Officinae 2015 Giugno

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Trimestrale internazionale di attualità , storia e cultura esoterica — Anno XXVII - Giugno 2015 - n.1/2


Trimestrale internazionale di attualità, storia e cultura esoterica Anno XXVII - numero 1/2 - Giugno 2015 Direttore Editoriale ANTONIO BINNI Direttore Responsabile LUIGI PRUNETI Segreteria di Redazione ROBERTO PINOTTI SIMONE TADDEI Consulente Legale IVAN IURLO Comitato Scientifico VINCENZO CIANCIO ALDO ALESSANDRO MOLA PAOLO ALDO ROSSI IDA LI VIGNI PAOLO MAGGI RENATO ARIANO hanno collaborato a questo numero ADRIANA ALESSANDRINI MARCELLA ANDREINI RENATO ARIANO LUCIO ARTINI WALTER BENCINI ANTONIO BINNI ARISTIDE CECCANTI RICCARDO CECIONI MAXINE GILHUYS NOTARBARTOLO IVAN IURLO PAOLO MAGGI SERGIO MARAZZI VERONICA MESISCA ALDO ALESSANDRO MOLA ROBERTO MOTTA SOSA HÜSEYIN ÖZGEN ELISABETTA PABIS TICCI LIDIA PARENTELLI LUIGI PRUNETI PAOLO ALDO ROSSI ANNALISA SANTINI JEAN MARC SCHIVO ANTONINO ZARCONE ISABELLA ZOLFINO progetto e realizzazione PAOLO DEL FREO , Direzione, Redazione, Amministrazione: via S.Nicola de Cesarini, 3 ˛ 00186 Roma tel. 06.688.058.31 06.689.3249 fax 06.687.9840 www.granloggia.it of–cinae.granloggia.it of–cinae@granloggia.it direttore.of–cinae@granloggia.it redazione.of–cinae@granloggia.it Reg. Tribunale di Roma n° 155 del 24/3/1989; Autorizzazione postale 50% Finito di stampare nel mese di Giugno 2015 presso: Grafiche Zanini Srl √ Via Emilia 41, 40011 Anzola Dell»Emilia (BO) , Il materiale inviato anche se richiesto non si restituisce. Il materiale da pubblicare deve essere spedito all indirizzo della Redazione di Officinae. La Redazione informa che il contenuto degli articoli della rivista rispecchia le opinioni dei singoli autori. La Redazione di Officinae resta a disposizione degli aventi diritto per le fonti iconografiche di cui non si abbia la reperibilità. IN COPERTINA Pretiosissumum Donum Dei [1415] di Georges Aurach de Strasbourg; tavola V: Nigredo transparens. Laura De Santi 2012, formella smaltata a engobbi e cristallina, collezione privata.


22 - L.Pruneti: Nigredo 24 - A.Binni: Guardare al passato... 26 - A.A.Mola: Il 1925 18 - A.Ceccanti: La Loggia Pisana “Azione e Fede” 22 - I.Zolfino: Massoneria e Rivoluzione... 26 - L.Pruneti: Sciabole, preti e massoni 32 - A.Zarcone: Sante Ceccherini 36 - A.Santini: Alla ricerca di una storia perduta 46 - H.Özgen: Il Supremo Consiglio per la Turchia 50 - R.Motta Sosa: Impero Ottomano 66 - E.Pabis Ticci,R.Cecioni: Applauso o... 70 - W.Bencini: Massoneria perduta... 82 - M.Andreini: Costruire il Tempio 86 - R.Ariano: I vari livelli della Massoneria 92 - P.A.Rossi: Il riso sardonico 96 - L.Artini: Le lettere all’Ordine del Tempio 102 - L.Pruneti: Dante in soffitta 106 - P.Maggi: Lete e Mnemosyne... 110 - V.Mesisca: Mademoiselle Connaissance 114 - J.M.Schivo: Victor Horta... 130 - M.Gilhuys Notarbartolo: Il tavolo di Leicester 140 - I.Iurlo: Imparzialità e segretezza 146 - V.Mesisca: Meeting di Atene 152 - In Biblioteca 159 - Fregi di Loggia


gni scelta implica una rinuncia,

In seguito l’iniziato conoscerà la Fontana

ogni rinuncia implica dolore. Il

mercuriale, l’Albedo e la Rubedo; tuttavia,

seme per diventare pianta deve

se l’Opera in nero non sarà compiuta fino

abbandonare il cielo, dimenticare la luce

in fondo, se non avverrà quella discesa

e consegnarsi alla terra. Qui, nel buio to-

nelle profondità dell’Interiora Terrae, non

tale, nel silenzio assoluto, deve ascoltarsi,

perverrà mai all’Occultum Lapidem.

scomporsi, per ricomporsi di nuovo, ri-

Per questo motivo la redazione di Offi-

piegarsi su se stesso per ritrovarsi e – con

cinae ha ritenuto opportuno dedicare le

fatica – individuare la via che dal basso

immagini di copertina per l’anno in cor-

porta verso l’alto.

so alle fasi alchemiche a iniziare proprio

Nel processo di dissoluzione, il seme di-

dalla prima, forse la più inquietante ed

venta parte di un tutto che gli riconse-

essenziale: la Nigredo. D’altra parte qual è

gnerà la propria individualità e gli per-

il segreto del Libero Muratore e della sua

metterà di generare, attraverso una mor-

Arte, se non la capacità di esaminare, ve-

te apparente, nuova vita.

rificare, misurare ciò che ha realizzato?

Nigredo, l’Opera in nero, la prima fase

Eternamente accompagnato dal dubbio e

del processo alchemico, volto a ottenere

dal motto socratico “so di non sapere”, l’il-

il Lapis philosoforum, la Pietra mercuria-

luminato è colui che prima di giudicare

le del nous primigenio. Mai processo di trasformazione, di crescita, di miglioramento fu meglio rappresentato di quello raffigurato dalle fasi dell’Ars Regia. Se ne servirono generazioni di iniziati, pronti a tentare una via di conoscenza che andasse oltre gli orizzonti della scienza, la coltivarono spiriti inquieti ai quali ogni risposta sembrava mutila e, infine, l’esaminarono gli studiosi della profondità della psiche, per meglio indagare sulle dinamiche dell’inconscio1. La Nigredo, per un Libero Muratore, si compie nel chiuso del Gabinetto di riflessione. “Fra le sue pareti [...] evaporano i falsi pensieri, si decompongono le false preoccupazioni, lo spirito si spoglia delle illusioni, si libera dell’effimero per ri-comprendere l’essenzialità della vita attraverso un processo di autoanalisi e di rimozione che consente un’espansione della coscienza” 2.

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gli altri soppesa se stesso, individua l’errore commesso, apprende e con umiltà inizia di nuovo il cammino. Maestro è colui che sa rivivere – in ogni momento del proprio percorso – il vissuto dell’iniziazione e non dimentica mai il testamento che vergò in uno spazio chiuso, con la volontà e il desiderio di diventare un uomo nuovo, “rifatto sì come piante novelle / rinnovellate di novella fronda, / puro e disposto a salire alle stelle”3. Questo numero doppio di Officinae, dedicato alla Nigredo, desidera, come al solito, essere un buon compagno di viaggio per gli argonauti dello spirito e, come è tradizione della rivista, propone loro un ampio ventaglio di articoli, considerazioni, recensioni, notizie che spaziano dalla storia, all’antropologia, dal simbolismo al ritualismo. La Redazione e gli Autori augurano una buona lettura e sperano che il loro lavoro sia come “i gigli” “al cui odor

1 Cfr. C. G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, Torino 1977; C. G. Jung, La psicologia dell’inconscio, Roma 1989; C. G. Jung, Psicologia e alchimia, Torino 2006; J. Fabricius, L’alchimia: l’Arte Regia nel simbolismo medievale, Roma 1997.

si prese il buon cammino” 4.

2 L.Pruneti, Gli Iniziati. Il linguaggio segreto della

4 Paradiso, c. XXXIII, v. 74.

massoneria, Milano 2014, p. 43. 3 Purgatorio, c. XXXIII, vv. 43 – 45.


Nigredo Luigi Pruneti

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iate Maestri.

Abbracciare il futuro con speranza, non

nella terra madre.

Le dittature possono rompere

fondata sui numeri,

Siate sempre ricolmi di gioia.

le penne; bruciare i libri, ma

ma sulle opere.

Anche quando occorre

non possono impedire alla mente

Siate come le sentinelle che vegliano

seminare nelle lacrime.

umana di pensare,

di notte e sanno quando

Siate sempre saldi negli affetti,

di conoscere, il desiderio di

arriva l’aurora.

perché è l’amore

Gran Maestro

Siate cioè capaci di scrutare la Storia,

che edifica la pace.

ma anche capaci di costruire ponti che

Necessaria, imprescindibile, perché

interrogarsi.

uniscano diverse culture per rendere

nella pace tutto diventa possibile, anche

I fondamentalismi di tutte le religioni

serena la convivenza annullando

l’irreparabile.

non temono eserciti, né bombe, né

la sopraffazione sui più deboli, le

Nella pace, tutto diventa chiaro.

altre armi perché gli uni, e le altre, si

diseguaglianze, dedicando una

Anche la trama nascosta

possono combattere.

particolare attenzione

della realtà più forte

Temono, invece, la scuola e

agli esclusi e ai “vinti”.

di quella manifesta.

l’educazione perché aprono la mente

Offrire un modello di comunità che

Chiari diverranno, infine, i confini

delle persone promuovendo

permetta di vivere rapporti fraterni

dell’anima, pur restando insondabile

il senso critico.

attraverso il riconoscimento della

nella sua profondità.

L’educazione deve essere rivolta

dignità di ogni persona e della

prima e soprattutto alle donne;

Buon lavoro, dilettissime Sorelle e

condizione del dono di cui

non per galanteria,

carissimi Fratelli!

ognuno è portatore.

non per spirito cavalleresco,

Che la creatività di ciascuno

Siate Fratelli autentici!

ma per un motivo estremamente

diventi feconda a partire

Nella nostra Comunione cessino,

logico: le donne sono quelle

dalla propria

pertanto, di avere diritto di cittadinanza

che alleveranno e – quindi –

libertà!

critiche, pettegolezzi, invidie, gelosie,

educheranno i figli del futuro.

atteggiamenti antagonistici.

Una donna non educata

Siate allora disposti a morire

non può educare.

al vizio, perché, se c’è un raccolto,

I Maestri non hanno solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma soprattutto una grande storia da costruire. Guardare al passato con gratitudine: ritornare al carisma dei fondatori, rivisitando alla luce del presente vissuto con passione.

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è soltanto perché il chicco di grano si immola


Guardare al passato con gratitudine Abbracciare il futuro con speranza Il S\G\C\G\M\ Antonio Binni

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Storia

Il 1925 Novant’anni dopo non fu la fine dell’ “ordine” Aldo A. Mola

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Storia

C

he cosa accadde dei massoni italiani dopo il forzato scioglimento delle loro Comunità nel novembre 1925? A distanza di novant’anni è una storia ancora da scrivere. Disponiamo di qualche tessera di un mosaico frammentario, ma siamo lontanissimi da una visione d’insieme e documentata. Negli Annales. Gran Loggia d’Italia, 1908-20121 all’arco di anni tra il 1926 e il 1942 Luigi Pruneti dedica 15 delle oltre 350 pagine della Cronologia di storia della Massoneria italiana e internazionale con eventi quasi esclusivamente esteri: e non certo per negligenza, ma perché, appunto, si tratta di terreno quasi inesplorato. Tra le poche figure emergenti rimangono Giovanni Nalbone (a favore del quale si prodigò Roberto Farinacci) ed Ettore Busan, che resse la loggia clandestina “Umanità e Progresso”, nel 1935 venne accolto alla Conferenza di Bruxelles dei Supremi Consigli scozzesisti e alla morte designò successore Tito Signorelli. D’altronde, va ricordato, che a differenza degli antifascisti militanti in partiti politici e

dei cattolici, i pochi Massoni rimasti attivi in Italia non avevano alcuna “internazionale” di copertura né potevano trovar riparo alla Biblioteca Vaticana, come venne assicurato ad Alcide De Gasperi. Chi non aveva rendite o libere professioni sufficientemente remunerative, dovette fare i conti con la quotidianità e dissimulare per conservare impiego e stipendio. Dopo le “leggi fascistissime” e il plebiscito del 1929, quando quasi il 90% dei votanti si schierò a favore del regime, non rimaneva che sopravvivere. Perciò è doppiamente meritoria l’opera di Antonino Zarcone, Domenico Maiocco. Lo sconosciuto messaggero del colpo di stato (Roma, Ed. Annales, 2015) con introduzione di Luigi Pruneti. Da un canto documenta vita e opere del biografato (Cuorgné, Torino, 13 giugno 1893Roma, 17 maggio 1969), “antifascista, socialista e massone che non ha mai mutato atteggiamento” e ne illustra bene la maggiore impresa, la fondazione della Massoneria Italiana Unificata (1943 e seguenti) e i riconoscimenti che gli furono tributati dal Supremo Consiglio del-

la Giurisdizione Sud degli Stati Uniti d’America, reiterati nel tempo; dall’altro, carte inedite alla mano, esplora il reticolo di relazioni che Maiocco seppe intrattenere negli anni bui sia con gerarchi del regime (per es. Cesare Maria De Vecchi di 7


Storia

Val Cismon), sia con ambienti di corte e sia, infine, con antifascisti intransigenti. In un Rapporto sinora inedito della Direzione Generale Affari Generali e Riservati del Ministero dell’Interno, sotto la data del 21 giugno 1945, il Capo della polizia informò il ministro sullo stato delle undici “famiglie massoniche” operanti. Dopo il Grande Oriente d’Italia, la seconda era appunto il “Gruppo Maiocco”, “tendenzialmente monarchico, numeroso […] conta parecchi ufficiali fra i quali molti dei Carabinieri, della Marina e dell’Aeronautica” con sede in via Fornovo, “nel piano superiore all’ex sede del disciolto Partito Unione Proletaria”. Maiocco – vi si legge - “si identifica(va) per il noto socialista, ex confinato politico […] assegnato al confino di polizia per anni 5, per aver svolto attività in contrasto con gli ordinamenti politici dello stato fascista, facendosi promotore di un movimento social-massonico”. La sua vicenda fa riflettere sul drammatico “passaggio” dalla liberaldemocrazia al “partito unico” nel cui ambito la persecuzione della Massoneria rimane sottovalutato dalla storiografia. In sintesi, la Mas8

soneria in Italia non fu mai stata così prestigiosa come negli anni dall’intervento nella Grande Guerra, il 24 maggio 1915, alla Vittoria del 4 novembre 1918. Entrambe le Comunioni maggiori del Paese, la Gran Loggia d’Italia (da 5 a 8.000 effettivi) e il Grande Oriente (25.000), scambiarono messaggi ufficiali con il Sovrano. Avevano tra le colonne uomini politici, militari illustri, magistrati, alte cariche dello Stato, docenti, grandi industriali, una folla di cittadini che dirozzavano la pietra per costruire l’Italia e la fratellanza tra i popoli. Tutti i governi che si susseguirono dal 1918 ebbero ministri massoni. Ne contò anche quello dal 31 ottobre 1922 presieduto dal trentanovenne Benito Mussolini: per esempio il duca Giovanni Colonna di Cesarò e il sottosegretario all’Istruzione pubblica (poi ministro), Dario Lupi, che ideò e orchestrò il culto dei Caduti coinvolgendo le scolaresche e le famiglie di tutto il Paese. A metà febbraio del 1923 il Gran Consiglio del Partito nazionale fascista votò l’incompatibilità tra Logge e partito. Ma che cos’era quel consesso? Un “circolo privato” che si radu-

nò nell’albergo ove aveva stanza Mussolini. Il PNF scimmiottò la Massoneria: si appropriò del Natale di Roma, della datazione, dei “fasci” stessi, che, senza risalire ai Consoli e ai Cesari, erano stati rialzati in Italia nell’età franco-napoleonica e, dopo l’Unità, da garibaldini e democratici, proprio per contrapporre la Roma Eterna a quella dei Papi. Il “fascio” intendeva unire, “legare”, esprimere la forza di chi sa mettere da parte le fazioni in nome della legge suprema: salus Patriae. Le persone colte, inclusi i massoni, che erano d’indole mite, ebbero il torto storico di non dare gran peso alle smargiassate di Mussolini. In fondo, pensarono, presiedeva un governo di unità nazionale comprendente tutti i costituzionali, incluso il Partito popolare italiano che aveva al governo un paio di ministri e sottosegretari come Giovanni Gronchi, futuro presidente della Repubblica. La storia, però, aveva imboccato una deriva pericolosa. Di mese in mese le libertà furono soffocate. La legge elettorale propugnata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giacomo Acerbo, decise che i 2/3


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dei seggi sarebbero andati al partito che avesse ottenuto il 25% dei voti. Il PNF varò il “listone nazionale”, comprendente fascisti, nazionalisti, cattolici, liberali, democratici, socialisti riformisti. Stravinse. Ottenne il 66% dei suffragi. Non rubò alcun seggio. Ma passò subito all’incasso, schiacciando gli avversari, a cominciare dai fascisti dissidenti, quelli della prima ora (molti massoni), che avevano creduto nel programma originario d’impianto laico e liberista. Il vero nodo, che è di filosofia politica, rimaneva irrisolto. Il Risorgimento, l’unificazione, le grandi riforme del passato (alfabetizzazione, sanità, codice civile e penale, completo di abolizione della pena di morte, tutto il progresso, insomma) e quelle ora in cantiere (la partecipazione delle maestranze agli utili d’impresa, la terra ai contadini...) avevano avuto e avevano un’anima massonica. Il PNF non poteva tollerare quella “concorrenza”. Secondo Mussolini non ci potevano essere “due Italie”: la fascista, torvamente totalitaria, e quella massonica, maestra della libertà. Il duce ebbe il pieno sostegno della Chiesa cattolica, subito appa-

gata con due colpi da maestro: il salvataggio del vacillante Banco di Roma e l’obbligo del crocifisso nelle aule scolastiche, primo passo sulla strada del Concordato dell’11 febbraio 1929. Di mezzo vi fu la legge sull’appartenenza dei pubblici impiegati ad “Associazioni”: un testo neutro, apparentemente innocuo e persino plausibile. Vi si diceva che nessun dipendente dello Stato o di enti pubblici può far parte di società “segrete”. Già. Ma chi stabiliva se, come e quando un sodalizio è “segreto”? Il testo non lo disse, ma la discussione in Aula chiarì il suo vero bersaglio: la Massoneria. Il Grande Oriente subito e la Gran Loggia dopo qualche tentativo di compromesso decisero di chiudere i lavori di loggia per non esporre gli affiliati alla persecuzione. In pochi anni, l’Ordine iniziatico della Terza Italia venne oscurato. Ma quale fu la sorte dei massoni? La documentazione che via via affiora ci dice tre cose. In primo luogo per superare le maggiori difficoltà anche Mussolini dovette rivolgersi a massoni insigni (bastino tra i molti i nomi del ministro Giuseppe Belluz-

zo e di Alberto Beneduce), che scelsero di servire non il duce ma la Patria. In secondo luogo la Scuola pubblica conservò la dignità e la sua tradizione con Giovanni Gentile e il suo successore, Balbino Giuliano, massone di antica data. Infine, proprio nel lungo silenzio imposto dallo scioglimento delle logge molti massoni conservarono, anzi in molti casi trovarono, la via dell’iniziatismo dopo decenni di politicizzazione dei lavori di officina. La dittatura durò poco più di quindici anni (1927-1943). Molti massoni operarono in forma carsica, in Italia e all’estero. Con la Liberazione tutto fu più chiaro di quanto era stato in passato: l’Italia è un Paese dell’Occidente, contro ogni forma d’integralismo e di fondamentalismo, un Paese di Libertà, che affonda le sue radici nell’Illuminismo e nella tradizione sapienziale dell’antichità. Ne furono segnali l’ingresso nella Gran Loggia d’Italia di personalità insospettabili, proprio dopo la “sentenza” del Gran Consiglio che dettò l’incompatibilità e malgrado il Codice di Diritto Canonico che nel 1917 ribadì la scomunica dei massoni “latae sententiae”. A bussa9


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re alla porta del Tempio della Gran Loggia d’Italia furono, per esempio, Edmondo Rossoni, massimo sindacalista del fascismo, e Curzio Malaparte. È una vicenda da ricostruire documenti alla mano, con attenzione per il contesto storico vero, al di là delle “narrazioni” di comodo. La militanza coatta (“credere, obbedire, combattere”, “il duce ha sempre ragione” e altre forme di fanatismo, per altro speculari a quelle vigenti nell’URSS, nella Germania hitleriana e poi nella Spagna di Francisco Franco) imposero una disciplina di facciata e fecero sentire più acuto il ritorno all’Ordine, quello che nasce dall’educazione interiore. La biografia di Domenico Maiocco scritta da Zarcone, già Capo dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, è sotto questo profilo davvero esemplare: rompighiaccio per una esplorazione sistematica del “ventennio” durante il quale i massoni furono ancora una volta costretti alla clandestinità in un Paese, quale l’Italia, ove furono e sono poco e male conosciuti, mai riconosciuti. Domenico Maiocco e i giolittiani piemontesi. La “democrazia laburista”, in10

contro tra liberali e socialisti. Inediti sull’ascesa del regime. Il 16 agosto 1917 il ventiquattrenne Domenico Maiocco scrisse a Giovanni Giolitti, in vacanza a Bardonecchia, “commosso” dal discorso pronunciato dal settantacinquenne statista al Consiglio provinciale di Cuneo: “Le vostre parole sono uno sprazzo di luce nelle tenebre; sono un programma positivo di riedificazione sociale in un caos di distruzione e di annientamento di ogni valore materiale ed umano […] Eccovi il braccio di un modesto giovane ufficiale degli alpini, attualmente in convalescenza per malattia contratta al fronte. Eccovi un braccio pronto a colpire il male dovunque sia, eccovi un petto provato al fuoco nemico, pronto a esporsi al sacrificio purché la redenzione del popolo avvenga e sia duratura […]. Non è l’offerta di un esaltato. Questa è la parola che sgorga da un cuore che ha sofferto tanto, che ha patito ad oncia ad oncia l’orrore della guerra provata, l’ingiustizia dell’attuale sistema sociale. È la determinazione di una volontà decisa, di un braccio che cerca un capo! Ditemi una parola, Eccellenza […]”2.

Non conosciamo se e come Giolitti abbia risposto; sappiamo però che soleva riscontrare ogni lettera anche quand’era presidente del Governo. Relegato a Cavour da quando l’Italia era entrata nella fornace ardente della Grande Guerra, lo statista riordinava carte e riscontrava le ormai poche lettere in arrivo: una corrispondenza filtrata dalla censura, tanto più dopo l’insurrezione torinese dell’agosto 1917, cui il governo rispose proclamando lo stato di guerra in Piemonte (con la sola eccezione della provincia di Cuneo, residenza estiva dei Savoia). Dopo l’apprendistato di ufficiale di complemento, il giovane Maiocco intraprese dunque un secondo percorso: la militanza volontaria per il rinnovamento civile del Paese. È probabile che nei mesi successivi abbia scritto anche a giolittiani piemontesi di spicco, come Marcello Soleri, deputato dal 1913, volontario nel 1915 nel corpo degli Alpini e ferito gravemente in guerra, il 16 novembre 1919 rieletto deputato con Giolitti e Camillo Peano nelle votazioni che segnarono il tracollo dei liberaldemocratici in Piemonte e nella rocca-


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forte che sembrava imprendibile, il Cuneese. Da lettere sinora inedite consta che già il 30 agosto 1919 Giolitti mise in guardia Soleri da Bardonecchia sui rischi cui i liberali andavano incontro: “Ciò che sarebbe un grave errore è il ritardare le elezioni. A novembre nevica e mancherebbe il voto dei molti elettori di montagna che sono i più sicuri. A mio avviso non si dovrebbe andare al di là del 9 novembre, se no le elezioni sono nelle mani delle sole città”. Il 4 settembre da Roma Soleri, su carta di Sottosegretario alla Marina, avvertì Giolitti che, “data tutta la preparazione ancora da farsi”, Nitti riteneva difficile fissare le votazioni il 16 novembre: “Più facile e quasi certo il 23”. Con la nuova legge elettorale, fortemente voluta da Nitti, dai cattolici (nel gennaio 1919 organizzati nel Partito popolare italiano) e dai socialisti, l’elezione dei deputati in collegi uninominali, a doppio turno, in vigore dal 1848, era stata sostituta col riparto proporzionale dei seggi in 54 collegi (quasi tutti corrispondenti alle province dell’epoca). La legge (secondo il suggerimento del giolittiano Camillo Peano) previde che

le liste potessero contenere un numero di candidati inferiore a quello dei seggi in lizza, per consentire ai votanti di aggiungere sulla scheda nomi di partiti diversi ma non “nemici”: il panachage (screziatura), utilizzato in altri Paesi per favorire convergenze tra forze affini. La correzione del proporzionale puro era una piccola replica del “patto Gentiloni”, cioè della tacita alleanza tra liberali moderati e cattolici e, per altri versi, dei “blocchi popolari” di primo Novecento, cioè dell’assemblaggio tra liberali progressisti, radicali e socialriformisti o democratici, radicali…, la convergenza dei “costituzionali”, malgrado diversità originarie e sfumature ideologiche, contro massimalisti ed estremisti. In ogni collegio la legge elettorale attivò caleidoscopiche alchimie per formare le liste, anche col solito ricorso alla nomina a senatori (attuata o promessa) di ex deputati disposti a lasciare un seggio sicuro per innovare la rappresentanza. Il carteggio tra Soleri e Giolitti documenta la complessità della preparazione al voto dei liberali, che, a differenza di cattolici e socialisti, non contavano su un’orga-

nizzazione partitica compatta e militante, fiancheggiata da organizzazioni sindacali altrettanto sperimentate. Il 6 settembre 1919, dinnanzi alla decisione del partito popolare di schierare nel Collegio di Cuneo 11 candidati per dodici seggi, Soleri scrisse a Giolitti che i liberali dovevano fare altrettanto, presentando, tra altri, l’avvocato Egidio Fazio, di Ceva, “già candidato con larga base nel collegio più numeroso della Provincia”, che stava lamentando l’inerzia del suo partito e il 10 settembre quasi intimava a Soleri: “Ho assolutamente bisogno di vederci chiaro”. Per i giolittiani l’esito delle votazioni fu peggiore delle previsioni più pessimistiche: ottennero appena tre seggi su dodici, contro i quattro dei popolari (guidati da Felice Bertolino, acceso antigiolittiano, e da Giovanni Battista Bertone), quattro socialisti e un “agrario”, sorretto anche dai pochi voti di fascisti capitanati dall’ex ministro Tancredi Galimberti, proprietario dell’influente quotidiano “La Sentinella delle Alpi”. Per di più, tra voti di lista e preferenze assegnategli dai liberali, Bertone ottenne più voti di Giolitti: il panachage funzionò a senso unico, a tutto 11


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vantaggio dei popolari. Per Giolitti, eletto con Soleri e Peano, fu uno smacco pesante, politico e personale. Il programma enunciato nel discorso di Dronero del 12 ottobre, rimase in sordina. Sconfitto nella provincia che aveva dominato per quasi quarant’anni, avrebbe ancora primeggiato a Roma? Vi riuscì, nel 1920, tanto da tornare a capo del governo, per gli errori del presidente del Consiglio, Francesco Saverio Nitti, e per il logoramento degli altri maggiorenti liberali (Antonio Salandra, Vittorio Emanuele Orlando, Paolo Boselli, Sidney Sonnino…), tutti diminuiti dal magro bottino della Grande Guerra: la “vittoria mutilata”. Non disponiamo, per ora, di corrispondenza tra Domenico Maiocco e i notabili liberali piemontesi, con riferimento alle elezioni del 15 maggio 1921, quando, da un anno al governo ma a legge elettorale invariata, Giolitti volle il rinnovo della Camera. Il fronte costituzionale raccolse circa mezzo milione di voti in più: con i collegi uninominali i liberaldemocratici ne sarebbero usciti vittoriosi, ma con la legge vigente il risultato parlamentare fu com12

plessivamente deludente. Nella sua provincia Giolitti ottenne sì un seggio in più (egli stesso, Soleri, Peano e Fazio), contro quattro popolari, tre socialisti e un comunista, ma sul piano nazionale i rapporti di forze rimasero pressoché immutati, con la variante peggiorativa dell’ingresso di 11 nazionalisti, 25 fascisti tutti eletti, tranne Alberto De Stefani, da variegati “blocchi nazionali”, e 15 comunisti, mentre i costituzionali risultarono frantumati in gruppi dalle diverse denominazioni, con forte caratterizzazione regionale e divaricazioni programmatiche. A quel punto, continuare a battersi sul versante liberaldemocratico o socialista riformista significava accettare di rimanere su una posizione minoritaria a tempo indeterminato. Fu la scelta dei giolittiani e di Domenico Maiocco, che, oltretutto, nel 1923 si fece iniziare nella loggia “Verità e Fede” di Alessandria proprio dopo la dichiarazione di ostilità antimassonica da parte del Partito nazionale fascista, che, numeri a parte, era la principale forza di governo, giacché il presidente del Consiglio, Mussolini, aveva in pugno gli Esteri e l’Interno, coadiuvato

dal sottosegretario Aldo Finzi, ovvero la “macchina” per preparare nuove elezioni (prefetti, questori, pubblica sicurezza…). Se ne constatò l’efficacia nelle elezioni del 6 aprile 1924, svolte con la legge maggioritaria, che assegnava due terzi dei seggi al partito che avesse ottenuto almeno il 25% dei voti. La Lista Nazionale in cui confluirono fascisti (nelle cui file già erano entrati i nazionalisti), ex liberali, popolari, democratici e riformisti, anche senza tessera del partito, ottenne oltre il 65% dei consensi e quindi un numero di seggi proporzionale ai consensi. In tutto il Piemonte i liberali si ridussero a tre soli, esclusivamente cuneesi: Giolitti, Soleri e Fazio. Il 25 aprile 1924 Giolitti scrisse a quest’ultimo: “La sua riuscita, alla quale tenevo molto, è stata per me un vero conforto delle dolorose perdite che il partito liberale ha subito. La nostra provincia ha resistito in modo ammirevole di fronte ai gravi assalti di ogni specie e alle defezioni, molte delle quali veramente non prevedibili. Ora importa mantenere compatta l’organizzazione liberale, che potrà e dovrà


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ancora rendere preziosi servizi.” Lo statista era e rimase convinto che fosse possibile ribaltare il governo in Aula, dar vita a una nuova maggioranza (i deputati iscritti al PNF, e molti solo di recente, erano appena 227 su 535), ripristinare i collegi uninominali e tornare alle urne. Il 26 aprile lamentò a Soleri il costo della politica, cioè la quota addebitatagli per la campagna elettorale: “Ho ricevuto il conto e te ne ringrazio. Non nascondo che la somma mi disturba un po’, perché io non sono in condizioni così floride come si può vedere. La politica per me è stata una pessima speculazione […]”. Tuttavia nel 1925 versò duemila lire a sostegno del quotidiano liberale cuneese “Il Subalpino”. Un mannello di lettere sopravvissuto alla dispersione documenta quanto fosse fitto lo scambio epistolare tra Domenico Maiocco e Marcello Soleri all’indomani della “legge contro la Massoneria” del novembre 1925 e delle altre leggi “fascistissime”. Il 3 febbraio 1927, mentre sollecitava risposta a una lettera precedente, Maiocco informò Soleri che il “quotidiano genovese” (“Il Lavoro”, NdA) avrebbe

ripreso le pubblicazioni dal 9 seguente. Il 12, appena rientrato da Londra, in risposta anche a una sua cartolina, Maiocco mandò a Soleri un messaggio grondante di simboli: “Eccellenza, […], è vero: le rose sono sbocciate ma assai irte si spine… Queste, per altro, potrebbero anche costituire una buona difesa contro i troppo avidi raccoglitori che, a quanto pare, avrebbero voluto e vorrebbero che i fiori fossero senza spine per non pungersi le mani…! La rivedrei molto volentieri, Eccellenza, anche qui in Alessandria, se Ella avesse occasione di passare da qui, dove sarei lietissimo di averLa a colazione o a pranzo a casa mia. Eventualmente, senza mio disturbo, c’è anche da dormire. Mi voglia bene”. Il 23 febbraio, in risposta a una lettera di Soleri del giorno precedente, Maiocco aggiunse. “Effettivamente l’apparenza delle vicende giustifica il Suo apprezzamento: ma la sostanza di cui le cose sono permeate, sostanza che a ragion veduta è tenuta ancora – e lo sarà per qualche tempo – riservata, è tutta favorevole alle nostre previsioni. Le comunico che proprio in questi giorni ho ricevuto confer-

ma che, certo lentamente, la marcia verso sinistra, checché debba accadere, accadrà. Ma a voce potrò dirle cose veramente confortevoli. Non si impressioni se la libertà, ecc. non c’è ancora. Non dimentichiamo che veramente ora con la creazione dello Stato corporativo, si inizia un vero movimento rivoluzionario e che nelle fasi di trapasso dal vecchio al nuovo – in tutte le rivoluzioni – si è sempre fatto credito alla dittatura. La libertà potrebbe e dovrebbe essere una conseguenza … non una premessa del noto movimento. Non so se rendo l’idea. Nel ritorno da Roma veda se può fermarsi una sera da me”. Il 27 febbraio da Cuneo Soleri rispose: “Gentile Dr. Maiocco, ricevo la sua lettera. Spero che la seconda fioritura che Ella mi preavvisa possa essere più fortunata della prima. Come le dissi: io non sono molto persuaso dello stato corporativo. Penso che nello stato liberale vi sia posto per un equo contemperamento, rimanendo nel solco nazionale, degli interessi economici; e ritengo anche che nello Stato vi siano compiti e problemi che trascendono e non possono confon13


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dersi, né affidarsi alle loro rappresentanze come tali. Tuttavia se, come ella spera e lascia pensare, l’adesione dei confederali ai sindacati fosse stata concordata nel senso che essa determinasse una distensione dell’attuale situazione, un clima politico più normale, una ripresa di vita un po’ più libera, ne sarei allietato, continuando però a restare liberale. Questo anche perché io oltre che liberale sono anche democratico, nel senso che nella partecipazione popolare ai pubblici poteri vedo una via di elevazione delle condizioni morali economiche e politiche del popolo in armonia cogli interessi della produzione e della ricchezza nazionale. Ma se questi fini potessero realizzarsi rinnovando molta fiducia nel regime economico fondato sul diritto di proprietà, per altra via che per quella dello Stato liberale, io confesserò di essermi sbagliato, e mi allieterò dei risultati dello stato corporativo”. L’8 marzo Maiocco si affrettò a rispondere: “[…] intanto le dico che ho apprezzato il contenuto dell’ultima Sua. Molte 14

delle Sue preoccupazioni sono anche le mie, per quanto gli elementi di giudizio che sono in mio possesso non giustifichino le preoccupazioni stesse – almeno per ora! – Io continuo a credere che tutto si incanalerà gradualmente, compreso il nuovo tipo di organizzazione statale – nel grande alveo del liberalismo intelligente; inteso liberalismo come metodo, azione politica non come fine a se stesso. Non mi spavento dei nomi che si danno alle cose: guardo la sostanza. La Russia a questo proposito è una inesauribile fonte di utili esperienze. I miei amici proseguono nell’opera loro con tutta sicurezza e tranquillità. Il loro gesto ha ottenuto intanto un primo innegabile risultato utile: chiarificare le posizioni reciproche anzitutto, posizioni che dovevano essere precisate bene per l’oggi e per il domani. Secondariamente ha prodotto una prima netta differenziazione di atteggiamento – di fronte alla nuova critica sindacale che si profila sull’orizzonte politico – tra Governo, Partito e Sindacato ufficiale. Bisogna ora che la differenziazione, per essere veramente utile al paese, sia frutto non

di una impressione ma di una profonda revisione critica che si estrinsechi in altre manifestazioni. A questa revisione critica bisogna ora dare il tempo necessario. I miei amici vi concorrono con la pubblicazione della rivista “I problemi del lavoro” che vedrà la luce, col suo primo numero di ripresa (heri dicebamus!!) fra una decina di giorni. E voi avete pensato come concorrere? Vorrete estraniarvi ancora dalla discussione? O meglio, non volete fare alcun tentativo indipendente e nettamente liberale per parteciparvi? Se posso essere utile a questo proposito, sono lieto di mettermi a disposizione Sua. Mi scriva e mi voglia bene.” Nelle file del PNF erano presenti anime molto diverse; alcuni maggiorenti avevano cercato proprio nelle logge interlocutori per una possibile evoluzione in senso riformatore e democratico. Fu il caso di Edmondo Rossoni, iniziato nella Gran Loggia d’Italia dopo la dichiarazione di ostilità del Gran Consiglio del partito contro la Massoneria. In tale contesto Maiocco lavorava dunque per la convergenza tra liberaldemocratici, sociali-


sti riformisti e “laburisti”, senza escludere correnti del fascismo stesso, ancora molto magmatico. Due giorni dopo Soleri gli rispose da Roma: “[…] Come le dissi e le scrissi la adesione dei confederali ai sindacati è cosa a cui noi liberali non possiamo che essere e rimanere estranei, perché non ci riguarda direttamente. Se però essa avesse potuto o potesse portare al ritorno ad una vita politica normale in cui i partiti avessero modo di manifestare il loro pensiero attraverso le riunioni ed i giornali, noi non potremmo che allietarcene e riprenderemmo certo in questo nuovo clima politico la nostra posizione, in conformità ai nostri postulati che sono, come le scrissi, oltre che liberali anche democratici. Vorremmo augurare che ciò avvenisse; ma per ora non vi è sentore […]”. Il 5 maggio 1927 da Cuneo Soleri informò Maiocco: “[…] Circolano voci di importanti dichiarazioni che il Capo del Governo farebbe in occasione della discussione del bilancio degli Interni. Esse potranno avere notevole influenza nella situazione, specialmente se riconosceranno ad altri partiti il diritto alle loro organizzazioni ed alla loro stampa. Credo che per questa via molta strada si potrebbe fare per la pacificazione che deve cercarsi non solo sulle strade, ma anche nelle coscienze”. Il 22 agosto ancora Soleri osservò a Maiocco: “[…] Ricevo la sua lettera. Mi pare che gli eventi mi abbiano dato ragione salvo che io ignori molte cose – quando le dicevo che i suoi amici, prima di muoversi, dovevano ottenere garanzie sicure e fare patti precisi, allo scopo soprattutto di determinare un qualche svolgimento della situazione, ed un avviamento al ripristino delle libertà politiche che è a mio avviso l’essenziale da raggiungere. […] temo che il treno che avrebbe dovuto trainare, insieme coll’unione dei confederali ai sindacati, anche un vagone carico di libertà di stampa, di riunione, ecc. ecc. è ancora fermo. Le rose sono fiorite, ma forse – sempre che, come ho premesso, io non sia del corrente di segrete cose – sono già appassite. Gradirò sempre le sue informazioni e spero di poter presto passare a salutarla ad Alessandria. Mi creda cordialmente.” Nei mesi successivi l’ostilità del Partito nazionale fascista nei confronti di Soleri

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salì di tono, sia da Roma sia a livello locale, con un serie di sgarbi e meschinità. Per esempio non venne invitato all’insediamento del nuovo podestà di Cuneo. In quell’occasione il prefetto di Cuneo, Guido Pighetti, si affrettò ad assicurargli che quella “sciocca scortesia” non rientrava certo negli intendimenti suoi né in quelli “del governo fascista”: “Per la grandezza di Cuneo e per la prosperità della Provincia come io la sogno, tutti i buoni cittadini devono e possono collaborare e in prima fila quelli che si trovano nelle sue condizioni…”. Il 6 gennaio 1928 il prefetto auspicò di avere presto modo di “discorrere un po’ con (lui) dei tempi passati e pure tanto presenti”. La franca categorica opposizione di Giolitti, Soleri e Fazio alla legge elettorale che affidò al Gran Consiglio del Fascismo

la predeterminazione della lista dei 400 componenti della futura Camera dei deputati segnò il punto di rottura definitivo tra la pattuglia dei liberali e il regime. Da quel momento per Soleri iniziò la morta gora, con riflessi anche sui suoi rapporti con quanti vennero poi in qualche misura attratti dalla diarchia monarchicofascista. L’11 dicembre 1928 Soleri scrisse a De Nicola, che, nel corso di una sua visita a Napoli, gli aveva domandato quali liberali “di sicura dignità politica […] potessero essere nominati senatori” e gli precisò che ne auspicava l’ingresso nella Camera Alta: “Se tu andassi al Senato onorerai l’ufficio e vi porterai il prestigio del tuo grande passato; se non vorrai andarvi, la tua figura di primissimo piano non perderà alcun risalto per la tua assenza, 15


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così fermamente voluta, dalla vita politica attiva. Ma comunque tu vorrai fare – ed io non volli che tu me lo dicessi e non lo voglio – credi che io non ho dubitato neppure per un momento di non essere fiero di trovarmi con te in qualsiasi circostanza”. Il 15 seguente De Nicola lo rassicurò: liberale e monarchico era e tale sarebbe rimasto. La costituzionalizzazione del Gran Consiglio del Fascismo, l’imminenza delle elezioni sulla base della nuova legge del maggio 1928 e, soprattutto, il Concordato tra lo Stato e la Santa Sede (11 febbraio 1929) fecero appassire le ultime speranze di ulteriori fioriture di rose liberaldemocratiche e ri16

formistiche, sia per gli ultimi eredi della tradizione giolittiana sia di Maiocco e di quanti erano ormai costretti a rarefare anche i contatti epistolari, perché ormai sottoposti a stretta vigilanza. Nei mesi seguenti Soleri subì una fitta sequenza di umiliazioni da parte del regime. Venne fermato alla frontiera di Borgo San Dalmazzo, sulla Cuneo-Limone, quasi se ne temesse il passaggio clandestino in Francia, sulla scia di tanti esuli politici; la notte delle votazioni alcuni fascisti inscenarono una gazzarra sotto le finestre della sua abitazione in Piazza Vittorio, la targa dello studio venne asportata, i muri insudiciati. Il 25-26 marzo la casa di campagna a

San Rocco Castagnaretta patì un’irruzione dimostrativa (non venne asportato nulla, ma l’intimidazione era evidente). Il quotidiano fascista polemizzò aspramente con il Rotary Club di Cuneo, presieduto dall’industriale Luigi Burgo e comprendente illustri esponenti della dirigenza giolittiana (Marco Cassin, l’ex sindaco liberale di Cuneo, Antonio Bassignano, Soleri stesso…). Il 16 aprile lasciò il Rotary di Cuneo per quello di Torino. A giugno recedette dall’adesione all’Associazione Volontari di Guerra, quando scoprì che comprendeva e glorificava anche i militanti nella “guerra civile” del 1919-22. Per motivare la sua scelta dovette spingersi a ricordare le proprie benemerenze patriottiche, e persino quelle nei confronti del fascismo nascente: “[…] Della mia fedeltà nazionale penso di aver dato prove non dubbie, servendo il paese in guerra e in pace in uffici della più aspra responsabilità (e ricordo solo il Commissariato Generale dei Consumi) col sacrificio di ogni mio interesse. Nei rapporti col Fascismo, a dimostrare la mia serenità di atteggiamento, ricordo che nel 1922 io fui solo a sostenere alla Camera il diritto di restarvi dei Deputati minorenni fascisti e combattenti di fronte a popolari e socialisti che ne chiedevano e ne ottennero l’espulsione; e inoltre che nel 1924, dopo il delitto Matteotti, mi resi interprete alla Camera del gruppo dei deputati liberali che rifiutarono di disertare la assemblea. Ma tutto ciò ho fatto come liberale, rimanendo alla Camera come difensore ed assertore di quegli ordinamenti ed istituti che il fascismo ha soppresso. Oggi però che non faccio più parte del Parlamento, ho deciso di rimanere estraneo ad ogni azione politica. Per questa ragione, e solo per essa, ritengo che sia meglio che io mi tenga all’infuori di qualsiasi associazione che abbia un contenuto politico e perciò anche dell’Associazione Volontari di Guerra, tanto più che il suo statuto non corrisponde interamente al mio pensiero che pure ne apprezza le alte finalità, patriottiche”. Negli anni seguenti le cose andarono di male in peggio. Sull’inizio del 1931 protestò energicamente con Mussolini stesso per altri soprusi e da Chiavolini ebbe assicurazione che la lettera gli era stata conse-


gnata. Il duce accennò indirettamente a Soleri quando esortò il segretario federale di Cuneo, Attilio Bonino (saviglianese, ex popolare, uomo colto e “moderato”, consigliere provinciale e sindaco di Cavallermaggiore), a rimanere in carica, malgrado alcuni dissensi locali: “Voi siete un uomo veramente a posto. Voi avete bene meritato dalla Provincia, dal Regime e dalla Nazione. Restate al vostro posto di comando nella Provincia di Cuneo, ove nulla si tocca. In quanto ai vecchi uomini politici della Vostra provincia io credo che i liberali non possano costituire alcun pericolo. Se essi hanno ancora delle illusioni, ma le tengono dentro si sé, poco mi importa, ma se essi cercassero però di farle risorgere, il Fascismo non farebbe gran fatica a stroncarle. Sono perfettamente al corrente dell’attività dei cattolici, anzi vi posso dire che sono stato io a telegrafare ai prefetti di Cuneo e Torino per richiamare la loro attenzione su questa losca attività. Il risveglio delle organizzazioni cattoliche coincide con la venuta di mons. Fossati: uomo dalla mentalità medievale che pretendeva fare il suo solenne ingresso a Torino a cavallo della mula bianca con le Autorità Fasciste prostrate ai suoi piedi. Il fascismo difende la religione. Quando il prete dice delle messe o fa delle processioni, noi fascisti siano con lui. Quando il prete fa il prete è inafferrabile. Ma quando il prete esorbita dal suo ministero e vuole distribuire tessere il Fascismo farà applicare i poteri di polizia in materia di associazione. I rapporti dello Stato italiano con il Vaticano sono identici a quelli dello Stato italiano con gli altri Stati, come per es. con la Repubblica di Andora o di Finlandia, né diversamente potrebbe essere. Bisogna inoltre curare i Fasci Femminili; la donna deve esercitare in larghissimo modo le Opere Assistenziali. E ricordiamoci che la donna ha una massima importanza nella vita sociale, ce lo insegnano i preti e noi dobbiamo attirare la donna al Fascismo anche per sottrarla alla loro invadenza […]”. Il 21 agosto 1933 dalla Svizzera Soleri scrisse al prefetto di presentare a Mussolini, in visita a Cuneo, i suoi “ossequi, ispirati anche a quella cordialità personale” che da tanti anni lo aveva “legato a

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lui” ed ebbe assicurazione che il messaggio sarebbe stato consegnato. Per l’unica volta Piazza Vittorio Emanuele II risultò stracolma: un successo di folla mai raggiunto né da Giolitti né da alcun altro. Per Soleri, come per Maiocco e i non molti riluttanti all’intruppamento nel regime non rimanevano che il silenzio operoso nelle professioni e la rete segreta di contatti come ai tempi della Restaurazione postnapoleonica, per un periodo di durata imprevedibile. Non vi è traccia di corrispondenza tra Maiocco e Soleri dopo il giugno 1944 quando l’ex deputato di Cuneo uscì dalla clandestinità a Roma e, il 18, fu nominato ministro del Tesoro nel governo

presieduto dal suo antico amico e sodale Ivanoe Bonomi. _____________ Note: 1 Roma, Atanor, 2013, pp.574. 2 Utilizzo inediti affidatimi da Modesto Soleri, figlio di Marcello, e altre carte in parte trascritte da Fiorella Pellegrini nella sua tesi di laurea su Egidio Fazio (relatore Aldo Garosci). Su Bonomi durante il regime rinvio al mio saggio Declino e crollo della monarchia in Italia. Casa Savoia dall’Unità al referendum del 2 giugno 1946, Milano, Mondadori, 2006 (II ed. riveduta e ampliata, Oscar Mondadori, 2008). P.6, 7 in alto14 e 15: Fotografie anni ‘20 di Benito Mussolini; p.8/13 e 17: Documenti forniti dall’autore (vd. testo); p.16: Copertina della cartella del fascicolo “Matteotti” del Casellario Politico Centrale.

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La Loggia Pisana “Azione e Fede” Episodi e temi della massoneria risorgimentale Aristide Luca Ceccanti

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e colonne della R\L\ “Azione e Fede” all’Oriente di Pisa furono elevate verso il 18341, dunque in piena Restaurazione, sotto gli auspìci del Grand Orient de France2. Era composta soprattutto da negozianti, medici, impiegati pubblici, studenti. Molti suoi membri appartenevano alla comunità israelitica, da secoli profondamente integrata nella città di Pisa. La “Azione e Fede” fu una delle primissime Logge ad integrare il Grande Oriente Italiano di Torino, ma fu allo stesso tempo fra le più riottose ad accettare l’indirizzo “governativo” che si voleva attribuire alla nuova Obbedienza: tanto riottosa da votare contro la prima elezione di Costantino Nigra a Gran Maestro e – una volta eletto – da considerarne nulla l’elezione per l’irregolarità del collegio elettorale. Accettò invece l’elezione di Filippo Cordova, nonostante la sua preferenza fosse per l’altro candidato, Giuseppe Garibaldi. Di Garibaldi, dei mazziniani, e in generale di tutti coloro che potevano creare agitazione, il governo neo-nazionale aveva, o simulava di avere, un grande timore. Troppo spesso l’agiografia risorgimentale ha tenuto in ombra la feroce dialettica che si sviluppò tra le due componenti principali del Risorgimento: quella democratica e quella moderata. La componente moderata considerava l’unificazione nazionale come una necessità al fine di conservare l’ordine esistente, in modo che “la democrazia” non trovasse spazio per le sue istanze rivoluzionarie di fondo. La componente democratica considerava l’unità di tutte le forze patriottiche una necessità, ma al suo interno andavano delineandosi istanze più prettamente sociali. Quando le forze moderate abbandonarono al loro destino i reazionari, incapaci di adattarsi a quel tanto di novità necessario per impedire il precipitare delle cose, e si allearono ai democratici, mantennero la loro avversione di fondo per tutto ciò che questi ultimi rappresentavano: e non mancarono, questa avversione, di manifestarla sempre e comunque. Nell’agosto 1862, dopo i fatti di Aspromonte, il governo Rattazzi ordinava la sorveglianza più stretta della stampa e delle associazioni democratiche e repubblicane. La società Democratica Emancipatrice pisana fu sciolta. La notte del 2 settembre 1862 la polizia fece irruzione nei locali dove si riuniva la “Azione e Fede” e


arrestò tutti i presenti, per poter procedere il giorno successivo, con più calma, alla perquisizione. Lascio la parola al questurino verbalizzante. “Al Sig. Senator Prefetto di Pisa Eccellenza, Alle ore 10 della sera decorsa, pervenutami notizia che nello stabile di n.528 situato in via San Martino, trovavansi riuniti per scopo politico varij individui appartenenti alla già disciolta società Democratica emancipatrice, e tosto ordinai alle guardie di P.S. di seguirmi, e mi recai in quel luogo ove infatti al III piano dello stabile sopra indicato, dopo avere picchiato a una porta che rimane a mezza scala, fui introdotto in una sala ove seduti trovavansi n.20 individui, ai quali, domandato lo scopo per cui trovavansi riuniti, da prima non risposero, e poi dissero «per dare lettura ai giornali». Fu allora che, presi i nomi dei seguenti 20 individui (omissis); ordinai ad alcune guardie che rimanessero nella sala ed io ritiratomi in una stanza attigua chiamatili ad uno ad uno li costituì in esame e presi le loro dichiarazioni che nel complesso mi fecero intendere essere quella una Loggia Massonica, non avere uno scopo politico ed interessarsi di atti di beneficenza e di umanità (sic!). Nonostante tali dichiarazioni, attesa la circostanza di aver appartenuto la maggior parte degli adunati alla Società emancipatrice testè disciolta (pensai di) procedere prima di rilasciarli in libertà alla perquisizione del locale e delle carte che vi si trovavano onde conoscere se trattavansi veramente affari di Massoneria o piuttosto politici, siccome ne ingenerava il sospetto la presenza di individui ben cogniti per Mazinianesimo. Ma attesa l’ora inoltratissima della notte e di non portare [illeggibile] senza disagio ed anche danno del pubblico servizio inquantoché tutte le guardie di P.S. trovavansi meco e non perlustravano la città, ordinai l’accompagnatura di tutti e 20 alle Carceri Pretorili per rimanervi in sequestro fino a perquisizione terminata e intanto chiuso quel locale e consegnate legate e sigillate in un solo mazzo le chiavi ad uno degli adunati sospesa l’operazione fino alle ore 9 di questa mattina in cui presenti Cesare Boccata e Prats Francesco, consegnatari delle chiavi, è stata eseguita da me accompagnato dal maresciallo e due guardie di P.S. Una diligentissima perquisizione in tutto il quartiere tenuto in affitto dalla Loggia massonica ed ivi tranne molte carte e simboli pro-

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prij della Massoneria nulla ho ritrovato per giustificare che quella comitiva ivi fosse riunita siccome veniva rappresentata per scopo politico; ed è stato a seguito di tutto ciò che ho creduto di dovere immediatamente rilasciare siccome ho rilasciato mandato di scarcerazione per i sequestrati fin dalle 2 ant. Di tanto mi sono creduto in debito di informarla. Il delegato di P.S.” Lo scandalo di questa perquisizione fu grande. Originata da una lettera anonima, e dalla convinzione di molti che Massoneria fosse sinonimo di rivoluzione giacobina, ebbe per certi versi l’effetto contrario. Nella sua lettera al Prefetto il delegato cerca di giustificarsi, affermando insieme alla irreprensibilità del suo comportamento la verificata innocenza dei presenti da ogni accusa di cospirazione politica. Il fatto è che, fra i “sequestrati” nelle Carceri Pretorili, oltre a noti democratici, c’erano anche dei moderati governativi, alcuni dei quali addirittura membri della Giunta Provinciale. Nel fascicolo dell’Archivio di Stato di Pisa che documenta l’episodio3 sono presenti i verbali di interrogatorio: tutti i “sequestrati” concordano nel dichiarare che la riunione in corso è quella di una Loggia massonica, che la Loggia ha finalità filantropiche e di beneficenza, che le armi e gli arredi – si parla in particolare di un inginocchiatoio – sono simboli propri della Massoneria. Tutti dichiarano che la riunione non aveva carattere politico e che le somme di denaro raccolte servivano ad aiutare i bisognosi.4 E a questo punto il Massone contemporaneo non può non trarre alcune considerazioni. In primo luogo: il locale di riunione non

è immediatamente riconoscibile come un Tempio. E nell’appartamento occupato dalla loggia – perché nel verbale si parla esplicitamente di più stanze – un Tempio permanente non c’è. Nella lettera anonima di denuncia – che non ho trascritto – si legge che in quell’appartamento ci si riunisce “ogni due sere”: una frequenza di lavori assolutamente insolita per una loggia che si dedica a lavori rituali. La risposta che i nostri Fratelli danno a caldo al Delegato di P.S. è rivelatrice: “davamo lettura ai giornali”. La lettura (oltretutto, in comune) dei giornali era allora vista come una attività eminentemente politica, che al tempo della Restaurazione era senz’altro repressa, e che neppure i nuovi governi vedevano di buon occhio, anche se avevano difficoltà a vietarla. Comunque, dopo l’Aspromonte, tornava comoda l’equazione “garibaldini uguale repubblicani”, e sotto il pretesto di ostacolare la propaganda – e le raccolte di fondi – dei Mazziniani, era ai Garibaldini che si voleva tarpare le ali. E tuttavia, fra i presenti non c’erano solo democratici e repubblicani, ma anche monarchici liberali. Di materiale propriamente massonico nell’appartamento occupato dalla Loggia se ne trova davvero poco: oltre alle spade (che non sembrano scandalizzare il Delegato), un inginocchiatoio. L’impressione che si trae da questi documenti è che i Fratelli della “Azione e Fede” prendessero alla lettera le indicazioni del Rituale, di lavorare senza tregua al proprio miglioramento, di abituare il proprio spirito a dedicarsi solo alle grandi affezioni, a non concepire che idee di gloria e di virtù, a regolare le proprie inclinazioni.5 Il lavoro rituale propriamente detto, quale noi oggi lo inten19


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diamo, occupava un posto assolutamente secondario nei lavori di Loggia. Da questo punto di vista, la “Azione e Fede” non rappresentava una eccezione6. I Fratelli pisani inviarono a tutte le Logge una circolare di protesta sia per raccogliere manifestazioni di solidarietà, sia per far capire a tutti i Massoni italiani la situazione triste e pericolosa in cui stava trovandosi la Massoneria e spedirono urgentemente nella capitale, a Torino, una commissione guidata dal Fratello Cesare Boccara, con l’intento di interessare sollecitamente dell’accaduto il Grande Oriente. Il 9 settembre, nella riunione tenutasi presso il Grande Oriente Italiano in onore dei rappresentanti pisani, un Fratello di Torino, Angelo Piazza, pronunciò le seguenti famose e fatidiche parole: “Ritengano i Fratelli che in ogni parapiglia politico i Massoni saranno sempre fatti segno alle ire dei Sanfedisti. Dunque all’insulto tenga dietro la riparazione. Se no si crederà che il nostro silenzio sia confessione di colpa e a questo si oppone il nostro decoro e l’onore nostro”. Sempre nel 1862, la R.L.“Azione e Fede” fece parlare di sé per un “Indirizzo alle Officine dell’Arte Reale” col quale le invitava a promuovere una petizione popolare al Parlamento, affinché la pena di morte fosse bandita dalla legislazione della nuova Italia. Nel regno di recentissima unificazione, la Toscana aveva conservato la sua legislazione penale, di gran lunga più mite di quelle piemontesi e napoletana, che erano di stretta derivazione napoleonica. La pena di morte in Toscana era stata abolita dal Granduca nel 1786; fu reintrodotta in epoca napoleonica e mantenuta ai tempi della Restau20

razione, ma applicata solo in due occasioni fra il 1815 e il 1848. Fu abolita nuovamente nel 1848 e mai più applicata. Il Regno Sabaudo estese a tutti i territori annessi i Codici Sardi Penale e di Procedura Penale, con due importanti eccezioni: nei territori già delle Due Sicilie un Decreto Luogotenenziale del febbraio 1861 aboliva la pena di morte, salvo per i casi previsti dal Codice Militare (e la giustizia sommaria fu intensamente applicata col pretesto della lotta al brigantaggio). In Toscana si conservavano legge e procedura granducali, di gran lunga più moderata di quelle piemontesi. Nel loro appello i Massoni pisani invocano proprio i buoni effetti del regime abolizionista sulla statistica criminale e sull’incivilimento dei costumi per sostenere la validità della loro tesi, suffragata per il resto da una argomentazione tanto semplice quanto definitiva. Il pronunciamento della “Azione e Fede” non ebbe riscontri immediati, ma fra il novembre 1864 e il gennaio 1865 altre Logge toscane e liguri ripresero il tema7, sollecitando il Grande Oriente ad una campagna contro la pena di morte e per l’abolizione delle congregazioni religiose. Il Grande Oriente tuttavia optò per un atteggiamento defilato, concedendo la propria approvazione all’iniziativa ma chiedendo alle Logge di agire in proprio e prevalentemente nell’ambito profano. Gradualmente, anche per il ricordo dei troppi patiboli e plotoni d’esecuzione che avevano fatto strage di patrioti, e in odio alla mannaia papista, il movimento per una giustizia penale più umana e liberale e per l’abolizione della pena di morte si diffuse e diven-

ne un tema centrale dell’azione massonica in Italia, ma anche in Francia e in Spagna. Solo in Italia ebbe successo. Sin dall’ascesa al trono di Umberto I, che nel gennaio 1878 concesse l’amnistia generale, la pena di morte non fu più applicata. Non si arrivò tuttavia all’abolizione formale per le resistenze, principalmente, della classe giudiziaria rappresentata in Senato. Ma infine il nuovo Codice abolizionista fu approvato nel 1889 quasi all’unanimità da entrambe le Camere. Allegato: Indirizzo alle officine dell’Arte Reale8 La pena di morte è la massima delle pene, colla quale la società si credette finora in diritto dei delitti più gravi, togliendo la vita a chi se n’è reso colpevole. Se consultiamo la storia, vediamo che nei primordii delle umane società essa si applicava frequentissimamente e per lievissime cause. Di mano in mano che quelle società progredivano nell’ incivilimento, noi vediamo restringersi quella pena a sempre minore numero di delitti; di modo che oramai essa non si applica più presso le società civili che ad alcuni casi di omicidio. Questo fatto storico di per sé solo ci mostrerebbe qual sia lo scopo ultimo a cui tende, quasi senz’avvedersene, l’umana società, guidata in ciò da una specie d’istinto, che è la manifestazione della coscienza universale. Quello scopo è l’abolizione assoluta della pena capitale; e poiché quella che abbiam detto coscienza universale è ora illuminata e diretta dai profondi studii che i moderni filosofi fecero di questo importantissimo problema, è chiaro che ogni civile società si sente ora spinta con forza irresistibile a raggiungere questo fine con quel moto accelerato che l’illustre Balbo dimostrò verificarsi, come nella legge della caduta dei gravi, così nell’incivilimento. Ma molti pregiudizi restano pur troppo ancora all’attuazione di così giusto principio. E in primo luogo la questione di diritto filosofico intorno all’assoluta iniquità della pena di morte, se da un lato può dirsi vinta nel campo astratto della scienza, lascia però sempre molti dubbi nell’animo di coloro, i quali, o timorosi o sprezzatori delle ardite teorie, prendono in prestito l’antico frasario per colorare la debolezza delle loro ragioni. Non è qui il luogo di ribattere con lungo discorso gli errori delle scuole passate, che si fecero ad infiorare coi loro sofismi la mannaja del carnefice. Basti notare che tutte si partono da un falso e inadeguato con-


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cetto del diritto individuale; tutte per quanto possano variare nelle loro manifestazioni, si restringono nell’ essenza a considerare la vita (secondo le parole di Rousseau) come un dono condizionale dello Stato, che può quindi esser perduto, rinunciato, trasmesso. All’ incontro la scienza moderna vede nella vita un beneficio e un diritto, che hanno radice nella stessa legge di natura; nega alla società la facoltà di togliere per qualunque causa un bene che non può dare, e del quale anzi abbisogna, come elemento necessario alla propria costituzione organica, e ordinata conservazione; professa finalmente tanto rispetto per l’individuo, che stima sacra la sua esistenza, e la pone sempre qual fine supremo di ogni sanzione legale. Tutto ciò, si dice da alcuni, può aver peso come pura speculazione; ma le idee non valgono contro l’utilità politica e i bisogni del viver civile: è forse giunta la società a tal punto di perfezione da poter far senza di questa estrema pena? E per quanto possa oppugnarsene l’astratta giustizia, non dovrà pur troppo accettarsi, quando abbia l’attributo essenziale che ogni legge deve avere: la necessità? Dopo tutto quello che è stato detto e scritto da insigni pensatori su questo argomento, non rie-

scirà difficile provare che essa è priva affatto di questo carattere. -Il diritto della propria conservazione dà all’individuo la facoltà di respingere colla forza la violenza che da altri gli venga fatta, ma sempre ne’ limiti di necessaria difesa; e soltanto si giustifica l’uccisione dell’assalitore, allorquando l’assalito ha esaurito tutti i mezzi di difesa. Ora, risalendo dall’individuo alla società, non è chi non veda come questa abbia infiniti mezzi di difendersi senz’aver bisogno di ricorrere a questo estremo, e come facilmente essa possa togliere ad un individuo la possibilità di nuocere senza torgli la vita. A buon dritto si potrebbe dunque chiamare la pena di morte, un vero e inescusabile abuso di potere della società. ______________ Note: 1 Le informazioni su questa Officina sono tratte da Conti Fulvio, Storia della Massoneria Italiana dal Risorgimento al fascismo, Il Mulino 2006, per quanto riguarda la sua storia più remota, e da Piane Sergio e Spadafora Ippolito, La Massoneria a Pisa dalle origini ai primi del novecento, Bastogi 2006, per il racconto della perquisizione. 2 Le Logge costituite dal Grand Orient de France in Italia successivamente alla caduta di Napoleone furono almeno 18. Alcune ebbero vita effi-

mera, altre – come la Azione e Fede di Pisa, o la Amici Veri Virtuosi di Livorno – si consolidarono e prosperarono. In Italia, la loro storia suscita il generale disinteresse. Forse ne ha scritto Daniel Ligou nella sua opera sulle Logge d’Oltremare del G.O.F. (del 1965 circa), irreperibile in Italia e mai tradotta. 3 Archivio di Stato di Pisa, Delegazione Affari Diversi, busta 181. 4 Piane S. e Spadafora I. cit., pag.248. 5 Nel 1862 molto probabilmente la “Azione e Fede” era ancora di Rito Francese. Il Rituale di quel periodo poneva un accento particolare sulla Regola Aurea e sulla beneficenza. 6 Ludovico Frapolli, nella “Circolare di Norma” emanata dal Grande Oriente e datata 31 Agosto 1867, scriveva: “Evitate, o FF., nelle Logge, lo spreco del tempo che è sì prezioso; gli Statuti generali lasciano al vostro senno l’omettere, nelle sedute non solenni, le inutili formalità e leggende; usate largamente di questa facoltà, non per ispregio del Simbolo che ci unisce, ma perché il tempo venga impiegato a più necessari lavori; si lasci al prete la soporifica diuturna ripetizione del breviario…” 7 Vedi Conti F., Cit., pag. 62 e pag.366. 8 Dalle pagine web della R.L.“Enrico Fermi” 1046, Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani http://www.montesion.it/_documenti/_ goi/_logge/_loggepagine/fermi4.htm P.18/21: Fotografie della città di Pisa, fine ‘800.

