titolo come membro della società civile. Enkidu si accoppia con Shamkhat, il testo babilonese descrive l’avvenimento con ingenuo realismo: Shamkhat denudò il suo seno, aprì le sue gambe ed egli la penetrò. Ella non lo respinse, lo abbracciò fortemente, aprì le sue vesti ed egli giacque su di lei. Ella donò a lui, l’uomo primitivo, l’arte della donna. (Tav.I)


Nulla sarà per lui come prima. Le bestie selvatiche con cui divideva la vita, mangiando e bevendo insieme, accoppiandosi con loro, ora fuggono da lui, non lo riconoscono parte della stessa specie. Perdute le caratteristiche animalesche, Enkidu si sente fisicamente più debole, le sue gambe tremano. egli però aveva ottenuto l’intelligenza; il suo sapere era divenuto vasto. (Tav.I) Accovacciato accanto alla prostituta Enkidu ascolta attentamente tutto ciò che gli dice fino a che lei gli rivolge queste parole: Tu sei divenuto buono, o Enkidu, sei diventato simile a un dio. (Tav.I) Enkidu ha scoperto la parte divina di sé, ora ha la conoscenza, è quindi simile a un dio. Chiede a Shamkhat di essere condotto a Uruk, si sente pronto a combattere con Gilgamesh.

inesprimibili, lo liberano dalla schiavitù delle convenzioni, dagli obblighi, dal dovere ad ogni costo. E se il sogno fosse una forma di auto-iniziazione? Nell’antichità il sogno veniva interpretato come messaggio degli dèi, forse messaggio della parte divina del sé veicolato dal sonno, che nulla è se non una morte apparente. Il risveglio, dopo un sogno rivelatore, diviene una rinascita, l’inizio di una nuova vita ricca della vera conoscenza del sé. Anche il buio può avere una sua luce, quella dello spirito che si rivela nelle tenebre del sonno e che purtroppo spesso non resiste alla luce del risveglio. Gilgamesh nei sogni che la madre, la divina Rimat Ninsun, interpreta per lui, attende un amico, un uomo che cambierà la sua vita. Attende la sua parte mancante, la parte femminile. Enkidu tuttavia non è ancora pronto, il suo percorso iniziatico non è terminato. Ancora nudo,

Enkidu non sapeva mangiare pane, bere liquori egli non sapeva ... Mangia il pane o Enkidu! Esso è adatto alla divinità! Bevi il liquore, esso è adatto alla regalità!

(Tav.II)

Mitologia La parola “liquore” potrebbe essere interpretata come “birra”, nella settima tavola si parla di birra adatta ai re, ma non sarebbe scandaloso dire “vino”, citato nella undicesima tavola, quella celeberrima del Diluvio. Con questo semplice gesto, l’invito di una donna a mangiare pane e bere birra, alimenti non reperibili allo stato naturale ma artefatti, mentre si riconosce idealmente al sesso femminile di avere inventato l’agricoltura e la tra-

fammi competere con lui, lo voglio provocare: proclamerò in Uruk che io sono il più forte, andrò e cambierò l’ordine delle cose (Tav.I) Profetico il nostro ingenuo eroe, anche se non sa in che modo cambierà le cose e quanto gli costerà. La sacerdotessa ha più dimestichezza di lui con le faccende divine e cerca di avvertirlo, deve essere preparato, Gilgamesh è forte e gode del favore degli dèi. Prima che tu scenda dalle montagne, Gilgamesh ti avrà visto in sogno a Uruk. (Tav.I)

Il sogno ricorre spesso in tutta l’epopea di Gilgamesh. All’interpretazione dei sogni si è data fin dall’antichità una grande importanza. Il sogno, luogo di avvenimenti impossibili dal fascino inquietante, condiziona da sempre l’uomo nella sua vita reale. Se la moderna psicoanalisi cerca di guarire dai sogni, l’antica pratica dell’oniromanzia cercava di guarire con i sogni; in fondo non sono pratiche tanto diverse, perché ambedue analizzano messaggi inconsci che indicano all’essere le sue vere aspirazioni, i suoi desideri

viene vestito da Shamkhat e insieme si recano alle capanne dei pastori, dove: Pane posero davanti a lui, liquore posero davanti a lui ...

sformazione degli alimenti, si stabilisce il momento della separazione dell’uomo dalla bestia. L’offerta del pane e della birra assume pertanto una potente valenza simbolico iniziatica; Enkidu, accettando l’offerta, si separa definitivamente 33


dal lato animalesco di sé per entrare a far parte del mondo civile. Infatti, dopo aver consumato il cibo degno degli dèi e la bevanda degna dei re, prende a cacciare quegli animali che prima faceva scappare dalle trappole. Enkidu è ora pronto ad affrontare il suo alter ego, per vincerlo

Mitologia e unirsi definitivamente a lui e completarlo, donandogli se stesso, ossia l’amore che integra la ragione. L’odiato ius primae noctis è uno dei motivi per cui i cittadini di Uruk hanno implorato gli dèi di limitare lo strapotere del loro re. Gilgamesh si sta preparando a profanare il letto di una giovane sposa quando gli si pone davanti Enkidu per impedirglielo. Nasce una lotta furibonda tra i due eroi, o meglio tra le due personalità contrapposte dello stesso individuo, nella quale Enkidu ha la meglio. Vince l’uomo educato all’amore, vince l’iniziato alla saggezza, ma proprio perché saggio cede l’onore della vittoria all’altro. Enkidu non riconosce la superiorità dell’altro, riconosce “l’esistenza” dell’altro, il suo gesto enfatizza l’importanza della diversità come creatrice del nuovo, del divenire. L’incomprensione cede al dialogo, l’avversione diviene imperitura amicizia. Non c’è dialettica razionale, tra Enkidu e Gilgamesh non c’è scambio di opinioni, l’amore è l’unico mezzo per l’accettazione della “verità” dell’altro. L’esperienza conoscitiva è peraltro ancora mediata dalla divinità, e le scelte umane rispecchiano l’ordine del Cosmo. Eppure questo antichissimo racconto ci documenta in modo inequivocabile come fin dall’alba della civiltà l’uomo cercasse di capire se stesso e la propria natura, interrogando34

si sulla doppiezza, la conflittualità interiore, le contrapposizioni che si riflettono le une nelle altre. Con geniale intuizione narrativa, gli antichi scribi ci raccontano la storia di due eroi, uno creato per equilibrare l’altro, ma la loro fisicità non inganna; essi rappresentano i contrasti che lacerano l’animo umano. Le avventure di Gilgamesh, riunito a Enkidu, non sa-

ranno goliardia tra commilitoni e stupri più o meno legali. Il re di Uruk sente il desiderio di altre sfide, di altre mete da raggiungere; vuole misurare se stesso. Io sono inflessibile: prenderò la via per il Paese lontano dove vive Hubaba. Voglio ingaggiare una lotta dall’esito incerto, voglio percorrere una via sconosciuta. (Tav.II) La via sconosciuta che Gilgamesh intraprenderà, insieme all’ormai inseparabile Enkidu, è quella verso il Libano, dove si

trovano le favolose foreste dei cedri, alberi a cui le antiche popolazioni attribuivano non solo valore commerciale ma anche valenze magico-sacrali, in considerazione forse della longevità della pianta e della resistenza del suo legno. I cedri del Libano crescono infatti molto lentamente e vivono fino a tremila anni. Rami di cedro sono le travi della nostra casa, si recita nel biblico Cantico dei Cantici, a significare che travi costruite con legno tanto nobile preservano la casa e i suoi abitanti dalla corruzione. L’Arca dell’Alleanza era deposta su un altare di cedro, e l’intero Tempio di Salomone ne era rivestito. Nell’epopea di Gilgamesh la dea Ishtar lusinga l’eroe invitandolo a entrare nella nostra casa attraverso la fragranza del cedro (Tav. IV). Enkidu, malato, maledice la porta sacra di Uruk, per la cui costruzione dice: ho selezionato per te il legno, finché non ho trovato uno splendido cedro (Tav. VII). Ed essenza di cedro i superstiti del Diluvio offriranno alla divinità. Nonostante che l’offerta di legno di cedro fosse molto gradita agli dèi, questi avevano messo a guardia della foresta un mostro terribile di nome Hubaba. La spedizione dei due eroi verso il Libano assume pertanto la valenza di un viaggio iniziatico e la spiegazione dell’apparente contrasto, apprezzamento degli dèi per il pregiato legno e impedimento posto alla sua raccolta, ci viene dalle parole che la divina Rimat Ninsun rivolge a Shamash, dio del sole, affinché sia propizio alla spedizione: Egli ingaggerà una lotta dall’esito incerto, camminerà per sentieri sconosciuti fino al giorno in cui, dopo aver viaggiato in lungo e in largo,


non raggiungerà finalmente la Foresta dei Cedri e ucciderà il feroce Hubaba, sterminando nella montagna tutto il male che tu odi. (Tav.III) Shamash odia dunque il male, il male deve essere sterminato. Gilgamesh, arido e tecnologico, insieme al suo doppio umano e sensibile, intraprendono un viaggio iniziatico per affrontare un pericoloso mostro, figura simbolica che rappresenta gli incubi che affliggono la ragione. Durante il percorso di avvicinamento subiranno altre prove; sogni spaventosi e premonitori di sventura cercheranno di far desistere Gilgamesh, ma Enkidu, aiutato da un misterioso demone della sabbia, li interpreta in senso favorevole.

Mitologia

Enkidu preparò in giaciglio per lui, per Gilgamesh; un demone della sabbia si avvicinò ed egli lo fissò. Egli lo fece giacere nel mezzo del cerchio ed esso come grano selvatico sputò sangue (Tav.IV)

Il testo, nella traduzione sopra citata, è poco chiaro. Secondo altri traduttori Enkidu fece per Gilgamesh una casa del sogno e lo fece giacere nel cerchio dove egli, come l’orzo della montagna piegò la testa,** ovvero si addormentò. È evidente un richiamo alla già citata pratica dell’oniromanzia, nonché all’uso del cerchio magico come pratica sciamanica. L’impresa si conclude con la piena vittoria e i due eroi tornano a Uruk carichi di cedri abbattuti; con il più meraviglioso, la cui corona bucava il cielo, Enkidu farà una grande porta per il tempio di Shamash. Il desiderio di conoscenza li ha spinti lontano, ma la fisicità dell’impresa è allegorica, il mostro sconfitto è quello dell’ignoranza. La coppia Gilgamesh-Enkidu comincia ad assumere l’identità dell’unico, sebbene le due personalità appaiano ancora distinte e ben definite. I consigli che si danno reciprocamente sono però gli stessi, le due individualità tendono a confondersi, ad essere alternative. Il forte, temerario Gilgamesh talvolta invita alla prudenza, mentre il riflessivo Enkidu incita alla lotta. Bello, forte, giovane, ora è anche saggio.

Gilgamesh è degno degli dèi, e di una dea in particolare, Ishtar. Erede della Grande Madre come tante altre divinità femminili, tasselli dell’ormai scomposto mosaico della Divinità ancestrale, Ishtar è simbolo dell’amore che crea la vita e regina degli Inferi. Come la Luna che la rappresenta, bifasica e bipolare nel comportamento, è positiva nella fase crescente, negativa nella fase calante. Amabile, sensuale, appassionata, capricciosa, volubile, vendicativa, rappresenta l’essenza stessa delle contraddizioni in cui l’uomo si dibatte. Chi poteva innamorarsi di un uomo così complesso e irrequieto se non la dea dalla molteplice personalità, la dea dell’amore fisico dispensatrice di vita e allo stesso tempo dea della guerra distruttrice? Ishtar si offre senza alcun falso pudore al giovane re, promettendogli

non solo il suo amore ma anche potere e ricchezza. Sorprendentemente Gilgamesh rifiuta. Troppi amanti, troppi uomini si sono illusi tra le sue braccia, per essere poi respinti e abbandonati a un destino crudele. A quale dei tuoi amanti Tu sei rimasta per sempre fedele? Quale dei Tuoi superbi fidanzati è salito al cielo? ... E per quanto mi concerne, sì, Tu mi amerai, ma poi mi riserverai lo stesso trattamento… P.30: Statua colossale di guerriero con leone, arte mesopotamica; p.31: Testa regale dagli scavi di Ninive; p.32: Il demone assiro Pazuzu; p.33: Il volto labirintico del demone Hubaba; p.34: Re e dignitario, bassorilievo, arte mesopotamica. p.35: La dea Lilitu o Lilith, bassorilievo, arte mesopotamica.

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Antropologia

Il fungo degli sciamani II parte Paolo Aldo Rossi

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G

eorg Heinrich von Langsdorf, nel 1809 descrisse: “… la natura e gli effetti dell’agarico muscario, che noi consideriamo estremamente velenoso ma che viene usato da diversi abitanti dell’Asia nord-orientale come inebriante alla pari del vino, del brandy, dell’arrack, dell’oppio, del kava e delle altre bevande usate nelle altre nazioni. Durante la mia permanenza in Kamchatka ho avuto l’opportunità di raccogliere informazioni dettagliate sugli effetti di questo fungo, che cercherò di descrivere ora brevemente. L’agarico muscario cresce quasi dappertutto in Kamchatka, nelle foreste di betulla e nelle pianure secche. La sua presenza è abbondante soprattutto nella parte centrale della penisola, specialmente attorno a Vishna Kamchatka e Milkova Derevna. In alcune annate se ne osservano un gran numero, ma in altre la sua presenza è estremamente scarsa. I Kamchadi li raccolgono solitamente durante i mesi più caldi, quelli di luglio e agosto; essi affermano che quelli che si seccano da soli nel terreno, sul gambo, e che sono un poco pelosi e vellutati al tatto nella parte inferiore del cappello, possiedono un effetto narcotico maggiore di quelli raccolti freschi e appesi a una corda per seccarli all’aria … Da quando si sono stabiliti contatti più vicini con i Russi, i Kamchadi si sono dedicati particolarmente al costume di bere vodka e hanno abbandonato il consumo dell’agarico muscario e lo usano con notevole profitto come merce di scambio per acquistare le renne. Il modo usuale di consumare l’agarico muscario consiste nel seccarlo e nell’inghiottirlo in un solo colpo, arrotolato in forma di palla, senza masticarlo; masticare l’agarico muscario è considerato pericoloso, poiché si dice che provoca disturbi digestivi. A volte questi funghi sono cotti freschi e mangiati in zuppe o salse, poiché in tal modo essi acquistano un sapore simile a quello dei funghi eduli ed hanno un effetto più debole e quando i funghi sono preparati in questo modo, ne può essere mangiata una maggiore quantità senza risultati pericolosi … La predisposizione del corpo o la suscettibilità agli effetti inebrianti dell’agarico muscario non appaiono sempre le medesime … gli effetti narcotici iniziano a manifestarsi circa

una mezz’ora dopo l’ingestione, con tiramenti e scosse dei muscoli o con il cosiddetto “salto del tendine” (nonostante a volte questi effetti appaiano solo dopo una o due ore); ciò è gradualmente seguito da una percezione di cose che nuotano davanti agli occhi, vertigini e sonno. Durante questo tempo, coloro che hanno mangiato una grande quantità di funghi spesso soffrono di un attacco dl vomito. I funghi arrotolati ingeriti in precedenza interi vengono quindi vomitati fuori in una grossa forma gelatinosa, ma anche quando nello stomaco non rimane nemmeno un fungo, l’ebbrezza e lo stupore continuano …, l’inebriato spesso sembra danzare e fare i movimenti delle più strampalate pantomime con le mani. Similmente, i muscoli della testa e del collo sono anch’essi in uno stato convulsivo costante … i nervi sono altamente stimolati e in questo stato il più lieve sforzo produrrà effetti molto potenti. Di conseguenza, se uno desidera camminare sopra un piccolo bastone o della paglia, egli cammina e saltella come se gli ostacoli fossero tronchi di albero. Se uno è solitamente predisposto al parlare, i suoi nervi

Ein Männlein steht in Walde Ganz still und stumm. Er hat von lauter Purpur Ein Mäntlein um. Sag’wer mag das Männlein sein Das da steht auf einem Bein? Gluckpilz! Fliegenpilz! del parlare sono ora in attività costante ed egli rivela involontariamente segreti, perfettamente consapevole delle sue azioni e consapevole del suo segreto, ma incapace di tenere a freno i suoi nervi. In questa condizione un danzatore danza e un musicista canta incessantemente. Altri corrono o camminano piuttosto involontariamente, senza alcuna intenzione di muoversi verso luoghi in cui non desiderano affatto recarsi. I muscoli sono controllati da un’attività incoordi-

nata degli stessi nervi, non influenzati e non associati al potere di volontà superiore del cervello, e cos’ è occasionalmente accaduto che persone in questa fase dell’intossicazione si sono trovate guidate irresistibilmente verso canali, ruscelli, stagni, vedendo il pericolo incombente

Antropologia di fronte ai loro occhi ma incapaci di evitare la morte certa, evitata per l’assistenza di amici che sono giunti in soccorso. In questo stato intenso e stimolato del sistema nervoso, queste persone compiono sforzi muscolari di cui sarebbero completamente incapaci in altri momenti; per esempio, trasportano grossi pesi con la più grande … ma la caratteristica più notevole e strana dell’agarico muscario risiede nel suo effetto nell’urina. I Koriaki sanno da tempo immemorabile che l’urina di una persona che ha consumato l’agarico muscario possiede un potere narcotico e inebriante più forte del medesimo fungo e che questi effetti persistono per molto tempo dopo l’assunzione. Per esempio, un uomo può essere moderatamente inebriato per l’agarico muscario oggi e domani questa ebbrezza moderata può essere completamente svanita ed essere ritornato totalmente sobrio; ma se egli ora beve una tazza della sua urina, diventerà molto più inebriato di quanto non lo sia stato il giorno precedente. Non è per nulla raro, quindi, che persone che hanno mangiato l’agarico muscario conservino la loro urina come se fosse un liquore prezioso, per berla non appena se ne presenterà l’occasione. L’effetto inebriante dell’urina non si trova solo fra le persone che hanno mangiato l’agarico muscario, ma anche in chiunque beva quest’urina. Fra i Koriaki è piuttosto comune per un uomo sobrio nascondersi in attesa di un uomo inebriato dal fungo e, quando questi urina, mettere segretamente l’urina in un contenitore, ottenendo in tal modo una bevanda stimolante anche se non possiede funghi. Per via di questo effetto particolare, i Koriaki hanno il vantaggio di poter prolungare la loro estasi per numerosi giorni con un piccolo numero di funghi … ugualmente notevole e strano è la sostanza narcotica estremamente sottile ed elusiva contenuta nell’agarico musca37


Antropologia

rio, che mantiene sempre la sua efficacia e può essere trasmessa ad altre persone: l’effetto dell’urina da un mangiatore di un solo e medesimo fungo può essere trasmesso a una seconda persona, l’urina di questa seconda persona produce effetti in un terzo e similmente, rimanendo immutato con il passaggio dei principi attivi attraverso gli organi digestivi, l’effetto appare in un quarto e in un quinto individuo … i Koriaki preferiscono l’agarico muscario alla vodka dei Russi e affermano che dopo aver mangiato questo fungo un uomo non soffre più di mal di testa e di altri effetti. È vero che in casi estremamente rari (di cui nessuno ricorda un esempio specifico) individui che hanno consumato una quantità estremamente straordinaria di funghi sono morti in convulsioni, privi dei sensi e di parola, dopo sei od otto giorni. Tuttavia, non è riportato che il consumo moderato abbia mai portato alcun pericoloso ef38

fetto postumo1”. J. Enderli nel 1903 racconta: “Dietro ordine dell’uomo, la donna cercò in un vecchio sacco di cuoio, nel quale erano ammucchiati l’uno sull’altro gli oggetti più disparati, ed estrasse un piccolo pacco avvolto in una pelle sudicia, dal quale prelevò alcuni campioni di agarico muscario vecchi e secchi. Essa si sedette per terra vicino ai due uomini e si mise a masticare accuratamente i funghi. Dopo averlo masticato, estrasse dalla bocca il fungo e lo arrotolò fra le sue mani nella forma di un piccolo salsicciotto. La ragione di ciò risiede nel fatto che il fungo ha un sapore molto spiacevole e nauseante, per cui un uomo che 1  Georg Heinrich von Langsdorf, Einige Bemerkungen die Eigenschaften des Kamtschadalischen Fliegenschwammes betreffend, 1809, Ann. Wetter. Gesell. gesam. Naturk., vol. 1(2), pp. 249-56 vv Gordon R.Wasson, Soma. Divine Mushroom of Immortality, 1968, New York.

intende mangiarlo lo passa sempre prima a qualcun altro per farlo masticare e per deglutire in seguito l’intero salsicciotto, come una pillola. Quando il salsicciotto di fungo fu pronto, uno degli uomini lo inghiottì immediatamente con ingordigia, spingendolo nella gola con le sue dita incredibilmente sudice, dato che i Koriaki non si lavano mai le mani in tutta la loro vita. Gli effetti del veleno si manifestarono dopo che gli uomini avevano ingoiato il quarto fungo. I loro occhi assunsero un aspetto selvaggio (non uno sguardo glaciale come si osserva negli ubriachi), con un bagliore positivamente accecante, e le loro mani si misero a tremare nervosamente. I loro movimenti divennero goffi e improvvisi, come se gli uomini avessero perso il controllo dei loro arti. Entrambi erano ancora pienamente consapevoli. Dopo alcuni minuti essi furono sopraffatti da una profonda letargia e si misero quietamen-


te a cantare canzoni monotone improvvisate, il cui contenuto era approssimativamente questo: “Il mio nome è Kuvar, e sono ubriaco, sono allegro, mangerò sempre i funghi”, e cosi via. Il canto divenne sempre più brioso e alto, interrotto di tanto in tanto da parole gridate velocemente; L’aspetto selvaggio e animalesco dei loro occhi divenne ancora più evidente, il tremore degli arti più intenso e la parte superiore dei loro corpi si muoveva ancora più violentemente. Questa condizione durò per una decina di minuti. Entrambi gli uomini furono invasi da un attacco di esaltazione. Essi scattarono improvvisamente dalle loro sedie e si misero a chiedere ad alta voce e selvaggiamente i tamburi. (Ogni famiglia possiede dei tamburi in forma di disco di pelle di renna, che vengono usati per scopi religiosi). Le donne portarono immediatamente i tamburi e li misero nelle mani degli uomini. E ora essi si misero a danzare e a cantare in maniera indescrivibile, un tambureggiamento assordante e una corsa selvaggia dentro la yurta; essi gettavano via ogni cosa senza cura, sino a che non furono completamente esausti. Improvvisamente collassarono come morti e caddero in un profondo sonno; mentre dormivano, la saliva fuoriusciva dalle loro bocche e le loro pulsazioni divennero notevolmente lente. È questo sonno che provoca loro la più grande gioia; essi fanno dei bellissimi sogni fantasiosi. Questi sogni sono notevolmente sensuali e i dormienti vedono ciò che desiderano. Dopo una mezz’ora i due uomini si risvegliarono più o meno nel medesimo momento. Gli effetti del veleno erano diminuiti ed entrambi erano in possesso dei loro sensi, ma il loro passo era incerto e convulso. Presto, tuttavia, gli effetti del veleno apparvero nuovamente; gli uomini furono assaliti da un nuovo attacco di esaltazione. Quindi caddero nuovamente addormentati; si risvegliarono per un breve tempo in piena coscienza, sino a che non furono assaliti da un ulteriore attacco di esaltazione. Gli attacchi continuarono seguendo questo ciclo ancora per alcune volte, ogni volta meno violenti. Si sarebbero probabilmente fermati del tutto dopo alcune ore, se essi non avessero usato un altro metodo che avrebbe rinnovato l’intensità dell’intossicazione. Sembra che il ve-

leno dell’agarico muscario venga espulso nell’urina e questa, quando un uomo la beve, produce i medesimi effetti dell’agarico muscario. Poiché questi funghi sono relativamente rari in queste regioni, essi hanno un prezzo alto fra i Koriaki e questi lo considerano quindi troppo prezioso per sciupare la loro urina, i cui effetti sono identici a quelli del fungo. Osservai a questo punto che una donna portò all’uomo risvegliatosi un piccolo contenitore di latta, nel quale egli versò la sua orina di fronte a tutti. Il contenitore è usato esclusivamente per questo scopo

do il secondo mangiatore di funghi, che si era appena svegliato, vide il contenitore dell’urina vicino a lui, lo afferrò senza proferire parola, e bevve alcuni ampi sorsi. Poco dopo il primo uomo, l’attuale “proprietario dell’urina’, lo seguì nell’esempio. Dopo poco tempo l’urina che

e i Koriaki lo portano sempre con sé, anche durante i viaggi. L’uomo appoggiò il contenitore per terra dietro di lui; L’urina era ancora calda e il suo vapore saliva densamente nella fredda yurta, quan-

frenesia e a momenti di completa calma. L’intossicazione veniva intensificata ad ogni bevuta di urina. Le danze frenetiche e le gare di bevute continuarono così per tutta la notte, ed era quasi il pome-

