2 L apocalisse del fratricidio?
50 Su Salvatore Viganò cospiratore
4 Le incerte frontiere della laicità
52 Le metamorfosi di Orfeo
10 Del Simbolismo
56 Il dramma di una vita
Anna Giacomini
Luigi Pruneti
Sergio Ciannella
Anna Giacomini
Marco Materassi
Barbara Fabbroni
16 I massoni italiani in esilio...
60 La Carta del Carnaro
Aldo A.Mola
Luca Irwin Fragale
22 Che fai tu luna in ciel?
64 Caro Milo
28 Empatia e neuroni-specchio
70 Cinema e Libera Muratoria
34 Animula vagula blandula
72 Libertà l ho vista svegliarsi...
40 I riti quotidiani
74 In Biblioteca
44 Segnali ambigui sulla via magica...
79 Fregi di Loggia
Sandra Zagatti
Paolo Maggi
Virgilio Celoria
Maurizio G. Orlandi
Luciano Arcella
Clizia Gallarotti
Roberto Pinotti
Raffaele Mazzei
Recensioni Conversation...
L apocalisse del fratricidio?
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egnali di variazioni epocali si addensano all orizzonte. Anche se i media sembrano non coglierli appieno in favore di notizie che destano un raccapriccio da grand Guignol, condite di polemiche pretestuose e di sensazionalismi, importanti segnali di tendenze davvero rivoluzionarie si fanno breccia tra le infinite forzature che si leggono qua e là nelle cronache. Il 17 gennaio 2010, Benedetto XVI, il Papa di Santa Romana Chiesa si è recato in visita da Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della comunità ebraica di Roma, nella Sinagoga. Diffuso, ma un po sommessamente rispetto alle avventure delle escort o ai dolori dei giovani fotografi, l evento veniva titolato dal Corriere della Sera Papa ed ebrei, vince il dialogo. Completava l articolo di apertura
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Anna Giacomini
una bella foto dei due carismatici personaggi immediatamente sottostante ad una striscia in capopagina dove due calciatori a colori, gesticolando, esultavano per i loro gol. L insieme dava la netta impressione che il contatto tra Papa e Rabbino fosse in sostanza un altra partita di campionato, un derby, una sfida. A parte il minimalismo con cui l importante testata ha dato la notizia, che evidentemente nelle intenzioni non era destinata a colpire più di tanto e forse solo una ristretta cerchia di devoti, vi si notava un certo cattivo gusto nell impaginazione. Nei fogli successivi del quotidiano si parlava molto di shoah, di antisemitismo e di tutte le orribili pagine di storia che rimangono a testimoniare il genocidio. Non una parola sul valore morale di un incontro che ricongiungeva due rappresentanti protagonisti
dai loro remoti ascendenti, di una delle più antiche lotte fratricide della storia. Infatti sia il cristianesimo che l ebraismo, come ha fatto notare il Rabbino Di Segni, hanno in Abramo la loro scaturigine. Ma per un arcana legge insita nella natura umana, l odio fraterno sembra sempre allignare là dove la logica della comune origine vorrebbe pace e comprensione. Odio razziale, odio religioso, odio politico all interno dello stesso partito o della stessa confessione: la storia è disseminata di crociate e di devastazioni, di roghi e di camere a gas, tutti innalzati in nome della verità contro i fratelli diversi . Il terrorismo islamico si unisce a questo tragico coro con la sua nuova inaudita violenza. Anche l Islam discende da Abramo, anche l Islam fa parte della stessa storia. Nell ambito della presa di coscienza
della ferinità di queste lotte, espressioni di un umanità che ha perso il Verbo divino impresso nella sua struttura più profonda, però, alcune considerazioni vanno fatte. Sì, è vero che l uomo lotta contro il fratello, che lo vessa, che lo sbrana come una fiera la sua preda, ma è altrettanto vero che finalmente alcune figure emergono a parlare di tolleranza e di convivenza. Coraggiosi che sempre più si fanno strada nel buio e che indicano la via del futuro. Oggi gli USA hanno un presidente nero, come lo era Martin Luter King, assassinato. Oggi un Papa cattolico si reca in visita alla Sinagoga dove il Rabbino lo riceve fraternamente ed insieme gettano le basi per una collaborazione che abbia come scopo il benessere comune. Oggi, sia pure per fare audience, i mezzi di comunicazione raccontano degli orrori perpetrati nelle varie parti del mondo, orrori di cui nulla si sapeva tempo addietro, ma non dissimili da altri più antichi. L unica differenza è che oggi si conoscono. Queste notizie servono agli scopi commerciali della carta stampata ma di certo rendono vigili gli spiriti e risvegliano il senso morale della gente comune, che giudica e si sensibilizza.