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Massoneria e Rivoluzione americana Isabella Zolfino

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a Massoneria era nata ufficialmente in Inghilterra nel contesto dell’Illuminismo, un contesto impregnato delle idee di Locke e di Newton. In Inghilterra e Scozia però, già nel corso del 1600, varie associazioni corporative di Liberi-Muratori, con statuti interni e simbolismo più o meno connotati nelle tradizioni locali, avevano incominciato ad accogliere nelle loro fila nobili colti, i cosiddetti Massoni Accettati, fra i quali alcuni identificabili come membri della Rosa-Croce. Le porte della conoscenza iniziatica venivano così aperte anche ai non appartenenti alla professione strettamente muratoria e la Massoneria si trasformava da operativa in speculativa. Il 24 giugno 1717 fu ufficialmente fondata a Londra la Gran Loggia con lo scopo di federare le logge che operavano nel distretto di Londra e che erano senza collegamenti tra loro; questo evento storico segnò formalmente la nascita di quella che poi fu chiamata Massoneria moderna, nome che servì a distinguerla dalla Muratoria delle antiche corporazioni. Alcuni autori hanno comunque ipotizzato1 che questa Gran Loggia altro non fosse che il risultato di una presa di distanza

dei massoni londinesi dalle proprie radici scozzesi a seguito della rivolta giacobita tesa a riportare sul trono i discendenti Stuart di Giacomo VII di Scozia e II d’Inghilterra riparato in Francia nel 1688 durante la “Gloriosa Rivoluzione”; questa rivoluzione, anche se aveva introdotto numerose riforme, aveva però profondamente lacerato la società britannica creando divisioni e contrasti specialmente in campo religioso. In conseguenza di questi avvenimenti e per sfuggire a queste vicende politiche, molti scozzesi si trasferirono nel Nuovo Mondo. Alcuni erano già Massoni al momento della loro emigrazione nelle Colonie, altri lo divennero in occasione di viaggi in Inghilterra effettuati al solo scopo di essere iniziati. Secondo alcune tradizioni, sembra comunque che una forma di proto-massoneria fosse già presente nel Nuovo Mondo nel 1607 e che in Virginia2 si fosse dedicata alla promozione di una società ideale che vent’anni dopo sarebbe stata delineata da Sir Francis Bacon in opere come The New Atlantis. Questa possibilità non è del tutto infondata dal momento che i pensatori rosacrociani del primo Seicento erano ossessivamente consa-

pevoli che le Americhe avrebbero potuto offrire delle concrete opportunità per la realizzazione dei progetti sociali della loro opera. L’emigrazione di Massoni nelle colonie americane è ampiamente accertata e si ha notizia della presenza di Massoni a Filadelfia e a Boston già prima del 1717 tant’è che The Boston Newsletter del 5 gennaio 1719 riporta addirittura che una nave, Il Massone, esercitava il cabotaggio lungo le coste americane3, non c’è però purtroppo alcun documento che confermi di Logge fondate in America prima della fine del 1720. L’indipendenza delle colonie americane dalla madre patria era comunque scritta nella forza delle cose: è indubbio che nella nascita degli Stati Uniti ci sia stata una forte impronta massonica visto che molti dei padri fondatori erano massoni e massoni erano i due più importanti artefici della guerra d’Indipendenza, Benjamin Franklin e George Washington (quest’ultimo ritratto più d’una volta in pose massoniche). La Rivoluzione d’America fece il suo corso sotto l’egida della Massoneria. La celebre giornata che diede inizio alla Rivoluzione Americana fu infatti una 23


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giornata massonica: gli uomini travestiti da pellerossa che gettarono in mare le casse di tè erano i membri della Loggia di Sant’Andrea, che si riuniva alla «Taverna del Drago Verde e alle Armi della Massoneria» di Boston. Dovevano essere infatti degli indiani magici poiché, dopo aver compiuto il misfatto ai danni degli Inglesi, furono visti rifugiarsi nella Taverna ma non si videro mai uscirne, tanto che la polizia inglese non poté mai né arrestarli né punirli. Si videro soltanto venir fuori dalla Taverna i membri della loggia di Sant’Andrea che s’erano riuniti per non tener seduta, come mostra il loro verbale dei Lavori. Non si può nemmeno negare che i diversi «Congressi continentali», nei quali i delegati delle colonie si riunirono per elaborare una politica comune e organizzare la propria difesa, comprendessero un numero considerevole di massoni, soprattutto fra i capi. Questi congressi manifestarono puro spirito massonico nei loro diversi atti pubblici, in modo particolare nella redazione della famosa Dichiarazione d’Indipendenza che diventò il vangelo della libertà politica anche per i Massoni d’Europa. Le tredici piccole colonie, separate tra loro da distanze così grandi che occor24

revano tre settimane alle lettere spedite dalla Georgia per arrivare nel Massachusetts, erano così diverse fra loro per costumi, abitudini sociali e razza da formare un bizzarro mosaico. La loro normale condizione era di essere sempre in lite fra loro e nulla, né la religione, né gli interessi commerciali, né la paura di un nemico comune sembrava potesse accomunarle. Ma qualcosa le teneva unite e quando giunse il momento tragico in cui gli americani ebbero bisogno di un esercito e di una diplomazia nazionali, ricorsero al massone George Washington, il solo ufficiale che, grazie alle sue relazioni massoniche, avesse una fama e amici in tutto il continente e al massone Benjamin Franklin, il solo americano che, grazie alla sua attività massonica, avesse relazioni e fama mondiali4 tali da esercitare un’influenza veramente preponderante sulla Massoneria d’America, e più tardi su quella di Francia. Dal 1776 al 1783, se l’esercito americano riuscì a combattere, se non sbandò, se non si perse di coraggio, lo dovette a Washington. Fu lui che conservò alto col suo esempio il morale delle truppe, fu lui che ottenne con la sua insistenza verso il Congresso gli approvvigionamenti indispensabili per mantenere le truppe e ri-

fornirle di munizioni e, nei momenti peggiori, pagando anche di tasca sua. C’era un forte vincolo che tratteneva l’esercito americano attorno alle bandiere ed era, oltre al grande sentimento di affetto personale per Washington, il senso di appartenenza alla fratellanza massonica. Per tenerla viva, Washington aveva favorito la creazione di numerose logge militari alle quali partecipava attivamente. È accertato che in questo esercito ci fossero undici logge e altre ne esistessero nella fanteria del Connecticut, in quella della Carolina del Nord, in quella del Massachusetts, del Maryland, della Pennsylvania e del New Jersey. Anche l’artiglieria della Pennsylvania ne aveva, ma la loggia reggimentale più illustre era l’Unione americana, con la quale Washington celebrò il San Giovanni d’estate e il San Giovanni d’inverno nel 1779, il San Giovanni d’estate nel 1780 e il San Giovanni d’estate nel 1782. Lo stesso anno egli celebrò il San Giovanni d’inverno con la loggia «Re Salomone», a Poughkeepsie. Ma la più bella e la più importante di tutte le cerimonie massoniche alle quali prese parte, fu la grande processione massonica del 27 dicembre 1778 a Filadelfia per festeggiare San Gio-


vanni d’inverno. I patrioti avevano appena rioccupato la città e l’alleanza francese riempiva i cuori di gioia e di speranza; l’entusiasmo era al massimo e, pur preparandosi a una lunga e dura lotta, c’era ormai la certezza della vittoria. Il generale in capo volle darne una pubblica testimonianza e, come fecero in seguito i presidenti degli Stati Uniti, spada al fianco, grembiule sul ventre, sciarpa massonica a tracolla, ornato di tutti i gioielli e le insegne dell’ordine, Washington sfilò con i paramenti massonici alla testa dei massoni attraverso le strade e i crocicchi di Filadelfia. Fu la più grande parata massonica che si fosse mai vista. A Franklin spettò invece di occuparsi della parte diplomatica della Rivoluzione. Massone dal febbraio del 1731, già alla data dell’8 dicembre 1730 aveva pubblicato, nel suo giornale The Pennsylvania Gazette, il primo resoconto sulla Massoneria nordamericana in cui se ne tracciava un quadro generale; l’articolo iniziava con la frase: “Vi sono parecchie Logge di Frammassoni erette in questa Provincia...” Diventato Gran Maestro Provinciale della Pennsylvania nel 1734, nello stesso anno fece stampare un’edizione delle Costituzioni di Anderson, primo libro massonico a essere pubblicato in America. Ma fu certamente il propagandista più accanito e più abile fra tutti i Massoni d’America e artefice insieme a Washington dell’indipendenza americana, riconosciuta dal Re d’Inghilterra con il Trattato di Versailles, firmato a Parigi nel 1783. Per portare avanti questo compito soggiornò per parecchio tempo in Europa, in modo particolare a Londra e a Parigi. Durante il suo lungo soggiorno in Inghilterra frequentò le logge inglesi fin quando ormai la guerra era diventata inevitabile e ugualmente fece durante il suo soggiorno francese come rappresentante del suo paese. Durante questo periodo divenne una figura molto popolare nell’ambiente massonico, frequentò parecchie Logge, fu eletto Venerabile Onorario in una loggia di Carçasson, membro onorario in molte altre e persino Venerabile della più brillante fra le Logge della capitale, la Loge des Neuf Soeurs, che avrà un ruolo decisivo nella diffusione delle idee illuministiche.

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Fu in questo contesto, nel centro della Massoneria intellettuale ed elegante di Francia, che il Fratello Benjamin Franklin poté pubblicizzare in modo sistematico, accurato e audace la Rivoluzione d’America. Anche se quest’ultima aveva già attratto l’attenzione del pubblico, nella Loge des Neuf Soeurs fu elogiata in modo incomparabile; qui si tenevano delle letture in suo onore, e in via straordinaria, vi si ammetteva il pubblico; non c’era banchetto o cerimonia massonica senza brindisi massonici in cui non si esaltassero l’America e la sua liberazione. Franklin appariva poco in pubblico, indossava sempre un modesto abito grigio, non usava parrucca, non aveva spadino, nulla che manifestasse un alto grado o delle pretese sociali. Portava i suoi capelli bianchi, i suoi grossi occhiali, delle calze bianche e delle rustiche scarpe senza fibbie. Parlava poco, ma in modo dolce e grave e sempre con il sorriso. Compì però un lavoro paziente, accanito, quotidiano che la Massoneria e la stampa resero universale facendo in modo che Franklin ottenesse che il governo francese intervenisse a fianco degli Stati Uniti e permettesse la continuazione della guerra fino alla vittoria. Questo ammirevole lavorìo, il più accu-

rato e il più spinto che mai si fosse conosciuto in materia di propaganda, dette i risultati sperati e degni degli sforzi di Franklin: oltre all’intervento militare della Francia, che di per sé rappresentò un colpo magistrale per procurare all’America la sua indipendenza, Franklin riuscì a lanciare attraverso l’Europa l’idea che le rivoluzioni, fino ad allora apparse come delitti sociali, fossero viste come l’adempimento d’una delle più alte funzioni sociali accrescendo enormemente anche la gloria dell’Ordine Massonico. ______________ Note: 1 Franc-maçonnerie et politique au siècle des Lumieres: Europe-Amerique. n.7 1° sem. 2006. 2 M. Baigent e R. Leigh Origini e storia della massoneria – Il tempio e la loggia – Newton Saggistica pag 213. 3 The Boston Newsletter, 5 gennaio 1719; cfr. Transactions of American Lodge of Research, vol. IV, 1942-47, pag.130. 4 Bernard Faÿ La Massoneria e la rivoluzione intellettuale del secolo XVIII Giulio Einaudi, 1939. P.22: Complesso del Mt.Rushmore, S.Dakota USA, scultura colossale di G.Washington; p.23: monumento a G.Washington con insegne massoniche; p.25: Ritratto di Benjamin Franklin, olio su tela, XIX sec; p.24: Il Boston Tea Party, olio su tela XIX sec. (p.22: foto P.Del Freo).

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Sciabole, preti  e massoni Una storia dell’Ottocento Luigi Pruneti

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lla fine dell’Ottocento la storica loggia “La Concordia” all’Oriente di Firenze, viveva un periodo di travaglio, i bei tempi delle “Costituenti massoniche” erano ormai lontane1; l’officina era in crisi: litigi, defezioni, scarsa frequenza erano diventate il pane quotidiano. La loggia, comunque, fidava in alcuni Fratelli particolarmente preparati e attivi, uno di questi era il professor Cesare Parrini. Egli aveva quarantanove anni2 ed era un apprezzato docente che insegnava italiano nella scuola tecnica annessa al liceo “Dante Alighieri”. Inoltre Cesare era il corrispondente della “Gazzetta d’Italia” e collaborava abitualmente col quotidiano fiorentino “Fieramosca”3. Come giornalista s’interessava soprattutto di cronaca locale, ma all’occasione trattava anche tematiche più complesse di carattere soprattutto sociale, inoltre era uno scrittore e un apprezzato conferenziere. All’inizio del 1884, a esempio, aveva avuto un buon successo il suo intervento al “Circolo filologico fiorentino”; il tema trattato era stato “Il duello d’onore” e il Nostro si era scagliato con veemenza contro l’uso delle sfide cruente, definendole pratiche disonorevoli, “barbara costumanza”, ereditate dai secoli bui quando l’umanità non era ancora illuminata dalla ragione, dalla scienza e dal diritto. Nella rispettabile loggia “Concordia” Par-

rini era un fratello stimato per dottrina e serietà, tanto che nel 1882 era stato nominato rappresentante dell’officina presso il Grande Oriente. In veste di delegato aveva partecipato a un’assemblea nella quale aveva invitato il governo dell’Ordine “a punire rigorosamente ogni Ente massonico e ogni Massone che facesse opera d’intolleranza civile, politica o religiosa”4. Nella stessa occasione aveva caldeggiato “la necessità assoluta di una pubblicazione officiale di atti massonici, fatta direttamente dal Grande Oriente e sotto la sua responsabilità”5. Infine si era espresso, secondo la volontà della “Concordia”, contro la fondazione di logge femminili. Riteneva, infatti, la questione spinosa e

che, come tale, meritasse uno studio più approfondito6. Diventato Oratore dell’Officina, il giornalista - insegnante aveva firmato insieme al Venerabile Giuseppe Landi e al Segretario Augusto Guerri il documento del maggio 1884, col quale la “Concordia”, dopo quattordici anni di scozzesismo, ritornava nell’alveo del Rito Simbolico Italiano, “perché [tale rito …] ricordava i primi e più floridi tempi della Loggia, e sembrava più adatto a ristabilire la disciplina infiacchita, tenendo più a lungo il tirocinio per l’acquisizione del terzo grado; perché sembrava meglio rispondere a tutelare l’autonomia delle logge; perché pareva la più naturale espressione di quello spirito d’uguaglianza, che deve essere base della Massoneria; perché potrebbe far recuperare parecchi Fratelli dispersi”7. Il professor Cesare Parrini era, dunque, un personaggio noto in città, rispettato e benvoluto soprattutto da Massoni e progressisti; tuttavia, nell’estate del 1884, accadde un fatto, inaspettato e per certi versi incredibile, che doveva troncare in modo drammatico la sua esistenza. Tutto ebbe inizio con il processo celebrato presso il tribunale di Firenze contro la signorina Vittorina Venturini, donna di dubbia moralità accusata di falso e di altri reati volti a spillare soldi al suo ex amante. Era questi Eugenio De Witt, residente a Pisa, di professione figlio di banchiere. L’imputata fu ritenuta colpevole e con27


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dannata a otto anni di reclusione; Cesare Parrini seguì il processo per conto della “Gazzetta d’Italia”, inviando numerose corrispondenze e quando fu emessa la sentenza scrisse un lungo articolo di commento, che mise sulla graticola Eugenio De Witt. Se Vittorina Venturini era moralmente discutibile, affermava il giornalista, l’amante non era da meno. Dalla loro relazione era nato un figlio e se la signorina aveva cercato di approfittarne, De Witt, per tacitarla, l’aveva colmata di promesse, ma non di soldi anche perché il “nonno” aveva stretto i cordoni della borsa. Da ciò erano sorti ricatti, minacce, imbrogli. Insomma se per la legge la donna era sicuramente colpevole, l’uomo non si era comportato da stinco di santo. Il pezzo fece scalpore, Eugenio De Witt e suo padre si sentirono offesi, danneggiati nell’onore e chiesero al giornalista pubbliche scuse e riparazioni. Le parti s’incontrarono, ma la ragione non prevalse, anzi volarono parole grosse e qualche schiaffo. A quel punto fu Cesare Parrini a sentirsi in credito e sfidò il figlio del banchiere a duello. Fu per questo che il Fiorentino e il Pisano s’incontrarono di nuovo, questa volta in una sala dell’hotel Cavour a Firenze. Era il 17 luglio, con loro vi erano i padrini di parte. Patrocinavano Parrini il cavaliere dottor Malenotti e il conte Giovanni Arrivabene, affiancavano De Witt Angelo Muratori e Giovanni Montepagano. I quattro cercarono di conciliare i contendenti, ma ogni tentativo fallì; anzi l’incontro riaccese gli animi, cosicché si stabilì di risolvere la diatriba con le armi. Lo 28

scontro sarebbe avvenuto con la sciabola e guanto di sala d’armi, gli strumenti più idonei, vista la gravità dei fatti8; nessun colpo era escluso, il duello sarebbe terminato quando, a parere dei medici, uno dei contendenti si fosse trovato nell’impossibilità di continuare a combattere9. Alle tre della mattina seguente i duellanti si incontrarono in piazza Stazione e insieme raggiunsero il luogo dello scontro: il parco della villa Torrigiani di Quinto, nel mandamento di Sesto Fiorentino. Era da poco l’alba quando la tenzone ebbe inizio. Eugenio De Witt, più abile nel maneggiare la sciabola, portava un affondo dietro l’altro, Cesare Parrini si limitava a parare. Dopo diversi affondi il giornalista venne colpito due volte all’ascella e al braccio, ma si trattata di ferite superficiali, i medici comunque, sospesero lo scontro e verificarono le sue condizioni, chiedendogli se voleva continuare a pugnare. La risposta fu affermativa, perciò il duello riprese. De Witt, a quel punto, moltiplicò l’impeto, Parrini tendeva ad arretrare per meglio contenere i colpi, fino a che una siepe gli impedì di ritirarsi e a quel punto non riuscì a evitare il peggio: parò malamente un fendente, la lama dell’avversario fu deviata verso il basso e penetrò per quattordici centimetri nel basso ventre. La ferita apparve subito gravissima, Cesare Parrini fu trasportato in una casa vicina e fu sistemato su una materassa, soffriva terribilmente, ma rimase sempre lucido; infine, dopo due giorni di agonia, il Massone, professor Cesare Parrini, Oratore della rispettabile loggia “Concordia”, contrario al duello e allievo della ragione,

per un duello passò a miglior vita. L’evento ebbe una risonanza enorme, il giornalista fu da tutti compianto, alcuni parlarono di tragica finalità, ma altri, accusarono De Witt di comportamento scorretto e dubitarono che il verbale steso dai giudici di campo rispondesse alla realtà. In particolare si riteneva che lo scontro si fosse protratto oltre il dovuto, votando il giornalista a morte certa. Seguì un’inchiesta, fu celebrato un processo, dal quale ne uscirono bene tutti: Eugenio De Witt, i padrini e i medici. Lo scontro, però, ebbe un strascico ulteriore, portato avanti dalla stampa cattolica che approfittò dell’evento per denigrare la Massoneria. La notizia della scomparsa di Cesare Parrini e della sua abiura, in punto di morte, della Massoneria fu pubblicata per prima dalla “Unità cattolica”10 e riproposta integralmente sia dal “Cittadino Italiano”11, sia dal “Bollettino Salesiano”. Quest’ultimo periodico scrisse che Cesare Parrini era un massone importante, un dirigente della setta e un ateo conclamato, tanto che il 13 marzo 1882, aveva redatto e firmato il seguente testamento: “Sano di mente e di corpo, questo 13 marzo 1882, dichiaro essere la mia volontà: 1° che nessun sacerdote, di qualunque siasi culto o rito, entri nella mia camera quando, per avventura, dovessi cadere ammalato a morte; 2° che dal letto, dove sarò morto, non voglio essere messo né in bara, né accompagnato al sepolcro da nessuna Congregazione religiosa, Arciconfraternita, prete, ecc, ma soltanto dai miei fratelli, amici, conoscenti; 3° che sul patrimonio, che sarò per lasciare


morendo, siano prelevate lire 500, le quali saranno distribuite come crederà meglio il Venerabile della Loggia “Concordia”, fra le vedove e gli orfani di Fratelli rimasti privi di mezzi di fortuna; 4° l’esecuzione di queste mie volontà è affidata all’Oriente della Loggia “Concordia”, nel cui archivio secreto desidero sia conservata quest’espressione della mia ferma volontà”12. Quando, però, stava morendo, verso le 13.00 del 20 luglio chiese che fosse chiamato un prete; dopo breve tempo giunse don Luigi Miccinesi, vicario spirituale della Chiesa parrocchiale di Santa Maria a Quinto. Questi, alla presenza di due testimoni lesse all’agonizzante “una formula di ritrattazione, che abbracciava tutto quello che era necessario, per un uomo il quale si era illaqueato nelle censure ecclesiastiche, avendo dato il nome alla setta ed essendosi battuto in duello, e tanto avea scritto contro la chiesa e la fede cattolica. Letta la formula il Parrini, con il Crocifisso al petto, dichiarò di fare questa dichiarazione, ed aggiunse: - Perdono a tutti, come desiderio che Dio perdoni a me – […]13. Ciò fatto si confessò [… e] divenuto molto sereno e tranquillo, non faceva altro che abbracciare e baciare il Crocifisso che si teneva stretto nelle mani, e pregava, raccomandandosi con intenso affetto a quel Gesù, che riconosceva per unico consolatore ed unica speranza che gli restasse al mondo. Gli fu detto: - Cesare, come mai tu che sei stato quel che sai, ora preghi così pentito il buon Gesù? – Amico – rispos’egli – in un modo si vedon le cose quando si vive, ed in un altro si vedono in faccia alla morte. – Ricevette il Viatico con tali dimostrazioni di fede e di pietà che gli astanti piangevano di commozione […] alla fine il Parrini si spense in un tranquillo raccoglimento con il Signore, che aveva vivo dentro di sé […] Ci fu appena il tempo di dargli l’Estrema Unzione, e, col nome di Gesù in bocca ed il Crocifisso sul petto, […] spirò”14. La Massoneria, proseguirono i fogli e le pubblicazioni clericali, rimase sconvolta da questa conversione e scatenò la furia dei settari che giunsero a profanare la salma: “Quando era già cadavere sul letto, entrò nella camera uno dei capi della Massoneria e lo schiaffeggiò. Il che visto da una domestica, la mosse a farne un acerbissimo risentimento. Lo schiaffeggiatore si scusò col dire che questo era il rituale salu-

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to di estremo addio, che i massoni fanno ai fratelli defunti. Risaputasi la cosa, fu invece da altri interpretata come un castigo inflitto dalla setta al defunto , perché, morendo, l’aveva rinnegata, ritornando a Cristo e alla sua Chiesa”15. La denuncia della vendetta massonica a suon di schiaffoni fu un espediente mediatico che riscosse poca credibilità. È invece certa la conversione di Cesare Parrini, attestato in via indiretta anche dalle fonti latomistiche. Gli annali della “Concordia”, redatti da Gildo Valeggia, spendono infatti pochissime parole sulla dipartita dell’illustre fratello, Oratore della Loggia. Si limitano a ricordare che nel corso 1884 erano passati all’Oriente Eterno Angelo Martino, Giacomo Stupani, Cesare Parrini e Federico Campanella16 e che la dipartita di quest’ultimo “metteva in lutto an-

che il Grande Oriente”17. Chi approfittò particolarmente della conversione e del presunto oltraggio al cadavere fu “Civiltà cattolica” che nel numero del 20 giugno del 1885 ricordò i fatti ed evidenziò come la “setta”, “punisce i cadaveri e li disonora” specie dei “proseliti […] che muoiono ravveduti”18. L’evento servì al periodico dei Gesuiti per un attacco frontale nei confronti della Libera Muratoria, considerata la chiesa di satana19. “Essa – si legge – forma l’antichiesa per eccellenza, che è la chiesa di Satana, in perfettissima contraddizione con quella di Cristo. Una setta che più della Massoneria sia diabolica, non si darà mai; giacché nega tutto, si ribella a tutto, e non anela soltanto alla distruzione del bene dell’uomo, ma eziandio del bene suo naturale. Essa, come Satana che l’ha generata, è veramente inimica della natura umana”20. Vi è il sospet29


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to, aggiunse il periodico, che una simile sinagoga sia manovrata da “un pugno di giudei”21, giacché sembra impossibile che “gente battezzata” possa covare “un odio sì mortale a Cristo Redentore e alla sua Chiesa”; pertanto è probabile che in fondo a “l’abisso della malizia massonica” vi sia “una sopraffina perfidia giudaica”, della quale “sono zimbello i […] settarii cristiani”22. A tanto portò la conversione sul letto di morte dello sfortunato Cesare Parrini, che anticipò di un anno quella assai più celebre di un suo collega d’Oltralpe Antoin Giogad Pagés, meglio conosciuto col nome d’arte di Leo Taxil23. Questi nel 1885, con una pubblica lettera, si dichiarò pentito dei propri misfatti di Massone e di anticlericale24 e pronto a ritornare nel grembo della Santa Madre Chiesa25. Non è escluso che il Francese, attento lettore di “Civiltà cattolica”, sia rimasto colpito dal clamore suscitato dal caso di Cesare Parrini e che abbia deciso di seguirne le tracce, guardandosi, però, da spade e da sciabole e stando ben attento a mantenersi in ottima salute26. _____________ Note: 1 Nella Costituente del maggio 1864, ospitata di fatto dalla loggia “Concordia” nella sua sede di via della Vigna, fu eletto Gran Maestro della massoneria unificata il fratello Giuseppe Garibaldi. Il Generale accettò e nominò quale suo rappresentante presso il Gran Consiglio di Torino Antonio Mordini. L. Pruneti, La tradizione massonica scozzese in Italia, Roma 1994, p. 16 e segg; L. Pruneti, Il linguaggio segreto della massoneria, Milano 2014, p. 15. 2 Era nato a Firenze nel 1835. 3 “Il Fieramosca, Giornale del popolo”, era stato fondato nel 1880. 4 G. Valeggia, Storia della Loggia Massonica fiorentina “Concordia” (1861 – 1911), Bologna 1982, p. 304. 5 Ibidem, p. 304. 6 Ibidem, p. 305. 7 Ibidem, pp. 311-312. 8 La sciabola era l’arma da duello più usata nell’Italia dell’Ottocento. Nel corso del secolo nella Penisola furono combattuti 3513 duelli di cui 140 con la spada, 223 con la pistola e 3138 con la sciabola. 9 S. C. Hughes, Politics of the sword. Dueling, honor and masculinity in modern Italy, Columbus (Ohio) 2007, pp. 116-118 e p. 161. 10 “Unità cattolica”, 20 settembre 1984.

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11 “Il Cittadino Italiano, Giornale religioso-politico-scientifico-commerciale”, a. VII, n. 215. Lunedì-Martedì 22-23 Settembre 1884, p. 1 e segg. 12 “Bollettino Salesiano”, a. VIII, n. 12, Dicembre 1884, p. 11. 13 L’atto di abiura e pentimento, firmato da Cesare Parrini e controfirmato da due testimoni, fu depositato nell’archivio della Curia vescovile. Il duello Parrini – Dewitt e l’edificante conversione di un settario, Firenze 1884, pp. 7-8. 14 Ibidem, pp. 7-8. 15 Ibidem, pp. 8-9. 16 Federico Campanella, nato a Genova il 10 luglio del 1804, oltre a essere un esponente di spicco della Massoneria italiana, fu un patriota, un mazziniano e il fondatore del giornale “Il Dovere”. Morì, unanimemente compianto a Firenze il 9 dicembre 1884. A. Comandini A. Motta, L’Italia nei cento anni del secolo XIX, vol. V, 1871-1900, Milano 1942, p. 1118; A. A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origine ai giorni nostri, Milano 1992, p. 186. 17 G. Valeggia, Storia della Loggia Massonica fiorentina “Concordia” … cit, p. 316. 18 La moralità delle odierne apoteosi massoniche in “La Civiltà Cattolica”, serie XII, vol. X, quaderno 840, 20 giugno 1885, p. 648. 19 In quello stesso anno fu pubblicata la seconda edizione di un libretto, diffuso in numerose copie, per denunciare il carattere satanico della Massoneria. L’opuscolo stampato a Prato, fu consigliato dalla stessa Civiltà Cattolica. Cfr. Della Massoneria, quel che è, quel che fa, quel che vuole. Dialoghi popolari, II edizione, Prato 1885. 20 La moralità delle odierne apoteosi massoniche … cit, p. 642. 21 L’abbinamento ebraismo/Massoneria vanta antiche origini. Già durante la Rivoluzione francese qualche autore aveva supposto che dietro la loggia vi fosse la sinagoga; in seguito, nel corso dell’Ottocento i pamphlet di tal genere si sprecarono. Cfr. D. Menozzi, Cattolicesimo e massoneria nell’età della Rivoluzione francese, in Storia d’Italia, Annali 21, Milano 2010, p. 70; Storia dottrina e scopo della Frammassoneria di un Frammassone che non lo è più dedicata a tutte le persone oneste, Vienna 1861, p. 125; Massoneria, socialismo, ebraismo, note storiche contemporanee di un italiano, Chiasso 1888, p. 229 e segg; L. Pruneti, L’eredità di Torquemada. Sommario di storia dell’antimassoneria dalle scomuniche alla P 4, Acireale – Roma 2014, p. 72 e segg. 22 La moralità delle odierne apoteosi massoniche … cit, p. 643. 23 L. Pruneti, L’eredità di Torquemada. Sommario di storia dell’antimassoneria dalle scomuniche alla P 4 … cit, p. 101 e segg. 24 L. Taxil, La più grande mistificazione antimassonica, Roma 1949, p. 52. 25 L. Taxil, Le confessioni di un ex libero pensatore, Firenze 1888, pp. 7 -8. 26 Leo Taxil morì nella cittadina di Sceaux il


31 marzo del 1907. Negli ultimi anni della sua attività scrisse, con lo pseudonimo Madame Jeanne Savarin, libri sull’importanza di una salubre alimentazione e, in particolare, nel 1904 L’Art de bien acheter, guide de la ménagère mise en garde contre les fraudes de l’alimentation, moyens pratiques de reconnaître toutes les tromperies. Bibliografia:

Storia

“Bollettino Salesiano”, a. VIII, n. 12, Dicembre 1884. A. Comandini A. Motta, L’Italia nei cento anni del secolo XIX, vol. V, 1871-1900, Milano 1942. Della Massoneria, quel che è, quel che fa, quel che vuole. Dialoghi popolari, II edizione, Prato 1885. S. C. Hughes, Politics of the sword. Dueling, honor and masculinity in modern Italy, Columbus (Ohio) 2007. Il Cittadino Italiano, Giornale religioso – politico – scientifico – commerciale”, a. VII, n. 215. Lunedì – Martedì 22 – 23 Settembre 1884. Il duello Parrini – Dewitt e l’edificante conversione di un settario, Firenze 1884. La moralità delle odierne apoteosi massoniche in “La Civiltà Cattolica”, serie XII, vol. X, quaderno 840, 20 giugno 1885. Massoneria, socialismo, ebraismo, note storiche contemporanee di un italiano, Chiasso 1888. D. Menozzi, Cattolicesimo e massoneria nell’età della Rivoluzione francese, in Storia d’Italia, Annali 21, Milano 2010. A. A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origine ai giorni nostri, Milano 1992. L. Pruneti, Il linguaggio segreto della massoneria, Milano 2014. L. Pruneti, La tradizione massonica scozzese in Italia, Roma 1994. L. Pruneti, L’eredità di Torquemada. Sommario di storia dell’antimassoneria dalle scomuniche alla P 4, Acireale – Roma 2014. Storia dottrina e scopo della Frammassoneria di un Frammassone che non lo è più dedicata a tutte le persone oneste, Vienna 1861. L. Taxil, La più grande mistificazione antimassonica, Roma 1949. L. Taxil, Le confessioni di un ex libero pensatore, Firenze 1888. G. Valeggia, Storia della Loggia Massonica fiorentina “Concordia” (1861-1911), Bologna 1982. “Unità cattolica”, 20 settembre 1984.

P.26 e 30: Sciabole, XVIII e XIX sec; p.27 in basso: Dragona; p.27/29 e 31: foto di duelli fine ‘800 e primi del ‘900.

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Massoni...

Sante Ceccherini Antonino Zarcone

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S

ante Ceccherini (Incisa Valdarno, FI, 15 novembre 1863 – Marina di Pisa, 9 agosto 1932). Figlio di Venanzio e Assunta Bellocci, è allievo del Collegio Militare di Firenze dal 1 ottobre 1878 poi, dal 3 febbraio 1882, passa dall’Accademia Militare di Modena. Viene nominato Sottotenente di Fanteria il 27 agosto 1884 ed assegnato al 38° Reggimento Fanteria. Dal 24 luglio 1885 transita per alcuni anni nell’Arma di Artiglieria ed è assegnato al Comando dell’Arma; dopo meno di un anno, il 3 luglio 1886 rientra nella fanteria per prestare servizio all’11° Reggimento Bersaglieri. Reggimento in cui ottiene la promozione al grado di Tenente il 31 marzo 1887. Destinato al corpo di spedizione italiano in Africa, il 3 marzo 1889 è mobilitato con il Battaglione Bersaglieri autonomo del Corpo Speciale Africa, motivo per il quale è successivamente autorizzato a fregiarsi della Medaglia Commemorativa per le Campagne d’Africa con la fascetta “Adua”. Rimpatriato, il 25 ottobre 1891 riceve l’incarico di Ufficiale d’Ordinanza del Comandante dell’VIII° Corpo d’Armata. L’11 novembre 1891 sposa la signora Ottavia Biondi. Lasciato l’incarico presso l’VIII° Corpo d’Armata torna a prestare servizio come ufficiale dei bersaglieri, prima al 9° Reggimento Bersaglieri quindi come Comandante di una Compagnia del 6° Battaglione Bersaglieri della Milizia Mobile. Promosso Capitano il 27 ottobre 1897 diventa Comandante di Compagnia Ciclisti del 12° Reggimento Bersaglieri ed è decorato di Medaglia di Bronzo al Valor Civile “Per la filantropica e coraggiosa azione compiuta l’11 giugno 1898 in Roma, slanciandosi alla testa di un cavallo che si era dato a precipitosa fuga e riuscendo, dopo essere stato trascinato per un buon tratto a fermarlo, evitando possibili disgrazie”. Il 16 agosto 1902 lascia il servizio a domanda per essere collocato in aspettativa speciale, posizione in cui rimane per circa tre anni. Iniziato apprendista nella Loggia “La Concordia” all’Oriente di Firenze il 22 febbraio 1905 è promosso Compagno d’Arte ed elevato al grado di Maestro il 19 maggio dello stesso anno. Rientra in servizio attivo il 16 agosto 1905 e lo stesso giorno assu-

... in divisa

me il comando di una Compagnia Ciclisti del 2° Reggimento Bersaglieri, unità con cui partecipa alle Operazioni di Soccorso in occasione del Terremoto Calabro-siculo del 28 dicembre 1908 venendo decorato della Medaglia d’Argento di Benemerenza per essersi segnalato nel prestare soccorso alle popolazioni funestate dal sisma. Promosso Maggiore il 30 settembre 1910, assume il comando dell’11° Battaglione Ciclisti dell’11° Reggimento Bersaglieri. Partecipa alla guerra italo – turca per la sovranità sulla Cirenaica ed è decorato di Medaglia d’Argento1 e di Me-

daglia di Bronzo al Valore Militare2. Promosso Tenente Colonnello nel 1915 partecipa alla guerra 1915/18 in cui si mette in evidenza e ottiene alcune decorazioni al valore militare. È decorato, fra l’altro, di Medaglia d’Argento al Valore Militare perché “Il 20 luglio sotto un fuoco violento ed efficace di fucileria ed artiglieria nemica, conduceva il battaglione allo assalto della posizione di Monte San Michele e rincuorando i suoi con la parola e con l’esempio, fra i primi irrompeva nelle trincee avversarie prendendo molti prigionieri, all’alba del giorno seguente con pochissimi ufficiali superstiti respinse vittoriosa33


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mente i violenti contrattacchi avversari e quando vide i suoi attorniati dai nemici si fece strada alla baionetta e li ricondusse in salvo in una posizione più arretrata, dalla quale contribuì ad arrestare l’avanzata del nemico. Monte San Michele, 20 e 21 luglio 1915”. Elevato al grado di Colonnello il 1° agosto 1915, alla fine dello stesso mese assume il comando del 12° Reggimento Bersaglieri, incarico che abbina a quello di Comandante del Sottosettore di Cerzoga Slatmich dall’11 al 28 febbraio 1916, del Comando Tattico di Monte Pizzul dal 23 marzo al 6 settembre 1916 e di quello del Settore di quota 126 dal 23 novembre al 29 dicembre 1916. Viene decorato con una terza Medaglia d’Argento al Valore Militare perché “Con valore, preparò e condusse il suo Reggimento all’attacco ed alla conquista di un’importante posizione nemica, che solidamente mantenne, nonostante un intenso e prolungato bombardamento nemico. Costante esempio di ardimento, erasi distinto anche nell’azione del 12 ottobre 1916. Pecinka, 1° e 3 novembre 1916”. Nominato Colonnello Brigadiere e Comandante della Brigata “Alessandria” 34

(11 marzo 1917) e poi della 3^ Brigata Bersaglieri (30 marzo 1917), ll’11 Aprile 1918 diventa Maggiore Generale. Dopo il ripiegamento sul Piave conseguente alla sconfitta di Caporetto e la successiva battaglia difensiva del giugno 1918, è decorato della Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia perché “Con esemplare prontezza e vigorosa intelligente azione, seppe tradurre in atto le direttive del Comando Superiore ed imprimere con instancabile operosità magnifico impulso all’azione delle sue truppe, così da riuscire in brevissimo tempo e malgrado l’ostinata, fortissima resistenza avversaria alla riconquista completa delle posizioni, facendo prigionieri tutti i superstiti nemici con ricco bottino e riacquistando tutto il materiale perduto. Riva destra del Piave presso San Bartolomeo (Treviso), 17/18 novembre 1917” e della Croce di Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia perché “Animatore infaticabile delle più gagliarde energie guerriere, condottiero superbo di uomini, per ardenza di sentimento italiano, pratica costante di valore personale a tutta prova – dal primo giorno di guerra ininterrottamente alla testa di reparti contendenti al nemico la terra e la gloria –

primo tra i primi partecipava ai più aspri cimenti, contribuendo a scrivere una tra le più belle pagine della nostra storia militare. Nella regione del Piave, quando ancora il fiume sacro ancora arrossava di sangue nemico per la fuga di Fagarè, al suo valor dovuta, in altra gravissima ora lanciava senza esitare l’impeto di sopraggiunti suoi guerrieri sull’austriaco, che dalla superata ansa di Ca’ lunga, guardava Venezia, e lo costringeva a ripassare il Sile. Ed infine, tenacemente operando, costantemente osando, i suoi Bersaglieri trascinava tra canti di gloria e di vittoria in vittoria, al Piave Nuovo, contribuendo in tal modo del tutto particolare a restituire alla Patria un primo lembo di terra italiana. Ca’ Lunga, Cavazuccherina, Cortellazzo, Piave Nuovo, dicembre 1917 e luglio 1918”. Per il servizio prestato durante la Grande Guerra è autorizzato a fregiarsi della Medaglia Commemorativa nazionale della guerra 1915/18 e ad apporre sul nastro le fascette corrispondenti agli anni 1915, 1916, 1917 e 1918, della Medaglia Interalleata della Vittoria e della Medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia. Collocato a disposizione del Ministero della guerra


e del Corpo d’Armata di Firenze dal 10 marzo 1919, il 6 ottobre successivo presenta le dimissioni per partecipare alla spedizione su Fiume con D’Annunzio. Qui svolge le funzioni di Comandante della 1a Divisione di Fiume dal 12 ottobre 1919, di Vice Comandante delle Forze dal settembre al novembre 1920, incarico che abbina a quello di Presidente della Corte di Terra e mare a Fiume dal 6 giugno al novembre 1920. Dopo la spedizione fiumana rientra in servizio e il 1 febbraio 1921 è collocato a disposizione del Ministero della Guerra per Ispezioni. Un incarico che lo allontana dal servizio attivo a causa della sua partecipazione all’impresa dannunziana e che anticipa in qualche modo il collocamento in Ausiliaria speciale per riduzione quadri il 9 marzo 1922. Deluso, aderisce al fascismo e si iscrive al Partito Nazionale Fascista il 16 ottobre 1922 e partecipa alla riunione organizzativa della Marcia su Roma, durante la quale esercita il comando di una delle colonna di squadristi fiorentini. Alla costituzione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, 1 febbraio 1923, viene inquadrato con il grado di Luogotenente Generale, equivalente a quello di Generale di Divisione dell’Esercito, e nominato Ispettore Generale a Disposizione. Nel 1923 entra a far parte del Consiglio provinciale di Firenze. Comandante della VIIa Zona della milizia fascista dal 1924 al 1927, fu spettatore dell’assalto alle logge massoniche fiorentine che comportò la tragica giornata di “San Bartolomeo”: la notte fra il 3 e il 4 ottobre 1925, le squadre fasciste organizzano una rappresaglia per vendicare la morte del camerata Giovanni Luporini, ucciso durante una spedizione contro il massone Napoleone Bandinelli. In quelle ore sono assassinati i massoni e antifascisti Giovanni Becciolini, e Gustavo Consolo oltre all’ex deputato Gaetano Pilati, figura di spicco del socialismo fiorentino.Secondo Enzo Daddi, figlioccio di Ceccherini e appartenente a una loggia fiorentina dell’Obbedienza di Palazzo Vitelleschi A.L.A.M., in quell’occasione il proprio padrino avrebbe dislocato alcuni membri della milizia fascista a difesa delle abitazioni degli esponenti più in vista della massoneria fiorentina. Enzo Daddi apprese ciò da uno dei mi-

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liti comandati, che successivamente diventò Maestro Venerabile della sua loggia. Ceccherini viene nominato Ispettore Generale della MVSN nel 1927, incarico che mantiene fino alla morte. Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia ed Ufficiale dell’Ordine dei SS Maurizio e Lazzaro Sante Ceccherini è noto per le sue qualità di schermidore che da giovane ufficiale lo portano a partecipare ai Giochi olimpici di Londra del 1908 dove in squadra con il futuro generale Alessandro Pirzio Biroli si aggiudica la medaglia d’argento. ________________

mento del 14 luglio 1912 a Sidi Alì, con slancio e ardimento attaccava e occupava col proprio battaglione le posizioni di Marabutto, esempio a tutti i dipendenti di serenità e di coraggio. Si comportava valorosamente anche nei combattimenti di Regdaline, 15 agosto 1912 e Sidi Bilal, 20 settembre 1912”.

Note:

P.32: Bersagliere durante la Guerra di Libia 1911-1912; p.33: Sante Ceccherini e il figlio a Fiume; p.34: Fiume 1920, Gabriele d’Annunzio arringa le truppe; p.35: Biglietto di d’Annunzio con menzione di Ceccherini.

1 Per le seguenti motivazioni: “Nel combatti-

2 Perché “In due combattimenti comandò il battaglione con ardimento e serenità, tanto all’attacco delle posizioni nemiche, quanto in ripiegamento sotto il fuoco avversario. Macabez, 24 maggio 1912 - Sidi Said, 28 giugno 1913”.

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Massoneria

Annalisa Santini

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Alla ricerca di una storia perduta Il Gran Maestro a Istanbul per rinsaldare antichi rapporti di amicizia


in Turchia

I

l 15 febbraio 1923, Mussolini dichiarò ufficialmente guerra alla Massoneria, invitando il Gran Consiglio del Fascismo a statuire l’incompatibilità fra Partito e Massoneria. Già nel 1921 aveva affermato: «Il Fascismo non predica e non pratica l’anticlericalismo. Il Fascismo […] non è legato alla Massoneria, la quale in realtà non merita gli spaventi da cui sembrano pervasi taluni del partito popolare. Per me la Massoneria è un enorme paravento dietro al quale generalmente vi sono piccole cose e piccoli uomini […] Affermo qui che la tradizione latina e imperiale di Roma oggi è rappresentata dal cattolicesimo»1. Il Gran Consiglio approvò la mozione: «Il Gran Consiglio del fascismo discutendo il tema fascismo e massoneria considerati che gli ultimi avvenimenti politici e certi atteggiamenti e voti della massoneria, danno fondato motivo di ritenere che la massoneria persegue programmi e adotta metodi che sono in contrasto con tutta l’attività del fascismo invita i fascisti che sono massoni a scegliere tra l’appartenenza al Partito Nazionale Fascista e alla Massoneria, poiché non vi è per i fascisti che una sola disciplina:

la disciplina del Fascismo, che ha una sola gerarchia: la gerarchia del Fascismo, che ha una sola obbedienza: l’obbedienza assoluta, devota e quotidiana al capo e ai capi del Fascismo»2. «La decisione di febbraio se da una parte rafforzò il regime, dall’altra segnò l’inizio di una campagna antimassonica di estrema violenza. Immediatamente “Cremona Nuova”, il giornale di Farinacci, richiese a gran voce l’elenco di tutti i Massoni che andavano fucilati “in massa, come traditori della patria”. A Firenze il Direttorio del Fascio non fu da meno pubblicando un manifesto che riportava: “Da oggi in poi, né i massoni, né la massoneria devono rimanere anche un solo attimo liberi dalla persecuzione […] Si devono annientare senza misericordia, i massoni, i loro beni, i loro interessi. Essi devono venire cacciati via dai pubblici impieghi […] Nessuno deve restare escluso. I bravi cittadini devono schivare ogni massone. Sotto il peso della nostra forza, essi devono venire isolati, come lebbrosi”»3. «Cominciò una campagna antimassonica di estrema violenza che per tre anni vide gli squadristi aggredire i Liberi Muratori,

attaccare sedi e distruggere tutto ciò che sapesse di latomistico »4. «Furono allora assalite e distrutte le sedi massoniche di tutta la Penisola. S’iniziò da Prato e da Pistoia con i templi delle Logge “Giuseppe Mazzoni” e “Ferruccio” per passare, quindi, ad altre città, fra le quali Lucca, Torino, Livorno, Siena, Firenze, Montepulciano, Ancona e Termoli. Gravi distruzioni subirono pure alcune case massoniche della Calabria»5, così come quelle di quasi tutte le principali città. Nel gennaio del 19256 venne colpita la sede centrale del Grande Oriente d’Italia, nonché numerose altre sedi fra le quali quella di Pisa, dove i locali vennero completamente devastati e i mobili e le suppellettili gettate in Arno7. La violenza nell’autunno raggiunse il suo apice quando il giorno 11 ottobre i fascisti romani, guidati dal famigerato federale Italo Foschi, aggredirono la sede centrale di Piazza del Gesù 47, spaccando tutto8. Gli squadristi erano un centinaio, non risparmiarono niente, anche le icone risorgimentali: i busti di Garibaldi, Mazzini, Oberdan, Bovio furono fatti a pezzi. I labari e un gran ritratto a olio del Palermi9 furono portati in processione 37


Massoneria

per le vie della Capitale e infine bruciati. I locali vennero così devastati da risultare inagibili; cosicché il Supremo Consiglio fu costretto a riunirsi in Palazzo Bernini, in via della Mercede. Alla violenza si aggiunse il disegno di legge Sulla disciplina di associazioni, enti e istituti e sull’appartenenza ai medesimi del personale dipendente dallo Stato, dalle amministrazioni provinciali e comunali e da istituti sottoposti per la Legge alla tutela dello stato e degli enti locali10che, il 14 maggio, l’onorevole Emilio Bodrero illustrò alla Camera. Il 20 novembre, la legge fu approvata con 208 voti a favore, 6 contrari e 21 astenuti e sei giorni dopo fu pubblicata sulla “Gazzetta Ufficiale”. Con l’approvazione della legge sulle associazioni, la cessazione dell’attività massonica fu pressoché immediata. Il 22 novembre, il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Domizio Torrigiani, dette disposizione che tutte le officine si sciogliessero. Il giorno successivo fu la volta della Serenissima Gran Loggia d’Italia. Infatti, il 23 novembre, mentre il Palermi si trovava a New York, il luogotenente Giovanni Maria Metelli emanava il decreto 38

numero 245 che poneva fine ai lavori delle logge e delle camere superiori della comunione11. In questo frattempo gli Archivi delle comunioni massoniche non ancora distrutti dalla violenza squadrista furono sequestrati. Parte di quel materiale venne destinato, ma solo in parte utilizzato, per la mostra della rivoluzione fascista del 1932. Gran parte del materiale presumibilmente venne prelevato dai gerarchi fascisti, con trascorsi nelle logge massoniche, per evitare problemi e imbarazzanti ammissioni; altri sottrassero documenti compromettenti in modo da avere a disposizione un’arma di pressione per quando si fosse presentato il momento. Dopo questa prima scrematura il grosso della documentazione venne distrutto come si desume da questa relazione inviata nel 1933 al Ministero degli Interni: Il materiale massonico che trovasi depositato in Via Gino Capponi, è costituito, come noto a codesto On.le Ministero, da un centinaio di casse, contenenti carta (fascicoli, registri ecc.) e da vessilli, sciabole, sedili, quadri ecc. Tale materiale non potrebbe essere distrutto che col fuoco e per il trasporto in località adatta occorrerebbero spese non lie-

vi. Questo ufficio pertanto, ritenendo più conveniente la cessione gratuita del materiale alla Croce Rossa, ha fatto proposta alla Presidenza dell’Ente e, d’accordo, sono state fissate le seguenti modalità: il materiale cartaceo, verrebbe inviato al macero e le operazioni di sigillamento dei sacchi, trasporto in cartiera e immissione nelle apposite vasche per la macerazione, verrebbero presenziate da Agenti di P.S, al fine di evitare qualsiasi sottrazione. Per il restante materiale, esso sarebbe spezzato, trinciato, scalpellato, sempre in presenza degli Agenti, onde far scomparire la provenienza e poi venduto come rottame metallico, da ardere, insieme ad altro materiale di simile qualità. In tal modo si risparmierebbe una spesa all’Erario, mentre la Croce Rossa ne ritrarebbe un utile. Al riguardo resto in attesa delle determinazioni di codesto On. le Ministero.12 Non sappiamo come mai il materiale attualmente conservato all’Archivio di Stato sia così scarso, specie confrontando come l’antimassoneria abbia invece dotato la Spagna dell’“Archivo Histórico Nacional - Sección Guerra Civil”13 di Salamanca, specificatamente per la “Sección Especial o Masónica”, che è uno dei più impor-


in Turchia

tanti archivi Europei. In Spagna infatti la repressione anti-massonica, iniziata immediatamente dopo la sollevazione del 19 luglio 1936 che scatenò una sanguinosa guerra civile, fu direttamente ispirata dal generale Franco che provava nei confronti della Liberomuratoria una vera e propria fobia. Al grido di “No pasarán! Non passerà il marxismo, non passerà la massoneria” iniziava “la crociata contro la politica, il marxismo, la massoneria” come proclamava il giornale falangista “Arriba”. S’instaurò un clima d’intolleranza con esecuzioni sommarie che si estesero man mano che i nazionalisti conquistavano nuovi territori coinvolgendo non solo Massoni autentici, ma anche quanti venivano indicati come tali. Essere Libero Muratore significava la condanna a morte senza processo né appello: furono uccisi 30 Fratelli a Salamanca, 30 a Zaragoza, 15 a Logroño, 7 a Burgos, 17 a Ceuta, 24 ad Algeciras, 30 a Valladolid e a Malaga. In un giornale del 23 settembre 1939 si legge: “Catturarono tutti i Massoni senza distinzione di classe […] In camion li portarono nel vicino villaggio di Viznar e lì fucilarono i Venerabili. Dopo aver incarcerato gli altri per parecchi giorni, li condussero in un campo, li costrinsero a scavare le proprie stesse fosse. Man mano che terminavano lo scavo essi erano abbattuti senza pietà.”14 Non furono colpiti solamente i vivi ma anche i morti, profanando le tombe dei Massoni, tanto che “nel 1938 lo stesso Franco fece promulgare un decreto per il quale dovevano essere rimossi dai cimiteri tutte le iscrizioni e i simboli di carattere massonico”15 e furono fatte esumare le spoglie

mortali del duca di Wharton, fondatore della prima loggia spagnola nel 1728, perché poste in terra consacrata. «Con il decreto del 20 aprile 1937 la “Secretaría General del Jefe de Estado” ordinava la raccolta di tutto il materiale massonico per ottenere informazioni sui nemici dello stato creando una “Oficina de Investigación y Propaganda Anticomunista” (OIPA) che con l’appoggio delle autorità doveva raccogliere, analizzare e catalogare “la mayor cantidad de pruebas de las actividades marxistas en España y en particular de las Sociedades Masónicas”. Il 29 maggio 1937 venne creata la “Delegación de Asuntos Especiales” che assorbì i compiti dell’Oipa allargando l’opera verso altre “Sectas Secretas” come Rotary e Società Teosofiche. Anche la “Delegación” dipenderà direttamente dalla “Secretaría General del Jefe de Estado” che aveva sede a Salamanca. I gruppi di ricerca erano formati da tre

funzionari che avevano il potere di perquisire qualsiasi locale o ufficio e sequestrare “todo el material de propaganda de todas clases que el comunismo y su organizaciones adlateres hayan utilizado para su campañas en nuestra patria”. Un anno più tardi, il 26 aprile 1938, venne affiancata alla “Delegación de Asuntos Especiales”, denominata “Sección masónica”, una “Delegación del Estado para la recuperación de documentos” specificatamente orientata verso la ricerca di materiale prodotto dalle organizzazioni politiche, sindacali e sociali repubblicane e per questo conosciuta come “Sección político-social”. Successivamente, nel 1944 i due organismi furono fusi in una unica “Delegación de Servicios Documentales” dipendente dalla “Presidencia del Gobierno”, operante fino al 1977 quando, con un Regio Decreto, l’Archivio passò alle dipendenze del Ministero della Cultura che lo incor39


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porò nell’Archivo Histórico Nacional. Essendo nato con scopi repressivi e giudiziali l’Archivio fra l’altro contiene documenti (balaustre circolari, decreti, lettere, diplomi, attestati, verbali, piedilista, ecc.) provenienti da istituzioni e logge massoniche spagnole ed estere, circoli rotariani e teosofici».16 Fra questi documenti fortunatamente è conservata anche una parte del patrimonio storico che si riferisce alla nascita della nostra Obbedienza e ai rapporti che essa ha avuto sin dalla sua origine con le più importanti Potenze estere, fra le quali la Turchia è stata una di quelle a noi più vicina sin dalla nostra nascita. Nell’Annuario n.1 della Massoneria Universale di Rito Scozzese Antico e Accet40

tato – Italia e Colonie, nella sua edizione per l’estero, sono riportati gli eventi e i rapporti d’amicizia con le Obbedienze estere nel periodo dal 24 giugno 1908 al 20 settembre 1910 ed emerge come fra le Potenze Massoniche Regolari del Rito Scozzese Antico e Accettato che immediatamente strinsero rapporti d’amicizia con il Supremo Consiglio feriano sia presente il Supremo Consiglio di Turchia, con sede a Costantinopoli, con il suo Sovrano Gran Commendatore, Sua Altezza il Generale Principe Aziz Hasan Paşa 33°, nato al Cairo l’8 dicembre 1873 e ivi morto l’11 dicembre 1925, proveniente dalla loggia « Constitución » dell’Oriente spagnolo, assieme al Gran Segretario David J. Kohen o Cohen. Il 3 marzo 1909 era stato riattiva-

to infatti il dormiente Supremo Consiglio di Turchia, con l’apporto di Fratelli italiani, spagnoli, francesi, egiziani. Per rendere attivo l’Oriente Ottomano, il 13 luglio del 1909, 14 uomini di religione musulmana, cristiana, ed ebraica si riunirono nella casa di David Kohen, a dimostrare l’universalità della nostra Istituzione. Da questa riunione nacque in modo effettivo il Grande Oriente Ottomano. Sia l’Ill.mo e Pot.mo Fr. S.A. Principe Aziz Hasan Paşa 33° S.G.C. che il Pot.mo Fr. David J. Kohen divengono membri onorari del nostro Supremo Consiglio quasi sin dall’inizio della nostra storia, iniziata il 24 giugno 1908, e il 3 novembre 1909 viene pubblicato sul “Bollettino Massonico”17 il riconoscimento ufficiale del Supremo Consiglio dell’Impero Ottomano, nonché del Serenissimo Grande Oriente di Turchia, che era evidentemente giunto in un momento antecedente alla pubblicazione. Nell’Assemblea ordinaria del Supremo Consiglio del 27 dicembre 1909 come primi fra le relazioni internazionali verranno presentati i decreti di riconoscimento del Supremo Consiglio dei 33 per l’Impero ottomano con scambio dei Garanti d’Amicizia e il decreto di riconoscimento del Grande Oriente di Turchia con scambio dei rappresentanti. I documenti18 relativi a una lettera del turco Fr. Sakakini che, disconoscendo l’Obbedienza feriana, chiede di stabilire rapporti d’amicizia con il Grande Oriente d’Italia, che sarà ben lieto di concederli, vanno a mio parere interpretati come quelli di un gruppo massonico in contrasto con l’Ill.mo e Pot.mo Fr. S.A. Principe Aziz Hasan Paşa 33°, S.G.C. del Supremo Consiglio dell’Impero Ottomano. Dunque i rapporti fra le nostre Obbedienze sono nati assieme a Esse, come comprovano i documenti del periodo iniziale della nostra Comunione conservati nell’AHN-S, e una visita in Turchia del nostro Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro – il Ven.mo e Pot.mo Fr. Antonio Binni – è la prova tangibile di come a distanza di un secolo fra la Gran Loggia d’Italia, la Gran Loggia liberale di Turchia e il Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico e Accettato di Turchia, l’amicizia sia forte e solida. Una delegazione della Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori presieduta dal suo S.G.C.G.M., il Ven. mo e Pot.mo Fr. Antonio Binni, si è recata,


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infatti, in visita in Turchia nei giorni 1-23 febbraio 2015. La delegazione era composta oltre che dal Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro, dal Ven.mo e Pot.mo Fr. Luigi Pruneti, già S.G.C.G.M., attualmente Grande Oratore della Gran Loggia d’Italia, dall’Elett.mo e Pot.mo Fr. Paolo Notarbartolo di Sciara, membro aggiunto del Supremo Consiglio, dall’Elett. ma e Pot.ma Sr. Annalisa Santini, 2° Gran Sorvegliante della Gran Loggia d’Italia, dall’Elett.mo e Pot.mo Fr. Claudio Bottinelli, garante d’amicizia fra la Gran Loggia d’Italia e la Gran Loggia Liberale di Turchia, dall’Elett.ma e Pot.ma Sr. Serena Guidi, Gran Bibliotecario della Gran Loggia d’Italia, accompagnata da alcuni Fratelli del suo Oriente, dalla Risp.ma Sr. Maxine Gilhuys, M.V. della R.L.M. “Honor” all’Oriente di Firenze, accompagnata da numerosi Fratelli della sua Loggia. La visita è stata densa di avvenimenti di notevole importanza sia profana che istituzionale, primo fra tutti un Convegno organizzato il 2 febbraio 2015 dalla Istanbul Bilgi University, presso il Museo dell’energia dell’università, per celebrare tre celebri italiani: Dante Alighieri, Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Donizetti e per esaminare l’interazione culturale e artistica esistente da molti anni tra la Turchia e l’Italia. Il convegno è stato aperto dal professor Yaman Akdeniz, in rappresentanza del Magnifico Rettore della Bilgi University e dal professor Antonio Binni, in rappresentanza dell’Alma Mater Studiorum di Bologna,

la più antica università europea. La prolusione accademica del nostro S.G.C.G.M., tradotta simultaneamente in lingua turca dal Fratello Onur Kutnak, ha riscosso una grande condivisione e apprezzamento fra il numeroso pubblico di studenti e docenti intervenuti all’importante avvenimento accademico. La proiezione del film “Il Mistero di Dante” del regista italiano Louis Nero, presente alla proiezione, e interpretato dai tre premi Oscar F. Murray Abraham, Taylor Hackford e Franco Zeffirelli, imperniato sull’interpretazione simbolica delle terzine dantesche, è stata seguita dalla relazione sull’esoterismo di Dante del professor Luigi Pruneti che ha illustrato come un autore al pari di Dante rimanga sempre misterioso, perché la sua vasta opera compendia il sapere di uno spaccato enorme della civiltà contemporanea. Il film cita ripetutamente i “Fedeli d’Amore”, un presunto cenacolo iniziatico al quale si dice appartenesse Dante. Il Professor Pruneti si è soffermato particolarmente su questo tema, affermando che è storicamente provata l’esistenza dei Fedeli d’Amore, lo stesso Poeta lo attesta nel commento al primo sonetto della Vita Nova, dove scrive: ... propuosi di fare un Sonetto, nel quale io salutasse tutti li fedeli d’Amore e pregandoli che giudicassero la mia visione, scrissi a loro ciò che avea nel mio sogno veduto19 ... concetto che riprenderà anche in un passo successivo della stessa opera. Non solo, ma il più celebre croni-

sta fiorentino dell’epoca, Giovanni Villani, annota nella sua Cronica: nell’anno appresso 1283, del mese di Giugno, per la festa di san Giovanni, essendo la città di Firenze in felice e buono stato di riposo, e tranquillo e pacifico stato, e utile per li mercatanti ... si fece nella contrada di santa Felicita oltrarno ... una compagnia e brigate di mille uo41


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mini o più tutti vestiti di robe bianche con uno signore detto dell’Amore ...20. Luigi Pruneti ha aggiunto che con tutta probabilità i Fedeli d’Amore erano gli Stilnovisti stessi, partecipi di una nuova scuola poetica, ormai lontana dalla tradizione trovadorica. È possibile che all’interno di questa cerchia elitaria circolassero anche idee politiche, sociali e religiose nuove, oggetto di sospetto da parte del conformismo culturale dominante. Oltre a siffatta ipotesi, però, la scienza, la filologia, la storia, l’ermeneutica dei documenti non ci consente di andare. Ciò non esclude che rimangano innumerevoli aspetti su Dante e la sua vita ancora poco chiari. Il relatore sottolinea come Dante nasca in un contesto ambientale di assoluta eccezionalità. La sua città, Firenze, ebbe nel corso del XIII sec. uno sviluppo economico e demografico imprevedibile, tanto che, fra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, Arnolfo di Cambio progettò la VI cerchia di mura atta a proteggere un insediamento di trecentomila abitanti. Le continue lotte fra fazioni (guelfi e ghibellini, bianchi e neri) non ostacolarono la crescita economica e demografica, anzi la città dimostrò un’incredibile capacità di assorbire correnti di pensiero, tendenze artistiche e innovazioni di ogni genere. Capita42

nata da una classe di banchieri e mercanti spregiudicati e famelici, affetti da bramosia di potenza e orgogliosi, ma al tempo stesso colti e raffinati, Firenze approfittò in pieno delle contingenze favorevoli di quel periodo. Il sogno occidentale di conquistare e controllare la Palestina era ormai tramontato nel 1182 quando il Saladino riconquistò Gerusalemme. In breve tutti gli stati feudali d’Oriente collassarono; nel 1191 l’ultimo lembo d’oltremare controllato dai Templari, Château Pèlerin, fu evacuato. Terminò così un’epoca e ne iniziò un’altra, le Crociate lasciarono il posto a proficui rapporti commerciali. Ciò consentì che la cultura classica, conservata ed elaborata dal mondo islamico, penetrasse in Occidente. Sorsero, grazie al Canone di Avicenna, le scuole mediche di Montpellier e di Salerno, i commenti su Aristotele di Averroé entrarono di prepotenza nelle Università del continente, orizzonti nuovi si posero davanti agli occhi dell’Europa, pronta ormai ad abbandonare l’eredità imperiale di Carlo Magno per diventare terra di nazioni. Fu l’età di Dante un valico di civiltà e la Divina Commedia ne fu uno specchio fedele. Nel finale il film si sofferma sugli eresiarchi nella città di Dite (canti VIII e IX

dell’Inferno), terra sconsolata protetta da mura ferrigne: Noi pur giugnemmo dentro l’alte fosse / che vallon quella terra sconsolata: / le mura mi pareon che ferro fosse21. Più oltre, al limitare dell’VIII cerchio Dante scambia per torri la mole ciclopica dei giganti: poco portai in là volta la testa, / che mi parve veder molte alte torri22. È Virgilio a dirgli che quelle forme colossali non sono torri, ma esseri infernali. La loro altezza è tale a ricordare al Poeta le mura di Monteriggioni: come sulla cerchia tonda / Montereggion di torri si corona, / così la proda che il pozzo circonda / torreggiavan di mezzo la persona / gli orribili giganti, cui minaccia / Giove del cielo ancora, quando tuona23. Monteriggioni, celebre centro fortificato nel senese, è associato, dunque, da Dante al pozzo del dolore, il fatto non è casuale, perché probabilmente proprio fra la corona di torri di Monteriggioni egli seppe che era stato esiliato. Nell’opera del poeta il dato biografico si unisce spesso a quello storico, cosa che talvolta fa intuire aspetti più velati. Ritornando ad esempio agli eresiarchi, troviamo fra di loro un personaggio illustre come Farinata degli Uberti che Dante non aveva conosciuto ma la cui fama era notevole a Firenze: Ed ei mi disse: “volgiti che fai? / vedi là Farinata che si è dritto: dalla cintola in su


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tutto il vedrai”. / […] / ed ei s’ergea col petto e colla fronte, / come avesse l’Inferno in gran dispitto24. Manente degli Uberti, detto Farinata, fu condannato da Dante a questa pena, perché insieme alla moglie Adeletta faceva parte della chiesa catara fiorentina e forse come la consorte in punto di morte aveva ricevuto il Consolamentum. È questo un esempio poco esplorato della storia della Firenze dantesca. Come pure andrebbe approfondita la figura dell’amico di Dante Guido Cavalcanti, citato dal di lui padre, Cavalcante dei Cavalcanti, sempre nel X Canto dell’Inferno: piangendo disse: “se per questo cieco / carcere vai per altezza d’ingegno, / mio figlio ov’è? E perché non è teco?” / E io a lui: “Da me stesso non vegno: / colui che attende là, per qui mi mena / forse cui Guido vostro ebbe a disdegno”25. Probabilmente con questi versi Dante vuol farci sapere che l’amico Guido aderiva al pensiero di Averroè e di conseguenza concepiva la Divinità come assoluta immobilità e non credeva all’immortalità dell’anima. Tutto ciò fa comprendere, ancora una volta, come sia complessa e ar-

ticolata la cultura del periodo di Dante. In questa complessità risiede proprio il principale mistero di Dante. Questa articolata analisi, che ha destato vivo interesse presso gli studiosi turchi, è stata seguita poi dall’intervento del dottor Mustafa Tolay, appartenente alla Società dantesca italiana. Garibaldi, Donizetti e la presenza genovese a Costantinopoli hanno poi costituito il tema delle relazioni degli altri studiosi turchi che hanno dimostrato, oltre che una notevole padronanza degli argomenti, anche un grande amore per l‘Italia e la sua cultura. La sera del 2 febbraio si è svolta poi la Tornata di Gemellaggio fra la R.L. Aydin all’Oriente di Istanbul, presieduta dal suo Maestro Venerabile, il Risp.mo Fr. Yalçin Ülker e la R.L. Honor all’Oriente di Firenze, con il suo Maestro Venerabile, la Risp.ma Sr. Maxine Gilhuys, Tornata alla quale hanno partecipato le più alte autorità della Gran Loggia Liberale di Turchia e durante la quale le parole di saluto pronunciate dal S.G.C.G.M. della Gran Loggia d’Italia, il Ven.mo e Pot.mo Fr. Anto-

nio Binni, sono state accolte da una prolungata libera batteria di plauso e da sinceri e sentiti ringraziamenti da parte delle Autorità ospitanti. Il 3 febbraio il Sovrano Gran Commendatore, accompagnato da una delegazione ristretta, si è recato in visita al Supremo Consiglio per la Turchia del Rito Scozzese Antico e Accettato, dove è stato ricevuto con i più alti onori dai suoi membri e dal Sovrano Gran Commendatore, Ven.mo e Pot.mo Fr. Hüseyïn Özgen. Al rituale scambio di doni è seguita la visita all’archivio storico e alla biblioteca del R.S.A.A. dove, alla luce della documentazione presente, i rapporti fra la nostra Istituzione e il R.S.A.A. di Turchia sono apparsi strettissimi sin dalla fondazione della nostra Obbedienza. Il Gran Maestro della Gran Loggia Liberale di Turchia, Ven.mo e Pot.mo Fr. Doğan Cantekin, assieme ai suoi più stretti collaboratori, attendeva poi il nostro S.G.C.G.M., accompagnato dalla Sua delegazione, per un ricevimento ufficiale seguito da una colazione di lavoro. Riaffermando l’importanza dei legami 43


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dal nostro Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro. ______________ Note:

già esistenti fra le due Obbedienze, i Gran Maestri hanno deciso di rafforzare i tradizionali legami fra le Potenze del Mediterraneo, culla delle maggiori civiltà della storia. Nel pomeriggio si è svolta la visita alla sede della «Società Operaia italiana di Mutuo soccorso in Costantinopoli», che prenderà il nome popolare di Casa Garibaldi, giacché l’Eroe dei Due mondi ne era il Presidente Effettivo, seguita da un ricevimento al Consolato organizzato dal console generale, la Dott.ssa Federica Ferrari Bravo che si è dichiarata felicissima e onorata di ospitare la rappresentanza italiana e ha mostrato i preziosi cimeli della Casa, attualmente custoditi nella sede Conso44

lare. La visita è stata dunque un successo completo, sia dal punto di vista culturale che da quello istituzionale, giacché i principi della Massoneria liberale da noi propugnati – partiti dallo studio dell’esoterismo di Dante, il più grande ambasciatore della cultura italiana, nella cui conoscenza i Ven.mi e Pot.mi FF. Antonio Binni e Luigi Pruneti si sono dimostrati Maestri – hanno avuto il loro culmine nell’entusiastica accoglienza riservata alla nostra Istituzione da parte delle Autorità e dei Confratelli turchi, particolarmente sensibili in questo momento storico ai concetti di libertà emersi dal dialogo concreto e costruttivo e dal confronto fraterno offerti

1 Discorso di Benito Mussolini alle Camere il 21 giugno 1921, in Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXVI, I Sezione, Tornata del 21 giugno 1921. 2 Partito Nazionale Fascista, Il Gran Consiglio nei primi cinque anni dell’era fascista, Il libro della fede, Roma 1927, pp. 10-11. 3 L. Pruneti, L’eredità di Torquemada, AcirealeRoma 2014, pp. 187-188. 4 L. Pruneti, Gli Iniziati, Milano 2014, p. 33. 5 L. Pruneti, La sinagoga di Satana, Bari 2002, pp. 144-145. 6 L. Pruneti, Annales, Roma 2012, p. 91. 7 L. Pruneti, La sinagoga di Satana … cit., p. 145. 8 L. Pruneti, La tradizione Massonica Scozzese in Italia, Roma 1994, p. 126. 9 Vittorio Raoul Palermi fu Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro della Serenissima Gran Loggia d’Italia, chiamata più comunemen-


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te “Obbedienza di Piazza del Gesù”. Cfr. L. Pruneti, La Tradizione … cit., p. 113 e segg.. 10 Ecco il testo della Legge n° 2202, pubblicata nella “Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia” n° 277 del 28-11-1925: «art. 1: Le Associazioni, Enti ed Istituti costituiti od operanti nel Regno o nelle Colonie sono obbligati a comunicare alle autorità di pubblica sicurezza l’atto costitutivo, lo statuto e i regolamenti interni, l’elenco nominativo delle cariche sociali e dei soci, ed ogni altra notizia intorno alla loro organizzazione ed attività tutte le volte che ne vengono richieste dall’autorità predetta per ragioni di ordine o di sicurezza pubblica. L’obbligo della comunicazione spetta a tutti coloro che hanno funzioni direttive o di rappresentanza delle Associazioni, Enti od Istituti, nelle sedi centrali o locali, e deve essere adempiuta entro due giorni dalla notifica della richiesta. I contravventori sono puniti con l’arresto non inferiore a tre mesi e con l’ammenda da L. 2000 a 6000. Qualora siano state date scientemente notizie false od incomplete la pena è della reclusione non inferiore ad un anno e della multa da L. 5.000 a 80.000, oltre all’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. In tutti i casi di omessa, falsa o incompiuta dichiarazione le Associazioni possono essere sciolte con decreto del Prefetto. Art. 2: Senza pregiudizio delle sanzioni di cui al precedente art. 1 i funzionari, impiegati ed agenti civili e militari di ogni ordine e grado dello Stato, delle Province, dei Comuni che appartengono, anche in qualità di semplice socio, ad Associazioni, Enti ed Istituti del Regno o fuori ed operanti anche solo in parte in modo clandestino od occulto o i cui soci sono comun-

que vincolati dal segreto, sono sostituiti o rimossi dal grado e dall’impiego o comunque licenziati. I funzionari, impiegati, agenti civili e militari suddetti, sono tenuti a dichiarare se appartennero o appartengono anche in qualità di semplici soci ad Associazioni, Enti ed Istituti di qualunque specie costituiti od operanti nel Regno o fuori, al Ministro nel caso di dipendenti dello Stato ed al Prefetto della Provincia in tutti gli altri casi; qualora ne siano specificatamente richiesti. I funzionari, impiegati, agenti civili e militari suddetti che non ottemperino a tale richiesta, entro due giorni dalla notificazione, incorrono nella sospensione dello stipendio per un tempo non inferiore a quindici giorni e non superiore a tre mesi. Ove siano date scientemente notizie false od incomplete, la pena della sospensione dello stipendio è non inferiore a sei mesi». Tale Legge venne riconfermata e precisata dal T.U. del 18 giugno 1931 n° 773 delle Leggi di Pubblica Sicurezza, modificato dal D.L. del 10 dicembre 1944 n° 419. 11 L. Pruneti, La Tradizione … cit., p. 126 e segg. 12 ACS, Ministero degli Interni, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza (D.G.P.S.), Atti sequestrati alla Massoneria 1870-1925, Materiale massonico, busta 1, fasc. VI, in M. Novarino, Fonti e fondi archivistici per una storia della massoneria italiana (1860-1925), in J.A. Ferrer Benimeli (coord.) La Masonería española en el 2000. Una revisión histórica. Actas del IX Symposium Internacional de Historia del la Masonería española, Zaragoza, CEHME, pp. 145-160, 2001. 13 Altrove AHN-S.