Antropologia avevano bevuto iniziò a dare i suoi effetti e i sintomi dell’intossicazione salirono violenti, come lo erano stati in precedenza. Il sonno si alternava ad attacchi di

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riggio del giorno seguente quando i Koriaki si ripresero dal loro stato stuporoso. L’urina restante venne attentamente conservata, per essere usata in un’occasione successiva. Anche quando viaggia e lascia il suo insediamento in una condizione di semi-ubriachezza, il koriako

Antropologia non disperde mai la sua orina; egli continua a raccoglierla nel contenitore che porta con sé per questo scopo. Questa è la gioia più grande, il trattenimento più allegro che un koriako conosce, ed egli lo attende con impazienza per tutto l’an-

no. I Koriaki credono che l’agarico moscario, a differenza dell’alcool, ha il potere di rivelare il futuro all’uomo che lo consuma; se, prima di mangiare il fungo, l’uomo recita sopra di esso certe formule, pronunciando il suo desiderio di vedere il futuro, il desiderio si realizzerà in sogno2”. Un altro racconto fu pubblicato in polacco nel 1837 ed è un’esperienza che risale al 1796 o 1797, quando l’autore, Joseph Kopéc, prese le febbri nella penisola della Kamchatka. Giunto “all’ora della mia morte”, gli venne offerto un fungo 2 J. Enderli, Zwei Jabre den Tsckuktschen und Korjaken, 1903, Petermanus Geographische Mitteilung. Gotha, pp. 183-184.

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e lui volendo “recuperare la salute e soprattutto dormire”, vinse le sue perplessità e mangiò mezzo fungo. Quasi subito cadde in un sonno profondo nel quale un sogno si succedeva all’altro: “Mi ritrovai come calamitato dai giardini più attraenti, dove sembravano regnare soltanto piacere e bellezza. Fiori di differenti colori e forme e profumi mi comparivano dinanzi agli occhi; un gruppo di bellissime donne vestite di bianco andavano avanti e indietro, all’apparenza occupandosi dell’ospitalità di questo paradiso terrestre. Come liete del mio arrivo mi offrirono una varietà di frutti, bacche e fiori. Questa delizia

durò per tutto il tempo che dormii, un paio d’ore di più del mio riposo abituale … Dopo aver mangiato questa maggiore quantità, caddi profondamente addormentato in pochi minuti. Per parecchie ore le nuove visioni mi trasportarono in un altro mondo, e mi sembrò che qualcuno mi ordinasse di ritornare sulla terra per potermi confessare da un prete. Questa immagine fu così viva che, nonostante il sonno, mi svegliai e chiesi del mio predicatore. Era mezzanotte precisa e il prete, sempre premuroso di prestare la sua opera spirituale, indossò subito la stola e ascoltò la mia confessione con una gioia che non cercò di nascondermi. Un’ora dopo la confessio-

ne mi addormentai di nuovo, senza svegliarmi per ventiquattro ore. E’ difficile, per non dire impossibile, descrivere le visioni che ebbi durante un sonno così lungo; e vi sono, inoltre, altre ragioni che mi fanno esitare. Quello che io osservai in queste visioni è qualcosa che non avrei mai potuto figurarmi nemmeno col pensiero. Posso solo dire che dall’età in cui iniziai ad avere le prime consapevolezze della vita, tutto quanto avevo visto dall’età di 5-6 anni, tutte le cose e le persone da me conosciute nel corso degli anni, tutti i miei divertimenti, le mie occupazioni, le azioni una dopo l’altra, giorno dopo giorno, anno dopo anno, in una parola lo scenario di tutta la mia vita passata fu presente alla mia vista. Per quel che concerne il futuro, diverse visioni si seguirono l’una con l’altra, ma non trovano qui, in quanto sogni, uno spazio particolare. Vorrei solo aggiungere che, in questo stato di ispirazione, mi accorsi di certe sviste del mio catechizzatore e gli suggerii di perfezionarsi. Mi avvidi che egli accettò questi consigli come la voce della Rivelazione3”. Uno dei pochi che osservarono con simpatia le usanze siberiane fu Carl Von Dittmar, che così le descrisse nel 1900: “I mangiatori di Muchumor [ammazzamosche] descrivono la narcosi come bellissima e splendida. Le immagini più straordinarie, mai altrimenti viste durante la loro vita, passano davanti ai loro occhi, cullandoli in uno stato di intenso piacere. Delle numerose persone da me viste intossicarsi in questa maniera non ne ricordo una che si comportasse in modo furioso o violento. Esteriormente gli effetti erano sempre calmanti e, oserei dire, rasserenanti. Per lo più la gente sedeva sorridendo amichevolmente, biascicando pacatamente delle parole a se stessi, con movimenti lenti e misurati4”. Come s’è già visto lo sciamanesimo è una filosofia (una visione del mondo) che ha come sua parte pratica il fine di ottenere risultati concreti. Non v’è alcuna dottrina di salvezza individuale o collettiva, nessuna idea di tipo metafisico o morale, non v’è concetto sull’a3 Valentina e Gordon Wasson, Mushrooms, Russia and History, 2 vol. 1957, New York. 4 ibidem


more fra dio e l’uomo. Lo saman è mediatore, attraverso l’estasi, fra le figure soprannaturali e il gruppo umano; egli eredita la sua funzione nell’ambito della famiglia (si pensa che il suo spirito sia quello di uno sciamano morto e ritornato per reincarnarsi in lui) e riceve il duplice insegnamento e iniziazione: tradizionale ed estatico. È medico e opera nei

il suo contatto con gli spiriti soprannaturali (trance e estasi sono la medesima cosa). La trance è un mezzo di reazione psicogeno, isteroide, uno stato mentale di introspezione che può essere provocato per suggestione o con mezzi artificiali (sostanze psicoattive: allucinogeni, euforizzanti, inebrianti, trance-induttori …). Molte sedute hanno luogo in uno

Le sostanze psicoattive si dividono (a grandi linee): Psicoanalettiche Psicolettiche Psicodislettiche Eccitatori Depressori Modificatori qualitat. percezione/umore Psicostimolanti Ipnotico-sedativi Allucinogeni Euforizzanti Inebrianti Trance-induttori Antidepressivi Tranquillanti Cognodislettici Ansiogenici Antipsicotici Deliranti Convulsivanti Antimaniacali Neurotossici casi di perdita dell’anima (ossia perdita di coscienza) ascendendo l’albero celeste e, assieme agli spiriti adiutori, cerca di espellere l’oggetto o spirito penetrato nel paziente; è sacerdote e sovraintende ai riti e ai sacrifici, è indovino e conosce accadimenti sia del passato che del futuro, è psicopompo e accompagna l’anima alla sua nuova dimora, è incantatore di animali e dirige la caccia del gruppo. Durante la cerimonia d’iniziazione diverse figure simboliche vengono incontro all’aspirante sciamano: la Signora delle Acque, la Signora degli Inferi e la Signora degli Animali che lo conducono, attraverso le loro rispettive regioni, in cima alla Montagna Cosmica dove c’è l’Albero Celeste, sul quale si deve arrampicare. In quell’occasione il Signore Universale gli insegna come costruirsi il tamburo: il telaio viene fatto con il legno di un ramo caduto dall’Albero Cosmico (quindi ti fa ascendere ai cieli e passare attraverso gli inferi), la membrana è di pelle di renna, di pescecane, di cavallo, di alce … (l’animale totem), ma le bacchette sono di osso, di legno o fanone di balena, tendine di cervo o di una liana spinosa, i risuonatori laterali e i pendagli sono in metallo e hanno forme zoomorfe e antropomorfe. L’estasi è il tramite con cui lo sciamano stabilisce

stato di instasi-estasi senza che l’anima dello sciamano lasci il corpo, per cui il concetto di trance sciamanica rappresenta due esperienze diverse: la prima è costituita dal volo extracorporeo dello sciamano aiutato dai suoi spiriti assistenti, la seconda viene effettuata senza volo con le informazioni fornite dagli stessi spiriti. Lo stato di estasi presenta quasi sempre i seguenti contenuti: il corpo viene tagliato a pezzi, svuotato dai liquidi; la carne, smembrata e separata dalle ossa, viene divorata dagli spiriti delle malattie; quindi lo scheletro è ricoperto di carne e sangue fresco, ricomposto e pronto per ricevere nuovamente l’anima, la quale è ascesa al cielo e ha avuto diverse visioni e insegnamenti religiosi dagli dei, quindi è discesa agli Inferi dove ha ottenuto ulteriori insegnamenti tecnici da sciamani morti. La malattia iniziatica (che come ogni altro “male” è un’entità aggressiva inviata dall’esterno) può essere un autentico stato fisiopatogeno, che si riflette pesantemente sulla mente, o direttamente psicopatogeno. Lo sciamano presenta, dunque, una personalità psichicamente disturbata, esibisce fenomeni di trance epilettoide, sdoppiamento della personalità, paranoie mistiche, soffre di stati allucinatori, neuro-

patie e nevrastenie, psicosi catatoniche, ma ne guarisce e così impara a guarire gli altri. La cerimonia di iniziazione, e la susseguente disciplina di vita, corrisponde quasi sempre al momento della guarigione. Da questo momento in poi l’esperienza della malattia mentale

Antropologia ha per lo sciamano solo un valore teorico o meglio rappresenta la teoria che sta alla base della terapeutica, ma non solo: la sua esperienza patologica nella follia (intesa come dono divino) lo porta a saper padroneggiare le tecniche oniriche ed estatiche, a viaggiare in dimensioni altre, a intrattenere rapporti mistici con la divinità, a sviluppare capacità particolari come la bilocazione, la telecinesi, la tramissione del pensiero. Gli stati di possessione sciamanica o estatica, possono essere provocati dall’ingestione di sostanze capaci di modificare gli stati normali delle facoltà mentali portandoli a diventare stati alterati o ‘altri’ di coscienza, vengono detti “enteogeni”, ossia stati generanti dal di dentro il rapporto con il divino o allucinogeni5. La storia dell’amanita muscaria – vero fungo enteogeno - si pone alle origini della civiltà indoeuropea (là dove è nata l’idea di anima e dove si pensava che la psiche lasciasse il corpo per morire-risorgere o anche solo per intraprendere discese agli inferi o ascese ai cieli). Questi non sono spiriti, ma i funghi stessi. Il numero di esseri visti dipende dal numero di funghi consumati. Se un uomo ha mangiato un fungo egli vedrà un uomo-fungo; se ne ha mangiati due o tre, vedrà un corrispondente numero di uomini-fungo. Essi afferrano l’uomo 5 L’ingestione di fiori, radici, corteccia, germogli, frutti, bacche, resina … o funghi, ossia di parti di vegetali contenenti sostanze psicoattive, va vista però in senso scientifico e non giornalistico. Nel linguaggio giuridico esistono solo gli “stupefacenti”, in quello politico le “droghe leggere o pesanti”, in quello dei media i narco (narcotraffico, narcodollari …), in quello della cultura alternativa gli “psichedeleci”, in quello della psichiatria alla moda gli psicotomimetici … ma dal nostro punto di vista dobbiamo fare necessariamente delle distinzioni terminologiche e tassonomiche [vd. tabella].

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Antropologia

intossicato e lo trasportano per il mondo intero, mostrandogli alcune cose reali e frastornandolo con molte sbalorditive apparizioni surreali. Le strade che essi percorrono sono molto intricate e si dilettano nel visitare posti dove la vita è morta. Spesso fanno degli scherzi a coloro che sono sotto la loro influenza, ma essi li guidano anche e li proteggono dai pericoli di questo mondo6. L’iniziazione è contraddistinta da: acquisizione dell’estasi, comprensione del soprannaturale e abilità a comunicare con i suoi componenti, ottenimento e riconoscimento da parte della tribù del proprio ruolo e, quindi, supporto e consenso. Essa prevede solitamente un lungo periodo di preparazione che può durare anni a testimonianza che il pretendente possiede le qualità necessarie a diventare sciama6 Georg Heinrich von Langsdorf, Einige Bemerkungen die Eigenschaften des Kamtschadalischen Fliegenschwammes betreffend, 1809, Ann. Wetter. Gesell.gesam. Naturk., vol. 1(2), pp. 249-56 vv Gordon R.Wasson, Soma. Divine Mushroom of Immortality, 1968, New York.

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no: forte impressionabilità ed eccitabilità nervosa, infermità e morbi, disposizione alla riflessione e al raccoglimento e tendenza all’isolamento, visioni e audizioni singolari spiegabili come visite degli spiriti. Le varie patologie, la tecnica ascetica, la segregazione hanno il valore di una separazione fisica dalla normale vita della comunità: la vocazione sciamanica è sempre considerata ardua e pericolosa ed è di pochi. Ma l’estasi può essere comunicata anche agli altri membri della tribù, anche se solo lo sciamano se la può procurare con mezzi interni, cioè non usando droghe ma solo con il tamburo che accompagna la danza, i canti e le discese agli inferi e le ascese ai cieli. Gli altri, invece, hanno bisogno di sostanze psicoattive. Uno dei modi per studiare la storia in età preistorica è di riferirsi all’immenso bacino delle fiabe, al racconto orale che passa di bocca in bocca, nel tempo in cui questo nostro mondo era soffuso di quel silen­zio che solo consente al mito di essere ascoltato e in cui la parola soprannaturale era affi­data allo stormire delle fronde, alla risacca delle

onde, al gorgoglio di una fonte ... segni dell’ineffabile, simboli, ri­chiami, evocazioni della ineludi­bile coincidenza fra la vita e la divinità. A questo punto veniamo alla più nota delle fiabe dell’umanità: la storia di Cappuccetto Rosso. Come tutti i grandi cicli anche questo si svolge in uno spazio geografico preciso, le zone delle foreste dell’Europa nord-orientale, vive in un ambito socio-culturale ben determinato, il mondo dei raccoglitori e cacciatori, si dispiega in una scansione diacronica in cui il tempo è già così remoto da poter rammentare epoche disperse nella memoria, ma non tanto da non poter giocare nel presente ed infine si intesse su di un ordito estremamente semplice: la più feroce delle bestie selvatiche che vive in Europa, il lupo, da sempre aggredisce l’uomo e si ciba delle sue carni. La paura dei lupi è certamente fra le più ataviche dei popoli dell’Europa ed è del tutto comprensibile che la più affascinante ed attraente delle nostre favole, Cappuccetto Rosso, sia per l’appunto dedicata ai lupi e ai cacciatori. Nelle sue versioni più


fatto fare un cappuccetto rosso, il quale le tornava così bene al viso, che la chiamavano dappertutto Cappuccetto Rosso7”! Proviamo invece a ipotizzare che la fiaba “fosse derivata da racconti giustificativi (aitìa) dei riti di iniziazione giovanile praticati dai cacciatori preistorici7” e

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antiche la fiaba finisce male, quasi a ribadire il fatto che è più facile che il figlio di un contadino sposi una principessa, piuttosto che due donne indifese possano scampare alle zanne del lupo. Questa belva veniva considerata alla stregua di una calamità naturale (tipo tempeste, epidemie, carestie, ecc...). tanto che esistevano esorcismi e scongiuri. Per cui senza voler scomodare interpretazioni complicate e cervellotiche ci basterebbe questo per comprendere la fortuna di questa fiaba: il fascino della paura supera quello del piacere. Evidentemente su questo nucleo di estrema semplicità si innestano diramazioni che rimandano a ambiti storici precisabili; ad esempio,

i riti del passaggio dall’adolescenza all’età matura nelle tribù di cacciatori primitivi. La protagonista non ha un nome, viene da tutti designata con un appellativo riferentesi al cappello di colore rosso che porta, ma questa caratteristica non ha nessun ruolo nella continuazione del racconto (come componente importante del nome proprio: Cenerentola, Biancaneve, Pollicino … o come dono determinante per effettuare grandi imprese: Il gatto con gli stivali, Pelle d’orso, l’Acciarino magico, …). Non si capisce il perché di quel nome se poi il cappello rosso non ha alcuna funzione nella narrazione ed è abbandonato, se non per dire: “… sua madre le aveva

che, quindi, il cappuccio rosso fosse, in passato, il marchio distintivo dell’intera fiaba: il cappello scarlatto dell’Amanita muscaria, da cui si otteneva la pozione psicoattiva che conduceva il neofita al mondo ultraterreno. Il copricapo rosso potrebbe aver rappresentato l’appartenenza contingente all’ultraterreno e la provenienza eventuale dei giovani dal mondo dell’al di là. I giovani adepti, prima di essere accolti come uomini maturi, debbono trascorrere parecchio tempo lontani dalla famiglia e dal loro villaggio, restando a lungo relegati nella foresta dove vengano istruiti dagli anziani. Nelle fiabe russe essi arrivano al limitare della foresta alla casa “a zampe d’oca” - che gira su due mondi: terreno e ultraterreno - e in quel momento devono morire per poi risorgere da adulti8. Essi vengono lasciati in custodia ai vecchi che li ammaestrano sul rito e sulle cerimonie a cui dovranno partecipare, ma anche sul segreto e sul mistero di quel che avviene: sensazioni tattili, auditive, visive … percepite dagli adepti allorché, dopo avere ingerito sostanze allucinogene, subiscono la fase rituale della morte temporanea, il volo sciamanico, l’incontro con gli spiriti dei morti della tribù, il viaggio alla sede ultraterrena del Signore degli Animali … da cui torneranno indenni (resurrezione) al termine della cerimonia. Cappuccetto Rosso è mandata dalla mamma a portare la colazione alla nonna (l’anziano), che abita in una casetta in fondo al bosco. La bambina si ferma a raccogliere dei fiori che crescono sotto le piante (i funghi scarlatti!), ma a quel punto arriva il lupo (il Signore de7 A.Calvetti, Tracce dei riti di iniziazione nelle fiabe di Cappuccetto Rosso e delle Tre Ochine, XLVI, 1980. 8 Vedi il protagonista che riesce a superare le prove perché nella capanna della baba-yagà ha ottenuto gli oggetti magici e la forza per riuscirci.

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to calmo e silenzioso/Ed ha tutto intorno un mantello/Di bel color rosso vermiglio./ Dite chi è quell’ometto/Che sta su un solo piede?/Il fungo nato con la camicia! L’agarico moscario!] _______________ Bibliografia

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gli Animali) che, interrogatala, riesce a sapere dove abita la nonna e come farsi aprire la porta. Immediatamente corre dalla nonna, se la mangia e prende il suo posto nel letto, attendendo Cappuccetto Rosso. Dopo una lunga camminata la protagonista arriva alla casetta disposta per il rito di iniziazione (la capanna della nonna) e, colà, la nonna (il lupo travestito) esige prima gli alimenti, preparati dai familiari della giovane e, dopo, prende dell’altro cibo da offrire in pasto al neofita. Il celebrante avverte che il cibo è formato da brandelli di un suo avo (orecchie, budella, denti, sangue della nonna) “Mentre mangiava vi era una gatta che diceva ‘Pua! Che schifo! Mangia la carne e il sangue di sua nonna9”. 9 “Pousse la porte, dit le bzou. Elle est barrée avec une paille mouillée. - Bonjour, ma grand, je vous apporte une époigne toute chaude et une boutellie de lait. - Mets-les dans l’arche, mon enfant. Prends de la viande qui est dedans et une bouteille de vin qui est sur la bassie. Suivant qu’elle mangeait, il y avait une petite chatte qui disait: Pue!... Salope!... qui mange la chair, qui boit le sang de sa grand.” P. Delarue, Le petit chaperon rouge, Bull. Folklorique de l’Ile de France, Parigi. Esistono, oltre a questa, cinque versioni francesi, in “ Mélusine”, III, 271 (Provence), 397 (Bretagne), 428 (Nièvre), VI, 237 (Indre); IX, 90 (Touraine), una tridentina (C. Schneller, Märchen und Sagen aus Wälschtirol Innsbruck 1867, n. 6, pp. 9-10. Una versione romagnola in Romagna, II, 1975, n. 2-3, p. 85 sgg. Raccolta da Anselmo Calvetti, una abruzzese, inedita ma registrata in Tradizioni orali non

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Cappuccetto Rosso inghiotte il proprio avo: l’Amanita muscaria. Il misfatto (sia pur involontario) giustifica, per contrappasso, l’inghiottimento del neofita nelle fauci del lupo (il Signore degli Animali, spirito protettore del clan dei cacciatori). I tormenti subiti e il fatto di restare immobile nell’antro oscuro (il corpo viene tagliato a pezzi, svuotato dai liquidi, la carne smembrata e separata dalle ossa) ottenebravano la conoscenza del neofita e contribuivano a fargli credere di essere morto e poi risuscitato (lo scheletro è ricoperto di carne e sangue fresco, ricomposto e pronto per ricevere nuovamente l’anima). Alla morte temporanea del neofita segue la sua resurrezione, dal simulacro del Signore degli Animali, per intervento del capo del clan, il cacciatore del bosco che taglia la pancia del lupo liberando Cappuccetto Rosso. Un’altra fiaba tedesca ricorda l’amanita muscaria con la quale vogliamo finire: Ein Männlein steht in Walde Ganz still und stumm. Er hat von lauter Purpur Ein Mäntlein um. Sag’wer mag das Männlein sein Das da steht auf einem Bein? Gluckpilz ! Fliegenpilz ! [Un ometto sta in piedi nel bosco/Del tutcantate, a cura di A. M. Cirese, L. Serafini, A. Milillo, Roma Min. Beni Culturali e Amb. 1975, p. 82, 333 AT, 1, ABR, 2, 30.