Producono conseguenze non trascurabili verso una variazione di rotta sostanziale nella storia. Una visione pessimistica tenderebbe solo ad osservare i fatti, traendo da essi una sfiducia dogmatica nell evoluzione. Diversamente opera la critica massonica che scende nel profondo alla ricerca delle cause ed osserva i panorami dall alto. Così può notare anche che i fatti - anche i più negativi - determinano a macchia d olio la presa di coscienza delle loro late conseguenze e quindi sono origine di crescite morali. La tolleranza, antico principio da sempre proposto nelle Logge, appare sempre più come la soluzione destinata a catturare le simpatie dell umanità più evoluta. Termine poco praticato nei secoli passati, oggi riassume nel suo significato tutte le speranze per il futuro del pianeta, ma ciò che più conta è che compare come pratica virtuosa proprio tra quelli che dell umanità condizionano i destini. Che sia questa la grande rivoluzione del 2012? Scompariranno le lotte fratricide tra integralisti? Scompariranno gli stessi integralismi? La tolleranza sarà finalmente insegnata ai giovani alla pari dell inglese o del calcio? In tutto questo,
come si può ben intendere, la Massoneria sembra assumere un ruolo di apripista veramente fondamentale. Può indicare l assurdità dei ruoli di carnefice e vittima che si alternano ciclicamente in una dialettica solo distruttiva. Può aiutare a capire come la competitività e la corsa al potere siano disprezzabili freni per l intelligenza che cerca la giustizia. Officinae si pone, con il pluralismo delle sue voci, come un luogo di incontro delle tendenze di pensiero e dei molti interessi culturali che circolano nel mondo massonico. Non offre ricette, slogan o santini da venerare, propone solo uno stile di pensiero concessivista (che) risale all Illuminismo come afferma nell articolo di fondo il Gran Maestro Luigi Pruneti. In queste pagine perciò si apre uno spazio di vera libertà offerto dalla G.L.D.I. a tutti coloro che considerano la Massoneria una civile chiave di lettura della storia ed un serbatoio valoriale più che mai attuale. Il direttore
P.2-3: Rugiada, collez. priv.
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e origini della nozione di laicità vanno ricercate nella volontà di consentire la più ampia libertà di pensiero e la totale autonomia culturale, impedendo l imposizione da parte del potere di concezioni filosofiche, religiose e politiche proprie di particolari gruppi 1. Questa scuola di pensiero concessivista risale all Illuminismo e, attraverso rivisitazioni, mai galileiane, è giunta fina a noi2. Nicola Abbagnano fu un eccellente teorico della laicità che considerava ispirata dai principi di libertà, pluralismo, tolleranza e derivata dall ipotesi che non si può pretendere di possedere la verità più di quanto ogni altro possa pretendere . La laicità rappresentava per il Maestro il postulato dell autonomia delle attività umane che deve svolgersi secondo regole proprie non condizionate dall esterno3, un autonomia, per altro, invocata da Karl Popper per il quale il liberalismo non sogna un perfetto consenso delle opinioni ma spera soltanto nella loro reciproca stimolazione e nel conseguente sviluppo delle idee 4. Guido Calogero precisava che la laicità non è un sistema filosofico, non è un ideologia nel senso proprio del termine, ma è un metodo atto a consentire la convivenza di posizioni di pensiero diverse5. In pratica la laicità da un punto di vista metodologico ed euristico poteva essere definita come autonomia discorsiva . Egli scriveva: Abbiamo bisogno di un principio del bene, di una legge comune della moralità che sia valida per tutti [ ]. Ma abbiamo anche bisogno di comprendere i differenti principi di valutazione morale, che possano essere i presupposti di altre coscienze: perché non abbiamo il diritto di imporre la nostra legge a coloro che ne riconoscono un altra. Ci occorre la prima cosa per non essere cinici, ma ci occorre la seconda per non essere farisei 6. Sulla stessa frequenza d onda era Norberto Bobbio che considerava la laicità una prassi o una procedura idonea a far sopravvivere ogni cultura ed aggiungeva che il laico è colui capace di appassionarsi ai