14 L. Pruneti, Antimassoneria ieri e oggi, Roma 1995, p. 89. 15 L. Pruneti, Oh, setta scellerata ed empia, Firenze 1992, p. 70. 16 M. Novarino, Le relazioni italo-spagnole tra istituzioni massoniche nell’Archivio Storico Nazionale di Salamanca, in “Spagna Contemporanea”, Torino, n. 2, 1992, pp. 111-124. 17 Bollettino Massonico, a. II, n.11, novembre 1909, p. 81. 18 E. Locci, Il cammino di Hiram. La massoneria nell’Impero Ottomano, Foggia, 2013, pp. 63-65. 19 Dante, Vita Nova, III, a c. di M. Barbi, 1932, p. 3. 20 G.Villani, Cronica, Libro VII, cap. LXXXIX. 21 Inferno, c. VIII, vv. 76-78. 22 Inferno, c. XXXI, vv. 19-20. 23 Inferno c. XXXI, vv. 34-45. 24 Inferno c. X, vv. 31-5. 25 Inferno, c. X, vv. 58-63. P.36: Istanbul, Dervisci; p.37: Istanbul, Bilgi Üniversitesi, Antonio Binni e Luigi Pruneti come relatori alla conferenza ‘Dante, Garibaldi e Donizetti’; p.38 e 39: Vd. testo; p.40 in alto: il GM della Gran Loggia Liberale di Turchia Dogan Cantekin e il SGCGM della GLDI Antonio Binni; p.40 in basso: Istanbul, C.Bottinelli, A.Binni e P.Notarbartolo; p.41: Istanbul, Bilgi Üniversitesi, foto di gruppo dopo la conferenza ‘Dante...; p.42: Un fotogramma del film di L.Nero (vd. testo); p.43: Dante di Domenico di Michelino, Santa Maria del Fiore, Firenze, 1465; p.44: Memorabilia presso la Casa Garibaldi e il Consolato d’Italia a Istanbul; p.45: Istanbul, foto di gruppo della delegazione italiana della GLDI di fronte all’Obelisco di Teodosio; (p. 36, 37, 40 in basso, 41, 44 a sinistra, 45 foto P.Del Freo).

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Il Supremo Consiglio per la Turchia HĂźseyin Ă–zgen

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L

e prime Logge sotto la dipendenza di Obbedienze estere furono create fin dal 1738 nel territorio dell’Impero Ottomano. Per un lungo periodo, i Fratelli cittadini ottomani furono iniziati nelle logge francesi, italiane, inglesi, spagnole, tedesche e greche. Verso la metà del XIX secolo, si volle creare una Gran Loggia nazionale. Da un lato la crescita di una corrente nazionalista nel mondo, dall’altro la resistenza delle Obbedienze estere alla creazione di una Gran Loggia nazionale costituirono la ragione per dare inizio all’opera sublime di un Supremo Consiglio. L’elevazione del Principe d’Egitto Abdulhalim Pacha al 33° grado da parte del Supremo Consiglio di Francia e le patenti che da esso gli furono concesse, costituiscono la base ufficiale per la creazione del Supremo Consiglio per la Turchia nel 1861. Il Principe Abdulhalim Pacha lasciò Istanbul nel 1864, per soddisfare la propria ambizione politica in Egitto. Sostenuto dalla politica inglese, il Fr. Abdulhalim Pacha tentò invano di detronizzare il Governatore d’Egitto, che era suo nipote, ma non vi riuscì. Il Supremo Consiglio per la Turchia, tre

anni dopo avere perso il proprio Gran Commendatore, elesse un altro Fratello, l’Ill.mo Hyde Clark, alla carica di Pot.mo Sovrano Gran Commendatore. Fu lui a riformare il Supremo Consiglio e, malgrado le difficoltà dell’atmosfera politica dell’epoca, riuscì a creare numerose Officine a Istanbul e a Izmir. Il Supremo Consiglio degli Stati Uniti di America, Giurisdizione Sud, riconobbe nel 1868 il Supremo Consiglio per la Turchia come Sovrano, Indipendente, Regolare, e come l’unico rappresentante del potere del Rito Scozzese Antico e Accettato, dal 1° al 33° grado, per il territorio Ottomano, a partire dal 1861. L’oppressione subìta dal Supremo Consiglio per la Turchia e dai suoi membri da parte del Sultano Abdulhamid II li obbligò a mettersi in sonno nel 1880. Il Sultano Abdulhamid II fu detronizzato nel 1908 e, dopo un anno, il Supremo Consiglio per la Turchia fu risvegliato, il 9 marzo 1909, dal Principe Aziz Hasan Pacha. Questo principe, che era anche generale dell’esercito, ricevette il 33° grado in Francia. A tal proposito è opportuno precisare che il risveglio era stato deciso nel 1907 durante la Conferenza dei Su-

premi Consigli a Bruxelles e che il sostegno dei Supremi Consigli del Belgio, della Francia, del Lussemburgo e della Grecia era stato molto fraterno. Subito dopo il suo risveglio, il Supremo Consiglio fece un appello e inviò una dichiarazione a tutte le logge del Paese, affinché si unissero per creare una Gran Loggia nazionale. L’appello fraterno fu ascoltato ed il Grande Oriente di Turchia fu creato sotto gli auspìci del Supremo Consiglio per la Turchia, il 1 agosto 1909, con la partecipazione di 8 Rispettabili Logge. L’annuario del 1911 dell’Associazione Massonica Internazionale evidenzia 23 Officine per il Grande Oriente di Turchia. 15 logge create in due anni è un grande risultato. Da notare che un Concordato fu firmato tra il Supremo Consiglio e il Grande Oriente, subito dopo la fondazione del Grande Oriente di Turchia. La storia del nostro Supremo Consiglio è ampiamente riassunta nel libro preparato per il nostro centocinquantenario. Tuttavia è doveroso sottolineare che il Supremo Consiglio per la Turchia ha lavorato senza tregua dopo il proprio risveglio e conserva tutti i propri archivi da più di 100 anni. Nonostante il fatto che una 47


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parte importante dell’archivio massonico universale sia stata distrutta o perduta nel corso delle due ultime guerre mondiali, il Supremo Consiglio per la Turchia conserva la propria corrispondenza, la quale sarà diffusa in futuro tramite nuove pubblicazioni. Il Grande Oriente, creato nel 1909, assunse il nome di Gran Loggia di Turchia e rimase in sonno dal 1935 sino al 1948. A seconda dell’influenza anglosassone, durante gli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, alcuni Fratelli, o la maggioranza di essi, vollero aderire alla Massoneria detta regolare. Questo fu il motivo della scissione in seno alla Gran Loggia, tuttavia il Supremo Consiglio, che non era entrato in sonno, rimase sempre unito e fedele ai propri principi europei. Nel 1966, il Supremo Consiglio ha annullato il proprio Concordato con la Gran Loggia, che era divenuta regolare secondo i princìpi anglosassoni. I Fratelli che hanno lasciato la Gran Loggia di Turchia, hanno creato un’altra Gran Loggia sotto l’egida del Supremo Consiglio per la Turchia e con princìpi sempre adogmatici. Il nome di questa nuova Gran Loggia fu “Gran Loggia Liberale di Turchia” e venne creata nel 1966. Un Concordato fu firmato dopo la sua creazione. La Gran Loggia Femminile di Turchia festeggia quest’anno il proprio XXIV anniversario. Il Supremo Consiglio per la Turchia ha sempre so48

stenuto la massoneria femminile turca. Essendo contro ogni forma di dogmatismo, di integralismo e di dispotismo, noi abbiamo per principio quello di ampliare i limiti del nostro saper vivere insieme, senza distinzione di razza, di sesso, di colore della pelle, di religione, di lingua e di classe sociale. Il Supremo Consiglio per la Turchia ha deciso nel 1994 di creare officine dedicate alla Massoneria Femminile, dirette dai Grandi Ispettori Generali e dai fratelli autorizzati. Non trattandosi di un’Obbedienza mista, ma avendo Officine unicamente femminili dove, a seconda del loro grado e delle loro qualità, le Sorelle assumono di volta in volta la conduzione dei lavori, il Supremo Consiglio per la Turchia ha l’onore, attualmente, di avere Sorelle che rivestono il 32° grado. Verrà presto il giorno nel quale le Sorelle Turche rivestiranno il 33° grado e saranno allora libere di costituire il proprio Supremo Consiglio. Il Supremo Consiglio per la Turchia è un istituzione Laica, Umanistica e Scientifica. Così come recita il suo motto: Laicus, Humanitas, Scienti. La sua filosofia è basata sul pensiero libero e sulla libertà di pensiero. La laicità rispetta ogni genere di convinzione e di opinione. Essa è un modo di vivere contro i dogmi ed i pregiudizi, è una sorta di evoluzione del pensiero, è modernità, democrazia, tolleranza, è il saper vivere insieme e con il rispetto di se stessi e de-

gli altri, delle loro credenze, idee e libertà. L’umanesimo significa porre l’ uomo al centro della vita. È l’arte di lavorare per divenire Uomo. L’umanesimo è sapere mettere le proprie capacità al servizio del processo di evoluzione dell’Umanità, il sapere vivere insieme e il lavorare per il bene del futuro dell’Uomo, anche oltre e dopo la propria personale esistenza. L’umanesimo è la consapevolezza che tutto deve essere svolto con l’impegno del lavoro e con il contributo dell’uomo e che si tratta di un cammino senza confini. L’umanesimo è lo scopo della Massoneria; lavorare per contribuire alla pace e alla felicità dell’Umanità intera. Non siamo tutti uomini di scienza. Non siamo scienziati, ma uomini e donne che utilizzano i risultati dell’evoluzione della scienza nei loro pensieri, nelle loro azioni e nelle loro missioni. Mustafa Kemal Atatürk, il fondatore della Repubblica turca, diceva: “la guida più sicura nella vita è la scienza”. Egli sottolineava come fosse importante affrontare i problemi della società non con i dogmi o con le credenze, ma con il sostegno dei risultati scientifici e della ragione stessa, per poter lottare contro l’ignoranza. Il Supremo Consiglio per la Turchia con i suoi tre principi sostiene il motto del Rito, Ordo ab Chao, e si rinnova secondo le necessità dei tempi, perché siamo fedeli al Rito Scozzese Antico e Accettato,


ma progressisti nell’evoluzione della vita universale. La politica rimane fuori dalle nostre Officine. I nostri pensieri politici personali non contano, non si critica o non si elogia mai un movimento politico durante il nostro lavoro massonico. Noi esigiamo dai nostri Fratelli e dalle nostre Sorelle il rispetto di questo principio, che ci rende più fraterni nonostante le differenze. Così avviene nei confronti delle religioni. Abbiamo membri musulmani, ebrei, cristiani, agnostici, atei e altri ancora. Gli ortodossi e i non credenti possono convivere insieme nel nostro Supremo Consiglio, perché la concordia regna tra noi. Il Supremo Consiglio per la Turchia opera per il bene dell’Umanità intera. È strettamente legato alla Catena d’Unione Universale della Massoneria. Ne è prova il quadro diversificato degli Incontri Internazionali. La Gran Loggia Liberale di Turchia, la Gran Loggia Femminile di Turchia ed il Supremo Consiglio per la Turchia del Rito Scozzese Antico e Accettato lavorano in perfetta armonia e con relazioni strette e fraterne. Le tre istituzioni massoniche lavorano svincolate dalle leggi della Turchia, come organizzazioni civili. Esse sono libere ed eguali, con le medesime responsabilità sociali. Sotto questo aspetto: 1+1+1=3. Il Supremo Consiglio accoglie i membri appartenenti a queste due Gran Logge. La somma simbolica delle matricole della Gran Loggia Liberale della Turchia e della Gran Loggia Femminile di Turchia costituisce un insieme quantitativo, nel quale si trova, a propria volta, la matricola simbolica del Supremo Consiglio per la Turchia. Dunque: 1+1=3. l tre corpi massonici lavorano secondo il Rito Scozzese Antico e Accettato, il quale ricopre i gradi dal 1° al 33°. Essi applicano la struttura e i principi di questo Rito. E sotto questo aspetto: 1+1+1=1. Il Sovrano del nostro Rito per la Turchia è il Supremo Consiglio, come previsto dal R.S.A.A. La Massoneria Scozzese, con le sue aperture realistiche sulla ricchezza della storia, abbraccia l’universalità e i colori delle culture locali. Ed è così che ci troviamo uniti, mano nella mano, al nostro passato, al nostro presente e al futuro dell’Umanità. Infine, il nostro Rito ci impone obblighi nei confron-

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ti dell’Umanità intera, senza distinzione di sorta. Queste sono le nostre responsabilità. Noi siamo responsabili di ciò che facciamo e di quanto trascuriamo. Dobbiamo lavorare per il nostro perfezionamento personale, ma anche per il miglioramento del livello culturale, sociale, economico, per la felicità della nostra patria e per la pace in questo piccolo mondo. Non è facile da realizzare, ma i Massoni sono architetti. Essi costruiscono se stessi, ma costruiscono contemporaneamente il loro ambiente, il loro Paese e il mondo ove lasciano le impronte del loro lavoro. Sono gli scultori che scolpiscono l’avvenire. La Massoneria Progressista ed Adogmatica della Turchia apre le proprie braccia

ai Fratelli e al le Sorelle della Massoneria d’Italia, oggi come in passato, pronta a lavorare insieme, per un futuro più giusto e più umano. Ordo ab Chao deve essere sempre valido per noi, tra di noi e tra i nostri simili, sia in ambito massonico sia in ambito profano. ______________

Istanbul, Febbraio 2015

Hüseyin Özgen 33\ è il Pot.mo Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio per la Turchia del Rito Scozzese Antico e Accettato. È stato Gran Maestro della Gran Loggia Liberale di Turchia. P.47: Hüseyin Özgen, 33\; p.48: Istanbul, vista notturna; p.49: Mustafa Kemal Atatürk (Salonicco, 19/5/1881— Istanbul, 10/11/1938); (p. 46 e 48 foto P.Del Freo; p.47 foto C.Bottinelli).

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Impero Ottomano Massoneria europea e Grande Oriente d’Italia tra nazionalismo egiziano e Giovani Turchi

Roberto Motta Sosa

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L

a cosiddetta “Massoneria moderna”, già operante nel continente europeo dai primi decenni del XVIII secolo1, ebbe un ruolo tutt’altro che marginale nell’Impero Ottomano, considerato il ruolo che questa istituzione ebbe negli sviluppi politici e culturali della Sublime Porta a partire dalla seconda metà del XIX secolo, fino alla rivoluzione dei Giovani Turchi2 (1908). Quest’ultimo evento può essere considerato come l’inizio di una nuova fase nella vita politica dell’Impero Ottomano, contrassegnando l’ultimo periodo della sua esistenza fino all’istituzione della Repubblica nel 1923, data dalla quale tradizionalmente si fa principiare la storia della Turchia moderna e laica e, in senso lato, di buona parte del Medio Oriente contemporaneo. Come ha infatti posto all’attenzione Sergio Romano3, l’importanza dei Giovani Turchi è legata pure alla circostanza non irrilevante che: «[…] da quel piccolo gruppo di ufficiali laici e massoni, spesso educati nelle accademie militari europee, emerse alla fine della Grande Guerra

Kemal Ataturk, […] e da lui discendono tutti i “colonnelli” che hanno governato i Paesi islamici dopo la Prima e la Seconda guerra mondiale: Reza Khan in Iran, Nasser e Sadat in Egitto, Kassem e Saddam Hussein in Iraq, Gheddafi in Libia, Amin el-Hafez e Hafez al-Assad in Siria»4. Tale pagina di storia ottomana è stata ben illustrata dallo studio italiano5 Il mito dell’Oriente e l’espansione massonica italiana nel Levante, di Barbara De Poli6, che ha messo in luce come le logge massoniche nell’Impero Ottomano costituissero, nella maggior parte dei casi, una sorta di rifugio7 (anche in virtù dell’allora vigente regime delle capitolazioni) per le dissidenze ideologiche e politiche, rappresentate in particolar modo dalla borghesia emergente liberale e democratica, dalle minoranze etniche e religiose attive tra Ottocento e Novecento e non ultimi dagli ambienti militari più progressisti, alcuni dei quali formatisi, come già visto, nelle accademie europee. Il merito principale del lavoro di Barbara De Poli è però quello di avere dipinto un

quadro esaustivo della situazione specifica della Massoneria italiana nell’Impero Ottomano, a fronte di una condizione in cui: «[…] la storia generale della Massoneria in Medio Oriente ancora attende di essere scritta […]»8. In generale nell’immaginario massonico sono numerosi i riferimenti (in alcuni casi mitici) a contatti e scambi di idee e conoscenze ermetico-filosofiche tra l’occidente cristiano e l’oriente islamico, avvenuti antecedentemente la nascita della cosiddetta “Massoneria speculativa moderna” nel 1717, tanto che la studiosa italiana scrive che: «La “colonizzazione” massonica del Levante, che ha inizio nell’ultimo scorcio del Settecento, è preceduta da un immaginario potente, che ambienta nell’Oriente antico il mito fondativo della Massoneria stessa»9. Tale “mito fondativo” si richiamava espressamente a: «un Oriente mitologico – segnatamente all’Egitto – quale fonte originaria […] segnandone sin dalle origini la simbologia […]»10. La genesi e la successiva evoluzione storica della Libera Muratoria, specificata51


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mente nell’Impero Ottomano, fu debitrice nelle sue fasi iniziali degli apporti di francesi, italiani e del non meno rilevante ruolo svolto dalla componente ebraica, in particolare per quel che concernette lo sviluppo della Massoneria in Egitto, soprattutto negli anni Ottanta del XIX secolo, e in Turchia. È però innegabile che quello italiano fu determinante per il radicamento della Massoneria nel Levante, tanto che Barbara De Poli sottolinea come le logge italiane fossero: <<Fra le più diffuse in Anatolia e nelle province arabe dell’Impero Ottomano>>11. La prima “officina”, alle dipendenze del Grande Oriente d’Italia, fu fondata in Siria, a Aleppo, dove cittadini italiani istituirono la loggia Helbon. Dalla loggia Helbon derivarono altre logge come la Surea a Antiochia, Siria a Damasco, Speranza a Alessandretta, Henderson a Ayintab, Luce d’Adana e Unione di Homs a Homs. Dove però l’azione della Massoneria italiana risultò più incisiva fu in Egitto e in Turchia e, dato importante, sottolinea la 52

studiosa, non solo nell’ottica della fondazione “delle identità massoniche nazionali”, il cui interesse era prevalentemente rivolto ai lavori rituali di loggia, ma: «pure nella sfera più strettamente politica», tanto che l’azione massonica italiana nei due Paesi: «si trovò di fatto fortemente incardinata nelle vicende dell’epoca che avevano come posta da un lato la penetrazione delle potenze coloniali, dall’altro la realizzazione delle istanze nazionaliste locali»12, che si scontravano con l’assolutismo anti liberale del potere sultanale di Costantinopoli. Il pensiero mazziniano13 in particolare, come si vedrà più avanti, ebbe forte impatto su questi movimenti politici, per mezzo dei suoi contenuti ideologici e dei programmi di gruppi quali la Carboneria e la Giovine Italia. I due casi, uno egiziano e l’altro turco, sono fondamentali quindi per la loro specificità e importanza nell’evoluzione, non solo della storia dei rituali massonici concernenti il dibattito sulla tradizione iniziatica nelle diverse logge14 ottomane,

ma pure delle vicende politiche e economiche dell’Impero Ottomano. Per quel che riguardò l’Egitto di Mehmet ‘Ali15 è noto che le prime logge furono fondate da militari francesi che giunsero con la spedizione di Napoleone Bonaparte nel 1798. Queste “officine” ebbero tuttavia, fa notare De Poli, vita breve svolgendo la loro attività durante gli anni Quaranta del XIX secolo, quando cioè l’Egitto iniziò a rappresentare un nodo strategico nel quale si intrecciavano gli interessi di Francia, Gran Bretagna e Impero Ottomano per il controllo dei traffici coloniali. A partire dal 1849 alcuni italiani fondarono a Alessandria d’Egitto e al Cairo due logge aderenti al Rito Scozzese Antico e Accettato (o Antico Accettato). Fin da subito queste, oltre a rappresentare centri di emanazione per opere filantropiche e attività culturali, divennero in breve anche: «luoghi fortemente politicizzati»16. Un dato, quello dell’influenza politica delle officine italiane in Egitto, condiviso e


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messo in risalto anche da uno studioso di formazione cattolica quale Massimo Introvigne, secondo cui: «Nel 1874 il Grande Oriente di Palermo – negli anni delle complesse trattative per la riunificazione della Massoneria italiana – aveva concesso una regolare patente per la costituzione in Alessandria di un “Grande Oriente d’Egitto” (di lingua italiana) […].» il quale : «[…] esisteva già in Egitto […], fin dal 1856 e è continuato fino ai giorni nostri godendo di un grande prestigio per il suo carattere insieme massonico e “egiziano”, influenzando le vicende politiche del Paese fino all’epoca del re Faruk […]»17. L’intreccio tra logge italiane e politica locale fu tale che a un certo punto non mancò di produrre ingerenze che furono prontamente sanzionate dall’autorità del kedivè. Infatti: «gli italiani, soprattutto, erano accusati dal governo di utilizzare la Massoneria come copertura di attività sovversive; segnatamente, di cospirare contro il kedivè Ismail in favore del principe Halim»18. Tali fatti non furono dunque incidenti di percorso, frutto di atteggiamenti dettati dall’imprudenza o dalla scarsa conoscenza delle cose locali, ma derivavano da una cosciente e calcolata azione massonica occidentale fun-

zionale agli interessi europei, aventi come obiettivo la penetrazione culturale e economica nelle terre della Sublime Porta. Le due “comunità massoniche” di maggiore rilievo in Egitto fino alla fine degli anni Settanta del XIX secolo furono, come accennato, quella francese e italiana. Gli italiani in particolare poterono vantare una sorta di diritto di primazia, derivante dagli esuli carbonari e mazziniani già presenti in loco dopo i moti del 1821, del 1830 e del 1848. A questo dato va aggiunto che la comunità italiana, a prescindere dalle appartenenze muratorie, derivava la sua importanza anche dalla sua consistenza demografica, essendo seconda in numero solo a quella greca. Fu tuttavia la componente italiana a prevalere in un Grande Oriente d’Egitto pur fondato, come detto prima, da francesi al seguito del primo Bonaparte. Va altresì sottolineato che l’influenza italiana nelle logge egiziane era svincolata dal Grande Oriente d’Italia (GOI), che pure annoverava alcune logge in Egitto. La “Rivista della Massoneria Italiana” nel 1873 citava infatti quattro sole logge affiliate al Grande Oriente Italiano e tutte a Alessandria d’Egitto: Socrate, Nuova Pompeia, Lealtà e Moeris. Il peso della

componente italiana si evince anche dal fatto che il consolidamento del Grande Oriente d’Egitto fu opera di personalità italiane: in particolare si ricorda la figura dell’ingegnere piemontese, e ex garibaldino, Solutore Avventore Zola, che riuscì a riscattare le sorti della comunità massonica italiana in Egitto, caduta in disgrazia per avere appoggiato Halim nella lotta politica tutta interna con il kedivè, cui si accennava sopra. Il 21 marzo 1873 infatti Zola: «venne proclamato all’unanimità Gran Maestro del Santuario di Memfi, Grande Oriente Nazionale d’Egitto, instaurando tra Massoneria e governo un rapporto che sembrava meglio garantire gli interessi di entrambe le parti»19. Sotto l’azione di Zola la comunità massonica italiana, che guidava il Grande Oriente d’Egitto, stabilì con il kedivè una sorta di patto nel quale si contemplava la possibilità per le logge italiane di continuare a avvicinare (e cooptare o influenzare) le élites locali20, purché non fossero condotte azioni ostili all’ordine costituito facente riferimento all’autorità del kedivè, secondo la seguente formula riportata da Zola stesso nel suo Sunto Storico del Grande Oriente Nazionale d’Egitto del 1883: «Noi abbiamo impegnata la nostra parola d’o53


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nore che mai e poi mai ci saremmo occupati di politica senza essere dal Capo dello Stato invitati»21. L’importanza dell’elemento italiano nelle costituite logge egiziane è comprovato inoltre dall’uso, accanto all’arabo, della lingua italiana nei documenti ufficiali del Grande Oriente d’Egitto e dalla presenza di cittadini italiani nelle alte cariche muratorie. Questo nonostante molti cittadini egiziani fossero affiliati alle varie logge: questi ultimi infatti si vedevano sopravanzare negli alti gradi pure da affiliati francesi e greci. A partire dal 1876 tuttavia il quadro parve cambiare. L’egemonia italiana nel Grande Oriente d’Egitto iniziò a perdere terreno a favore di una sempre più consistente prevalenza britannica. La De Poli mette questo evento in relazione alla crescente pressione economica e politica esercitata da un “cartello” di interessi guidato dalla Gran Bretagna. Nell’aprile del 1876 le pressioni di Francia e Gran Bretagna sull’Egitto si fecero infatti più intense, fino a dare forma a una Commissione di controllo, avente come 54

scopo quello di gestire le finanze egiziane per sanarne il debito estero, (così come, circa un decennio più tardi sarebbe avvenuto a Costantinopoli con la costituzione del Consiglio del Debito Pubblico Ottomano). Nel 1876 il Grande Oriente d’Egitto operò una fusione con il Supremo Consiglio dei 33° di Rito Scozzese. L’operazione non mancò di suscitare polemiche sia all’interno che all’esterno, tanto che si produsse una scissione dalla quale scaturì una Gran Loggia Nazionale d’Egitto. La prima Potenza estera a riconoscere tale secessione fu la Gran Bretagna, attraverso la Gran Loggia d’Inghilterra, con l’opera di mediazione svolta dal viceconsole britannico, Ralph Borg. A partire da questo evento l’influenza britannica nell’evoluzione della Massoneria egiziana nazionale, come in quella politica, assunse sempre più un peso maggiore. Sarebbe dunque sullo sfondo di questo scenario, suggerirebbe Barbara De Poli, originatosi a partire dalla scissione delle logge egiziane, che andrebbe

inquadrata la grave situazione finanziaria e politica che non mancò di generare sommovimenti nazionalisti come quello urabista22, a cui si oppose però una parte dell’élite egiziana, la cosiddetta aristocrazia turco-circassa, tendenzialmente vicina agli interessi britannici che, assumendo una posizione anti nazionalista, generò una frattura la quale ebbe come risultato quello di innescare rivolte e lotte intestine23. Tale scontro di potere sortì l’effetto non irrilevante, per le sue conseguenze politiche, di limitare fortemente la sovranità egiziana, nonostante il Califfo e Sultano di Costantinopoli mantenesse una sorta di autorità nominale su questa zona dell’Impero. A tale processo involutivo della sovranità statale non fu estranea, come visto, la crisi finanziaria della Porta acuitasi a partire dagli anni Settanta del XIX secolo24. La spaccatura si ripercosse pure sulle logge massoniche, alle quali appartenevano molte personalità di entrambi gli schieramenti. Ismail venne infatti deposto in favore del figlio Tawfiq il 26 giugno, men-


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tre per tutto il 1879 si consumarono diatribe, scissioni e sconfessioni all’interno del Grande Oriente d’Egitto e della Gran Loggia Nazionale d’Egitto. De Poli riporta alcuni nomi di notabili egiziani filo britannici, implicati nella lotta politica e allo stesso tempo membri della Massoneria egiziana: Mahmud Sami Pasha alBarudi, colonnello dell’esercito e capo delle rivolte armate del 1879, Al-Afghani, il pubblicista israelita Ya’qub Sanu’, i giornalisti siro-libanesi Adib Ishaq, Ibrahim al-Laqqani e Salim al-Naqqash, Adb alSalam al-Muwaylihi (capo dell’Assemblea nazionale). Quest’ultimo in particolare ebbe rapporti e tenne riunioni segrete con Ismail Raghib Pasha, ex ministro delle Finanze e padre di Idris Raghib Bey, che fu Gran Maestro della Gran Loggia Nazionale Egiziana dal 1891 al 1922. La frattura tra nazionalisti urabisti e filo britannici ebbe conseguenze importanti pure all’interno delle comunità massoniche occidentali. Francesi e italiani infatti, questi ultimi spinti anche dal ricordo delle lotte dei movimenti patriottico-risorgimentali, i cui ideali come visto costituivano l’originario nucleo del Grande Oriente d’Egit-

to, si schierarono a fianco dei nazionalisti urabisti. Mentre la componente filo-britannica confluì nella Gran Loggia Nazionale d’Egitto di cui divenne Gran Maestro nel 1888 il kedivè Tawfiq, insediato dagli inglesi al governo dell’Egitto al posto del padre Ismail, che anni prima era stato l’attore principale del patto di “concordia” tra il Grande Oriente d’Egitto, guidato dall’italiano Zola, e il governo egiziano. Si concludeva così una fase della Massoneria egiziana in cui aveva predominato la componente italiana che, forte delle esperienze dei moti risorgimentali e delle imprese garibaldine, aveva contribuito in maniera significativa alla costruzione della forma mentis delle élites egiziane per circa tre decenni. Se in Egitto lo sviluppo dell’azione massonica italiana fu legato a logge operanti indipendentemente dal GOI, non così si può dire di quelle attive in Turchia (intendendo le due province dell’Impero sotto il diretto controllo del Sultano: l’Anatolia e la Rumelia, quest’ultima comprendente parte della Grecia). Nonostante il loro operato fosse in parte contemporaneo (anni Sessanta-Ottanta del XIX

secolo), esso fu infatti la diretta emanazione del Grande Oriente d’Italia. Pure in Turchia come in Egitto la comunità italiana poteva contare su di un cospicuo numero: nel 1871 nella capitale Istanbul la componevano cinquemila individui25, potendo vantare una storia importante fondata sulla storica presenza dei mercanti Veneziani nel quartiere di Galata, che per secoli era stato una zona franca per gli scambi commerciali della Serenissima. Allo stesso modo che in Egitto, la Massoneria italiana in Turchia si diffuse inizialmente grazie all’apporto di esuli italiani aderenti alla Carboneria dopo i moti del 1820-21 e soprattutto del 1848. La fondazione della prima loggia risale al 1863, a opera dell’Oriente di Costantinopoli e fu intitolata Italia. Inizialmente posta alle dirette dipendenze del Grande Oriente di Torino, vide in seguito il sorgere al suo interno di lotte intestine, fino a che venne rifondata nel 1867 con il nome di Italia Risorta, per rimanere attiva fino alla fondazione della Repubblica Turca nel 1923. Nell’arco dei suoi cinquantasei anni di operatività essa vide aderire complessivamente 245 fratelli, tra i quali la De Poli cita: il dottor 55


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Riccardo Zeri, direttore dell’ospedale italiano, Carmelo Melia, l’addetto commerciale dell’ambasciata d’Italia, il viceconsole Giuseppe Rosset e il chirurgo Emilio Cipriani, Senatore del Regno d’Italia. Nel momento di massima espansione il GOI in Turchia poteva contare su undici logge distribuite tra Istanbul, Smirne, Magnesia e Salonicco. Non in tutte queste logge tuttavia la presenza degli Italiani risultava esclusiva o maggioritaria: nelle logge di Smirne a esempio, dove si contavano affiliati greci, turchi e armeni, gli italiani erano solo nove. I componenti di queste logge provenivano in massima parte dalla piccola e media borghesia o da operai e funzionari sia della comunità italiana che straniera. L’ideologia, un po’ come si è visto per le logge egiziane, attingeva molto dal radi56

calismo risorgimentale italiano e tendeva a avere un’influenza sull’operato delle logge stesse verso l’esterno. Secondo un articolo pubblicato nel 1890 dalla Rivista della Massoneria Italiana infatti l’obiettivo prioritario era: «aprire le menti al popolo, fondando scuole laiche specie nelle colonie ove se ne sente più bisogno, ove con la lingua madre l’operaio va perdendo spesso le memorie della patria»26. Tuttavia, secondo la De Poli, l’importanza sostanziale della Massoneria italiana non andrebbe rintracciata negli sviluppi interni o nei contatti con la comunità italiana residente in Turchia, bensì nel rapporto: «che questa intrattenne con gli attori politici internazionali e nazionali dell’epoca, rapporto che ne condizionò lo sviluppo e, segnatamente, la rese protagonista della nascita della Turchia moderna»27.

Inoltre l’insediarsi del GOI nelle province turche dell’Impero Ottomano con l’apertura della prima loggia nel 1863, accanto a quelle precedentemente fondate dalla Gran Loggia d’Inghilterra, dal Grande Oriente di Francia e dalla tedesca Gran Loggia di Amburgo, : «si integrava, direttamente o indirettamente, nel progetto di penetrazione politica dell’Italia in Medio Oriente»28. Tale obiettivo pare avesse avuto perfino una sorta di beneplacito dall’ambasciatore del Regno d’Italia presso la Sublime Porta29, anch’egli massone. Nell’ottica del diplomatico italiano infatti, agendo in tale maniera, la Massoneria italiana avrebbe potuto costituire un utile strumento per estendere, ulteriormente, la sfera d’influenza degli interessi italiani nel Levante. Questa valutazione ebbe modo di essere confermata nel 1895 dal Gran Maestro della loggia francese L’Union d’Orient, Louis Amiable, il quale scrisse che la diplomazia italiana, comprendendo la grande utilità dell’espansione massonica e i vantaggi che da questa potevano derivare per i governi che la favorissero, riprendeva la tradizione dell’ambasciatore britannico nell’Impero Ottomano Henry Bulwer30. Il riferimento a Bulwer non è di scarsa importanza, giacché gli intrecci della Storia abbiano voluto che rimandi al più famoso fratello di questi: Edward Bulwer-Lytton, parlamentare britannico, ministro Segretario alle Colonie (carica ricoperta da Winston Churchill31 nei cruciali anni del primo dopoguerra durante i quali si svolse anche la conferenza del Cairo per la sistemazione dei Mandati britannici in Medio Oriente), prolifico scrittore32, una cui nipote33 sposò il fratello maggiore di Arthur James Balfour, famoso per la Dichiarazione del 1917 in favore di un “focolare ebraico” in Palestina. Il connubio d’interessi tra ambasciata d’Italia e Massoneria italiana pare tuttavia non sfuggisse al Sultano ‘Abd ul-ahmid II (1867-1909) il quale, a differenza del suo predecessore Murad V, che fu affiliato al Grande Oriente di Francia, osteggiò radicalmente la Massoneria nei territori ottomani. La generale politica intrapresa da ‘Abd ulahmid II fu infatti avversa non solo alle logge italiane, ma pure alle varie manifestazioni di penetrazione occidentale, caratterizzandosi come una ferma politica


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di chiusura alle precedenti riforme modernizzatrici attuate dai suoi predecessori, fino all’annullamento della costituzione, peraltro da egli stesso concessa, già nel primo anno del suo regno. A partire dal 1876 infatti, il numero delle logge italiane in Turchia subì un drastico ridimensionamento, la maggior parte entrando “in sonno”, tanto che solo la loggia Italia Risorta continuò i lavori. Nell’ultimo decennio del XIX secolo ‘Abd ul-ahmid II riuscì inoltre a contenere l’azione di un’organizzazione rivoluzionaria che agiva con l’obiettivo di rovesciarlo, la quale, collegata ai Giovani Turchi in esilio a Parigi e nata negli ambienti della scuola militare di medicina, era guidata dall’albanese Ibrahim Temo. Questi era a sua volta collegato a massoni italiani, con l’ausilio dei quali tentò di creare dei circoli simili alla carboneria italiana, per realizzare un colpo di Stato nel 1896, che, seppur effettivamente tentato, fu sventato dagli agenti del sultano34. Ciò non impedì tuttavia che la comunità muratoria italiana continuasse a tessere relazioni con le élites Ottomane, soprattutto negli ambienti progressisti e nazionalisti dei Giovani Turchi. Nel 1885 a esempio furono affiliati all’Italia Risorta alcuni notabili ottomani, tra cui Mahmud Jelaleddin Bey e Mehmet Reshad Pasha, quest’ultimo destinato a diventare esponente di spicco del movimento dei Giovani Turchi. Sarà questi infatti a essere scelto, in qualità di consigliere di Stato, come membro della delega-

zione giovane-turca in visita in Italia subito dopo la rivoluzione del 1908 - 1909. Lo stato “di sonno” delle logge italiane ebbe termine nel 1900 con l’arrivo in Turchia di una eminente personalità del panorama massonico italiano: Ettore Ferrari35, Gran Maestro Aggiunto della Massoneria italiana, che in qualità di inviato del Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Ernesto Nathan, portò un messaggio ai fratelli “dormienti” di Costantinopoli, Smirne e Salonicco, sollecitandoli a risvegliarsi dal “sonno” che perdurava oramai da vent’anni. Questo atto rappresentò un momento importante per la storia delle logge italiane in Turchia, soprattutto nell’ottica vista prima relativa all’influen-

za sulla politica ottomana. Non è inoltre casuale che tale rinnovato impegno politico venisse sollecitato con vigore proprio da una figura quale quella di Ettore Ferrari. Il pensiero di Ferrari divergeva infatti da quello di Nathan soprattutto per quel che concerneva l’azione massonica in ambito politico e sociale: mentre il secondo era più propenso a una sorta di neutro distacco dalle cose dei partiti, il primo non esitava a incitare i massoni italiani a confrontarsi con la vita politica attiva del tempo36. Ben presto infatti in Turchia le officine italiane divennero le sedi per le riunioni clandestine dei Giovani Turchi. A Salonicco, a esempio, la loggia Macedonia Risorta divenne il ful57


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cro delle attività del giovane avvocato sefardita Emanuele Carasso, che viene citato (De Poli) come il vero anello di congiunzione tra il GOI e i Giovani Turchi. L’utilizzo dei locali della loggia italiana poneva inoltre i vari movimenti clandestini al riparto dalla repressione poliziesca di ‘Abdallah II, anche sulla base del vigente sistema delle capitolazioni37. Infatti con il beneplacito del Maestro Venerabile Carasso, i Giovani Turchi fecero della loggia Macedonia Risorta la sede dell’archivio del loro movimento, il cui obiettivo primario era la reintroduzione della costituzione liberale abolita dal sultano. L’apporto italiano non si limitò solo alla logistica, ma si estese pure alla for58

mazione culturale e organizzativa, basata sulle esperienze dei moti italiani del 1821 e 1848, sulle “Vendite carbonare” risorgimentali e sull’azione dei gruppi garibaldini. Un esule dai moti del 1848 come Emilio Cipriani a esempio, e già stretto compagno di Giuseppe Garibaldi38, ebbe notevole influsso sul modus agendi dei movimenti clandestini come il Comitato Unione e Progresso (CUP) e i Giovani Turchi, tanto che questi adottarono non solo il generale sistema organizzativo carbonaro, ma pure parole d’ordine, cerimonie e giuramenti. Fondato da Mehmed Talaat, con il nome appunto di Comitato Unione e Progresso (CUP), il movimento divenne noto

poi anche come partito dei Giovani Turchi o semplicemente Giovani Turchi. Il “rito di affiliazione” alla società prevedeva un voto solenne sul Corano e su un’arma da fuoco. Quando la rivolta del 1908 scoppiò a Salonicco, città dove risiedeva e lavorava nel locale ufficio postale Talaat, e dove era stanziata la 3a Armata ottomana, il movimento balzò alle cronache della stampa europea, guadagnandosi in alcuni casi le simpatie dell’opinione pubblica e del Foreign Office. Diverso invece l’atteggiamento dell’ambasciata britannica a Costantinopoli. Ciò fu dovuto al fatto che l’ambasciatore, Sir Gerald Lowther, fosse sotto l’influenza del primo consigliere e interprete per gli affari orientali, Gerald FitzMaurice, il quale aveva un’opinione negativa del CUP39. FitzMaurice diede un’interpretazione particolare: «[…] degli eventi del 1908 […] influenzata dal fatto che essi erano iniziati a Salonicco, i cui abitanti erano quasi per metà israeliti o dunmeh40, ossia membri di una setta nata nel diciassettesimo secolo dalla conversione all’Islam di un gruppo di ebrei. A Salonicco, inoltre, le legge massoniche erano particolarmente numerose […] La conclusione di Fitz Maurice fu che le attività del CUP rientrassero in una cospirazione internazionale, e specialmente latino-mediterranea, manovrata da ebrei e massoni41. Una volta, informando il Foreign Office – com’era suo dovere – dell’evolversi della situazione, l’ambasciatore definì il CUP “il Comitato ebraico per l’Unione e il Progresso”»42. L’analisi di FitzMaurice, al di là delle fascinazioni complottistiche, rispondeva anche a una precisa preoccupazione politica. Infatti: «In seguito […] condusse un’indagine sul CUP, i cui risultati furono esposti in un rapporto confidenziale che Lowther inviò a proprio nome, il 29 maggio 1910, al responsabile ufficiale del Foreign Office, Sir Charles Hardinge. Nel rapporto, Lowther faceva notare che Liberté, Egalité, Fraternité, il celebre motto della rivoluzione francese, era anche la parola d’ordine tanto dei massoni italiani […] quanto dei Giovani Turchi. Questi ultimi, proseguiva Lowther, intendevano «imitare la rivoluzione francese e i suoi metodi atei e livellatori. Gli sviluppi della rivoluzione francese [avevano portato] all’antagonismo fra l’Inghilterra e la Francia, e se la rivoluzione turca dovesse imboccare la


stessa strada, essa potrebbe in modo analogo entrare in conflitto con gli ideali e gli interessi della Gran Bretagna […]»43. Fu così dunque che: «[...] Lowther sostenne che gli ebrei si erano impadroniti di una organizzazione segreta massonica44 […] e che attraverso quest’ultima erano in grado di influire profondamente sulle vicende dell’Impero Ottomano. Uno dei membri più importanti della cospirazione ebreo-massonica sarebbe stato, secondo Lowther, l’ambasciatore statunitense […] Oscar Straus, il cui fratello era proprietario dei grandi magazzini newyorchesi Macy’s e Abraham & Straus. Il pericolo per l’Inghilterra, scriveva Lowther, stava nel fatto che «gli ebrei odiano la Russia e il suo governo, e l’amicizia che attualmente caratterizza i rapporti fra Russsia e Inghilterra ha l’effetto di renderli […] anti-inglesi» […] Lowther così concludeva: «Ho motivo di ritenere che il mio collega tedesco sappia benissimo fino a che punto gli ebrei e la Massoneria latina45 sono le forze ispiratrici del Comitato, e abbia informato il suo governo, in forma confidenziale, di questo aspetto della politica dei Giovani Turchi»46. Secondo l’ambasciatore britannico inoltre: «[…] il movimento sionista mirava a creare un focolare nazionale ebraico non già in Palestina, ma in una parte del territorio dell’odierno Irak»47. Di fatto l’azione italo-turca, intrapresa da Ferrari e Carasso, pare producesse buoni risultati, giacché pressappoco nel primo decennio del Novecento (1901-1908) aderirono alla loggia Macedonia Risorta 188 affiliati, di cui ventitre alti ufficiali delle forze armate ottomane, e De Poli riporta che Ettore Ferrari scrisse, sulle pagine della rivista massonica “Acacia”, come alla loggia Macedonia Risorta andasse riconosciuto il merito di avere: «formato il primo gruppo di agitazione organizzata del partito dei Giovani Turchi»48. Peraltro il riconoscimento dei Giovani Turchi a questa opera di sostegno del GOI non mancò successivamente di arrivare pubblicamente nel 1908 da uno dei capi del Comitato Unione e Progresso, Reshid Bey, il quale ebbe modo di spendere parole d’elogio e di ringraziamento per l’appoggio ricevuto dalla Massoneria italiana. Dall’archivio storico del GOI risulta come tre dei quattro capi del CUP fossero stati iniziati nella loggia Ma-

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cedonia Risorta nel 1903. Uno di questi, Rahmi Ben Riza, fu eletto, insieme a Carasso, deputato del parlamento ottomano per il collegio di Salonicco, mentre Midhat Sukru divenne il segretario del CUP, oramai legale. Un dato interessante è quello che sottolinea come il rapporto tra Massoneria italiana e (massoni) turchi si mantenne anche dopo la rivolta degli ufficiali del 1908, evidenziando così come tali legami andassero al di là delle contingenze politiche del momento. A riprova di questa interpretazione intervenne il tempestivo riconoscimento ufficiale del neo costituito, nel 1909, Grande Oriente Ottomano a opera del Grande Oriente d’Italia, no-

nostante pure il Grande Oriente di Francia si fosse impegnato e adoperato per garantirsi una stabile influenza sulla nascente Massoneria nazionale turca. Il felice connubio tra GOI e Massoneria turca ebbe pure modo di concretizzarsi con un “Trattato di Unione”, che garantì alla Massoneria italiana la possibilità di mantenere e costituire officine nel territorio ottomano, consentendo così a entrambe le obbedienze, oramai distinte (ma non distanti), di svilupparsi autonomamente. Questa “relazione speciale” tra Massoneria ottomana e italiana soffrì tuttavia un momento critico durante la guerra italoottomana per la Libia nel 1911. Il governo di Costantinopoli infatti, spin59


Massoneria

to dalla volontà di impedire l’annessione della sua provincia nordafricana al Regno d’Italia, tentò la via della mediazione con il GOI, cui si rivolsero i Giovani Turchi. Nelle intenzioni ottomane il GOI avrebbe dovuto fare pressioni sul governo di Roma per scongiurare la perdita della provincia libica. La risposta dei “fratelli italiani” fu però che Palazzo Giustiniani49 non avrebbe potuto prendere nessuna iniziativa che fosse risultata in antitesi con gli interessi e la dignità dell’Italia. L’iniziativa diplomatica “ufficiosa” della Massoneria turco-ottomana mise infatti in difficoltà la posizione del Grande Oriente d’Italia, esponendo Palazzo Giustiniani e il suo Gran Maestro agli attacchi della stampa nazionalista e cattolica italiana, sulla base dei legami tra Ferrari e i Giovani Turchi. Si insinuava infatti, soprattutto sulla stampa cattolica, il timore che il GOI potesse privilegiare il legame massonico rispetto agli interessi nazionali. Tale situazione spinse Ferrari a prendere una posizione netta allorché, rispondendo a una lettera della loggia Macedonia Risorta di Salonicco che chiedeva di non umiliare la Turchia, scrisse nei seguenti termini: «Egregi e cari fratelli, la vostra lettera […] fu da me sottoposta all’esame della Giun60

ta del Governo dell’Ordine, della quale vi esprimo subito, liberamente il pensiero. È vero, come massoni e come italiani, noi salutammo con gioia l’abbattimento della tirannide che opprimeva il vostro paese e l’instaurazione, favorita con tanta efficacia dalla famiglia massonica, del nuovo ordinamento politico […] Le nuove combinazioni che si andavano determinando nella politica internazionale e l’atteggiamento irriducibile delle autorità ottomane in rapporto ai nostri legittimi e pacifici interessi, indussero il governo italiano a riprendere in esame l’antica questione della Tripolitania: tutta Italia sentì che erano giunti i termini fatali della risoluzione […] Fallite le trattative diplomatiche, fu dichiarata e iniziata la guerra. Se le logge ottomane, e più specialmente la vostra, si fossero rivolte al Governo dell’Ordine durante la prima fase della contesa, che poi divenne conflitto armato, avremmo potuto adoperarci per una soluzione che, tutelando gli interessi italiani, rispondesse, in pari tempo, alle aspirazioni umanitarie dell’Ordine: oggi, allo stato dei fatti, ogni intervento è impossibile. Comprendiamo le vostre apprensioni di patrioti: ma voi ugualmente comprenderete che i massoni italiani non possono e non debbono assumere iniziative che, a guerra aperta, costituirebbero un tradimento e un attenta-

to contro gli interessi e la dignità della patria. […] Il G.O. d’I. deve dunque limitarsi a esprimere l’augurio che non tardi troppo, in ragione e per la forza dei fatti compiuti, il ritorno di quella pace dignitosa e sincera, che, senza dubbio, è nel desiderio e nell’interesse dei due popoli […]»50. Peraltro una diversa versione circa l’approccio del GOI nei confronti dell’impresa bellica italiana fu espressa dal Grande Oriente d’Italia stesso secondo cui: «In realtà lo scarso entusiasmo [per la guerra] era legato al minacciato pericolo che la nuova colonia potesse diventare “soltanto una colonia clericale”»51. Simili preoccupazioni erano state manifestate nella Seduta della Giunta del GOI dell’11 ottobre 1911, sulla base dell’analisi della generale situazione politica italiana, nella quale il blocco progressista aveva dovuto cedere dinnanzi al coagularsi delle forze liberal-conservatrici, nazionaliste e clericali. Forze in alcuni casi non avulse da interessi finanziari e bancari con mire su alcune aree dell’Impero Ottomano, come appunto la Libia, e aventi come riferimento la finanza cattolica che si riconosceva nel Banco di Roma52, la cui propaganda per mezzo della stampa dipingeva l’intervento militare italiano in Libia come una sorta di nuova e moderna crociata53.


in Turchia

L’episodio libico fu tuttavia il segnale che i rapporti tra Grande Oriente Italiano e il neo costituito Grande Oriente Ottomano si stavano avviando lungo strade diverse. Infatti la rottura politica consumatasi con gli eventi bellici libici, insieme alla crescita in autonomia del Grande Oriente Ottomano, che finì con l’assorbire gradatamente la maggior parte delle logge straniere, sancì il declino delle officine italiane in Anatolia, che, già provate dal Primo conflitto mondiale, subirono un ulteriore indebolimento all’avvento del fascismo. In conclusione è dunque lecito affermare che la Massoneria (sia anglosassone -inglese-, che “latina” -francese e italiana-)

rappresentò un importante bacino di coltura e diffusione di quegli ideali che, ispirati al liberalismo e al razionalismo illuminista, caratterizzarono il “clima di fervore e risveglio culturale che attraversava i territori dell’Impero Ottomano dalla seconda metà dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento”54. Secondo il giudizio di Barbara De Poli a ciò va in parte ricondotto il modus agendi di figure che ebbero larga influenza sul Novecento arabo-musulmano quali a esempio Al-Afghani, Muhammad Abduh55 e gli animatori della stampa riformista progressista (come le riviste “alMuqataf” e “al-Lata’if”) i quali espressero idee e orientamenti culturali, politici e ideologici, che, quando non direttamente ispirati a modelli di matrice massonica, furono comunque diffusi e condivisi

in quegli ambiti, confermando in questo senso anche la natura di strumento privilegiato di penetrazione delle Potenze europee rappresentato dalla Libera Muratoria, tanto che: “espansionismo massonico e coloniale andavano a convergere e talvolta a identificarsi”56. Si riconferma inoltre il dato per cui il contributo italiano a tali influssi non fu secondario potendosi basare su alcuni fattori ben definiti. Da un lato la preponderanza numerica dei “fratelli” di nazionalità italiana, cui già si accennava, per cui nell’Impero, e in particolare nelle sue province arabe, le logge da essi fondate, animate o frequentate, risultarono più numerose di quelle di altre nazionalità, soprattutto britanniche e francesi. Dall’altro la componente risorgimentale forgiata nelle lotte e nei moti indipendentisti, che influen61


a una corrispondente, deviata interpretazione dei simboli, e l’attività dell’organizzazione si concentrò decisamente sul piano politico-sociale, anche se usando prevalentemente la tattica dell’azione indiretta e manovrando con influenze e suggestioni, di cui era difficile individuare l’origine prima». Mentre per una panoramica generale sulla “Massoneria moderna” in antitesi col giudizio di Evola si veda Bonvicini, Eugenio. Massoneria Moderna. Storia, ordinamenti, esoterismo, simbologia. (Ed. Bastogi), in particolare: «Non di meno ci dissociamo da coloro che vedono una iattura nella svolta storica del 1717, data di formale nascita della Massoneria moderna (o speculativa). Tale iattura è vista perché Anderson distrusse, come afferma nella sua relazione del 1723, molti documenti antichi, soprattutto quelli comprovanti le ascendenze mediterranee della Massoneria […]» (p. 39). Di seguito Bonvincini aggiunge: «[…] da alcuni si considera una iattura la svolta storica del 1717 perché si ritiene che con essa si sia dispersa la genuinità della Tradizione libero muratoria e auspicano un recupero od un ritorno od una pretesa ‘ortodossia’ anteriore alla svolta del 1717» (ibidem).

Massoneria

2 Sui Giovani Turchi, si veda, tra gli altri, Sukru Hanioglu, M. The Young Turks in Opposition. Oxford University Press, 1995. 3 Storico, Docente universitario e già ambasciatore della Repubblica italiana a Mosca (Unione Sovietica) dal 1985 al 1989.

zò in maniera notevole personalità ottomane le quali ebbero poi ruoli importanti nella diffusione degli ideali nazionalisti e liberali determinando in alcuni casi svolte epocali, onde per cui l’analisi delle influenze culturali della Massoneria in Egitto e in Turchia porta a concludere come: «[…] senza dubbio […] una parte non irrilevante della costruzione dell’identità nazionale egiziana e turca è transitata all’interno o intorno all’esperienza massonica italiana»57, in considerazione soprattutto del fatto che negli stessi ambienti si poté assistere alla circolazione di intellettuali e politici antesignani del pa62

narabismo e perfino del fondamentalismo islamico58. _____________ Note: 1 Cfr. Evola, Julius. La Massoneria moderna come inversione del ghibellinismo, in Il mistero del Graal, Edizioni Mediterranee, 1994, dove l’autore spiega come: «Fu nel 1717 che, con l’accennata fondazione della Gran Loggia di Londra e col subentrare della cosiddetta “Massoneria speculativa” continentale, si verificarono il soppiantamento e l’inversione di polarità, di cui si è detto. Come “speculazione” qui valse infatti l’ideologia illuministica, enciclopedistica e razionalistica connessa

4 Romano, Sergio. La vendetta del sultano perseguita l’Occidente, in “Il sole 24 ore”, 24 ottobre 2001. L’analisi di Romano trova riscontro nella “storia della Massoneria moderna” (sopra citata, inclusa in una collana diretta dal Prof. Aldo Mola per le edizioni Bastogi) di Eugenio Bonvicini, (già Docente di Diritto Civile nell’Università degli Studi di Firenze, avvocato in Bologna, affiliato al Grande Oriente d’Italia e insignito del 33° grado del Rito Scozzese Antico e Accettato) per il quale il mondo musulmano: «[…] in passato non fu ostile alla Massoneria e ammise ai propri credenti di accedere alle Logge, che sorsero numerose nel secolo scorso e nella prima metà di questo secolo. Sorsero nel sultanato Turco […] e in altri Paesi Musulmani, poi sorsero nella Turchia moderna – dove lo stesso Ataturk fu massone – in Giordania, nell’Iran dello Scià» (Bonvicini, Massoneria moderna, p. 81). Diverso invece il giudizio dello stesso autore sulla situazione odierna della Libera Muratoria nel mondo islamico. Infatti scrive Bonvicini: «Oggi invece la Massoneria è vietata nel Mondo Musulmano là dove sono saliti al potere gli Integralisti religiosi – come nell’Iran di Khomeini – ovvero dove sono salite al potere dittature personali, più o meno ossequienti alla Legge religiosa. Sta di fatto che oggi la Massoneria è perseguitata in gran parte del Mondo Musulmano […]» (ibidem). 5 Lo studio è contenuto in Cazzaniga, G. M. (a cura di). Storia d’Italia. Annali 21. Massoneria. Einaudi, 2006, pp. 634-654. a esso si fa qui esplicito riferimento, traendo ampie citazioni. Inoltre, tra gli istituti universitari precursori nello


studio dei rapporti tra Libera Muratoria e mondo islamico, in particolare ottomano, merita di essere ricordato l’Istituto Cesare Alfieri dell’Università degli Studi di Firenze. 6 Docente di “Storia e istituzioni del Vicino e Medio Oriente” all’Università Ca’ Foscari di Venezia. 7 Scrive David Fromkin che: «Per la verità, essere membro di società segrete di carattere politico o religioso era un fatto tutt’altro che raro […] Durante il sultanato di Abdul Hamid, autoritario e accentratore, ovvero fra il 1876 e il 1909, fare politica alla luce del sole era pericoloso. Il sultano, che aveva sospeso la costituzione e sciolto il parlamento non tollerava il dissenso. Per reprimerlo si serviva di una polizia segreta. Ovviamente, gli oppositori furono costretti a operare anch’essi nella clandestinità, e le società segrete proliferarono. Le prime si ispiravano ai gruppi rivoluzionari europei del secolo decimo nono, in modo particolare ai carbonari italiani, e erano organizzate in “cellule” composte da un pugno di membri […]» (Una pace senza pace …, cit., p. 43)

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8 De Poli, Barbara. Il mito dell’Oriente e l’espansione massonica italiana nel Levante, cit., ibidem, p. 637. 9 Ibidem, pp. 634-635. 10 Ibidem. 11 Ibidem, p. 638. 12 Ibidem. 13 Su Giuseppe Mazzini e i suoi rapporti con la Libera Muratoria, Massimo della Campa, (già Gran Maestro onorario del Grande Oriente d’Italia), ha scritto: «Non consta che Giuseppe Mazzini abbia mai messo piede in una loggia massonica. Non è, quindi, ritenuto esser stato massone. Tuttavia, in Giordano Gamberini – Mille volti di massoni, Ed. Erasmo, Roma 1976, p. 119 – si legge: “Apostolo dell’unità italiana. Iniziato nel 1893 a Genova, secondo G. Fazzari e F. Borsari (Luce e concordia, 1° giugno 1886, dispense 3 e 4, pag. 23, colonna III). Ricevette dal Fr. Passano il 32° grado del R.S.A.A., necessario per corrispondere in Carboneria al livello di Vendita Suprema, nelle carceri di Savona. Con decreto del S.C. di Palermo, il 18 giugno 1866 ricevette l’aumento di luce al 33° grado e la qualifica di membro onorario del medesimo Supremo Consiglio. Fu membro onorario delle L.L. Lincoln di Lodi e Stella d’Italia di Genova. Scrivendo a Logge, Corpi rituali e Fratelli usò sempre i segni massonici. Alla sua morte il Grande Oriente d’Italia pubblicò un manifesto che lo definiva esplicitamente Massone e coniò una medaglia con l’effigie del Fr. Mazzini decorata delle insegne massoniche. Nessun contemporaneo mise mai in dubbio l’appartenenza di Mazzini alla Massoneria.” La contraddizione è solo apparente. Il fatto che egli fosse stato iniziato – o avesse, secondo qualcuno, subito l’iniziazione – e che è riportato da più fonti, non significa che egli vi avesse dato seguito vivendo e comportandosi da adepto. Il che non è stato.» (in Luce sul Grande

Oriente. Due secoli di Massoneria in Italia. Sperling & Kupfer, 2005, pp. 320-321). 14 Scrive De Poli: «[…] La Massoneria operativa medievale e i suoi sbocchi rinascimentali, infatti, caratterizzeranno i termini del tema orientale e egiziano attraverso canoni che diverranno permanenti in quella tradizione e che saranno ripresi e evocati, in continuità ideale, dalla Massoneria speculativa, fondata nel 1717. Con la fondazione delle prime logge massoniche nel Vicino Oriente, la Massoneria moderna sembra andare a ricongiungere idealmente il cerchio, recuperando il mito fondativo nella sua sede originaria. Si apre così un nuovo ciclo di contatti tra Oriente e Occidente, che in ambito esoterico rinnoveranno la rappresentazione dell’Oriente quale fonte di sapienza e ravviveranno, tra l’altro, quella che fu nel costume, ma anche nell’ambito massonico occidentale, l’egittomania […]» (Il mito dell’Oriente …, cit., ibidem, p. 636). Per una disamina essenziale delle componenti del mondo assai vario dei (principali) rituali massonici, uno strumento prezioso, ma non esclusivo, è la citata monografia di Bonvicini. 15 Mehmet ‘Ali (1769-1849), grande figura di governatore, riformatore (politico e militare) e condottiero egiziano (di origini albanesi) che segnò profondamente l’Egitto, e in generale buona parte delle province arabe dell’Impero Ottomano, nella prima metà del XIX secolo. Sulla sua figura si vedano, tra le altre opere, Fahmy, Khaled. All The Pasha’s Men: Mehmed Ali, his army and the making of modern Egypt, American University in Cairo Press, New York, 1997; e dello stes-

so autore “The Era of Muhammad ‘Ali Pasha, 1805-1848”, in The Cambridge History of Egypt: Modern Egypt, from 1517 to the end of the twentieth century. M.W. Daly, ed., pp. 139- 179, Vol. 2, Cambridge University Press, Cambridge, 1998. 16 De Poli, B. Il mito dell’Oriente …, cit., ibidem, p. 639. 17 Introvigne, Massimo La Massoneria «di frangia, in Il cappello del mago, SugarCo Edizioni, 1990, pp. 166-67. 18 De Poli, B. Il mito dell’Oriente …, cit., ibidem, p. 639. Spiega De Poli, a proposito di tale scontro: «Il Principe Halim Ibn Muhammad Ali (1826-94), secondo le regole ereditarie dell’epoca, che volevano erede il discendente maggiore della dinastia alwita, era destinato a salire al trono egiziano dopo Ismail, più anziano di lui di soli due mesi. Alla sua elezione nel 1866, Ismail, con un decreto aveva mutato la regola di successione in favore del figlio, a scapito di Halim, che da allora lotterà contro la famiglia regnante. Aveva compiuto gli studi in un collegio militare in Francia, e […] rientrato in Egitto […] si era legato alla Massoneria e aveva stabilito buoni rapporti con intellettuali francesi e italiani», (ibidem, nota [26]). 19 De Poli, B. Il mito dell’Oriente …, cit., ibidem, p. 641. 20 Nel più recente studio (2010), pubblicato sempre all’interno della collana degli “Annali della Storia d’Italia”, Vol. 25, Esoterismo, Cazzaniga scrive: «In Egitto si arriverà alla costituzione di un Santuario di Memphis, Gran-

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de Oriente Nazionale d’Egitto, avente nel 1873 come Gran Maestro Solutore Avventore Zola, che nel ’60 aveva combattuto con Garibaldi in Sicilia. Si tratta d’una obbedienza che avrà una forte influenza su ufficiali dell’esercito e su settori riformatori della corte, influenza che verrà meno solo all’inizio del Novecento con l’affermarsi dell’egemonia inglese», (pp. 561-63). 21 Zola, Solutore Avventore. Sunto Storico del Grande Oriente Nazionale d’Egitto, 1883, p. 11, (cit. in De Poli, B. Il mito dell’Oriente …, cit., ibidem, p. 641, nota [34]). 22 Dal nome del colonnello egiziano nazionalista Ahmad Urabi (1841-1911) che dopo una breve esperienza come capo di un movimento nazionalista egiziano morì in esilio nella colonia inglese di Ceylon. Sul movimento e la rivolta che da lui prese il nome cfr. The Urabi Revolution and the British Occupation (1879 – 1914), consultabile alla pagina Internet http://www.nationalarchives.gov.eg/nae e Reid, Malcom Donald. The Urabi revolution and the British conquest, 1879-1882 in The Cambridge History of Egypt. Volume Two: Modern Egypt, from 1517 to the end of the twentieth century. Cambdrige University Press, 1998.