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‘Discorso sulla servitù volontaria’ Un testo del ‘500 che aiuta a riflettere sulla servitù volontaria nelle odierne democrazie - parte II Antonio Binni

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Descritto il fenomeno, per La Boétie, si tratta di «comprendere come è possibile che tanti uomini, tanti borghi, tante città, tante nazioni sopportino talvolta un tiranno solo»48. Secondo il Nostro, il fondamento e il sostegno della tirannide è dato dalla volontà del popolo di farsi servo, perché il potere del tiranno è solo quello che lo stesso popolo gli conferisce. Retoricamente, l’autore si chiede, infatti, «Da dove prenderebbe [il tiranno] i tanti occhi con cui vi spia, se non glieli forniste? Come farebbe ad avere tante mani per colpirvi, se non le prendesse da voi? Ha forse un potere su di voi che non sia il vostro?»49. La servitù, per La Boétie, si fonda sul consenso, sulla volontà di servire, che puó, perfino, trasformarsi in autentica voluttà. Al quesito sollevato viene, dunque, data una risposta radicale, fra i teorici della politica, assolutamente originale, particolarmente per l’implicazione che, dalla stessa, puó trarsi per inferenza. Infatti, se la tirannide è volontaria, per uscirne, è sufficiente una volontà di segno opposto: vale a dire un negato consenso. Sicchè, «non v’è neanche bisogno di combatterlo» [il tiranno]50. All’uopo, nell’ottica dell’autore, sarà sufficiente revocargli la volontà di obbedirgli in precedenza manifestatagli. Dunque, «un semplice atto di volontà»51, che non è un «strappargli alcunchè». Quanto, invece, «non dargli» più «nulla»52. La libertà, cosí, verrebbe da sé, perché i potenti, se «non gli si obbedisce affatto, senza combattere, senza colpirli, ecco che restano nudi e sconfitti, non sono più nulla, come rinsecca e muore il ramo che non riceve più linfa dalle radici»53. Per cui, conclusivamente, è possibile liberarsi dalla schiavitù solo a volerlo. Anche se i più «sembra quasi che rifiutino questo prezioso acquisto [i.e. la libertà] solo perché troppo agevole»54. 8— Più che il tradizionale tiranno, il vero, unico, reale, bersaglio di una critica cosí penetrante, e, ad un tempo, cosí devastante, è il potere nelle sue classiche forme di uno, di pochi, di molti. Viene rifiutata la monarchia, perché «è ben difficile credere che vi sia qualcosa di pubblico in quel governo in cui tutto è nelle mani di uno solo»55. Viene ugualmente ripudiata l’aristocrazia, perché «avere parecchi pa-

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droni significa essere parecchie volte vittime di una tale disgrazia»56. Viene, infine, ricusato il potere «ottenuto… dal popolo», perché chi ha avuto il potere, cosí «quando si vede innalzato al di sopra degli altri, lusingato da quel che si chiama la grandezza», tende «a rimanervi ben attaccato: generalmente costui si propone di trasmettere ai suoi figli la potenza che il popolo gli ha conferito. E dal momento in cui si sono formati questa opinione, è mostruoso vedere di quanto superino in ogni tipo di vizi, e anche in crudeltà gli altri tiranni»57, adusi come sono a trattare il popolo «come un toro da domare»58. L’unico potere riconosciuto finisce, pertanto, per essere quello che assicura uguale libertà a tutti. L’unica convivenza degna di essere realizzata, secondo Le Boétie, è, dunque, quella nella quale i cittadini si dividono fra loro, in misura uguale, i van-

taggi e gli svantaggi propri del vivere in comune, in quanto allo stesso consustanziali. Codesta condizione è, infatti, l’unica che, mentre elimina la sofferta paura del tiranno, solleva il cittadino dall’obbligo di darsi «da fare notte e giorno per piacere a qualcuno», temendolo «più di ogni altro al mondo»59. 9— Rispetto ai numerosi trattati dedicati al tema dai teorici della politica, quello, sia pure succintamente riferito, costituisce davvero un unicum. Pure perché sottolinea e rimarca, oltre al suo tradizionale profilo demoniaco, pure la dimensione, fascinosa e ammaliatrice, del potere, presentato come un autentico mistero: una sorta di incantesimo, quasi una magia nera, un’allettante vis actractiva, non riuscendosi altrimenti a comprendere come i popoli tiranneggiati possano rimane47


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re «incantati e affascinati dal solo nome di uno, di cui non dovrebbero né temere la potenza, poiché egli è solo, nè amare le qualità, poiché nei riguardi di tutti … è disumano e feroce60. Il che, mentre introduce il tema del carisma del leader, tema tanto indagato nell’epoca nostra, rende, ad un tempo, palese la distanza fra il pensiero di La Boétie e quello, per limitarsi ad un esempio sicuramente fra i più significativi, di Machiavelli. 10 — A dar credito alle parole di Montaigne – … ma come disattenderle? – l’opera altro non era che una innocua esercitazione letteraria giovanile del suo autore, che non rappresentava una minaccia per nessuno. Eppure, appena dieci anni dopo la morte di La Boétie, come già ricordato, la pubblicistica del tempo strumentalizzó l’opera ai fini della lotta contro il monarca francese e, ancor prima, avverso il potere assoluto di presunta origine divina, a favore di un repubblicanesimo nutrito di ascetismo. Un’identica lettura del Discorso è stata poi ripresa e riproposta nell’ambito della tradizione liberale e radicale del secondo Ottocento e Novecento: secoli nei quali il saggio ha conosciuto una nuova fortuna. Ad esempio, durante la 48

seconda guerra mondiale, l’opera apparve, infatti, in America, con il titolo AntiDictator. Il saggio, ancora, si è soprattutto affermato come il più accreditato testo di riferimento del movimento anarchico e, più in generale, di tutti coloro che sostengono che, per liberarsi dal giogo della tirannide, non si deve far altro che smettere di cooperare. Anche rifiutandosi, in massa, di andare a votare. Come ha ipotizzato lo scrittore Saramago, nel suo noto romanzo, Saggio sulla lucidità61. Né è mancato chi, in quella pacifica disobbedienza civile, ha colto addirittura l’antica matrice del principio, tutto gandhiano, di non violenza, intesa come resistenza passiva. Proprio ai giorni nostri, il Discorso è stato poi62 riproposto come un «viatico straordinario per pensare la servitù volontaria nelle odierne democrazie»63. Dove l’esca della servitù non è più costituita, come ricorda La Boétie, da gladiatori, bestie feroci e consimili droghe, bensí dai media televisivi, che, oltre alla disinformazione, sono capaci di ammannire soltanto «trasmissioni di evasione»64. Anch’esse strumento della tirannide, perché «In tal modo i popoli istupiditi, invaghiti da tali passatempi, divertiti da un vano piacere

che abbaglia la loro vista» si abituano «a servire pedissequamente»65. L’importanza di leggere la Servitù volontaria in termini di attualità politica, secondo Flores D’Archais, deriverebbe poi dal suo carattere militante, proprio perché quel testo conterrebbe il fermo invito a realizzare la migliore convivenza civile, per essere, quest’ultima, nell’ottica sostenuta da La Boétie, caratterizzata da un potere, anziché «diviso», «condiviso». O, per dirla altrimenti, una convivenza in cui «ciascuno sa che parteciperà in maniera eguale agli svantaggi della sconfitta o ai vantaggi della vittoria»66. Da questo profilo, l’opera di La Boétie viene considerata come un «classico» proprio perché, come ogni autentica opera di tale caratura, «travalicando le epoche», aiuta «a pensare il presente»67 e, al postutto, a forgiarlo. Nel presente, si assiste, infatti, purtroppo, troppo spesso, alla presenza del servo sciocco, che, oltre ad obbedire, si compiace pure di assecondare i desiderata del potere di turno, perfino, anticipandoli. Rimane, tuttavia, a chiedersi se questa ri-lettura «sotto la specie dell’attualità militante»68, sia realmente condivisibile. Il che, a sommesso, ma ponderato giudizio di chi scrive, sembra, invece, un’autentica forzatura. Più che una “chiamata alle armi”, infatti, il Discorso, vuole essere, al contrario, uno studio accurato, profondo, ma del tutto asettico, sul potere e sulle sue innervate potenziali deviazioni. Con tutte le sue inevitabili conseguenze. In fondo, anche Erasmo da Rotterdam – cito a memoria – guardava, con compassione, ai «prìncipi», definiti sfortunati, perché «non hanno nessuno che dica loro la verità», costretti ad avere per «amici degli adulatori», capaci solo di complimenti inutili. Se, come poi si sostiene, sono i sentimenti – e non la ragione – a guidare la Storia, non puó neppure meravigliare l’effetto nefasto del carisma che qualsiasi autentico leader ha sulle masse, posto che il carisma, per definizione, è fonte di fiducia irrazionale, ossia, niente di diverso dalla fede. Né puó stupire la paura del complotto, che ossessiona chi detiene il potere. Questi, facendo del male a tutti, è, infatti, costretto ad avere paura di ognuno. In sintesi, una analisi in vitro del potere, in tutte le sue pieghe e sfaccettature, che rinviene il suo principale architrave nel numero esiguo di spiriti liberi, che in-


vece di industriarsi per cambiare le cose, preferiscono, all’opposto, vivere isolati, chiusi nei loro sogni. Concordiamo, perció, con la Bakewell quando scrive: «Se fosse vissuto abbastanza a lungo per vedere l’uso che fu fatto della sua opera, [La Boétie] ne sarebbe rimasto inorridito»69. Anche perché – ma questo la Bakewell non lo ricorda – nel suo unico importante scritto successivo70, La Boétie, in antitesi alla letteratura politica inclinante al radicalismo, su premesse cattoliche, ha invece elaborato un programma di moderato riformismo. Rimane, in ogni caso,

indiscutibile che la vita – intensa – avuta dalla “Servitù volontaria” costituisce un caso letterario oltremodo interessante. Non fosse altro perché, cosí, La Boétie viene ricordato per quello che ha scritto, e non anche, invece, per il solo fatto di essere stato amico di Montaigne. 11 — Il Discorso sulla servitù volontaria, al di là dell’indubbia importanza che riveste nell’ambito della scienza politica, ammesso che si possa parlare di scienza, anziché di arte della politica ‑ come, sommessamente, pare più proprio ‑ ha attirato la nostra attenzione, perché sorretto dal culto, vivo e profondo, di principi, che ci sono cari a tal segno da essere, per chi scrive, perfino irrinunciabili. L’intera opera di La Boétie si impernia, infat-

ti, sui valori della libertà, dell’uguaglianza, della fratellanza e della solidarietà. La natura crea gli uomini tutti liberi, «fatti tutti di una medesima forma, e come sembra, col medesimo calco»71. La vita «in cattività è piuttosto un languire che vivere»72, perché «quando» la libertà «viene perduta si produce ogni male»73. Liberi, «poiché siamo tutti uguali; e a nessuno puó saltare in mente che la natura, che ci ha fatto tutti uguali, abbia reso qualcuno servo»74. Ma, proprio perché liberi e uguali, pure inevitabilmente tali da riconoscersi «scambievolmente tutti come compagni o meglio

fratelli»75. Che se poi, «nella distribuzione dei suoi doni», la natura «ha avvantaggiato nel corpo e nello spirito gli uni piuttosto che gli altri, tuttavia non ha inteso metterci in questo mondo come in un campo di battaglia, e non ha mandato quaggiù i più forti e i più abili come briganti armati in una foresta per prevaricare i più deboli, ma bisogna invece pensare che distribuendo ad alcuni di più ad altri di meno, essa [natura] volesse dare spazio all’affetto fraterno e mettere gli uomini in grado di praticarlo avendo gli uni capacità di offrire aiuto, gli altri bisogno di riceverlo»76. 12 — Libertà, uguaglianza, fratellanza, umana solidarietà: parole che brillano nella coscienza dei liberi muratori che, proprio nella loro irrinunciabile libertà etica, rin-

vengono anche la volontà e la forza di difendere quei valori che, giunti fino a noi da una fulgida Tradizione, vanno, con nuovi apporti originali, storicizzati, per renderli sempre più vivi e sempre più attuali. Leggendo il Discorso, abbiamo av-

Letteratura vertito giungere fino a noi un’eco - lontana - di idee e di convincimenti che ci appartengono nel profondo. Essenzialmente per questo, abbiamo desiderato, e voluto, rammemorare, in questa “Rivista”, e l’autore, e la sua opera più significativa. _______________ Note: 48 Discorso nella edizione cit., pag. 4. 49 Ivi, pag. 13. 50 Ivi, pag. 10. 51 Ivi, pag. 10. 52 Ivi pag. 10. 53 Ivi, pag. 11. 54 Ivi, pag. 12. 55 Ivi, pag. 4. 56 Ivi, pag. 4. 57 Ivi, pag. 19. 58 Ivi, pag. 20. 59 Ivi, pag. 55. 60 Ivi, pag. 5. 61 Edito in Italia, da Einaudi, 2004. 62 da Paolo Flores d’Archais, nel saggio «Perché oggi», premesso alla pubblicazione del Discorso edito da Chiarelettere supra ricordato. La versione integrale del saggio è apparsa su MicroMega n. 4 del giugno 2011. 63 Ivi, pag. VII. 64 Ivi, pag. XXII. 65 Discorso, loc. cit. pag. 36. 66 «Perché oggi» cit, pag. XIII. 67 Ivi, pag. I. 68 Ivi, pag. I. 69 Biografia cit., pag. 111. 70 La Relazione sull’editto del gennaio 1562, pubblicata, peró, solo nel 1922. 71 Discorso, loc. cit., pag. 15. 72 Ivi, loc. cit., pag. 17. 73 Ivi, loc. cit., pag. 12. 74 Ivi, loc. cit., pag. 16. 75 Ivi, loc. cit., pag. 15. 76 Discorso cit. loc. cit., pag. 15. P.46: Bordeaux, ritratto marmoreo di Montaigne; p.47: Frontespizio della Servitude; p.48: Parigi, dintorni della Sorbonne; la statua di Montaigne ha il piede consunto dagli studenti che lo toccano per favorire il buon esito degli esami universitari; p.49: La citta di Bordeaux, stampa colorata a mano, sec. XVII, collez. priv.

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Jean Louis Annecy 1803, un haitiano a Portoferraio. Isabella Zolfino

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Portoferraio, nel 1803, Ufficiali francesi di stanza nell’Isola durante l’occupazione e prima ancora che Napoleone potesse sospettare che un giorno l’Elba sarebbe diventata sede del suo esilio, fondarono una Loggia massonica, la Les Amis de l’Honneur Français. Questa presenza latomistica è documentata dai Verbali di Loggia, custoditi in originale nella Biblioteca Comunale di Portoferraio, Sezione Manoscritti, catalogati sotto la dicitura Verbali delle riunioni della Loggia Massonica di Portoferraio - 2 giugno 1803 - 19 luglio 1805. Il preziosissimo documento, rigorosamente in francese, registra le Tornate a partire dalla data di fondazione della Loggia, 2 Messidoro anno 11 (21 giugno 1803 o meglio, 2° giorno del IV° mese dell’anno 5803 di Vera Luce) fino al 19° giorno del V° mese dell’anno 5805 di Vera Luce (7 agosto 1805). Il lavoro, quasi mistico, di traduzione del manoscritto, è stato lungo e non privo di difficoltà. Era chiaro fin da subito che la realtà che via via prendeva corpo da quelle pagine era in grado di risucchiare al suo interno chiunque vi si accostasse: era come fare un viaggio nel tempo e riviverlo come se fosse il presente. Scorrendo le pagine, i nomi dei confratelli assumevano consistenza reale dando al lettore la sensazione di potere incontrare nelle vecchie vie del centro storico le persone menzionate e spingerlo a cercare, inconsapevolmente, i luoghi in grado di suggerire una possibile e ipotetica sede degli incontri o qualunque cosa attinente a essi. La vita di Loggia, le difficoltà per il reperimento dei locali, i problemi finanziari.., niente di diverso dalla realtà che viviamo ancora oggi nelle nostre Officine. Questi nostri Fratelli avevano vissuto a Portoferraio, si erano rapportati con gli abitanti, avevano avuto una qualche influenza e giocato un ruolo importante nella realtà del momento: era impossibile che non avessero lasciato qualche traccia del loro passaggio. Era necessario perciò trovare ogni possibile informazione biografica per sapere di più del semplice fatto che questi uomini appartenevano alle truppe francesi. Fra i fondatori della Loggia c’erano personaggi di notevole importanza storica: Pierre Joseph Briot, Commissario di Guerra; il colonnello Leo-

Amis de la Perfaite Union all’Oriente di Livorno e trasferitosi poi all’Isola d’Elba nella scia dei Giacobini esiliati nel 1799. Si può continuare menzionando anche il generale Etienne Radet, incaricato da Napoleone della riorganizzazione della Gendarmeria e diventato poi famo-

Massonica

Era chiaro fin da subito che la realtà che via via prendeva corpo da quelle pagine era in grado di risucchiare al suo interno chiunque vi si accostasse: era come fare un viaggio nel tempo e riviverlo come se fosse il presente. pold Sigisbert Hugo, padre del celebre Victor; Vincent Vantini, allora sindaco di Portoferraio e Cristino Lapi, entrambi elbani e appartenenti a importanti famiglie locali e dei quali esistono tracce ben documentate. Allo stesso modo si sa quasi tutto di molti altri appartenenti alla storica Loggia: Jean Baptiste Galeazzini, corso chiamato a sostituire nel governo dell’isola il succitato Briot alla fine del 1803 oppure il Comandante Mariotti, arrivato all’Elba con le prime truppe francesi provenienti dalla Corsica, o ancora Francois Morenas, avignonese, già Venerabile della Loggia Francese Les

so, insieme a Miollis, per la rimozione del Papa Pio VII nel 1809; ma altri nomi sembravano appartenere ad illustri sconosciuti. A questa schiera apparteneva certamente il nome di Jean Louis Annecy, cofondatore della Loggia insieme a Briot e a Hugo, ma del quale sembrava non esistere alcuna notizia o riferimento storico: un fantasma. Le uniche informazioni disponibili si potevano estrapolare dai verbali di Loggia: Annecy aveva il titolo di Sovrano Principe Rosa+Croce e ricopriva, di volta in volta, importanti cariche; inoltre, scorrendo i nomi riportati nel Tableau di Loggia, si apprendeva che, nella vita profana, era Chef de Bataillion, quindi un militare. Per il resto nient’altro. Non una traccia, non un indizio, niente sulla sua provenienza. La caccia su più fronti dette alla fine qualche risultato: Su La France et la première abolition de l’esclavage: 1794-1802 di Claude Wanquet si trova: “Da Pratile a Brumaio anno VII le Colonie non furono dunque più ufficialmente rappresentate nei Consigli che per 4 Anziani eletti dal Nord Santo Domingo, il cui mandato non era ancora scaduto: Tonnelier e Annecy al Consiglio degli Anziani, Mentor e Leborgne al Consiglio dei Cinquecento. Nel 1799 questi eletti o Anziani eletti di Santo Domingo hanno continuato a promuovere attivamente la causa abolizionista. Laveaux, di cui Annecy era segretario, il 16 Pluviôse anno VII (4 febbraio 1799) pronuncia, in qualità di presidente degli Anziani, un discorso per commemorare la “Loi d’Abolition”. E poi: “Nel mese di Pluviose anno VII, simbolicamente, quando Jean-Louis Annecy era segretario del Consiglio degli Anziani, fu fatto un discorso per celebrare l’anniversario della delibera del 16 Pluviose anno II che sanciva l’aboli51


zione della schiavitù nelle colonie francesi. Oltre che una dichiarazione per l’integrazione totale delle colonie nella Repubblica era anche un elogio sonoro di Toussant Louverture” (da The Abolitions of Slavery: From L.F. Sonthonax to Victor Schloelcher, 1793, 1794, 1798 di

Ricerca M. Dorigny). Era sconcertante! Il nome di Annecy era legato ad argomenti come Santo Domingo, Consiglio degli Anziani, Loi d’Abolition, Toussaint Louverture e, di conseguenza, discriminazione razziale, schiavitù, gente di colore, Antille e chissà a cos’altro. Come era possibile che ci fosse un legame fra Annecy e tutto que-

sto? Improvvisamente, un particolare che durante il lavoro di traduzione dei Verbali della Les Amis de l’Honneur Français aveva destato solo superficialmente la mia curiosità si fece prepotentemente strada nella mia mente: nel Verbale del 29° giorno del IV° mese dell’Anno 5804 di vera Luce veniva riportato che la Loggia aveva ricevuto un visitatore che aveva chiesto poi di essere affiliato, tale Fratello S. Martin, Maestro e Membro della Rispettabile Loggia des Amis de la Parfaite Egalité all’Oriente di Port de Paix (Isola di Santo Domingo), Maggiore al 20° Reggimento di Fanteria di Linea. La cosa, vista l’enor52

me distanza fra l’Isola d’Elba e i Caraibi, mi aveva colpito ma, in quel momento, avevo ritenuto non fosse molto importante e non era il caso di saperne di più. Ora, invece, vedevo il possibile collegamento: in quel tempo, la Francia, nella sua politica espansionista, si era spinta fino a raggiungere terre lontane; possedeva, infatti, diverse colonie e, tra queste, particolarmente importanti erano i possedimenti nelle Antille, cioè le isole della Martinica e della Guadalupa e soprattutto Santo Domingo. In quest’ultima sembra che si svolgessero i due terzi circa dei traffici marittimi francesi. Era considerata, infatti, la più ricca colonia dell’epoca. Alla vigilia della Rivoluzione francese l’isola contava infatti 793 piantagioni

di zucchero, 3.117 di caffè, 789 di cotone, 182 distillerie di rhum. Il valore delle sue esportazioni superava i 140.000.000 di dollari e le sue piantagioni fornivano il 75% della domanda mondiale di caffè ed il 60% di quella di zucchero. All’interno delle colonie francesi c’erano 40.000 bianchi, 452.000 negri in stato di schiavitù, 28.000 mulatti; la stratificazione sociale e razziale seguiva questo schema: al vertice stava il gruppo dei planteurs, i proprietari bianchi delle piantagioni; poi bianchi poveri (petits blancs), appartenenti alla classe mediobassa; meticci (gens de coleur). Figli o discendenti di proprietari bianchi e del-

le loro schiave, erano di solito superiori ai petits blancs in ricchezza e istruzione; subivano, però, una serie di discriminazioni come esclusione dalle cariche pubbliche e da alcune professioni; un ristretto numero di ex schiavi neri che avevano a vario titolo ottenuto la libertà; infine la stragrande maggioranza della popolazione nera, in condizioni durissime di schiavitù. La Rivoluzione Francese aveva abolito la discriminazione razziale e la schiavitù nelle colonie rispettivamente il 28 marzo del 1792 e il 4 febbraio del 1794, come conseguenza della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino ma interessi consolidati ed influenti finirono per prevalere di nuovo durante il consolato di Napoleone (10 maggio 1802) con il ripristino della schiavitù. A conti fatti, e dopo opportune considerazioni, cominciò a prendere corpo la probabilità che l’Annecy presente a Portoferraio nell’epoca dei “nostri verbali” potesse avere un qualche legame con il mondo delle Colonie appena scoperto ma sorgeva immediatamente una domanda: che cosa poteva essere mai successo perché un individuo appartenente ad una terra così lontana potesse ritrovarsi, nel giugno 1803, a Portoferraio a fondare, insieme ad altri ufficiali francesi, una Loggia Massonica? Quali vie poteva aver seguito il destino? Scoprii così che Annecy era nato schiavo, a Santo Domingo e battezzato come “Jean-Louis”. Nel suo atto di affrancamento era riportato che era un negro creolo di proprietà di un certo Pierre-Antoine, nero affrancato della città di Le Cap che serviva come furiere nella compagnia dei “neri liberi” della città; l’atto di affrancamento portava la data del 3 maggio 1783 e precisava che il suo padrone aveva affrancato Jean-Louis per ricompensarlo dei buoni servizi che gli aveva reso in cambio della somma di trecento lire. L’atto faceva menzione anche dell’età di Jean Louis: 40 anni il che lo avrebbe fatto nascere verso il 1743. Tutto fa supporre che sia stato proprio Pierre-Antoine, portandosi dietro il proprio domestico come aiutante di campo, ad arruolarlo nella Compagnia di Le Cap durante la guerra d’America. In seguito all’affrancamento Jean Louis prese il nome di