valori caldi (amore, amicizia, poesia, fede, generoso progetto politico) ma difende i valori freddi (la legge, la democrazia, le regole del gioco politico) che soli permettono a tutti di coltivare i propri valori caldi 7. La laicità dunque era, pure a suo avviso, un metodo, tanto che affermava: Si ripropone sempre [ ] la domanda se vi siano valori tipicamente laici, ovvero se si possa parlare di un etica laica distinta da un etica religiosa [ ] Che si possa parlare di un etica laica, io ho sempre avuto i miei dubbi 8. Questa visione procedurale della laicità è stata ripresa e ulteriormente approfondita da altri autori fra i quali cito Claudio Magris che la definisce come l attitudine critica ad articolare il proprio credo filosofico o religioso secondo regole e principi logici che non possono essere condizionati, nella loro coerenza, da nessuna fede, perché in tal caso si cadrebbe in un torbido pasticcio, sempre oscurantista. In tal senso la cultura - anche una cultura cattolica se è tale è sempre laica, così come la logica
- quella di San Tommaso d Aquino o di un pensatore ateo - non può non affidarsi a criteri di razionalità e così come la dimostrazione di un teorema, anche se fatta da un Santo della Chiesa, non può non obbedire alle leggi della matematica [ ] Laicità significa [quindi] tolleranza, dubbio rivolto pure alle proprie certezze, [ ]
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demistificazione di tutti gli idoli, anche dei propri; capacità di credere fortemente in alcuni valori, sapendo che ne esistono altri, pur essi rispettabili . Di conseguenza laico è colui che sa aderire ad un idea senza restarne succube, impegnarsi politicamente conservando l indipendenza critica, ridere e sorridere di ciò che ama continuando ad amarlo; chi è libero dal bisogno di idolatrare e di dissacrare [ ], chi è libero dal culto di sé 9. Ne deriva che uno stato è laico quando, prendendo atto delle diverse fedi e tendenze filosofiche, si pone su un piano di assoluta neutralità. Un tale atteggiamento è garante dell indipendenza del pensiero e diventa il presupposto necessario all autonomia nelle attività umane, che non debbono sottostare a regole calate dall alto; lo stato, così facendo, tutela la libertà di ricerca e di scelta, impedendo che gli orizzonti del sapere siano condizionati da ingerenze ideologiche e religiose, come da pregiudizi di classe o di razza. In questo la laicità non è antagonista di alcuna forma di religiosità ed anzi, la storia dimostra come abbia difeso chiese e clero da devastanti intrusioni politiche. Giulio Giorello aggiunge che lo stato laico dovrebbe non solo bandire l intolleranza ma anche diffidare di qualunque ingegnere di anime che spinto da irrefrenabile altruismo voglia imporre le proprie ricette per plasmare l uomo o la donna nuovi costringendoli a scegliere quello che lui giudica essere il bene [ ]. La società cui penso - egli scrive - dovrebbe essere deputata a intervenire con la massima efficacia su chiunque [ ] nuoccia agli altri, minoranze o maggioranze che siano, ma non a stabilire sanità e follia, a modellare mentalità, a frugare nelle coscienze 10. Insomma una società laica necessita di un continuo controllo per impedire ogni sopraffazione di pensiero ma, al tempo stesso, non può imporre, condannare, vietare o cadere nella
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trappola del reato ideologico. Il più acceso nemico della laicità è, difatti, il totalitarismo che, per impadronirsi del potere politico e mantenerlo, mira ad eliminare il diritto alla libertà e a sminuire o al limite a distruggere, l autonomia delle sfere spirituali 11. Le maglie della laicità metodologica o debole, inclusiva e generale, sono molto larghe e nei suoi principi si riconoscono un po tutti, cattolici compresi, tanto che alcuni, tra cui Gian Enrico Rusconi hanno perentoriamente affermato: Tutti in Italia si dichiarano laici 12. Questa apparente contraddizione sembra trovare conferma nel fatto che un convinto paladino della laicità metodologica, Carlo Arturo Jemolo, fosse un cattolico militante. Egli sapeva che il Vangelo può ispirare una visione del mondo e dunque muovere l animo a creare una società più giusta, ma non può tradursi direttamente in articoli di legge [ ] Religiosissimo e radicalmente laico, Jemolo aveva un senso profondo e intransigente della distinzione fra Stato e Chiesa, di ciò che spetta all uno e di ciò che spetta all altra . Pure Silvano Piovanelli, arcivescovo di Firenze, si dichiarava laico ed affermava Credo che non solo per lo stato ma anche per la chiesa cattolica una delle grandi