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23 Cfr. anche Fiorani Piacentini, Valeria. Islam. Logica della fede e logica delle conflittualità. Franco Angeli, Milano, 2003. 24 Sugli sviluppi della storia politica dell’Egitto dalla fine del XIX secolo cfr. anche Giannini, La questione egiziana, in L’ultima fase della Questione Orientale …, cit., pp. 339-466. 25 Di cui settecento erano ebrei. 26 Rivista della Massoneria Italiana, n. 11-12 (1890), p. 181, (cit. in De Poli, B. Il mito dell’Oriente …, cit., ibidem, p. 646). 27 De Poli, B. Il mito dell’Oriente …, cit., ibidem, p. 646. 28 Ibidem, p. 647. 29 Il marchese Caracciolo di Bella (il riferimento è in De Poli, Il mito dell’Oriente …, cit., ibidem, p. 647). 30 Henry William Earle Lytton (1801-1872) 1st Baron Dalling and Bulwer, membro dell’Ordine del Bagno e dell’Her Majesty’s Most Honourable Privy Council, (il Consiglio Privato della Corona britannica), uomo politico (di ispirazione liberale) e diplomatico. Fu ambasciatore di Sua Maestà Britannica nell’Impero Ottomano dal 1858 al 1865.

31 Winston Leonard Spencer Churchill (1874 1965). Tra i suoi avi paterni figura John Curchill (1650-1722) 1° duca di Marlborough. Figlio di Rundolph Henry Spencer Churchill (terzogenito di John Spencer Churchill, 7° duca di Marlborough), e della statunitense Jessie Jerome. Eletto per la prima volta nel 1900 al Parlamento britannico nella fila dei conservatori, passò poi al partito Liberale. Negli anni precedenti il Primo conflitto mondiale fu ministro in vari dicasteri tra cui quello degli Interni (Home Secretary), degli Armamenti e infine Primo Lord dell’Ammiragliato. Nel dopoguerra fu Segretario alle Colonie nel governo del Primo Ministro liberale David Lloyd George. Nel 1924, ritornato al Partito Conservatore, divenne Cancelliere dello Scacchiere nel governo di Stanley Baldwin. Durante la Seconda guerra mondiale fu Primo Ministro, guidando l’impero Britannico nella lotta contro le forze dell’Asse. Nel 1953 gli fu attribuito il Premio Nobel per la Letteratura. Fu iniziato alla Massoneria nella Studholme Lodge di Londra nel 1901, frequentando regolarmente i lavori di loggia fino al 1912. Nel 1918 fu tra coloro i quali chiesero la creazione della Ministry of Munitions Lodge (loggia del Ministero degli Armamenti),


che però non venne concessa; (cfr. MacNulty, Kirk W. Massoneria. Simboli, segreti, significato. Mondadori, 2010, p. 304). 32 Edward George Earle Lytton Bulwer (1803 – 1873), 1st Baron Lytton of Knebworth. Fu autore, tra gli altri, del romanzo storico Gli ultimi giorni di Pompei e del libro che inaugurò la fantascienza (moderna): The Coming Race o anche noto con il titolo di Vril: the Power of the Coming Race. Su E. Lytton Bulwer cfr. anche Introvigne, M., in op. cit.: pp. 144, 149, 153, 185, 214. 33 Si tratta di Lady Elizabeth Edith Bulwer-Lytton (1867 – 1942) che il 21 dicembre 1887 convolò a nozze con Gerald William Balfour (1853 – 1945), 2° conte Balfour e fratello maggiore dell’autore della famosa Dichiarazione Balfour. 34 Cfr. Pulejo, L. L’Italia e i problemi finanziari dell’Impero Ottomano, cit., p. 43. Sulla generale politica repressiva di questo sultano si veda inoltre David Fromkin, per il quale: «La polizia segreta di Abdul Hamid riuscì a scoprire e rendere inoffensive le organizzazioni clandestine dell’opposizione a Costantinopoli e in altre località […]» (Una pace senza pace …, cit., p. 43). 35 (1845-1929), di formazione mazziniana e “figlio d’arte”, (il padre infatti era lo scultore Filippo Ferrari), fu iniziato alla loggia romana Rienzi. Il 15 febbraio 1904 fu eletto Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, carica riconfermata nelle successive elezioni del 1906 e 1912. Artista famoso (dopo avere frequentato l’Accademia di Belle Arti di San Luca ne divenne professore) scolpì alcune tra le più importanti opere italiane a cavallo tra Ottocento e Novecento. Si ricordano in particolare il Giordano Bruno in Campo dei Fiori a Roma, la statua dell’allegoria La Rivoluzione nel complesso del Vittoriano e il Monumento a Ovidio (in copia) a Sulmona. 36 Cfr. Isastia, Anna Maria. Ettore Ferrari (19041907), in http://www.grandeoriente.it (alla pagina-voce “Studi e Ricerche”, “Gran Maestri”). 37 Cfr. § 1.2. 38 Di Garibaldi è nota l’affiliazione storica alla Massoneria italiana. Fu inoltre Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dal 24 maggio all’8 agosto 1864. 39 Fromkin, D. Una pace senza pace …, cit., pp. 44-45. 40 Sui “dunmeh”, o “donme”, che in turco significa “convertiti”, e sulla figura guida cui essi si sono ispirati, il mistico ebreo Sabbatai Zevi nato a Smirne nel 1626 (+ 1676), si vedano Sholem, G. Sabbetay Sevi – Il Messia mistico. Einaudi, Torino, 2000; Neyzi, L. Remembering to forget: sabbateanism, national identity, and subjectivity in Turkey, in “Comparative Studies in Society and History”, n. 44 (2002), pp. 137-158; e Baer, M. D. The double bind of race and religion: The conversion of the Donme to Turkish secular nationalism,

in “Comparative Studies in Society and History”, n. 46 (2004), pp. 682-708. 41 Peraltro personaggi che si rivelarono determinanti nel tracciare la politica dei loro Paesi relativamente all’Impero Ottomano, tra la vigilia del Primo conflitto mondiale e l’immediato dopoguerra, e nel medesimo tempo appartennero alla Libera Muratoria, furono, a esempio, Lord Kitchener, Winston Churchill, Rudyard Kipling (che fu inziato alla loggia Hope and Perseverance n. 728 nel 1882) e il primo ministro greco Eleutherios Venizelos (cfr. della Campa, Luce sul Grande Oriente …, cit., pp. 325-326; e McNulty, K. W. Massoneria …, cit., p. 291). 42 Fromkin, D. Una pace senza pace …, cit., pp. 44-45. 43 Ibidem, p. 45. 44 Scrisse, tra le altre cose, che: «L’ebreo d’Oriente ha una particolare attitudine alla manipolazione delle forze occulte […]», cit. in Fromkin, D. Una pace senza pace ..., cit., p. 45. 45 A proposito di tale distinzione scrive un autore quale Marco Dolcetta: «Nel 1805 De Thierry, un ufficiale dell’armata napoleonica di stanza a Milano, riceve dal Supremo Consiglio Scozzese di Francia una “patente massonica” che lo autorizza a istituire un Rito Scozzese italiano e, conseguentemente, una Grande Loggia Azzurra per la giurisdizione italiana. Questa organizzazione - primo corpo massonico italiano – viene dapprima denominata Gran Loggia Generale d’Italia ma, nel momento in cui iniziano a delinearsi i contrasti fra concezione “inglese” e “francese” dell’Ordine, il nome viene mutato in Grande Oriente d’Italia, a sottolineare la maggiore affinità col Grande Oriente di Francia, piuttosto che con la Gran Loggia inglese. Da ciò deriverà un approccio massonico “latino”, sempre pronto a rivendicare le proprie prerogative nei confronti di quello “anglosassone” (Politica occulta. Logge, Lobbies, Sette e politiche trasversali nel mondo. Castelvecchi, Roma, 1998, p. 35). 46 Fromkin, D. Una pace senza pace …, cit., p. 45. 47 Ibidem, p. 46. Il rapporto di Lowther e l’analisi di FitzMaurice contribuirono, secondo Fromkin, a influenzare in maniera distorta la visione dei vertici governativi britannici riguardo l’approccio agli affari ottomani. Dopo la rivoluzione del 1908 Lowther fu sostituito dal nuovo ambasciatore Sir Louis Mallet, definito da Fromkin “meno prevenuto nei confronti dei Giovani Turchi” (ibidem, p. 48). 48 Ferrari, Ettore. La Massoneria italiana e la rivoluzione turca, in “Acacia” (Roma), II (1910) pp. 21-131, (cit. in De Poli, B. Il mito dell’Oriente …, cit., ibidem, p. 649.). Sui rapporti tra i Giovani Turchi e Ettore Ferrari si veda inoltre Iacovella, A. “Ettore Ferrari e i «Giovani Turchi»”, in Isa-

stia, A. M. (a cura di). Il progetto liberal-democratico di Ettore Ferrari. Un percorso tra politica e arte. Franco Angeli, 1997. 49 Dal nome dello storico palazzo romano, ubicato nel centro di Roma in via San Pancrazio, che ha ospitato la sede della famiglia massonica italiana che si riconosce nell’obbedienza del

in Turchia Grande Oriente d’Italia e cui ci si riferisce per antonomasia. 50 “Lettera Alla R.L. Macedonia Risorta Or. di Salonicco del Gran Maestro del GOI Ettore Ferrari del 20 ottobre 1911 E.V.” (in http:www.grandeoriente.it , cit., ibidem). Il testo completo della lettera si trova nei verbali di Giunta del GOI. 51 Isastia, A. M. Ettore Ferrari (1904-1907), cit., ibidem. 52 Cfr. Mori, R. La penetrazione pacifica italiana in Libia dal 1907 al 1911 e il Banco di Roma, in Rivista di studi politici internazionali, 1957, XXIV, 1, pp. 102-118; D’Alessandro, A. Il Banco di Roma e la guerra di Libia, in Storia e Politica, 1968, VII, III, pp. 491-509. 53 Non si è inteso qui dare un giudizio di merito sulle due istituzioni (“Palazzo Giustiniani” e Vaticano), bensì citare e registrare unicamente documenti e posizioni che possano meglio contribuire all’analisi delle tematiche affrontate in questo paragrafo, nel più critico e imparziale spirito storico. 54 De Poli, B. Il mito dell’Oriente …, cit., p. 652. 55 Sulle personalità dell’élite intellettuale arabomusulmana passate attraverso l’appartenenza e l’esperienza massonica si veda Kedourie, E. Afghani and Abduh. An Essay on Religions Unbelief and Political Activism in Modern Islam. Portland, London, 1997. 56 De Poli, B. Il mito dell’Oriente …, cit., ibidem, pp. 651-652. 57 Ibidem, p. 652. 58 Ibidem, nota 93. Quest’ultimo aspetto va però disgiunto dai, più recenti, fenomeni del terrorismo armato di matrice islamica.

P.50: Cartolina di Istanbul, primi del ‘900; p.51: Didar-i Hürriyet kurtarılıyor (la Libertà salvata), 1895, cartolina celebrante la costituzione Ottomana del 1876 col Sultano Abdul-Hamid, i popoli dell’impero (turchi col drappo rosso, arabi con quello verde, greci e armeni) che liberano la Turchia (in ginocchio) mentre l’angelo reca il cartiglio con le parole Libertà/Uguaglianza/Fraternità in turco e greco; p.52 e 55: Il Cairo, primi del ‘900; p.53: Napoleone in Egitto di J.L.Jerome; p.54: Giza (foto P.Del Freo); p.58/61: Immagini e oggetti della guerra Italo-Turca 1911-1912; p.62: Mehmed V Reshad (2/11/1844—3/7/1918), XXXV Sultano dell’Impero Ottomano; p.63: Mehmet Talât Pasha; 1874—15/3/1921); p.64: Mustafa Kemal Atatürk (Salonicco, 19/5/1881—Istanbul, 10/11/1938).

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Applauso o batteria? Un aspetto della ritualitĂ massonica Elisabetta Pabis Ticci e Riccardo Cecioni

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l linguaggio è un sistema di segni condivisi, ma è necessario chiarire bene di quali segni ci si serve e quale valore si attribuisce loro, in quanto ogni cultura attribuisce a ciascun segno un significato del tutto arbitrario che può variare incredibilmente e anche contraddirsi. Nella comunicazione molto spesso l’abito fa il monaco, intendendo con abito il complesso delle manifestazioni esteriori che caratterizzano la nostra maniera di esprimerci. Risulta infatti che circa il 70-80% dell’informazione che raggiunge la corteccia cerebrale giunge dagli occhi, contro il 1015% che proviene dall’udito. Le ricerche neurolinguistiche, inoltre, indicano chiaramente la priorità dell’elaborazione visiva, globale, simultanea, contestuale, analogica delle informazioni nell’emisfero destro del cervello, anche se le informazioni sono linguistiche e quindi andranno poi rielaborate dall’emisfero sinistro (verbale, analitico, sequenziale, logico). Siamo dunque prima “visti”e successivamente uditi e ascoltati. La cinesica studia la comunicazione non verbale (o paralinguistica) e, soprattutto, quella che si attua attraverso i movimenti, i gesti, le posizioni, la mimica del corpo, in modo volontario o involontario. Fa particolare riferimento ai codici comunicativi antropologici, culturali o artificiali, quali i gesti di cortesia o di disprezzo, la gestualità nelle varie tradizioni teatrali, la gestualità oratoria, il mimo, il linguaggio gestuale muto dei monaci di clausura, dei sordomuti, degli zingari ecc. La maggior parte dei moti dell’animo, degli impulsi emozionali, si esternano in maniera udibile. Tutte le creature superiori esprimono emozioni e sentimenti col movimento, con gesti. Solo l’uomo però appare capace di regolare e coordinare i suoi impulsi emozionali e i suoi gesti, egli soltanto è dotato di coscienza ritmica. Anche l’Occidente, ovviamente, ha conosciuto l’arte del gesto, la cinesica, come atto significante. Molti etnologi e filosofi sono unanimi nel sostenere l’anteriorità del linguaggio gestuale rispetto a quello verbale. Si può definire gesto qualsiasi movimento fatto con le mani, le braccia o le spalle. Esistono gesti pratici (quelli che si fanno per afferrare o per costruire un oggetto, aprire una porta, appoggiarsi a un tavolo e gesti comunicativi.

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Un gesto è comunicativo quando la forma che assumono le mani e il loro movimento sono prodotti per comunicare. Un gesto comunicativo è un segno: una coppia significante-significato in cui il significante è una particolare forma del movimento delle mani o delle braccia o delle spalle e il significato è una conoscenza di formato proposizionale o un’immagine mentale visiva. I gesti simbolici delle mani sono conosciuti in diverse tradizioni, di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Molti gesti sono simili, per esempio quello di congiungere le mani in preghiera, è uno dei simbolismi più diffusi. Nell’arte le mani hanno spesso forme stilizzate e immobilizzate in un

gesto simbolico: l’indice rivolto verso l’alto, o la mano con il palmo aperto. Non solo, ma è da notare la differenza diametralmente opposta che si ottiene nell’approccio con un animale, quando gli si tende la mano bassa col palmo rivolto verso l’alto o alta col palmo verso il basso: in entrambi i casi l’animale ha perfetta visione del palmo della mano che può sempre verificare non armata, ma il significato che ne coglie è amichevole nel primo caso e minaccioso, temibile nel secondo e quindi, al minimo, degno di un avvertimento sonoro di altolà. Secondo Aristotele le mani sono una diramazione del cervello: le mani parlano. Le raffigurazioni sacre sono ricche di 67


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questi esempi. I gesti simbolici delle mani si trovano anche nelle danze orientali. La danza indiana Natya, per esempio, racconta attraverso la gestualità simbolica delle mani vere e proprie storie. Altre forme di gestualità simbolica delle mani si trovano anche tra gli Indiani d’America, gli Egizi, gli Africani, gli Aborigeni. Nell’universo dello yoga le mani occupano un posto di rilievo, fanno da regine. Le posizioni mistiche della mani, i gesti simbolici sono i cosiddetti mudra, termine che in sé però accoglie anche alcune posizioni di occhi, corpo e persino tecniche di respirazione. I mudra delle mani sono anche gesti simbolici che impegnano parti diverse del cervello e dell’emotività: il loro fine è di creare un collegamento energetico tra i vari livelli di percezione: corporea, mentale e spirituale. In India, insieme alle posizioni sacre delle braccia (hadra), i mudra delle mani assumono precise valenze simboliche nella raffigurazione delle divinità induiste. Noi non dialoghiamo solo con le parole. Ma anche con il corpo. Soprattutto le mani sono in grado di esprimere simbo68

li. La mano è allora l’espansione spazio -temporale del pensiero, interviene nel linguaggio con azione espressiva sorreggendo la parola; ciò vale particolarmente per noi italiani, famosi nel mondo in virtù dell’ampio “lessico gestuale” che accompagna la comunicazione verbale. Tutti i Liberi Muratori possono affermare che il loro percorso è iniziato inevitabilmente dall’affermazione di Sant’Agostino: “inquietum est cor nostrum”, inquietudine che talvolta i più fortunati hanno potuto placare con serietà, senno, benefizio e giubilo nel lavoro di loggia. L’uso dei simboli è alla base di ogni nostro insegnamento: esso consente il gioco delle analogie e delle corrispondenze. Ma il simbolismo mal compreso può trasformarsi in un ostacolo o, peggio ancora, in un dogma ancora più avvilente di quelli che condanniamo. Lezione di Rabelais: “la scienza senza coscienza è la rovina dell’anima”. I Gesti Rituali 1. Il segno d’ordine Il segno d’ordine corrisponde al segno penale e ricorda: preferirei farmi tagliare

la gola piuttosto che rivelare i segreti che mi sono stati confidati. Questo segno separa la testa dal resto del corpo, l’intelletto dalla sfera emotiva. Il segno d’ordine favorisce il risveglio della coscienza e la concentrazione necessaria a ogni lavoro di ordine interiore. 2. L’ordine Ordine si traduce in greco con la parola kosmos. Questi gesti rituali possiedono tre virtù: ordinano il corpo, assicurano il potere dello spirito e collegano all’universale. Essi unificano quindi il corpo, l’anima e lo spirito. 3. Il toccamento Nel primo grado, il toccamento è ternario e riproduce la batteria del grado secondo il ritmo, continuo o discontinuo, del rituale praticato. 4. La batteria Ogni batteria è preceduta e conclusa dal segno d’ordine. Simbolo sonoro e manuale della Libera Muratoria col suo specifico linguaggio. Annuncia l’apertura e chiusura dei lavori, tracciando un limite, un confine, ma essa serve anche a celebrare un evento importante: onore di un nuovo Venerabile, esultanza per celebrare un avvenimento lieto, lutto quando un massone passa all’Oriente Eterno. Rappresenta insieme un mezzo di espressione e di riconoscimento. L’origine del gesto “battere le mani” è da ritrovarsi nel teatro classico greco dove si era soliti esprimere apprezzamento facendo il più rumore possibile, sbattendo i piedi, battendo le mani e urlando. Ai tempi dei romani le cose degenerarono talmente violentemente che Augusto fu obbligato a introdurre una figura che indicasse quando era tempo di applaudire. L’applauso è poi rimasto come segno di apprezzamento universale ed è giunto fino a noi. Se ci pensi, in effetti, sembra quasi un riflesso spontaneo. Nell’Antico Testamento, questo gesto rituale appare alcune volte usato in segno di indignazione e scherno: “Come vive Dio che mi ha privato del mio diritto, e l’Onnipotente che mi ha amareggiato l’anima, […] la gente batte beffardamente le mani nei suoi confronti e fischia dietro a lui dal suo posto” (Giobbe 27:2, 23); “Tutti i passanti battono le mani contro di te; fischiano e scuotono la testa contro la figlia di Gerusalemme: «È questa la cit-


tà che chiamavano “la bellezza perfetta”, “la gioia di tutta la terra”?»” (Lamentazioni 2:15). Una volta per applaudire il re: “Poi Jehoiada condusse fuori il figlio del re, gli pose in testa il diadema e gli consegnò la legge. Lo proclamarono re e lo unsero; quindi batterono le mani e esclamarono: «Viva il re!»” (2 Re 11:12). … in forma poetica, per invitare la natura a lodare il Creatore: “I fiumi battano le mani e i monti esultino insieme di gioia davanti all’Eterno” (Salmo 98:8). Una volta per invitare coloro che non conoscono l’unico vero Dio ad adorarlo: “Battete le mani, o popoli, celebrate DIO con grida di trionfo.” (Salmo 47:1). Un’altra affermazione a sostegno dell’applauso dice che esso sarebbe un mezzo di partecipazione e condivisione e ciò può essere entusiasmante, quando è spontanea e corale dimostrazione di appagamento dell’anima e dei sensi o del desiderio di conoscenza, ricevuto in dono da qualcosa o qualcuno. Oggi però è venuto di moda anche applaudire l’uscita dal tempio del feretro dopo la cerimonia funebre, quale tributo a cielo aperto o espressione sonora della pia comunione con il defunto per le azioni da lui fatte o da lui subite: vera mutuazione dal teatro alla chiesa, dalla scena alla realtà, dalla commedia alla tragedia. Ma di questo potremo parlare in altra occasione. Riflessioni conseguenti Ebbene, cosa pensare quando l’applauso è solo abitudine e reiterazione di un gesto usuale, specifico di momenti ben determinati, magari senza reale comprensione dei valori di quello? E quando è volontà più o meno palese di piaggeria, con conseguente semplice ma indispensabile adeguamento del gregge raggruppato e inquadrato dai pastori o dai loro cani, a mo’ di “massa oceanica”? Entrambi questi casi dovrebbero essere materia d’indagine seria, da parte del destinatario del plauso, sull’appropriato significato di tale reazione ottenuta e sul reale valore dell’uditorio partitamente e nel suo complesso. Cose, queste, abbastanza normali nel mondo cosiddetto “profano”: il proble-

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ma sorge naturalmente quando si vuole, o volontariamente o per ignorante dabbenaggine, trasferire l’applauso a scena aperta in una Comunità Iniziatica che sa leggere, o dovrebbe, i valori mutuati dalla Tradizione e conservati con il proprio linguaggio inconfondibile. Nella Comunione della Libera Muratoria si crea il clima di fraternità, di libertà e di conseguenza di armonia ricorrendo all’applauso nella sua forma codificata: il gesto di “battere le mani” in questo contesto è comunemente riconosciuto da più etnie come gesto di aggregazione. Da un punto, poi, di vista antropologico l’applauso viene considerato come metafora dell’abbraccio, ossia un abbraccio manifestato a distanza. Se si vuole tributare un segno di stima, di ringraziamento, di ossequio i Liberi Muratori sanno perfettamente come realizzarlo in luogo e tempo sacralizzati. Tale gesto non può e non deve essere spontaneo, caotico, prevaricatore: esso deve essere ordinato da chi ne ha il potere in Loggia o Camera del Rito, sia essa locale, periferica o nazionale. Potere detenuto esclusivamente da una delle Tre Luci, a seconda di chi sia il destinatario del plauso, Sorella o Fratello, considerato nel suo personale e contingente ruolo, Ufficio o

Dignità. Sarà pertanto dato ordine di eseguire una Triplice Batteria di plauso, disciplinata nella sua cadenza e regolata nel suo limite temporale. Solo in casi particolari può essere dato ordine di eseguire una “Libera Batteria”, ma sempre soppesata opportunamente e contenuta adeguatamente dal segnale di cessazione impartito dal colpo di maglietto. Non è ammesso che nel mondo che pretendiamo essere dell’equilibrio e dell’armonia una espressione, anche di giubilo, sia attuata indisciplinatamente da individui come avviene nel mondo profano, senza eccezioni, da una massa amorfa di gente. ______________ Bibliografia: AA. VV., Dal gesto al gesto, Firenze. AA. VV., Origini del linguaggio. H. G. Furth, Pensiero senza linguaggio. I primi 400 segni, a. c. di N. Angiolini, Firenze. A. Lowen, Il linguaggio del corpo, Milano Gran Loggia d’Italia Rituali e Istruzioni per il Fr. Libero Muratore M. Angelillo, Il libro delle mudra.

P.66 e 69: Insegne massoniche; p.67: Danzatrice indiana; p.68: Le mani del Buddha, bronzo, collez. priv.

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Walter Bencini

Massoneria perduta: uso dell’incenso in Loggia 70


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i sono usi esoterici che, pur avendo una valenza tradizionale, si arrestano e si perdono nel tempo fino a non giungere più a noi, Liberi Muratori, che pure abbiamo scelto una via iniziatica fatta di studio e di ampliamento della nostra coscienza individuale. Conservare la tradizione e in certi casi vivificarla è un nostro dovere ma accade spesso che i nostri sforzi si arrestino di fronte a posizioni razionaliste oramai consolidate al nostro stesso interno, che spesso dimenticano che tra le finalità della Massoneria ci sono quelle della crescita e del miglioramento individuale, dell’ampliamento di orizzonti intellettuali o del raggiungimento, come sosteneva Guénon, di “stati superiori di coscienza dell’essere”. I supporti olfattivi, misconosciuti ai più nella profondità dei loro significati iniziatici, si limitano oggi in Massoneria all’utilizzo durante i Solstizi, nella Tornata funebre e nella Consacrazione di una Loggia. Pochissime le Logge che, prima di una Tornata, affidano al proprio Maestro Venerabile o al proprio Maestro di Cerimonie il compito di predisporre l’ambiente con gli incensi a seconda del grado in cui si opera o se sia in programma un’Iniziazione o un passaggio di grado. C’è una diffidenza in verità assai superficiale verso la “Scienza degli aromi” quasi a voler ribadire una laicità del pensiero massonico e distanziarlo dalla Liturgia Ecclesiastica. Niente di più falso che la fumigazione massonica sia similare a quella ecclesiastica. Non c’è proprio niente da distanziare, essendo già abbondantemente separate e diverse. Vedremo come la Chiesa ha una conoscenza e un uso di un solo incenso (Olibano) e che ha tardato moltissimo a usarlo per allontanarsi dagli usi ebraici e pagani e che ne fa un utilizzo estremamente essoterico. Un distanziamento nato dalla negazione dell’evidenza che tutte le forme liturgiche del Cristianesimo derivano dal cosiddetto Paganesimo e dai Misteri, a cominciare dal Segno della Croce. Ben diverso l’utilizzo esoterico, caratterizzante il mondo massonico, che dovrebbe allestire miscele atte a vivificare ora il centro fisico, ora animico, ora spirituale dell’essere umano. Un’altra diffidenza è quella che usare l’in-

censo sia una pratica magica (non dimentichiamoci comunque che la radice di mago è la stessa di magister, e deriva dal sanscrito mag che significa grande, grandezza), con tutti i fantasmi e le paure che tale parola evoca, stante anche l’abuso fatto da ciarlatani, sedicenti guari-

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Si potrebbero riferire […] all’odorato i sentimenti così profondi e così vari del corpo umano. Tutti i nobili sentimenti che spingono l’uomo alle sue più virtuose azioni sono essi come dei profumi dell’anima. Dal Rituale di Iniziazione al II Grado, Gran Loggia d’Italia degli A\L\A\M\

tori e guru improvvisati di questa antica pratica. Una ulteriore resistenza è quella semplificata e semplicista di non ottemperare all’impegno che abbiamo preso dello studio. La spiegazione potrebbe essere così riassunta in questa affermazione: “Nel rituale l’uso dell’incenso non è citato, per cui può divenire tranquillamente Lettera Morta”. E l’Uomo di desiderio? Riunire ciò che è sparso? Cercare la Parola Perduta e in senso lato ciò che è andato smarrito? C’è da chiedersi allora che fine fanno questi nostri valori! Tutte queste pregiudiziali tengono lontani i Fratelli e le Sorelle non dico dall’uso e dalla sperimentazione della Scienza degli Aromi, ma anche da uno studio teorico dell’argomento. Gli organi di senso e la visione qabalista dell’olfatto I fenomeni della natura sono percepiti dai cinque sensi. Sono vibrazioni diverse che dalla periferia, tramite i nervi, vengono condotti ai vari centri del cervello. Nella Qabalah ebraica si distingue lo spirito (Nishemath), l’anima (Ruach) e il corpo (Nephesh); una posizione completamente diversa dal dualismo cartesiano in cui si parla soltanto di anima e corpo. Il tatto e il gusto sono molto legati al corporeo mentre vista, udito e odorato si legano all’anima e in taluni casi allo spirito. Il senso più elevato e meno conosciuto è l’olfatto. Per questa valenza, gli antichi tenevano in gran considerazione l’uso dei profumi e delle fumigazioni. La colonna di fumo che si alzava era il contatto tra gli Uomini e il Divino. Il profumo agisce durante la preghiera come uno stimolante per l’esteriorizzazione dell’anima. La Chiesa ignora ancora oggi la gamma dei diversi aromi e come debbano essere appropriati a circostanze diverse. La parola incenso tradotta letteralmente non dà un’indicazione per un particolare tipo di aroma. Significa incendiato, che brucia, che risplende. Non a caso astrologi71


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camente è l’essenza del segno del Leone. La sua raccolta coincideva con l’inizio del segno solare e era eseguita secondo precisi canoni, evitando il contatto con donne e morti, considerati impuri. La consuetudine indica nell’Olibano (olio del Libano) l’incenso usato nelle Chiese. Ogni cosa relativa all’odore in ebraico è sotto il dominio della lettera Nun. Naso in tutte le lingue pare iniziare con N. Nez, Naze, Naso, Nos, Nose e anche la parola italiana narici pare in relazione con l’ebraico Nehiram. La Nun presiede al respiro; Nehot significa aroma polverizzato, Neshima respirazione, Nishemath spirito, Nasso Nephesh aspirazione, Nephesh il corpo o l’anima subcosciente, Nehesha predire per divinazione, Nahash il ser72

pente di Genesi ovvero tutto l’istinto fisico inferiore. C’è dunque una stretta relazione tra il respirare (vivere) e la dimensione spirituale oltre alla capacità intuitiva che si amplia fino a divenire divinazione. Un aroma o un odore più che la visione di un oggetto evocano il sentimento che era presente nell’essere umano nel momento in cui percepì quella realtà specifica, evocata dall’olfatto. Difficile che una reminescenza legata a un altro senso metta in gioco anche l’odorato ma il contrario è sempre vero e come per magia l’olfatto tira dietro a sé gli altri sensi nella ricostruzione del ricordo. Nessuna classificazione può essere fatta di questo fenomeno, che appare di ordine superiore e ci conduce a esplorare

Ruach e talvolta Nishemath. Potremo fare un paragone: il profumo dei fiori e delle essenze arriva a nutrire nishemath così come la semplice aria nutre nephesh. Pur sotto il dominio della Nun le narici venivano così interpretate: Destra Nun Daleth – Ciò che evapora, che esala, espirazione. Realizzazione con l’eliminazione delle impurità della pietra cubica Sinistra Resh Nun – Inalazione, inspirazione, rinnovamento, ingresso dell’ossigeno indispensabile alla continuità della vita fisica e nel caso più elevato il risveglio dalla morte. L’iniziato era colui che riusciva a respirare con due movimenti diversi e propri per ogni narice (inalare dal lato sinistro Femminile ricettivo e espirare dal lato destro Maschile che porta all’esterno). L’iniziato è perciò colui che acquisisce il controllo su qualcosa che di per sé è estremamente istintuale, senza perdere né il piacere né la capacità funzionale. A nostra parziale scusante sulla cattiva conoscenza dell’argomento “incenso”, vale il fatto che, essendo una conoscenza tradizionale, si è avvalsa ben poco di scritti e manuali e talvolta le conoscenze di alcuni maestri appaiono in contraddizione tanto che non è facile penetrare quella che a buona ragione ho citato poco fa come “Scienza degli Aromi”. A rendere più inintelligibile l’uso degli incensi è che il profumo non viene filtrato dalla razionalità e agisce direttamente sui sentimenti. Prova ne sia che quando si vuole superare la barriera razionale in psicologia, molti esercizi di meditazione partono dalla “visualizzazione” dell’odore di un fiore. Patrick Süskind scrive “Gli uomini potevano chiudere gli occhi davanti all’orrore e turarsi le orecchie davanti a melodie o a parole seducenti, ma non potevano sottrarsi ai profumi. Perché il profumo è il fratello del respiro. Con esso penetrava gli uomini, a esso non potevano resistere, se volevano vivere. E il profumo scendeva in loro, direttamente al cuore e là distingueva categoricamente la simpatia dal disprezzo, il disgusto dal piacere, l’amore dall’odio. Colui che dominava gli odori, dominava il cuore degli uomini.” Antiche ipotesi sull’uso dell’incenso Per Athos Altomonte il fascino dell’olfatto si lega all’istintualità animale.


In genere si dice di un essere molto caratterizzato dall’istinto che segue il proprio umore. Nella tradizione alchemica con la parola Umore sono indicate le variazioni dell’essenza della personalità a causa del mutare degli equilibri fisiologici dell’ambiente. Una realtà nascosta della vita fisica ha sempre due poli: l’attrattivo (es. i ferormoni che entrano in gioco nell’attrazione uomo-donna) e repulsivo (certi odori di marcio o di decomposizione). Intuire e essere consapevole di questi tipi di realtà significa in pratica entrare con spirito di accettazione nella nostra parte selvatica ove i desideri e le scelte della mente sono al di sopra e al di fuori della sua realtà di coscienza e di libero arbitrio. Vuol dire anche rendere omaggio a quella Religione Naturale dove il devoto offriva i frutti della terra alla Divinità, creando un rituale fatto di profumi e colori. Una religione scomparsa, a eccezione dei popoli da noi paradossalmente classificati come “non civilizzati”, e che ha lasciato tracce forse nella nostra civiltà urbanizzata nell’esercizio dell’addobbo e dell’arredo. Sempre in sintonia con l’istintualità animale Altomonte ci dice che l’attenzione sull’olfatto da parte dell’essere umano si connette fortemente all’attenzione sulle pulsioni sessuali. Non fu difficile comprendere che l’olfatto eccitasse l’animale “uomo” più della vista e del tatto. Crebbe allora una conoscenza dei profumi da renderla scienza. Il primo uso dell’incenso è dunque legato a un retaggio della Magia sessuale in cui fumi, polveri e essenze, oli e unguenti aiutavano l’essere umano e ampliare la propria ebbrezza erotica e a coltivare le proprie fantasie. Un’altra ipotesi sull’uso dell’incenso è legata invece al sacrificio animale. L’incenso insieme a rami e altre resine veniva usato per odorare gli ambienti dove veniva svolto il sacrificio animale e era presente quindi un olezzo legato al sangue versato e alla carne bruciata. L’uso dell’incenso è citato nella Bibbia almeno 22 volte. Sempre per Altomonte, la fumigazione è nell’uso iniziatico molto collegata al mondo ebraico. Non serve soltanto a predisporre un ambiente e essere ricettivo ma a richiamare Spiriti Superiori e energie fortemente positive in sintonia con le vibrazioni dei pro-

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fumi adoperati. Incensare diviene allora un atto angelico; il Massone non soltanto purifica l’ambiente, ma crea dunque uno stato di allineamento e ricettività che trova riscontro in quella geometria “occulta” formata da quegli uomini e quelle donne che compongono una Loggia. Per questo la preparazione delle miscele e la sua accensione, per alcuni autori come Ivan Mosca, spetta solo al Maestro Venerabile e alla sua saggezza e conoscenza dei Fratelli e non va derogata neppure al Maestro delle Cerimonie.

Storia Parlare oggi di incensi, evoca nell’uso comune due immagini: il prete che asperge l’Olibano in Chiesa per la funzione e bastoncini e coni per meditazione venduti in negozi e bancarelle e che sono in alcuni casi tutto fuorché un prodotto naturale, addizionati di sostanze chimiche, potenzialmente cancerogene. Il cammino per arrivare a queste parziali verità parte da lontano. Da sempre i profumi insieme alla musica accompagnano i riti degli uomini. L’in73


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censo fin dalla più remota antichità era considerato una resina sacra. All’inizio le principali sostanze utilizzate come incenso erano resine come Olibano, Mirra, Benzoino ma anche semi, radici, fiori, cortecce e legni aromatici. Come detto, le tracce di questa Tradizione arrivano a noi labili con poche codifiche e manoscritti. L’uso è stato spesso connesso con 74

la Religione e la Medicina, ma i motivi dell’utilizzo caratterizzano il Mistero che, secondo gli antropologi, parte dai primi fuochi dell’Umanità in cui probabilmente gli uomini primitivi avevano scoperto che certi legni avevano nel loro profumo aromi più piacevoli di altri. Il passo di scoprire che agivano positivamente sugli stati emotivi e mentali, compre-

si quelli della sessualità, non deve essere stato così lungo. Poiché la Tradizione è unica, non siamo in grado di indicare con sicurezza un posto dove il carattere esoterico dell’incenso sia stato scoperto e messo alla luce; certo è che è un elemento costante e condiviso delle cerimonie sacre dai tempi più antichi di popoli che risiedevano a distanze chilometriche abissali tra loro. Tra gli elementi comuni che riguardano l’incenso è da rilevare che era considerato una sostanza solare e purificatrice (metteva in fuga i demoni) e che poteva creare uno “spazio sacro” dedito alla preghiera e alla meditazione. Nella Grecia antica l’incenso era molto diffuso: resine e piante come l’olibano, la mirra, il cinnamomo e il laudano erano sacre e si pensava che venissero protette da creature mitologiche o dotate di poteri magici. Veniva usato durante i culti misterici e nei sacrifici. Romani e Etruschi lo conoscevano. A Roma gli incensi erano molto diffusi: venivano offerti assieme al vino a Giano, Giove e Giunone prima di iniziare la mietitura. Le erbe aromatiche erano chiamate thuon e avevano il potere di unire il visibile al non manifesto, gli uomini agli dei.


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I Cristiani decisero di proibire o limitarne l’uso per distinguersi dai “pagani” che lo usavano. Nell’Eucaristia oggi sopravvive tuttavia l’uso dell’Olibano, risalente alle comunità protocristiane e molto probabilmente legato al simbolismo dei Doni dei Re Magi. Il Cristo, al pari dell’incenso, si pone con il suo sacrificio, come mediatore tra il Padre e gli uomini. La fumigazione è oggi in uso nella Chiesa Cattolica e Ortodossa ma non in quella Protestante che ha continuato a ritenerla “troppo pagana”. In Egitto l’olio di mirra era usato per imbalsamare e altre resine avevano scopo cosmetico e terapeutico, nonché per la preparazione del Kyphi, composto di almeno 16 costituenti diversi, e citato nel De Iside et Osiride di Plutarco. Tra gli Indù ha un uso cerimoniale e tra i Buddisti è utilizzato in Iniziazioni e Riti di festa ma anche nel quotidiano. In Cina si usa per onorare gli Antenati. In Chiesa simboleggia l’accompagnamento dell’ascesa della preghiera al cielo per onorare Dio e i Santi. Tale visione apparteneva anche all’ebraismo, anche se oggi l’uso si è perso dalla distruzione del 2° Tempio. Le popolazioni americane lo conoscevano e ce lo indicano già i resoconti dei primi incontri tra le popolazioni indigene e gli Europei del XV secolo. In Giappone è in uso nello scintoismo.

Venne introdotto dai monaci buddisti nel VI secolo e usato per riti di purificazione. In uso nella corte imperiale durante l’epoca Heian; nel XIV secolo, nell’epoca degli Shogun, gli incensi vennero usati dai Samurai per prepararsi alla battaglia. Usavano profumare l’elmo e l’armatura per costruirsi un’aura di invincibilità e di orgoglio che avrebbe spaventato il nemico e protetto loro in combattimento. Tra il XV e il XVI secolo l’incenso si diffuse a tutte le classi medie e superiori della società giapponese realizzando il culto e la cerimonia del Koh-Do, la via spirituale dell’Incenso della cultura giapponese. Quando il Giappone decise di uscire dal suo isolamento culturale e intrattenne rapporti con l’Occidente e in particolar modo con gli Stati Uniti, esportò insieme all’incenso la ricerca di uno stato meditativo in cui tranquillità e pace fossero la base per raggiungere un’intima consapevolezza spirituale. Uso locale e commerciale dell’incenso Generalmente i popoli che facevano uso di incensi utilizzavano materiali disponibili localmente, a esempio i nativi Nord Americani usavano Salvia e Cedro. Altri popoli ne facevano approvvigionamento tramite commerci. Accanto alla più conosciuta Via della Seta ebbe a delinearsi la Via dell’Incenso in cui venivano esportate erbe esotiche ma soprattutto resine, dall’India fino alle coste mediterranee. La

Via dell’Incenso era in pratica una tratta, attiva fin dall’epoca romana, dove le carovane congiungevano la penisola arabica (Yemen e Oman) con il Mediterraneo. Il modo di utilizzare l’incenso è variato da popolo a popolo e di epoca in epoca e con contaminazioni legate agli scambi culturali. In Europa, Arabia e Egitto si continuò a utilizzare le polveri (in pratica erbe e resine tritate); in Oriente comparvero coni, bastoncini e in generale incensi più solidi. I religiosi di ogni culto sono stati fondamentali per tramandare l’uso dell’incenso. Le ricette egizie venivano tramandate da un sacerdote a un altro e ogni ricetta aveva impiego esclusivamente per una cerimonia particolare. In Occidente gli elevati costi e gli occultamenti a volte operati dalla Chiesa ufficiale fecero sì che il patrimonio della conoscenza esoterica fosse di pochi, tra cui Medici e Farmacisti, che preparavano cosmetici, fumigazioni e medicamenti. L’altra categoria che li utilizzò fu quella dei Maghi e dei Sapienti, che li usava per riti e preparazioni. Il potere di conoscere era davvero di pochi. Rari libri di Magia tramandavano le proprietà delle resine, le loro segnature astrologiche e le connessioni con i quattro elementi. Il popolo si rivolgeva a incensi più economici che Madre Natura fornisce da sempre in modo assai generoso. Tuttavia anche l’u75


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so di questi incensi nostrani era avvolto dal segreto e solo poche donne ne conoscevano le più recondite caratteristiche (l’uso delle erbe giuste, colte al momento giusto con la conoscenza dei movimenti della luna); purtroppo questa conoscenza sapienziale e tradizionale costò a molte di loro la bollatura di streghe e processi sommari. Oggi gli incensi sono diffusi ma sulla conoscenza reale l’appannaggio è ancora di pochi. Come esemplificato precedentemente, chi crede di conoscere l’argomento incenso pensa a qualcosa di connesso alla Chiesa oppure, nella variante olistica, pensa all’uso di bastoncini di carbone da utilizzare in casa o in ambientazioni new–age per profumare o meditare, che non sono affatto naturali ma intinti di sostanze chimiche, talvolta tossiche. Gli incensi di qualità rimangono quelli in grani e resine tritate, conosciuti da seri studiosi dell’esoterismo ma, ahinoi, anche da 76

una selva di guru improvvisati. Se pochi conoscono le proprietà dei singoli incensi per meditare, rilassarsi, trovare pace, ancora meno sanno associare le proprietà degli incensi per perseguire un determinato scopo. Questo è esattamente il punto del disuso, della non conoscenza, e di una pratica di cui, in ambito massonico, non si trovano che pochi cenni in alcuni rituali e in alcuni cerimoniali, sebbene studiosi illustri come il Boucher, Altomonte e Mosca ne abbiano lasciato ampia testimonianza. Miscele massoniche Che l’incenso abbia un ruolo in Massoneria è evidente dal mondo anglosassone dove nel terzo grado il Maestro Massone è paragonato a una tazza piena di incenso, un individuo cioè dal cuore puro che arde incessantemente e questo concetto è rinforzato dalla citazione nel rituale emulation delle istruzioni che Mosè ricevette per costruire un altare speciale riservato

all’incenso da bruciare ogni mattina e al tramonto, a sancire la perennità del Culto Divino. Tutti gli autori concordano che le fumigazioni dentro il Tempio dovrebbero avvenire prima dell’Inizio dei Lavori. Il Maestro Venerabile da solo o congiuntamente al Maestro delle Cerimonie, con i Fratelli e le Sorelle fuori dalla Loggia, dovrebbe provvedere all’incensatura. L’incensamento serve per creare un ideale cerchio di protezione dell’aria, al pari della protezione che si compie sulla terra squadrando il tempio. L’incensamento è un ulteriore scudo che agisce nei piani sottili dando un senso di austerità e sacralità ai lavori. Unito al verbo dei Fratelli e delle Sorelle, coinvolti nella pronuncia del rituale, l’incenso agisce sullo psichismo dei partecipanti. Risultano perciò destituite di fondamento quelle analogie liturgiche citate da alcuni Fratelli, pur anche rigorosi in ambito


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rituale, però contrari all’uso dell’incenso. L’importanza dell’ortodossia nel rituale massonico è caratterizzata dal rigore e dalla ripetitività cadenzata di posture e gesti, dalla scelta e da un uso oculato della miscela di incensi secondo il grado, dalla precisa osservanza di ritmi nell’utilizzo delle parole, il tutto accompagnato dall’ascolto di armonie musicali contestualizzate che evocano la coscienza profonda, risvegliando l’uno per tendere al molteplice, rappresentato da un’eggregora di Iniziati che è non soltanto quella che opera nel Tempio nella realtà contingente, ma anche quella assai più vasta che per secoli ha pronunciato le stesse parole e compiuto gli stessi gesti. Compiere un rituale rispettando i più genuini canoni ortodossi non solo pertanto conferisce un potere evocativo nel gruppo che lo compie e lo perpetua ma, al contempo, connette con le antiche e primordiali richieste legate alle istanze più profonde dell’anima (pace, amore, benessere psicofisico e conoscenza interiore), che da sempre l’uomo eleva verso le gerarchie spirituali superiori. Boucher sottolinea l’importanza della fumigazione in particolare prima delle Ini-

ziazioni quando la profanità viene introdotta in Loggia. Deve essere chiaro lo scopo che si vuole raggiungere, secondo le proprie conoscenze degli elementi, dell’astrologia e delle qualità dei fratelli. Questa è la parte di conoscenza esoterica che manca completamente nella fumigazione ecclesiastica. La miscela del Boucher è una miscela standard con: Libano – tre parti Mirra – due parti Benzoino – una parte Le parti simboleggiano il Mondo Divino, Umano e Materico. Per Boucher il profumo degli incensi è un ausilio per superare la nostra mente dualistica e concepire l’unità e entrare così in quella dimensione spirituale in cui la Parola Perduta potrebbe essere ritrovata. Altomonte distingue secondo i gradi di lavoro e conoscenze di astronomia e astrologia: - Logge in Primo Grado o comunque in Istruzione Incenso 50% + Mastice 50% Lo scopo è di esaltare l’attenzione intellet-

tuale e quindi si dovrà realizzare un composto con un 50% di Sole (incenso) e un 50% di Mercurio (mastice). - Iniziazioni Incenso 50% + Mirra 50% Qui il fine è di esaltare il corpo emotivo, con divisione al 50% tra Sole (Incenso) e Luna (Mirra). - Rituale in Grado di Maestro o Tornata solstiziale o funebre Incenso 50% + Storace 50% Esaltazione del centro spirituale che si ottiene con un 50% di Sole (Incenso) e un 50% di Saturno (Storace). - Camera di Mezzo Benzoino del Siam 50% + Benzoino di Sumatra 50% Il primo rappresenta Giove, il secondo Venere. Le percentuali possono variare dal 50% a giudizio di chi opera secondo ciò che si vuole esaltare. Altomonte dà poi un suggerimento rituale per il Tempio Circolare a cui ha accesso il Cavaliere Kadosh, che ha abbattuto in sé le colonne del Tempio fisico e illusorio del quadrilungo che ha connotato la sua vita massonica fino a quel momento. Parla di 12 fumigazioni con piante e resine diverse una dall’altra che do77


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vrebbero essere associate una per ogni elemento astrologico con variazione direzionale per la crescita energetica (direzione oraria dall’ariete verso i pesci) o per la diminuzione energetica (direzione antioraria dell’ariete verso il toro). Ivan Mosca basa le sue miscele sui gradi di lavoro e sui 4 elementi: Il fuoco è l’Incenso puro. L’acqua è la Mirra L’aria è il Mastice La Terra è lo Storax o Storace. In Primo grado, si privilegia un lavoro intellettivo e si necessita di fuoco e aria onde la miscela sarà: Incenso 50% + mastice 50% In secondo è il centro emozionale a essere stimolato e al fuoco va aggiunta l’acqua: Incenso 50% + Mirra 50% In terzo grado andrà vivificato il centro 78

spirituale per cui avremo bisogno della terra: Incenso 50% + Storax 50% Nelle Iniziazioni e nei Passaggi occorre dare uno stimolo alla spiritualità per cui Mosca aggiunge ai composti di base una resina di fuoco come il Benzoino. Apprendista Incenso 50% Mastice 40% Benzoino 10% Compagno Incenso 50% Mirra 30% Benzoino 20% Maestro Incenso 50% Storax 25% Benzoino 25%. L’uso dell’incenso per Mosca è di stimolo e agevola il conseguimento di particolari stati ricettivi di coscienza. Gli incensi dei Liberi Muratori non sono coni e bastoncini e questo è anche un grandissimo vantaggio sul piano della non tossicità. Sono resine che bruciano su carboncini posti in recipienti preferibilmente di

terracotta che ricordano L’Uomo di argilla cotto nell’Athanor, il forno alchemico, che si lega analogicamente e indissolubilmente alle trasformazioni che si operano nel Tempio. Caratteristiche degli incensi massonici e altre miscele - Olibano (incenso), Boswella sacra, Boswella carteri: Veniva chiamato anche Levonah. Fa parte della Miscela di Mosè ma veniva usato anche singolarmente. Importato in Palestina dai Fenici. L’incenso portato dai re Magi probabilmente veniva dallo Yemen. La Chiesa tardò molto a utilizzarlo per prendere distanza dai riti ebraici e pagani, soprattutto questi ultimi considerati idolatri. L’uso dell’incenso nella Chiesa ha preso continuità dal IV secolo dopo Cristo. Per la mitologia sarebbe stata la fenice a portare l’incenso nella terra di Punt, la terra dei Camiti. Secondo un altro mito la pianta sarebbe nata da una ninfa. Nella lingua egizia significa Ciò che rende divini. Impiegato a scopo sacrale per accedere alle sfere celesti (superiori). L’incenso ha note anche balsamiche e rinfrescanti per contatto. - Kyphy, una miscela che prevede l’uso dell’incenso. Molte le ricette tramandate da quelle in geroglifici sulla parete del Tempio, a quella del papiro di Eber e nella piramide di Cheope. Plutarco ci tramanda una ricetta a 16 componenti. Dal confronto delle varie ricette, i componenti sempre comuni erano questi: incenso, mirra, cannella, legno di sandalo, cipero, ginepro, calamo, coriandolo, resina mastice, storace, uva passa e vino. Rimedio contro le preoccupazioni, donava pace e tranquillità. - Mastice, Pistacia lentiscus: Viene dall’isola greca di Chio. Fa anche essa parte


del Kyphy. Bruciato anche singolarmente. Balsamico e purificante. Veniva definito nell’antico Egitto “Profumo gradito agli Dei” - Mirra, Commiphora myrrha, Commiphora abyssinica, Commiphora schimperi: La mitologia egizia la fa nascere dalle lacrime di Horus, il dio Falco: “Chi assapora questo profumo scampa alla morte e partecipa alla vita eterna degli Dei”. Profumo terroso, aromatico eccitante per i sensi, eccitati e soddisfatti i quali può favorire un sonno ristoratore e tranquillo. Per gli Egizi esisteva anche un uso medico per scongiurare la pazzia. Non solo usata nelle fumigazioni ma anche in unguenti con incenso, benzoino e cannella. - Storace (Storax), Liquidambar orientalis, Liquidambar styracifula. Nome sumero: Balukku: Detto anche Ambra Orientale. Aveva l’habitat naturale in Mesopotamia. Lo storace veniva importato da commercianti fenici. Nel Papiro magico di Abraxas (IV sec. d.C.) è consigliato tra le sostanze odorose e per favorire un sonno profondo. Gli egizi lo chiamavano Miniaki, che significa profumo delle feste. È balsamico, floreale, dolce. Nelle miscele dà note sensuali e seducenti. Calmante e rilassante è utile nei disturbi del sonno. Citato da Avicenna nel Trattato sull’anima e canone di Medicina. - Il composto detto Rosa Mystica dei Sufi, si realizza con incenso (3 parti), mirra (2 parti), storace (1 parte), laudano (2 parti), petali di rosa (1/2 parte), sandracca (1/2 parte): incenso dorato facoltativo. Agisce sulle energie eteree del cuore, aprendo l’anima e dando un senso reale di carezza al cuore. - Un altro composto ricavato invece dalla Bibbia è l’Incenso del Tempio che prevede storace (una parte), mirra (due parti), incenso (due parti), galbano (1/2 parte). Ha un profumo balsamico che si presta alla meditazione e alla contemplazione. Nell’antico Egitto veniva mescolato a calamo, incenso e mirra e questa miscela conferiva energia psichica e capacità di autoaffermazione. - Benzoino, Benzoe siam styrax tonkinensis, Benzoe sumatra styrax benzoin. Resina che veniva esportata in Egitto attraverso il mare e poi attraverso la Via dell’incenso (o dei Profumi). Ha note dolci, balsamiche che ricordano la vaniglia. Il benzoino del Siam è più dolce rispet-

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to alla varietà Sumatra. Realizzavano con il benzoino miscele inebrianti e eccitanti. Ha una combustione rapida e un fumo, che da solo, risulta un po’ irritante. Mescolato con Sandalo e Cannella ha azione rilassante e calmante. Da solo stimola fantasia e ispirazione, sensualità e è sostegno per le attività creative, tanto da essere indicato per superare momenti di tristezza e mortificazione. Unito al Cedro e all’incenso dà pace interiore. In ambito medico cura le tossi secche e anche alcune dermatosi. In India è l’Incenso Sacro che viene posto davanti a Brama, Vishnu e Shiva. Tossicità e purezza dell’incenso Molti degli incensi in commercio sono tossici, anche se è necessario fare subito un distinguo: la tossicità riguarda bastoncini e coni e non gli incensi in resine e grani. La trasformazione del prodotto è la fase che incide maggiormente sulla tossicità dell’incenso. Escludendo quelli che hanno profumazioni francamente sintetiche (mela verde, cioccolato ecc) da scartare immediatamente, la nostra attenzione deve andare a quei bastoncini e coni che potrebbero trarci in inganno sulla naturalezza del prodotto e in cui possono in-

vece essere stati aggiunti profumi di origine chimica, formaldeide e altri composti chimici. La combustione di queste sostanze libera nell’aria idrocarburi policiclici aromatici (fortemente cancerogeni) insieme a dei gas come monossido di carbonio, biossido di zolfo e biossido di azoto. Gli spazi interni di un’abitazione possono rimanere impregnati a lungo e in pratica si ha un rischio molto paragonabile a quello del “fumo passivo” . Il cancro che si sviluppa mostra un tropismo particolare per le alte vie respiratorie e i polmoni. Da notare che a tutt’oggi i produttori di incenso non sono obbligati, anche se alcune aziende hanno certificazioni riconosciute dal Ministero della Salute, a riportare la composizione del prodotto. I principali imputati sono i bastoncini e i coni. Facili a reperire e dai costi molto abbordabili. Bruciano uniformemente senza perdere parti incandescenti; qui è il problema! La realizzazione di un bastoncino d’incenso naturale, senza additivi chimici, che non si sgretoli bruciando uniformemente è difficile e antieconomica. È facile capire come la logica del profitto vada a scapito della salute del consumatore. 79


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La soluzione esiste e non c’è niente di nuovo sotto il sole: si tratta di utilizzare un prodotto puro che non necessiti di additivi per non sgretolarsi. Gli incensi in resine e grani sono quelli sicuri. Si tratta di incensi realmente naturali che vengono usati oggi anche nell’aromaterapia e fortunatamente per noi sono anche quelli che da sempre vengono usati a scopo iniziatico. Allergie e fastidio all’incenso Non sono descritte reazioni gravi (tipo shock anafilattico). Generalmente si manifestano con rinite e mal di gola, talvolta mal di testa, nausea, possibile l’asma bronchiale. Il quadro però è tutto da rivalutare quasi come un effetto paradosso; gli ultimi studi sull’Incenso dimostrano infatti che trova applicazione come antiallergico con indicazione precisa sull’asma bronchiale e sulle rinosinusiti allergiche. Non sappiamo se potremo arrivare in questo caso al concetto omeopatico 80

dell’assunzione di un veleno per raggiungere l’immunizzazione contro il veleno stesso. Generalmente si assume il veleno a piccole dosi, in genere denaturate (la proteina è identica ma inefficace), in grado di stimolare la risposta immunitaria, che poi si manterrà per anni (linfociti della memoria). Così facendo, nel caso di un successivo contatto con lo stesso veleno (questa volta anche attivo, non denaturato), il sistema immunitario ha già pronti linfociti specifici per quel composto molecolare, e quindi lo inattivano velocemente senza effetti sistemici rilevanti. La Boswellia Serrata, appartenente alla famiglia delle Burseraceae, è un albero originario dell’India, noto anche come “pianta dell’incenso”, dal quale per incisione si ricava una resina il cui estratto è molto popolare nella medicina ayurvedica, cioè nella medicina tradizionale indiana, come rimedio per il diabete, per la febbre e per diverse altre malattie.

Quel che è certo è che la moderna ricerca occidentale ha evidenziato nella resina della Boswellia una serie di sostanze, chiamate acidi boswellici, dotate di una particolare attività farmacologica antiallergica, ampiamente dimostrata con esperimenti sia su animali che su uomini: infatti è in grado di inibire alcuni enzimi coinvolti in processi di infiammazione cronica tipica delle reazioni immunologiche e allergiche. A differenza dei comuni FANS, gli acidi boswellici peraltro non interferiscono con la sintesi delle prostaglandine e non ne sono stati dimostrati effetti ulcerogeni, tanto da avere un utilizzo migliore in pazienti con patologie gastriche. Le prostaglandine svolgono un ruolo di primo piano nel processo infiammatorio poiché sono uno dei mediatori della risposta immunitaria. Che l’efficacia sia reale è stato dimostrato da un trial clinico (Gupta,1998) condotto in doppio cieco contro placebo: il 70% dei pazienti affetti da asma bronchiale ha dimostrato un notevole miglioramento dei valori spirometrici e un decremento degli eosinofili (granulociti che entrano in gioco nei meccanismi allergici). Recentemente è stato visto poi che la Boswellia papyrifera è 10 volte più potente delle altre. Le indicazioni cliniche della Boswellia sono dunque rappresentate, come sopra citato, proprio dalla rinosinusite allergica e dall’asma bronchiale. In pratica l’incenso si trasforma da imputato (elemento scatenante un’allergia) e elemento curativo (terapia della medesima allergia). Se non parliamo di allergia, dobbiamo prendere in considerazione allora il tema del Fastidio. Sappiamo dalla psicologia che in noi albergano sempre due tendenze: una volta al cambiamento e l’altra al mantenimento dello status quo. Indubbiamente l’incenso nella sua millenaria storia ha insita in sé la sua proprietà di ampliare lo stato di coscienza, di predisporre a stati superiori di conoscenza, di stimolare il mondo emotivo senza filtri razionali, finanche di evocare la presenza di spiriti e energie positive superiori. L’inconscio porta in sé anche una storia collettiva dell’umanità. Indubbiamente le aperture spirituali dell’incenso affascinano ma fanno anche paura; il fastidio appare dunque la risposta appropriata per non trasgredire (nel


senso letterale di andare oltre). Non ci deve essere giudizio né verso chi crede in questa Tradizione e è disposto all’uso dell’incenso, né verso chi ne ha resistenza. C’è solo da accettare e comprendere. Del resto, uscendo momentaneamente dall’argomento Incenso, quante volte siamo felici e invece di goderne sabotiamo la nostra felicità rinunciando, scappando e riprendendo la via del noto? Quante volte la vita ci mette di fronte al nuovo, ne siamo anche irresistibilmente attratti, magari intimamente sappiamo che c’è anche davvero qualcosa di buono per noi, ma scappiamo preferendo il noto anche se routinario e scontato, perché il nuovo rappresenta comunque l’ignoto e scatena i nostri fantasmi e le nostre paure? Conclusioni Al termine di questo lavoro, possiamo concludere che: L’incenso viene usato da tempi antichissimi. Non è patrimonio esclusivo della Massoneria ma sicuramente ha avuto valenze iniziatiche in ogni Tradizione. L’uso consigliato a fini iniziatici riguarda esclusivamente grani e resine tritate; da evitare nel modo più assoluto bastoncini e coni, inadatti a produrre una miscela e tossici. Il fenomeno allergico, se pur possibile, è raro e non di rilevante gravità; in molti casi si tratta più di irritazioni fastidiose. Studi recenti mettono in luce invece proprietà antiallergiche dell’incenso con indicazioni terapeutiche per rinosinusiti e asma bronchiale. L’uso esoterico di miscele in Massoneria come indicato da Boucher, Altomonte e Mosca non ha niente a che vedere con l’uso essoterico ecclesiastico peraltro di un solo tipo di incenso. Pare un vero peccato non utilizzare le conoscenze lasciate dai tre Maestri. Utile apparirebbe ai nostri occhi invece un lavoro di integrazione e di indicazioni precise dell’uso rituale. L’apertura a stati superiori di coscienza fa parte di quel miglioramento individuale, indicato come uno degli scopi in Massoneria. Il lavoro in Massoneria non è solo erudizione, ma fin dall’inizio prende avvio da uno shock emozionale. Per quale motivo rinunciare allora ai supporti olfattivi che parlano direttamente al mondo del-

le emozioni, senza tante contaminazioni razionali? Scegliere l’ignoto caratterizza l’adesione alla Massoneria fin dai nostri primi passi di profani che bussano alle porte del Tempio. Si si può documentare sui libri, sul web, parlare con più di un esperto, ma alla fine è soltanto contattando sinceramente il nostro cuore che decidiamo di “saltare il fosso” e essere pronti al cammino. Scegliere di utilizzare il supporto olfattivo significa allo stesso tempo riprendere un cammino e vivificare una Tradizione, in pratica saltare il fosso di una non conoscenza e in taluni casi di un pregiudizio, utilizzando un mezzo che è scivolato nell’oblio ma non per questo è detto che sia meno importante di altri che attualmente utilizziamo. ______________

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Bibliografia: Boccazzi Cino – La via dell’incenso – Neri Pozza, Vicenza. Boucher Jules – La simbologia Massonica – Edizioni Athanor. Bregliano Giulio – Profumi e filtri magici . ricette e segreti – Edizioni mediterranee. Dini Sin Marco – L’orto incantato – erbe aromatiche, spezie, ortaggi e frutta tra terapia, rito e magia – Edizioni Lunaris. Guenon René – Considerazioni sulla Via Iniziatica – Basaia. Guenon René – Simboli della Scienza Sacra – Gli Adelphi. Kaiti Leo – Piante e Profumi Magici - Atanor. Mainguy Irene – Simbolica massonica del terzo millennio – Edizioni mediterranee.

li Angelo

Mosca Ivan – Massoneria Simbologia e rito – edizioni Lux.

http://www.gongoff.com/ Il Maestro Massone

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nel Tempio

Costruire il Tempio Marcella Andreini

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nel Tempio

I

l Tempio non è un luogo fisico, ma è una dimensione sacra al cui interno si perviene a una consapevolezza spazio-temporale nella quale solo chi è iniziato può muoversi a proprio agio, può maturare, crescere e salire, poco a poco, i gradini della piramide che lo porteranno alla soglia più elevata che l’essere umano possa raggiungere. Ma come avviene la trasformazione da luogo fisico a luogo sacro? Interrogati i Diaconi sui loro compiti e collocazione e, comunicata la parola al 1° Diacono, quando questa arriverà al 2° Sorvegliante egli dirà “Tutto è giusto e perfetto” per far rilevare che a questo punto può essere creato il Tempio iniziatico, il Tempio cioè che non è solo il luogo fisico ma è il Tempio che ogni Fratello ha dentro di sé, il Tempio che ognuno di noi è. Ciò avviene subito dopo quando, nella solennità con i Fratelli e le Sorelle allineati in piedi e all’ordine, è aperto il Libro Sacro posto sull’Ara, su cui poggiano Squadra e Compasso. L’inizio del rito di sacralizzazione del Tempio ci richiama a noi stessi come Tempio, ci invita a riunire la nostra Bellezza, la nostra Forza e la nostra Saggezza che, provenendo dalla vita profana, possono essere indebolite. Costruiamo ciò che nel mondo profano non trova pace e

Nel mezzo del cammin di nostra vita/ Mi ritrovai per una selva oscura/ ché la diritta via era smarrita Inferno, incipit sembra violato e non apprezzato: la Bellezza (che si rispecchia nei bambini, nelle donne, nell’arte e nella natura); la Forza, spesso confusa con la prepotenza e la sopraffazione e, spesso, distruttrice proprio della stessa bellezza; la Saggezza che lascia spazio alla follia, al facile adagiarsi nelle opinioni comuni, ma per noi queste sono luci che illustrano, sostengono ed edificano il nostro Tempio esteriore e, soprattutto, interiore. Possiamo difendere queste qualità interiori dagli attacchi del mondo profano seguendo la nostra Tradizione che nel proprio DNA possiede certamente il gene della resistenza. Lacerati tra il bene e il male e le opposizioni che lottano dentro di noi entriamo nel Tempio separati e dentro a esso ci riuniamo e costituiamo un tutt’uno. Il tutto si chiarisce e s’illumina, si fortifi-

ca, “il tutto è ricomposto” : gli uomini, secondo Platone si amano perché, all’origine, sono stati tagliati in due dalle divinità gelose e, da allora, ognuno va alla ricerca della propria metà smarrita. Veniamo al mondo sentendo la necessità di ricomporre divisioni interne, unendoci a qualcosa o a qualcuno, cercando spiegazioni per unire cielo e terra. Siamo piante radicate in terra, alberi che hanno foglie che cercano luce ma che possono dare fiori e frutti solamente conciliando in sé terra e cielo, oscurità e luce, è questa capacità di trovare armonia nella dualità che produce fiori e frutti, quindi vita. È nel fitto bosco, colonnato di alberi che sono stati tracciati i primi spazi sacri, e come l’albero l’uomo è simbolo assiale che da terra tende verso il cielo. Ma qual è la linfa dell’uomo? In questo tempio interiore dove scorre la linfa? Forse la spiritualità, la ricerca, l’anti-dogma, il simbolo che ci parla? Trovare questo equilibrio è il nostro compito vitale. La Storia è testimone di come il tempio sia luogo di virtù e di scempio: investiture, consacrazioni, inni, proteste, processi, condanne, omicidi, qui come nel Mondo; e poi scenario di solstizi, morti e rinascite, movimenti stellari che ci inviano il loro canto armonico, qui come nel Cosmo. E noi, con i piedi nel mondo e la te83


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sta nel Cosmo, immersi in questo continuo nascere e morire, in questo tempio interiore in continuo disfacimento e costruzione, nell’essere e non essere che non è un problema ma la vita scoperta passo dopo passo sul bianco e nero del percorso iniziatico. Un viaggio, anche quando è metafora di uno sviluppo interiore, ha in sé l’idea di un luogo da abbandonare, di una spinta a partire e di una partenza vera e propria. C’è sempre, in chi intraprende un viaggio, un’inquietudine, un senso di mancanza. L’inquietudine esistenziale è il segno di una intensa vitalità dell’anima, […] è come un pungolo nella carne, che ci sprona a non sederci sulle comodità di quanto già riteniamo acquisito e ci sfida a osare, a buttarci, a lasciarci andare nella grande corrente dell’Essere, dalla quale proveniamo e alla quale aneliamo a fare ritorno. L’inquietudine è amore del pericolo in senso esistenziale: perché ci spinge fin sul baratro di abissi che non conosciamo, ma oltre i quali intuiamo che deve trovarsi qualcosa capace di dare un senso al nostro tendere, al nostro interrogarci incessante, alla nostra stessa inquietudine. L’inquietudine è una sfida che sollecita le persone ma84

A l’alta fantasia qui mancò possa/ ma già volgeva il mio disio e ‘l velle/ sì come rota ch’igualmente è mossa/ l’amor che move il sole e l’altre stelle. Paradiso, excipit ture, […] che le obbliga […] a proseguire sempre il cammino solitario del perfezionamento spirituale; a sforzarsi di dare il meglio di sé senza giocare al risparmio. Per l’anima malata, l’inquietudine è una malattia che si aggiunge alle altre. Per l’anima sana e forte, è una sfida a mettersi in gioco, una finestra spalancata sull’Essere. […] Il suo insorgere costituisce un richiamo, il richiamo delle lontananze, delle altezze. Il corvo ne sarà spaventato; ma l’aquila se ne sentirà vibrare tutta, ricorderà di avere un paio d’ali possenti, e si lancerà

dalla vetta della montagna che, sino allora, gli era parsa una disperata prigione [da Elogio dell’Inquietudine di F. Lamendola]. La via è smarrita ma non il nostro essere viaggiatori; noi non siamo il nostro percorso ma siamo ciò che diventiamo, ciò che demoliamo e ciò che costruiamo durante il nostro percorso. Gli ostacoli, ce lo insegna sempre il Sommo poeta, saranno molti come molti i turbamenti e i crolli improvvisi. Costruire un tempio, una cattedrale non è un miracolo; c’è bisogno di muratori che sappiano usare gli strumenti del mestiere: maglietti, scalpelli, squadre, filo a piombo e tanti altri, tutti presenti in questo tempio fisico. C’è bisogno di esperienza e di umiltà, di trasmettere la Tradizione, di Maestri capaci di rimanere sempre in contatto con il loro Apprendista interiore; della voglia di imparare degli Apprendisti; della voglia di operare del Compagno; c’è bisogno del rispetto della gerarchia iniziatica quella gerarchia iniziatica, che, se accolta, ti accoglie e che, per prima, garantisce l’Uguaglianza. Una gerarchia “regolata”, che risponde cioè al simbolismo del regolo, è una gerarchia all’interno della quale l’Uguaglianza è


giusta e perfetta. Uguaglianza nella stessa Obbedienza dove obbedire non indica sottomissione. Obbedire deriva dal latino ob-audire, che significa: ascoltare stando di fronte, obbedire stando in piedi, non in ginocchio, non a testa china, ma obbedire stando in piedi, in modo attivo. Occhi negli occhi. Non dimentichiamo mai che qui, in questo Tempio, siamo stati consacrati da una spada, simbolo di Giustizia e Verità e che la Verità dovrebbe essere l’oggetto principale della nostra ricerca poiché la Verità è la più giusta ed efficace delle spade. La spada, sempre impugnata dalla Giustizia, non può essere maneggiata con passione e fanatismo, ma con le qualità delle tre Luci del Tempio. Statuti, Rituali dei vari gradi indicano la filosofia del grado da cui prendere ciò che ciascuno può prendere per il proprio perfezionamento verso un uomo giusto che per questo ha in sé Bellezza, Forza e Saggezza. Statuti che non sono aride norme ormai desuete, ma tracciati della nostra Tradizione, sempre fertili di sentimento di fratellanza, tolleranza, che se rispettati illustrano, sostengono, edificano questo tempio affinché tutto in questo tempio sia serietà, senno, beneficio e giubilo. Tuttavia il tempio simbolico non è un luogo fisico chiuso. Non c’è un pavimento: il bianco e nero sono simbolo del bene e del male su cui camminiamo ogni giorno, dalla nostra nascita alla nostra morte. La volta stellata non è dipinta, è infinito puro. Le pareti non ci sono, c’è il nord, il sud c’è l’est e l’ovest: il Tempio si estende da Oriente a Occidente, da Meridione a Settentrione, dallo Zenit al Nadir, puro infinito anch’esso come l’Essere in quanto vita. E la Loggia non è racchiusa tra quattro mura, bensì tra la Catena d’Unione che lega insieme tutti i Fratelli. Siamo proiettati verso la Volta Celeste, seguendo il Sole, la Luna e gli altri Astri rappresentati nelle costellazioni zodiacali che sovrastano le colonne. Oltre la volta stellata, ancora visibile all’occhio umano, che cosa ci sarà? Un continuo esserci o un continuo non esserci? Forse, nei nostri momenti di sconforto percepiamo che i Fratelli che ci seguono dall’Or\ Eterno ci incoraggiano a pensare che ci sia un continuo divenire. La volta stellata è il simbolo ultimo dell’i-

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deale di Fratellanza, ciascun Fratello è avvolto dalla stessa volta celeste, uniti l’uno all’altro dalle stesse luci e dallo stesso mistero, dallo stesso segreto; il Fratello di Loggia è uguale, per ideale di Fratellanza, al Fratello di un altro Oriente, uguale al Fratello di qualsiasi altra lingua troppo lontano fisicamente per essere incontrato nella vita profana. Costruire tutto questo con la Bellezza rafforzata dall’etica; la Forza del maglietto mitigata dallo scalpello; la Saggezza che si consiglia sempre con il dubbio; fuori dalla gabbia del dogma sarà raggiunta la spiritualità per arrivare a quella restaurazione in sé dello “stato primordiale” come pienezza e perfezione dell’individualità

umana che conosciamo dalle parole di René Guénon [Considerazioni sulla Via Iniziatica, R. Guénon]. E così, continueremo a incidere tavole, a squadrare il Tempio, lavoreremo e rettificheremo, affronteremo difficoltà e, se superate, ci porteranno ad ottenere più luce, tutto questo non per noi, non per la nostra limitatezza di uomini, ma per la gloria del Grande Architetto dell’Universo.