NOM, PRENOM

AGE

EMPLOI ACTUEL

GRADE, CARRIERE

RESIDENCE

NOTES

annecy jean louis

49

hors de service

ex rapresentant du peuple

secours: 40/f mois

chef de bataillon

ile d’elbe

asthmatique

desruisseaux pierre louis

46

terrassement

chef d’escadron gendarmerie de

secours: 40/f mois

port-au-prince

tinguè pierre louis

54 29

hors de service

capitaine nommè par toussaint

ile d’elbe

ex proprietaire a saint domingue

ile d’elbe

boncour joseph

ile d’elbe

Massonica

officier nommè par toussaint lasalle jean baptiste

49

hors de service

chef de bataillion dans la garde

ile d’elbe

nationale de leogane salbrousse jean baptiste

43

azor jean baptiste

24

lesperance jean charles

47

hors de service

ladouceur jean francois

30

peintre

cesar joseph

44

hors de service

dienne jean louis

48

hors de service

conflans pierre

58

hors de service

pierre antoine

56

hors de service

medor nicolas

30

hors de service

ausai colin

25

hors de service

basile

40

hors de service

hors de service

capitaine dans la garde nationale de leogane

cousinier à l’hopital

leutenant dans la garde natio-

militaire

nale de leogane

Annecy, ottenne il grado di capitano al 1° reggimento delle truppe franche della città, acquistò alcuni terreni nei dintorni e, nel mese di Nivose anno IV (dicembre1795), si sposò stabilendosi a Le Cap. A differenza dei figli delle famiglie nobili per i quali la carriera militare poteva essere una vocazione, per i cittadini neri delle Antille, questa carriera rappresentava sicuramente l’unico strumento di emancipazione sociale. E fu così infatti. Annecy, schiavo nero affrancato, e quindi uomo libero, progredì nella carriera militare e diventò Chef de Bataillon servendo sotto l’esercito. Con questo

capitaine dans la garde nationale de benet

ile d’elbe ile d’elbe ile d’elbe ile d’elbe

capitaine dans la garde nationale de port au prince chef de brigade 8eme regiment de ligne chef de bataillon dans la garde nationale de benet capitaine dans la garde nationale de leogane leutenant dans la garde nationale de leogane leutenant dans la garde nationale de benet capitaine dans la gendarmerie de leogane

mezzo riuscì a diventare un proprietario terriero e ad acquisire una certa notorietà e uno status sociale invidiabile diventando parte della classe dirigente. Non smise comunque di frequentare il suo vecchio superiore gerarchico Pierre-Antoine vicino, durante la Rivoluzione, ai deputati neri Jean Baptiste Belley e Pierre Boisson, altri Neri liberi proprietari terrieri e militari. Annecy stesso venne eletto, nel mese di Germinal dell’anno V della Repubblica (1797), come Rappresentante del Popolo per Santo Domingo al Consiglio degli Anziani a Parigi al fianco di Laveaux. Purtroppo,

ile d’elbe ile d’elbe ile d’elbe ile d’elbe ile d’elbe

estropiè à la main et à la jambe

ile d’elbe ile d’elbe

blessè au bras gauche

dopo il Colpo di Stato del 18 Brumaio, il “nostro amico” viene escluso dalla rappresentazione nazionale e fa ritorno a Le Cap, dove aveva le sue proprietà. Al momento della spedizione del generale Leclerc, nel febbraio del 1802, Annecy si schiera contro la Francia appoggiando Toussaint Louverture; in conseguenza di ciò, viene deportato in Francia insieme a questo ultimo, addirittura sulla stessa nave, la Heroes. E, mentre Toussaint Louverture, una volta sbarcati a Brest il 12 luglio 1802, veniva mandato a morire di freddo e di stenti a Fort de Joux nel Giura passando per Parigi, An53


necy, via Tolone, proseguiva verso i penitenziari della Corsica con numerosi altri detenuti haitiani destinato a partecipare ai lavori di costruzione delle strade nell’isola. Ma da qui, facendo valere il suo status di ex-legislatore, ebbe la possibilità di essere trasferito all’Isola d’Elba

Ricerca con un trattamento mensile di 40 franchi insieme a numerosi altri deportati delle Colonie [v. tabella lista nominativa degli uomini di colore deportati all’Elba]. Questa lista, che rappresenta un estratto di una ben più lunga di 148 deportati fra Corsica e Elba, riporta anche l’età dei singoli soggetti al momento della deportazione e alcune note sul loro stato di salute; questi detenuti “elbani” erano per la maggior parte in età, malati o infermi e di Annecy si riporta che ha 49 anni e che è asmatico. Oltre all’età e allo stato fisico, il gruppo mostrava anche una forte omogeneità essendo formato, per la maggior parte, da Ufficiali della Guardia Nazionale. All’Elba vengono comunque sistemati in una residenza sorvegliata, eufemismo per indicare,

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come afferma il 26 dicembre 1807 Dejean, Ministro designato all’Amministrazione della Guerra, che esisteva all’Isola d’Elba un depot de negres deportati da Santo Domingo. Dai documenti presenti nell’Archivio Storico Comunale di Portoferraio si ha infatti la conferma della presenza di un Bagno Penale in Portoferraio nel quale erano ospitati detenuti sia bianchi che di colore. Come si può notare da questa Tabella, che riporta la data del 13 Frimaio anno 11 (4 dicembre 1802), viene fatta una netta distinzione fra forzati e v, quasi a distinguere questi ultimi dai forzati comuni o come se fossero non forzati. Questa differenziazione viene mantenuta anche per quanto riguarda le richieste concernenti il vestiario in dotazione ai detenuti. I documenti riguardanti il Bagno Penale di Portoferraio riferiti agli anni 18021803 danno molte indicazioni sullo stato dei detenuti, il loro abbigliamento, le condizioni di salute e le richieste per il miglioramento del trattamento carcerario. In effetti, gli individui deportati in Cor-

sica (e di conseguenza all’Elba), colpevoli di aver aderito alla Costituzione di Santo Domingo, non erano considerati forzati in senso stretto. Sono raggruppati in compagnies d’ouvriers, vengono impegnati nei lavori di sterro e ricevono un compenso, nutrimento, cure, abbigliamento e hanno anche la possibilità di prendere moglie. Una precisazione va fatta riguardo all’età del “nostro deportato”: se prendiamo per buono che al momento della deportazione Annecy avesse 49 anni, come risulta dalla tabella, possiamo ipotizzare che il suo anno di nascita fosse il 1753 e non il 1743 come affermato da Dorigny e Gainot in la Société des Amis des Noirs et des colonies, 1788 – 1799 e come dedotto dal suo atto di affrancamento dalla schiavitù redatto sicuramente in modo superficiale; questi 10 anni di differenza sulla data di nascita non vanno comunque minimamente in conflitto con la possibilità che Annecy potesse partecipare al Consiglio degli Anziani i cui membri dovevano avere, fra i vari requisiti, un’età di circa 40 anni. Comunque, alla fine di agosto del 1802, il nostro Annecy è già all’Elba ospite del


Massonica

Bagno Penale e si suppone con una certa libertà di movimento visto che, a pochi mesi dal suo arrivo, può anche partecipare con altri militari francesi alla edificazione di un Tempio massonico in Portoferraio. Non conosciamo i meccanismi che l’hanno portato all’incontro con i confratelli presenti all’Elba e alla decisione di partecipare con essi alla fondazione del Tempio; immaginiamo che possa aver giocato un ruolo decisivo l’ incontro a Parigi con Briot, a quel tempo membro del Consiglio dei Cinquecento. Non si può negare che Annecy, già prima della data della sua deportazione all’Elba, appartenesse alla storica Istituzione come dimostra l’esibizione del titolo di Principe Rosa+Croce fin dalla prima riunione di Loggia e la sua amicizia con Toussaint Louverture la cui firma autografa, quella che appare sul Tableau della Loggia La Reunion Desireé all’Oriente di Port-au-Prince nel 1799, attesta anche per quest’ultimo, l’appartenenza alla Massoneria. Nell’isola di Haiti e specialmente a Santo Domingo esistevano molte Logge massoniche,

pare ce ne fossero 23 regolari e 4 irregolari, sicuramente fondate dai militari francesi di stanza nell’isola, delle quali più della metà erano di Rito Scozzese tradizionale e avevano la loro Loggia Madre a Bordeaux, A queste Logge appartenevano molti nomi importanti sia di uomini bianchi che di colore. Va aggiunto inoltre che, nel 1772 era arrivato a Santo Domingo Martinez di Pasqually che aveva costituito a Port-au-Prince un “Sovrano Tribunale”, portando nel continente americano l’esoterismo misticooccultistico degli Eletti Cohen, elemento di cui bisogna tenere conto data l’importanza attuale in Haiti della Rosa+Croce e, in generale, della Massoneria degli alti gradi. L’appartenenza di Annecy alla Loggia Les Amis de l’Honneur Français continua anche dopo la data dell’ultimo verbale disponibile a Portoferraio: il nome di Annecy compare nella Lista degli Eleggibili a Venerabile come prova la lettera inviata a Galeazzini il 13° giorno del IX° mese dell’anno 5806 (13 novembre 1806) firmata dallo stesso Annecy in qualità di Secondo Sorvegliante e da

Morenas come Segretario. In la Société des Amis des Noirs et des colonies, 1788 – 1799 viene affermato che Annecy è, verosimilmente, morto all’Isola d’Elba nel 1807 ma, da un verbale di polizia inerente un interrogatorio effettuato in data 1 luglio 1818 ad un certo Barsotti di Piombino si legge quanto segue: “Premetto che pare a Piombino esistesse una società segreta fondata da certo Annecy, moro, venuto dall’America e morto da poco tempo. Mi è noto dire Barsotti che certo Bayer, impiegato in Firenze, aveva corrispondenza con Annecy, ma non so l’oggetto di questa corrispondenza. Siccome dubitò che gli fossero mancate delle lettere dalla posta, scrisse a Bayer che facesse l’indirizzo a me, ma non ne ho ricevuta alcuna perché poco dopo morì. In Piombino, Annecy non aveva relazione che col Console di Francia: in Portoferraio aveva un amico che sta alla casa di ... per nome Bourgeois, il quale mi fece conoscere cinque sei mesi fa passando da Portoferraio per andare a Livorno, ed offrì, a detto Annecy d’im55


Ricerca

piegarlo al suo magazzino in Livorno medesimo. Non mi sono note altre amicizie particolari e relazioni tanto in Portoferraio quanto altrove. Era poi conosciuto da tutti per il molto tempo che vi aveva abitato. Mi rammento di aver sentito dire in tempo del cessato Governo che nella casa di Mr. A.Chasse, tenente d’artiglieria, si adunassero i liberi Muratori”. Tanto Annecy, quanto Dussan, fa56

cevano parte dei liberi Muratori esistenti a Piombino. E ancora: “Copia d’articolo di lettera confidenziale del segretario Goretti ... Fu stabilita in Piombino sotto il cessato Governo una società di liberi Muratori; ed era questa composta di alcuni paesani, ma più che altro di militari ed impiegati. Sul finire del 1818 si sciolse, attesi gli avvenimenti politici, ma si vuole che qualche segreta adunanza sia sta-

ta tenuta posteriormente da coloro che vi rimasero, presieduta da certo Annecy, moro, e che vi siano stati iscritti alcuni uffiziali toscani facienti parte della guarnigione di recente cambiata ... si è dubitato che l’oggetto di detta società mirasse ad una cospirazione politica, ma per le indagini fatte in proposito, nulla di concludente è stato raccolto onde confermarsi nel dubbio, talchè vi è luogo a cre-


Massonica

dere che abbia ritenuto l’indole della sua prima istituzione massonica. Dei facienti parte di detta setta Dussan è un uomo destro e di molta esperienza, Barsotti è un idiota ed ha sempre prestato un aiuto cooperativo alle vedute del morto Annecy e degli altri corrispondenti”. Secondo queste carte Annecy è morto ma non da moltissimo tempo ed è ancora vivo qualche mese prima del 1° luglio 1818 (avrebbe avuto circa 65 anni); inoltre dal testo dell’interrogatorio di questo Barsotti di Piombino, si può estrapolare una non trascurabile possibilità che Annecy possa essersi trasferito a Livorno presso persone in grado di aiutarlo impiegandolo in un certo magazzino. A Livorno, in quel tempo, esistevano molte Logge massoniche, sia di scuola inglese che francese a cui Annecy avrebbe potuto aderire. C’era infatti la Loggia S.Jean La Solitaire, fondata nel 1766, la Les Amis de la Perfaite Union, fonda-

ta nel 1796 e Loggia madre di François Morenas, cofondatore e Venerabile della Les Amis de l’Honneur Français (1803), la Scuola de’ Murzi (1806) e la Napoleon del 1808. Quest’ultima, a causa delle note vicende antinapoleoniche di Annecy, ci sentiamo in dovere di poterla escludere. Su quale possa essere il luogo della sua morte non possiamo che fare congetture in quanto non abbiamo notizie che ci possano aiutare. Potrebbe essere l’Elba, come affermano Dorigny e Gainot, potrebbe essere Livorno, come potrebbe suggerire il testo dell’interrogatorio a Barsotti ma di sicuro non c’è niente. Il nostro Annecy scompare perdendosi nelle nebbie del tempo. Dove sia morto non ha importanza, è importante, invece, che sia vissuto. Quest’uomo, insieme ai suoi confratelli, ha lasciato un segno indelebile del suo passaggio: era un momento storico molto particolare. Portoferraio, in quegli anni, era un cro-

giolo di idee liberali, abbondava di personaggi che hanno poi cambiato il corso degli eventi futuri. Le idee di libertà, di uguaglianza (non dimentichiamo che Annecy è un uomo di colore...) il contributo delle esperienze maturate nei propri mondi di origine hanno plasmato e influenzato tutti quelli con i quali sono venuti in contatto. Questa Loggia era formata quindi non da rudi soldatacci appartenenti a truppe di occupazione ma da spiriti liberi portatori di ideali di libertà in grado di germogliare nelle coscienze ormai mature e pronte a cambiare la Storia. Questo germoglio sarebbe poi sbocciato negli ideali patriottici che hanno contribuito ai moti del Risorgimento e, perché no, dell’unità d’Italia. P.50: Antiche carte nautiche; p.47: Ritratto di J.L.Annecy; p.52-53: Manoscritto dell’Elba (vd. testo); p.54: Carta di Santo Domingo, sec. XVIII; p.55: Napoleone a Portoferraio, olio su tela di Leo von Klenze, inizi sec. XIX, collez. priv.; p.56-57: carte nautiche del mar Tirreno, sec. XVIII.

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Scienza

Il dualismo e le equazioni differenziali di Laplace Michele Angiuli

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Scienza

N

el trattare questa esposizione è opportuno discutere innanzi tutto del simbolismo nel Tempio Massonico. Tutti noi sappiamo come ogni oggetto, ogni strumento ivi presente abbia una sua valenza prevalentemente simbolica; valenza che inoltre si manifesta su strati (veli) sempre più profondi e sta a noi scoprirli e svelarli, pur sapendo tuttavia che non ci è dato di arrivare ad una verità finale ed assoluta (esiste sempre un ulteriore velo da togliere). Siamo sempre rimasti colpiti, lo siamo tuttora e lo saremo sempre ogni qualvolta, entrando nel Tempio, incontriamo il Pavimento a Scacchi, bianco e nero. Esso sta a ricordarci costantemente l’intimità, il collegamento ed il compenetrarsi tra il bene ed il male, tra il giusto e l’ingiusto, tra il buono ed il cattivo, ma anche il nostro continuo passarvi sopra in maniera del tutto casuale: ora siamo sulla mattonella bianca ed un attimo successivo siamo su quella nera. Nel proseguire il nostro cammino iniziatico incominciamo ad elevarci passando prima tra le colonne di settentrione e poi in quelle di meridione (poste alcuni gradini più in alto rispetto al pavimento a scacchi) e poi verso l’alto, verso il cielo stellato che però non raggiungeremo mai. Quanto più ci eleviamo tanto più guarderemo il pavimento a scacchi dall’alto e tanto più, dall’alto, questo ci apparirà di un unico anonimo colore uniforme:

grigio, senza più distinzione alcuna tra il bene ed il male. Questo concetto lo ritroviamo anche in altre culture ed in alcune religioni ed è noto con il nome di “yin e yang”. Esso partì dalla religione induista e si diffuse successivamente sia in quella buddista che in quella taoista. A differenza del Pavimento a Scacchi il concetto “yin e yang” introduce una ulteriore dimensione: il tempo. Infatti il bianco ed il nero in questo caso si inseguono, si compenetrano appunto per dimostrare l’estrema vicinanza e commistione tra il bene ed il male. In aggiunta, all’interno della parte nera più estesa è presente un punto bianco e viceversa; ciò sta a ricordare che proprio all’interno del male cova il bene e proprio all’interno del bene cova il male. Quanto ora detto per il binomio bene-male vale anche per il giusto-ingiusto e qualsiasi coppia di contrari (in apparenza contrari); lo stesso ovviamente può anche riportarsi nella vita materiale nell’avvicendarsi dei periodi positivi e negativi. Questa cultura induista-taoista ha fatto sì che le popolazioni orientali siano più capaci, rispetto a quelle occidentali, nell’accettare e sopportare epoche storiche negative e contestualmente siano meno galvanizzate dall’incontrare periodi positivi; sanno bene che proprio nel momento più positivo bisogna prepararsi ad accettare epoche oscure e vicever-

sa. Nel mondo orientale si è soliti ruotare velocemente questo simbolo attorno al proprio asse verticale e perpendicolare al piano del disegno (a mo’ di ombrello), il quale così facendo assume, anche esso, un unico colore grigio. Con l’evolvere del tempo, quindi, tutto diventa di un unico colore grigio, insignificante: il bene ed il male nel tempo diventano un unico insieme, insignificante e così dicasi per il giusto e l’ingiusto, per il buono ed il cattivo e per qualsiasi coppia di apparentemente contrari. Nello scoprire questo dubbio, questo mistero, del contrapporsi (o sovrapporsi) del bene e del male vengono subito alla memoria alcuni brani della Bibbia, uno dei Libri Sacri della umana cultura, il Libro posto sull’Ara. Ne citerò di seguito alcuni. Profeta Isaia (versetto 45,7): Io sono il Signore e non v’è alcun altro. Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e creo il male; io, il Signore, compio tutto questo. Libro dei Salmi (Salmo 137 Versetti 8-9): Sui fiumi di Babilonia là sedevamo piangendo al ricordo di Sion... Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi bambini e li sfracellerà contro la pietra. Libro dei Salmi (Salmo 58 Versetto 11): Il giusto godrà nel vedere la vendetta, laverà i piedi nel sangue dei malvagi. In altri punti della Bibbia si afferma anche che Dio si arrabbia e si ingelosisce (Adamo ed Eva e la mela). Mi sorge 59


spontanea la domanda, alla quale proporrò una risposta in seguito: ma come può Dio, in quanto Dio, arrabbiarsi, ingelosirsi e provare sentimenti umani? Altri brani dei Vangeli riconosciuti parlano di Lucifero “principe di questo Mondo” ed a conferma lo stesso Lucifero ap-

Scienza pare a Gesù nel deserto promettendogli: “tutto ciò che vedi, la città, sarà tua” in cambio, ovviamente, del suo schierarsi con il principe. A parere dello scrivente il termine “principe” non va inteso solo come “padrone” ma anche come “principio, regola”. Quanto appena detto ci apre le porte sull’argomento della distinzione tra Dio ed il Demiurgo, concetto già intrapreso dalla cultura ellenica, da quella gnostica, dal primo Cristianesimo e da quella ebraica. Quest’ultima infatti fa una netta diversificazione tra El/ Elohim e Jahweh. Giova anche ricordare come nasce questo ultimo nella Religione ebraica: Mosè nel suo ritorno verso la terra promessa fa sosta nel Sinai ove trova moglie, la figlia di un re locale, ed adotta come propria divinità quella adorata dal suo novello suocero come Dio della guerra, Jahwet. Per proseguire questo discorso è necessario ora affrontare alcuni argomenti scientifico-matematici. In natura possiamo individuare tre sistemi: Deterministico, Caotico (da caos) e Casuale (da caso). Come l’Universo si inserisce in questa suddivisione? Un sistema deterministico è disciplinato da precise leggi matematiche ove le situazioni sono del tutto ripetibili. In qualsiasi esperimento, prova scientifica, se si riconfermano le condizioni di partenza e si dovesse ripetere il test, tutto si svolgerebbe pedissequamente senza alcuna modifica. Ad esempio presa una pallina che rotola su una tavola inclinata, ogni qual volta si dovesse ripetere la prova, confermando l’inclinazione della tavola, il coefficiente di attrito, le condizioni atmosferiche, la massa e tipologia della pallina, ed ogni altro parametro, le risultanze sarebbero sempre le stesse. Tutto viene costantemente confermato con leggi fisico-matematiche. Il Caos invece si presenta quando un sistema deterministico si comporta in maniera stocastica (Ca60

suale) e quindi non più disciplinabile con precise leggi matematiche. Lo studio del Caos ha portato alla nascita di una nuova recente materia (da circa trenta anni) denominata Teoria del Caos o Dinamica non lineare. Poniamoci una domanda: nell’Universo (l’Universo per noi “perfetto”) esistono dei casi di sistemi caotici? La risposta è sì. Ecco di seguito alcuni esempi. Il pianeta Terra si presenta schiacciato sui poli (da cui il particolare movimento del suo asse e le variazioni geologiche). Un secondo esempio è dato da Iperione, il Satellite di Saturno, noto come la “patata” per la sua forma particolare ed i tre assi di diverse dimensioni; la sua rotazione attorno ai suoi assi ed attorno a Saturno è completamente caotica ed indeterminabile. Per quanto ora detto i due sistemi accennati sono catalogabili come caotici. Nella Teoria del Caos, se un sottosistema è caotico, l’intero sistema è caotico. Di conseguenza possiamo e dobbiamo dedurre che l’intero Universo è caotico. Anche il concetto termodinamico di Entropia è una dimostrazione di quanto appena detto: entropia maggiore significa maggiore disordine del sistema. L’Universo evolve sempre verso uno stato ad Entropia maggiore. L’Entropia non può mai procedere all’indietro (Secondo Principio della Termodinamica). È utile ricordare che le vibrazioni e la turbolenza sono fasi intermedie, di passaggio, tra un sistema deterministico ed uno caotico. Va quindi ripetuto e rimarcato che l’Universo è un sistema caotico. Esso tuttavia è nato dal Big Bang, dall’esplosione di un solo punto. Cosa è un punto? È l’unico sistema perfetto, con precisione infinita in quanto non esistono, al suo interno, le dimensioni spaziali e quella temporale; la distanza tra due parti di un punto (ammesso per assurdo che siano definibili al suo interno due parti) è pari ad infinito e contemporaneamente pari a zero. Uno dei simboli più noti nella Libera Muratoria è proprio la Piramide, con base quadrata (simbolo dell’uomo, imperfetto) e con vertice un Punto (Dio, Perfetto); da questo si è generato l’umanità, guardando la piramide dall’alto verso il basso, ed al Punto l’umanità volge il suo percorso, guardando la piramide dal basso verso l’alto. L’Universo, sistema caotico, è stato gene-

rato da un punto, sistema perfetto. Esiste invece un altro campo che non può essere studiato con le metodologie ora descritte ed è lo studio degli insiemi stocastici (casuali). L’unico approccio a tali sistemi è quello Probabilistico – Statistico. Il moto delle infinite particelle presenti all’interno di una qualsiasi massa di gas è un esempio di sistema stocastico (casuale) a cui ci si può approcciare unicamente con uno studio probabilistico. Anche le stime, con le quali ormai conviviamo, sulle previsioni di voto nelle campagne elettorali sono un approccio, certamente probabilistico, ma ovviamente stocastico. Anche le stime sulle intensità di traffico su una determinata strada sono un approccio probabilistico di un sistema stocastico. Ma in tutti questi casi stocastici potremo studiare unicamente l’insieme, l’intera massa di gas, i risultati elettorali di ciascun partito politico, il numero di autovetture su quella strada in quella data ed a quella ora (questo in quanto il tutto è ricompreso nella famosa curva di Gauss, la cui area sottesa è pari ad 1, quindi al 100%) ma non riusciremo mai a determinare il moto di ciascuna particella all’interno della massa di gas né a determinare il voto effettivo di ciascun elettore né il momento di passaggio di ciascuna autovettura su una specifica strada in un determinato momento. Un grande matematico della seconda metà del settecento, Laplace, anche egli Libero Muratore, pensò le Equazioni Differenziali che da lui presero il nome. Per chi si interessa di matematica le equazioni differenziali di Laplace sono forse l’argomento di studio più ostico che possa esistere; esse studiano la variazione infinitesimale delle dimensioni spaziali (dx, dy, dz) rispetto alla variazione infinitesimale del tempo (dt). Le stesse hanno applicazioni in qualsiasi campo, in chimica, in termodinamica (le equazioni di Fourier hanno origine da esse), ecc. Anche Douglas Adams, nel suo testo Guida galattica per gli autostoppisti, riprende alcuni concetti già introdotti da Laplace ed applicabili nelle sue equazioni: essi sono i concetti di “Vasta Intelligenza” ed “Intelligenza Considerevole”. Cosa sono queste? La Vasta Intelligenza è immensa, infinita, perfetta, al di fuori del sistema Universo. Non può guardare all’interno del si-


Scienza

stema perché così facendo interferirebbe con esso e lo modificherebbe ogni qualvolta dovesse anche solo riflettere su un qualsiasi oggetto o sua parte infinitesima. L’Intelligenza Considerevole è invece interna al sistema Universo (che, lo ricordiamo, è un sistema caotico) e lo disciplina dal suo interno. Tuttavia per poterlo valutare, studiare, determinare, ecc., trovandoci in un sistema caotico, si ha bisogno di definire il suo Punto 0 di partenza con una precisione infinita. Ma per avere una identificazione con precisione infinita di un punto si ha bisogno di una intelligenza infinita, esterna al sistema: la Vasta Intelligenza. La Vasta Intelligenza definisce il Punto 0 (Big Bang). L’Intelligenza Considerevole segue lo sviluppo dell’Universo dal Punto 0. Quanto detto sopra è il messaggio contenuto nelle Equazioni Differenziali di Laplace. Sorgono spontanee alcune domande: possiamo identificare la Vasta Intelligenza con il Grande Architetto Dell’Universo e l’Intelligenza Considerevole con il Demiurgo? Chi è il Demiurgo? Forse Jahweh? Forse Lucifero? O forse gli ultimi due si identificano in una unica entità? A riguardo si ricordi G. Carducci in Ode a Satana e con Satana certo, per me, l’autore identifica il Demiurgo, l’Intelligen-

za Considerevole: “A te, de l’essere Principio immenso, materia e spirito, ragione e senso...”. Quella di Laplace non è stata una espressione isolata di pensiero. Nel ‘700 nacque in Inghilterra un nuovo pensiero teologico, quello dei Deisti. Essi affermavano l’esistenza di Dio ma ritenevano che quest’ultimo, dopo aver dato inizio all’Universo, si sia completamente disinteressato del suo sviluppo. Certo questa convinzione va a combaciare quasi perfettamente con il pensiero di Laplace in quanto alla Vasta Intelligenza non è data la possibilità di intervenire nello sviluppo di una realtà pluridimensionale. Successivamente questo pensiero ha visto l’apporto di Kurt Godel, logico matematico austriaco del ‘900, il quale, in sintesi, ha dimostrato matematicamente che, dato un qualsiasi sistema (vedasi l’Universo, n.d.r.) basato su un determinato numero di assiomi (ipotesi di partenza) esisteranno sempre delle congetture indimostrabili. Per dimostrarle si dovrà sempre far ricorso ad ulteriori nuovi assiomi; introducendo detti nuovi assiomi, si creeranno tuttavia ulteriori congetture indimostrabili. Conclusioni Come sono comiche tutte quelle distin-

zioni, create dall’uomo, tra bene e male, tra giusto ed ingiusto, tra buono e cattivo all’interno del nostro mondo! A maggiore ragione se le rapportiamo allo sviluppo temporale dell’Universo; ricordiamoci della rotazione, a mo’ di ombrello, dello “yin e yang”. Sono ancora più comiche tali distinzioni se consideriamo il bene collegato a Dio. A quale Dio? Alla Vasta Intelligenza che non può collegarsi a noi o alla Intelligenza Considerevole, al Demiurgo, al Satana di G. Carducci? Concludo con due frasi che riporto di seguito. La prima di un prete del tardo ‘800: “Non penso che l’Universo sia disciplinato dal Caso, viste le ingiustizie presenti al suo interno. Infatti di per sé il Caso è giusto”. La seconda è di Anatole France in Il giardino d’Epicuro: “Caso è lo pseudonimo usato da Dio quando non vuole firmare col proprio nome” (in quanto non vuole o non può interferire – Laplace, n.d.r.). _______________ Bibliografia: Ian Stewart, Dio gioca a dadi? Vito Mancuso, Io e Dio. P.58: Coincidentia oppositorum (P.Del Freo); p.59: Studi ed ipotesi matematiche; p.61: Big Bang, collez. privata.

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UnitĂ

Vogliamo che la Patria sia in buone mani... Clizia Gallarotti

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H

o cambiato idea. Non perchè sono una donna, e - come si dice - le donne sarebbero volubili. Accampo ad alibi l’aforisma di James Russell Lowell “solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione”, e sono tranquilla. Ho sempre pensato e detto, man mano che passavano gli anni della mia appartenenza, di essere contraria all’ingresso in Massoneria di persone molto giovani, giustificandolo con la teoria tutta mia per la quale ad ogni età appartengono delle esperienze necessarie, nel bene e nel male, e se qualcosa impedisce di viverle, anche con leggerezza o sconsideratezza o avventatezza, si ripresenteranno più tardi ad esigere il loro giusto tributo; ed allora saranno guai, quelli che vediamo in tante famiglie, in tante persone che in quella che dovrebbe essere l’età della maturità e della ponderazione fanno invece colpi di testa insospettati, hanno guizzi di presunta vitalità spesso patetici... Ritenevo, insomma, che certe intemperanze spettino alla gioventù, e che se a questa si mette una sponda seria e complessa come ciò che si può imparare nel percorso massonico, ben più complessa di quanto una normale educazione etica famigliare possa proporre, le si toglie ogni possibilità di spontanea spensieratezza. Poi ho vissuto a mia volta due esperienze, strettamente correlate e nel giro di pochi giorni: il Meeting dei Giovani Massoni in Friuli e la solenne Tornata solstiziale all’Oriente di Padova, nella quale il Sovrano G.C.G.M. Fratello Luigi Pruneti ha tenuto la sua allocuzione dal titolo “Massoneria e mondo moderno”. Due sferzate illuminanti e casualmente complementari. Non che mi consideri una reazionaria vecchietta anti-novità, ho un figlio di 20 anni, ma questa cosa dei giovani ancora non l’avevo collocata nei suoi giusti spazi e dimensioni, che sono quelli che ho scoperto al loro meeting. Innanzi tutto la meraviglia che si rinnova ad ogni occasione nel constatare come probabilmente in nessuna circostanza della vita profana si possa assistere come tra Fratelli ad un amalgama così armonioso tra giovani e meno giovani, o addirittura tra giovani e anziani, senza alcuna soggezione o sufficienza da parte

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degli uni o degli altri pur nel rispetto e nell’attenzione degli uni verso gli altri. E poi il miracolo che sempre si ha quando si lasciano fluire liberamente nei vasi comunicanti emozioni, informazioni, conoscenze, aspettative, senza reticenza e senza presunzione. E’ il vero scambio tra generazioni, quello proficuo, affettuoso, acritico e paziente. Tutti sappiamo quanto spesso un giovane Apprendista ci abbia fulminato con una visione nuova di un argomento, con una lettura inusitata di un simbolo, con una capacità di sintesi che spesso ormai ci è sconosciuta. Ora, sarà per il senso di instabilità che ci fa soffrire la condizione economica e sociale attuale, sarà per le notizie dal mondo che a sua volta - guidato da potenti non giovani e certo più incrostati di me-

talli e presunzione di molte validissime intelligenze giovani - non brilla per equilibri consolidati e producenti, dopo aver ascoltato il nostro Gran Maestro che ha parlato ai giovani di argomenti ben più che seri e “globali”, dimostrando di considerarli davvero una colonna portante indispensabile per testimoniare l’esistenza della Massoneria e della Gran Loggia d’Italia, e comunque dei sentimenti e delle azioni che possono cambiare il mondo intorno a loro e a tutti, ora appunto - come dicevo - ho cambiato idea. Ben vengano i giovani in Massoneria, perchè siamo noi più vecchi a dover cambiare! Siamo noi a dover assumere ritmi nuovi appoggiandoci a loro! Dobbiamo lasciarci guidare perchè il loro istinto può mostrarci il modo per stare al passo con i tempi, per essere nel nostro tempo in modo fattivo. Noi quelli che quasi cursores vitae lampada tradunt, e loro che ci indicano dove, come, con quale sollecitudine e ritmo. E per concludere a modo mio quest’anno del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, a questi giovani vorrei proporre quello che mi sembra l’argomento dal quale cominciare per essere coerenti nel nostro percorso di ricerca, con un titolo che non fa più quasi parte del vocabolario moderno: la Patria. Sì, perchè nei nostri Rituali Patria è sem63


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pre maiuscolo. Abbiamo nel Tempio un elemento che probabilmente non viene da tutti considerato un “simbolo parlante”, come gli altri, ma forse soltanto una convenzione, un segno di riconoscimento. Ed invece è un simbolo eccome, il nostro Tricolore, e come sappiamo parla di uno dei dettami fondamentali per i quali ci impegniamo a prestare fedeltà, rispetto e lavoro. Ma naturalmente il concetto che esprime, come tutti i simboli, è composto per ognuno in modo diverso, più o meno emotivo, più o meno pregnante, più o meno evocativo. Equivale, a modo suo, al cero del Testimone: quello, per la trasmissione della Tradizione esoterica e spirituale dal passato, la Bandiera tricolore per la trasmissione della Tradizione civile. Il 17 marzo 2011 è stato proclamato dal Presidente della Repubblica giornata ufficiale di celebrazione e festeggiamento dei 150 anni dall’Unità d’Italia. E per noi Massoni questo dovrebbe far nascere alcune considerazioni e meditazioni. Se patria, in latino terra dei padri, è un concetto idealizzato in senso prettamente umanistico, non può essere confuso col concetto di nazione. Contrapporlo al concetto nazionalistico di origine razziale significa pervertire il patriottismo di origine comunitaria. Il concetto di patria è divenuto vago, sfumato, quasi evanescente; i suoi confini, sempre più labili e indistinti; i suoi valori, sempre più pallidi e sfuggenti. E come è possibile amare un concetto così vago, così aleatorio, così indefinito? Oggi, nell’era della globalizzazione, delle multinazionali, delle migrazioni di massa, delle società multietniche e multiculturali, non è più così facile dare una risposta a queste domande. Siamo arrivati al paradosso che si ricomincia a parlare di Patria quasi solo in funzione di un rifiuto del diverso, di usarla come un’arma. Ma sono le società orfane di valori spirituali, che si aggrappano alla prima ideologia che prometta loro di ricompattare i propri ranghi! Certo essa Patria non deve necessariamente accogliere tutto, secondo un liberalismo esasperato e un democraticismo radicale, bensì con ragionevolezza ciò che può farla vivere in pace e in armonia.


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Il concetto di Patria non può essere fagocitato da ideologie politiche, né la sua presunta difesa può diventare appannaggio di un’ideologia di parte. E questo anche se nella storia necessariamente patriottismo ha significato automaticamente un’appartenenza ideologica o quanto meno ideale. Oggi, se voglio parlare della forza militare della mia terra dico Nazione, se voglio sottolineare l’amore che provo per essa dico Patria. La Patria rappresenta l’insieme nel quale mi riconosco con i miei costumi, le mie abitudini tradizionali di pensiero, di comportamento, con la lingua, con il mio stile di esistenza; la patria è il paesaggio familiare che mi mantiene in pace, sicura, a mio agio con me stessa, alla quale sono grata per avermi dato un senso di appartenenza. Da noi non si parla di politica o di religione e dunque ci rimangono il buon senso e il trinomio libertà, uguaglianza e fratellanza a farci luce. Al momento della stesura della Carta Costituzionale Italiana, tra i settantacinque membri partecipanti c’erano ben sette

od otto massoni e in sede di Assemblea Costituente un terzo del totale era composto da appartenenti a Logge massoniche. Senza contare che il presidente e padre della Costituzione Meuccio Ruini era massone, così come il vice-presidente dell’Assemblea Giovanni Conti; e sicuramente avevano presente quanto detto da Mazzini: “Finché, domestica o straniera, voi avete tirannide, come potete aver Patria? La Patria è la casa dell’uomo, non dello schiavo”. Ma c’è una maniera ancora più spirituale di intendere la patria, che è propria dei popoli nativi - da noi chiamati, a lungo, «primitivi» o addirittura «selvaggi» - ed è quella di identificarla con una modalità dello spirito, legata alla diversa concezione del rapporto fra terra e nazione: ai bianchi che pretendevano di comprare la loro terra rispondevano: “Come potete pensare che noi siamo in grado di vendervi la terra, nostra madre? Tanto varrebbe che ci chiedeste di vendervi l’aria, il mare o il cielo. La terra non è in vendita, perché non è di nessuno; in essa, poi, riposano i nostri

antenati”. La sola idea di Patria suscettibile di rimpiazzare quella tradizionale, ormai tramontata, è quella basata su di un vincolo di affetto e di gratitudine verso le proprie radici, intese non tanto in senso biologico e geografico, ma in senso eminentemente spirituale e culturale, e ricordando comunque i sacrifici di dedizione e morte spesi per costruirla e difenderla, nonché quanto diceva Mazzini, che “senza doveri non sussiste Patria”. Cristoforo Bonavino, teologo e filosofo dell’800, ha scritto: “Ah! l’amor della Patria, e di una Patria che si chiama Italia, ferve ben ardentissimo nelle anime nostre; ma non sì, che ci renda mai egoisti ed ingiusti verso le altre nazioni. Come il Piemonte non è che una provincia d’Italia, cosi l’Italia non è che una provincia d’Europa, ed un commune della Terra”. P.58: Roma, l’Altare della Patria; p.63: Logo del 150° dell’Unità di Italia e - sotto - logo dei Giovani Massoni della Gran Loggia d’Italia; p.64: Cartolina dell’Unità di Italia, sec. XIX e - sotto messaggio prefettizio per la promulgazione della Costituzione Italiana; p.65: La PAN, Pattuglia Acrobatica Nazionale, detta delle ‘Frecce Tricolori’ lascia il suo caratteristico marchio.

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Simbolismo

Il mistero Fabrizio Turrini

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O

gni mattina ci svegliamo e ci affacciamo alla finestra. Se questo avviene in questo periodo invernale di giornate corte, è frequente vedere il sole sorgere. I primi pensieri del mattino si faranno strada: il lavoro che dovremo fare durante il giorno, i ragazzi da accompagnare a scuola, il bollo dell’auto da pagare. Questo il tenore prevalente di quello che ci viene alla mente. La frenesia del vivere quotidiano ci fa vivere in una dimensione sola, superficiale e senza profondità. Ma sarà capitato qualche volta di non farsi sorprendere subito dalla urgente quotidianità e soffermarsi un attimo a guardare la bellezza di questo momento che fa parte di un ciclo naturale che dura da milioni di anni. Il risveglio, l’inizio di un nuovo giorno. Sottraendoci dalle necessità di ogni giorno capita talvolta di rimanere un attimo assorti e considerare questi attimi con uno sguardo aperto verso la natura ed attraverso di essa accedere ad altre dimensioni. La bellezza di quel che vediamo ci fa scorgere un affresco ben più grande di dimensioni più ampie ed articolate rispetto alla miseria dei problemi quotidiani. Il mondo. La vita. La mente per un attimo si apre a contemplare perché solo così riesce provare ad abbracciare il Tutto. Entriamo nel mistero. Mistero è innanzi tutto la possibilità di riuscire a vedere oltre l’immediato, in una dimensione più ampia. Intuire la possibilità di spingere lo sguardo oltre. Non dare per scontata la mera rappresentazione sensoriale ma chiedersi se c’è qualcosa da cercare oltre l’apparenza. Chiunque si ponga domande sui significati ultimi (… ed anche su quelli “primi”) accetta di non dare tutto per scontato ma di porsi nel cammino della ricerca. Quando le domande superano le risposte allora siamo entrati nel territorio del mistero. “Il mistero è una condizione esistenziale che riguarda la totalità della vita.” (V.Mancuso, Io e Dio, 2011, Milano). A domande impegnative sulla vita ed il suo significato si può rispondere in molti modi spesso intrecciati tra loro. All’uomo privo di pregiudizi si aprono nel mistero mille strade da percorrere. La parte più razionale cercherà, come ci insegna la scienza, di oggettivare le domande a cui tentare di dare delle soluzioni intersoggettivamente condivise, la parte più le-

Simbolismo

Chiunque si ponga domande sui significati ultimi, accetta di non dare tutto per scontato, ma di porsi nel cammino della ricerca. gata alle “raisons du coeur” (Pascal) tenderà ad immergersi nel mistero tentando di trovare risposte attraverso un percorso personale che apre la strada alla trascendenza. In altre parole, a molte domande lo scienziato tenterà di rispondere in maniera razionale e scientificamente dimostrabile, un po’ oltre si spingerà il filosofo con argomentazioni razionali che superano ciò che la scienza non è in grado di spiegare, ed infine il religioso tenterà di spingersi anche oltre quello che è possibile spiegare razionalmente. Il massone, nella sua libertà di pensiero, avrà a disposizione tutte queste armi senza tralasciarne alcuna per la sua ricerca tra realtà essoterica e mistero esoterico. Ed in realtà tentare di rispondere a certe

domande non è facile e forse nemmeno possibile con l’utilizzo solo delle parole. È necessario un linguaggio che ammetta “quel che non si può dire”, che permetta alla mente quel passaggio in più che Pascal chiamava “esprit de finesse” contrapponendolo a “esprit de géométrie”, ovvero l’“intuizione”, contrapposta alla “deduzione”. Se le parole possono molto bene essere utilizzate per esprimere le soluzioni proposte dalla filosofia e con i numeri si rendono ottimamente rappresentate le risposte della scienza, il linguaggio dei simboli è il solo che, con ogni probabilità, superando i limiti della parola e dei numeri, riesce a staccarsi dalle catene del metodo analitico per comprendere intuitivamente relazioni altrimenti non ipotizzabili. Ed infatti la parola simbolo deriva dal greco σύμβολον (dalle radici σύv-, “insieme” e βολή “lancio”) che originalmente significa proprio legare assieme, collegare. La funzione simbolica è il modo più efficace di stabilire una relazione tra il sensibile e il sovrasensibile. È proprio con la percezione del mistero che il “pensiero elementare” si stacca dalle necessità quotidiane e si interroga sui significati della esistenza e della vita, del rapporto dell’uomo con l’universo, del si67


gnificato della vita e del bene. ‘’Elementare è il pensiero che muove dagli interrogativi fondamentali del rapporto dell’uomo con il mondo, del senso della vita e dell’essenza del bene. Esso è direttamente legato al pensiero che si agita in ogni essere umano. Gli si rivolge, lo amplia, lo approfondi-