P.82: Giza; p.83: Louvre, Parigi; p.84: Chichén Itzá, Mesoamerica; p.85: Thanjavur, India.

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I vari livelli della Massoneria Renato Ariano

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L’

opinione pubblica ha un’immagine della Massoneria in grande parte falsata, in quanto basata su informazioni parziali e frammentarie. Per questo motivo, la risultante che ne deriva, nell’immaginario collettivo, almeno in Italia, è quella di una lobby di persone dedite soprattutto a lavorare per i propri interessi economici e di potere e che, sotto la copertura di particolari attività rituali, svolge le proprie attività in maniera occulta e spregiudicata, fino a collusioni con servizi segreti deviati e associazioni di criminalità organizzata. Tuttavia, se si riflette con obiettività, una tale definizione potrebbe attagliarsi anche ad altre associazioni civili e religiose, come i partiti politici e la Chiesa Cattolica. In particolare, anche in questa Istituzione si sono verificati, sia nel passato sia recentemente, episodi biasimevoli, come quelli dei preti pedofili, lo scandalo Marcinkus, gli esasperati conflitti interni in Vaticano e molti altri e non per questo i principi ispiratori della Chiesa sono stati messi in discussione e hanno fatto trasferire il biasimo generale dai singoli individui all’Istituzione in generale. Per coerenza bisognerebbe assumere lo stesso atteggiamento di distacco anche nei confronti dell’istituzione Massonica. Nell’attuale periodo storico, in Italia, quest’obiettività di pensiero è assai difficile da raggiungere a causa della manipolazione dell’informazione svolta dai poteri correnti. Tutti i partiti politici sia di sinistra sia di destra vedono con diffidenza un’associazione che tende a risvegliare la libertà di opinione negli individui, adottando la tolleranza come metodo di lavoro. La nostra è un’epoca d’intolleranze e di fazioni e un gruppo trasversale che promuova questo metodo costituisce un potenziale pericolo per chi voglia detenere il potere

tramite la manipolazione sistematica delle folle, godendo delle leve dell’informazione mediatica. Anche la gerarchia vaticana ha sempre visto la Massoneria come un potenziale concorrente perché la libertà di coscienza promossa dalla Libera Muratoria comporta un rapporto non mediato con il trascendente, il che limiterebbe il potere della Chiesa. Occorrerebbe anche riflettere sul fatto che, in tutti i regimi totalitari, la Massoneria è sempre stata contrastata e questo è un altro elemento di prova della sua azione a favore della libertà dei popoli. Tutte queste considerazioni preliminari, che potrebbero facilmente essere appro-

fondite con ampiezza di particolari, sono invece da me presentate per giustificare una maggiore conoscenza delle peculiarità dell’associazione massonica. Non intendo qui rivelare nulla di “segreto”, ammesso che questo sia ancora possibile, come fanno sovente pubblicazioni dozzinali che tendono solo a suscitare interessi tenebrosi e fantastici. La maggior parte dei rituali massonici è oramai disponibile in libreria o sul web e, comunque, una conoscenza libresca o formale non basterebbe ad alcuno per coglierne il vero significato, che si raggiunge solo con l’effettiva partecipazione al rituale stesso. Lo scopo di questo scritto è di forni87


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re una nuova chiave interpretativa delle attività massoniche che non è certo quella cui vorrebbe ridurla una banalizzante e mistificante visione profana. Occorre pertanto differenziare, anche nella Massoneria, come in molte tradizioni e in molte religioni, un aspetto exoterico da un aspetto esoterico. Il primo (exoterico) è quello che i filosofi greci dicevano fosse il livello di conoscenza destinato alla più ampia diffusione alla massa, mentre il secondo (esoterico) era il livello di sapere approfondito, destinato a una cerchia ristretta d’iniziati. Exoterismo ed esoterismo rappresentano le due facce di una medesima dottrina. Invece di escludersi sono connessi tra loro in maniera complementare. Ogni religione presenta un lato essoterico e un lato esoterico, come ogni moneta ha due facce, opposte ma connesse. Esi88

stono un esoterismo cristiano e un esoterismo musulmano (di cui il sufismo rappresenta una corrente), esiste un esoterismo ebraico (come la Cabala). Quello che l’Exoterismo presenta in termini fideistici o religiosi è pertanto mostrato, attraverso un sistema simbolico, dall’Esoterismo. Difatti nel lato exoterico di una religione non vi è un’esperienza del Trascendente diretta e personale. Il sacerdote diviene il solo tramite tra il fedele e Dio. Nell’exoterismo possono confluire tradizioni diverse e forme di superstizione come il ricorso a talismani o fantasiose reliquie. Un tipico simbolo che si può interpretare diversamente, e a vari livelli, è quello della Croce. Per la maggior parte dei cristiani essa è venerata poichè è lo strumento di tortura con cui fu messo a morte Gesù Cristo e quindi è divenuto il simbolo della Passione e del Sacri-

ficio del Salvatore. Da un punto di vista esoterico la croce assume invece molti più significati (è un simbolo già presente in molte altre culture; il Cristianesimo la adottò dopo il Concilio di Costantino). Esotericamente, invece, essa rappresenta il congiungimento degli opposti, del maschile e del femminile, della terra con il cielo, dell’uomo con il divino. In questa luce l’esoterismo si può considerare un metodo e un insegnamento che consente di superare il livello più superficiale delle religioni (exoterico) e di raggiungere il nucleo delle stesse. Nella concezione comune, spesso, l’esoterismo viene confuso con l’occultismo. Purtroppo, nel passato, il termine esoterismo è caduto in discredito a causa del suo impiego improprio. Ancora oggi molti utilizzano in maniera erronea questo termine confondendolo con l’occulti-


smo, che è quel complesso di pratiche che tendono a governare forze misteriose della natura (magia, spiritismo, telepatia, parapsicologia, ecc.) sottraendosi a una seria indagine scientifica e prestandosi alle attività di sedicenti stregoni e ciarlatani. Se vogliamo dunque distinguere, anche all’interno della Massoneria, gli aspetti exoterici da quelli esoterici dovremmo compiere un’accurata ripartizione. Tra gli aspetti exoterici della Massoneria potremmo certo inserire tutto quello che appare a un primo approccio superficiale, ovvero gli appartenenti all’Istituzione (la cui segretezza appartiene al novero delle leggende metropolitane), la sua organizzazione, i suoi Statuti, i suoi Rituali (in libreria si trovano addirittura i rituali classici del Farina), i suoi paramenti, la sua storia (anche questa ampiamente documentata e disponibile anche al pubblico profano). Il rapporto composito e problematico tra aspetti exoterici e i significati sottostanti, che portano ad una interpretazione esoterica della realtà, fu ampiamente trattato già dagli studiosi del Medioevo. Questo comportava la definizione di quattro sensi delle scritture. Lo stesso Dante Alighieri nel trattato Convivio definisce quattro sensi della scrittura: letterale, allegorico, morale e anagogico. Il senso letterale corrisponde alla lettera del testo; l’allegorico è “una veritade ascosa sotto bella menzogna” (“verità nascosta sotto una bella menzogna”); il senso morale corrisponde, invece, al significato etico e didascalico della scrittura e, infine, il senso anagogico (dal greco anagogé, “elevazione”), o soprasenso, è da individuare nel profondo significato spirituale della scrittura (quello esoterico). Potremo dunque applicare questa metodologia tradizionale d’interpretazione anche per quello che attiene ai Rituali e ai simboli dell’Istituzione massonica, che nel pensiero della Tradizione affonda le proprie radici. Il rituale d’iniziazione ad Apprendista, per esempio, corrisponde, nel suo significato letterale, a una cerimonia di accettazione in un gruppo. Sotto quest’aspetto, questo rituale è simile a tutte le antiche cerimonie di “passaggio”. Dal punto di vista allegorico corrisponde a una sorta di morte e rinascita. Dal punto di vista morale è un in-

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vito alla solidarietà nei confronti del prossimo e un rifiuto di ogni egoismo. Infine, dal punto di vista anagogico, è un’opportunità di contatto con il trascendente presente in ognuno di noi. Questo contatto, potenziale e indicibile, costituisce il vero segreto della Massoneria. La potenzialità di questo contatto corrisponde con la cosiddetta iniziazione virtuale che, in seguito, può divenire iniziazione reale. Molti sono iniziati alla Massoneria, ma solo pochi divengono iniziati reali e non saranno mai i loro discorsi a dimostrarlo, ma solo i loro comportamenti. A questo proposito occorre sottolineare che non basterà la semplice lettura letterale del rituale per raggiungere questo

scopo. Il rituale va vissuto e occorrerà riuscire a leggere anche tra le righe dello stesso per raggiungere il quarto livello, in altre parole l’iniziazione reale. Soltanto la ripetizione accurata e attenta del Rituale, al ritmo giusto, con le posture adeguate e le corrette deambulazioni potrà portare l’adepto al livello di concentrazione necessario a fargli penetrare il significato dei Simboli e, allora, divenire simbolo lui stesso. Occorre anche dire che il Rituale costituisce una Sacra Rappresentazione alla cui realizzazione concorrono tutti i Fratelli di Loggia. È per questo che non basta leggere pedissequamente il testo, affascinante di per sé stesso, ma ben lontano da una interpretazione personale e intensa. Esiste una pro89


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fonda analogia tra l’evento teatrale e il rito in quanto il teatro nasce dalla ritualità primitiva, dall’esigenza di compiere azioni, canti o danze cui attribuire significati che incidano sulla realtà. È stato detto che l’azione della Massoneria è fenomenologia di gruppo. Si tratta di un rituale di gruppo in cui, abbandonato l’individualismo, i Fratelli raggiungono insieme uno stato di concentrazione comune e di carica energetica, che si manifesta nella Catena d’unione finale. La Loggia Massonica genera, attraverso i lavori condotti secondo un rituale ben codificato e ripetuto regolarmente, questa sensazione di unione energetica, che abitualmente è chiamata Eggregore. Per rito, in questo caso, ci riferiamo a una precisa e ben codificata successione di formule verbali e azioni che vengono ripetute da un gruppo di persone con periodicità, questo al fine di raggiungere un perfezionamento interiore. Il rito primitivo nasceva dall’insicurezza e dalla paura che nasceva nell’uomo di fronte ai fenomeni naturali, di qualunque tipo essi fossero. La concezione primitiva di forze invincibili e capricciose, nella natura, causa di tutti i fenomeni generava nell’uomo un atteggiamento “magico”, 90

nel tentativo, quasi infantile, di assecondare e modificarle a proprio favore queste forze con i propri comportamenti. Quest’atteggiamento persiste ancora, anche inconsapevolmente, in molte manifestazioni della nostra vita quotidiana. A prescindere che qualcuno creda in una sua reale efficacia “magica” l’effetto del rituale può essere di rassicurazione e autoconoscenza. A questo proposito, che abbia un fine sociale o che sia strettamente personale, il rito ha sempre bisogno di una partecipazione emotiva profonda, senza la quale cessa di esistere. Purtroppo la diffusione di queste pratiche nel mondo moderno ha nella maggior parte dei casi assunto un aspetto folcloristico. Particolari riti d’iniziazione, spesso limitati alla sola formalità o ridotti a una specie di gioco, sono ancora conservati in tutte le società “segrete” del mondo attuale, come nei cerimoniali della Goliardia e altre società studentesche, della “Calotta” militare, di “Cosa Nostra”, e di molte altre. La cosiddetta “controiniziazione” consiste appunto nel praticare rituali dal grande potenziale evocativo in maniera impropria, senza il coinvolgimento totale che è l’unica chiave per penetrare nel

mondo iniziatico. Per questo bisognerebbe sempre distinguere la “cerimonia” dal rito vero e proprio. In Massoneria il rituale non è limitato alla sola iniziazione, ma esiste un rituale di tornata regolare, basato sull’apertura e sulla chiusura dei lavori. Tra questi due momenti possono svolgersi comunicazioni amministrative o d’istruzione o di scambio di opinioni, ma la riunione potrebbe anche reggersi da sola con l’effettuazione del semplice rituale che di se stesso raggiungerebbe il suo scopo formativo. Si può dire che il rituale di per se stesso costituisca la base e il punto di partenza del lavoro massonico. Se il rituale è condotto con i ritmi giusti, le giuste cadenze, le giuste pause, da un Maestro Venerabile adeguatamente motivato e convinto, la Loggia intera può raggiungere uno stato di tipica induzione suggestiva in cui l’individualità cede il posto al “noi”. Il risultato di una tornata condotta in questa maniera è di un generale rilassamento psichico e soddisfazione al termine della riunione. Per questo motivo si potrebbe avvicinare, per somiglianza, la metodologia della tornata massonica


a quella di una seduta collettiva di “training autogeno”. Si tratta di un metodo di auto distensione ottenuto da concentrazione psichica messo a punto nel secolo scorso da un neuropsichiatra tedesco Johannes Heinrich Schultz e ormai molto diffusa. Questa tecnica di rilassamento è usata in ambito clinico nel controllo dello stress, nella gestione delle emozioni e viene utilizzata anche in molti altri ambiti quali lo sport e in tutte quelle situazioni che richiedono il raggiungimento di un alto livello di concentrazione. Non a caso la posizione abitualmente utilizzata, nelle sedute di training autogeno, è simile a quella utilizzata dai Massoni nelle loro tornate, ovvero la posizione del cocchiere a cassetta o del faraone, ovvero seduti con le gambe divaricate e le mani appoggiate sulle cosce. Gli allievi sono riuniti in un ambiente chiuso e raccolto (come quello della Loggia) allo scopo di evitare le stimolazioni ambientali esterne (il mondo profano). Il conduttore della riunione parla ai presenti con voce ritmica e monotona, facilitando il loro raccoglimento interiore e la loro concentrazione. La ripetizione delle sedute, nel tempo, facilita l’approfondimento dello stato di concentrazione e d’interiorizzazione. Infine, lo scopo delle sedute di training autogeno è quello di mettere il soggetto in grado di eseguire il training da solo. In genere, per apprendere al completo la sequenza degli esercizi sono necessari in media circa sei mesi con un costante e regolare esercizio. Sono evidenti le notevoli somiglianze con la metodologia e le finalità della Libera Muratoria che è una scuola iniziatica in cui la crescita interiore è individuale e i singoli componenti devono sforzarsi nella scoperta di se stessi. Nel training autogeno, accanto a degli esercizi di base che partendo da un atteggiamento di calma giungono a un controllo completo del proprio corpo, sono previsti anche esercizi superiori “meditativi” in cui il soggetto tenta di sviluppare un processo di crescita spirituale. Lo stesso Schultz aveva riconosciuto i collegamenti tra il suo metodo e i metodi di meditazione orientale. In particolare esistono somiglianze con il buddismo Zen (il

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“non fare” e il “lasciare che accada”) e con la tecnica del Qì Gōng. D’altronde la ripetizione costante e regolare di affermazioni positive (come “il costruire un tempio alla Virtù e scavare profonde e oscure prigioni al vizio” o “lavorare per il bene di tutta l’Umanità”) costituisce per il Massone una sorta di mantra, formule sonore utili a trasformare la coscienza. Tutte queste considerazioni e somiglianze con tecniche psicologiche e meditative ben collaudate ci devono far valutare il rituale massonico sotto un’altra luce , in altre parole a un più profondo livello d’interpretazione, quello che prima denominavamo anagogico. I Liberi Muratori si radunano regolarmente tra di loro per formarsi (anzi trasformarsi). La riunione massonica può avere un significato letterale di frequenza regolare come a una qualsiasi scuola, un significato allegorico come quello di “costruire un tempio alla Virtù”, un significato morale quando educa i propri aderenti alla pratica della tolleranza e del-

la solidarietà, ma un significato più profondo quando li condurrà a “conoscere più profondamente se stessi per giungere a conoscere il trascendente”. Per giungere a questo livello occorrono una pratica costante e la ripetizione corretta del rituale. Questo non deve essere “letto”, ma deve essere vissuto. Dalla semplice lettura si può ricavare ben poco. Per questo occorre un Maestro Venerabile esperto e preparato che deve guidare i Liberi Muratori sin dai loro primi passi di Apprendista. Il ritmo, le cadenze, le intonazioni, le posture s’imparano solo eseguendole in Loggia, non basta un manuale per l’uso. Tutto questo deriva dai rituali primitivi, tramandati e magari un poco modificati nel corso dei secoli, ma il cui nucleo fondamentale è sempre presente in Loggia, tramandato “da bocca a orecchio”. Occorre solo che ci siano orecchie capaci di ascoltare. P.86, 88, 90, 91: Borsa e insegne massoniche; p.87: l’Uomo Massonico; p.89: Cartolina massonica, USA.

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Storie di ieri

Il riso sardonico nella tradizione antica: Il sedano acquatico e i vecchi ultrasettantenni 92

Paolo Aldo Rossi


S

airo significa digrigno i denti aprendo le labbra e contorcendo il viso, dal sanscrito ksᾱra (caustico e acre) kack (ridere o cacchinno con tono di scherno), ma può anzittutto derivare da Sardon o sardonios ghelos (riso), ovvero come “sardoni(c)o” (sia σαρδάνιος sia σαρδόνιος) della Sardegna (come la famosa pietra preziosa sarda o sardonia) e forse la spina sardonica (tarda leggenda sarda in cui Ulisse viene ucciso dal figlio Telegono (sic!) con la spina sardonica a forma di spada). Il riso sardonico è quel ghigno alterato da una ruga particolare della bocca e da un tono derisorio e beffardo, manifestazione di sarcasmo e scherno, oppure di un’amara risata sprezzante verso l’interlocutore. La figura ha la bocca semiaperta, con le labbra tirate e contratte agli angoli in una smorfia agghiacciante indefinibilmente di riso o di pianto; sotto i sopraccigli arcuati e la fronte corrugata gli occhi sono sbarrati a forma di luna o mandorla falcata in una perfida intenzione maligna. Maschere analoghe grottesche di risopianto “sono alquanto frequenti; ne sono stati ritrovati a S. Sperate (Cagliari), a Tharros (Oristano), a Cartagine e ad Ibiza” 1. Sono maschere punico-fenice dell’età in cui la Sardegna venne invasa dai Cartaginesi (VII secolo a.C.), ma furono gli invasori ad essere condizionati dai sardi o al contrario? Le maschere di pianto-riso sono la raffigurazione più adeguata, concreta, tragica, terrificante di quell’ignoto rito che prevedeva il gerontocidio, l’uccisione dei pazzi e degli inutili socialmente, l’immolazione di bambini malati ... comunque un culto e un rituale praticato in Sardegna. Erodoto nel Libro 1-III delle Storie (metà del V sec. a.C.) usa per la prima volta il termine “mare di Sardegna” parlando di battaglia navale tra i Focesi e i Tirreni con i Cartaginesi, ma le testimonianze più arcaiche del nome dell’isola e della sua popolazione, in lingua sarda e in caratteri fenici, sono anteriori di parecchi secoli. L’antica Sardi era invece una città dell’Asia Minore che divenne capitale del regno di Lidia nel VII secolo a.C. – ed Erodoto le attribuisce una lunga storia fin dall’età del ferro - ed è comprensibile che il lino sardonico faccia parte degli eraclidi di Lidia, ma il riso sardonico era qualcosa che

e di oggi

proveniva dalla Sardegna sia che esso facesse parte della presistente civiltà nuragica sia che provenisse dalla Lidia, supposto fondamento della civiltà etrusca. I Sardi-Nuragici e gli Etruschi erano due popoli strettamente apparentati, discendenti di popoli forse provenienti dalla Lidia o dalla Colchide o dall’Anatolia in Asia Minore … ma probabilmente i Shardana, di cui parlano le fonti egizie, sono i re delle Isole dell’Occidente, che è la posizione della Sardegna rispetto all’Egitto, mentre la città di Sardi, che non è un’isola, è posta a Oriente. Il sardonios ghelos (il riso sardonico) compare nel XX libro dell’Odissea: μείδησε δὲ θυμῷ σαρδάνιον μάλα ποῖον (“meidese de thumo sardanion mala poion”), ossia “nel cuore sorrise sardonico, aspro e

amaro assai”2; Ulisse, a seguito dell’offesa subita da parte di Ctesippo, uno dei pretendenti di Penelope, ride nel suo animo in modo sardonico, consapevole che Telemaco ha ben previsto il destino di morte che attende Ctesippo. “Ridere in modo sardonico” è un detto che ha provocato forti controversie e disquisizioni negli ultimi anni, in ambito accademico e di storia e di lingua locale, fra coloro che respingono un legame e un’attinenza con gli antichi abitanti dell’isola e coloro i quali dichiarano che l’aggettivo “sardonico” fosse riferito proprio ai sardi. Leggendo l’Odissea si trova, come s’è visto, sardanion mala poion e Platone nella Repubblica (337a) dice che “scoppiò in un riso mala sardanion”; Plutarco aggiun93


Storie di ieri

ge nel Caio Gracco (12.8e) σαρδάνιον γἐλατα γελᾱν o rise di un ghigno sardonico. Non troviamo nulla che fa riferire alla città della Lidia e c’è una bella differenza fra sardionos (abitante di Sardi) e sardonicos (sardo). Veniamo a Timeo, il quale avrebbe riferito nelle sue Storie: … in Sardegna i figli sacrificano a Kronos i genitori di settanta anni e questi venivano uccisi a bastonate e sassate e precipitati in dirupi profondi e nel perire i vecchi ridevano di un riso “sardonio” 3. Aggiunge poi la notizia più importante che riprenderemo alla fine del nostro lavoro: “Vicino alle Colonne d’Ercole c’è l’isola di 94

Sardegna nella quale cresce una pianta simile al sedano. Molti dicono che quando l’assaggiano vengono colpiti da uno spasmo che li fa ridere involontariamente, e così muoiono”. Allora veniano al dunque: il poeta lirico Simonide di Ceo (VII sec.) assunse, in un componimento poetico andato perduto e riferito dal paremiografo Zenobio4, il racconto di come Talo, prima di giungere a Creta, risiedesse in Sardegna e che uccidesse molti di coloro che erano in essa5; le vittime morivano nell’atto del “seserenai”, ossia il digrignare e stringere i denti (οὔς τελευτῶν ταϛ σεσῃρέναι). Σιμονίδηϛ δέ φησὶ τὸν Ταλώ πρό τῆϛ εἰς Κρήτεν ἀφίξεως οἰχῆσαι τὴν Σαρδώ χαί

πολλοὺς τῶν ἐν ταύτῃ διαφθεῖραι οὕς τελευτῶν ταϛ σεσῃρέναι χαί ἐχ τοὺτου ὁ Σαρδάνιον γὲλως. “Simonide dice che Talo prima della sua partenza per Creta dimorasse in Sardegna e molti ne uccidesse che portati alla fine digrignavano i denti mostrando il riso sardonico”. Il mitico automa gigantesco forgiato nel bronzo (da Efesto o da Dedalo) per il re di Creta, Minosse, perché fosse guardiano dell’isola, allontanando i nemici che tentavano di toccare terra, quotidiamente percorreva l’isola armato di mastodontiche pietre e si buttava nel fuoco ardente e rovente e tutto infiammato si schiantava sui suoi nemici schiacciandoli e carbonizzandoli. Alcuni però dicono che l’isola fosse la Sardegna e Talo il suo guardiano. Ma sia come sia dobbiamo capire come questi uomini morissero, e non certamente ridotti in cenere. C’è però nel lessico della Suida6 un fraintendimento: non è possibile che uno che arde o va a fuoco, carbonizzato dal gigante di bronzo, mostri il riso sardonico. Ma allora che cosa è il sardonios ghelos? “Altre varianti imputano la soppressione dei settantenni non ai Sardi, ma ai Cartaginesi coloni in Sardegna […] Il teatro del rito si sposta nella stessa Cartagine secondo la notizia attribuita a Clitarco […] che scive nel III sec. a.C., ove il sacrificato, qui fanciullo, è posto ad ardere tra le braccia di un Crono di bronzo e viene recuperata la spiegazione lessicografica che esclude la Sardegna; ma la Sardegna riappare in Filosseno (I sec. a.C.), a proposito dello stesso rito, avente per vittime sacrificali ancora una volta i fanciulli, rito che si svolgerebbe appunto in (Sardegna)” 7. Ritornano i Cartaginesi che mettono ad ardere i fanciulli in un Crono di bronzo o in un Moloch. “C’era una statua di Cronos in bronzo, racconta Diodoro Siculo (ca. 90 a.C. – ca. 27 a.C.) - dalle mani stese con le palme in alto e inclinate verso il suolo, in modo che il bambino posto su esse rotolava e cadeva in una fossa piena di fuoco”. Ma di quell’infaticidio rituale se ne parlava secoli prima: “… hanno costruito gli alti luoghi di Tofet, nella valle di Ben Hinnom, per bruciare i loro figli e le loro figlie (Geremia 7:31) … vi hanno edificato gli alti luoghi di Baal,


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per bruciare a lui i loro figli in olocausto (Geremia 19:5)”. E quando i Cartaginesi arrivarono in Sardegna era chiaro che le due culture si integrassero e quindi il sardonios ghelos e i sacrifici degli infanti, le maschere ghignanti e mamuthones fossero la stessa roba – a detta di una cultura che era rivale e nemica, ovvero quella greca, ebraica e romana. Il loro Moloch era il nostro Crono; la dea Tanit e il dio Baal Hammon erano come il dio vendicativo o come JHWH Zebaoth (Signore degli eserciti). Termino con un’idea peraltro risaputa: i vecchi sardi settantenni – come nelle culture indiane pellerossa o negli esquimesi – sanno che la loro esistenza è terminata e allora si tolgono la vita scendendo al fiume dove cresce una pianta simile al sedano (l’herba sardonia, ossia Oenanthe crocata8 o ‘Prezzemolo del diavolo’) con la quale fanno un infuso e lo bevono. “Molti dicono che quanti la assaggiano vengono colpiti da uno spasmo che li fa ridere involontariamente, e così muoiono”. Fragmenta Historicum Graecorum, Paris 1885, Timeo. Questa erba diminuiva le sofferenze dei vecchi e ne affrettava la morte e i principi attivi ad azione neurotossica ed enterotossica definiti Oenanthetoxine provocando la chiusura delle labbra, evidenziando i denti e imitando la maschera facciale di chi ride. Il riso dei vecchi durante l’attuazione del rituale significa che la morte è accettata con il riso sardonico,

con sarcasmo e ironia. Poi vennero le leggende del geronticidio; ancora oggi a Gairo, in Ogliastra, si usa l’espressione is beccius a sa babaieca, dove babaieca sta per roccia a punta, ad Orotelli si racconta di vecchi fatti cadere da un dirupo, Iskerbicadorzu o Impercadorzu de Sos Betzos, Scervellatoio o Dirupo dei vecchi, ad Urzulei, la cima di montagna è chiamata Su Pigiu de su Becciu, cioè Il Picco del Vecchio e per finire a Baunei si dice leare su’ ecciu a tumba o a ispéntuma, cioè portare il vecchio alla tomba o alla grotta ovvero al dirupo. Per non dimenticare poi la Accabadora in Gallura, di cui si conserva il martello di colei che finisce come Talo le vittime che morivano nell’atto del seserenai, o anche i campi tetanigeni dove i vecchi e i bambini che rimanevano nel villaggio si infettavano del tetano 9. Ma vorrei finire con una frase di una donna novantenne – per noi tutti la nonna Nerina – di un’altra area, quella della Calabria: “ormai sto aspettando il mazzuolo”, per ricordare un rito senza confini, quello della morte. ______________ Note:

Storico greco siracusano (n. 356 a. C. circa - m. 260 a. C. circa). Visse ad Agrigento e poi ad Atene per cinquant’anni. La sua opera, di cui restano circa 150 frammenti, era una storia dei Siciliani e degli Italioti in 33 libri. 4 Zenobio, V, 85 in Corpus paroemiographorum graecorum vol I Hildesheim, 1958. 5 Ibidem V, 85 – 7-10. 6 X-XI sec. una tarda compilazione bizantina. 7 I. Didu, Greci e la Sardegna, il Mito e la Storia, Scuola Sarda Editrice, Cagliari 2003. 8 Il vocabolo oenánthe significa vino-fiore, dal greco “oínos” vino e “ánthos” fiore, poiché parrebbe idoneo a produrre una modificazione dello stato mentale simile alla condizione di ebbrezza vigile e stordimento. 9 Il tetano (dal greco τέτανος “contrattura”) è un batterio ospite commensale del tratto gastroenterico di molti erbivori ovini e la rimozione delle spore di Clostridium tetani assieme alle feci di questi animali fa sì che vi siano i “campi tetanigeni” in prossimità di un villaggio. Si presenta come una paralisi spastica che inizia dal viso e l’infezione è innescata dalla contaminazione di ferite da parte delle spore del batterio e qui s’imbatte nell’ambiente adatto per la crescita e la produzione della tossina tetanica. Il periodo ha inizio con il trisma, che è una contrattura spastica dei masseteri, muscoli della mandibola, che ostacola l’apertura delle arcate dentarie e poi altre contrazioni dei muscoli mimici (riso sardonico, facies tetanica), dorsali e articolari che si uniscono sul continuo spasmo tonico (accessi tetanici).

1 A. Ciasca, I Fenici, Bompiani, Milano. 2 Odissea, XX, 301. 3 Fragmenta Historicum Graecorum, Paris 1885, pag 199. Timèo (gr. Τίμαιος, lat. Timaeus). -

Per le illustrazioni vd. testo dell’articolo.

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Le lettere di Papa Beato Gregorio X all’Ordine del Tempio Lucio Artini

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egli ultimi anni sono stati fatti studi e resa nota della documentazione che mano a mano sta rendendo giustizia all’antico Ordine del Tempio, soprattutto grazie all’azione dell’Archivio Segreto e della Biblioteca Vaticana. Sin dalla sospensione/ soppressione dell’Ordine Templare tanta fu l’impressione nella cristianità occidentale per l’accaduto, che sorsero mitologie e leggende; il giornalista e storico Peter Partner in un suo libro (Maghi assassinati: i Templari e il loro Mito) ha evidenziato il fiorire di libri sull’argomento sovente frutto di “sedicenti scrittori di libri storici che hanno la stessa serietà del Cappellaio Pazzo”1. Ci dice la storica Barbara Frale che visionando i numerosi scritti a partire del 1300: “l’impressione che si trae immediatamente è di inoltrarsi in un mondo parallelo a quello reale, una dimensione dove l’irrazionalità la fa padrone le più banali regole della logica perdono significato”2. Tutto ciò è segno comunque che la soppressione/sospensione dell’Ordine non fu affatto indolore, ma che fu un evento che ferì nel profondo la cristianità occidentale, fu un fatto da molti considerato ingiusto e ingiustificabile. Il fiorire di leggende fu anche dovuto al fatto che gran parte degli archivi andò perduta e i Templari non coinvolti negli arresti e nelle persecuzioni dei Francesi e dei loro alleati si nascosero, così come i beni appartenenti all’Ordine, le opere di beneficenza, le mense e gli ospedali furono loro sottratti; il mio sospetto è che molte delle Confraternite fondate fra la fine del 1200 e i primi anni del 1300 siano state proprio legate all’utilizzo dei beni dell’Ordine da parte delle realtà locali. In primo luogo siamo venuti a conoscenza che l’Ordine fu sospeso e non soppresso (la Bolla di Chinon) e poi che il processo fu condotto in maniera ingiusta (Processus contra Templarios). Oggi come allora una parte della Chiesa è favorevole a far conoscere la verità, una parte vuole tenere ancora tutto nascosto. Della Bolla di Chinon siamo a conoscenza, quindi non mi dilungherò; è interessante porre però l’accento sulle “carte” relative al processo. La casa editrice Scrinium ha pubblicato le carte dei 3 cardinali presenti al pro-

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cesso nel libro dal titolo Processus Contra Templarios in edizione limitata a 799 esemplari; la “nota sull’opera” distribuita al momento della sua presentazione precisa che l’opera è stata curata dagli “... officiali dell’Archivio Pontificio e contenente la riproduzione fedele degli originali pergamenacei conservati nell’Archivio e dei sigilli appartenuti ai cardinali Pietro Colonna, Pierre de La Chapelle e Berenger Frédol, commissari apostolici ...”, così “... l’Archivio Segreto Vaticano mette a disposizione di studiosi e appassionati uno strumento, certo di pregio, ma scientificamente attendibile per ulteriori approfondimenti sulle vicende storiche dell’Ordine del Tempio”. Ma è forse ancora più significativo il commento su cosa l’opera rappresenti: “Il valore principale della pubblicazione risiede nei documenti e nei testi critici,

che contribuiscono a chiarire le vicende che hanno portato il pontefice e assolvere i Templari dell’accusa di eresia. Clemente V sospese l’ordine senza scioglierlo, reintegrando gli alti dignitari Templari – ma con essi l’Ordine tutto – nella comunione e nei sacramenti della Chiesa. Tale decisione era maturata in un clima di forte scontro politico con Filippo il Bello, impegnato nella celebre e dispendiosissima guerra contro l’Inghilterra, e per questo 97


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oppresso da ingenti problemi finanziari che le casse del Tempio”. È così evidente il valore della pubblicazione da un punto di vista storico, anche da parte della Chiesa stessa che ha permesso la pubblicazione, che, in un certo qual modo, restituisce “l’onore” agli antichi cavalieri del Tempio, mettendo ancora di più in rilievo la pretestuosità dell’azione di Filippo il Bello, di Guillame di Nogaret e del gruppo di intellettuali della Sorbona che “costruirono” i pretesti per le accuse, per il processo ai Templari e per la propaganda pubblica che ne seguì, quasi fosse una moderna campagna mediatica. A questo percorso di ricerca ho dato il mio modesto contributo con lo studio 98

della figura di Gregorio X con il mio libro Beato Gregorio X, il Papa Crociato: il Papa templare? Oramai qualche anno fa mi fu riferito che durante la ricognizione della salma di Papa Gregorio X, al secolo Tebaldo Visconti, era stato trovato “un reperto tessile”, una fascia con delle croci templari, episodio che poi ho cercato di verificare negli anni successivi senza successo. Beato Gregorio X fu eletto Papa a Viterbo nel 1271, mentre si trovava crociato a San Giovanni d’Acri, morì e Arezzo 5 anni dopo, nel gennaio del 1276. La notizia comunque mi portò a iniziare a leggere libri e documenti al fine di conoscere meglio il Pontefice e mi sono accorto che la sua figura era stata di grande

rilievo e era stata strettamente legata alla Terra Santa con i suoi progetti elaborati al fine di salvare la presenza dei cristiani in Oriente (anche oggi minacciata) e, di conseguenza anche con la storia dei due Ordini del Tempio e degli Ospitalieri. Significativo era stato il percorso sia culturale/teologico che pratico che aveva intrapreso con estrema determinazione e coerenza. Studiando le carte di Gregorio X ho potuto constatare l’esistenza nella seconda metà del 1200 di uno scontro forte all’interno della Chiesa di Roma e fra una parte di questa e la Corona di Francia e gli Angioini, presenti in Italia, chiamati a contrastare Manfredi il figlio di Federico II. Ho trovato delle testimonianze che porterebbero alla conclusione che tutto quanto era accaduto nei decenni successivi fosse legato a tre omicidi di personaggi illustri quali lo stesso Gregorio X, il teologo domenicano San Tommaso d’Aquino e il generale dei Francescani San Bonaventura da Bagno Regio. In questo scritto mi limiterò a riferire delle lettere che Gregorio scrive ai Templari. Dall’analisi di questi testi ben si poteva ricavare che la fascia con le Croci del Tempio poteva anche essere tranquillamente all’interno del sepolcro di Gregorio, proprio perché il Tempio era parte integrante della Chiesa e con Gregorio condivideva l’intento di difendere gli ultimi lembi di terra cristiana in Medio Oriente, “Oltremare”, e la stessa presenza cristiana in quelle terre. La documentazione va a confermare quanto già dimostrato con le sopracitate pubblicazioni. Scrive così Gregorio al Patriarca di Gerusalemme: [vd. illustrazione qui sopra] Il tema è quello delle “commutazioni”, cioè degli importi in denaro e beni che coloro che avevano preso l’impegno di andare a combattere in Terra Santa e che poi non vi andavano erano disposti a pagare come sorta di risarcimento per la loro mancata partenza, poi si parla dei lasciti e dei testamenti a favore della difesa dei territori d’oltremare: lo stesso Patriarca poteva riscuoterli, ma rimanevano pure i privilegi concessi ai due Ordini da Papa Innocenzo e da Alessandro. Innocenzo III e Alessandro IV sono quasi sicuramente i pontefici cui si riferisce


Papa Gregorio in una delle sue prime lettere spedite dal Palazzo del Laterano datata 13 aprile 1272 indirizzata a “Thomae, patriarchae Hierosolymitano, concedit quod, non ostantibus indulgentiis Templarii et Hospitalariis ab Innocentio e Alexandro predecessoribus suis concessis, votorum crucesignatorum redemptiones et legata in Terrae Sanctae subsidium, ab ispo patriarcha percepiatur”. La lettera si apre con le presenti parole il cui significato sembra inequivocabile: Eidem - Non minus acceptum - Sane fraternitas tua nobis exposuit quod felicis recordationis predecessores nostri romani pontifices Innocentius ... magistrus et fratribus militie Templi et Alexander .... magistrus et fratribus hospitalis Jerosilimitani; il testo non è completo e quasi sembrerebbe che Innocenzo fosse maestro e fratello della milizia del Tempio, mentre Alessandro fosse maestro e fratello della milizia dell’Ospedale anche se poi non è così; infatti è scritto che Innocenzo e Alessandro al maestro e al fratello del Tempio e dell’Ospedale avevano concesso privilegi che Gregorio rinnovava. Magistrus et fratribus non magister e frater. Anche se poi quel “fratello” qualche dubbio lo potrebbe far sorgere. Perché infatti si dice che entrambi sono maestri e fratelli! Maestri e fratelli non certo pericolosi eretici e bestemmiatori, detto da un Gregorio che poi e Acri aveva vissuto! Passiamo alla lettera successiva datata 4 marzo 1472: è incompleta, come già quella che abbiamo visto, indirizzata al Vescovo di Gerusalemme e sono riportati vari puntini di sospensione. Anche questa dimostra chiaramente il rispetto e l’interesse del pontefice verso i monaci-cavalieri, e, lo ripetiamo, se fosse vero il rinvenimento di un “reperto tessile” con i simboli templari nel sepolcro del Beato Gregorio non ci sarebbe proprio da meravigliarsi: sino allo spostamento dei pontefici e Avignone e la loro caduta sotto l’influenza diretta della corona di Francia i monaci-cavalieri avevano goduto a più riprese dell’appoggio pieno di molti pontefici, del loro sostegno e della loro stima. La mia convinzione, maturata nello studio degli avvenimenti del 1200, è che sono stati i 70 anni della “cattività avignonese”, della chiesa avignonese, a “dannar-

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ne” la memoria, così come a contribuire all’oblio della chiesa spiritualis che al controllo francese si era opposta! Poi il desiderio delle comunità locali di nascondere i beni appartenenti all’Ordine ai loro persecutori, forse, anche gli uomini stessi dell’Ordine e i tanti laici e confraternite legate alle varie case templari, ha fatto il resto cancellandone la memoria, distruggendo e occultando documenti e atti [vd. illustrazione a fronte]. Riportiamo la traduzione (179-2): “Viterbo 4 marzo 1272. All’Ispettore e al precettore delle case della Milizia del Tempio e al priore delle case dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme in Francia (si) scrive circa la medesima questione della Terra Santa e li prega affinché, se il re di Francia non si presenti tanto liberamente pronto e disponibile a destinare là un aiuto opportuno per evitare la distruzione della stessa Terra, raccolgano insieme un prestito sino a raggiungere la quantità di 25.000 marche d’argento, per mezzo del quale si possa dare un pronto aiuto ai soldati e alle galee.” Questo rappresenta il sunto della lettera che la precede, segue poi il testo che non

è riportato integralmente: ci sono delle parti omesse e non è chiaro quale sia la loro reale importanza. Proseguiamo con la traduzione: “(Si chiede che) I Templari e gli Ospitalieri della casa di Francia, se il re non provveda raccolgano un prestito per dare aiuto alla Terra Santa e per questo si affidino all’arcivescovo di Corinto. Gregorio, eletto Vescovo, servo dei servi di Dio agli amati figli … all’ispettore e … al precettore delle case della Milizia del Tempio e … al priore delle case dell’Ospitale di San Giovanni Jerosolimitano in Francia offre salute e dà la sua apostolica benedizione. Funeste e intollerabili. Scritto a Viterbo, al nove di marzo, nel primo anno del nostro apostolato.” Partendo da San Giovanni d’Acri Tebaldo si era reso conto della grave situazione in cui si trovavano gli ultimi territori cristiani in Terra santa; il suo primo sforzo è teso a garantire alcuni fondamentali aiuti, infatti partiranno armati e rifornimenti diretti alla Terra Santa. La lettera presuppone un impegno da parte del Re di Francia a raccogliere fondi per sostenere le truppe cristiane; il testo non è completo, ma appare evidente 99


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che Gregorio ritenga possibile che il Re di Francia non mantenga l’impegno preso e che, quindi, chieda ai due Ordini, nel caso il Re non fornisca i fondi, di assumere dei prestiti al fine di provvedere essi stessi direttamente alle incombenze. La domanda che sorge spontanea è chiara: cosa dovevano fare gli Ordini nei confronti del Re di Francia? Controllare il suo operato, agendo per spingerlo a finanziare gli aiuti? Nel caso in cui il Re non potesse (o non volesse) finanziare le milizie cristiane, il prestito doveva essere accollato al Re, cui magari poteva mancare la liquidità necessaria per assolvere all’impegno preso, o dovevano accollarselo i due Ordini stessi? Anche in questo caso è evidente la stima e il rispetto che aveva il Pontefice dei due Ordini, potrebbe quindi essere possibile che Templari e Ospitalieri di Francia svolgessero anche funzioni di sostegno della richieste del Pontefice nei confronti del Re di Francia, che ne fossero i mandatari sul territorio francese; i vertici dei due Ordini sono definiti gli amati figli. Potrebbe Bonifacio VIII aver utilizzato gli stessi Ordini al fine di sostenere gli interessi della Chiesa di Roma nei confronti delle pretese del Re di Francia durante il suo fortissimo scontro con Filippo il Bello? Appoggio volto anche a tutela100

re delle finanze della Chiesa, così come a difendere il ruolo che egli attribuiva a se stesso e alla Chiesa di Roma, non certo subalterno ai voleri della corona di Francia? Proseguiamo con un’altra e ultima lettera, questa volta diretta all’Ordine Templare. La lettera viene scritta a Lione dopo il concilio in cui gli ordini monastici erano stati fortemente criticati dal clero secolare e Gregorio aveva difeso i Francescani, i Domenicani e i due Ordini dei monacicavalieri da attacchi e critiche. La lettera è indirizzata al Maestro e ai Fratelli dell’ordine della Milizia del Tempio – Maestro e fratelli – mi preme sottolineare! Vediamo la traduzione: “Lione 27 settembre 1274 Al Maestro dell’Ordine della Milizia del Tempio ordina che rigorosamente comandi a tutti i fratelli di consegnare tutto ciò che non è lecito loro di possedere secondo quanto stabilito dall’Ordine, nelle sue mani o nelle mani di colui che egli avrà scelto.” In questo caso non vi sono interruzioni punteggiate nel testo della lettera, c’è sempre da verificare che ne sia stato riportato il testo completo. Proseguiamo con la traduzione: “Al Maestro e ai fratelli dell’Ordine del-

la Milizia del Tempio. Circa questi, e a tutti quanti ordiniamo, attraverso questi scritti apostolici, fino a te, o figlio maestro, che tu ordini sia alla comunità che ai singoli professori di questo medesimo ordine di consegnare (ciò) o nelle tue mani o nelle mani di quelli tu abbia ritenuto adatti, un mese dopo da quanto sia giunto e essi notizia di questo comando (di consegnare ciò) senza alcuna opposizione o rimostranza e ordino a voi, fratelli, che ubbidiate umilmente all’ordine delle stesso maestro senza ostacolarlo e senza alcun indugio. Noi infatti promulghiamo la scomunica verso tutti coloro, gruppo o singoli fra i predetti professori che non abbiano ubbidito a quest’ordine, scomunica che proibiamo che sia cancellata con speciale licenza della sede apostolica. Fatta a Lione. Anno terzo del sesto giorno delle calende di settembre”. Non è molto chiaro a cosa Gregorio si riferisca: il Gran Maestro, definito “o figlio maestro” deve provvedere a farsi consegnare cose che i fratelli e i professori dell’ordine detengono non autorizzate secondo quanto stabilito dai principi dell’ordine stesso, a pena di una irrevocabile scomunica. In particolare non comprendevo bene cosa fossero questi professoribus, un termine non utilizzato, mi dicevano, nel latino antico. È che la storia dell’Ordine del Tempio, in mancanza di archivi e documenti originali, è ben difficile da ricostruire; e cosa sono poi i “professori”? Avevano strutture formative? Certo è che le parole di Gregorio sono sempre di stima e di sostegno e non solo di Gregorio; ordini monastici erano stati soppressi a Lione, riformare il riformabile, sopprimendo gli organismo non più emendabili, questo era la modalità di operare. Le prime traduzioni non mi avevano chiarito i dubbi. Il vero significato della parola professoribus poi mi è stato comunicato da un mio contatto accademico statunitense che così mi scriveva lo scorso dicembre da New York: “... ho trovato il significato di professori ... nel latino medievale della chiesa: professor: scrivano della curia, professor: per gli ordini religiosi soprintendeva alla regola dell’ordine.” La lettera ci spiega quindi che esisteva un collegio di saggi che soprintendeva alla


regola dell’Ordine e deteneva conoscenze che non erano gradite da parte del clero d’Occidente. Era questo il collegio dei Cavalieri Kadosh? Non dimentichiamoci che gli ultimi Templari erano culturalmente tolleranti: come ci dimostra la storia di Gregorio X, trattavano con i musulmani con cui intrecciavano alleanze, stabilivano tregue, tutelavano gli ebrei, dialogavano con i cristiani ortodossi. Questi avvenimenti interessano la storia della Massoneria italiana: in primo luogo perché una parte dei Templari non sottoposti agli arresti si “nascosero” all’interno delle corporazioni artigiane, come sostiene il Farina (Salvatore Farina, Il libro competo dei Riti Massonici,) citando il Cardinale Manning: «la Francia meridionale - scriveva - era un focolaio di eresia e questa regione era pure una di quelle preferite dalle Corporazioni muratorie. Si afferma che sin dal XII sec. le Logge delle Corporazioni godevano protezione speciale dei Cavalieri Templari. In tal modo è facile comprendere come le allusioni simboliche a Salomone e al suo Tempio siano passate nel rituale Massonico. Si può così spiegare anche come, dopo la soppressione dell’Ordine del Tempio, certi recalcitranti che avevano mantenuto la loro influenza sui Liberi Muratori, trovassero il mezzo di sviluppare, ciò che fino allora era stato un rituale inoffensivo, in un rituale complesso suscettibile di inculcare negli iniziati parte degli errori templari». Continua il Farina “... i Templari che sopravvissero all’eccidio si iscrissero nelle corporazioni muratorie operative che abitavano le città libere d’Italia e di Germania. Essi presero il nome di Liberi Muratori e adottarono i simboli della Massoneria operativa allo scopo di far perdere le piste ai loro nemici, ma si riservarono quattro gradi che sovrapposero a quello di Maestro”. Abbiamo già detto poi del significato della parola professoribus che detengono illecitamente dei testi che devono consegnare al Gran Maestro a pena la loro scomunica: un collegio di saggi che “sopraintendeva alla regola dell’Ordine”, che è forse quel collegio dei Cavalieri Kadosh che così passa dalla leggenda alla storia? Dopo il concilio di Lione – in cui Gregorio difese i Francescani, i Domenicani, i

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Templari e gli Ospitalieri – mandò la lettera al Gran Maestro Templare affinché i “professori”(i “custodi della regola dell’ordine” o gli “scrivani”, cioè coloro che sapevano leggere e scrivere, i dotti) dovevano immediatamente consegnare al Gran Maestro alcuni materiali di cui erano in possesso a pena della scomunica. Cosa vuole dire questo? – Che esisteva realmente un collegio di saggi, di eruditi custodi delle conoscenze e della tradizione. – Che erano in possesso di documenti non graditi alla Chiesa di occidente. – Che questi documenti dovevano essere consegnati al Gran Maestro dell’Ordine a pena della scomunica. In tutti i riti massonici è presente almeno un grado templare che ricorda l’esistenza di un collegio di saggi, una leggenda che forse è realtà come attesta la lettera ai “professori” dell’Ordine Templare. E è un grado alto del Rito e non dell’Ordine. Ritengo che ci sia ancora molto da chiarire su quanto accaduto all’Ordine del Tempio; è cosa auspicabile che le ricerche debbano e possano continuare, i ricercatori si sono soffermati troppo sullo scontro fra Filippo il Bello e i Templari dimenticando quanto di buono era stato fatto e

scritto su di loro da Pontefici e alti prelati che si erano susseguiti dalla fondazione dell’Ordine e non approfondendo le analisi circa lo scontro all’interno della Chiesa fra le varie correnti più o meno legate a fazioni politiche e case regnanti, Chiesa di cui l’Ordine era parte integrante. Così come la mia convinzione, non suffragata però ad oggi da documenti, è che il progetto di Gregorio X per la difesa dei cristiani d’Oriente fosse condiviso dai Templari. Cadde l’Impero d’Oriente, la guerra divise i regni europei: Francesi da Inglesi, tutti contro tutti. Poi venne lo Scisma d’Occidente, le armate musulmane giunsero alle porte di Vienna e lo schiavismo dominò lungo le coste del Mediterraneo. Anche oggi, forse, sta accadendo qualcosa di simile? ______________ Note: 1 B.Frale, I Templari, Bologna 2010, pag. VII. 2 Ibidem.

P.96, 97 e 101: Immagini di Gregorio X; p.98-99 Vd. testo; p.100: Miniatura raffigurante Filippo il Bello.

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È Storie di ieri

Dante in soffitta Riflessioni estemporanee su un anniversario dimenticato Luigi Pruneti

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mattina, sono nei pressi della Stazione, fra circa trenta minuti un treno mi porterà a casa. Entro in un bar e arrampicandomi su uno di quegli sgabelli che spaccano la schiena ordino un espresso. Mentre giro con voluttà il caffè, la barista mi chiede: – Lei è toscano? – Rispondo con voce ancora gravata dal sonno: – Certo sono di Firenze–. Al ché mi guarda e con aria gioiosa esclama: – “Ah che bella città! Mi piace tanto … e poi siete simpatici. Si figuri che l’altra sera ho rivisto l’Inferno di Benigni … quanto è bravo!” – Manca poco che le sputi in faccia l’espresso: “Mai bevanda fu più amara nella strozza / di quello che versommi la gaglioffa”. Esco dal bar sconsolato e salgo sul treno che corre via fra i campi irrorati dal verde della primavera. Dentro di me continuo, però, a rimuginare: – … l’Inferno di Benigni, dove siamo arrivati ! – D’altra parte, questa è l’Italia di oggi che sembra avere un solo fine, quello di dimenticare i suoi principi identificativi, di cestinare le proprie radici. Fra pochi giorni ricorreranno i 750 anni dalla nascita di Dante, venuto al mondo, secondo quanto testimoniò, nel 1265 sotto il segno dei Gemelli1, nessuno, però, sembra ricordarlo. Il Fiorentino è stato gettato alle ortiche, dimenticato, ostracizzato, “benignizzato”, come da tempo si usa fare in Italia, paese che spicca nel mondo per l’arte dell’oblio e la tecnica dell’autolesionismo. Dante probabilmente se la ride; infatti, sa bene che la sua opera è sempre più apprezzata nel mondo e che quest’anno il suo 750° compleanno sarà celebrato al di qua e al di là dell’Atlantico, nell’Asia più remota e nella lontanissima Australia. Ovunque, ma non in Italia che già a suo tempo il Poeta fustigò per gli sconsiderati costumi. Sono arcinoti i celebri versi del VI canto del Purgatorio che nel momento attuale paiono addirittura profetici: “Ahi, serva Italia, di dolore ostello, / nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!2” Il Poeta, comunque, non si accontentò di rampognare genericamente la Penisola, attento e preciso com’era sparò ad alzo zero su diverse città italiane o meglio sui loro cittadini3, specie su quelli che ebbe modo di conoscere da vicino4. Fu a esempio spietato nei confronti dei Genovesi, considerati alieni da ogni buon comportamento e pertanto degni di essere annientati: “Ahi, Genovesi, uomini diversi / d’ogni co-


stume, e pien d’ogni magagna, / perché non siete voi nel mondo spersi5?” Se la cavarono un po’ meglio i Bolognesi, distribuiti fra gli ipocriti (“Frati godenti fummo e Bolognesi”6) e i seduttori: “Così parlando il percosse un demonio / della sua scuriada e disse: – Via, / ruffian! Qui non son femmine da conio –“7. Nei confronti dei Romagnoli il Toscano sembrò più benevolo, anche perché, a Forlì nel 1283, insieme ai Marchigiani, sconfissero gli odiatissimi francesi: “La terra che fe’ già la lunga prova / e di Franceschi sanguinoso mucchio” 8 ; giunto nel Purgatorio Dante ebbe, tuttavia, un ripensamento e sentenziò che i Romagnoli erano diventati dei bastardi9. L’Alighieri, insomma, non risparmiò nessuno, fu equanime, non fece differenze fra Est e Ovest o Nord e Sud: i settentrionali erano corrotti10 e i meridionali traditori11. A ogni popolo del Bel Paese riservò uno schiaffo, una frustata in piena faccia, spesso accompagnata dal sale dell’ironia. Gli strali più affilati li riservò comunque alla sua regione, terra di dolci colline e di valli apriche, di castelli, ville e campanili, l’uno geloso dell’altro. Dante ne era informato, sapeva bene che il veleno era caratteristico della Tuscia e irrorava città, paesi, fazioni, contrade, famiglie, ne era così conscio che per lui “tosco” significava sia toscano che tossico12. Nell’esame non proprio edenico al quale sottopose la natia contrada, paragonò gli Aretini a “botoli13 ringhiosi”14, i Senesi a “gente vana / che spera in Talamone”15 e i Pratesi li ritrasse mentre passavano il tempo a maledire i Fiorentini, hobby fra l’altro diffuso in altre città vicine e lontane16. Spostandosi più a Ovest le cose non andavano meglio. A Lucca erano tutti barattieri, tanto che nella Città del Volto Santo il “no” valeva per “sì” e bastava pagare per aver ragione in tribunale17. Con Pistoia non fu più tenero, giacché la considerò una tana di bestie18 e con Pisa fu spietato. Prendendo come pretesto l’episodio del conte Ugolino della Gherardesca condannato a morire di fame con figli e nipoti nella torre dei Gualandi19, auspicò un’apocalittica esondazione dell’Arno che annegasse ogni cittadino della Repubblica Marinara20. Si pensa che da tale esortazione sia nato il motto “meglio un morto in casa che un pisano all’uscio”. È sbagliato; siffatta espressione è antecedente: a coniarla furono i Milanesi per stigmatizzare la presenza di truppe scelte pisane nell’esercito del

e di oggi

Barbarossa. Un trattamento ancor peggiore Dante lo riservò ai propri concittadini con i quali popolò l’Inferno, distribuendoli sapientemente in ogni girone. Spesso e volentieri poi, per essere meglio inteso, chiamò in causa l’intera città. Nel VI canto la dipinse infettata da superbia, invidia e avarizia,21 nel XV riprese e sottolineò lo stesso concetto22 e a seguire, nel XXVI, si superò partorendo una delle più acide condanne presenti della storia: “Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande, / che per mare e per terra batti l’ali, / e per lo Inferno il tuo nome si spande! / Tra li ladron trovai cinque cotali / tuoi cittadini, onde mi vien vergogna, / e tu in grande onranza, non ne sali”23. Finita la visita dell’Inferno, il Poeta, attraverso un “cammino ascoso”24, ritornò “nel chiaro mondo”25, lasciando alle spalle la dispera-

zione dei dannati ma portando con sé l’astio per la Città del giglio, un livore che lo accompagnò poco dopo pure nel celestiale Paradiso, dove Firenze fu imputata di aver volto le spalle a Dio e di aver diffuso la corruzione26. Non contento l’accusò di essere una valle di perdizione, tanto che sembrava fosse giunto sulle sponde dell’Arno Sardanapalo “a mostrar ciò che ‘n camera si puote”27. La metafora evidentemente gli piacque e nelle Epistole28 chiamò i Fiorentini “babilonii”. Il paragone con la mitica città sottolineava esplicitamente lo spirito di ribellione dei concittadini e implicitamente rimandava alla terra di Semiramide29, regina dell’Assiria che “A vizio di lussuria fu sì rotta, / che libito fe’ licito in sua legge / per tòrre il biasmo in che era condotta”30. Tanta rabbia era solo una maschera, uno 103


Storie di ieri

schermo per nascondere un inestinguibile amore per l’Italia che Dante considerava priva di guida, instabile, divisa, eternamente dilaniata dalle lotte. Il “giardin dello imperio”31 era allo sbando e il Poeta invitava simbolicamente l’imperatore Alberto d’Asburgo a verificare di persona: “Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, / Monaldi e Filippeschi / Color già tristi e questi con sospetti. / […] / Vieni a veder la tua Roma che piagne / Vieni a veder la gente quanto s’ama / […]. / Che le città d’Italia tutte piene / son di tiranni, e un Marcel diventa / ogni villan che parteggiando viene”32. Di questo sfascio politico ne era esempio Firenze dove leggi e provvedimenti, usi e regole venivano cambiate continuamente; la città era un’inferma che per cercare di lenire il dolore cambiava continuamente posizio104

ne: “Fiorenza mia, ben puoi esser contenta / di questa disgression che non ti tocca, mercé del popol tuo che si argomenta. / […] / tu ricca, tu con pace, tu con senno: / s’io dico ver, l’effetto nol nasconde. / […] Quante volte, nel tempo che rimembre, / legge, moneta, officio e costume / hai tu mutato, e rinnovato membre! / E se ben ti ricordi e vedi lume, vedrai te simigliante a quella inferma / che non può trovar posa in su le piume, / ma con dar volta suo dolore scherma”33. Eppure quell’Italia così lacerata e divisa, sempre in guerra, era unita per tradizione, per storia, per cultura, come dimostrava la sostanziale identità linguistica. Dante insisté continuamente su questo tema; chiamò la Penisola il “bel paese dove il sì suona”34 e pur non considerando il toscano volgare egemone35, lo ricordò come identificativo

della sua città36, sciagurata, quanto si vuole, ma pur sempre “nobil patria”37. Insomma l’odio cela amore; egli si compiace de “l’aere tosco”38 ed è orgoglioso della propria fiorentinità; lo confessa senza volerlo nell’incontro con Cacciaguida, ove la città è paragonata a un fiore che sboccia, mostrando a tutti la propria bellezza, potenza e fama, (“fiorian Fiorenza e tutti i suoi gran fatti”)39. Dobbiamo convenire che, tutto sommato, le rampogne del Poeta erano giustificate e che, in un certo qual senso, sono ancora attuali. L’Italia di oggi non è poi molto diversa da quella del XIII secolo: rissosa, divisa, masochista, parolaia e inconcludente; ieri ai margini dell’impero, oggi ai margini dell’Europa. Il nostro paese ha potenzialità enormi che riesce quotidianamente a vanificare; guarda con ammirazione quel che c’è fuori e non considera quello che ha in casa. Inoltre, da un po’ di tempo, per farsi ancor più male, si adopera per distruggere il suo bene più prezioso: la cultura, la memoria, il patrimonio storico-artistico. La ricerca, nella Penisola, è negletta, chi ha voglia di studiare è costretto ad accomodarsi all’estero e i tesori, sparsi dalla Sicilia al Piemonte, sono considerati con sufficienza: alcune volte curarli, proteggerli, promuoverli sembra quasi un peso. Anche il senso dell’appartenenza è boicottato, pare ormai un dovere dimenticare le glorie del passato, ammantare di silenzio gli anniversari e tutto ciò che dovrebbe rendere orgogliosi dell’Italianità. Lo scordarsi di Dante non deve, dunque, stupire, in questo siamo coerenti, abbiamo fatto la stessa cosa con Garibaldi e abbiamo, con malcelato fastidio, celebrato la ricorrenza dell’Unità Nazionale. L’ultimo auto-attentato ha come vittima la lingua, una delle principali componenti della nostra identità. Non contenti di imbastardirla con termini stranieri, il cui utilizzo è quasi sempre inutile, abbiamo pensato di bastonare l’Accademia della Crusca, l’unico ente che studia, difende, esamina l’Italiano. All’avanguardia in questa operazione è la Regione Toscana che dopo aver dimezzato i fondi destinati alla storica accademia, quest’anno ha deciso di sospenderli. Cosa succederà? Il presidente Claudo Marazzini non ha dubbi; intanto perderanno il posto un po’ di studiosi, poi si vedrà: “I primi a rischiare sono i nostri trenta ricercatori e collaboratori, tutti studiosi di livello, molti giovani, che a scadenza di contratto o di borsa di stu-


dio non potranno essere rinnovati. Con loro si fermeranno anche i progetti”40. L’illustre studioso, prosegue, adombrando ulteriori sconvolgenti scenari: “[Tutto questo è] molto doloroso. Io sono totalmente stupito. Come si fa a decidere un taglio del 100% ai finanziamenti? […] Non voglio entrare in una polemica sterile. Però vorrei che l’Accademia della Crusca potesse continuare a vivere. E per vivere deve produrre”41. L’Accademia della Crusca chiuderà? L’Italiano morirà? Poco male, vorrà dire che parleremo una sorta di swahili itanglese impeciato di location, shopping, mission, scoop, big, blend e bond … Importante sarà comunicare; riflettere, pensare, creare lo sarà un po’ meno, essere italiani non lo sarà affatto. ____________ Bibliografia: F. Antonietti, Vita quotidiana a Firenze ai tempi di Dante, Milano 1992. M. Barbi, Vita di Dante, Firenze 1966. P. Bargellini, “Il figliuol d’Alighieri”: Dante uomo privato, in Il processo di Dante, a. c. di D. Ricci, Firenze 1967. P. Bargellini, Vita di Dante, Firenze 1964. S. Bellomo, Filologia e critica dantesca, Brescia 2008. R. Davidsohn, Storia di Firenze, vol. IV, Firenze 1973. C. Marchi, Dante in esilio, Milano 1964. V. P. Mengaldo, Volgare, in Enciclopedia Dantesca, vol. V, Roma 1976. G. Pampaloni, I primi tempi dell’esilio. Da Gargonza a San Godenzo. L’Universitas Partis Alborum e il “governo” bianco in Arezzo, in Il processo di Dante, a. c. di D. Ricci, Firenze 1967. L. Pruneti, Firenze dei misteri. Storie, leggende, curiosità e segreti all’ombra del Cupolone, Firenze 2007. E. Sestan, Comportamento e attività di Dante a Firenze come uomo politico e di parte, in Il processo di Dante, a. c. di D. Ricci, Firenze 1967. G. Siebzehner – Vivanti, Dizionario della Divina Commedia, a. c. di M. Messina, Milano 1965. F. Taddeo, Durante, in Enciclopedia dantesca, vol. II, Roma 1976. E. Tuccio, I giudizi di Dante sulle città italiane, Palermo 1921.

nota: Inferno V, X, XIII, XVIII, XXI, XXII, XXIV, XXVI, XXVII, XXVIII, XXXIII, XXXIV; Purgatorio, VI, XIII, XIV; Paradiso, IX, XV, XVI, XXII, XXIII. Altre opere di Dante: De vulgari Eloquentia, I, XIX; Epistole, VI. 8 Note:

19 Inferno, c. XXXIII, vv, 46 – 48. 20 “Ahi, Pisa, vituperio delle genti / del bel paese dove il sì suona, / muovasi la Capraia e la Gorgona, e faccian siepe ad Arno in su la foce, / sì ch’egli anneghi in te ogni persona!”, Inferno c. XXXIII, vv. 79 -84. 21 V. 50 e v.. 74.

e di oggi

1 “O gloriose stelle, o lume pregno / di gran virtù, dal quale io riconosco / tutto, qual che si sia, il mio ingegno, /con voi nasceva e s’ascondeva vosco / quelli ch’è padre di ogni mortal vita / quand’io senti’ di prima l’aere tosco”. Paradiso, c. XXII, vv. 112 – 117.