Simbolismo sce.’’ (A. Schweitzer, La mia vita e il mio pensiero). Ma essere consapevoli del mistero non significa necessariamente entrare nell’oscurità privilegiando l’indeterminatezza alla coerenza. Tutt’altro. Entrare nel Mistero vuol dire accettare la sfida della ricerca di soluzioni non precostituite, non dogmatiche. Alla domanda sul perché della vita lo scientista proporrà una spiegazione fondata sulla teoria dell’evolu-

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zione affidando al caso la responsabilità dell’origine della vita. Ogni dettaglio, egli promette, sarà spiegato con logica matematica non appena verrà scoperto tutto ciò che ancora c’è da scoprire. Allo stesso modo l’integralista religioso spiegherà tutto con la volontà di Dio, un Dio che ha già rivelato tutto ciò che gli uomini devono sapere in proposito attraverso i libri sacri e le parole dei profeti. Entrambi costoro, lo scientista ed il religioso integralista, rifiutano il mistero. Rifiutano di porsi delle domande e di cercare delle risposte. Le hanno già trovate. Non così avviene per il vero scienziato che scoperta una relazione subito si pone un’altra domanda di maggiore complessità. Egli è consapevole che qualunque risposta non sarà mai conclusiva, ed accetta la sfida della ricerca anche se è consapevole dei limiti imposti alla scienza proprio dalle conclusioni

delle ricerche teoriche nel proprio ambito. Infatti i due teoremi dell’incompletezza di Godel (1: In un sistema matematico è possibile costruire delle ipotesi formalmente corrette che però non possono né essere confutate né dimostrate all’interno dello stesso sistema; 2: Nessun sistema coerente può essere utilizzato per dimostrare la sua stessa coerenza), il principio di indeterminazione di Heisemberg (Nello studio del comportamento delle particelle nella meccanica quantistica “le leggi naturali non conducono ad una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo”) e le teorie del caos (in base alle quali è impossibile seguire l’evoluzione di un sistema deterministico che diventa caotico) rendono impresentabile la certezza di raggiungere un giorno il dominio completo della conoscenza attraverso la scienza riconducendola a metodo di osservazione e spiegazione della realtà e non fonte o motivo della sua spiegazione ultima. Si può concludere che i dati oggettivi della scienza non basteranno mai ad esaurire la ricerca di risposte al mistero della vita e dell’universo. Per affrontare il mistero ci si rende sovente conto che non basta il pensiero razionale, abbiamo bisogno di altro. È necessario fare ricorso a quella meta-razionalità che fa ricorso al sentimento, all’intuizione, ovvero un sistema di pensiero che non esclude ciò che non si può comprendere, dominare. La parola mistero deriva dal greco mysterion ‘cosa da tacere’; indica un evento arcano, di cui non si deve parlare pubblicamente, perché riservata agli iniziati. Ed il massone come iniziato ha il compito di


Simbolismo investigare i veri grandi significati della vita al pari di scienziati, filosofi e teologi. Egli è orfano della Parola Sacra, sa di non sapere, ma ha la consapevolezza di poter utilizzare uno strumento potente che essi non possiedono. Tra le sue armi avrà innanzi tutto la possibilità di accedere ad un approccio interessato sia alla scienza sia alla teologia che alla filosofia, apprezzando e mai disprezzando gli sforzi di queste discipline anche se talvolta possono essere lontane dalle personali sue possibili risposte, sempre provvisorie che di volta in volta egli stesso troverà. Egli ispirandosi al rispetto di quella Entità (G\A\D\U\) a cui costantemente si rivolge in apertura dei lavori, e che in maniera deliberata, culturalmente egli non identifica con nessun Dio particolare, proprio in omaggio alla possibilità di trovare un dialogo con chiunque, ha una posizione privilegiata per continuare a tenere tra le mani quella lanterna con la quale il Diogene di Sinope cercava incessantemente l’uomo e, interrogato sulla sua provenienza, rispondeva: “Sono cittadino del mondo intero”. Il massone, che non sarà mai un religioso integralista né un ateo dogmatico, non respingerà le diversità cercando di demolire le tesi degli altri per dimostrare le proprie ragioni, ma coltiverà le domande piuttosto che le risposte, immerso nel mistero della vita e delle contraddizioni che vive l’uomo. Sempre alla ricerca di comprendere almeno in parte quel Grande Disegno Architettonico di cui può solo intuire l’immensità ma di cui è anche profondamente cosciente, nel quale egli sa che sono compresi tutti gli eventi delle cose e degli uomini. Vivere lo “stupore infantile” di Elémire Zolla, sapere immergersi nel mistero della vita contemplando un’alba o ascoltando Mozart significa accettare la sfida del mistero che sta intorno a noi, porci il problema

dell’assoluto, percepire la religiosità della vita, entrare nel mondo dello spirito. Ciò non vuol dire necessariamente accettare una religione; questo anzi può costituire un eventuale limite alla continuazione della ricerca, vuol dire semplicemente accettare che c’è ancora molto da comprendere, da capire, da cercare. In piena libertà. Giacché talvolta non basta la ricerca del “sapere”. Il sapere implica una perfetta conoscenza del rapporto delle cause e degli effetti: un legame di necessità tra di essi. Ogni evento deve avere una necessità sufficiente nel mondo delle spiegazioni razionali. Non si deve mai rinunciare alla ragione, ma talvolta essa non basta ed è necessario sospenderla provvisoriamente per indirizzarne la ricerca. “Ho dunque dovuto sospendere il sapere per far posto alla fede.” (E. Kant, prefazio-

ne della Critica della ragion pura). Come dice Vito Mancuso (cit.) quando si è disponibili a rinunciare ad ogni dogma, “il sapere dice necessità, la fede, invece libertà”. “Noi siamo nella situazione di un bambino che è entrato in una immensa biblioteca piena di libri scritti in molte lingue. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri, ma non sa come e non conosce le lingue in cui sono stati scritti. Sospetta però che vi sia un misterioso ordine nella disposizione dei volumi, ma non sa quale sia” (A. Einstein - riportato in: Brian, Einstein a life, 1996 e citato in Isaacson, Einstein: His Life and Universe, Simon e Schuster). P.58: Immagini tratte dal Libro degli Emblemi di Andrea Alciato (sec. XVI) e dall’Iconologia di Cesare Ripa (sec. XVII).

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LA GRANDE LOGE FÉMININE DE FRANCE Histoire, Expansion, Philosophie, Valeurs

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orte aujourd’hui de plus de 13500 «Soeurs » réparties dans plus de 400 loges, la Grande Loge Féminine de France est la première obédience mondiale exclusivement féminine. Elle s’est constituée en 1945 sous le nom d’Union Maçonnique Féminine de France et a pris

le nom de G.L.F.F. en 1952. Héritière des Loges d’adoption et des mouvements pour l’émancipation des femmes des siècles passés, elle est résolument attachée à sa spécificité féminine et à son implication dans la cause des femmes. Fer de lance de la Franc-maçonnerie féminine, elle est aujourd’hui une réalité incontournable en Europe et dans le monde. Histoire Malgré l’exclusion formulée dans les constitutions d’Anderson et dont certaines incidences perdurent, il est désormais clair que la Franc-maçonnerie moderne, dès son apparition, concerne les femmes tout autant que les hommes. «Loges d’adoption », c’est le nom donné au 18ème siècle, aux Loges où des femmes sont reçues «Franches maçonnes » aux côtés de frères qui partagent leurs espoirs d’un monde plus juste et plus égalitaire. Certes, c’est une minorité instruite et cultivée qui trouve là un écho à ses aspirations mais, détail qui n’est pas anodin : tous les grades et fonctions des femmes sont d’ores et déjà déclinés au féminin ; la Franc-maçonnerie féminine moderne a gardé cette habitude. C’est un fait, le féminin existe aux côtés du masculin depuis les commencements. Tout au long du 18ème siècle, un très grand nombre de loges d’adoption naissent en France (la présence de femmes dans les Loges, est attestée dès avant 17501) tant à Paris que dans les villes militaires, parlementaires et portuaires de province. 70

Il s’en ouvre également dans les grandes capitales d’Europe et jusque dans les colonies. Elles suivent comme les Loges masculines, les circuits des échanges commerciaux et des conquêtes de territoire. En France, Les Loges d’adoption sont reconnues en 1774 par le Grand Orient qui en profite pour restreindre le cadre de leur fonctionnement soulignant peut être ainsi que leur importance est loin d’être négligeable. La réputation des loges Saint-Jean de La Candeur ou Saint-Jean du Contrat Social a traversé les siècles et l’appartenance de la Duchesse de Bourbon et de la Princesse de Lamballe à l’ordre maçon-

une maçonnerie militante et sont de tous les mouvements pour la liberté et l’égalité, pour le vote des femmes et la laïcité. L’idée d’une maçonnerie féminine indépendante apparaît dès 19212. Une conscience collective maçonnique féminine se structure peu à peu. En 1945, après la tourmente de la guerre, les femmes Franc-maçonnes qui proclament leur indépendance, lors de l’assemblée générale du 21 octobre et qui créent l’Union Maçonnique Féminine de France sont issues des cinq Loges d’adoption en capacité de se reformer3. Elles donnent ainsi naissance à la première Obédience

nique est bien connue. Après l’interruption due à la Révolution, les Loges d’adoption sont à nouveau florissantes durant l’Empire et l’impératrice Joséphine devient à son tour Grande Maîtresse de toutes les Loges d’adoption. Leur tradition continue de se transmettre durant une grande partie du dix-neuvième siècle puis on en perd la trace, elle n’est cependant pas abolie. A la fin du 19éme siècle, pour répondre à la question aiguë de leur initiation, posée par les femmes les plus militantes et les plus combatives, la Loge Les Libres Penseurs, le 14 janvier 1882 initie Maria Deraismes avec un rituel identique à celui des hommes. Quelques années plus tard, en 1893, naît la première loge mixte Le Droit Humain et peu après les Loges de la Grande Loge Symbolique Ecossaise s’essaient à la mixité. Reprenant alors la tradition du 18ème siècle, des Loges d’adoption sont constituées à la Grande Loge de France (GLDF). Onze Loges voient le jour entre 1901 et 1939. L’ouverture des Archives Russes ne permet plus que leur importance, longtemps méconnue soit négligée. Les livres d’architecture révèlent que les maçonnes de la GLDF sont des féministes portées par la volonté de changer les rapports homme/femme non seulement dans la cité mais aussi dans la famille et dans le couple. Tirant profit de la situation particulière qui leur est faite dans ce type de Loges, tout en apprenant à conjuguer réflexion et action, elles pratiquent

maçonnique exclusivement féminine, l’Union Maçonnique Féminine de France qui prend le nom de Grande Loge Féminine de France en 1952. En 1958, l’Obédience rejette la tradition issue des loges d’adoption. A une très faible majorité, elle adopte le Rite Ecossais Ancien et Accepté. Le Rite Français est introduit en 1973, il est à ce jour pratiqué dans ces différentes déclinaisons par plus du quart des Loges de l’Obédience. Le Rite Ecossais Rectifié entre à son tour à la G.L.F.F. en 1978. Le Rite d’Adoption lui-même est pratiqué à nouveau par l’intégration en 1977 de la loge Cosmos. Cette loge avait été constituée en 1959 à l’extérieur de l’Obédience par des Soeurs désireuses de poursuivre cette tradition. La G.L.F.F. devient l’obédience plurielle et féconde que nous connaissons aujourd’hui qui s’attache inlassablement à répandre l’idéal maçonnique en tenant compte des sensibilités différentes, dans le respect et la tolérance. Expansion «Il ne dépend plus que de nous-mêmes de développer notre institution, de la faire grande forte et belle et de lui faire jouer le rôle national et international que nous ambitionnons » pouvait dire Anne-Marie Gentily, première Grande Maîtresse de l’Union lors du premier congrès de l’Obédience en janvier 1946. Dès la constitution de l’Obédience indépendante les «Soeurs » ont à coeur d’étendre la Franc-maçonnerie fémi-


nine dans toute la France et partout dans le monde. La Grande Loge Féminine de France est ouverte à toutes les femmes susceptibles de recevoir l’initiation, sans distinction de nationalité et de culture. La naissance de La Rose Des Vents4 en 1978 permet aux Soeurs françaises vivant à l’étranger de poursuivre leur chemin initiatique et aux femmes des pays lointains d’accéder à l’initiation et à une progression initiatique réelle. C’est un projet utopique et le nom même de la Loge indique bien la diversité des femmes et des orients concernés par sa création. Tous les départements et territoires d’Outre mer ouvrent tour à

tour des Loges et continuent de nos jours à répondre aux demandes croissantes d’initiation. Depuis quelques mois, les Loges des Caraïbes pilotent un triangle en Haïti. Le 20 Avril 1974, la G.L.F.F. fonde en Belgique, à Bruxelles, une première Loge puis une deuxième. Deux autres créations suivent à Liège et Charleroi. Le 17 octobre 1981, ces quatre loges acquièrent leur autonomie et se constituent en Grande Loge Féminine de Belgique. De la même façon que pour la Belgique, des obédiences féminines issues de la G.L.F.F. sont fondées en Suisse en 1985, au Portugal en 1997, au Venezuela et en Espagne en 2005. Ces Obédiences sont toutes, dès leur création totalement indépendantes. Elles gardent cependant entre elles des liens forts de coopération. Ces liens s’étendent aujourd’hui aux Obédiences nées par d’autres voies, telles la Grande Loge Maçonnique Féminine d’Italie et la Grande Loge Féminine de Turquie fondées respectivement en 1990 et 1991 et la Grande Loge d’Allemagne qui fonctionne depuis 1949. Une loge créée au Luxembourg en janvier 1980 est rattachée à la région Est en France, une deuxième loge est née récemment. En tant que femmes et Franc-maçonnes, les «Soeurs » de tous les pays se font un devoir de veiller à ne laisser aux autres ni le soin de leur dire ce qu’elles doivent penser ni la possibilité de s’exprimer à leur place. Le Centre de Liaison International de la Maçonnerie Féminine (CLIMAF) est créé

en 1982 pour établir des liens suivis entre les maçonnes au-delà des frontières nationales. Il regroupe huit Obédiences maçonniques féminines. Depuis 1992, le CLIMAF organise des journées de réflexion et d’échanges. Le dernier Colloque s’est déroulé à Florence (16 avril 2011) sur le thème «Quelle pierre la Franc-maçonnerie féminine peut-elle apporter à la construction européenne?» Le prochain Colloque aura lieu à Metz le 21 Avril 2012, sous l’égide de la G.L.F.F. sur le thème de «la Transmission ». Cet organisme est un véritable espoir pour beaucoup de femmes dont l’émancipation est encore à venir.

La G.L.F.F. pour sa part entend pouvoir oeuvrer à l’émancipation des femmes qui font appel à elle jusque dans des pays où la stabilité politique est précaire et où de nombreux tabous font encore loi. L’ouverture d’une première Loge sur le continent africain, à l’Orient de Lomé au Gabon en 1981 fut, en son temps, un évènement considérable, prélude à une présence aujourd’hui effective de la Franc-maçonnerie féminine dans de nombreux pays d’Afrique. Une fois le mur de Berlin tombé et le bloc communiste effondré, des demandes d’initiation arrivent venant de femmes de l’ancienne Europe de l’Est, de pays où une vieille tradition maçonnique a été interrompue durant cinquante ans. En mai 1992, la première Loge féminine en Europe Centrale voit le jour à l’Orient de Budapest. En 2002, une nouvelle structure, Le Creuset Bleu est créée

par la G.L.F.F., parallèlement à la Rose des Vents, pour confier à diverses loges du Rite Français, l’initiation de profanes dans ces pays où la Grande Loge Féminine de France n’a pas encore de chantier. Ainsi deux structures en lien étroit ont désormais pour mission de favoriser la dif-

Geogra–a Massonica fusion de la Franc-maçonnerie féminine dans le monde entier. En 2011, la Grande Loge Féminine de France, dans le respect des diversités, et au service d’un idéal com-

mun, est présente dans toutes les régions de France et en Outremer: en Martinique, Guadeloupe, Guyane, Réunion, Tahiti et Nouvelle Calédonie. Elle est présente en Europe: Luxembourg, Hongrie, Pologne, Lettonie, Serbie, Bulgarie et Roumanie, dans l’Océan Indien, à l’Ile Maurice ; en Afrique: Togo, Cameroun, Côte d’Ivoire, Gabon, Congo, Bénin et Sénégal ; OutreAtlantique: au Québec ; la G.L.F.F.est présente à Jérusalem et elle a eu la joie de procéder à l’ouverture d’une loge au Maroc. Par ailleurs, un chantier est ouvert à Moscou en Russie depuis 2009 et des chantiers sont en cours: en Lituanie, en République Tchèque, en Croatie et au Burkina Faso. Philosophie - valeurs «Il serait heureux et souhaitable que les Maçonnes soient présentes dans toutes les organisations sociales et même politiques afin d’y travailler avec l’esprit de justice et d’honnêteté qui est la base de notre Institution » souhaitait le 30 janvier 1946 la première Grande Maîtresse de l Union Maçonnique Féminine de France, la Soeur Anne Marie Gentily5. Le principe de l’égalité homme/femme est inscrit dans le préambule du traité de Rome depuis 1957 ; Mais, à cette époque, on se préoccupait surtout de faire entrer le principe «à travail égal, salaire égal » dans la réalité. En 2000, l’Union Européenne a relancé une politique soutenue des droits des femmes qui vise à promouvoir l’égalité entre les hommes et les femmes en 71


l’intégrant à toutes les activités publiques, elle veut faire adopter la «clause de l’Européenne la plus favorisée » qui ferait en sorte que les lois les plus performantes soient applicables à toutes les citoyennes européennes. Aux côtés d’autres associations, la Grande Loge Féminine de France

Geogra–a fait entendre sa voix dans ce sens. Afin d’assurer la défense et la diffusion des valeurs humanistes et pour que son expression originale, forte et nourrie puisse être véritablement entendue dans le dé-

bat européen, elle a créé en 2008 son Institut Maçonnique Européen (IME). C’est un outil qui permet d’intervenir auprès des institutions de l’Union Européenne et de rappeler que les femmes doivent participer à sa construction aussi bien que les hommes. Son but est de faire progresser la cause des femmes et par conséquent la cause de l’humanité toute entière. L’opinion des femmes, Franc-maçonnes de la G.L.F.F. est aujourd’hui sollicitée lors de multiples débats de société y compris les débats éthiques. «Lorsqu’on appartient au genre féminin, la pensée bioéthique est bien sûr, intellectuelle mais elle est aussi viscérale dans le sens où les femmes sont amenées à en vivre les enjeux dans leur corps6». En 2011 comme en 2000, la G.L.F.F. a été consultée lors de la révision des lois de bioéthique. En 2004, elle a été auditionnée par la commission parlementaire sur la fin de vie. Elle était la seule Obédience féminine présente le 15 octobre 2010 lorsque le Président de la Commission Européenne a reçu dans le cadre du BEPA, les représentants des organisations non confessionnelles et humanistes, parmi lesquelles des organisations maçonniques et des associations laïques. La rencontre avait pour thème «la lutte contre la pauvreté dans l’Union Européenne ». La Grande Maîtresse de la G.L.F.F. a pu exposer les propositions extraites de l’étude traitée par l’IME «Femmes et pauvreté, une croissance inquiétante ». Le dossier a 72

été remis aux trois présidents européens présents à l’entretien. Pour les femmes de la G.L.F.F., la laïcité, condition indispensable au respect des Droits de l’Homme, est le terrain neutre où se rencontrent toutes les idées et toutes les croyances, elle est le terreau fertile qui permet de faire grandir ses principes. Le mot appartient désormais à sa déclaration de principes Comme tous les Francs-maçons, les Francmaçonnes de la G.L.F.F. sont attachées à la liberté absolue de conscience. «En démocratie, la Liberté de penser et d’exprimer sa pensée est réelle et ne comporte que les li-

tique et bienveillant pour les aider à choisir leur projet et avancer dans une vie à la fois choisie et heureuse. Pris dans l’engrenage du toujours plus, leur esprit n’est pas toujours disponible pour développer une réflexion libre. Priorité devrait être donnée aux valeurs humaines afin de donner du sens à leur vie et les aider à entrer dans l’âge adulte. » Les jeunes citoyens ont désormais pour village la planète toute entière. Chacun doit devenir capable d’accéder à l’autre sans violence et de le respecter dans ses différences9». «La Franc-maçonnerie n’est pas seulement une voie occidentale de réalisation mais

mites du trouble à l’ordre public. Partant, et hors de ce cadre, il ne peut pas être porté atteinte à la liberté d’expression, qu’elle soit littéraire, artistique, et quel qu’en soit le support7.» Elles participent à la lutte contre les sectes et à leur démasquage «A une époque où les manipulations mentales de multiples groupes à caractère sectaire se développent de manière inquiétante, en particulier à destination de nos concitoyens les plus fragiles, il est inconcevable que des sectes, parmi les plus dangereuses, puissent échapper à la loi par des artifices juridiques, a fortiori involontaires8». Les femmes Franc-maçonnes sont engagées auprès du Planning Familial dont l’existence est menacée. Comme par le passé, elles luttent pour le droit à l’information, à l’éducation, à une sexualité épanouie, pour toutes et tous. Partout où elles le peuvent, elles aident à l’instruction des filles, à l’amélioration du sort de la jeunesse. «La scolarisation des enfants constitue une étape importante de construction de leur devenir. Celle‐ci doit se faire avec l’aide d’adultes crédibles qui font autorité sans être autoritaire, pour respecter et se faire respecter. La jeunesse, âge magique et fragile, représente un passage qui se doit être protégé. Dans une société où tout va toujours plus vite où le virtuel prend une place toujours croissante, il est important d’accompagner les jeunes dans un lien authen-

elle s’adresse aux êtres humains de tous les temps et de tous les lieux … Elle est bien le centre de l’union parce qu’elle choisit le rapprochement des êtres par la voie de la profondeur plutôt que par la voie de la surface…» rappelle au public de l’Evènement national du 8 mars 2009, la Grande Maîtresse qui fut, en son temps, à l’origine de la Rose des Vents » L’histoire de l’humanité est jalonnée de la difficile reconnaissance de la complémentarité et de l’égalité des hommes et des femmes. Une femme Franc-maçonne sait qu’elle est l’un des pôles de l’humanité, et que l’homme est l’autre pôle. Elle sait que par sa capacité à donner la vie, elle est en proximité avec l’univers des cycles et l’ordre du monde. Elle a conscience de son rôle d’éducatrice et de gardienne des valeurs familiales. Elle ne veut pas pour autant se cantonner à ces seuls rôles traditionnels qui la séparent radicalement de ceux des hommes. De nos jours, les études sur le genre rendent les frontières féminin / masculin beaucoup plus floues, les domaines réservés s’estompent. Mais la société si dure a plus que jamais besoin de s’ouvrir aux valeurs dites «féminines », à ce qui peut permettre de réintroduire du coeur et de l’attention, là où la sécheresse et l’inhumanité des calculs quantitatifs prennent de plus en plus d’importance. Et les femmes veulent avoir en toute conscience leur mot à dire dans cette réflexion actuelle de recadrage des valeurs


qui concerne aussi les hommes. «Une société qui met en avant «les valeurs de l’être » donne du sens à la vie, elle a pour objectif le bien être de chacun dans le respect de son voisin. Elle porte les valeurs de l’amour et de la solidarité, elle exalte la créativité de l’Homme au service du bien commun. Agir pour le bien commun, c’est veiller à ce que chacun de nos actes ne nuise ni à la nature, ni à ses ressources, ni à ses êtres vivants10». Toute femme doit avoir la possibilité de se poser elle-même la question de son plus complet épanouissement, de prendre conscience de sa richesse inté-

maçonnes, le travail intérieur est nécessaire et primordial, elles ne le dissocient pas des chantiers du monde profane. Dans la cité, chacune se comporte en son âme et conscience mais chacune se doit et c’est un devoir essentiel, d’agir hors de son atelier pour participer à une véritable solidarité et contribuer au progrès de l’humanité. Agir pour que règnent l ‘équité et la tolérance et que le mot «respect » prenne tout son sens. La G.L.F.F. est donc en toute conscience une obédience exclusivement féminine, elle sait l’importance que revêt son existence pour toutes les femmes n’importe où dans le monde Le travail sur soi

nous dissolvions notre spécificité dans un combat plus général, celui de l’émancipation humaine. Nous leur répondons, fraternellement, affirmait-elle non sans humour, oui votre combat est le nôtre et nous y combattons à vos côtés, d’autant plus et d’autant mieux

rieure, de sa dignité, de la place qu’elle doit et qu’elle veut occuper dans la société et dans le cosmos. Grâce à l’initiation, les femmes peuvent reprendre contact avec des aptitudes dont la vie trépidante et bruyante moderne les coupe, elles peuvent les retrouver et les cultiver pour une meilleure compréhension, une plus grande compassion, une perméabilité mieux contrôlée à tout ce qui relève de l’invisible. Elles peuvent en découvrir d’autres… utiles ici et maintenant L’initiation se vit à chaque instant de la vie… et la vie est là, mouvante et imaginative… Se regrouper entre femmes dans un lieu où la parole circule est une nécessité incontournable pour les Franc-maçonnes de la G.L.F.F. C’est une condition indispensable à celles qui en se dépouillant patiemment de leurs divers conditionnements, accèdent peu à peu à leur propre désir et construisent avec ferveur l’être libre qu’elles veulent devenir. C’est pour chacune, l’assurance d’une totale liberté d’expression hors toutes les pressions sociales. C’est pour toutes «la possibilité de cheminer vers une conscience plus forte d’ellesmêmes et de se forger une identité claire, libre, fière et créative. »11. Dans les loges, le symbole est un outil puissant pour cadrer et faire se déployer cette recherche. Parce qu’il a vocation à dire l’universel, il permet à chacune de découvrir et d’affirmer sa place de femme. Rien que sa place, mais toute sa place. Pour toutes les Franc-

se double d’un travail en commun qui génère des solidarités entre femmes, des besoins de dire, de faire, de construire entre femmes pour édifier un avenir de justice librement choisi. Et ce collectif féminin est générateur de joies et de complicités qui ne sont pas négligeables. L’humanité est double, elle est à la fois homme et femme. Les Franc-maçonnes reçoivent depuis toujours les hommes, leurs frères dans leurs Loges et la réciproque est loin d’être la règle. Toute société doit instaurer le partage pour fonctionner et doit mettre en place l’organisation qui lui convient le mieux pour subsister et se perpétuer dans le respect et la dignité de chaque être qui la compose. Ainsi les femmes doivent non seulement être présentes dans les débats et les responsabilités politiques mais elles doivent y être reconnues en tant que femmes Michelle Perrot montre bien que le silence des femmes est une construction, et que le briser, c’est réfléchir au rapport des sexes qui l’a établi, le questionner et inventer une relation plus juste. Faire avancer partout et toujours la spécificité de l’émancipation des femmes dans le cadre de l’émancipation de tous les êtres humains, c’est l’un de nos buts rappelait récemment la Grande Maîtresse de l’Obédience. «D’aucuns voudraient, sans doute parce qu’ils pensent que le combat de l’émancipation des femmes a déjà été gagné, que

pourra être réalisé équitablement sans que les femmes n’y soient totalement associées à parité en toute liberté. «Les femmes ne sont pas une minorité qu’il faudrait protéger elles ne sont pas non plus une classe ni un groupe de pression, elles sont la moitié de l’humanité et aucune démocratie ne saurait justifier qu’on l’oublie. » Gisèle Halimi (Texte préparé par une soeur de la CNHRM). ________________

Massonica que notre spécificité de femme est respectée. C’est là un préalable qu’il convient, ici et maintenant, encore, toujours, de faire admettre. » Tant il est sûr que rien ne

1 A Marseille, à Toulouse, à Brioude, par exemple 2 GLDF Archives Loge n°376 bis. Lettre de Jeanne Van Migom au frère Wellhoff 20 septembre 1921 3 L’une d’elles, le Général Peigné est mise en sommeil en 1946 4 Création 12 mars 1978 -33 fondatrices 5 Archives GLFF Livre d’architecture UMFF Congrès du 30 janvier 1946 p24 6 Marie Pascale Schu La bioéthique. 12 mars 2006 Soixantième anniversaire de l’obédience ; 7 Communiqué de presse commun GO DH GLFF GLMF du 6 octobre 2009 8 Communiqué de presse commun GO DH du 17 septembre 2009 9 Colloque «Le développement durable pour une planète fraternelle Quelle éducation pour un citoyen responsable » Clermont Ferrant 19 juin 2010 10 «Emergence d’une nouvelle gouvernance mondiale à travers les valeurs de la F.M. libérale et a dogmatique » 9 avril 2011 11 Colloque Ile-de -France 30 janvier 2009. Propos de Marie Claude Rip. ex-Présidente du CLIMAF.

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Intervista di Valerio Meattini sul testo ‘Croce e la mentalità massonica’ Leo Toscanelli

T

OSCANELLI – Lei ha ultimato la Sua fatica estiva e l’editore, l’Arco e la Corte di Bari, l’ha immediatamente pubblicata, e io sono qui a chiedergliene conto. MEATTINI – Implacabile. T. – Implacabile. Non Le sembra che nel volume, in tutto completo, ci sia però una lacuna? M. – Allude alla frase mai riportata nel libro e invece da Croce scritta e che suona “l’idiota religione massonica”?

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T. – Proprio a quella. Ha fatto il giro del mondo e Lei la trascura. M. – Guardi, Lei non sa quante volte sono stato lì lì per riportarla. Infine ha prevalso la mia avversione verso i luoghi comuni e gli slogans. Quella frase, che tutti ripetono, senza sapere dove e perché Croce l’abbia scritta, ha una storia. Croce era anche uomo che non le mandava a dire, ma di certo detestava quanto me gli slogans e le aggressioni verbali gratuite, mentre è in questo senso che la frase viene ripetu-

ta, dai massoni per adontarsene e dai non massoni per dileggio. Poiché Lei è entrato nel discorso gli ricostruisco il contesto. Croce recensì su “La Critica” gli Elementi di scienza politica, Bocca, Torino 1923 (pp. 374-78) di Gaetano Mosca, in una riedizione ampliata. Discutendo di vari problemi, tra cui metodo storico (che tiene conto dell’evoluzione, della lotta vitale e della dialettica) e metodo naturalistico; formazione di nuove classi dirigenti; decadenza del cristianesimo e nuovo sfondo religioso cui guardare (perché senza filosofia e senza religione non si può vivere), Croce avalla la tesi di Mosca che riconosce il patriottismo (inteso però, precisa Croce, nella dimensione etica e non naturalistica, etnica e capricciosa – chi oggi deve intendere, intenda!) come il maggior fattore di coesione dei popoli europei, dopo la decadenza del cristianesimo. Il patriottismo, e non le tre parole vuote: libertà, uguaglianza, fraternità “che formano la idiota religione massonica”, è il cemento dell’Europa per Croce. Lei vede bene come quei temi siano legati e come oneroso sarebbe stato svolgerli seriamente. Avrebbe portato almeno al doppio delle pagine del volume, e io non sono un carnefice degli editori volenterosi. Riportare quella sola frase senza contesto non avrebbe avuto alcun senso. Sarebbe suonata – e di fatto suona nelle citazioni correnti – come un’offesa gratuita, mentre io ho voluto mostrare come la polemica di Croce contro la mentalità massonica sia un impegnativo confronto culturale e non una polemica in cucina fra sguatteri. T. – Come al solito, Lei mette insieme tante cose e del povero lettore non tiene conto. Non sarebbe un buon dettagliante. M. – Sì, commercio all’ingrosso, ma non mi prenda in giro, ché queste cose Lei le sa meglio di me. Insomma, nell’Ottocento si parlò di massoneria come di un tentativo di nuova religione (non mi chieda ulteriori precisazioni in una semplice intervista) e Gian Mario Cazzaniga, proprio


alla fine del Novecento, firmando una delle migliori ricerche storiche (e ci tengo al corsivo) sulla massoneria l’ha intitolata La religione dei moderni (Pisa 1999). La questione c’è, come vede. Quel che voleva sottolineare Croce è che le religioni non si costruiscono artificialmente, ma nascono nel seno dello svolgimento storico. Il cristianesimo ha per lui avuto potenza storica, anzi l’ha radicalmente cambiata, la storia, perché sul patrimonio greco-romano ha sviluppato un elemento di novità e di grandiosa novità: la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza le acquistò una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all’umanità. La massoneria non ha apportato invece (per Croce) niente di nuovo, è ideo-logia del Settecento, illustra e propaga la filosofia di quel secolo, nulla aggiunge, anzi ripete e ripete anche quando l’orizzonte di quel secolo è stato superato (sempre a suo dire) dalla nuova visione storica della realtà. In sostanza, la massoneria è ormai inutile, il suo compito storico di rinnovare (rinnovare, badi bene, non apportare alcunché di nuovo) la fratellanza degli uomini (e fra poco preciserò anche questo tema) è già stato assolto. Croce non ha scelto a caso l’aggettivo ‘idiota’ per qualificare la religiosità massonica. Guardi, non è un mero insulto (anche se così suona), era un uomo dottissimo e con quell’aggettivo, che usava anche in modo deprezzante (questo non si può negare), voleva però – secondo l’etimo greco – indicare che si tratta di una visione privata delle cose, ad uso e consumo di un gruppo umano culturalmente attardato. La religiosità massonica è idiota perché non può essere più condivisa, non ha quell’universalità a cui ambisce e che soltanto gli eventi storici innovatori meritano di avere. Quel che Croce, credo, ha voluto dire con quella frase troppo nota e troppo poco capita è che si è tributato, e si veniva ancora tributando, un culto incongruo ad un’ideologia astratta e velleitaria, formata da tre parole altisonanti, ma non storicamente realizzabili. Si era fatta, e si continuava a fare, di un’ideologia, per di più velleitaria e vana, una religione; era questo che lo muoveva a sdegno intellettuale e armava la sua penna. Uomini che lui reputava intellettualmente mediocri – e che magari mediocri

di esponenti delle loro professioni, incolti perché incapaci di avere il passo della storia, incapaci di capire che nulla s’impone in astratto alla storia e le religioni non s’inventano a tavolino in un consesso di filosofi. Quanto ho detto è appena il necessario preambolo per parlare con contezza

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erano davvero, anche moralmente – si riempivano la bocca del più altisonante annuncio umano. Uno spettacolo intollerabile per il coltissimo e impegnato Croce. Nella recensione al libro di Mosca si dice anche che il patriottismo (che era per Croce, ripetiamo, il vero fattore di coesione dei popoli europei), avendo un’anima etica, tende a superare la forma storica contingente: da piemontese o napoletano a italiano, da italiano a occidentale, europeo, guardando anche al cosmopolitismo. Quindi, come vede, qualcosa di massonico Croce recupera. Però, precisa subito che le aspirazioni sono aspirazioni e la realtà è la realtà. La storia del suo tempo non giustificava (a suo pensare e dire) quell’astratto cosmopolitismo, quell’astratta fratellanza che, vanamente inseguita, produce il risultato di cui è vittima il cane della favola: perdere il pezzo di carne reale per addentarne il riflesso nell’acqua. Il cosmopolitismo era e rimaneva un’aspirazione di massoni incolti. Incolti, non perché non addottrinati e anche vali-

della frase di Croce che, e mi ripeto, non è un insulto (o non è soltanto un insulto), ma una precisa accusa culturale. Lei capisce quanto più ampio sarebbe stato il volume se avessi dovuto trattare seriamente quella pagina di Croce che oltretutto impegna su questioni di metodo storicopolitico e formazione di élites. Saremmo, senz’altro, andati oltre il tema che mi ero prefisso e senza alcun vantaggio per la sua comprensione perché la posizione di Croce sulla mentalità e l’ideologia massoniche, come l’ho esposta, è davvero completa in base ai testi che egli ha dedicato ad esse specificamente. Glielo lo confermo, m’irrita la riduzione a slogans di frasi che invece sono complesse ed è mortificante sentirle sulle bocca dei massoni per adontarsene e dei non massoni per ottenere facili vittorie. Proprio quel che Croce non voleva e nemmeno la massoneria, credo. T. – In effetti, anche a me il libro appare ben congeniato ai suoi scopi. Lei mostra bene che la polemica di Croce nei confronti della mentalità massonica è principalmente rivolta alla filosofia del Settecento di cui la massoneria sarebbe una sopravvivenza. Ma, Lei è d’accordo con Croce. M. – No, non sono d’accordo e nel libro spiego perché. È vero che la massoneria moderna è nata nel primo ventennio del Settecento, ma – lasciando da parte la questione che quella temperie culturale non può essere interpretata senz’altro al modo di Croce – c’è da dire che di quel secolo non ha ripetuto, come egli sostiene, in “formule trite e triviali” la filosofia, si è invece giovata dell’apporto delle risorse intellettuali e morali degli intelletti che l’hanno generosamente sostenuta e arricchita, si è nutrita degli umori del passato, ha invitato gli uomini a scegliersi responsabilmente la vita senza adagiarsi supinamente sulle proprie provenienze culturali. Grandi anime l’hanno scelta come via, veramente grandi anime, e se i massoni 75


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hanno voglia d’impegnarsi nell’elaborazione di una forma di vita seria, profonda, responsabile hanno un patrimonio che è all’altezza delle loro aspirazioni e che non si riduce alla ripetizione in forma di mantra (oggi si dice così, no?) delle tre parole. C’è ben altro nel patrimonio liberomuratorio; per denti forti c’è cibo sostanzioso, ma bisogna averli, i denti, e occorre volerli usare. T. – Lei è un po’ andato avanti, verso le conclusioni. Facciamo un passo indietro. Perché quelle due Lezioni di Fichte nell’Appendice dei Testi? M. – Perché Fichte aveva còlto la questione su cui Croce s’appunta per dichiarare l’inferiorità intellettuale e morale della massoneria. Fichte si chiede – e siamo alla fine del Settecento – in che modo il libero muratore possa preservare la sua piena umanità in un’epoca che va verso la specializzazione crescente e verso linguaggi che quelle specializzazioni esprimono. Fichte ragiona così: le specializzazioni servono alla società, ma limitano gli individui, cioè: mentre ognuno di noi sa sempre meglio fare una cosa (in cui si specializza, appunto) e potenzia e arricchisce la società di cui fa parte, egli, come individuo, come singolo uomo, s’impoverisce perché pretende di parlare della realtà e di capirla usando il linguaggio delle sue specifiche competenze, ma in tal modo strozza la realtà nel proprio linguaggio professionale e s’intende davvero soltanto con coloro che parlano quello stesso linguaggio. La comunione umana è frantumata: tanti competenti in ambiti specifici di vita, tutti incompetenti però in umanità. E allora? Allora, dice Fichte, c’è bisogno di una 76

comunità più ristretta in cui i partecipanti che vengono dal mondo profano delle professioni e dei mestieri sono costretti a tradurre quanto hanno da dire in una lingua terza: la lingua dei simboli. In tal modo hanno l’occasione di autotrascendersi, di non identificarsi, cioè, con le categorie specifiche della propria dimensione professionale profana. Possono guarda-

re, aggiungo, con liberatrice ironia alla propria vita profana e percorrere la via di una più completa e ricca riacquisizione di umanità. Prevengo una sua domanda, Fichte non dice che soltanto i massoni possono fare questo, dice invece che i massoni, se entrano con la dovuta serietà nei templi, sono facilitati dal mondo simbolico con cui devono interloquire a raggiungere quel risultato. Io sono d’accordo con Fichte e, quindi, anche se apprezzo alcuni aspetti e soprattutto le intenzioni di Croce nella sua polemica (dare all’Italia “una soda cultura storica e politica”) non posso essere d’accordo con lui. Ci sono anche ragioni specifiche riguardanti la concezione della storia per cui non posso essere d’accordo con lui, ma mi permetta, in questo contesto, di tralasciarle. T. – Glielo permetto. Il Suo libro, devo dire, tocca tanti altri temi di proposito e altri li lascia intravedere. Ne risulta un contributo, se vogliamo guardare al piano politico e sociale, per la comprensione dell’età detta giolittiana. È meglio, però, non aprire qui a questi temi e restare alla prospettiva iniziatica. L’ultimo punto della nostra chiacchierata Lei lo ha già un po’ anticipato. Massoneria e liberazione, che ne dice? M. – Ne dico quel che ho detto nel libro. Mi sembra che la massoneria sia un’ottima

via per liberarsi dalle ossessioni identitarie (uso il linguaggio corrente, che non mi piace tanto, ma un po’ d’indulgenza verso questo tempo che ha impoverito la lingua bisogna pur averla). Oggi è facile sentir elevare peana alle provenienze culturali, ma, se ci pensiamo bene, esse sono gabbie o se vuole stampi che tendono a plasmare al loro modo gli uomini. Le provenienze culturali tendono a riprodurre modelli fissi. Sono rassicurate dalla ripetizione e tendono a farsi persecutrici dell’originalità e della forza novatrice d’individui più umanamente ricchi e lungimiranti. Io sono maremmano, ma ho studiato a Pisa, Napoli, Torino, Heidelberg, la mia ricchezza (se mi si concede di aver imparato qualcosa) viene dai mondi che hanno infranto il mio piccolo guscio. Conosco i Sufi e la cultura ebraica e per trent’anni ho letto Platone. Come mi appare piccola la mia Maremma! Devo ringraziare tutti gli uomini e le culture che mi hanno liberato dal mio piccolo mondo. Non insisto a parlare di me, era solo un modo di esemplificare. Voglio dire che l’uomo non può essere ripetizione, ma progetto. Martinetti diceva che non si nasce uomini, “qualcuno muore uomo”. Capisce? Muore uomo chi si è realizzato in umanità, non chi è nato “da donna”. Se vuole, glielo esprimo nella formula del buddhismo: la rinascita (per me, la nascita) umana è preziosa perché permette un cammino di liberazione. La massoneria intesa come via di liberazione, come possibilità di trascendimento dell’egoismo e della propria individuale prospettiva, e per la progettualità responsabile che impone agli ascritti è, dunque, ben altro dall’idolo polemico contro cui Croce credé doveroso combattere. T. – È una delle vie? M. – Domanda tendenziosa. Lei sa che io non sono un relativista e neppure Lei lo è. Per come mi ha posto la domanda dovrei rispondere che è uno dei sentieri che convergono sulla Via (l’uso delle maiuscole è sempre insidioso!) Se le vie fossero tante quante oggi si dice che siano non vi sarebbe nessuna via, ma un farneticante viluppo di vicoli ciechi. Siamo seri, per favore. T. – Allora, per esser seri, Le annuncio che il nostro prossimo incontro verterà su questo tema. P.75: Benedetto Croce (Pescasseroli, 25 febbraio 1866 – Napoli, 20 novembre 1952); p.79: Johann Gottlieb Fichte (Rammenau, 19 maggio 1762 – Berlino, 27 gennaio 1814).


Corto Maltese et les secrets de l’initiation Musée de la franc-maçonnerie, Paris 2012; pp. 52, illustrato, €. 10,00.

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l Musée de la franc-maçonnerie del Grand Orient de France ha organizzato una mostra dedicata ad Hugo Pratt e al suo più celebre personaggio; l’esposizione sarà aperta al pubblico dal 15 Febbraio al 15 Giugno (rue Cadet 16, Paris IX). Per l’occasione lo stesso Musée de la franc-maçonnerie ha pubblicato un’opera dedicata al grande autore veneziano dal titolo: Corto Maltese et les secrets de l’initiation. Imagines et franc – maçonnerie a Venise autour d’Hugo Pratt. Il libro presenta i seguenti contributi: Guy Arcizet, Hugo, Corto e la francmaçonnerie; Jean-Marc Binot, Repères biographiques: Pratt in vingt dates;

Dominique Petifaux, Hugo Pratt ou l’initiation compare; Luigi Pruneti, Conversation initiatique avec Corto; Joel Gregogna, Corto et l’initiation; Emmanuel Pierrat, Initiation d’ailleurs; Thierry Zarcone, Corto chez les derviches; Luigi Danesin, Le frère Hugo Pratt; Yves Hivert-Messeca Pierre Mollier, Fable de Venise; Pierre Mollier, L’ènigme du baron Corvo; Yves Hivert-Messeca, Le fascisme contre la franc-maçonnerie; Pierre Mollier, Mystères et symboles; Jean-Marc Binot, Lyon–Venise, périple imaginaire; Pierre Mollier Joy Porter, Wheeling. Les indiens d’Amérique et la franc-maçonnerie; Jack Chaboud, La franc-maçonnerie dans la bande dessinée: Les frères de papier. Ogni capitolo del libro è una sorta d’itinerario intorno e dentro al personaggio Corto Maltese, capace di svelare la magica ed avvincente complessità dell’opera del Fratello Hugo Pratt, iniziato dalla R.L. “Hermes” all’Oriente di Venezia il 19 Novembre 1976 E.V.

DVD Video: Socrate Film di Roberto Rossellini

Intervista a Luigi Pruneti Dietro le quinte di Socrate Il contesto storico Documenti. “Una inesauribile sete di conoscenza accomuna il grande filosofo ateniese e il saggio regista. Autore di un ritratto autorevole e accurato di colui che “sa di non sapere”. Socrate è il tassello fondamentale per comprendere temi e motivi del progetto rosselliniano di raccontare la storia dell’evoluzione del pensiero e dell’umanità attraverso un ciclo di film. Nell’Atene del 400 a.C. Socrate travolge le strutture del conformismo imperante e fa del dubbio il motore del suo pensiero, utilizza il dialogo come strumento d’indagine per scalfire certezze e preferisce bere la cicuta piuttosto che esiliare perché è meglio subire ingiustizia piuttosto che farla ed è ignobile sottrarsi alle leggi dell’uomo. Roberto Rossellini, esattamente come il sommo pensatore, esercita la sua ricerca della verità scavando nei volti e nell’animo dei protagonisti della nascita del pensiero occidentale” [dalla quarta di copertina] Un film attualissimo, per riflettere ed interrogarsi sulla libertà di pensiero e sulla dignità dell’uomo.