22 V. 68

2 Vv. 76 – 78.

25 Ibidem, v. 134.

3 Cfr. E. Tuccio, I giudizi di Dante sulle città italiane, Palermo 1921. 4 G. Siebzehner – Vivanti, Dizionario della Divina Commedia, a. c. di M. Messina, Milano 1965, p. 75, pp. 263 – 264, pp. 528 – 530. Cfr. P. Bargellini, Vita di Dante, Firenze 1964; M. Barbi, Vita di Dante, Firenze 1966; F. Taddeo, Durante, in Enciclopedia dantesca, vol. II, Roma 1976, p. 611; F. Antonietti, Vita quotidiana a Firenze ai tempi di Dante, Milano 1992; C. Marchi, Dante in esilio, Milano 1964; L. Pruneti, Firenze dei misteri. Storie, leggende, curiosità e segreti all’ombra del Cupolone, Firenze 2007, pp. 33 – 38; E. Sestan, Comportamento e attività di Dante a Firenze come uomo politico e di parte, in Il processo di Dante, a. c. di D. Ricci, Firenze 1967, p. 28 e segg.; P. Bargellini, “Il figliuol d’Alighieri”: Dante uomo privato, in Il processo di Dante … cit, p. 33 e segg.; G. Pampaloni, I primi tempi dell’esilio. Da Gargonza a San Godenzo. L’Universitas Partis Alborum e il “governo” bianco in Arezzo, in Il processo di Dante … cit, p. 37 e segg.; R. Davidshohn, Storia di Firenze, vol. IV, Firenze 1973. 5 Inferno, c. XXXIII, vv. 151 – 153. 6 Inferno, c. XXIII, v. 103 7 Inferno, c. XVIII, vv. 64 – 67. 8 Inferno, c. XXVII, vv. 43 – 44. 9 “Oh Romagnuoli tornati in bastardi!”, Purgatorio, c. XIV, v. 99. 10 Inferno, c. XXII, v. 99. 11 Inferno, c. XXVIII, vv. 16 – 17. 12 Inferno, c. XIII, v. 6. 13 Cani. 14 Purgatorio, c. XIV, vv. 46 – 47. 15 “Tu li vedrai tra quella gente vana / che spera in Talamone e perderagli / più di speranza cha a trovar Diana; / ma più vi perderanno gli ammiragli”. Purgatorio, c. XIII, vv. 151 – 154. 16 “Ma se presso il mattin del ver si sogna, / tu sentirai di qua da picciol tempo / di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna”. Inferno, c. XXVI, vv. 7 – 9.

G. Villani, Nuova Cronica, a. c. di G. Porta, vol. I, Parma 1990.

17 “Del nostro ponte disse: “O Malebranche, / ecco uno degli anzian di Santa Zita: / mettetel sotto, ch’io torno per anche / a quella terra che n’è ben fornita: / ogn’uom v’è barattier, fuor che Bonturno: / de no per il denarar vi si fa ita”. Inferno, c. XXI, vv. 27 – 42.

Canti della Divina Commedia citati nel testo o in

18 “Vita bestial mi piacque e non umana, / sì come a mul ch’io fui; son Vanni Fucci / bestia, e Pistoia

I. Ulivelli, La Crusca resta senza parole. Addio a borse di studi e stage, in “La Nazione”, 3 maggio 2015.

mi fu degna tana”. Inferno, c. XXIV, vv. 124 – 126.

23 V. 1 – 6. 24 Inferno, c. XXXIV, v. 133. 26 “La tua città, che di colui è pianta / che pria volse le spalle al suo Fattore / e di cui è la invidia tanto pianta, / produce e spande il maledetto fiore / ch’ha disviate le pecore e gli agni, / però che fatto ha il lupo del pastore”. Paradiso, c. IX, vv. 127 – 132; Paradiso, c. XXIII, vv. 94 – 96. 27 Paradiso, c. XV, v. 107. 28 “Quid, fatua tali opinione summota, tanquam alteri Babilonii, pium deserentes imperium nova regna temptatis, ut alia sit Florentina civilitas, alia sit Romana?”. Epistole, in Opere di Dante Alighieri, a. c. di F. Chiappelli, vol. I, Milano 1965, VI. 8, p. 400. 29 Scrisse Giovanni Villani: “Della detta città di Babilonia fu prima re che cominciasse battaglie Nino figliuolo Beli, disceso d’Ansur figliuolo di Sem, il quale Nino fece grande città di Ninive. E poi dopo di lui regnò Semiramis sua moglie in Babilonia, che fu la più crudele e dissoluta femmina del mondo, e questa fu al tempo di Abraam”. G. Villani, Nuova Cronica, a. c. di G. Porta, vol. I, Parma 1990, L. I, II, p. 6. 30 Inferno, c. V, vv. 55 – 57. 31 Purgatorio, c. VI, c. 105. 32 Ibidem, vv. 106 – 126. 33 Ibidem, vv. 127 – 151. 34 Inferno, c. XXXIII, v. 80. 35 “Hoc enim usi sunt doctores illustres qui lingua vugari poetati sunt in Italia, ut Siculi, Apuli, Tusci, Romandioli, Lombardi, et utriusque Marchie viri”. De vulgari Eloquentia, I, XIX, in Opere di Dante Alighieri … cit, p. 312. Cfr. S. Bellomo, Filologia e critica dantesca, Brescia 2008, pp. 91 – 101: V. P. Mengaldo, Volgare, in Enciclopedia Dantesca … cit, vol. V, p. 1127 – 1129. 36 Inferno, c. XXIII, v. 76. 37 Inferno, c. X. v. 26. 38 Paradiso, c. XXII, v. 117. 39 Paradiso, c. XVI, v. 111. 40 I. Ulivelli, La Crusca resta senza parole. Addio a borse di studi e stage, in “La Nazione”, 3 maggio 2015, p. 23. 41 Ibidem.

P.102: Stampa raffigurante Dante Alighieri; p.103/104: Pagine manoscritte della Divina Commedia.

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Pensieri

Lete e Mnemosyne, ovvero elogio dell’oblio Paolo Maggi

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G

li uomini di cultura dell’antichità avevano un grande timore: quello di perdere la memoria. Che si trattasse di memoria biologica, o di memoria culturale, questa paura era assolutamente comprensibile in tempi in cui lasciare tracce scritte del proprio passaggio era difficile, i libri erano pochi, difficilmente reperibili e facilmente deperibili. Tutti noi ricordiamo il simbolico rogo della grande biblioteca dell’Abbazia, descritto da Umberto Eco ne Il nome della rosa. Certo, quello era un episodio di fantasia, ma mille eventi simili si sono realmente consumati, accidentalmente o per precisa volontà. E questo argomento è stato recentemente oggetto della più autorevole delle trattazioni dalle pagine della nostra Rivista (Antonio Binni, Sui roghi dei libri, Officinae giugno-settembre 2011, 46-51). Nel passato, dunque, si dava massima importanza alla memoria scritta. Ma si faceva anche di tutto per mantenere viva ed efficiente la memoria biologica, almeno entro i ristretti limiti delle possibilità che madre natura ci concede. Per questo l’antichità coltivava con grande attenzione la mnemotecnica: la venerabile arte di conservare e preservare la memoria, arte che annovera molti illustri maestri tra cui Cicerone, Pico della Mirandola, Marsilio Ficino, Giordano Bruno. L’arrivo della stampa su grande tiratura e, successivamente dei registratori e infine dei computer ha cambiato molte cose. L’immensa massa di materiale testuale oggi facilmente accessibile grazie a Internet ha creato un nuovo ed opposto fenomeno: l’eccesso di memoria culturale. Secondo uno studio del 2011, in un giorno medio siamo raggiunti da una massa di informazioni equivalente a 175 giornali, con un incremento di cinque volte rispetto al 1986. È ragionevole pensare che, a distanza di quattro anni, le informazioni che riceviamo oggi siano anche di più. Un cittadino medio guarda cinque ore al giorno di televisione e, per ogni ora di video su YouTube che guardiamo, ne vengono postate altre 5999. Non è più necessario aprire un libro o un giornale, accendere la radio o la televisione: attraverso i cellulari e i tablet siamo quotidianamente inseguiti da migliaia di notizie che ormai ci raggiungo-

Rif lessioni

no dappertutto. La nostra mente, consapevolmente o meno, è costretta a un continuo e incessante lavoro di immagazzinamento di dati. Il problema non era sfuggito a un’intelligenza acuta come quella di Nietzsche che, con largo anticipo sui tempi, così iniziava la sua Seconda considerazione inattuale: “Immaginate l’esempio estremo, un uomo che non possedesse punto la forza di dimenticare, che fosse condannato a vedere dappertutto un divenire: un uomo simile non crederebbe più al suo stesso essere, non crederebbe più a sé, vedrebbe scorrere l’una dall’altra tutte le cose in punti mossi e si perderebbe in questo fiume del divenire… Per ogni agire ci vuole oblio come per la vita di ogni essere organico ci vuole non soltanto luce, ma anche oscurità”. Noi oggi, figli della civiltà del computer, pretendiamo che le nostre menti registrino e gestiscano immense masse di dati, al pari dei computer stessi. Ma non ci accontentiamo. E, dato che gli elaboratori elettronici possiedono quella preziosa funzione definita multitasking, cioè la capacità di eseguire più programmi contemporaneamente, pretendiamo la stessa cosa dal nostro cervello. Così, con-

temporaneamente, scambiamo SMS e messaggi su WhatsApp, rispondiamo alle mail e alle telefonate. E magari, nel frattempo, guidiamo l’auto, o svolgiamo il nostro lavoro. Ma, a parte i prevedibili disastri automobilistici, o le denunce per errori professionali che rischiamo con questo scellerato stile di vita, ormai molti studi scientifici hanno chiaramente provato che l’eccesso di lavoro mentale raggiunge un punto in cui i rendimenti decrescono inevitabilmente. Insomma, come Nietzsche già aveva previsto, l’eccesso di memoria può impedirci il ragionamento stesso. Del resto, già Platone considerava l’oblio il presupposto indispensabile per ogni rinascita. Nel mito di Er ci racconta che le anime, dopo aver liberamente scelto il paradigma della loro vita, si recano sulle sponde del Lete e ne bevono l’acqua, che cancella ogni ricordo della vita precedente. Poi si addormentano, finché, a mezzanotte, un terremoto li proietta nell’avventura della loro nuova esistenza. Per i Greci e i Romani infatti il Lete è il fiume dell’oblio. Ma non solo: Lete è anche il nome di una divinità, uguale e opposta alla sua sorella gemella: Mnemosyne, la dea della memoria. E non è a caso che queste due figure 107


Pensieri

antitetiche ci siano presentate da Esiodo, nella Teogonia, come inseparabili e complementari. L’oblio ci è indispensabile per vivere. Per difenderci dall’eccesso di informazioni, per concedere alla nostra mente quel riposo indispensabile a rigenerarla. E poi, l’oblio delle nostre tristezze e delle nostre sconfitte ci porta sollievo, ma rappresenta anche il presupposto indispensabile per ricominciare da capo. Per rinascere a una nuova vita. Memoria e oblio, Mnemosyne e Lete sono una inscindibile coppia di opposti a cui, come ricordava Harald Weinrich in un libro dal titolo evocativo Lete, edito da Il Mulino nel 1999, dobbiamo riservare un “moderato politeismo” che sappia offrire sacrifici ad entrambe le divinità. Spesso la scienza conferma le intuizioni dei grandi pensatori dell’antichità. E così è di recente accaduto anche per questo argomento. Si è infatti scoperto che il nostro cervello ha due distinte modalità di attenzione: la prima è attiva quando siamo impegnati in un determinato compito e non possiamo distrarci. Gli scienziati lo considerano il sistema esecutivo centrale del nostro cervello. È la Task-positive network, o TPN. L’altra è invece attiva quando lasciamo vagare liberi i nostri pensieri, quando sogniamo a occhi aperti, quando cioè ci dimentichiamo, almeno per un po’, di tutto quello che affolla in genere la nostra mente. È la Task-negative network, o TNN. Il termine network allude al fatto che si tratta di 108

vere e proprie reti costituite da neuroni, distribuite come circuiti elettrici nel nostro cervello. Le caratteristiche di questa rete neurale sono state illustrate al grande pubblico in un recente articolo sul “New York Times” da Daniel J. Levittin, un neuroscienziato che, insieme al collega Vinod Menon, ha studiato questo sistema. Questo meccanismo duale presente nel nostro cervello è un sofisticato frutto dell’evoluzione della mente umana, e ci consente di proteggerci dai rischi rappresentati dall’eccesso di attenzione e di informazioni. Certo, se stiamo eseguendo un intervento chirurgico, se stiamo discutendo una difficile causa penale, se stiamo progettando un ponte, pilotando un aereo, o svolgiamo una delle mille attività che richiedono estrema concentrazione, non possiamo permetterci il lusso di distrarci, e dobbiamo impegnarci al massimo delle nostre possibilità per periodi di tempo anche lunghi. Ma poi il nostro cervello deve assolutamente andare in pausa. Se ciò non avverrà, il rovinoso collasso della nostra capacità di concentrazione sarà inevitabile. Se riusciremo a lasciare libera la nostra mente saremo poi freschi e riposati e in grado di tornare a impegnarci senza distrazione sui nostri difficili problemi quotidiani. Ed è proprio a questa delicata funzione che sono preposte le due reti: esse agiscono come due bambini sull’altalena: se una è accesa, l’altra è spenta. E l’alternanza tra TPN e TNN è alla base

del buon funzionamento della nostra intelligenza. Ma, come sempre, dove ci sono due bambini che giocano sull’altalena, c’è un adulto che li sorveglia, evitando che si facciano male, e che tiene giù una delle estremità mentre l’altra rimane in aria per il giusto tempo. L’adulto, in questo caso, è rappresentato da una piccola area di due o tre centimetri, collocata nella parte superiore del nostro cervello: l’insula. Fuor di metafora, l’insula ha una funzione di filtro: decide a cosa dobbiamo porre attenzione e cosa invece possiamo ignorare senza rischi. Probabilmente questo sistema si è evoluto nei millenni per metterci in allarme contro gli animali predatori, i nemici o mille altre insidie. Oggi ci protegge dal bombardamento mediatico di Facebook, Twitter, SMS, o dallo stress lavorativo. E non è meno prezioso per questo. La commutazione tra TPN e TNN però non deve avvenire troppo spesso. Un continuo accendere e spegnere questo interruttore genera stanchezza e stordimento. La mente deve poter sognare a occhi aperti per periodi di almeno trenta, cinquanta minuti consecutivi. Se questo avviene, sia la nostra efficienza che la nostra creatività, aumentano esponenzialmente. La modalità di pensiero TPN ha dunque un ruolo fondamentale nella costruzione del pensiero razionale. Ma non pensiate che il suo uguale-contrario, il TNN, abbia solo la funzione di permettere al nostro io razionale di riposarsi per il tempo necessario a ripristinare la sua efficienza. TNN è anche all’origine dei nostri momenti di maggiore creatività, quello in cui cioè gli artisti generano le grandi opere d’arte. È questa anche la modalità di pensiero che connette fra loro le idee apparen-


Rif lessioni

temente più diverse, permettendo agli scienziati di risolvere problemi che fino a un momento prima sembravano irrisolvibili. Sono i momenti in cui la soluzione ai problemi sembra provenire dal nulla. La nostra mente è un affascinante esempio di struttura duale costituita da coppie di elementi apparentemente opposti: l’io razionale e l’io intuitivo, l’emisfero logico e l’emisfero creativo, la rete neurale preposta alla concentrazione e quella preposta al sogno a occhi aperti. La scienza oggi suggerisce che, quando una coppia di opposti lavora integrandosi armonicamente, si generano risultati che appaiono quasi prodigiosi. Abbiamo in altre occasioni parlato della mente apollinea e di quella dionisiaca e delle funzioni dei due emisferi cerebrali. Oggi, lo studio dei sistemi TPN e TNN sembrano aggiungere un ulteriore tassello a questo mosaico: Mnemosyne e Lete. Gli studi dei neuroscienziati hanno dimostrato che, per far lavorare al meglio i sistemi TPN e TNN, è importante suddividere bene la giornata, prevedendo piccole pause, momenti in cui la mente possa

vagare liberamente e attivare la sua modalità di riposo. Assolutamente vietato, in questi momenti, smistare le mail. Meglio ancora: spegnete il cellulare. Ma vi sono certamente luoghi o situazioni che favoriscono in modo particolare il cambio della guardia tra TPN e TNN, tra Mnemosyne e Lete, come ascoltare musica, passeggiare nella natura, entrare in un luogo sacro come una chiesa o un tempio. Si tratta di situazioni in cui è possibile, almeno per un momento, isolarsi dalle nostre stressanti occupazioni quotidiane. Ma adesso proviamo ad analizzare alla luce di quanto abbiamo appreso dalla ricerca scientifica un’esperienza che molti lettori della nostra Rivista conoscono assai bene: è appena terminata una giornata di lavoro molto faticosa e la stanchezza pesa, ma abbiamo un ultimo impegno a cui non possiamo mancare. Così raccogliamo le nostre residue energie, ci lasciamo alle spalle i nostri mille pensieri, spegniamo finalmente il cellulare. Entriamo nello spazio sacro del Tempio. Il nostro sistema limbico percepisce il cambio di situazione. E non dimenti-

chiamoci che il limbo è anche la sede di connessone tra la mente razionale e quella emotiva, così verrà attivato dagli stimoli emozionali di cui l’ambiente, così intriso di elementi simbolici, è ricco. Il segnale limbico è partito: il TPN si spegne e si attiva il TNN. La nostra mente può finalmente vagare libera, attivare connessioni nuove, svegliare la sua parte creativa. E riposarsi. Insomma, le neuroscienze ci hanno aiutato a capire perché, dopo quelle due ore circa a fine giornata, si esca sereni, riposati e ricaricati, pronti a ributtarci nella mischia il giorno successivo. Ovviamente ciascuno di noi è libero di credere nei poteri magici di quel rettangolo sacro, dei suoi simboli e dei suoi riti, piuttosto che dei meravigliosi poteri della nostra mente studiati dalla ricerca. Un fatto è certo: una Tornata, se ben vissuta, può essere un prezioso aiuto anche per la salute della nostra mente.

P.106 e 107: Diagrammi mnemotecnici; p.108/109: Pagine manoscritte da Bartolomeo di Mantova, Liber memoriae artificialis.

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Mademoiselle Connaissance Riflessioni e divagazioni su “La Traviata� Veronica Mesisca

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ev Nikolàevič Tolstoj sosteneva che la differenza tra le persone risiede solo nel loro avere maggiore o minore accesso alla conoscenza. Essa, per colui che la possiede, è un potere, un privilegio, ma anche una necessità, una tensione inevitabile, spesso definibile tentazione … come la donna, non quanto specifico essere umano, ma come espressione generica del femminile. La donna, Conoscenza con vesti di celestiale Angelo e oscuro Demone, si manifesta duale quanto la luce che, nel suo aspetto ondulatorio, si lascia esplorare dal senso visivo umano apparendo bianca o nera, a seconda che si conceda nel suo complesso o che si neghi totalmente. Lei, Elena nei poemi, per timore o per venerazione è comunque innocente causa di guerre, roghi, bombe, mortai e quant’altro mezzo di sterminio di simboli incarnati in libri, immagini, persone, abiti, edifici, … resi tutti ugualmente vittime del Minotauro che, incapace di gestire la forza attrattivo-repulsiva che inevitabilmente prova per Essa, veste l’abito acromatico del boia. Uomini portatori di morte nera di kalashnikov o bianca di castità, kamikaze e catari infatti, ugualmente rifiutano Mademoiselle Connaissance con il Progresso di lei frutto. Donna, prostituta, tensione inevitabile, tentazione e, in quanto tale, simbolo di vita, dalla notte dei tempi Essa è necessariamente dai saggi discussa, raccontata e tramandata, per far sì che la sua Fenice possa rigenerarsi sempre pura dopo ogni inevitabile rogo appiccato per mano dei non-saggi da cui inevitabilmente è condannata a essere deturpata o idolatrata, comunque violata. Nella nostra comune tradizione la possiamo cercare e ritrovare in Giovanna d’Arco o Maria Maddalena, ma, senza scomodare troppo grandi figure, essa è stata ben rappresentata, in letteratura così come a teatro, anche da colei che, unendo la comune cultura ottocentesca italofrancese, prende forma in Mademoiselle Marguerite di Dumas, tramutata oltralpe nella di Verdi Violetta Valery. Colui che si imbatte in codesta figura “da quel dì tremante” vive “di ignoto amor” nell’Opera Lirica o, come traduce in chiave moderna Primo Levi: “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”,

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pur nella consapevolezza di aspirare all’ignoto, a quel che è “l’anima/ dell’universo intero,/ misterioso, altero,/croce e delizia al cor”, tornando a Verdi. Prostituta, ma d’alto bordo. Donna detta di mondo o d’esperienza, ergo universalmente riconosciuta donna di conoscenza, viene nell’opera italiana malamente apostrofata con il termine Traviata, sebbene né Verdi né Dumas avessero certo intento di degradarla; anzi il loro lavoro era tributo rispettoso, ben lungi dall’er-

gerla a santa, come dal ridurla a schiava … raccontarla in verità, senza giudizio, come ri-velatori in altra chiave di un simbolo ritrovato perché poi, come diceva Einstein, “nulla è buono o cattivo, a renderlo tale è [solo] il pensiero”. I grandi uomini di Scienza – di qualsiasi Scienza – sanno il potere che Essa dà all’individuo nella Società in cui vive … senza scomodare verità religiose da Marx in poi troppo facile bersaglio, basti pensare a quanto un’assunta verità della ri111


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conosciuta scienza naturale dia potere ai depositari di questo nuovo sapere, al punto da innescare rivoluzioni sociali di pensiero ad ampio spettro: dal meccanicismo, passando per l’evoluzionismo, fino al relativismo e oltre con la moderna indeterminazione … eppure rari sono coloro che umilmente si sono accostati con studio approfondito a tali scienze. Quanti hanno voluto conoscere numeri, formule statistiche e fisico-matematiche che celavano il nuovo scibile? E in quanti invece si sono accontentati di ricamare su frasi fatte per il volgo come “tutto è relativo” o “niente è definibile”... per non dire su un nome, fosse anche “particella di Dio”? In quanti hanno conoscenza del fatto che la relatività cela in grembo un assoluto? In quanti hanno preso coscien112

za del fatto che il teorema di indecidibilità di Gödel è, per sua natura, applicabile a se stesso? O più semplicemente, in quanti sanno che il fisico teorico padre della particella divina (Peter Higgs) non l’avrebbe mai definita in tal modo? Élite scientifiche, che occultano le loro scoperte in un simbolismo non meno ostico di quello usato da antiche élite e tradizioni religioso-filosofiche o alchemico-esoteriche … élite di uomini che hanno posseduto quella conoscenza, quella Traviata che si era data loro come si sarebbe potuta concedere a qualunque uomo di buona volontà che si fosse procurato i mezzi necessari per l’epoca e l’ambiente socio-culturale in cui si trovava. Gli altri, i non-iniziati, rimangono

da sempre estranei ammiratori o contestatori di una Conoscenza che inevitabilmente traviano: sia che idealizzino, cantino o sublimino; sia che sfregino, insultino o attentino. Prostituta non per obbligo, o per schiavitù, o per costume. Prostituta per libertà, e per scelta, e per diritto, e per natura, e forse anche per necessità, comunque sia venduta per esercizio della Volontà. Mademoiselle Connaissance (Violetta Valéry), come afferma Dumas, “non poteva essere stata fatta che poco alla volta e non era stato un solo amore a completarla” poiché servono uomini, tanti, per costruire il suo Tempio … sia coloro che nel cielo stellato vedono un infinito irraggiungibile come numeri irrazionali e cantano la sventura umana in un viaggio in-completabile, sia coloro che con occhi tesi al firmamento prevedono una fine iniziale chiusa su se stessa come nastri di Möbius e sognano il ritorno a casa. Ma non tutti gli uomini sono suoi uomini, sono uomini di conoscenza. Inevitabilmente tutti la amano, “schiav[i] ciascun di sua bellezza”, ma Violetta, seppur comprabile, non si vende a chicchessia per una tensione propria di ogni essere umano. Lei, che – richiamando il Dio Helios – ogni singolo giorno percorre gli Champs-Elysées celandosi sobriamente su un coupé azzurro trainato da due valorosi cavalli, lei come divinità che sorride segretamente solo ai suoi Iniziati, lei si priva dei suoi veli solo a caro prezzo … ma quale prezzo ha la Conoscenza? Seppur di fatto prostituta, lei è per Verdi “franca e ingenua” e invita l’Alfredo che bussa al suo Tempio a fuggire poiché, come essa stessa afferma, “solo amistade io v’offro”. Un invito a tornare sui propri passi che viene ritualmente tramandato anche dalla Libera Muratoria nelle massime che ornano il gabinetto del profano, anche se, di fatto, il fondamentalismo verbale della lirica mostra che si poteva essere più brevi! Eppure, nonostante i moniti, l’uomo “eroico” non desiste ed entra nella Casa della Conoscenza mai facilmente o gratuitamente, ma conseguendone l’accesso moralmente e laboriosamente, proprio come Alfredo di Dumas, privo di denaro, conquista Violetta attraverso “interesse e perseveranza”2. L’uomo a Mademoiselle Connaissance deve offrire tutti i suoi giorni e le sue notti, lavorando sotto


Rif lessioni

il Sole e la Luna, con la promessa di non tramutarla mai per suo diletto o per profitto, ma di preservarla nella sua Libertà, nella sua disponibilità. Ecco come si può comprare la Conoscenza, con tutto questo che nel suo complesso Dumas definisce magistralmente “Devozione”. Devozione, non Amore che in quanto assoluto non ammette il moto del divenire necessario alla Conoscenza. Devozione, non idolatria o ingiuria di un’icona non compresa (da cum-prehendere), ovvero presa con sé, ma usata per sé. Devozione nel suo essere etimologico di voto umano volto e rivolto alla Divinità di Luce in perenne viaggio tra Oriente e Occidente. Sguardo fisso sul mobile. Seguendo una tradizione che esige la tragedia, all’Opera Valery, tossendo sangue, morirà soffocata per un male della cui causa è l’uomo incapace di reale devozione … e, poiché il palcoscenico altro non è che specchio concavo del quotidiano, in nome dell’uguaglianza, o dell’amore, o dell’odio, o della fede, o della morale, o di chissà cos’altro, la platea continuerà a lapidare adultere, a bruciare libri, a spogliare i muri di Croci, Khamsa, Tao, Menorah, Calumet, Mandala, Ankh … forse, in un’epoca in cui la conoscenza volgarmente riconosciuta è ormai solo quel-

la della scienza matematica, qualcuno un giorno proporrà di togliere anche lo Zero algebrico poiché colpevole anch’esso di essere simbolo occultamente nascosto nei numeri … simbolo appunto di quel nulla che non vale niente come una prostituta, ma che rende possibile l’elevazione di tutte le nove cifre. _____________ Bibliografia: Avanzi popolo. Lev N. Tolstoj. Ed. Nuovi Equi-

libri, 2002. La Traviata. Testi di F. M. Piave, musiche di G. Verdi. www.librettidopera.it. La signora delle Camelie. A. Dumas. www.culturaesvago.com. Se questo è un uomo. P. Levi. Ed. Einaudi, Saggi n. 232, Torino, 1958. Pensieri di un uomo curioso. A. Einstein. Ed. Oscar Mondadori, 2003. P.110: Maria Callas ne La Traviata; p.111: Foto di Giuseppe Verdi; p.112: Manifesto dell’Opera; p.113: A sinistra A.Dumas e a destra Cora Pearl nei panni de La Traviata.

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Victor Horta, maestro dell’Art Nouveau Les Amis Philanthropes, la Loggia come spazio della creatività condivisa Jean Marc Schivo

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a storia di quest’uomo visionario, capace di rifiutare ogni forma d’insegnamento accademico sebbene cresciuto in una società classicista, attento osservatore del comportamento umano e della natura come fonte d’inspirazione, è anche la storia di una loggia “Les Amis Philanthropes” in cui ogni Fratello poteva trovare l’aiuto per apprendere nuovamente a osservare e realizzare in ambito societario un nuovo messaggio universale, segno di condivisione forte e rivoluzionario. “Bisognerà una volta, e probabilmente in un prossimo futuro, renderci conto di quel che manca soprattutto alle nostre grandi città: luoghi tranquilli e ampi, ampiamente estesi per una meditazione, luoghi con lunghi loggiati, estremamente spaziosi per il tempo cattivo o troppo assolato, nei quali non penetra il frastuono dei veicoli e degli imbonitori, e in cui un più squisito rispetto delle convenienze vieterebbe anche al prete di pregare a alta voce: fabbricati e pubblici giardini che esprimerebbero nel loro insieme la sublimità del meditare e del solitario andare” (F. Nietzsche). Questa frase inserita in una visione utopica potrebbe sembrare, così come molte altre, completamente astratta e slegata da ogni possibile concreta applicazione, ma il futuro sembra spesso contraddire ogni dubbio. Nietzsche, attento osservatore di questa necessità urbana, concretizzata dai giardini massonici in Europa nel XIX secolo, prova a fornire le basi di una connessione temporale che alcuni architetti di questo periodo di innovazioni sapranno reinterpretare, adeguare e integrare (vd. Officinae 2-3-4/2014 I Giardini massonici). Una concezione della natura non più circoscritta ai parchi e ai grandi assi urbani, ma che diventa nuovo elemento linguistico, architettonico, decorativo. A questa nuova “arte tocca il compito di reinventare per i lavoratori un ideale di vita pieno e ragionevole, in cui il godimento e la creazione della bellezza siano considerati necessari come il pane quotidiano”. William Morris, principale artefice del movimento “Arts and Crafts” (1860), mira a recuperare la qualità della vita contro la mercificazione quantitativa. Nella sua concezione l’architettura deve poter abbracciare l’intero ambiente di vita perché rappresenta l’insieme delle

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modificazioni e delle trasformazioni di tutta la natura in funzione delle necessità umane. Profetiche anticipazioni di una maniera di immaginare uno sviluppo sostenibile applicato a ogni forma di espressione umana. Nel periodo che intercorre tra l’Expo Universale di Londra nel 1852 con il progetto del Crystal Palace di Joseph Paxton, incredibile esempio di prefabbricazione, e quella di Parigi del 1889, caratterizzata dall’espressione tecnologica di Gustave Eiffel, il pragmatismo del messaggio dell’Arts and Crafts stimola l’Europa pur non riuscendo peraltro a liberarla completamente da visioni classicistiche. L’Art nouveau si inserisce in questo vorticoso periodo di rinnovamento ingegneristico, industriale e culturale e si presenta come un’arte nuova, uno stile completo in tutte le sue applicazioni di cui Victor Horta diventa il maggior artefice. Certamente e non il solo in questa nuova visione di rifondazione dei valori societari; altri nomi illustri lo affiancheranno, da Charles Rennie Mackintosh, interprete dell’Art nouveau nell’isolata cultura scozzese, a Hector Guimard in Francia, famoso per le stazioni della metropolitana parigina, a Antoni Gaudì, fondatore del Modernismo catalano, al belga Henry Van de Velde e infine a Otto Wagner, padre della Secessione viennese assieme a Joseph Maria Olbrich. La ricerca di Horta diventa la risposta a molti quesiti: può un giardino o un bosco, con la ricchez-

za delle sue diversificate essenze e le sue fioriture infinite, con i suoi movimenti e le sue trasformazioni dettati dal vento e dalle intemperie, con la sua crescita verso la luce e il suo assecondare le stagioni per dare origine a profili di paesaggi sempre nuovi, diventare un patrimonio condivisibile oltre i suoi propri confini? Può la natura interpretare il gioco sapiente delle strutture trasformando l’ingegne115


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ria in linguaggio ricco di connessioni dinamiche e delimitare gli spazi con i suoi molteplici colori, trasformando gli oggetti in essi contenuti in particolari magici di un bosco universale a cui rivolgere attenzione e di cui godere il messaggio? Può trasformare le nostre abitazioni reinventandole sia dal punto di vista spaziale che artistico? Può lo spazio influenzare il pensiero, guidare l’uomo a ritrovare nei simboli talvolta raffigurati sulle pareti che lo racchiudono nuove strade per il suo animo? Horta risponde a questi interrogativi, trasforma i banali limiti delle abitazioni in incalzanti messaggi naturalistici, in un “Tempio” del movimento dove le arti liberali, a prima vista velatamente nascoste, si prestano a essere riscoperte come unico strumento di dialogo universale. In tutti i suoi progetti la lezione del “Tempio” riemerge come metodo di rivelazione, i simboli diventano struttura, geo116

metria, colore, luce, musica, linguaggio, scrittura, medicina misteriosa per curare ogni male. Come un “Maestro Perfetto” analizza l’intelligenza umana e le sue molteplici implicazioni sia sul piano materiale che immateriale per sviluppare spazi innovativi a favore di dialogo, socialità e riflessione. La capacità di osservare, una caratteristica che lo accompagna fin dall’infanzia, diventa strumento di apprendimento e difesa. Costretto in un ambito educativo rigoroso che prevedeva per lui un futuro nel settore amministrativo dell’industria tessile, non raggiunge gli obiettivi che la famiglia si era prefissa. Il senso della ricerca, supportato dall’uso del colore e della carta e il disegno sono gli strumenti che gli garantiscono in ogni momento una via di fuga verso la libertà. Indisciplinato, perfino espulso dalla scuola per disinteresse verso lo studio, troverà finalmente nell’Accademia di Belle Arti

nuove speranze, amici e futuri collaboratori. La fuga a Parigi a 18 anni lo rende cosciente dei limiti dell’insegnamento accademico e, da autodidatta, della necessità di una ricerca all’insegna del non finito. La Parigi dei grandi cantieri saprà accoglierlo e rafforzarlo nelle sue convinzioni: ”Aucune école n’aurait pus m’enseigner mieux que l’enthousiasme de l’architecture, que la vue, la lectures des monuments m’a donné et qui m’est resté pour toujours. En fait, je ne connaissais rien ... Paris ne m’avait apprit que l’enthousiasme de l’art et, plus encore, l’énorme désir du savoir qu’il aurait fallu acquérir pour arriver à se rapprocher des grands monuments qui m’avaient attiré comme la lumière attire les papillons”. Come sempre il concetto di dualismo o di contrapposizione lo caratterizza. La difficoltà di applicare questi principi innovativi a una realtà ancorata a valori classicisti e accademici è connaturata a tutte le avventure di chi é portatore di innovazione. La società belga di quel periodo immaginava la propria architettura come espressione di un neostile rinascimentale o Luigi XV. I politici di quel periodo decretano che lo stile rinascimentale fiammingo è intramontabile tanto che all’esposizione delle Belle Arti di Bruxelles nel 1897 Lucien Solvay afferma “L’art flamand triomphe et ne saurait mourir”; rafforzando uno sbarramento culturale che escluderà da questo evento oltre novecento dipinti di altrettanti artisti ritenuti non in linea con lo stile classicista. In aperta contrapposizione la rivista “Art et Décoration” elogia in maniera chiara le idee di Horta che iniziano a farsi strada con le sue prime opere. Questa guerra tra conservatori e progressisti non resta circoscritta a Bruxelles o al Belgio. In Francia è lotta politica tra conservatori e innovatori, tra cattolici e socialisti, tra credenti e laici, tra le teorie di Haussmann e quelle dirompenti di Eiffel. Proporre innovazione diventa di fatto un atto di fede e di impegno sociale importante. Horta non ha dubbi, il suo impegno sarà l’innovazione, il colore dominante nella sua architettura sarà il rosso come nella sua futura “Maison du Peuple”, con il suo soffitto vetrato e il colore che nelle notti di Bruxelles saprà illuminarne caldamente l’intorno. È il rosso del sangue del popolo versato dalla nuova società industriale, un popolo


privo di spazi personali che Horta vuole trasformare attraverso natura, aria e luce. Ancora viaggiatore, ma sempre solitario e isolato, convinto della necessità di cambiare l’architettura a favore della società per garantire a ogni individuo una visione differente e più rassicurante degli spazi, Horta cerca un nuovo mondo a cui far riferimento, con cui condividere le sue idee progressiste e con cui affinare le sue idee. L’incontro con Godefroid Devreese scultore porterà Horta a comprendere il senso della condivisione delle idee. È lui a offrirgli una strada nuova proponendogli di unirsi ai membri della RL “Les Amis Philanthropes” appartenente al Grand Orient de Belgique (vd. foto a pag. di fronte, in alto). Horta accetta e viene ammesso la notte del 31 dicembre 1888 (versa 200 Fr per le capitazioni e l’iniziazione, l’intero stipendio di un mese di lavoro). Questa loggia, creata nel 1798, si è sempre distinta negli anni per il suo impegno politico, per la sua capacità di analizzare e approfondire tematiche importanti della società e per sostenerne molte iniziative. Il suo simbolo, l’elefante, ne simboleggia la saggezza. A partire dal 1820 introduce nell’ambito delle tornate il concetto di conferenze allargate. Molti i temi affrontati fra cui: laicità, ingegneria, elettricità, astronomia ecc. Luogo d’incontro della società pensante la loggia diventa promotrice di molte iniziative sociali. Sarà infatti il nucleo ispiratore della nuova “Université Libre de Bruxelles” grazie ai fratelli Theodore Verhaegen e Auguste Baron, della prima Ecole Laique femminile, del partito liberale che raggrupperà le forze progressiste di tutto il paese, del suffragio universale, dell’assicurazione per gli operai sul lavoro e della creazione di logge femminili all’interno della Massoneria. Durante la Prima guerra mondiale il Tempio viene trasformato in ricovero d’urgenza e base per la distribuzione di alimenti alla popolazione bisognosa. Si tratta quindi di una Loggia il cui impegno sociale va ben oltre le sue mura concretizzandone gli insegnamenti nell’universalismo operativo che caratterizza il rinnovamento e le grandi riforme sociali del periodo. La Loggia conta tra i suoi adepti Henri La Fontaine (1854-1943), premio Nobel per la Pace nel 1913, Jules Bordet (1870-1914), premio Nobel

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per la medicina nel 1919 e Jules Anspach (1829-1879), giurista e borgomastro di Bruxelles (vd. foto in questa pagina). Horta resta profondamente colpito da questa coesione di idee e operatività in perfetta sintonia con la sua visione di società e architettura. Della Loggia fa parte il gruppo di Emile Tassel che riunisce uomini di scienza, professori universitari, attenti osservatori delle applicazioni delle nuove tecnologie e spiriti progressisti. Saranno loro a plasmare e sostenere le idee di Horta, a incoraggiarlo a realizzare e codificare una nuova architettura, funzionale, bella e capace di esaltare il progresso delle tecnologie nascenti. Nel nuovo Fratello vedono il potenziale creativo per sostenere il loro pensiero massonico, politico e sociale attraverso la realizzazione di una nuova architettura consacrata al benessere collettivo, caratterizzata da spazi finalmente privi di inganni di facciata, dove la luce e l’aria avrebbero finalmente avuto un ruolo prioritario nella realizzazione delle abitazioni dei quartieri operai. “La structure peut se voir, elle doit même s’afficher comme on rend visibles les arcanes de la pensée” (V. Horta) I Fratelli di loggia saranno per Horta il supporto fondamentale per la realizzazione di questa nuova architettura attraverso una sinergia di contributi e sostegni che daranno il via al messaggio dell’Art nouveau nel panorama urbano di Bruxelles. Horta mette a punto le

sue competenze in architettura, scultura e pittura e tutte le maestranze implicate nel processo di costruzione diverranno un soggetto unico, finalizzato a realizzare un’opera responsabile e condivisa, capace di rivelare tutti gli aspetti della natura e delle sue bellezze. È la loggia stessa che incarica l’architetto per un primo lavoro a Oudenbourg (1890). Sarà un monumento funebre come riconoscimento ideale a un uomo giusto e coraggioso, Désiré Lesaffre, un operaio libero pensatore che adottò un insegnamento laico per i suoi figli rifiutando l’imposizione cattolica e clericale allora in vigore. “Saper vedere, saper riorganizzare le forze, saper riunire”: Horta condivide questi insegnamenti che gli apriranno successivamente le porte della carriera universitaria. Anche qui la loggia, tramite Eugène Autrique, gli creerà i presupposti per sviluppare le sue idee e per infondere nei giovani i nuovi principi di condivisione dell’arte intesa come strumento di liberta e laicità. Nel 1892 ottiene l’incarico presso l’Université Libre de Bruxelles (UBL). In poco tempo i suoi insegnamenti attirano l’attenzione di tutti. Gli studenti nel loro giornale lo elogiano: “révolutionnaire ... qui tire des boulets rouges sur l’architecture présente et passée et qui construit des maisons extraordinaires et pratiques à la fois et rationnelles en même temps ...” Horta diventa una delle personalità di spicco dell’università e il suo incontro con Ernest Hendrickx, 117


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anziano studente di Viollet le Duc, che sostiene apertamente le sue idee e i suoi metodi d’insegnamento, gli garantiranno la cattedra. Una morte improvvisa colpirà Hendrickx e sarà sempre la loggia a commissionare a Horta il monumento funebre (1893). Niente di particolarmente innovativo: due semplici messaggi, un busto bronzeo realizzato da un fratello di loggia e un basamento semplice e chiaro dove i simboli massonici sono messi in evidenza in elegante proporzione. Nessun dubbio, nessun equivoco. La loggia non è separata dal resto della sua vita. I fratelli sono i suoi consiglieri, coloro che sostengono la sua architettura, che lo spronano 118

quando gli attacchi del sistema classicista e della stampa deridono le sue idee innovative. E infine anche la sua architettura prende finalmente piede. Due fratelli di loggia, Eugène Autrique responsabile e capo dei lavori topografici dell’Université Libre de Bruxelles (UBL), e successivamente Emile Tassel lo incaricheranno di realizzare le loro abitazioni. L’Art Nouveau inizia il percorso. Prima rottura: la facciata Eugene Autrique gli affida il suo primo lavoro, la sua abitazione in uno spazio stretto e lungo al 266 della Chaussée de Haecht (vd. foto in questa pagina). Horta inizia il suo nuovo percorso e senza timore si confronta immediatamen-

te con un sistema classicista del costruire rinnegandolo apertamente a favore di uno spazio distributivo interno basato sulla funzionalità e sulla comunicazione. La facciata lascia intuire all’esterno una non consueta organizzazione degli spazi retrostanti. Un’organizzazione asimmetrica esalta le bucature luminose della sua bianca materia che risaltano ancora di più in contrapposizione con la simmetria delle facciate degli edifici adiacenti. Il disallineamento tra piano terra e primo piano esalta questo messaggio e nel secondo livello con le bucature arretrate si intuiscono le decorazioni di uno spazio interno finemente modellato con richiami naturalistici. Secondo Horta la facciata deve far fluire la massima luce possibile all’interno. Il vetro quindi domina sulla materia così come, in maniera più blanda, la facciata si trasforma in linguaggio e segno per il passante illuminato. Le immagini iconografiche richiamano Horus e il Temple des Amis Philanthropes, di cui le colonne della simbologia egizia delimitavano lo spazio, mentre alla base, dove la luce penetra nell’interrato della casa, triangoli e linee curve simboleggiano Uroboros, simbolo massonico per eccellenza. All’interno gli spazi ricettivi, concatenati tra loro e aperti sul giardino interno, si allineano attorno alla scalea lignea mentre al primo piano sono collocate le altre funzioni. L’Hotel Tassel (1892-1893) seguirà questo primo esordio poco dopo (vd. le foto a pag. di fronte). Seconda rottura: lo spazio interno Emile Tassel, influente membro della loggia, gli affida il progetto per la residenza di famiglia, una nuova sfida su un lotto di 7 metri per 30 che obbliga il progettista a confrontarsi con la luce come strumento prioritario di gestione degli spazi interni data la grande profondità da gestire. Anche qui la rivoluzione si evidenzia già in facciata con l’ingresso centrale in opposizione a quelli laterali in uso in quel periodo. La materia laterale, incisa da solchi luminosi, scompare nella parte centrale lasciando spazio alla luce e a un aggettante bow-window elegantemente definito da strutture in ferro. La luce domina lasciando intuire dietro i filtri vetrati le differenziate funzioni di ogni piano dell’abitazione. L’interno sve-


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la così le inaspettate caratteristiche di una pianta libera con spazi fluidi e interconnessi per favorire luminosità anche nei punti più interni e centrali. Questo nuovo impianto spaziale viene esaltato dal legame armonioso che Horta ripropone nei materiali e nelle forme. Il suo mondo interiore prende vita attraverso elementi strutturali in ferro che sostengono come alberi i piani e gli spazi collegati tra loro mentre le sinuose decorazioni dei pavimenti prendono vita sia nelle scale sia tra modanature in legno e in ferro rese fluide e dinamiche dal sapiente immaginare dell’architetto (vd. foto a pag. seguente). Le scale diventano la guida, il percorso materico che guida l’uomo, finalmente libero, in tutto il suo spazio interno. Lo spazio va infatti oltre la sua semplice funzione per diventare emozione, riflessione, ricerca, così come le decorazioni alle pareti che esprimono una natura in pieno risveglio, dinamica, in continuo movimento, ricca dei colori dorati del suo bosco incantato che cela in ogni raffigurazione un significato occulto. E come quasi sempre avviene alla fine di un percorso i mondi paralleli si manifestano. È il caso del giardino d’inverno dove la luce che rivitalizza dall’alto tutto il linguaggio espressivo interno diventa anche tecnologia. Horta piega il rame, il ferro e fonde il vetro trasformandolo in supporto luminoso. L’elettricità diventa così arte. Nel movimento del vetro plasmato e multicolore

la luce si trasforma da fredda presenza in spettacolo da osservare, in disegno capace di integrarsi con l’immaginario naturale dell’architetto. Seguiranno molti altri incarichi come la Maison Frison (1894-1895 Bruxelles, 37 rue Lebeau), anche lui membro della stessa loggia e la Maison Winssinger (1894-1897 Saint-Gilles). Fra questi emerge l’hotel Solvay (18941898 Bruxelles, 224 rue Louise) (vd. foto piccola a pag. seguente), decretato dall’UNESCO nel 2000 patrimonio mondiale dell’umanità, non solo per la bellezza architettonica, ma anche per l’incredibile condensarsi di invenzioni creative. La famiglia Solvay, depositaria del brevetto della soda, affascinata dalla bellezza degli spazi di Horta, lo incarica di progettare la loro residenza assieme alle scuderie e una dependance. Finanziamenti illimitati e libertà totale caratterizzano questo

nuovo progetto il cui unico vincolo resta il fattore tempo. Dopo molti giorni di isolamento Horta esordisce con un programma innovativo che prevede un impianto funzionale per i sei livelli dell’abitazione tutti basati su una pianta libera con spazi modulabili e flessibili, massima aerazione naturale, luminosità diffusa e riscaldamento integrato. Anche in questo caso la facciata denuncia l’innovativo programma funzionale: i bow windows, generalmente posizionati al centro, qui sono raddoppiati e posti ai lati, i bianchi blocchi di pietra fanno da supporto alla leggerezza delle strutture in ferro che slanciano l’intera facciata. Il ferro e il vetro caratterizzano ancora una volta il linguaggio architettonico sottolineando l’effetto verticale contrastato solo dal balcone aggettante al primo piano. Sul lato sinistro l’ingresso, finemente decorato, è progettato anche 119


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per il passaggio dei cavalli verso le scuderie e il giardino interno. All’interno lo spazio diventa evento musicale, gestito da una partitura minuziosa che riafferma il concetto di come l’Art nouveau non sia solo uno stile, ma un’attenta composizione dell’arte del costruire e di gestire le maestranze in piena condivisione. Le pareti di tipo classico, con i loro spessori, cedono la loro linearità alle forme curvilinee, alla trasformabilità degli spazi contribuendo non solo a assecondare l’arte del disegno, ma a facilitare la circolazione dell’aria. L’aria e la luce, l’effimero e l’energia diventano gli strumenti per controllare e modellare la materia. Una grande invenzione per l’epoca che si contrappone al sistema delle chiusure funzionali degli ambienti. L’aria diventa così l’elemento principale di comunicazione della pianta li120

bera (vd. foto a pag. di fronte). Inoltre le forme curve e i materiali freddi, come il marmo, consentono di creare una circolazione dell’aria che viene raffrescata nei periodi estivi. Le scale diventano l’elemento tecnico bioclimatico per eccellenza, il polo centrale di tutto l’organismo, un grande vuoto distributore di energia che culmina con la serra illuminata dall’alto attraverso una splendida vetrata decorata, uno spazio da vivere regolatore dei flussi interni e del benessere dei suoi abitanti. A queste invenzioni si aggiungono quelle degli arredi: porte, vetrine, mobili integrati nell’architettura, che anticipa i principi Wrightiani dell’architettura organica, inseriti nel linguaggio delle forme naturali, che si prestano a suddividere gli spazi o a dilatarli. Una partitura che ci fa ritornare alla luce, al colore così ama-

to dall’architetto e qui applicato in una successione di tonalità studiate, selezionate e dipinte dallo architetto stesso. Anche le sete alle pareti, finemente trattate da Horta, diventano strumenti per assorbire i suoni e smorzare i rumori. La luce artificiale non resta esclusa da questo complesso insieme di messaggi e forme. Se nell’hotel Tassel la sperimentazione dà i primi frutti qui la notte diventa occasione per scoprire un mondo parallelo in una visione fiabesca dove ben 166 lampade contribuiscono a illuminare un solo piano. In questo spazio in cui la maestria di Horta si esprime a altissimi livelli non è difficile immaginare vento, terra, acqua e fuoco come gli elementi di base del ragionamento progettuale siano organizzati in un flusso continuo che accompagna i movimenti dei fruitori. Il Tempio, l’arte della riflessione e perfino le arti liberali esprimono qui il senso di una ricerca che diventa scoperta e rivelazione per chi sa osservare, come avveniva nelle cattedrali dove la parola e la scrittura ridiventavano patrimonio della materia che in sé possiede la capacità di rivelare e trasformare il cammino di ogni individuo. Terza rottura: la casa diventa strumento e supporto alla conoscenza e non più semplice volume edilizio La casa Solvay conclude una prima parentesi nell’attività dell’architetto che ora si rivolge al sociale per trasmettere i suoi insegnamenti alla collettività in modo da proporre una nuova dimensione dell’abitare caratterizzata da spazi più rassicuranti e luminosi. In questo susseguirsi di


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progetti è però necessario capire quanto le attività della loggia Les Amis Philanthropes abbiano influenzato la formazione del mondo di Horta. Il concetto di partecipazione e condivisione, una visione societaria di cui la loggia si fa garante da anni, è alla base della scoperta di un mondo esoterico e della natura a cui egli attinge che gli consente di realizzare visioni formali di un mondo nuovo e quasi irreale. Nel contempo la loggia vede in Horta un fratello capace di trasformare e di concretizzarne i suoi insegnamenti, maestro non solo nel saper osservare, ma anche nel saper riorganizzare le necessità umane e nel programmare spazi capaci di riunire. Proprio questo tema del riunire è rappresentato dall’opera probabilmente più significativa della sua carriera, la “Maison du Peuple”, un edificio multifunzionale, flessibile, espressione della volontà operaia e del partito Socialista dove far confluire idee, eventi, spettacoli, lavoro, ecc. in un unico spazio, un esempio concreto del Tempio della fratellanza responsabile e progressista (vd. fotografie a sinistra). “Ah! Nos ennemis disent que nous n’apportons que des Utopies et des rêves. Votre rêve, il est debout, avec toute la solidité de la pierre et du metal” (Jean Jaurès, 3 Aprile 1899). Così si esprimeva Jean Jaurès, socialista, fondatore del giornale l’“Humanité” e pacifista, all’inaugurazione di questo innovativo e articolato contenitore spaziale, espressione del rinnovamento e della tecnologia del ferro e del vetro. L’utopia della libertà, uguaglianza e fratellanza ha trovato per un breve periodo pieno vigore in questo spazio della realtà societaria condivisa nel cuore di Bruxelles. Pochi anni prima il 17 Aprile 1881 Louis Bertrand, operaio marmista, lancia un suo appello a tutta la popolazione operaia per creare “une boulangerie cooperative ouvrière”. La categoria dei panettieri risponde all’appello creando la prima cooperativa operaia del settore forte di 84 associati. Entro breve i membri diventeranno 2.000 sfornando a prezzi popolari 500.000 forme di pane all’anno fino a arrivare nel 1892 a 3.500.000 forme all’anno. L’iniziativa, a cui aderiscono nuove associazioni, necessita di nuovi spazi e di nuova visibilità che vengono reperiti nel centro di Bruxelles, in rue Stevens, dove


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il partito acquista un terreno. In questo scenario Horta, simpatizzante socialista, verrà indicato da molti fratelli come la persona ideale per sviluppare questo rivoluzionario edificio (vd. foto a pagina a fronte, in basso). “Construire un palais qui ne serait pas un palais, mais une maison où l’air et la lumière seraient le luxe si longtemps exclu des taudis ouvriers; une maison où serait la place de l’administration, des bureaux des coopératives, des réunions politiques, d’un café. Des salles de conférences pour élargir l’instruction et couronnant le tout une immense salle de réunion pour la politique et les congrès du Parti et aussi pour les distractions musicales et théâtrales des membres. Ah! Le beau programme, le rêve mettait, à l’instant même où il était conçu, le toit sur l’édifice” (V. Horta). Per Horta progettare questo spazio significa entrare nuovamente in un Gabinetto di riflessione e attingere ai suoi valori. Si isola per giorni mettendo a punto il suo programma. Passeranno altri nove mesi in cui produrrà 8.437,50 mq di disegni, una superficie quasi pari alla grande piazza di Bruxelles. Sarà il color rosso, afferma Horta, a definire le parti superiori dell’edificio cosi come anche i vetri che di notte, sovrastando gli altri edifici della città, illumineranno il cuore di Bruxelles. È uno spazio pensato per il popolo, capace di accogliere manifestazioni pubbliche e cortei e quindi pensato con spazi e ingressi adeguati, con negozi delle cooperative, una

vetrina importante per queste nuove iniziative non ancora molto conosciute dai cittadini, sale conferenze, aule scolastiche, spazi per le riunioni di partito, spazi culturali dove far musica, il grande salone delle feste capace di ospitare 1.500 persone sedute e 3.000 in piedi, uffici, una biblioteca, ristoranti e un ascensore che dall’interrato al tetto collega le oltre 40 sale che compongono questa città nella città. Una varietà di funzioni complesse che l’architetto riesce a distribuire funzionalmente grazie a prodezze strutturali in un lotto non di facile gestione a causa del suo dislivello. L’esperienza acquisita nei precedenti progetti riemerge in questa disarticolata e asimmetrica facciata dove tutte le funzioni interne vengono dichiarate nel gioco tecnologico e espressivo del ferro e del vetro. In questo incastro di funzioni interne il grande salone delle feste esprime tutta l’inventiva ingegneristica di Horta. Come per la Basilica Palladiana o tempio della Ragione di Vicenza del Palladio, dove la grande aula assembleare domina in altezza al piano superiore sconvolgendo ogni regola, anche qui Horta scombussola lo schema classicista che indica il piano stradale come ideale per organizzare gli eventi più importanti. Questo volume di 60 m di lunghezza per 16.50 m di larghezza viene proiettato e sospeso in alto diventando emergenza sul tetto e elemento dominante della città (vd. le foto qui sopra). Nel tempio della democrazia adattabile a più funzioni, interamente modellato

dal ferro, le strutture denunciano apertamente la loro identità, qui nulla è nascosto, diventano visibili gli sforzi degli uomini così come quelli delle strutture, la gioia, l’unione degli uomini così come quella dei materiali che collaborano in piena sinergia a sostenere ogni evento. Ma nulla è eterno. Nel 1962 il comitato di gestione decreta che l’edifico non è più funzionale. Lo spirito cooperativo non è più lo stesso, la parola chiave ora è “modernizzare”, si deve aumentare la redditività. La nuova economia impone l’altezza come soluzione a tutti i problemi quindi la Maison du Peuple verrà demolita a favore di una anonima torre per uffici alta 83 metri. A nulla servirono le firme di 700 architetti, in rappresentanza di 58 paesi, raccolte al II° Congresso Mondiale degli Architetti a Venezia, il 25-31 maggio del 1964, per impedire questa “barbarie”, come la definisce lo storico S. Gideon. Dopo la Maison du Peuple, l’Art Nouveau entra in una fase euforica e gli interventi si moltiplicano a dismisura in tutto il paese lasciando spazio spesso a gratuite sovrapposizioni e ridondanze che poco hanno a che fare con uno stile oramai non più innovativo. Per Horta questo periodo significa poter realizzare nuovi interventi come l’Hotel Van Eetvelde (1895-1899 Bruxelles, 123


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4 avenue Palmerston), l’Hotel Aubecq (1899-1903 Bruxelles, 520 avenue Louise) e la Maison Horta (1898-1901 SaintGilles, rue Americaine). Nel primo progetto il committente, un importante personaggio delegato dal Re per lo sviluppo delle attività commerciali in Africa, necessita di una casa con ampi spazi per ricevere. Forte delle esperienze passate Horta sperimenta una nuova facciata interamente ritmata da una elegante e esile struttura in ferro che incornicia una vetrata continua, dissolvendo completamente la materia e, come sempre, all’interno compie un’ulteriore rivoluzione frutto della sua continua ricerca. I volumi funzionali disposti a differenti livelli convergono in uno spazio che dialetticamente riprende gli equilibri degli antichi insegnamenti. Sotto una volta circolare, modellata da eleganti struttu124

re che sembrano dissolversi con la luce, contrappone un sistema ottagonale che circoscrive con equilibrio il luogo di d’incontro di tutta la casa (vd. foto qui sopra, a sinistra). Nell’Hotel Aubecq invece è la materia a dominare sul vetro. Come Borromini, Horta opta per una visione diagonale, non statica dell’edificio che moltiplica la scoperta di sempre nuovi particolari da angolazioni diverse. La facciata denuncia gli aspetti interni in cui l’architetto abbandona le convenzioni costruendo spazi esagonali e ottagonali, all’insegna dell’armonia naturale e dell’equilibrio dei cicli universali. La sala da pranzo e gli altri ambienti assumono così nuove potenziali dimensioni che vanno oltre le pareti domestiche. È in questa vorticosa fase creativa che si inserisce la casa dell’architetto (vd. foto qui sopra, a destra), uno spazio duplice,

abitazione e studio, dove applicare il suo linguaggio e sperimentare le sue invenzioni. A una rigorosa facciata dello studio, le cui ampie vetrate garantiscono il fluire continuo della luce negli spazi per i collaboratori a piano terra e nel suo studio al secondo piano, si contrappone un’apparentemente più modesta facciata per l’abitazione personale, un filtro che nasconde un raffinato mondo interno ricco di invenzioni, come i termosifoni posti nelle scale (vd. foto pag. a fronte) e strutturati come colonne, la particolare sequenza di spazi collegati tra loro, l’uso del marmo e del legno accompagnato da strutture in ferro elegantemente e proporzionalmente dimensionate. L’Hotel Tassel, l’Hotel Solvay, l’Hotel Van Eetvelde e la Maison Horta, quasi fossero prototipi sperimentali, in contrapposizione alla tragica fine della Maison du Peuple, avranno il privilegio di essere inseriti nel patrimonio mondiale dell’umanità dell’UNESCO nel 2000. La genialità di Horta non sempre raccolse da parte dei suoi colleghi e della critica nazionale i consensi e gli apprezzamenti sperati. Sarà invece la partecipazione alle grandi esposizioni internazionali a favorire parte di questo meritato riconoscimento. In primis il Padiglione della maternità, realizzato per l’Esposizione Universale di Parigi nel 1900 per il gruppo Sainte-Anne specializzato in incubatrici per prematuri, un piccolo intervento dove il tema diventa oggetto di un’architettura dimensionata differentemente, quasi una casa delle bambole, un incrocio tra il


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mondo della fantasia e quello del volontariato. Per l’esposizione delle Arti Decorative di Torino nel 1902 saranno i suoi mobili e i suoi oggetti di design a prendere il posto dell’architettura, oggetti unici, mobili di differente natura, vetrate, lampadari, ecc.

che oltre all’attenzione del grande pubblico gli consentiranno di ricevere il diploma d’onore e essere successivamente insignito dell’ordine della “Corona d’Italia”. Seguiranno il Padiglione Solvay all’Esposizione Universale di Liegi nel 1905 e nuovamente a Milano nel 1906 per l’E-

sposizione Internazionale dove realizzerà il portale d’ingresso del padiglione belga che gli valse unanimi e trionfali consensi. Questi gli elementi che anticipano la terza fase di Horta durante la quale si rivolge maggiormente verso il sociale e le opere pubbliche. “L’Innovation” de la Rue Neu125


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ve (1901-1903) (vd. foto qui sopra) rappresentano, sulla scia della Maison du Peuple, l’evoluzione in termini commerciali di uno spazio urbano multifunzionale. Sollecitato da Julien Bernheim, l’architetto raccoglie la sfida: una cattedrale di vetro aggettante su una strada commerciale, questo l’effetto voluto da Horta, un diaframma completamente vetrato per invogliare l’ingresso e far poi scoprire nel grande vuoto centrale e nei ballatoi un vorticoso fluire di merce di ogni tipo. Ferro e acciaio, i materiali della trasformazione, capace di sostenere la grande volta di 19,50 m che illumina zenitalmente tutto lo spazio interno e le 5 gallerie laterali. Accanto a molti aspetti innovativi Horta sottolinea però la mancanza di elementi per garantire la sicurezza e la fuga in questo genere di edifici seguendo una riflessione sui si126

stemi di sicurezza già presenti in Germania e da lui attentamente analizzati allorché fu interpellato per la costruzione del Grand Bazar a Francoforte. Una premonizione? Il 22 maggio 1967 le sirene scuotono la città. L’Innovation brucia decretando la fine per oltre 300 persone intrappolate all’interno senza possibilità di fuga. Seguiranno altre commesse nello stesso settore, L’Innovation d’Ixelles (1903-1905), Le Grand Bazar (1903-1905, Bruxelles) e quello di Francoforte (1903-1905). Qui all’opposto de L’Innovation la materia torna a diventare elemento espressivo delle facciate così come avverrà per i Magasins Waucquez (1903-1906) dove, a parte la luce che inonderà gli spazi centrali dall’alto, l’intero edifico esprimerà il senso di solidità, simbolo della ricchezza e stabilità finanziaria che il Gruppo vole-

va comunicare con la ricchezza dei materiali e il suo rigore. Infine l’Innovation di Anversa (1909-1910). Dopo questa parentesi i suoi interessi si rivolgono verso nuove opere: Il Museo delle Belle Arti di Tournai (1904-1928), l’ospedale Brugman a Laeken (1906-1923), la nuova stazione centrale di Bruxelles (1937-1952) assieme a altri progetti urbanistici che caratterizzano il suo ultimo percorso progettuale che solo la guerra interromperà momentaneamente. L’Art Nouveau si va progressivamente trasformando in altri linguaggi architettonici e il razionalismo, anticipato da August Perret, diventa il linguaggio della nuova Europa di cui Gropius e Le Corbusier diventeranno i grandi interpreti. Horta ne interpreta alcuni segnali che rappresenta con l’uso di elementi spaziali più lineari, ma che di conseguenza impoveriscono la complessità caratteristica del suo messaggio spaziale. Nel museo Tournai per ben tre volte l’architetto modifica l’impianto planimetrico per arrivare a un impianto basilicale dalla cui centralità si dirameranno gli spazi espositivi (vd. foto a fronte, in alto). La simbologia geometrica dei primi e mai dimenticati insegnamenti riaffiora qui nella costruzione per disperdersi nella materia che definisce i limiti del museo. Una prima geometria esagonale, segno di equilibrio e armonia della natura, innesta un processo che viene sviluppato in un sistema più ampio, Il dodecagono, dodici lati per dominare il tempo e lo spazio, che rappresenta la base e la geometria centrale del museo. Sarà questo simbolo dell’armonia cosmica a accogliere le opere per inserirle in un nuovo contesto al di là del tempo. Lo sormonta una cupola, evoluzione successiva di questa geometria, che presenta una volta vetrata nella parte terminale. Alla base 5 padiglioni di differenti proporzioni saranno adibiti a spazi espositivi. È la valorizzazione del numero cinque, dell’uomo che con le sue imperfezioni, con la sua ricerca artistica, con i suoi segni che cerca di elevarsi. A cantiere non ancora completato alcuni fratelli di loggia contattano nuovamente Horta per realizzare il progetto per il nuovo ospedale di Brugman, un’importante opera, espressione di un’articolata volontà politica che raggruppa il consiglio degli ospedali riuniti, la città di Bruxelles, il corpo medico e la Libera Università di Bruxelles.