Socrate, regia di Roberto Rossellini 1970, tratto dai Dialoghi di Platone Con Jean Sylvere, Anne Caprile, Riccardo Palacio, Bepy Mannaiuolo. Adattamento di Roberto Rossellini e Maria Grazia Bornigia. Sceneggiatura di Roberto Rossellini e Marcella Mariani. Scenografia di Giusto Puri Purini e Bernardo Ballester. Musiche di Mario Nascinbene. Produzione Renzo Rossellini Jr. per ORIZZONTE 2000/Rai (Roma) O.R.T.F. (Parigi) T.V.E. (Madrid). Flamingo Video – Cinecittà Luce – Univideo.

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ontenuti speciali Menù interattivi e animati Accesso diretto a 16 scene Intervista a Renzo Rossellini 77


UFO ed extraterrestri Ufologia e fenomeni connessi, rapporti e documenti ufficiali, astrobiologia e SETI, intelligence e scenari di contatto alieno Roberto Pinotti De Vecchi / Giunti Editore, Firenze 2012, rilegato, pp.512, Euro 16,50

Recensioni

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ggi che l’argomento della vita intelligente nell’universo è di sempre più incalzante attualità, con la continua scoperta di “esopianeti” di altri sistemi solari sempre più prossimi e simili alla Terra (fino a ieri pressoché esclusi dalla scienza) e con il Direttore della Specola Vaticana (l’astronomo in abito talare Luis Funes) che afferma su L’Osservatore Romano che il cosmo brulica di vita e che presto dovremo dare certamente il benvenuto ai “nostri fratelli” dello spazio, l’ultimo libro di Roberto Pinotti giunge a proposito. Su richiesta specifica e personale dell’editore Giunti, infatti, l’Autore ha realizzato una vera e propria “summa” che fa il punto rispetto agli oltre 30 saggi da lui finora pubblicati in edizione popolare (dagli Oscar Mondadori alla Biblioteca Universale Rizzoli). Tutto quello che di più serio, valido, concreto e documentato si deve sapere sulla questione è infatti diligentemente raccolto ed esposto in questo corposo volume che, illustrato con foto a colori e rilegato, ha un prezzo estremamente contenuto. Non manca in appendice un “Dizionario” prezioso per orientarsi. Lo scopo è liquidare una volta per sempre i luoghi comuni e nobilitare, documentando il carattere estraneo, intelligente e tecnologico ed avanzato del problema UFO, la destabilizzante “ipotesi extraterrestre” sul tema temuta da Autorità allarmate ed osteggiata dal preconcetto di scettici superficiali e disinformati ormai in via di estinzione. Mentre adesso i Governi di tutto il mondo ammettono uno dopo l’altro la realtà ignota dei fenomeni UFO ed anzi aprono i loro archivi ufficiali (Italia compresa), la sconvolgente proprietà dei neutrini (riscontrata al CERN) di superare la velocità della luce fa oggi cadere infine anche l’ultima obiezione secondo cui (in virtù delle abissali distanze stellari colmabili solo da velocità di spostamento 78

superiori a 300.000 km. al secondo) esseri extraterrestri che pur certo esistono non potrebbero mai raggiungere la Terra dalle stelle. Per chiunque si definisce “cittadino del mondo” il non sentirsi solo in un universo vuoto e il potersi considerare “cittadino dello spazio” è in fondo una bella prospettiva. Ricordiamo infine come in De l’infinito universo et mondi Giordano Bruno affermasse che gli spazi cosmici sono abitati da esseri che stanno all’Uomo come questo sta agli animali. Nel 1600 la Chiesa lo arse sul rogo. Oggi, di fatto lo rivaluta (senza neanche citarlo). Un segno dei tempi…

Chiesa Romana Cattolica e Massoneria: Realmente così diverse? Mauro Biglino Infinito Records Edizioni, Collegno (Torino) 2009, in brossura, pp. 110, Euro 11.

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l libro è piccolo ma sintetico ed è indirizzato a tutti coloro che desiderano approfondire per poter comprendere e scoprire quanto spesso la realtà, oltre ogni approccio superficiale, sia in effetti profondamente differente da ciò che comunemente si crede e si dice. Da circa 30 anni l’Autore (traduttore professionale dall’ebraico antico più volte utilizzato dalle Edizioni San Paolo per numerose rivisitazioni e pubblicazioni testuali dei libri dell’Antico Testamento dalla cosiddetta “Bibbia Stuttgartensia”) si occupa con indiscussa competenza di storia delle

religioni e da più di dieci si è interessato alla Massoneria in quanto organizzazione iniziatica e simbolica che ha avuto una più che notevole influenza nelle vicende storiche e culturali dell’Occidente. Il che avrà evidentemente sconcertato non poco i suoi datori di lavoro delle “Paoline” concettualmente non troppo disponibili verso una Istituzione temuta per i propri principi che ha innescato le Grandi Rivoluzioni del Settecento e creato il moderno Stato Liberale, portando fatalmente alla fine del potere temporale del Papa-Re. Il quale non poteva certo premiarla per questo. Su tali premesse si fonda, com’è noto, l’opinione generale e comune che la Chiesa Cattolica Romana sia tradizionalmente ostile alla Libera Muratoria, ma Biglino rileva come ciò, nonostante alcuni documenti pubblicati sul sito del Vaticano, le Esortazioni apostoliche dell’attuale pontefice, la Dottrina sociale della Chiesa, il libro-intervista di papa Giovanni Paolo II “Varcare la soglia della speranza” nonché le dichiarazioni pubbliche e gli scritti di diversi alti prelati del Cattolicesimo odierno (dal Cardinale Bagnasco al Cardinale Martini) abbiano fatto nondimeno comprendere appieno che molte sue indicazioni programmatiche trovano in realtà una sorprendente corrispondenza nelle dottrine massoniche ufficialmente condannate. E allora? Biglino approfondisce diligentemente il discorso in quest’opera snella e di facile lettura che intriga e merita sicuramente una doverosa attenzione.


R.L. Magistri Comacini Oriente di Como

fra gli opposti; a un composto che conserva la doppia natura dei componenti e, nella loro unione, ne moltiplica le possibilità. Essere ermafrodito. Bicefalo. Il lucido e l’opaco. Il sole e la luna. Il principio maschile e il principio femminile. Dal confronto fra opposti può nascere una duratura armonia. La rinascita è più importante della nascita.

R.L. La Fenice Oriente di Rovato

lo dell’equilibrio da raggiungere per sé stessi e sul mondo che ci circonda; il compasso è emblema dell’attributo delle attività creatrici; insieme rappresentano l’armonia del cielo e della terra, del tempo e dello spazio. Il volo della Fenice verso il Sole: dotata dell’equilibrio armonico della sinergia di squadra e compasso, la Fenice risorta inizia a librare le sue ali dall’ombra dell’acacia verso il suo alto destino, verso il logos, verso la Grande Opera.

R.L. Principe A.De Curtis Oriente di Rovato

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a rinascita: simbologia e tradizione centenaria. È non solo naturale ma giusto che la “rinascita” venga sentita come più importante della nascita, e spesso realmente lo è. Mentre la nascita è frutto dell’incrocio casuale dei destini, la rinascita è sempre impegno di rifondazione, superamento del puro vissuto, espressione di fede nei valori. La Loggia lavora a Como, nella sfera d’azione o forse nella patria stessa dei Magistri Comacini e lasciamo agli eruditi di stabilire se l’aggettivo indichi l’origine geografica di questa corporazione o non ne segnali piuttosto le modalità operative, il lavoro cum machinis, ovvero con l’uso di specifici strumenti e tecniche delle operazioni edificatorie. Costruivano pietra su pietra con gli occhi rivolti verso alto, consapevoli di collaborare al piano creativo del sommo Architetto. A questa tensione mentale e fisica fa riferimento l’araldico, nonché acrostico A.G.D.G.A.D.U. Non poteva mancare nel nostro emblema un’allusione biblica alla costruzione del Tempio di Salomone con le colonne J e B, ben note ai nostri Fratelli e Sorelle. È la forza della rigenerazione. Il primo movimento è la discesa alle radici: la colonna misteriosamente si anima – dal basso, attingendo alla forza della terra – al fine di generare un’altra figura, quella del rebis, mescolanza di due cose opposte fra loro. Il secondo movimento è la mutazione: la colonna diventa serpente, come se dai nodi si originasse l’animalità avviluppante del rettile, allo stesso tempo elemento tematico, narrativo e simbolico dei Magistri, ma anche elemento contradditorio, se solo pensiamo al serpente della Genesi. La colonna dunque si anima e si divide, e ciò facendo dà vita a un matrimonio alchemico

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escrizione sintetica del gioiello. Un cerchio racchiude al centro l’uccello mitico che vola verso il sole; all’altezza delle ali della Fenice sono situate la squadra e compasso; all’interno del cerchio, sulla circonferenza e a destra vi è un ramo di acacia, mentre a sinistra il nome LA FENICE. Significati Simbolici Il Cerchio: esso rappresenta ciò che ha contemporaneamente principio e fine: l’eterno soffio della divinità; il mondo spirituale - invisibile - trascendente; il tempo; l’universo e la Grande Opera; è simbolo del trionfo della vita eterna sulla morte. Psicologicamente ognuno ha dentro di sé una Fenice che gli permette di sopravvivere a ogni istante e di sconfiggere tutte quelle morti parziali costituite dai cambiamenti. La Fenice si collega all’opera al rosso dell’alchimia, altro simbolo di continua rigenerazione e di cammino iniziatico di perfezionamento. Il Sole: in quanto simbolo della luce, è l’origine delle cose e della ragione; è una forza eroica e generosa che crea e governa. In quanto simbolo del fuoco, esso purifica e rigenera e diventa espressione del logos. L’acacia: essa evoca il sole e il ramo d’oro, simbolo della vita che rifiuta di estinguersi, della trasformazione che conduce alla luce. Conoscere l’acacia significa possedere il segreto del dominio facendo rivivere in sé stessi la saggezza iniziatica. Squadra e Compasso: la squadra è il simbo-

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n cerchio racchiude un cappello a bombetta un po’ inclinato, sotto una livella, una squadra e compasso, il tutto attraversato dai raggi del sole nascente. Ma esaminiamo i simboli. Il Cerchio rappresenta allegoricamente e come un ideale Uroboro ciò che finisce ed inizia allo stesso momento così come l’eterno soffio del divino; il mondo spirituale, immanente e non visibile; il tempo inteso in senso Tradizionale; l’universo e la Grande Opera. Il cappello a bombetta era l’inseparabile compagno del Fratello Totò, ovvero quasi il simbolo che lo distingueva. La livella rappresenta il riferimento, da una parte, alla celebre poesia scritta dal principe, mentre dal punto di vista puramente esoterico, è l’emblema dalla vita esteriore e della vita di relazione, ma in un significato più alto di quello riferito al braccio orizzontale della squadra di lavoro. Simbolicamente serve ad un lavoro di allineamento dei propri pensieri e delle proprie emozioni. Il sole: simbolo luminoso, è nel contempo origine sia della materia che della ragione; simbolo del fuoco esso rettifica, purifica e simboleggia il logos. In senso rotatorio quasi a comprendere tutto il cerchio, è incisa la scritta: R.L. PRINCIPE A.DE CURTIS OR.DI ROVATO e Squadra e Compasso in grado di Compagno chiudono la descrizione.

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R.L. Principi Rosa Croce Oriente di Milano

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l fregio di Loggia è in forma circolare in cui sono rappresentate la croce sormontata dalla squadra e dal compasso con la rosa mistica campeggiante al centro del sigillo. La scelta di

R∴L∴ 14 Juillet Or∴di Savona R∴L∴ 4 Giugno 1270 R.G. Or∴di Viterbo R∴L∴ Ab Initio Or∴di Portoferraio R∴L∴ Ad Justitiam Or∴di Lucca R∴L∴ Aetruria Nova Or∴di Versilia R∴L∴ Alef Or∴di Viareggio R∴L∴ Alma Mater Or∴di Arezzo R∴L∴ Anita Garibaldi Or∴di Firenze R∴L∴ A.Garibaldi/A.Giulie Or∴di Livorno R∴L∴ Antares Or∴di Firenze R∴L∴ Antropos Or∴di Forlì R∴L∴ Archita Or∴di Taranto R∴L∴ Aristotele II Or∴di Bologna R∴L∴ Astrolabio Or∴di Grosseto R∴L∴ Athanor Or∴di Brescia R∴L∴ Athanor Or∴di Cosenza R∴L∴ Athanor Or∴di Pinerolo R∴L∴ Athanor Or∴di Rovigo R∴L∴ Athena Or∴di Pinerolo R∴L∴ Atlantide Or∴di Pinerolo R∴L∴ Audere Semper Or∴di Firenze R∴L∴ Augusta Or∴di Torino R∴L∴ Aurora Or∴di Genova R∴L∴ Ausonia Or∴di Siena R∴L∴ Ausonia Or∴di Torino R∴L∴ C. B.Conte di Cavour Or∴di Arezzo R∴L∴ C. Rosen Kreutz Or∴di Siena R∴L∴ Carlo Fajani Or∴di Ancona R∴L∴ Cartesio Or∴di Firenze R∴L∴ Cattaneo Or∴di Firenze R∴L∴ Cavour Or∴di Prato R∴L∴ Cavour Or∴di Vercelli R∴L∴ Chevaliers d’Orient Or∴di Beirut R∴L∴ Cidnea Or∴di Brescia R∴L∴ Clara Vallis Or∴di Como R∴L∴ Concordia Or∴di Asti R∴L∴ Corona Ferrea Or∴di Monza R∴L∴ Cosmo Or∴di Argentario Albinia R∴L∴ Costantino Nigra Or∴di Torino R∴L∴ D.Di Marco Or∴di Piedim.Matese R∴L∴ Dei Trecento Or∴di Treviso R∴L∴ Delta Or∴di Bologna R∴L∴ Eleuteria Or∴di Catania R∴L∴ Eleuteria Or∴di Pietra Ligure

questi simboli deriva dal desiderio di accostarsi ed approfondire la Fratellanza e la ricerca dei Rosacroce, cavalieri costantemente erranti sulla via della conoscenza, e di ricordarci il nostro essere di eterni viandanti sulle strade della gnosi. La croce, principio spirituale essoterico con le sue braccia che si possono prolungare all’infinito ed al cui centro è posta la rosa, esprime l’idea dell’universo e, quindi, dell’universalità e dell’equilibrio della nostra Obbedienza. Solo seguendo il percorso e l’esempio rosacruciano l’Uomo potrà raggiungere lo stato di beatitudine spirituale. La squadra ed il compasso sulla croce simboleggiano la copertura della Loggia contro le insidie, le passioni ed i pregiudizi profani e ci ricordano che i Massoni, utilizzando simbolicamente questi strumenti, possono costruire il

R∴L∴ Emanuele De Deo Or∴di Bari R∴L∴ Enrico Fermi Or∴di Milano R∴L∴ EOS Or∴di Bari R∴L∴ Erasmo Or∴di Torino R∴L∴ Ermete Or∴di Bologna R∴L∴ Etruria Or∴di Siena R∴L∴ Excalibur Or∴di Trieste R∴L∴ Falesia Or∴di Piombino R∴L∴ Fargnoli Or∴di Viterbo R∴L∴ Fedeli d’Amore Or∴di Vicenza R∴L∴ Federico II Or∴di Firenze R∴L∴ Federico II Or∴di Jesi R∴L∴ Fenice Or∴di Spotorno R∴L∴ F.Rodriguez y Baena Or∴di Milano R∴L∴ Fidelitas Or∴di Firenze R∴L∴ Fratelli Cairoli Or∴di Pavia R∴L∴ Galahad Or∴di Roma R∴L∴ G.Ghinazzi Or∴di Roma R∴L∴ G.Mazzini Or∴di Livorno R∴L∴ G.Mazzini Or∴di Parma R∴L∴ G.Biancheri Or∴di Ventimiglia R∴L∴ G.Bruno - S.La Torre Or∴di Roma R∴L∴ G.Papini Or∴di Roma R∴L∴ Garibaldi Or∴di Castiglione R∴L∴ Garibaldi Or∴di Cosenza R∴L∴ Garibaldi Or∴di Toronto R∴L∴ Gaspare Spontini Or∴di Jesi R∴L∴ Giordano Bruno Or∴di Catanzaro R∴L∴ Giordano Bruno Or∴di Firenze R∴L∴ Giordano Bruno Or∴di R.Calabria R∴L∴ Giosuè Carducci Or∴di Follonica R∴L∴ Giovanni Bovio Or∴di Bari R∴L∴ Giovanni Pascoli Or∴di Forlì R∴L∴ Giovanni Risi Or∴di Firenze R∴L∴ Giustizia e Libertà Or∴di Roma R∴L∴ Goldoni Or∴di Londra R∴L∴ Graal Or∴di Livorno R∴L∴ Herdonea Or∴di Foggia R∴L∴ Hiram Or∴di Bologna R∴L∴ Hiram Or∴di Sanremo R∴L∴ Hispaniola Or∴di Santo Domingo R∴L∴ Horus Or∴di Padova R∴L∴ Horus Or∴di Pinerolo R∴L∴ Horus Or∴di R.Calabria

loro percorso iniziatico sulla strada della rettitudine e della morale. La rosa centrale rappresenta l’Amore che i Liberi Muratori debbono sempre mettere in campo al fine di contribuire all’affermazione di una società sempre più giusta per il progresso ed il benessere dell’intera umanità. Sul recto del fregio è riportato il titolo distintivo della Loggia , che ha alzato le sue colonne nel lontano 25 marzo 1949, seconda Loggia costituita all’Oriente di Milano. Al centro di questa seconda faccia della medaglia ed all’interno della squadra e del compasso ivi raffigurati, è simboleggiata la Vera Luce che rischiara il cammino dei Massoni per far cadere il velo dell’ignoranza sulla via della verità e della conoscenza utilizzando il metodo tramandataci dai Rosacroce.

R∴L∴ Humanitas Or∴di Pistoia R∴L∴ Humanitas Or∴di Treviso R∴L∴ Ibis Or∴di Torino R∴L∴ Il Cenacolo Or∴di Pescara R∴L∴ Il Nuovo Pensiero Or∴di Catanzaro R∴L∴ Internazionale Or∴di Sanremo R∴L∴ Iter Virtutis Or∴di Pisa R∴L∴ Jakin e Boaz Or∴di Milano R∴L∴ Kipling Or∴di Firenze R∴L∴ La Fenice Or∴di Bari R∴L∴ La Fenice Or∴di Chieti R∴L∴ La Fenice Or∴di Forlì R∴L∴ La Fenice Or∴di Livorno R∴L∴ La Fenice Or∴di Pieve a Nievole R∴L∴ La Fenice Or∴di Rovato R∴L∴ La Prealpina Or∴di Biella R∴L∴ La Silenceuse Or∴di Cuneo R∴L∴ Le Melagrane Or∴di Padova R∴L∴ Leonardo da Vinci Or∴di Taranto R∴L∴ Libertà e Progresso Or∴di Livorno R∴L∴ Liguria Or∴di Orspedaletti R∴L∴ Logos Or∴di Milano R∴L∴ Luce e Libertà Or∴di Potenza R∴L∴ Luigi Alberotanza Or∴di Bari R∴L∴ Luigi Spadini Or∴di Macerata R∴L∴ Lux Or∴di Firenze R∴L∴ M’’aat Or∴di Barletta R∴L∴ Magistri Comacini Or∴di Como R∴L∴ Manfredi Or∴di Taranto R∴L∴ Melagrana Or∴di Cosenza R∴L∴ Melagrana Or∴di Torino R∴L∴ Minerva Or∴di Cosenza R∴L∴ Minerva Or∴di Torino R∴L∴ Monviso Or∴di Torino R∴L∴ Mozart Or∴di Genova R∴L∴ Mozart Or∴di Roma R∴L∴ Mozart Or∴di Torino R∴L∴ Navenna Or∴di Ravenna R∴L∴ Nazario Sauro Or∴di Piombino R∴L∴ Nino Bixio Or∴di Trieste R∴L∴ Oltre il Cielo Or∴di Lecco R∴L∴ Omnium Matrix Or∴di Milano R∴L∴ Orione Or∴di Torino R∴L∴ Palermo Or∴di Palermo

R∴L∴ Per Aspera ad Astra Or∴di Lucca R∴L∴ Petrarca Or∴di Abano Terme R∴L∴ Pietro Micca Or∴di Torino R∴L∴ Pisacane Or∴di Udine R∴L∴ Pitagora Or∴di Cosenza R∴L∴ Polaris Or∴di Livorno R∴L∴ Polaris Or∴di Reggio Calabria R∴L∴ Principe A.DeCurtis Or∴di Rovato R∴L∴ Principi RosaCroce Or∴di Milano R∴L∴ Prometeo Or∴di Lecce R∴L∴ Re Salomone /F.Nuove Or∴di Milano R∴L∴ Risorgimento Or∴di Milano R∴L∴ Ros Tau Or∴di Verona R∴L∴ S.Giovanni Or∴di Bass.d.Grappa R∴L∴ Sagittario Or∴di Prato R∴L∴ Salomone Or∴di Catanzaro R∴L∴ Salomone III Or∴di Siena R∴L∴ San Giorgio Or∴di Genova R∴L∴ San Giorgio Or∴di Milano R∴L∴ Saverio Friscia Or∴di Sciacca R∴L∴ Scaligera Or∴di Verona R∴L∴ Sibelius Or∴di Vercelli R∴L∴ Sile Or∴di Treviso R∴L∴ Silentium et Opus Or∴di Val Bormida R∴L∴ SmiDe Or∴di Stra R∴L∴ Teodorico Or∴di Bologna R∴L∴ Themis Or∴di Verona R∴L∴ Trilussa Or∴di Bordighera R∴L∴ Triplice Alleanza Or∴di Roma R∴L∴ Ugo Bassi Or∴di Bologna R∴L∴ Ulisse Or∴di Forlì R∴L∴ Umanità e Progresso Or∴di Sanremo R∴L∴ Uroboros Or∴di Milano R∴L∴ Valli di Susa Or∴di Susa R∴L∴ Venetia Or∴di Venezia R∴L∴ Vincenzo Sessa Or∴di Lecce R∴L∴ Virgilio Or∴di Mantova R∴L∴ Vittoria Or∴di Savona R∴L∴ Voltaire Or∴di Torino R∴L∴ XI Settembre Or∴di Pesaro R∴L∴ XX Settembre Or∴di Torino R∴L∴ Zenith Or∴di Cosenza R∴L∴ Zodiaco Or∴di Pinerolo


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