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Horta inizia il progetto eseguendo una sistematica ricerca finalizzata a analizzare i maggiori ospedali europei e le loro caratteristiche, sia negative sia positive. Dopo mesi di riflessioni affronta il consiglio direttivo con idee molto precise: la natura dovrà permeare gli spazi esterni dell’ospedale, favorirne il sistema di ventilazione e ricambio d’aria. L’ospedale dovrà quindi essere costruito in campagna con spazi adeguati a una futura espansione. Una netta contrapposizione con le idee del corpo medico che prevede una collocazione prettamente urbana. Infine il consiglio cede. Horta prevede 1.596 posti letto su 18 ettari di terreno per un costo di 10 milioni di franchi. Successivamente il progetto verrà ridimensionato per mancanza di fondi a 1.043 letti con un costo di 7 milioni di franchi (vd. foto qui a lato). Spazi e padiglioni collegati tra loro senza percorsi eccessivamente lunghi, giardini interni per i malati, spigoli arrotondati per facilitare pulizia e igiene, colori vivaci, rubinetterie di facile uso sono solo alcune delle caratteristiche del nuovo ospedale. Dopo l’interruzione dovuta alla guerra ci vorranno altri cinque anni di cantiere per completare l’opera che ancora oggi esprime dignità e rigore e che, grazie alla lungimiranza del suo progettista, ha consentito nel tempo di potersi adattare alle mutate esigenze e all’evoluzione della medicina. Quando gli viene affidato l’incarico della stazione centrale di Bruxelles, Horta è senza lavoro. Dopo aver realizzato mol-

to in passato, oramai i suoi vecchi clienti sembrano essere scomparsi, così come molti aspetti dell’Art Nouveau, ma di fronte all’importante opera che rappresenta il fulcro e il centro nevralgico di tutti i trasporti del paese l’architetto si appresta a raccogliere l’ennesima sfida che prevede il passaggio dei treni a un livello inferiore al piano stradale attraverso un sistema di

gallerie che nella seconda guerra mondiale fungeranno da rifugio per la popolazione e con non pochi problemi legati ai collegamenti verticali e alle vibrazioni dovute ai treni a vapore. Horta, oramai ottantenne, viene sostituito nella fase finale di costruzione da un suo allievo e non vedrà la fine del progetto. Un progetto che ancor oggi pur rimaneggiato 127


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più volte, anche in funzione dell’evoluzione dei treni, evidenzia sempre, come nei disegni originali, quanto previsto dal suo architetto. Infatti sono ancora presenti il grande volume centrale, luogo di accoglienza con le scale di collegamento ai piani inferiori, razionalmente suddiviso, pervaso da una luce modellata in una nuova chiave razionalista, e le facciate esterne che indicano al viaggiatore da lontano l’imponente ingresso vetrato che caratterizza la stazione. Una delle ultime realizzazioni sarà il Palazzo delle Belle Arti di Bruxelles (1919-1928), un palazzo quasi invisibile pur con una superficie di 8.000 metri quadrati e oltre 40 sale espositive inserite in un lotto urbano di difficile organizzazione. Horta è costretto a abbandonare quanto sviluppato con il museo di Tournai per scegliere altre strade che lo porteranno anche a forti contrasti con la direzione. Se un volume circolare, modestamente vetrato, segnala l’ingresso, le facciate principali dovranno essere adibite a negozi, seguendo la volontà della committenza, impoverendo così l’immagine del complesso museale dove anche le altezze saranno oggetto di limitazione. Horta opta per uno stile Art Deco per le facciate esterne rinunciando definitivamente a parte dei suoi ideali. I forti contrasti con la dirigenza gli impediranno di esprimere quanto ideato nella grande sala per concerti per oltre 2.500 persone, anche qui forte128

mente contrastata nonostante fosse dotata di sistemi acustici e di riciclo dell’aria innovativi per l’epoca (vd. foto qui sopra). Deluso, affronta la fase urbanistica, dove intravede la necessità di mantenere zone urbane affidate alla natura che a sua volta dovrebbe rivalorizzare la nuova architettura senza dimezzarne gli spazi. Si prodigherà in innovativi contributi di idee per il Giardino Botanico di Bruxelles e i suoi nuovi edifici, per il progetto urbanistico del “Quartier Royal” e del quartiere della “Putterie” a Bruxelles, ma la sua voce viene oramai interpretata con diffidenza, avvertendo in ogni situazione anche un senso di progressivo isolamento. È una serie di sconfitte ideologiche che lo porterà al definitivo isolamento, da quello per il concorso internazionale del ”Palazzo delle Nazioni a Ginevra” dove viene nominato presidente di giuria e dove sarà fortemente criticato e frainteso, fino al memoriale funebre di Albert Premier. Anche il grande banchetto in suo onore in occasione del suo ottantacinquesimo compleanno al Palais des Beaux Arts di Bruxelles organizzato dalla Societé centrale d’Architecture, pur commuovendolo, non servirà a modificare il suo stato d’animo. I fratelli di loggia di un tempo sono passati a un altro Oriente e ne sente profondamente la mancanza; quel dialogo che fu nella fase iniziale il motore di tante idee forse non esiste più se non nelle sue memorie che me-

ticolosamente sviluppa in un linguaggio ermetico di non facile comprensione. Pur fortemente condizionato da problemi motori e limitato nell’uso delle gambe Horta affronta un nuovo viaggio, questa volta in Svezia, contro la volontà dei suoi medici. È l’occasione per incontrare una serie di architetti tra cui Erik Gunnar Asplund. Al suo ritorno dopo un peggioramento del suo stato di salute, prima di morire nel pomeriggio del 9 settembre 1947 nella clinica di rue Linthout dopo 15 giorni di dura agonia, confida a alcuni giornalisti: “Après avoir vu ce que je viens de voir, il me reste pas mal de choses à faire”. Oltre alla sua morte solitaria, alla sua tomba inespressiva nel cimitero d’Ixelles e alla spartizione indecorosa dei suoi beni da parte dei familiari, ci piace citare alcuni suoi scritti, come amava fare, animati da amici immaginari o da forze vicine alla Grande Architettura Universale che nel buio della notte lo hanno accompagnato in una visione luminosa. “Ces convictions qui furent si belles et si profondes qu’elles provoquèrent l’Émulation des autres et firent taire ses adversaires à la fin de sa vie! Était-il un «maître»? Il n’en avait cure! Il était un «courageux», ce que tout le monde peut être!” Victor Horta de l’Académie Royale de Belgique.

Per tutte le illustrazioni si veda il testo dell’articolo.


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Il Tavolo di Leicester Maxine Gilhuys Notarbartolo

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ella Biblioteca di Freemasons’ Hall, a Leicester in Inghilterra, è custodito un tavolo con una base di legno e un piano ottagonale di pietre dure e marmi intarsiati. Sul piano sono presenti molti simboli importanti per la Libera Muratoria; le misure del tavolo sono: altezza 80 cm, diametro 130 cm, lato dell’ottagono 50 cm. Il motivo centrale del piano mostra un Tempio con una porta chiusa suddivisa in sei pannelli, ciascuno dei quali ornato da una losanga1. Al disopra della porta è disposto un timpano triangolare rinchiuso in un frontone. Il Tempio e le due colonne doriche che lo affiancano sono collocati su 130

un pavimento a scacchi. Tutto il bordo del tavolo è caratterizzato da otto simboli frequentemente utilizzati dai Liberi Muratori al fine di esprimere alcuni di quei principi su cui, ogni Massone, deve basarsi per costruire se stesso e migliorare il mondo circostante. Tali simboli sono: una chiave, un filo a piombo, un mazzuolo, un compasso, una pietra cubica, una livella, un triangolo. Il piano del tavolo è costruito con materiali dalle caratteristiche e colori diversi: lapislazzuli dalla Russia o dal Brasile – blu; alabastro – giallo; onice – marrone; paragone del Belgio – nero; marmo verde dalla Sicilia, o dalla Val d’Aosta, o serpentino di Prato – verde; porfido – grigio/marrone chia-

ro; travertino da Siena – bianco/marrone; broccatello spagnolo – misto giallo/rosso/ grigio. Il tavolo, acquistato a un’asta nel Leicestershire, fu venduto da una signora di Nuneaton che aveva un atteggiamento ostile verso tutto ciò che riguardava la Massoneria, tanto da non essere disposta a dare informazioni sulla provenienza del tavolo. Un esperto stimò che la base del tavolo doveva essere di manifattura inglese e risalire alla metà circa del XIX secolo. Il piano non è un pezzo unico: esistono, infatti, almeno quattro oggetti simili ma di diametro diverso e caratterizzati dall’aggiunta, oltre ai già citati, di altri simboli, che


sono stati venduti all’asta negli ultimi cinque anni (l’ultimo nel marzo 2014). Dalle descrizioni dei cataloghi d’asta, che peraltro sono molto simili, si evince che i piani dei tavoli sono datati 1825 e sono ritenuti di provenienza italiana. Il piano del tavolo a Freemasons’ Hall a Leicester sembra realizzato con una tecnica tipicamente fiorentina: il “commesso fiorentino di pietre dure” che era diventata molto importante durante la seconda metà del XVI secolo allorquando, nel 1588, il Granduca Ferdinando I fondò la Galleria dei Lavori (dal 1796 chiamato Opificio delle Pietre Dure), con lo scopo di formare artigiani specializzati nel creare marmi intarsiati per la realizzazione della Cappella dei Principi in San Lorenzo a Firenze. Oggi l’Opificio delle Pietre Dure è uno dei maggiori e più importanti laboratori destinati al restauro di opere d’arte. Consultando alcuni esperti dell’Opificio per avere un’opinione sul nostro tavolo, è risultato che l’oggetto non è di provenienza fiorentina ma, comunque, opera di artigiani italiani che lavoravano all’estero. È necessario altresì ricordare che, durante il XVII e il XVIII secolo, la manifattura granducale di Firenze influenzò opifici e laboratori di Praga, Parigi, Napoli e Madrid. A Napoli il Real Laboratorio delle Pietre Dure, fondato nel 1737 per volontà del re Carlo di Borbone III, vide all’opera maestranze della Galleria di Firenze, specializzate in Commesso e Basso rilievo, invitate dallo stesso Re a trasferirsi a Napoli dopo la morte del Granduca Giangastone, ultimo regnante della famiglia Medici. In una relazione sul lavoro svolto dal Laboratorio di Napoli, Gabriella Tassinari2 riferisce che molte delle pietre utilizzate provenivano dalle cave della Sicilia. Nel XVIII secolo queste cave diventarono il produttore principale delle materie prime per il Laboratorio napoletano e il governo Borbone promosse l’estrazione e la commercializzazione di tali pietre. Una risposta simile a quella dell’Opificio delle Pietre Dure è scaturita da un interessante incontro con il proprietario di Sollazzini Marmi uno dei tradizionali laboratori che lavorano il marmo ancora operanti a Firenze. Il tavolo non è fiorentino poiché la linearità delle tessere, tagliate in forme geometriche, e degli oggetti rappresentati, quasi tutti triangoli, rettangoli, quadrati, cerchi o semicerchi non era tipi-

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ca dell’essenza del commesso fiorentino. Molte sono state le informazioni ottenute a Firenze. Prima di tutto si è chiarito che l’età della base del tavolo e quella del piano non dovevano necessariamente coincidere. Solitamente infatti si procedeva prima alla produzione del piano: una volta spedito all’acquirente questi ne commissionava, localmente, una base adatta. La valutazione del legno – inglese, della metà del XIX sec. – con il quale è stato costruito il tavolo di Leicester è valida in realtà solo per la base. Datare il piano considerando i marmi utilizzati per la sua realizzazione è assai difficile dal momento che tale tipologia di pietra non è soggetta a invecchiamento. Sarebbe pertanto necessario procedere a

uno smontaggio del piano stesso al fine di analizzare la colla utilizzata per fissare le tessere. Di conseguenza risulta evidente che si può avanzare un’ipotesi di datazione sulla base di fonti indirette. Come già detto, il piano del tavolo non è un unicum dal momento che dalle ricerche effettuate è emersa l’esistenza di almeno altri quattro tavoli con ogni probabilità tutti prodotti contemporaneamente, o in momenti successivi, sulla base dello stesso disegno e in un unico laboratorio; in alternativa, è plausibile che dall’originale si siano prodotte copie in uno o più laboratori, in tempi diversi. Infatti i laboratori importavano grandi quantità di marmi e pietre dure da tutto il mondo, immagazzinandoli come scorta per lavori futuri. Questo è il motivo per 131


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cui non è possibile stabilire la provenienza del tavolo soffermandosi solo sull’analisi dei marmi. Si deve inoltre tenere presente che l’aggettivo “italiano” inserito nelle descrizioni dei cataloghi d’asta non significa necessariamente “di manifattura italiana”, ma potrebbe far riferimento allo stile: “fatto secondo lo stile italiano”. Il tavolo dunque non è fiorentino e da escludersi è anche una produzione del Laboratorio di Napoli dal momento che a quest’altezza cronologica l’attività lavorativa era diminuita e tutta impegnata nei lavori commissionati dalla famiglia reale. Inoltre, il tavolo è di manifattura troppo semplice e lineare per tale tipo di produzione. Presso l’Opificio di Firenze e il La132

boratorio napoletano si producevano oggetti assai più raffinati, soprattutto nel taglio delle pietre. Più plausibile collegare i tavoli a un territorio inglese d’oltremare e l’isola di Malta sembra offrire risposte positive alle domande fin qui avanzate. Malta per secoli aveva subito l’influenza dell’Italia nel campo artistico, culturale e politico. Secondo uno studio di Federico Guidobaldi3 a Malta si riscontrano ancora tracce di pavimenti e opere murarie in marmo di epoca romana. Nel 1661 un artista calabrese, Matteo Preti, fu chiamato a Malta a “La Valletta” per eseguire la decorazione interna della concattedrale di San Giovanni. Da allora e per i secoli successivi sono state eseguite

tutte le lastre tombali di marmo intarsiate che ricoprono l’intero pavimento della cattedrale. Ciò significa che i marmi dovevano essere disponibili e che gli artigiani dovevano avere le conoscenze necessarie per questo tipo di lavoro. Alla domanda su cosa possa rappresentare il tavolo, la risposta è che, probabilmente, si tratta di un tavolo per l’istruzione massonica. I quadri di Loggia nacquero nella seconda metà circa del XVIII secolo; inizialmente non esisteva alcuna regola sull’inserimento dei simboli e sulla loro composizione: sappiamo che dai disegni di gesso realizzati sul pavimento si passò a esporre i simboli sui tappeti, fino a utilizzare veri e propri quadri appesi al muro. In una stampa austriaca4 del 1791 compaiono nove personaggi seduti intorno a un tavolo coperto da un tappeto, impegnati a seguire le spiegazioni sui singoli simboli fornite da uno di loro. Per una migliore comprensione è necessario, a questo punto, contestualizzare storicamente l’argomento. L’isola di Malta aveva fatto parte del Regno di Sicilia per quasi tre secoli fino al 1530, quando Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero, per il timore di un’invasione dei Turchi, regalò le isole maltesi e Tripoli ai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, che nel frattempo avevano abbandonato l’isola di Rodi, loro rifugio, dopo la sconfitta in Terra Santa. I Cavalieri avevano ora un nuovo compito ossia difendere la Chiesa di Roma dalle incursioni dei musulmani. Stabilita Malta come loro fissa dimora continueranno a usufruire comunque dei servizi di artigiani e artisti italiani provenienti dalla Sicilia, Calabria, Napoli, Roma, Firenze per la costruzione e la decorazione dei loro edifici più importanti, tra i quali la Città di Valletta e la concattedrale di San Giovanni. Secondo Jerry Brotton in A History of the World in Twelve Maps 5: “Tutte le culture hanno sempre creduto che le mappe che valorizzavano siano reali, vere, obiettive e trasparenti. Durante il Medioevo Gerusalemme era considerata il centro del mondo, infatti il ‘Mappa Mundi’ (1300) nella Cattedrale di Hereford ci fa vedere come un cristiano di quei tempi si immaginava il mondo. Il principio organizzativo di questa mappa orientata verso oriente è il tempo, non lo spazio, e soprattutto il tempo biblico, con il Cristo che sovrasta il globo. L’osservatore viaggia spiritualmen-


te dal Giardino di Eden in cima, scendendo lungo le colonne d’Ercole per trovarsi in fondo vicino allo Stretto di Gibilterra. Al centro si trova Gerusalemme, con sopra una croce, a destra l’Africa, dove lungo la costa appaiono molti mostri. [...] Arrivati ai bordi di quello che conosciamo, quelli sono posti pericolosi.” Gerusalemme come “Centro del mondo”; sicuramente doveva apparire così ai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, ai Pauperes Commilitones Christi Templique Salomonis o Cavalieri Templari e ai Cavalieri Teutonici che erano stati i custodi della Terra Santa. A Gerusalemme la Cupola della Roccia, chiamata anche la Moschea della Roccia, sorge al centro del Monte del Tempio. Per alcuni studiosi islamici la roccia è il posto in cui Maometto ascese al cielo accompagnato dall’angelo Gabriele. Altri ritengono che la sua ascensione avvenne dalla moschea Al-Aqsa. Per gli ebrei questa roccia era il luogo più sacro al mondo, il luogo del Sancta Sanctorum. La moschea ha una pianta ottagonale; la planimetria centrale della cupola era stata strutturata sulla base della chiesa cristiana del Santo Sepolcro. Durante la loro permanenza in Oriente i Cavalieri acquisirono grandi conoscenze e forse, in qualche modo, vissero un ritorno alle origini. Segni e Simboli erano mezzi di comunicazione importanti per queste civiltà e uno dei simboli che devono certamente aver incontrato è l’ottagono. “Nel simbolismo, comune alla maggior parte delle tradizioni, gli edifici costituiti da una base a sezione quadrata sormontata da una cupola più o meno rigorosamente emisferica, le forme quadrate o cubiche si riferiscono alla terra e le forme circolari o sferiche al cielo [...]. L’edificio rappresenta la realizzazione di un ‘modello cosmico’, l’insieme della sua struttura, se si riducesse esclusivamente alla base e alla cupola, sarebbe incompleto, nel senso che, nella sovrapposizione dei ‘tre mondi’, mancherebbe un elemento corrispondente al ‘mondo intermedio’. Di fatto, anche questo elemento esiste, poiché la cupola o la volta circolare non può poggiare direttamente sulla base quadrata, e per permettere il passaggio dall’una all’altra ci vuole una forma di transizione che sia in qualche modo intermedia fra il quadrato e il cerchio; questa forma è in genere quella dell’ottagono. Dal punto di vista del simbolismo cosmi-

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co, considerato più particolarmente sotto il suo aspetto spaziale, la forma quaternaria, cioè quella del quadrato quando si tratta di poligoni, è naturalmente in rapporto con i quattro punti cardinali e le loro varie corrispondenze tradizionali. Per ottenere la forma ottagonale, bisogna considerare inoltre, fra i quattro punti cardinali, i quattro pun-

ti intermedi. Quando i punti cardinali sono messi in corrispondenza con gli elementi corporei, i punti intermedi corrispondono alle qualità sensibili: caldo, freddo, secco e umido, che formano con essi un insieme di otto direzioni, quelli che varie tradizioni designano come gli ‘otto venti’. Nella costruzione, la forma dell’ottagono 133


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può naturalmente essere realizzata in vari modi, e in particolare con otto pilastri che reggono la volta; poiché, per realizzare questa quadratura del cerchio, che va dall’unità celeste al quadrato degli elementi terrestri, bisogna passare per l’ottagono, che è in rapporto con il mondo intermedio delle otto direzioni, delle otto porte e degli otto venti. Il simbolismo delle ‘otto porte’, si spiega con il fatto che la porta è essenzialmente un luogo di passaggio, e come tale rappresenta la transizione da uno stato all’altro, e specialmente da uno stato ‘esterno’ a uno stato ‘interno’, almeno relativamente, tanto più che 134

questo rapporto fra ‘l’esterno’ e ‘l’interno’, a qualunque livello si situi, è sempre paragonabile a quello tra il mondo terrestre e il mondo celeste. Nel cristianesimo, i battisteri antichi avevano forma ottagonale e, sebbene tale simbolismo sia stato dimenticato o almeno trascurato a partire dall’epoca del Rinascimento6, questa forma si ritrova in genere ancora oggi nella vasca dei fonti battesimali. Anche qui si tratta di un luogo di passaggio o di transizione; d’altronde, nei primi secoli, il battistero era situato fuori della chiesa e soltanto coloro che avevano ricevuto il batte-

simo erano ammessi a penetrare all’interno di essa. In un certo senso, quanto abbiamo detto mostra che la chiesa è, in rapporto all’esterno, in una corrispondenza che è quasi un’immagine di quella del mondo celeste in rapporto al mondo terrestre, e il battistero, attraverso il quale bisogna passare per andare dall’uno all’altro, corrisponde perciò al mondo intermedio; inoltre, lo stesso battistero è in relazione ancora più diretta con quest’ultimo per via del carattere del rito che vi si compie, e che è propriamente il mezzo di una rigenerazione che si effettua nella sfera psichica, cioè negli elementi dell’essere che appartengono per loro natura al mondo intermedio. Luc Benois7, ‘Art du Monde’, p. 79, segnala che ‘nello Scivia di Santa Ildegarda, il trono divino che circonda i mondi è rappresentato da un cerchio sostenuto da otto angeli’. Ora questo ‘trono che circonda i mondi’ è la traduzione più esatta possibile dell’espressione araba ‘El-Arsh El-Muhit’, e una rappresentazione identica si trova anche nella tradizione islamica, secondo la quale tale trono è pure sostenuto da otto angeli, che, corrispondono sia alle otto direzioni sia a gruppi di lettere dell’alfabeto arabo8”. Tutto questo per aiutarci a apprezzare il significato e l’importanza della scelta dell’ottagono come forma per un tavolo che doveva trasmettere un messaggio esoterico. Pur non conoscendo chi abbia commissionato il tavolo, è facile supporre che si tratti di una o più persone che avevano una determinata percezione della Massoneria e della quale volevano trasmetterne la tradizione. L’isola di Malta, sita nel mar Mediterraneo, è sempre stata un punto d’incontro di popoli e culture diverse, un crocevia anche massonico. Dalla breve storia della Massoneria a Malta di A. A. Pisani9, si nota che: “Il primo documento che fa riferimento ad una Loggia Massonica con Bolla a Malta, è un documento francese datato 14 febbraio 1730 che registra la donazione annuale di 150 Scudi da parte del Balì Wolfgang Philip Guttenberg, un dignitario dell’ Ordine dei Cavalieri di San Giovanni, per erigere una loggia di nome ‘Parfait Harmonie’, operante sotto la giurisdizione di Marsiglia. Nel 1741 la massoneria era talmente presente sull’isola che attirò in modo negativo l’attenzione dell’ Inquisizione della Chiesa Cattolica che perseguitava i suoi affiliati, obbligando diversi Cavalieri dell’Ordi-


ne e Nobili Maltesi ad abbandonare l’isola. Sempre secondo il Pisani, la maggior parte di queste prove si trova nel Processo Lante, del 1776, che tratta in dettaglio gli eventi del 1756 quando Manuel Pinto de Fonseca era il Gran Maestro dell’Ordine di San Giovanni (1741-1773). In più, questi documenti parlano della simpatia e tolleranza per le alleanze massoniche di Emmanuel De Rohan-Polduc, Gran Maestro dell’ Ordine di San Giovanni (1775-1797) (di cui lo storico Broadley10 scrive che fu iniziato alla Massoneria, presumibilmente a Parma, dal Duca di Parma), il quale in altra occasione, è oggetto di una severa censura da Roma per non aver applicato subito a Malta la Bolla antimassonica papale”. Nella seconda metà del XVIII secolo, secondo uno studio di Beaurepaire11, la Loggia Saint Jean d’Ecosse era espressione delle ambizioni economiche, sociali e massoniche dei mercanti residenti a Marsiglia. Questa Loggia (che poi diventerà Obbedienza) era molto legata alla Camera di Commercio della città e i suoi membri erano commercianti francesi e stranieri. Avevano Logge affiliate ad Avignone, Napoli, Cap Français, Costantinopoli, Malta, Palermo, Martinique, Salonicco e Smyrna. Palermo, Napoli e Malta occupavano posizioni strategiche nel Mediterraneo e il traffico marittimo nel 1790 fra questi tre porti era molto intenso; a Malta la Loggia Saint-Jean d’Ecosse du Secret e de l’Harmonie era importante per il commercio nel bacino orientale del Mare Nostrum e punto di partenza per il traffico con la Barberia. Sempre secondo Beaurepaire, nel 1784 risultavano a piè di lista di questa Loggia un comandante dell’Ordine di Malta, de Vilhena, massone in grado di Maestro e l’Abate Grosson, anche lui dello Ordine di Malta, Fratello Compagno. Secondo lo storico Pisani: “… Il 17 giugno del 1788, sotto la guida del Conte von Kollowrat, la Loge ‘Saint Jean d’Ecosse’ a Marsiglia fece richiesta per una Bolla inglese alla Gran Loggia dei Moderns in Inghilterra. Questa richiesta fu concessa e con Bolla del 30 marzo 1789 la Loggia fu nominata ‘St. John’s Lodge of Secrecy and Harmonyi’. Elencati nel piè di lista i membri più importanti dell’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni; infatti il primo Maestro Venerabile di questa Loggia, Jean Baptiste Tommasi, diventerà Gran Maestro (1803-

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1805) del Sovrano Ordine Militare di Malta12.” Non si ha una data precisa del suo abbattimento, ma nel 1813 non figura fra le Logge scelte per far parte della United Grand Lodge of England. Da quanto raccontato sopra si evince come a Malta erano esistiti legami personali stretti tra i componenti dell’Ordine dei Cavalieri di Malta e la Massoneria, data la presenza di molti di loro, anche di rango importante, nella Libera Muratoria. Nel rituale Revised and Approved, Amended Second Edition of July 2012, of the Malta Ritual – Degrees of

Knight of St. Paul and Knight of St. John del Great Priory del New South Wales e Australian Capital Territory, per l’allestimento dello spazio del Capitolo, sono richiesti due tavoli, uno pentagonale a Est e uno ottagonale a Ovest. Mentre dai rituali dello United Orders of the Temple and Malta, Rituals of the Sovereign Great Priory for the Dominion of Canada, Founded on the English System of Templary, A.D. 1876 si evince che il tavolo pentagonale deve avere una coperta rossa, il centro della quale è elaborato o dipinto con una figura bianca, che rappresenta la 135


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parte superiore di una Croce con cinque linee tracciate che si incontrano al centro. Su queste linee poggiano le spade dei cinque Cavalieri seduti a questo tavolo: l’Eminente Priore, il Capitano Generale, il Luogotenente Generale, il Primo Luogotenente e il Secondo Luogotenente. Anche il tavolo a Ovest ha una coperta rossa, con al centro una grande figura ottagonale nera e la Croce di Malta, gli otto punti della quale si estendono fino ai bordi dell’ottagono. Gli otto ufficiali rappresentano quell’antica tradizione maltese dove, in Consiglio, 136

gli otto Balì o Gran Priori delle otto “Langues” del Sovrano Militare Ordine di Malta (Provence, Auvergne, Francia, Italia, Aragona, Germania, Castiglia, e AngloBavaria) si sedevano intorno a un tavolo ottagonale che, secondo l’antico significato, univa gruppi diversi di origine diverse. Le posizioni che ricoprivano erano: Maresciallo, Ospedaliere, Ammiraglio, Conservatore, Balì, Turcopolier, Cancelliere e Tesoriere. La “Langue” Auvergne portava il Grande Stendardo dell’Ordine di San Giovanni e il Balì era il Gran Maresciallo o Co-

mandante Capo della forza militare e navale. Il Balì della Francia era il Gran Ospedaliere ed era responsabile per gli ospedali e le opere caritatevoli. Il Balì d’Italia era il Gran Ammiraglio e comandava le forze militari e navali, sotto il Gran Maresciallo. Il Balì d’Aragona era il Gran Conservatore o il Commissario Generale. Il Balì della Germania era Gran Balì, l’equivalente di Ispettore delle Fortificazioni. Quando ancora esisteva la “Langue” inglese, il Balì era il Turcopolier (titolo derivato dai tempi della residenza dell’Ordine in Palestina), il Comandante della Cavalleria Leggera. Dopo il trasferimento dell’Ordine a Malta, il Turcopolier diventa Comandante delle Galere e dei marinai moderni. Il Balì di Castiglia era Gran Cancelliere, con compiti simili a quelli nei Governi Nazionali. Il Balì della Bavaria era il Gran Tesoriere. Il piano del tavolo ottagonale intorno al quale sono seduti i Gran Priori, mostra una grande croce maltese, al centro della quale si trova un cerchio diviso in quattro parti uguali da due barre trasversali che al centro si incrociano ad angolo retto. In ogni quarto del cerchio è raffigurata una figura: nel primo quarto una galera antica, nel secondo una scala con cinque scalini, nel terzo quarto una mano e una vipera, nell’ultimo un teschio spaccato in due, una lancia e una spada a doppia lama; ognuno è contrassegnato con la propria lettera iniziale – il primo con la lettera B (Birth/nascita Palestina); e poi L (Life/vita Cipro); D (Death/morte Rodi); R (Resurrection/risurrezione Candia); A (Ascension/ascensione Malta) – e un megafono per parlare. Il significato di ognuno di questi disegni è collegato alla storia e alla tradizione dell’Ordine. Nel già citato rituale dello United Orders of the Temple and Malta fondato sul sistema del Templarismo inglese (1876), l’estensore, il Fratello W. J. B. MacLeod Moore, Supremo Gran Maestro dell’Ordine del Tempio in Canada, scrive nell’introduzione della ristampa del 1887: “il cerimoniale e il sistema di Templarismo nel Dominio di Canada, seguendo quello dell’Inghilterra e dell’Impero britannico, è eminentemente cristiano ortodosso, al quale possono aderire solo membri del corpo massonico che hanno raggiunto il grado di Arco Reale e che dichiarano di essere cristiani trinitari.” Questo è lo stesso Capitano William James Bury McLeod Moore che, nel 1849,


figura nel piè di lista della Loggia San Giovanni e San Paolo a La Valletta e che nel 1850 in un discorso per l’insediamento dell’Ordine dei Cavalieri Templari a Malta disse: “… possono essere ammessi fra i Massoni Templari tutti i Massoni cristiani, a certe condizioni: devono essere membri onesti e validi della società; mentre nell’Ordine Cavalleresco le restrizioni basate sul rango esistono ancora, come da sempre.” Nel giugno 1798, nel corso della spedizione in Egitto, Napoleone occupò Malta per farne una guarnigione francese e ne scacciò l’Ordine. Nel 1801 Malta fu occupata dalle truppe inglesi. Il trattato di Parigi nel 1814 sancì il definitivo passaggio dell’isola alla Gran Bretagna, di cui Malta divenne una colonia. Nello stesso anno 1814, Waller Rodwell Wright13 era stato nominato membro del Supremo Consiglio di Giustizia dell’isola di Malta e nel 1819 era diventato Presidente dell’Alta Corte d’Appello dell’isola, funzione che ha ricoperto fino alla sua morte nel 1826. Waller Rodwell Wright fu iniziato il 30 agosto 1794 nella Royal Edwin Lodge n. 193 in Bury St. Edmunds, appartenente alla Gran Loggia d’Inghilterra (Moderns). Il 15 aprile del 1815 insieme ad altri 28 Massoni, dopo avere ricevuto l’autorizzazione dalla United Grand Lodge of England, erigono presso La Valletta la Loggia San Giovanni e San Paolo n. 67314 (adesso n. 349) della quale lui era stato Maestro Venerabile nel 1815, 1816, 1819, 1823 e 1824. Nel 1812 Wright era già stato nominato Gran Maestro Provinciale per le Isole Ioniche, nel 1815 Gran Maestro Provinciale di Malta e Gozo e di seguito Gran Maestro Provinciale per il Mediterraneo. Nel 1819 fondò il Capitolo Melita, che più tardi diventerà il Capitolo di San Giovanni e San Paolo n. 673, dell’Arco Reale. A lui si attribuisce la responsabilità di aver introdotto l’Arco Reale nell’area sud-orientale del Mediterraneo. Waller Rodwell Wright è stato uno dei Massoni inglesi più importanti, uno dei più grandi sostenitori della Massoneria dell’Arco Reale e uno dei più importanti Compagni del Supremo Gran Capitolo della Massoneria dell’Arco Reale in Inghilterra. A lui sono stati riconosciuti significativi emendamenti nei rituali della Massoneria Simbolica e nell’Arco Reale; ha contribuito moltissimo allo sviluppo della

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Massoneria inglese. Era fra i tre Massoni preparatori del testo per l’unificazione fra le due Gran Logge d’Inghilterra: i Moderns e Ancients. Il suo nome è fra i cinque rappresentanti firmatari dei Moderns dopo il Duca di Sussex, sull’Atto di Unificazione del dicembre del 1813. Nel 1804 Wright era già stato nominato Gran Commendatore Provvisorio dell’Ordine della Croce Rossa di Costantino, in Inghilterra, per il quale aveva scritto il Rituale; secondo le referenze attuali la forma odierna di quest’Ordine nasce nel 1865. Nello stesso 1804 Wright aveva rico-

struito l’Ordine della Croce Rossa di Palestina e dal 1807 al 1812 era stato il Gran Maestro dell’Ordine Massonico dei Cavalieri Templari15. Tutti Ordini che manifestarono la fede della Trinità Cristiana. Dal 1815 al 1826 Waller Rodwell Wright ha animato la vita massonica nell’Isola di Malta. Nell’orazione funebre per Wright del Maestro Venerabile, il Fr. Whitmore, il giorno 29 aprile 1826 così lo ricordò: “... chiuderò questo compito melanconico ricordandovi che il modo migliore per esprimere la nostra eterna e sincera stima alla 137


memoria del nostro caro Fratello defunto sarà una stretta aderenza al metodo che lui ha tracciato; mantenendo con zelo il benessere di questa Loggia nata per la sua opera e che per molto tempo è fiorita sotto la sua attenta guida; mantenendo il suo esempio sempre davanti ai nostri occhi, e

Arte camminando lungo la via che egli ha tracciato per noi”. Dopo la morte di Waller Rodwell Wright nell’aprile del 1826 le attività, sia della Loggia sia del Capitolo di San Giovanni e San Paolo per un po’ di tempo rallentarono, ma più tardi, con l’ingresso di un gruppo di Fratelli molto attivi e convinti, i Lavori ripresero con forza e vigore. Nel frattempo erano nate altre Logge a Malta sotto la giurisdizione della United Grand Lodge of England: Les Amis en Captivité n.716, con Bolla del 6 ottobre 1819 e demolita nel 1823; la Union Lodge of Malta n. 859 (adesso 407), con Bolla del 1831; la Zetland Lodge n.756 (adesso 515), con Bolla del 1845; la Leinster Lodge n. 387, del 1851, era sotto costituzione irlandese. Non è difficile immaginare che i Fratelli nelle Logge massoniche di Malta, abituati a lavorare intorno a un tavolo ottagonale per i rituali dell’Ordine del Tempio e Malta, avendo necessità di un tavolo d’istruzione per i loro lavori massonici, scelsero la forma ottagonale, con tutta la simbologia a essa inerente, sostituendo il disegno del piano originario con un disegno contenente simboli massonici. Dalla storia della Massoneria di Broadley sappiamo che facevano uso di quadri di Loggia durante i loro lavori e che “il Fr. Lucius Curtis, nel 1844, si impegnò a stabilire una Loggia d’Istruzione regolare”. Nell’anno 1877 lo stesso Broadley, diventato Maestro Venerabile della Loggia n. 1717 eretta a Tunisi sotto la giurisdizione della United Grand Lodge of England e la Provincia Massonica di Malta, evidenziò la necessità e l’urgenza dell’istruzione massonica. Gli otto elementi raffigurati nel bordo del Tavolo come già detto sono: una chiave, un filo a piombo, un mazzuolo, un compasso, una pietra cubica, una livella, un triangolo. I simboli scelti e la loro collocazione 138

all’interno del bordo non sembrano rispecchiare quadri di Loggia dei primi tre gradi come vengono utilizzato oggi. Si potrebbe tentare di dare una interpretazione a ognuno di loro, ma una possibile lettura alternativa sarebbe di guardarli come coppie opposte: chiave – cazzuola; filo a piombo – pietra levigata; mazzuolo – livella; squadra – triangolo equilatero. In questo modo è possibile intravedere un viaggio in cui il primo rappresenta il cammino da percorrere per ottenere il secondo, ossia un certo risultato. Silenzio e cautela sono necessari per poter spalmare l’amore Fraterno; verità e rettitudine sono i fondamenti di una vita onesta e priva di pregiudizi; sviluppare una volontà forte e risoluta è un passo necessario per combattere i privilegi e per ottenere l’equità; una vita virtuosa e in equilibrio porta a essere giusti e perfetti per avvicinarsi a Dio e, per i cristiani, alla Santa Trinità. Allo stesso modo si potrebbero considerare gli elementi posti nel bordo esterno come fossero una chiave di lettura per comprendere ciò che è rappresentato al centro del tavolo: la forza delle due colonne; gli opposti che creano unità o equità, il pavimento a scacchi; una porta che da accesso dall’esterno all’interno, dal Tempio al Sancta Sanctorum; i sei rombi o diamanti nella porta che permettono di intravedere quello che per ora è oltre la nostra portata, ma certamente raggiungibile. La spiegazione di questo ragionamento sembra essere la conferma del credo cristiano all’interno della Libera Muratoria. Non si sa come il tavolo sia arrivato a Nuneaton, le possibilità sono molte: si potrebbe ipotizzare, a esempio, che visitatori facoltosi abbiano comprato un tavolo presso l’isola e lo abbiano portato a casa come souvenir. Uno di questi visitatori potrebbe essere stato il Earl of Howe, che nella sua funzione di Ciambellano, accompagnò la vedova di re Guglielmo IV, la Regina madre Adelaide, a Malta durante la sua visita nell’inverno del 1838. Va detto che Richard William Penn Curzon Howe, il Primo Earl Howe (1796-1870) aveva sposato Anne Gore nel 1845, dopo la morte della prima moglie Lady Harriet Georgina Brudenell. Il padre di Anne Gore, l’Ammiraglio Sir

John Gore (1772-1826), ebbe stretti contatti con l’isola di Malta per averci soggiornato per un certo periodo nel 1794, mentre trattava con Emmanuel de Rohan-Polduc, Gran Maestro dei Cavalieri Ospedalieri, al fine di procurarsi marinai, viveri e tutto il necessario per approvvigionare la HMS Fleche, una corvetta sottratta ai francesi. Gopsall Hall, vicino a Nuneaton, è stata la residenza di Earl Howe, il Gran Maestro Provinciale per Leicestershire e Rutland negli anni cinquanta e sessanta dell’Ottocento; in precedenza Howe era anche stato Gran Maestro Provinciale per il Warwickshire. Gopsall Hall fu demolita nel 1952. Un’altra possibilità è che questi tavoli siano stati riportati da Malta in Inghilterra e nel Nord America da Fratelli, come oggetti per le loro Logge. Bisogna ricordare a questo punto che gran parte dei Fratelli delle Logge maltesi erano militari, prevalentemente appartenenti alla Marina. Infatti, dopo l’indipendenza di Malta nel settembre del 1964 e la dichiarazione della Repubblica nel dicembre del 1974, quasi tutto il personale militare e navale inglese lasciò l’isola e il numero dei Fratelli nelle Logge diminuì in maniera significativa. Osservando il piè di lista della Loggia San Giovanni e San Paolo si nota come molte persone importanti, sia nella politica che nella Massoneria inglese, si siano formate in questa Loggia a Malta. La Provincia Massonica di Malta fu sciolta il 29 marzo del 1984. Durante gli anni settanta e ottanta del Novecento, cinque Logge lasciarono Malta per rientrare nel Regno Unito: Union Lodge of Malta n. 407, Zetland Lodge n. 515, Wayfarers Lodge n. 1926, Waller Rodwell Wright Lodge n. 2750 e Royal Naval Lodge n. 276. Sull’isola sono rimaste, sotto la giurisdizione inglese, solo la Loggia e il Capitolo di San Giovanni e San Paolo. Il 18 novembre del 2004 cinque Logge furono erette e consacrate dalla Grand Lodge of Ireland (in consultazione con la United Grand Lodge of England e la Grand Lodge of Scotland): Sovereign Grand Lodge of Ancient Free and Accepted Masons of Malta. Anche questa potrebbe essere stata un’occasione per trasferire i tavoli in Inghilterra. L’imposizione delle nuove regole della


United Grand Lodge of England può aver contribuito a rendere questi tavoli obsoleti, tanto da ridurli a meri oggetti decorativi per le abitazioni di coloro che li avevano portati con sé. Una storia simile è accaduta con il tavolo olandese16. Si racconta che fu un regalo, non molto gradito, del Principe Lucien Murat (figlio di Joachim Murat, re di Napoli), Gran Maestro dell’Oriente di Francia, al Principe Frederik, nel 1846, in occasione del suo quarantesimo anniversario come Gran Maestro dei Paesi Bassi. Il tavolo era sparito, ma riapparve dopo la Seconda guerra mondiale quando una signora bussò alla porta e disse di avere qualcosa che avrebbe potuto interessare al Grande Oriente dei Paesi Bassi. Ma anche di questo tavolo (attualmente al Museo Massonico a l’Aja) costituito da un piano tondo di marmo e caratterizzato da simboli massonici, si sa veramente poco! Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a questa ricerca, in particolare: David Hughes, Don Peacock e David Sharpe con i quali ho avuto una stretta collaborazione durante quest’ultimo anno; Diane Clements e Peter Aitkenhead della Library and Museum of Freemasonry a Londra. Questo viaggio alla riscoperta delle origini del Tavolo di Leicester ricorda la poesia di C.O. Cavafy “Itaca” la cui conclusione recita “… e se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso./Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso/Già tu avrai capito cosa Itaca vuole significare”. ______________ Note: 1 “Vescica piscis” o “Mandorla” o “Sacro rombo” o “Losanga”, rappresenta la fertilità femminile; un ambiente chiuso e protetto; delimita lo spazio sacro separandolo da quello profano. 2 G. Tassinari, Lettere dell’incisore di pietre dure Francesco Maria Gaetano Ghinghi (1689-1762) ad Anton Francesco Gori, in LANX , 7, 2010, pp. 61‐149 (anche online: http://riviste.unimi.it/index.php/lanx/index. 61). 3 F. Guidobaldi, Sectilia pavimenta e incrustationes: i rivestimenti pavimentali parietali in marmo o materiali litici e litoidi dell’antichità romana, in Eternità e Nobiltà di Materia, a cura di Annamaria Giusti, Edizioni Polistampa, Firenze 2003. 4 Pubblicata in W. Pazowski, Der verklaerte Freymaurer, eine Schrift worinn ihre hieroglyphische

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Zeichen, Worte, Werke, wie sie sollen verstanden, un soweit es thunlich ist, ausgedeutet werden; quest’immagine era già stata messa a stampa nel 1750 (da Runkel in Geschichte der Freimaurer in Deutschland, Band 1, Seite 160, con la nota “Freimaurerische Arbeit um 1750” cioè “Il Lavoro massonico intorno al 1750”). 5 J. Brotton, A History of the World in Twelve Maps, Penguin, ebook 2012. 6 Dal XIV al XVII secolo. 7 Autore francese (1893-1980). 8 R. Guenon, Simboli della Scienza sacra, Adelphi, Milano 1975. 9 A.A. Pisani, A Brief History of Freemasonry in Malta, <http:/www.sglom.eu/history> (03 maggio 2015). 10 A.M. Broadley, The History of Freemasonry in the District of Malta: From the year 1899 Up to the Present Time, London, George Kenning, 1880. 11 Pierre-Yves Beaurepaire, La Franc-maçonnerie en Méditerranée (XVIIIe - XXe siècle): Saint-Jean d’Ecosse de Marseille: une puissance Maçonnique méditerranéenne aux ambitions Européennes, vol. 72, Cahiers del la Méditer-

ranée 2006 (anche online: <http://cdlm.revues. org/1161>) (03 maggio 2015). 12 Ordine dei Cavalieri Ospitalieri: 1099-1284 Palestina; 1284-1305 Cipro; 1305-1534 Rodi; Sovrano Militare Ordine di Malta: 1534-1799 Malta; 1798-1803 Pietroburgo; 1803-1834 Messina, Catania e Ferrara; 1834-a oggi Roma. 13 Walter Rodwell Wright (1775-1826), <http:// www.findagrave.com/memorial> (03 maggio 2015). 14 Nel 1832 si muta dal 673 al 437; nel 1862 dal 437 al 349. 15 A.A. Pisani, A Brief History… cit. 16 A. Van de Sande, Une Table ronde mystérieuse… in Thoth 59, nn. 2-3, 2005. E.P. Kwaadgras, Platte eines Rundtisch, um 1855, in Gunther Duriegl und Susanne Winkler, Freimaurer, Solange die Welt besteht, Museen der Stadt Wien 1992 (Historisches Museum Wien; 165).

P.130: Il piano del tavolo di Leicester; p.131/139: Quadri di Loggia

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ImparzialitĂ Dirittoe segretezza I rapporti associativi, brevi riflessioni in tema di diritto massonico Ivan Iurlo

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Orientamenti comunitari a confronto con le ‘questioni’ regionali friulane e marchigiane. Il 31 maggio 2007 la Corte europea dei diritti dell’uomo tornava nuovamente a pronunciarsi su talune normative regionali italiane riferite all’appartenenza a associazioni massoniche e concludeva, con decisioni lapidarie e inequivocabili, nel senso della palese sussistenza di una lesione dei princìpi di libertà e garanzia dei diritti sanciti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall’Italia con legge n. 848/1955. Ed ancora, se le decisioni della Corte europea assumevano un orientamento a tutela dei singoli membri afferenti alle associazioni iniziatiche, sotto il profilo del diritto interno resta, oggi, da risolvere il problema della piena attuazione del principio di garanzia di quei diritti individuali e collettivi sanciti a livello europeo. Torna attuale la questione Affaire Grande Oriente d’Italia contro Italie, allorquando, la Corte di Strasburgo aveva dichiarato, all’unanimità, che la legge regionale della Regione Marche n. 34/1996 violava taluni princìpi posti a fondamento dell’art. 11 della Convenzione europea dei diritti

dell’uomo in materia di tutela della libertà di associazione. In quella sede veniva individuata, sfavorevolmente, la previsione normativa che considerava l’appartenenza a una loggia massonica come condizione preclusiva della presentazione di candidature a qualsiasi nomina e designazione da effettuarsi da parte degli organi regionali. A parere della Corte europea, per quanto in un dato momento storico la misura legislativa apparisse giustificata da una esigenza legittima perché collegata alla tutela della sicurezza nazionale, la stessa normativa non si proponeva proporzionale a quel legittimo fine perseguito e, comunque, non conforme ai dettami ex art. 11.2 Conv., secondo cui la restrizione della libertà di associazione fosse da richiamare in quelle misure necessarie in una società democratica. Il doveroso strumento del bilanciamento diveniva, così, presupposto fondamentale affinchè fosse chiarito l’orientamento dell’esclusione di taluni individui dalla possibilità di accedere alle cariche pubbliche solo sulla base dell’appartenenza a una loggia massonica e che comportasse una limitazione del diritto di associazione sproporzionata rispetto alle finalità di interesse generale che si intende-

vano perseguire, giacchè l’appartenenza alla Massoneria non costituiva, né costituisce, in sé un comportamento biasimevole. Sul punto, poi, si tornerà. Seppur diverso il caso Regione Friuli Venezia Giulia, le conclusioni sono, comunque, associabili all’orientamento regionale assunto dalla Regione Marche. Effettivamente, la querelle (ricorso 26740/02) rimessa alla Corte europea si distingue da quella sopra richiamata, perché la legge regionale in parola non dispone nei confronti degli appartenenti alla Massoneria l’espresso divieto di presentare la candidatura alle cariche pubbliche di competenza regionale, ma, con altra imposizione, prevede l’obbligo, per coloro che presentino la propria candidatura, di dichiarare l’appartenenza a società massoniche o comunque a carattere segreto; facendo poi conseguire che l’inottemperanza a tale onere costituisce condizione ostativa alla nomina, ovvero preclude la nomina alle cariche regionali, ex art. 55 L. del 2000 che modifica la legge regionale n. 75/1978. Anche nel caso di specie il ricorrente ha ritenuto sussistente una lesione del diritto di associazione previsto dall’art. 11 Convenzione europea, in quanto la presenza 141


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di detto gravame comporta un evidente trattamento discriminatorio in danno degli appartenenti alla Massoneria rispetto agli aderenti a altre associazioni definite, talvolta impropriamente, segrete. Ci pare di aderire all’orientamento proposto dalla Corte europea che non accoglie l’intepretazione del Governo italiano, secondo cui, al fine di sostenere la piena conformità della legge regionale, qui commentata ai precetti della Convenzione, aveva rilevato la diversità di impostazione e di effetti tra la legge marchigiana e quella del Friuli Venezia Giulia. Secondo il parere della Corte, ciò che comporta la violazione della Convenzione è il fatto che la misura limitativa del 142

diritto di associazione non sia conforme al fondamentale princìpio di garanzia dei diritti di libertà, ovvero quel principio di non discriminazione ex art. 14 della Convenzione. È legittimo chiedersi quali le modalità esecutive affinchè possa essere adeguatamente assicurata nel nostro ordinamento la effettiva efficacia delle pronunce della Corte euroepa. Anche nel precedente caso rimesso alla cortese attenzione del lettore, lo Stato italiano è stato condannato con contestuale obbligo a porre in essere tutte quelle misure necessarie al fine di eliminare, nell’ordinamento giuridico interno, le conseguenze del pregiudizio derivanti

dalla discriminazione inflitta. La soppressione della normativa in questione è atto dovuto. E in caso di perdurante omissione? Dobbiamo, qui, affermare che le competenze del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’Uomo sono decisamente più delineate rispetto a quanto previsto con la disciplina regolamentata dalla L. 400/88; spetta a quell’Ufficio promuovere gli adempimenti di spettanza governativa. Il dubbio. La legge è regionale; quindi soggetta al controllo successivo della Corte Costituzionale su ricorso del Governo entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. Ci pare che il tortuoso percorso delle procedure d’urgenza a mezzo decreto legislativo potrebbe essere ovviato attraverso i meccanismi previsti dalla Carta costituzionale ex art. 117 Cost. in caso di inadempienza rispetto all’attuazione degli accordi internazionali e dall’art. 120 Cost. in caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali. Percorso tortuoso? 2 La segretezza. I profili costituzionali. Sembra questa la sede per ricordare che la nostra Carta costituzionale proibisce le associazioni segrete (art. 18) e la legge di attuazione n. 17 del 1982, ratificata a seguito del divenuto famoso scandolo nato dopo la scoperta della loggia massonica Propaganda 2, ha fissato tutti quei criteri per identificare le associazioni segrete, definendole come quelle che anche all’interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali, ovvero rendendo sconosciuti in tutto o in parte e anche reciprocamente i soci, svolgono attività diretta a interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche a ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di esercizi pubblici essenziali all’interesse nazionale (art. 1). È palese che questa definizione corrisponde in modo chiaro a quelle peculiarità che venivano attribuite alla loggia massonica Propaganda 2, piuttosto che a quelle proprie delle associazioni segrete in genere. Si ritiene, ora, approfondire una ulteriore circostanza storica.


Com’è noto la commissione c.d. dei tre saggi concludeva che la Loggia Propaganda 2 fosse da considerarsi associazione segreta, anche perché, avendo fatto istanza al Grande Oriente, nel luglio del 1976, di procedere alla sospensione dei lavori ordinari, assumeva uno status di loggia sospesa, e quale diretta conseguenza tutte le rituali attività, ivi comprese quelle amministrative poste in essere in epoca successiva, sarebbero state illegittime. È possibile oggi affermare che probabilmente la Commissione Anselmi non avrebbe esaminato la questione anche sotto il profilo del diritto massonico. Diverse le conclusioni. Costituzioni e regolamenti sono le fonti del diritto massonico. Nelle prime non si richiamano specifiche posizioni giuridiche afferenti alle logge sospese. I regolamenti trattano la sospensione provvisoria quale provvedimento adottabile nei confronti di logge responsabili di specifiche colpe. Con certezza, la loggia massonica Propaganda 2 non assumeva il rango di loggia sospesa perché non era incorsa in alcuna delle colpe previste dalla carta costituzionale massonica; se di sospensione si fosse trattato, allora nel successivo anno 1977 l’organo di governo del Grande Oriente d’Italia avrebbe dovuto adottare un provvedimento, sicuramente, di scioglimento. Per di più, l’atteggiamento sospensivo avrebbe comportato la c.d. notificazione a tutti gli appartenenti alla loggia perché potessero avvalersi delle facoltà di affiliazione a altra Officina. Fatto non avvenuto, visto che gli associati ricevevano regolarmente le tessere annuali a firma del Gran Maestro Salvini anche nell’anno 1977. Una definitiva prova di quanto sostenuto è data dalla Gran Loggia del 1981 che autorizzava la P2 a riprendere i lavori e che le successive tessere annuali venivano consegnate a firma del Gran Maestro Battelli, il che costituisce ulteriore dimostrazione che il Grande Oriente riteneva legittime le iniziazioni in quella Officina. Allora ci si chiede se alla Propaganda 2, caduta la qualità di loggia sospesa, fosse da attribuirle quella di segretezza. Nel suo significato la segretezza è uno status delle associazioni, indipendentemente dai fini che esse propongano; né trova

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fondamento nella Costituzione l’opinione che per associazioni segrete debbano intendersi solo quelle che, oltre a essere occulte, mirino a fini sovversivi. Peraltro, la legge del 1982 non definisce con chiarezza ogni possibile tipologia associativa riconducibile alla fattispecie vietata dalla Costituzione in quanto caratterizzata dalla segretezza, ma circoscrive, in modo piuttosto meticoloso, la definizione delle associazioni segrete considerate vietate ai sensi della legge stessa. Detto aspetto preclude che una qualsia-

si associazione che non presenti i predetti requisiti collegati alle finalità, anche indirittamente sovversive, possa essere assoggettata alle procedure di scioglimento. È altresì evidente come gli appartenenti a associazioni diverse da quelle espressamente vietate dalla legge non possano essere sottoposti alle misure sanzionatorie richiamate dalla Legge Anselmi. A chiarire eventuali e ulteriori dubbi interviene la sentenza n. 12567 del 1995 a firma delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che affronta il delicato pro143


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blema dell’appartenenza dei magistrati alle logge massoniche e che in anni recenti ha dato luogo a diverse pronunce, in sede disciplinare, a firma del Consiglio Superiore della Magistratura e delle stesse Sezioni Unite. Su questo tema, devono richiamarsi le sentenze della Sezione disciplinare del C.S.M. che hanno affermato la responsabilità disciplinare dei magistrati iscritti a logge massoniche segrete e le successive decisioni della Corte di Cassazione che hanno confermato l’indirizzo. Le decisioni, intanto, hanno affermato il carattere prescrittivo dell’art. 18 Cost. in relazione alle logge massoniche segrete dalla L. 17/1982. Dalle pronunce, poi, si riscontra il rilievo 144

disciplinare dell’affiliazione dei magistrati alle logge che agiscono in modo occulto, dal momento che l’immediata operatività della richiamata norma costituzionale trova il suo completamento nell’art. 18 della legge sulle guarentigie della magistratura. La sentenza a firma delle SS.UU. affronta per la prima volta il tema dell’iscrizione del magistrato alla Massoneria ufficiale. Il S.C. è stato chiamato a decidere sul ricorso presentato dal magistrato condannato alla sanzione della censura dalla Sezione disciplinare del C.S.M. per la sua appartenenza a una loggia del Grande Oriente d’Italia nel periodo 1986-1990, e cioè in una fase antecedente alle deliberazioni del plenum del C.S.M. del 22 marzo

1990 e del 14 luglio 1993 con le quali l’organo di autogoverno dei giudici affermava la propria competenza a valutare l’assunzione di vincoli, da parte dei giudici, che si sovrapponevano al dovere di fedeltà alla Costituzione, di imparzialità e indipendenza. È consolidato, oggi, l’orientamento per cui questi valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento del magistrato. La tutela dei valori della giurisdizione esige che ai magistrati sia inibita non solo l’appartenenza a associazioni segrete, ma anche l’affiliazione a associazioni che prevedono vincoli di gerarchia, solidarietà che si sovrappongano ai valori di indipendenza e imparzialità. 3 ... a proposito di indipendenza e imparzialità. Di diverso orientamento il Giudice milanese che con sua ordinanza del 24 novembre 2008 ha rigettato un’istanza di ricusazione sollevata nel corso di un procedimento arbitrale in ragione della comune appartenenza di un arbitro e di una parte all’Opus Dei. Nell’occasione, peraltro, si è cercato di chiarire, con esiti negativi nel caso dell’Opus Dei, il senso di quegli altri rapporti di natura associativa, che, legando una delle parti all’arbitro, ne consentono e giustificano la ricusazione se e quando ne compromettano l’indipendenza. Nella ordinanza si è pure insistito su un profilo di frequente messo in luce e ribadito in materia, e cioè se l’arbitro, oltre a essere immune da vincoli di dipendenza, appaia altresì indipendente agli occhi dei terzi. Nel merito il Giudice milanese esclude che la comune appartentenza a un’organizzazione di singolare natura, come l’Opus Dei, possa compromettere l’indipendenza dell’arbitro. Che si tratti di una istituzione facente parte della struttura gerarchica della Chiesa, governata da un vescovo munito di poteri di direzione spirituale, e non di un’associazione di individui sorta per trattare affari comuni, libera di organizzarsi e governarsi secondo le esigenze della maggioranza degli associati non è contestazione sufficiente a escludere che si tratti di un rapporto di natu-


ra associativa, da intendere nella larga accezione dell’art. 815, comma 1, n. 5 c.p.c. Ma è sul punto concreto della visione del lavoro professionale di ciascun membro come santificante, e in tale prospettiva posto alla base del vincolo di comunione e della stretta coesione dei componenti, che il Tribunale nega ogni compromissione dell’indipendenza. Si discute, in questa sede, di questioni societarie e, quindi, di interessi di mera natura patrimoniale, e un lavoro santificato coincide in questo campo con il giusto componimento degli opposti interessi economici, non con l’attribuzione di vantaggi a una parte che condivide gli stessi ideali religiosi ma non li mette in pratica. Poiché sarebbe contraria al principio di santificazione del lavoro professionale dell’arbitro l’affermazione della liceità di un comportamento sociale scorretto, l’ordinanza finisce anzi per muoversi, senza nasconderlo, sul filo sottile del paradosso: si può affermare che l’arbitro più adatto a giudicare se il lavoro professionale di un componente dell’Opus Dei è stato santificato, sia proprio un fedele della Prelatura. La storica risposta dell’allora Ministro degli Interni on. Scalfaro alle interrogazioni e interpellanze relative alla segretezza dell’Opus Dei e alle conseguenze di cui poteva, essa, incorrere ai sensi e per gli effetti della speciale normativa dettata con la L.18/1982, è un documento meritevole di attenzione. L’intervento dell’on. Scalfaro contiene dati significativi sulla nascita dell’Opus Dei: fondata nel 1928 in Spagna e riconosciuta come pia unione secondo il diritto canonico nel 1943 dal vescovo di Madrid, nel ’47 l’organizzazione fu poi eretta in istituto secolare di diritto pontificio e nel 1982 in prelatura personale con l’approvazione del Codex iuris particularis che ne rappresenta lo statuto; con quella qualifica passò sotto la competenza diretta del Papa, ne venne confermato il carattere dell’internazionalizzazione, le venne assegnata Roma come sede centrale. Secondo le conclusioni proposte dal Ministro Scalfaro, l’Opus Dei non è segreta né in linea di diritto né in linea di fatto; il dovere di obbedienza riguarda esclusivamente materie spirituali; non vi sono di-

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ritti e doveri oltre quelli previsti dal Codex iuris particularis, e anche questi sono di natura strettamente spirituale. Lapidaria, poi, la motivazione dell’ordinanza che porta la firma del Giudice milanese: Nessuno dei requisiti voluti dall’art 1 della L. n. 17/82 perché un’associazione possa ritenersi segreta si attaglia all’Opus Dei, né sotto il profilo della sua organizzazione, né sotto il profilo delle sue regole, né relativamente alle attività poste in essere. Quanto poi all’organizzazione e alle sue regole, prosegue la motivazione, è noto che l’art. 1 della Legge n. 17/1982 ipotizza in proposito una serie di alternative. Vi è quella dell’occultamento della stessa esistenza dell’associazione; l’ipotesi, con riguardo all’Opus Dei, è talmente priva di riscontro da non richiedere alcuna particolare osservazione. Vi è anche quella del tener segrete congiuntamente finalità e attività sociali: anche qui siamo fuori di ogni riscontro nella realtà, essendo chiare e proclamate le finalità e le attività sociali dell’Opus Dei nel campo della formazione religiosa, secondo le direttive spirituali del capo della Chiesa cattolica e in assonanza con la sua opera ecumenica; e per quanto attiene ai fedeli non religiosi l’Opus Dei … se ne propone la santificazione attraverso l’esercizio delle virtù cristiane nello stato, professione e condizione di vita di ciascu-

no, precludendosi però espressamente di dar loro scelte in materia professionale … Vi è ancora quella di rendere in tutto o in parte, e anche reciprocamente sconosciuti i soci; ma neanche sotto tale profilo l’Opus Dei può qualificarsi come associazione segreta; né secondo la Costituzione né secondo la legge vigente possa pretendersi difatti che un’associazione, per essere lecita e non segreta, sia tenuta a pubblicizzare all’esterno l’identità dei propri associati; divieto di segretezza non significa obbligo di pubblicizzazione. L’estensore non può non aderire all’orientamento che il Giudice milanese propone, ma ci si chiede anche se la questione possa riguardare altre associazioni che rappresentino le medesime formali peculiarità sopra descritte e non pare azzardato citare anche le associazioni massoniche, le cui caratteristiche, appunto, nella forma, ben rispondono a quanto riportato in quella motivazione che rigettava l’istanza di ricusazione dell’arbitro perché, così come una delle parti ritualmente coinvolte nell’arbitrato, appartenente all’Opus Dei. Le conclusioni all’attento lettore.

P.140: Varie rappresentazioni della Giustizia; p.141: Strasbourg, Corte dei Diritti dell’Uomo.

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Meeting di Atene Resoconto e riflessioni Veronica Mesisca

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o avuto il piacere di assistere al Meeting di Atene presieduto dalla Gran Loggia Mista di Grecia, che comprendeva il XV incontro dell’Unione Massonica del Mediterraneo e il VI incontro Nazionale dei Giovani Massoni. Ricordo a tutti Noi che l’Unione Massonica del Mediterraneo è nata nel 2000 su progetto del Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia Franco Franchi con l’intento di creare un centro d’unione tra le Obbedienze Massoniche liberali che vivono e operano nei Paesi del bacino del Mediterraneo, mediante un ritrovo annuale per discutere su tematiche comuni e proporre progetti al fine di promuovere la convivenza civile tra i popoli. La Consulta Nazionale dei Giovani Massoni, invece, è un organo della Nostra Obbedienza istituito dal Serenissimo Ex Gran Maestro Luigi Pruneti come aggregazione di Liberi muratori che, a prescindere dal grado massonico, non abbiano ancora compiuto 40 anni di età. Secondo statuto, la consulta crea opportunità d’incontro tra i giovani in maniera non rituale, con l’obbiettivo specifico di agevolare la nascita e l’evoluzione di relazioni umane; si propone di realizzare eventi di solidarietà e, sebbene sia prevista una struttura organizzativa e gerarchica, essa ha puro scopo funzionale, pertanto gli incarichi affidati ai fratelli non prevedono cariche rituali collocate nell’ambito della Piramide iniziatica. Per i Giovani Massoni presenti in Loggia ritengo opportuno informarli che, allo stato attuale, il Coordinatore Nazionale è il Risp. Fr. Simone Dionisi della R.L. Delta all’Oriente di Bologna e il Coordinatore Regionale dell’Emilia Romagna è la Risp. Sr. Laura Conti, membro della medesima Loggia. Partecipare o meno ai ritrovi organizzati dalla Consulta è a libera discrezione dei Giovani Muratori, gli Apprendisti possono non essere accompagnati da un Maestro, sono però invitati – come tutti Noi – a comunicare la loro eventuale presenza e/o partecipazione ai lavori della Consulta al proprio Maestro Venerabile, sebbene si tratti di ritrovi non rituali. Per quanto riguarda il Meeting, nella capitale greca il tema “Il nuovo ordine mondiale attraverso gli occhi dei Giovani Massoni del Mediterraneo. I giovani sognano

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la loro Utopia” è stato trattato dalle Obbedienze di: Grecia del Sud e Isole, Romania, Polonia, Brasile, Italia e Regione Attica. Un incrocio di storia e cultura, una ricerca nel passato per gli strumenti necessari a costruire l’Utopia del Futuro … un’Utopia che, come ha ricordato il Nostro Ven.mo e Pot.mo Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro, non deve essere intesa quale sogno irrealizzabile, ma come un progetto concreto da costruire e da volere “con forza”, secondo quanto sottolineato dal Coordinatore Nazionale della C.G.M. Simone Dionisi, nel rispetto delle parole del Sovrano.

Il disegno di questa Utopia non ha impegnato solo i giovani, ma ha inevitabilmente coinvolto anche i Maestri delle Obbedienze del Mediterraneo, i quali hanno portato in tale sede il tema dello “sforzo comune per un progresso umanitario dei paesi di cultura mediterranea”. Paesi, appunto, frutto della cultura di quel mare “di 2.970.000 km2, in cui sono nati dei e demoni, angeli e diavoli”, secondo le testuali parole del Gr. Maestro della Gran Loggia Mista di Grecia Panagiotis Moutzourakis. Un mare “misticamente consacrato” da acqua, sale, sangue e sudore di “milioni di anime umane che appaiono con le sembianze di antichi gre147


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ci, egizi, romani, ebrei, […] crociati, pirati, commercianti veneziani, ottomani turchi.” Egli ha esortato allo studio e alla ricerca nel passato comune, poiché “le sacre acque e le sante terre di Atene, Roma, Gerusalemme, Kirinia, Knosso, Rodi, Napoli, Siracusa, Tangeri, Marsiglia, Venezia, Antioca, Barcellona, Karchidona, Tripoli, Alessandria, Acri, Smirni, Istanbul ed innumerevoli altre città, nascondono ancora grandi segreti della vita, dell’evoluzione, della morte e della resurrezione”. Una resurrezione necessaria visto che, ad oggi, la realtà sociale sta trasformando la culla della civiltà in una “tomba permanente” come definita dal nostro Gr. Maestro Antonio Binni, il quale ha aperto la Sua orazione ricordando – col cuore, come nel senso antico – che le navi, che nei secoli hanno solcato le acque del nostro mare, hanno trasportato, non solo merci, ma anche e soprattutto idee, lasciando così tracce … tracce divenute però profonde come abissi quando tali navi hanno trasportato ideologie. Ecco quindi il mare che “separa e unisce”, il mare che, secondo il Gr. Maestro Aggiunto di Grecia Tekli Poulouki, è il luo148

go in cui “il Massone di oggi trova un ambiente adeguato per mettere in pratica gli insegnamenti della Libera Muratoria: il modo in cui la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza si manifestano nell’intelletto, nell’anima e nello spirito”. Un mare quindi – mi permetto di aggiungere – che, fornendo opportunità di mettere in pratica, nel contempo necessariamente mette alla prova i principi fondamentali della Nostra Obbedienza e noi stessi … un’acqua che si fa specchio per riflettere, per ribaltare la prospettiva nello speculare, rammentandoci così che anche un disegno comune è diversamente leggibile dalla realtà da cui lo si osserva, come evidenzia l’antica carta geografica del Mediterraneo Rovesciato custodita a Baghdad. In questo luogo di incontro di popoli, l’Ordine ospitante i lavori ha voluto ricordare il naufragio di Anticitera del I sec. a.C., con il relativo carico che includeva capolavori d’arte e di tecnologia ancora più antichi, come il meccanismo attualmente conservato nella collezione di bronzi del Museo Archeologico Nazionale di Atene, originariamente costruito in ottone e progettato per calcolare i mo-

vimenti dei corpi celesti allora conosciuti. Questa macchina è il più antico calcolatore meccanico conosciuto: risale probabilmente al II sec. a. C. e, sebbene ci siano diverse ipotesi circa la sua origine, ad oggi non si conosce esattamente la terra del Mediterraneo di provenienza poiché è ignoto il porto dal quale è salpata la nave naufragata. Un naufragio, quello di Anticitera, come tanti, troppi, di ieri e di oggi … naufragi che, in quanto tali, sono forma di frattura, segno di quel solco abissale ricordato dal nostro Gran Maestro che si traduce in inevitabile perdita … sia qualora il carico consista in d’opere d’arte, di tecnica, di cultura, come evidenziato dalla Gran Loggia Mista di Grecia, sia – mi permetto di aggiungere - qualora il carico consista solamente di vite umane. Un invito a riflettere quindi sul passato, sul perduto e il ritrovato, ma soprattutto sulle modalità con le quali è possibile rialimentare quel filo conduttore che, come corda nodata, unisce una cultura figlia delle stesse acque, pertanto necessariamente fraterna. È difficile riportare le somme di un meeting che accoglieva Obbedienze appar-


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tenenti a Francia, Italia, Grecia, Turchia, Spagna, Libano, Lusitania, Marocco, Portogallo, Romania, Croazia, Brasile, annoverando qui sia i Paesi delle diciotto Obbedienze dell’Unione Massonica del Mediterraneo, sia quelli delle presenti che non ne sono parte. I lavori si sono svolti in serenità, pur nella difficile convergenza di punti di vista talvolta discordanti circa l’impegno massonico in una realtà sociale attualmente in estrema difficoltà … in una realtà geograficamente posta ai piedi di una Europa che sembra disinteressata alle sue radici, lasciando così – almeno secondo il nostro Gran Maestro – ai Liberi Pensatori il compito di restaurarne le basi, nella definizione appunto di questa Utopia Unitaria. Ai Maestri la Tavola da Disegno, ai Giovani la costruzione attiva. Poiché, come detto, riportare la somma complessiva di tutti i diversi punti di vista al fine di illustrare ogni singolo lato dell’opera ridurrebbe forse il mio lavoro a un riassunto necessariamente parziale, ritengo più consono riportare in Loggia la parola che è stata effettivo comune denominatore dei lavori: éducation. Educazione intesa dagli Oratori come

strumento indispensabile affinché si possa sperare in una qualsiasi forma di integrazione. Educazione che, citando il Nostro Gran Maestro, “è nostra responsabilità, perché le dittature possono rompere le penne, bruciare i libri, ma non possono impedire alla mente umana di pensare, di conoscere, di eliminare il desiderio di interrogarsi e approfondire. I fondamentalismi di tutte le religioni infatti non temono eserciti, né bombe o altre armi, poiché essi li possono comunque combattere. Temono invece la scuola e l’educazione perché aprono la mente delle persone e promuovono il senso critico.” Educazione quindi necessariamente rivolta a tutti… rivolta a quel todos che in un Brasile composto da una società divisa in tribù indigene dell’Amazzonia e cittadini abituati alle moderne tecnologie non è poi un todos di semplice realizzazione… eppure proprio lì, in Brasile, quando il todos prende forma, germoglia in Logge miste di diversi colori e idiomi… germoglia in Logge che, dalla loro realtà oltre Oceano, hanno portato in offerta alla Tavola del Mediterraneo una educación masónica esercitata fuo-

ri dal tempio no como proselitismo, sino como una escuela. E dall’educazione polietnica del Sud America, al concetto formativo della Francia, che ha, invece, ritenuto importante servire al Tavolo dell’Utopia i propri antichi valori intimamente legati al motto repubblicano quale impegno alla democrazia, non mancando di evidenziare l’importanza della laïcité, forse – mi permetto di aggiungere – in questa particolare sede, non quanto forma di assenza del divino, ma come condanna contre toute les ingérence religieuse… Eppure, tra quei todos o tous o όλοι che dir si voglia… tra quei tutti tanto diversi da educare, da accogliere, da ricordare e da portare in salvo sull’Arca di questa Utopia, il Nostro Serenissimo Gran Maestro ha ritenuto opportuno sottolineare il fatto che l’educazione deve essere prima e soprattutto rivolta alle donne e non per motivi storici, etici o sociali, non per galanteria o spirito cavalleresco, ma per un motivo estremamente logico: le donne sono quelle che alleveranno, quindi educheranno, i figli del futuro. Una donna non educata, non può educare. Da queste parole nasce una perso149


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nale riflessione: diciotto sono le Obbedienze membri della Unione Massonica del Mediterraneo. Di queste, sei sono Obbedienze femminili, nate in Marocco 2008, Spagna 2005, Portogallo 1996, Turchia 1991, Francia 1945, Italia 1990. Immagino che, negli anni della Grande Guerra, nei paesi dell’Europa Occidentale, l’affermazione sociale del ruolo della donna abbia portato alla nascita di Obbedienze prettamente femminili, non in contrasto, ma di necessaria complementarietà alle pre-esistenti Obbedienze rigi150

damente maschili … così come, recentemente, tale fenomeno si stia ovviamente ripetendo in quei paesi del bacino Mediterraneo come Marocco e Turchia ove la donna non ha ancora pienamente acquisito il ruolo moderno da noi concepito. Ma vorrei portare all’attenzione il fatto – a puro titolo di esempio di un fenomeno ben più ampio – che solo dieci anni fa in Spagna è stata fondata un’Obbedienza femminile … quindi ancora oggi in Paesi considerati moderni e democratici vengono fondati Ordini che per statuto

escludono gli uomini. Forse questo accade perché, finché continueranno a esistere Logge maschili, per equilibrio, l’Ordine Universale esige la nascita di Logge femminili. Questa ipotesi, però, implica una reazione anacronistica a una tradizione Occidentale che ha storicamente stabilito la disparità proprio tramite il ricordato mezzo educativo, basti pensare alla riforma Carolingia prima e Gregoriana poi. Ritengo non sia comunque da confondere una tradizione sociale schiava del


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passato, poiché preciso frutto di eventi storici locali, con la tradizione iniziatica che, essendo di natura prettamente simbolica, trascende i tempi e le epoche. Mi pare, quindi, profano disquisire anche della tradizionale nascita della Libera Muratoria come Obbedienza maschile, dal momento che si tratta sempre di eventi storici, sicuramente determinanti – e purtroppo discriminanti – ma comunque dettati da un mondo esterno al Tempio e ai suoi simboli, che, come è noto, risalgono sicuramente a prima della stessa nascita delle nostre Obbedienze. A titolo di esempio, circa 2200 anni prima della nascita delle moderne Logge Massoniche, il Maestro Teano insegnava agli Iniziati la parità del numero quattro rappresentabile in una scacchiera quadrata. Pertanto, se la Libera Muratoria ha come obbiettivo il Progresso, sia esso del singolo o del collettivo, non dovrebbe permettersi catene storiche né sociali, concedendo il perpetrarsi di una tradizione che non sia di natura prettamente simbolica, pena appunto il mancato Progresso che tanto anela. Pare quantomeno discutibile, oggi in Europa, la nascita di Obbedienze che escludano il genere maschile, sia che i motivi risiedano in cause storiche, sociali, culturali, sia fossero anche solo di natura intima dell’individuo, magari legate a quelle implicite paure viscerali del diverso che, citando Bertrand Russell, sono

sempre “principale fonte di superstizione e di crudeltà”. Non a caso, forse, il filosofo-matematico ritiene necessario specificare che “vincere la paura è l’inizio della Saggezza” … solo il principio, quindi, del lungo viaggio verso Oriente. Al di là dei motivi dettanti la nascita di Logge femminili in quei paesi Occidentali ove le Iniziate potrebbero lavorare in Logge miste, limitandoci ora solo a considerare le Obbedienze membri dell’Unione Massonica del Mediterraneo, almeno una domanda pare lecita: com’è possibile che al Tavolo di questa Utopia di Unità ove si parla con tanto fervore di demolire muri razziali, barriere ideologiche e fanatismi religiosi, siedano Obbedienze che non ammettono per statuto l’accesso al Tempio che porta inciso al suo cospetto Libertà – Uguaglianza – Fratellanza alla metà della popolazione umana? Sicuramente questo ha un senso in un mondo profano ove la parità dei sessi è tutt’ora incompiuta e che inevitabilmente influenza la costituzione degli Ordini Iniziatici … tuttavia, ritengo incomprensibili e logicamente contraddittori gli interventi di Obbedienze che di fatto escludono metà degli individui, salvo difendere poi a parole le minoranze. È infatti paradossale pensare che mio Fratello può essere Venezuelano, parlare lo Spagnolo e avere la pelle olivastra, ma non può essere di genere maschile per poter accedere al Loro Tempio e ri-

cevere il Loro indubbio sapere iniziatico, la loro éducation massonique. Non si tratta di tolleranza, né di benevola accoglienza. Qua, nel Tempio ove tutto è Perfetto, si tratta necessariamente di Giustizia. Giustizia richiamata simbolicamente dai giovani di Grecia – come illustrato poi dal Nostro Gran Maestro – con la Σ delfica posta all’uscita del Tempio a Suo compimento. Tempio ove la Giustizia tradizionalmente veste l’abito armato del Logos, spartana tessitrice di opposti che, in quanto tali, sono necessariamente diversi … diversi per razza, idioma, etnia, sesso o cultura, poco importa … comunque elementi diversi che la Dea non rende uguali, ma parimenti integra per dar luogo alla Sua tela, a quella Unione Utopica maestrale, che, nella sua neutralità, è atomicamente stabile, quindi capace di sussistere in Pace. Una Pace di cui, ad Atene, a conclusione dei lavori, si sono potuti vedere i colori nel nastro arcobaleno che, passando tra le mani dei giovani, racchiudeva tutti i Liberi Muratori presenti, ma di cui non si è ancora potuta definire una forma … forse un cerchio, forse … ma con tanti spigoli ancora da smussare.

P.146: Efebo; p.147: Poseidone; p.148/149: L’Eretteo e Atene dall’Acropoli; p.150/151: Tramonto a Capo Sunio, Atene; p.150: L’Acropoli di Atene e, sulla destra, il Lykavittos, la “collina dei lupi”; (p.148/149, 150 e 151, foto di P.Del Freo).

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Domenico Maiocco. Lo sconosciuto messaggero del colpo di Stato Antonino Zarcone, Prefazione e introduzione di A. A. Mola e L. Pruneti, Annales Edizioni, Roma 2015, pp. 359, con appendice iconografica, €. 16,00 hi era Domenico Maiocco? Una persona qualunque, sconosciuta ai più. Solo pochi cultori di Massoneria lo conoscono per il suo impegno nella ricostruzione della libera muratoria nel secondo dopoguerra. Maiocco è, pertanto, un nome, solo un nome che non evoca niente, che non suscita emozioni, è un umile dato anagrafico, relegato in un angolo di una nicchia della storia. Perché, dunque, affannarsi per ripercorrerne la vicenda, perché penare per delinearne una biografia? Il fatto è che Domenico Maiocco non solo fu un silente ma puntuale e attento tessitore, un esponente di secondo piano, tuttavia fondamentale, nelle vicende della storia italiana massonica e “profana”, ma anche il testimone prezioso di parte del “secolo breve”. A questo si aggiunga che ripercorrere la sua vita significa […] aprire una finestra temporale, affacciarsi sull’orizzonte degli eventi e riviverli in prima persona. Domenico Maiocco, piemontese di Cuorgné, non fu un eroe, una figura ciclopica, le cui gesta vennero incise col fuoco sulle lapidi della memoria collettiva, egli rappresentò il prototipo dell’italiano comune,

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non si trova gloria, sacrificio, temerarietà nella sua esistenza. Partecipa alla grande guerra come ufficiale di complemento ma dopo un breve periodo di permanenza al fronte, passa il resto del conflitto fra ospedale e convalescenza; è un antifascista ma non si espone mai, tanto che richiede, senza successo, l’iscrizione al partito di Mussolini, è massone fin dal maggio del 1923, ma dopo poco più di due anni, sparendo l’Istituzione, si ritrova in sonno e quando si risveglia viene subito elevato al 33° ed ultimo Grado del Rito Scozzese, diventando così un esponente di spicco piano della “Massoneria Unificata”. Oppure egli conosce, briga, partecipa e, seguendo le sue tracce, non solo incontri personaggi famosi ma rivivi momenti e situazioni, ripercorri il gran fiume della storia, dove scorrono milioni e milioni di vicende simili alle sue. Tallonando una comparsa l’autore giunge sul palcoscenico dove recitano i protagonisti della comédie humaine e, così facendo, scansiona spaccati del nostro passato, scruta momenti drammatici, varca soglie epocali, ricostruisce ambienti e situazioni socio – culturali. Di conseguenza leggendo Domenico Maiocco. Lo sconosciuto messaggero del colpo di stato di Antonino Zarcone rivivi il periodo immediatamente successivo al primo conflitto mondiale con gli scontri fra fascisti e antifascisti, fra gli squadristi e gli “arditi del popolo”, mentre la vecchia nomenklatura liberale andava a pezzi, ti immergi nell’Italia degli anni del regime, conformista e conformata, come ben dipinse in un film del 1970 Bernardo Bertolucci e, infine, rivivi la Roma della primavera-estate del 1943, con gli alleati che avanzano e il regime in agonia, mentre nei salotti romani e a corte s’intrecciano mille complotti, orditi ora dalla Principessa Maria José, ora da Giuseppe Cambareri, ora dal fatuo Galeazzo Ciano. Questo libro è, di conseguenza, un notevole lavoro storico, ove Domenico Maiocco rappresenta un filo d’Arianna che ti conduce nel labirinto del tempo, inducendoti a vivere dall’interno le vicende e a comprenderne i protagonisti. Il tutto è supportato da un’accurata ricerca scientifica, condotta su una vasta bibliografia e su un repertorio notevole di fonti, come testimonia il puntuale ed esaustivo apparato delle annotazioni. Il libro di Antonino Zarcone, Domenico Maiocco. Lo sconosciuto messaggero del colpo di stato è, perciò, un’opera su un uomo che diventa, strada facendo, un’indagine su un popolo in uno dei momenti cruciali della sua storia, quando il progetto risorgimentale naufragò definitivamente per lasciar posto a un “nuovo corso” che, ancora oggi, non sappiamo bene dove ci porterà (dall’introduzione di L. Pruneti). La Redazione

Anima Nera Equinozi – Solstizi

G.Lanzo, Il mio libro Roma, 2014, pp. 106 el De Magia naturali Giordano Bruno afferma che Dio occupa il gradino più alto della scala entium, egli è “puro atto, potenza attiva, luce purissima” alla quale si oppone la materia, il passivo, le tenebre. Ma è vera opposizione? In realtà, spiega il Nolano in Lampas triginta statuarum i due estremi non sono gli attori di una cosmologia manichea di un polemos teologico, sospeso fra polarità antitetiche, essi sono dei complementari: l’uno esiste in virtù dell’altro e il creato è il frutto della loro sinergia. Le tenebre costituiscono la potenza passiva e solo grazie a loro la luce può diffondersi e penetrare l’universo, cosicché gli apparentemente opposti sono in realtà parte integrante di quella stessa lux infinita di quell’Uno che è “al tempo stesso assolutissima libertà e assolutissima necessità, luce immensa e Dio nascosto, splendore infinito e abisso profondo”. Il sole che ogni mattina sorge a Oriente è solo l’orizzonte del manifestato, oltre … al di là dei confini del percettibile, vi è il Sol Niger, dimensione incontaminata di ciò che è in fieri. L’astro oscuro è un vasto grembo che accoglie tutto ciò che ancora non è ma che potrebbe essere, è il ricettacolo del potenziale che pulsa oltre la muraglia degli eventi. Talvolta, alcuni uomini superano quel muro e procedono come il IX Arcano alla ricerca della via che si apre oltre le mura della Città di rame, oltre i velami dell’apparente. Sono gli argonauti dello spirito, capaci dell’Elévation cantata da Baudelaire nei Fleurs du Mal: “Au – dessus des étangs, au – dessus des vallées, / Des montagnes,

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des bois, des nuages, des mers, / Par delà le soleil, par delà les éthers, / Par delà les confins des sphères étoilées, / Mon esprit, tu te meus avec agilité, / […] / Avec une indicible et male volupté”. In Anima Nera-Solstizi Giovanni Lanzo è un inquieto Odisseo che seguendo il tiaso del Dio straniero, varca la soglia dei misteri avendo per Soror Mystica la poesia. Egli cerca l’arcano mentre “Luce e tenebre / Avvinghiate / Nell’Oblio del divenire / Intagliano le sorti / su tavole di cera”. Lo trova o meglio l’intuisce in una quotidianità che dalla sua apparente banalità esala la ferocia del male di vivere, essuda lo spleen dell’esistere, irradia la speranza e l’attesa di un domani che mai verrà. Poesia purissima la sua che procede per versi sciolti, la cui musicalità è spesso sostenuta da assonanze e che si avvale, di volta in volta, di apoftegmi, di catacresi o di altre figure retoriche. Il ritmo è incalzante, scandito da una drammaticità di quadri che si susseguono violenti e raffinati: “Camuffato di fango / Sciolgo le vene / Imbrigliate dal vento / Nella notte abbandonata / Le luci dei carri / Irrompono la mente / […] / Nuda corri / di freddo vestita / La pioggia stridente / Scheggia il tuo viso / Tra le latrine del mondo / Furente, grugnisce il vecchio”. Non manca nell’opera poetica di Giovanni Lanzo il senso dello sperimentalismo espresso ora col ricorso all’immagine che accompagna la lirica, ora coll’inserimento nella stessa da una rigo di pentagramma o di una frase in arabo. In questo il nostro dimostra di cogliere la lezione di uno dei più grandi poeti del Ventesimo secolo di Ezra Pound. Nei Canti Pisani egli scrisse: “Ora che all’alba il sole ne ha imprigionato l’ombra / Questo soffio avvolge interamente le montagne / splende e divide / […] / sovrastando la terra colma i nove campi / fino al cielo”. La poesia di Giovanni Lanzo, sul tracciato di quella di Pound ridisegna l’universo, ricercando nel “doloroso amore della vita”, una smarrita armonia. [Il Primo volume di Anima Nera, Equinozi, è stato editato nel 2014, il secondo, Solstizi è in fase di pubblicazione, ndr]. Luigi Pruneti

La mente creativa.

F.Morino Abbele, M.R.Tarsi, a cura di Angela Gangeri, FrancoAngeli, Milano 2006, pp. 190. onsiderare questo testo come un semplice manuale destinato a psicologi e psicoterapeuti sarebbe riduttivo; le autrici Francesca Morino Abbele e Maria Rita Tarsi con Angela Gangeri, la curatrice, presentano il metodo della “psicoanimazione”, termine coniato dalla stessa prof.ssa Morino Abbele nel 1971. Si tratta di un percorso terapeutico durante il quale lo specialista interviene a livello psicologico, culturale, olistico basandosi “sull’utilizzo interdisciplinare di tutti i linguaggi per la comunicazione e l’integrazione sociale, al fine di favorire l’espressione creativa di ciascun individuo [...]”; “è, pertanto, una metodologia di ricerca intorno a se stessi e al mondo dei rapporti affettivi e sociali che circondano ogni essere umano”. Il volume è strutturato in tre parti: la prima, curata interamente dalla professoressa Morino Abbele, si apre con una bella introduzione che fornisce al lettore anticipazioni sulla base teorica e sui modelli sottesi alla psicoanimazione, successivamen-

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prensione a un pubblico di non “addetti ai lavori”, la terza, dedicandosi alla descrizione di episodi di vita raccontati nel corso di reali sedute di psicoanimazione, ha indubbiamente un maggior potere di attrazione nei confronti del lettore, seppur estraneo al mondo della psicoterapia. È da osservare altresì che l’uso consapevole di un linguaggio specialistico e di una terminologia adatta alla disciplina trattata non ha impedito alle autrici di impegnarsi nell’agevolare la lettura del testo; i periodi risultano scorrevoli, non eccessivamente lunghi, ben distinti ma al contempo connessi tra loro. La suddivisione del volume in tre parti ulteriormente scandite da capitoli e sottocapitoli, di cui si dà conto nell’indice iniziale, agevola notevolmente la ricerca dei punti di interesse da parte del lettore rendendo il testo ordinato e logicamente consequenziale. Adriana Alessandrini

te approfonditi con spiegazioni e riferimenti continui ai pilastri della psicoanalisi, quali Freud, Jung, solo per citarne alcuni. A chiusura di questa prima parte è inserita un’attenta disamina delle emozioni che coinvolgono la sfera umana e dei conflitti interiori che ne conseguono. La parte seconda si apre con un capitolo, opera di Maria Rita Parsi, dedicato alla descrizione dei principi che animano la psicoanimazione e al ruolo del terapeuta, con un lungo excursus storico sulle origini e sul conseguente sviluppo di questa metodologia. Della stessa autrice è anche il terzo capitolo rivolto alla spiegazione delle tecniche principali che caratterizzano la terapia, mentre nel secondo Angela Gangeri inserisce alcune riflessioni sul metodo della psicoanimazione, esaminandone con attenzione e criticità le varie fasi. L’ultima parte del volume presenta in concreto alcune tecniche della terapia: la professoressa Parsi e la psicoterapeuta Daniela Di Veroli illustrano infatti diversi casi clinici da loro stesse analizzati mostrando così al lettore le possibili applicazioni di tale metodologia. Se da un lato le prime due parti del volume possono risultare di difficile com-

Gli Iniziati. Il linguaggio segreto della Massoneria

Luigi Pruneti, Arnoldo Mondadori Editore spa, Milano, 2014, pagg. 3-218 nella Collana “Oscar Mondadori”, euro 10,50. icenzio questa recensione per adempiere il mio personale impegno di richiamare doverosamente l’attenzione sul libro presentato. E ciò per molteplici motivi. I più significativi dei quali sono successivamente esplicitati. Per cominciare perché il saggio presentato è scritto da un Autore di rara competenza nella materia trattata, in quanto la approfondita, non comune, conoscenza dell’argomento affrontato, testimoniata ex aliis dalla sterminata bibliografia puntigliosamente richiamata, risulta coniugata a un’esperienza vissuta nel concreto dal primo gradino della militanza fino al più alto livello. Unicamente ai profani si ha, infatti, l’obbligo di ricordare che l’A. per ben due mandati consecutivi, ha ricoperto il ruolo di Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia degli A.L.A.M. Obbedienza di Piazza del Gesù Palazzo Vitelleschi. In secondo luogo, perché il libro costituisce una felicissima ricostruzione della storia della Massoneria dalle origini medioevali fino ai giorni nostri, così puntuale e rigorosa da non consentire più, a chicchessia, di assumere la veste di improvvisatore sulla materia. Con questa ulteriore specificazione, che la sintesi operata, lungi dal costituire un limite della trattazione, nel caso di specie, si rivela, all’opposto, come un autentico pregio, a motivo che consente di seguire con maggiore facilità l’evoluzione avuta nel tempo dalla fratellanza, sfrondata, inoltre, da tutte le leggende, positive e, soprattutto, negative, che l’hanno via via avvolta nel tempo. In terzo luogo, perché il saggio, oltre a offrire al profano, seriamente intenzionato, la possibilità di assumere la veste di informato, permette soprattutto a tutti i Fratelli una conoscenza, puntuale e rigorosa, anche della simbologia massonica, con una particolare attenzione agli attrezzi di lavoro, desunti, ovviamente, dalla massoneria operativa. Utensili, nell’ottica del recensore, da assumersi come moltiplicatori di potenza morale perché, proprio attraverso il loro impiego sistematico – e, dunque,

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gnalato: un argomento del quale l’A. è conoscitore insuperato. Come attesta pure la sinossi che, di questa tematica, è sintesi preziosa. Contrariamente a quanto siamo adusi comportarci quando recensiamo un’opera, nella circostanza, ci siamo, invece, volutamente astenuti dal dare ampi estratti del testo, proprio per non lacerarne le vesti, solo apparentemente spoglie e dimesse, in realtà, all’opposto, sobrie, immediate, preziose, proprio perché inducono a ri-trasmettere la scienza esoterica, conservando, nel contempo, integralmente, il sacro deposito della Tradizione ortodossa, almeno per chi scrive, una e universale. Antonio Binni

giornaliero – il Libero Muratore, percorrendo la strada faticosa e stretta del dubbio, sarà in grado di realizzare il proprio percorso di crescita interiore con l’approdo finale della liberazione da ogni vincolo culturale, di gruppo, di categoria, e, più in generale, da ogni vincolo esterno, perché l’autoedificazione comporta di essere assudditati solo alla Luce. Al recensore il pregio maggiore dell’opera sembra essere, tuttavia, altro ancora. Come, di seguito, si ha l’obbligo di esplicitare. I Maestri Venerabili, per quanto intenzionati a svolgere la funzione loro demandata, sono, però, spesso in difficoltà nella ricerca di argomenti da trattare in Loggia. Nella scelta dei temi da proporre alla riflessione, specie degli Apprendisti, ai quali va attribuita doverosamente ogni privilegiata attenzione, possono, invece, attingere, con profitto, al testo segnalato. Il che permette al recensore di ravvisare nell’opera un libro istituzionale, nell’accezione propria dell’“instituere”, ossia, di un testo che offre i primi, ma essenziali, rudimenti per entrare nel vivo della materia. Soprattutto per questo la lettura del testo finisce per assumere, all’interno della nostra amatissima Obbedienza, carattere obbligatorio. Da ultimo, ma non per ultimo, si è lieti di aggiungere che il saggio, oltre ad essere scritto in termini limpidi ed eleganti secondo la cifra consueta dell’A., si presenta caratterizzato anche da autentiche preziosità. Per esempio. In un libro dedicato alla massoneria è raro imbattersi nella trattazione della simbologia minerale, vegetale e animale (che può leggersi nel testo da pag. 137 a pag. 168 comprese), con una tale ricchezza e profondità, da rimanere, francamente, ammirati. Un altro esempio ancora. Il “linguaggio massonico” è trattato singulatim con formule ed espressioni semplici, esplicative, anche retoriche. Così, per un semplice accenno, il “segretario”, dimessa la veste paludata di “memoria storica” della loggia, viene proposto nei dimessi panni di chi ha “la responsabilità di conservare e redigere tutti i documenti della loggia, a iniziare dai verbali delle tornate”. Per concludere, è d’obbligo, quanto meno, un accenno al tema della ostilità “di ieri e di oggi verso la massoneria” al quale risulta dedicato il capitolo terzo del libro se-

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Siamo Extraterrestri! Presenze aliene nel passato dell’umanità e nel nostro futuro Roberto Pinotti (De Vecchi / Giunti, Firenze 2015, Euro 12,90) oberto Pinotti (Venezia 1944), sociologo, politologo e da 40 anni giornalista scientifico, è stato un ricercatore aerospaziale già consulente del SETI (l’ente radioastronomico per la ricerca di civiltà extraterrestri). Ben noto al pubblico italiano anche per i suoi frequenti interventi televisivi, ha fondato 50 anni fa e presieduto il Centro Ufologico Nazionale (CUN) dirigendone la rivista, da venti anni in edicola, e così pure la rassegna sugli enigmi e gli anacronismi archeologici Archeomisteri. Astrofilo e membro dell’Accademia delle Scienze di San Marino come pure dell’Accademia Internazionale Costantiniana delle Scienze di Roma, da 23 anni coordina col Governo della antica Repubblica l’annuale Simposio Mondiale sugli UFO e sulla vita nel cosmo ed è considerato, con all’attivo una vasta opera enciclopedica settoriale sul tema e 40 saggi tradotti anche all’estero, uno dei massimi esperti mondiali di UFO, bioastronomia, tradizione, protostoria e fenomeni insoliti. All’asteroide 12470 scoperto nel 1997 è stato dato il suo nome. Per i tipi della Casa Editrice Giunti e col marchio De Vecchi ha già pubblicato UFO e extraterrestri (2011), ed il suo ultimo best seller è UFO: Oltre Il Contatto (Oscar Mondadori, Milano 2013). Adesso vede la luce un saggio esaustivo dal titolo che è al tempo stesso un proclama e che sta registrando un crescente successo in libreria: Siamo extraterrestri! Presenze aliene nel passato dell’umanità e nel nostro futuro (De Vecchi / Giunti, Firenze 2015, Euro 12,90). corredato da numerose illustrazioni che costituiscono un prezioso e necessario ausilio alla sua piena comprensione. Nel corso degli anni diversi autori di successo (da Peter Kolosimo a Erich Von Daeniken e da Zecharia Sicthin a Mauro Biglino) hanno cavalcato l’ipotesi di una Terra visitata in antico da astronauti extraterrestri, poi divinizzati dai nostri antenati. Un’ipotesi affascinante ed intrigante, ma anche quanto mai inquietante per le sue dirette implicazioni su certe religioni rivelate. Il che ha imposto ai suoi sostenitori non solo la scelta “politica” di non proiettarla nella real-

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tà di oggi, ma anche una certa cautela nell’esporla. Pinotti da 50 anni non ha mai avuto di questi problemi. Va da sé che, se di manifestazioni di extraterrestri nel passato si fosse trattato, evidentemente essi, così come si sarebbero manifestati un tempo, potrebbero certo manifestarsi anche adesso. Sulla base di tale logica considerazione e forte di cinque decenni di serio studio appassionato del problema in tutto il mondo, l’Autore – che ha pionieristicamente presentato il tema dal 1966 - illustra oggi il punto d’arrivo di una ricerca che lega indissolubilmente la sconcertante questione odierna degli UFO a tutta quella serie di dati, enigmi, reperti e anacronismi storico-archeologici che possono essere chiariti solo con presenze tecnologiche aliene, ieri e oggi. Ne scaturisce non solo la “paleoastronautica”, ovvero lo studio di attività astronautiche nel nostro passato, ma anche una chiave di lettura nuova e razionale, scientificamente fondata, filosoficamente appagante e anche non in contrasto con certe affermazioni di fondo della rivelazione giudaico-cristiana. Inoltre questo saggio rivoluzionario e dal titolo provocatorio con tanto di punto esclamativo ci documenta pure su come il nostro passato sia ben diverso da quello finora presentatoci, su quanto l’evoluzione della vita sulla Terra vada riletta e corretta alla luce di possibili interventi alieni, e sul fatto che la forma umana potrebbe in effetti venire dalle stelle e che l’Homo Sapiens sarebbe in realtà un ibrido con sangue extraterrestre nelle proprie vene. Uno scenario cui la Chiesa di Roma pare stia teologicamente adeguandosi con intelligente e sorprendente tempismo e che ci fa guardare al futuro dell’umanità con un approccio positivo e liberatorio. Lidia Parentelli

La Toscana fra occulto, insolito e paranormale Roberto Pinotti (Le Lettere, Firenze 2015, Euro 14,50)


quietanti, fenomeni inspiegabili e uomini e donne che con la loro attività hanno lasciata una traccia significativa nel vasto campo del paranormale e dell’insolito. Così, sottolinea Pruneti, “l’Autore, ripercorrendo parte della sua vita, separa, individua, esamina , espone, evidenzia e permette di ascoltare ciò che l’orecchio poco allenato non potrebbe cogliere. Ecco perciò che la Toscana svela e racconta pagine oscure della propria vita, mette a nudo i segreti e coopta il lettore nella sfera del mistero. Un mistero che il maestro Roberto Pinotti rende godibile e affascinante per tutti coloro che vorranno dischiudere la porta a siffatto libro, veramente unico nel panorama editoriale italiano”. Lidia Parentelli

I viaggi di Ciro e Discorso sulla teologia e la mitologia dei pagani

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cco un nuovo e bel libro sui misteri della Toscana ma non certo un libro di troppo sul tema. Più che la lunga, consueta e scontata elencazione di turno dal taglio cronachistico su semplici leggende, eventi e tradizioni locali fra antropologia e storia, questo volume – in parte anche con degli originali contributi autobiografici – guarda a eventi e fenomeni paranormali e insoliti collegati alla Toscana riferendoli senza pregiudizi ma anche e soprattutto con l’intento, al di là di necessarie esemplificazioni storiche e di cronaca, di non limitarsi all’aneddotico, puntando invece all’individuazione di possibili risposte a tutta una serie di situazioni e fenomenologie. E in modo tale da guardare avanti più che rivolgersi indietro. Aspetti di tipo esoterico e anche massonico a parte, i temi spaziano da episodi personali e familiari insoliti o dalle implicazioni occultistico-parapsicologiche alle manifestazioni di presunti fantasmi ieri come oggi, dalle sconcertanti visioni spettrali di massa agli anacronismi dell’archeologia del mistero, dallo studio e dalla ricerca sui contatti con l’aldilà e sulla vita dopo la morte come pure sugli incontri con gli esseri extraterrestri che fanno capolino dagli UFO. Ne è scaturito un testo pressochè unico, intrigante, esemplificativo e di facile lettura, teso a ricercare risposte più che a compiacersi della dimensione del mistero che da sempre sottende la nostra esistenza. Quest’ultimo libro di Roberto Pinotti (La Toscana fra occulto, insolito e paranormale, Le Lettere, Firenze 2015, Euro 14,50 ), non è dunque solo un viaggio negli enigmi dell’Italia centrale vista dalla Tuscia di ieri e dalla Toscana di oggi, ma anche un itinerario nel vissuto dell’Autore dal quale emergono volti e storie di personaggi e situazioni sorprendenti e del tutto fuori del comune, più o meno noti ma sempre interessanti e dagli aspetti talvolta assolutamente incredibili. Come dice nella prefazione Luigi Pruneti, “ci troviamo, pertanto, di fronte a un mileu’ a metà strada fra una guida per svelare il volto segreto della Toscana e un’opera quale Incontri con uomini straordinari di Georges Gurdjieff”. Sfogliando le pagine del libro emergeranno dunque elementi poco noti di storia toscana, risvolti curiosi, edifici in-

Andrew Ramsay, a.c. di Piero Boldrin, prefazione di Gianmichele Galassi, Marcovalerio, Torino 2014, 319 pp., € 29,00. l merito di Piero Boldrin, che ha curato la pubblicazione di questo volume, risiede nell’avere voluto rendere nuovamente accessibile al grande pubblico un’opera caduta nell’oblio da quasi due secoli. Non si tratta di un lavoro condotto con le regole dell’edizione critica al fine di ricostruire, attraverso testimoni antichi, un testo filologicamente corretto, ma della pubblicazione di una edizione in lingua italiana stampata a Venezia nel 1822. I viaggi di Ciro, che circolarono insieme al Discorso sulla mitologia fin dall’Editio princeps uscita a Parigi nel 1727 in due volumi quasi contemporaneamente a una stampa inglese edita a Edimburgo, conobbero un enorme successo – pur non esulando da una certa critica, all’epoca ancora a carattere censorio – come dimostrano le numerose edizioni e ristampe successive. Non si dovette infatti attendere molto per vedere questi due testi circolare anche in Italia: la prima traduzione in lingua italiana, approntata da F. Zannino Marsecco fu stampata a Venezia presso Sebastiano Coleti nel 1729; una successiva traduzione dei soli Viaggi di Ciro, commissionata da Raimondo di Sangro a Annibale Antonini, autore anche della lunga prefazione permeata di illuministico ardore filoscientifico e il cui nome compare nella lettera di dedica dell’edizione, fu pubblicata a Napoli nel 1753. L’edizione uscì dai torchi della stamperia di proprietà dello stesso Raimondo, presso la quale furono pubblicati trattati di chiaro influsso massonico o libri che entrarono nelle maglie della censura ecclesiastica: l’appartenenza dello stesso Andrew Michael Ramsay alla Libera Muratoria, alla quale fu iniziato il 16 marzo del 1730 in Inghilterra presso la Loggia Tavern Horn, non lascia dubbi sui motivi della totale assenza di indicazioni relative al nome del tipografo nel frontespizio e nel colophon di questa edizione napoletana. Seguirono almeno altre due pubblicazioni italiane (Napoli, Raffaele Lanciano 1769; Padova 1781) prima della stampa veneziana del 1822 su cui, come detto, è stato condotto questo lavoro. Ere-

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de spirituale del Marchese di Fénelon, arcivescovo di Cambrai, che lo aveva convertito al Cattolicesimo, Andrew Ramsay fu un rappresentante di spicco del fervore culturale e politico che animò il XVIII secolo. Si distinse in particolare per la spiccata volontà di migliorare la condizione dell’essere umano, appellandosi a quei valori etici e morali che si palesano un po’ in tutte le sue opere. La vicinanza dei suoi ideali con quelli della Libera Muratoria, che lo avevano condotto a essere ricevuto Massone nel 1730, e il totale impegno e dedizione verso l’Istituzione che riteneva indispensabile per la costruzione di una società ideale, hanno reso la sua figura quasi un mito, tanto che la tradizione è arrivata a attribuirgli la nascita della Massoneria Scozzese. Questa “paternità” oggi è ormai ritenuta da molti studiosi non storicamente fondata ma non vi è dubbio che Andrew Michael Ramsay sia ritenuto un personaggio che ha avuto un ruolo fondamentale per la Libera Muratoria, in particolare per la sua dedizione alla diffusione degli ideali massonici in un momento storico non favorevole all’Istituzione. Non è così semplice inquadrare in un unico genere letterario I viaggi di Ciro: se da un lato la stesura del testo fu sicuramente influenzata dal Telemaco di Fénelon, considerato il prototipo del romanzo filosofico, morale e didattico di cui il Ramsay pubblicò nel 1717 un’edizione postuma, ampliata e corretta in anni precedenti dallo stesso autore, dall’altro si innesta anche nella tradizione settecentesca della letteratura di viaggi fantastici che ebbe un’enorme fortuna editoriale. La scelta, ben studiata, di ambientare il viaggio nell’antichità classica pone altresì l’opera nel filone degli Specula Principum, una sorta di breviario per il buon governo, nato dall’evoluzione del genere letterario di stampo didattico che fu inaugurato dalla Cyropedia di Senofonte, materia che doveva essere familiare al Ramsay dato il ruolo che ricoprì come tutore dei rampolli delle famiglie più influenti dell’epoca. Utilizzando l’esempio degli antichi come modello di vita e di educazione per i moderni, l’autore riuscì a insinuare nella trama continui riferimenti ai valori morali e civili che animavano la Libera Muratoria e che in qualche modo caratterizzano anche il Discorso sulla teologia e la mitologia dei pagani, dove l’autore, sostenendo l’esistenza di un unico e perenne principio alla base di tutte le diverse confessioni e al quale necessariamente dovevano conformarsi, aspirava a un dialogo comune al fine di “... incontrarsi nella Teologia di tutte le Nazioni”. Oltre alla ricchezza dei contenuti delle opere di Andrew Michael Ramsay, che meritano una lettura approfondita anche da parte di un pubblico estraneo alla Massoneria, di estremo interesse è la prefazione di Gianmichele Galassi: dopo una nota biografica sull’autore e prima di dedicarsi al commento dei Viaggi di Ciro, vi è una lunga digressione rivolta al Discours prononcé à la Reception des FreeMasons par M. de R. Grand’Orateur de l’Odre – mai pronunciato ma solo pubblicato nel 1737 – e di cui il Galassi offre al lettore un’attenta analisi corredata anche da citazioni testuali, note a piè di pagina e una ricca bibliografia. Adriana Alessandrini

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niera inequivocabile l’intento dell’autore: rendere accessibili anche a un pubblico di lettori non dedito a studi di filosofia, scienza o religione concetti e tematiche di discipline di grande complessità. In tal senso si può spiegare anche la scelta, assolutamente non banale, di inserire come titolo del volume un particolare verso dantesco (v. 87) tratto dal XXVIII Canto del Paradiso: Dante, consapevole che il suo intelletto non è capace di comprendere il rapporto tra il mondo sensibile e il mondo intellegibile, ascolta con attenzione la spiegazione data da Beatrice; il Poeta comprende con chiarezza la verità, una verità che riluce come una stella in un cielo limpido. Il lettore intraprende insieme al protagonista un viaggio immaginario che lo conduce oltre le soglie del tempo e dello spazio, in un cammino tutto improntato alla ricerca e all’apprendimento dei più alti livelli del sapere umano. Adriana Alessandrini

E come stella in cielo il ver si vide Ioannis Tsiouras, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2014, pp. 295, € 20,00. come stella in cielo il ver si vide”. Il titolo non è casuale e stimola fin da subito la curiosità del lettore: che tipo di storia può nascondersi dietro a un verso del Paradiso di Dante scelto come titolo di un romanzo? Certamente nelle intenzioni dell’autore non vi è soltanto il desiderio di raccontare una storia, ma di proporre un discorso più profondo e complesso che tocchi la sfera della conoscenza scientifica, filosofica, storica. La volontà di realizzare un romanzo di natura saggistica porta l’autore a scegliere un intreccio narrativo piuttosto semplice: come si evince dalla dedica del libro, il protagonista è l’autore stesso che, in trepidante attesa della nascita del primo nipote, decide di intrattenere con lui un dialogo educativo volto a esporre temi che tocchino un po’ tutto lo scibile umano. Attraverso il sentiero dei ricordi, la voce narrante rievoca discorsi e concetti che riguardano la storia, la filosofia, la mitologia, la scienza, la biologia, etc., al fine di esporre in modo accattivante e comprensibile le origini del pensiero moderno e delle conoscenze del mondo occidentale. La narrazione è condotta secondo un filo logico-temporale ben preciso poiché, seguendo le varie fasi che caratterizzano il concepimento di un bambino fino al momento della nascita, ne svela i meccanismi dal punto di vista biologico e scientifico. Ma questo excursus offre alla voce narrante il pretesto per avviare una riflessione più profonda sulle origini della vita, sul concetto di tempo, sulla religione, con continui riferimenti alle grandi figure della storia, del pensiero filosofico antico, della scienza, della letteratura. Platone, Aristotele, Galileo, etc., sembrano quasi prender vita parlando direttamente al lettore attraverso le tante citazioni, tratte dai loro scritti, inserite in apertura di ogni capitolo e nel contesto della narrazione. Lo stile chiaro e comprensibile, che non cade mai in un linguaggio eccessivamente specialistico, mostra in ma-

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sottolineando tra le altre cose i fili che la legano al grande poeta Rainer Maria Rilke. Racconto di una vita breve ma intensissima, e di un pensiero folgorante, il libro è una chiave che ci apre i segreti di Etty, quasi inesauribile fonte di illuminazioni e di interrogativi sul Novecento degli orrori e sul nostro presente” (dalla quarta di copertina). La Redazione

Etty Hillesum. La forma perfetta

Emanuela Miconi, Prefazione di R. Celada Ballanti, Il Margine, Trento 2015, pp. 126, €. 12,00. manuela Miconi, germanista di formazione, si è interessata particolarmente della shoah e della multiculturalità, sulla quale tiene spesso seminari nelle scuole. Ha al suo attivo numerosi saggi, articoli e libri, fra i quali Il mondo che verrà. Ebrei e zingari: memorie di vite a parte (Verona 2012). Questo suo volume è dedicato a Etty Hillesum (1914-1943), una vittima dei campi di sterminio, “transitata sulla scena del mondo con la fugacità dell’attimo, del battito del ciglio, o con la lievità di un angelo” [Dalla prefazione di Roberto Celada Ballanti]. “In soli ventinove anni di vita, prima di essere inghiottita come Anna Frank dal buio del lager, Etty Hillesum […] ci ha lasciato un eccezionale tesoro sulla vita offesa, su Dio, sul male e sulla bellezza, sulla speranza che non si rassegna. [L’autrice …] rilegge Etty da una prospettiva inedita,

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Le memorie del Militante Andrea Giaconi, Consiglio regionale della Toscana, Firenze 2013, pp. 111. lto esempio di integrità morale e di rigida coerenza ideale di stampo quasi plutarcheo” Così Ernesto Sestan descrive la figura di Piero Cironi nella voce a lui dedicata nel Dizionario Biografico degli italiani: simbolo del nostro Risorgimento e attivo protagonista della temperie culturale e sociale che animò i movimenti per l’unità d’Italia, il Cironi è stato più volte oggetto di importanti studi tra i quali si inserisce anche questa pubblicazione, probabilmente la più recente ma non certo meno rilevante. Come si evince anche dal complemento del titolo “Piero Cironi. il diario, le opere e le altre fonti d’archivio”, Andrea Giaconi, dopo un approfondito excursus biografico e un attento esame delle vicende politiche e personali che coinvolsero il nostro “militante”, si sofferma in particolar modo sull’analisi delle sue opere: oltre al Diario, fonte essenziale per la ricostruzione della vita e del pensiero di Cironi, si conservano a oggi un’abbondante documentazione archivistica da lui stesso prodotta, disseminata in più istituti di conservazione, nonché diverse monografie e numerosi articoli e recensioni apparsi su riviste e giornali. Trattandosi di un lavoro finalizzato alla ricostruzione delle vicende biografiche e storicopolitiche che coinvolsero il patriota pratese, l’autore non poteva prescindere dall’assumere come base della trattazione la produzione bibliografica precedente dedicata al Cironi e il complesso di fonti archivistiche sopravvissute. Tale metodologia di lavoro è facilmente riscontrabile se si osservano le caratteristiche del volume e la tipologia di nar-

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nenti studiosi, è nuovamente riscoperta attraverso le pagine del volume di Andrea Giaconi: l’autore si concentra su un personaggio la cui storia merita sempre di essere approfondita anche grazie al lascito culturale testimoniato dai suoi scritti e documenti, una fonte sempre inesauribile di notizie e da cui nessuna ricerca può mai prescindere. Adriana Alessandrini

Non chiedere acqua alla luna

Patrizia Consolo, Edizioni Leucotea 2014. un bel romanzo storico che rende molto bene la cultura di un’epoca e della Sicilia in particolare, che piacerebbe agli storici degli Annales. La protagonista, Maria, ben rappresenta i valori della concretezza, la profondità dei sentimenti, la capacità di andare contro corrente nell’impegnativa scelta di vita che donne come lei, sono in grado di affrontare, grazie anche ai valori di genere. Forse è questo l’importante messaggio che Patrizia Consolo vuole far passare e ne parla in modo fluido e coinvolgente, con intensa partecipazione, con sobrietà e essenzialità di linguaggio che non nascondono ammirazione ed empatia per la sua protagonista. Il realismo del romanzo non scade in positivismo, ma integra la storia di una donna, di una famiglia nella Storia. I personaggi del romanzo, con le loro idee, le loro passioni, le loro ambizioni, la loro saggezza, sono descritti con intensa profondità psicologica e coinvolgono intimamente il lettore. Si può immaginare una valenza autobiografica nel romanzo? Non nel senso, forse, di contenuti personali ma certo di figure emblematiche che il vissuto restituisce alla memoria. La Redazione

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razione: il libro è infatti suddiviso in tre parti, precedute da un’interessante Introduzione curata da Fabio Bertini – Professore associato, in pensione, di Storia Contemporanea presso l’Università di Firenze – che delinea brevemente ma con accuratezza di dettagli la figura di Cironi nella sua essenza di uomo politico e di grande intellettuale. La Parte I è dedicata alle vicende biografiche del Cironi, la cui lettura è scorrevole e mai gravosa: l’autore infatti inserisce puntualmente nel corpo del testo citazioni tratte dalla bibliografia dedicata al “militante” e dalla documentazione archivistica consultata, con il risultato di ancorare sempre la trattazione a fonti sicure a cui il lettore può ricorrere per ulteriori approfondimenti. La Parte II è tutta rivolta all’analisi del Diario di Piero Cironi che consta di quattordici volumi conservati presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; la mole del numero di carte, che assommano a 2.320, non ne ha mai permesso una trascrizione completa – esiste solo un regesto, in parte lacunoso, pubblicato nel 1976 da Maria Grazia Acrini Innocenti – e lo stesso Andrea Giaconi, nel suo lavoro, si limita a fornire al lettore una breve descrizione di ogni libro, di cui sono segnalati estremi cronologici, segnatura, numero di carte e contenuto (tipologia di documenti, citazioni, argomenti trattati e personaggi citati). La Parte III informa sulle altre fonti cironiane soffermandosi in modo particolare sulla documentazione archivistica, da lui stesso prodotta, confluita in gran parte nel fondo Cironi dell’Archivio di Stato di Prato e in altri istituti di conservazione, non ultima la Biblioteca Nazionale di Firenze. L’autore fornisce anche un elenco, ordinato cronologicamente, delle pubblicazioni di Piero Cironi assai utile per comprendere lo spessore culturale del nostro politico. Interessanti sono anche i nove brani, editi o inediti, tratti dal Diario e inseriti a chiusura del volume prima della bibliografia generale, ognuno introdotto da un breve commento e, in qualche caso, corredato della riproduzione fotografica della carta da cui è stato tratto. La figura di Piero Cironi, certamente non sconosciuta ai più e protagonista di ricerche storico-biografiche condotte da emi-

Le colonne del Tempio. Principi e Dottrina della Massoneria

Mariano L. Bianca, Atanòr, Roma 2014, pp. 312, €. 19,00. a trattazione sistematica, lucida e chiara degli argomenti proposti, dissolve la nebbia adagiata su quei temi da sempre discussi ma mai chiariti in maniera esaustiva, dove troppo spesso accade che vi siano la confusione e l’errore a far da sovrani, e si sa che ex falso sequitur quodlibet. A maggior ragione in questo periodo storico in cui la mistificazione, la chiacchiera e la falsificazione -ricordando ciò che diceva Guy Debord, descrivendo la società attuale come “società dello spettacolo” entro la quale il vero si configura come un momento del falso- invadono ogni campo dell’esperienza umana, il lavoro del Prof. Mariano Bianca è necessario ed essenziale per individuare quelle basi certe e comuni sulle quali edificare un lavoro ed un dialogo produttivo. Il primo capitolo fornisce al lettore categorie di interpretazione nuove e funzionali per un approccio teoretico serio e scientifico, in contrapposizione al più diffuso banalizzante e pseudo scientista, con il pensiero esoterico. Individuando la dimensione esoterica come l’intreccio tra le

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concezioni speculative (riferite al cosmo, all’uomo, al sacro, alla conoscenza dell’essenza, al senso e al fondamento) e gli indirizzi pratico-rituali (riti e rituali volti alla modificazione psichica ed etica del sé e ad alcuni aspetti del mondo naturale) di una determinata dottrina esoterica definisce tre generi di esoterismo: esoterismo sacro-teologico, esoterismo pratico-valoriale ed esoterismo mondano. La Massoneria generalmente si configura all’interno dell’esoterismo di tipo mondano in quanto questo concilia le esigenze di perfezionamento individuale (psichico, etico e gnosico), caratteristiche dei primi due generi, con l’obbiettivo del perfezionamento collettivo ovvero dell’intera famiglia umana. Procedendo con l’analisi dei capisaldi del pensiero esoterico-iniziatico posti dall’autore, si giunge ad una esposizione limpida della metafisica esoterica e delle sue concezioni sul cosmo/natura, sul sacro-divino, sull’uomo e il suo sé e la società, quest’ultima presente solamente negli esoterismi di tipo mondano. Varcando la soglia della concezione esoterica del cosmo, divino-uomo-natura, e esponendo quei principi metafisici che sono le duplicità essenziali, intrinseche al manifestato, si può scorgere la struttura dinamica ma al contempo, nel suo nucleo, immutabile della metafisica esoterica: «i contenuti esoterici, da un lato rispecchiano le differenti situazioni socio-culturali mentre dall’altro sono sovra-temporali e interculturali». Accompagnando il pensiero con l’impegno e la responsabilità di chi vuol portare chiarezza, l’autore conduce la nostra riflessione verso l’acrostico ermetico V.I.T.R.I.O.L. , essenza del lavoro iniziatico, avvicinandoci alla Weltanschauung propria dell’iniziato, del suo compito, del suo essere al mondo e della sua eterna sfida/ricerca: si sedes non is, si non sedes is. Al fine di comprendere la natura vera e profonda del lavoro iniziatico, rifacendosi ai Maestri della Tradizione quali Guénon, Tourniac e Boucher, viene esplorato il valore simbolico del Potere delle Chiavi e dell’Albero del Risveglio. Grazie al Potere delle Chiavi, simbolo di conoscenza e di potere sul cambiamento, accostabile sia al solve et coagula della Grande Opera sia alla potestas ligandi et solvendi, l’iniziato comprende gradual-

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mente come approcciarsi alle porte simboliche, tentare di aprirle se sono chiuse e, viceversa, sapere quando è opportuno chiuderle. Analizzando la simbologia dell’Albero del Risveglio vengono evidenziate le sue similitudini e identità con l’Albero della Vita e della Conoscenza, le interpretazioni relative agli stati dell’essere e l’assimilazione metaforica dell’Albero con l’iniziato stesso, per la quale «ogni iniziato è un albero che poggia le sue radici nella nigredo, da cui trae origine la sua vita, eleva il suo mondo interiore nella solidità del tronco delle conoscenze iniziatiche e si rivolge verso le fronde per cogliere i frutti del suo cammino. L’Albero del Risveglio, però, è un labirinto in cui l’iniziato deve trovare di ramo in ramo la direzione giusta verso la conoscenza, quella gnosi che gli permetterà di capovolgere il suo stato mettendo le radici nel cielo e le fronde in terra». Il capitolo dedicato all’iniziazione e all’iniziato scruta con profondità il cammino iniziatico partendo dal suo initium (dal latino in-ire), che è appunto l’iniziazione, sottolineando l’importanza cruciale di quest’ultima per lo sviluppo dell’intero percorso: l’iniziazione infatti dà al neofita la possibilità di attualizzare le proprie potenzialità sopite e sta a lui il compito di far germinare e fruttare i talenti così seminati, procedendo con serietà e profondità intellettuale nel proprio iter iniziatico tra i fratelli, nel suo mondo interiore e nel mondo. Oltrepassando le colonne d’Ercole si ha la certezza di ciò che si sta abbandonando ma s’ignora ciò verso cui si è diretti, il mare

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delle conoscenze apparenti e illusorie alle spalle e, davanti a sé, la perenne ricerca dell’occultum lapidem, le profondità dell’oceano: l’inconoscibile, sé stessi, ciò che non si è ma si potrebbe essere ed il mondo delle essenze. Sconfiggere i dodici tormenti e raggiungere la Rigenerazione è il primo compito dell’iniziato per liberare se stesso dalle catene che lo legano alla materia, le indicazioni per portare a termine questo processo di liberazione si trovano sia nel Corpus Hermeticum, in particolare nel discorso di Ermete a Tàt sulla Rigenerazione nel XII libro, sia negli altri testi fondativi della Massoneria Speculativa quali gli Antichi Doveri e il Poema Regius nei quali è sottolineato il compito dell’intera comunità iniziatica di elevare Templi alla virtù e scavare profonde prigioni al vizio, quei vizi che nel Corpus vengono chiamati da Ermete Trismegisto irrazionali tormenti della materia. Proprio grazie ai testi fondativi della Massoneria Speculativa (il Manoscritto di Cook, le Costituzioni di Anderson, il Poema Regius) è possibile risalire alle molteplici correnti di pensiero che sono confluite ed hanno influito sulla fondazione/rifondazione datata simbolicamente nel giorno di San Giovanni il Battista del 1717. Di fatto dal Rinascimento in poi e durante tutta l’età moderna, si formarono varie correnti di pensiero esoterico costruite sulle macerie dell’antica Tradizione e la ri-fondazione della Massoneria Speculativa, in linea con la formula «diffondere la luce e riunire ciò che è sparso», servì da collan-

te tra l’Ermetismo, l’Alchimia, il Neoplatonismo di Cambridge, alcuni movimenti gnostici e Rosacrociani, riportandoli in superficie, collegandoli con concezioni speculative e indirizzi pratico-rituali di origine antica. A partire dal 1717 ci vollero sei anni per delineare i fondamenti e gli intenti di tale ri-fondazione stilati definitivamente nelle Costituzioni di Anderson pubblicate nel 1723. Lo studio del Professor Mariano Bianca oltre a chiarire e a farci riflettere profondamente sugli aspetti fondativi, storici e dottrinali della Libera Muratoria quali anche l’etica Massonica, l’impegno dell’Istituzione nel sociale e il valore che questa assegna alla cultura, al libero pensiero e al progresso umano, sprona allo studio intenso delle conoscenze tradizionali, quella Scienza Sacra fondamentale per ogni cammino esoterico-iniziatico, senza la quale, come scriveva il Guénon «il simbolo resta, ma, quando lo spirito si è ritratto, esso non è più che una forma vuota». Per tali ragioni Le Colonne del Tempio deve far parte della “biblioteca minima” di ogni uomo che voglia comprendere seriamente il significato del cammino iniziatico, i lemmi essenziali del linguaggio esoterico-iniziatico e in particolare Muratorio, di modo che si possa instaurare un dialogo senza incorrere nelle confusioni, oggi dilaganti, che non permettono ne lo scambio di idee in materia, ne un’informazione corretta, spesso inficiata da pregiudizi di ogni sorta. Sergio Marazzi


R.L. Giustizia e Libertà Oriente di Piombino

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Il fregio della Loggia si presenta con la forma di un quadrato e sui quattro lati, una cornice che porta l’iscrizione - “Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori – Obb. di Piazza del Gesù P. Vitelleschi”. Una seconda cornice a forma circolare porta il nome della R.L. Giustizia e Libertà e dell’Oriente. Nei quattro angoli tra le due cornici sono raffigurati gli arnesi più rappresentativi dei Liberi Muratori, il martello e lo scalpello, la livella, la riga con la leva e la cazzuola. Nella parte centrale del fregio sono raffigurate la terra, il mare, il cielo, il sole rappresentato dall’occhio e dal delta che tutto illuminano dai quali si irradiano i raggi della luce, della conoscenza e della verità che sono anche il sostegno della squadra e del compasso. La terra è raffigurata da due distinte località, in primo piano il simbolo della città di Piombino, piazza G. Bovio e sullo sfondo l’isola d’Elba. La piazza con il suo faro non è solo un riferimento per indicare la rotta ai naviganti, si incunea nel mare come un punto per la trasmissione di messaggi per essere raccolti dalla terra che è davanti e dalle altre parti del mondo perché il mare ha sempre rappresentato la via di comunicazione per i portatori di conoscenza, di cultura e di civiltà. Questo fregio vuole significare che la Massoneria si propaga, da un luogo verso altri lidi e questo sperone di roccia simboleggia un trampolino di lancio dell’insegnamento massonico. Il mare rappresentato non è un mare aperto senza confini, è un mare con la terra sullo sfondo, è un mare che permette un viaggio con mete da raggiungere sotto lo sguardo illuminato e la guida del G.A.D.U.

R.L. Cavalieri dell’Ordine di sant’Andrea Oriente di Roma

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Il Fregio di Loggia rappresenta un Cavaliere Templare che con la spada sulla croce di Sant’ Andrea Obbedisce al richiamo dell’Apostolo. Coraggio, Forza ed Obbedienza lo distinguono per la difesa del Sepolcro di Cristo vivendo un po’ da frate ed un po’ da guerriero. Nominarono loro protettrice la Madre di Dio. Nel loro stendardo bianco e nero scrissero Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam. Il labaro di loggia è raffigurato da uno scudo bianco e nero dove il Cavaliere sulla Croce di Sant’ Andrea obbedisce impugnando una spada, simbolo della forza e del coraggio; sotto lo scudo sono disposti due rami di acacia costituiti da sette rametti con sette foglie.

mi a parlare del “Bennu”, che poi nelle leg gende greche divenne la Fenice. Dal cumulo di cenere emergeva poi un piccolo uovo che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell’arco di tre giorni, dopodiché la nuova Fenice, giovane e potente, volava ad Heliopolis e si posava sopra l’albero sacro, «cantando così divinamente da incantare lo stesso Ra» che animò il dio Shu. «Un uccello mitologico, che non muore mai, la fenice vola lontano, avanti a noi, osservando con occhi acuti lo spazio distante. Rappresenta la nostra capacità visiva, di raccogliere informazioni sensorie sull’ambiente che ci circonda e sugli eventi che si dipanano al suo interno. La lunga vita della Fenice e la sua rinascita dalle proprie ceneri ne fecero il simbolo della rinascita spirituale nonché del compimento della Trasmutazione Alchemica, processo Misterico equivalente alla rigenerazione umana (“Fenice” era il nome dato dagli alchimisti alla pietra filosofale). Oggi ognuno di noi può assumere ritualmente la propria trasformazione (vita, morte e resurrezione) e attraverso il mito accedere alla decodificazione dei simboli stessi del percorso iniziatico, pervenendo alla rivelazione nascosta.

R.L. Ipazia Oriente di Genova

R.L. Rinascita Oriente di Crotone

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o sono l’Araba Fenice che brucia nella sua materia e risorge dal buio e dalle sue ceneri . Crescerò, mi alzerò in volo, e come un’aquila guarderò il mio mondo, e come abbagliante angelo, siederò sul trono della Luce Eterna, non più col capo chino, ma guardando negli occhi senza pietrificare.” La Fenice era un uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. Gli antichi egizi furono i pri-

l recto del Fregio di Loggia rappresenta il ritratto di Ipazia presente ne La scuola di Atene di Raffaello, affresco la cui copia campeggia all’Oriente del nostro Tempio Nazionale di Roma. Ipazia figlia di Teone, insegnante nella scuola di Alessandria, fu una vera martire laica uccisa dalla cieca brutalità dell’ignoranza, del fanatismo e della intolleranza. Dopo la sua morte e la tremenda sciagura dell’incendio della Biblioteca di Alessandria, si dovette attendere Marsilio Ficino e il fiorire del Neoplatonismo per potere assistere all’avvento del Rinascimento. Così vuole essere la nostra Loggia, motore di un’indomita e inesauribile sete di Ricerca e di Conoscenza. Sul recto campeggiano la dicitura R\L\ Ipazia Or\ di Genova e Gran Loggia d’Italia degli A\L\A\M\

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I Fregi ad oggi pubblicati La sequenza dei Fregi è in ordine alfabetico per denominazione di Loggia e successivamente per Oriente.

R∴L∴ 14 Juillet Or∴di Savona R∴L∴ 4 Giugno 1270 R.G. Or∴di Viterbo R∴L∴ Ab Initio Or∴di Portoferraio R∴L∴ Ad Justitiam Or∴di Lucca R∴L∴ Aetruria Nova Or∴di Versilia R∴L∴ Alef Or∴di Viareggio R∴L∴ Aleph Or∴di Lecce R∴L∴ Aletheia Or∴di Roma R∴L∴ Alma Mater Or∴di Arezzo R∴L∴ Anita Garibaldi Or∴di Firenze R∴L∴ A.Garibaldi/A.Giulie Or∴di Livorno R∴L∴ Antares Or∴di Firenze R∴L∴ A.Toscano Or∴di Corigliano Calabro R∴L∴ Antropos Or∴di Forlì R∴L∴ Araba Fenice Or∴di Vibo Valentia R∴L∴ Archita Or∴di Taranto R∴L∴ Aristotele II Or∴di Bologna R∴L∴ Astrolabio Or∴di Grosseto R∴L∴ Athanor Or∴di Brescia R∴L∴ Athanor Or∴di Cosenza R∴L∴ Athanor Or∴di Pinerolo R∴L∴ Athanor Or∴di Rovigo R∴L∴ Athena Or∴di Pinerolo R∴L∴ Atlantide Or∴di Pinerolo R∴L∴ Audere Semper Or∴di Firenze R∴L∴ Augusta Or∴di Torino R∴L∴ Aurora Or∴di Genova R∴L∴ Ausonia Or∴di Siena R∴L∴ Ausonia Or∴di Torino R∴L∴ Bereshit Or∴di Sanremo R∴L∴ C. B.Conte di Cavour Or∴di Arezzo R∴L∴ C. Rosen Kreutz Or∴di Siena R∴L∴ Carlo Fajani Or∴di Ancona R∴L∴ Cartesio Or∴di Firenze R∴L∴ Cattaneo Or∴di Firenze R∴L∴ Cavalieri del Tempio Or∴di Roma R∴L∴ Cav.dell’Ord.S.Andrea Or∴di Roma R∴L∴ Cavour Or∴di Prato R∴L∴ Cavour Or∴di Vercelli R∴L∴ Chevaliers d’Orient Or∴di Beirut R∴L∴ Cidnea Or∴di Brescia R∴L∴ Clara Vallis Or∴di Como R∴L∴ Concordia Or∴di Asti R∴L∴ Corona Ferrea Or∴di Monza R∴L∴ Cosmo Or∴di Argentario Albinia R∴L∴ Costantino Nigra Or∴di Torino R∴L∴ Dalmatia Or∴di Spalato R∴L∴ D.Di Marco Or∴di Piedim.Matese R∴L∴ Dei Trecento Or∴di Treviso R∴L∴ Delta Or∴di Bologna R∴L∴ Eleuteria Or∴di Catania R∴L∴ Eleuteria Or∴di Pietra Ligure R∴L∴ Emanuele De Deo Or∴di Bari R∴L∴ Enrico Fermi Or∴di Milano

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R∴L∴ EOS Or∴di Bari R∴L∴ Epidamnus Or∴di Durazzo R∴L∴ Erasmo Or∴di Torino R∴L∴ Ermete Or∴di Bologna R∴L∴ Etruria Or∴di Siena R∴L∴ Excalibur Or∴di Trieste R∴L∴ Falesia Or∴di Piombino R∴L∴ Fargnoli Or∴di Viterbo R∴L∴ Fedeli d’Amore Or∴di Torino R∴L∴ Fedeli d’Amore Or∴di Vicenza R∴L∴ Federico II Or∴di Catania R∴L∴ Federico II Or∴di Firenze R∴L∴ Federico II Or∴di Jesi R∴L∴ Fenice Or∴di Massa Marittima R∴L∴ Fenice Or∴di Roma R∴L∴ Fenice Or∴di Spotorno R∴L∴ Ferdinando Palasciano Or∴di Roma R∴L∴ Francesco Nullo Or∴di Varsavia R∴L∴ F.Rodriguez y Baena Or∴di Milano R∴L∴ Fidelitas Or∴di Firenze R∴L∴ Filistor Or∴di San Severo R∴L∴ Fra Pantaleo Or∴di Castelvetrano R∴L∴ Fratelli Cairoli Or∴di Pavia R∴L∴ Fratelli d’Italia Or∴di Piombino R∴L∴ G.Ghinazzi Or∴di Roma R∴L∴ G.Ghinazzi Or∴di Vibo Valentia R∴L∴ G.Mazzini Or∴di Livorno R∴L∴ G.Mazzini Or∴di Parma R∴L∴ G.Biancheri Or∴di Ventimiglia R∴L∴ G.Bruno - S.La Torre Or∴di Roma R∴L∴ G.Papini Or∴di Roma R∴L∴ Galahad Or∴di Roma R∴L∴ Garibaldi Or∴di Castiglione R∴L∴ Garibaldi Or∴di Cosenza R∴L∴ Garibaldi Or∴di Mazara del Vallo R∴L∴ Garibaldi Or∴di Toronto R∴L∴ Gaspare Spontini Or∴di Jesi R∴L∴ Giordano Bruno Or∴di Catanzaro R∴L∴ Gianni Cazzani Or∴di Pavia R∴L∴ Giordano Bruno Or∴di Bari R∴L∴ Giordano Bruno Or∴di Firenze R∴L∴ Giordano Bruno Or∴di R.Calabria R∴L∴ Giosue Carducci Or∴di Follonica R∴L∴ Giosue Carducci Or∴di Partanna R∴L∴ Giovanni Bovio Or∴di Bari R∴L∴ Giovanni Pascoli Or∴di Forlì R∴L∴ Giovanni Risi Or∴di Firenze R∴L∴ Giustizia e Libertà Or∴di Piombino R∴L∴ Giustizia e Libertà Or∴di Roma R∴L∴ Goldoni Or∴di Londra R∴L∴ Graal Or∴di Livorno R∴L∴ Hercules Or∴di Cagliari R∴L∴ Herdonea Or∴di Foggia R∴L∴ Heredom Or∴di Torino R∴L∴ Hiram Or∴di Bologna

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via San Nicola de’ Cesarini, 3 — 00186 Roma


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