conquiste sia stata quella della laicità [ ]. L avere accolto e valorizzato la laicità mette in grado la chiesa cattolica di parlare in modo più credibile al mondo moderno 13. Se ritorniamo ancora più indietro nel tempo troviamo addirittura un Pontefice, Pio XII, che nel 1958 lodò in un discorso pubblico la legittima, sana laicità dello Stato14. La circostanza che un po tutti, gerarchie ecclesiastiche comprese, non abbiano timore di far propri i principi della laicità debole, evidenzia i limiti della stessa; pertanto alcuni ritengono opportuno ridefinire il concetto di laicità, impostandolo su nuovi presupposti. Sono costoro i teorici del laicismo forte che, prescinde dall ipotesi dell esistenza di Dio (etsi Deus non daretur), o come scrive Fornero, poggiandosi su un paradigma filosofico antimetafisico, approdano ad una visione non religiosa del mondo. Ciò non elimina ipoteticamente gli aspetti metodologici, ma vi aggiunge un valore connaturante: il rifiuto della visione strategico - formativa dell idea di Dio, dal quale deriva una normativa del bene . Il problema della laicità forte è emerso in modo particolare a seguito del dibattito sulla bioetica, ove una posizione concettuale di laicità debole sembra inadeguata a fornire delle risposte. Alla base delle scelte dettate dalla bioetica vi è, infatti, il peso e il significato che si attribuisce alla vita, come pure il dilemma della sua disponibilità o in-
Gran Maestro
disponibilità. Per essere più precisi un impostazione religiosa attribuisce una rilevanza sacrale all esistenza che, di conseguenza, diventa indisponibile. Ciò non elimina la valutazione della sua qualità, pur essendo quest ultima un a-spetto accessorio e dunque ininfluente sul piano della decisione e del giudizio. Al contrario il pensiero laico pone al primo posto nella scala delle priorità la qualità del vivere che diventa il principale motivo di scelta. Inoltre la sofferenza è destituita di ogni finalità e il concetto stesso di vita acquista valore di funzione e non di sostanza. L esistenza perde ogni significato metafisico, diventa uno stato d essere temporale sul quale la persona ha ampia facoltà discrezionale. Siamo dunque agli antipodi della laicità debole, impostata sul metodo; in questa nuova ottica ciò che conta è il contenuto e, in verità, appare poco condivisibile l assunto di Patrizia Borsellino e di Giovanni Fornero secondo i quali l una e l altra sarebbero facce diverse della stessa medaglia15. La laicità forte pur non approdando obbligatoriamente ad un sentimento antireligioso, può portare a derive o a sistemiche valoriali come è accaduto in Francia16 dove, seguendo l antica e protratta lectio dei vari Saint-Simon e Comte, è vissuta come ricerca contenutistica di valori pubblici con portata universalistica, non coincidenti con quelli sottoscritti da qualche religione in particolare: una sorta di etica umanistica positiva che può rappre-
sentare una vera e propria religione civile 17. In taluni casi, ammette Giovanni Fornero, questo tipo di laicità coincide con un atteggiamento d intransigenza e di ostilità nei confronti della religione, concepita non come un fattore positivo della vita sociale, bensì come un suo elemento negativo o patogeno. Elemento che va rimosso, o per lo meno, secondo la soluzione liberale, spogliato di ogni sostanza pubblica e confinato nel privato 18. In vero alcuni autori al pari di Viano affermano: una società laica è quella in cui è possibile smascherare le imposture del clero e in generale dei profeti [ ] e nella quale ai cittadini vengono forniti gli strumenti per emanciparsi dagli insegnamenti religiosi 19. Queste opinioni sono considerate dagli esponenti della laicità debole pericolose giacché si ritiene che possano generare nuove forme d intolleranza. Ciò porterebbe ad un tradimento dello spirito stesso della laicità e delle sue istanze antidogmatiche, pluralistiche e di critica vigilante. A tal proposito Norberto Bobbio affermava: Un atteggiamento d intransigenza e d intolleranza verso le fedi e le istituzioni religiose [ ] è proprio contrario allo spirito laico, o, se si vuole, della laicità
correttamente intesa, la cui caratteristica fondamentale è la tolleranza 20. Tolleranza che per Calogero è necessaria premessa a quell alterità, a sua volta condizione trascendentale senza cui la moralità è inconcepibile e inattuabile 21. Le considerazioni sorte dalla scarsa attitudine della laicità debole a rispondere alle esigenze della bioetica e i dubbi suscitati dalla laicità forte, hanno indotto alcuni ad enucleare una terza posizione definita laicità post-moderna . Sarebbe questa una tendenza di pensiero in sintonia con la desideologizzazione della nostra epoca 22 che ha vissuto la crisi dei grandi sistemi politico-filosofici e avrebbe lasciato in eredità al nuovo millennio il rifiuto di rigidi schematismi su base dottrinaria. La laicità post-moderna sarebbe, secondo Fornero, una laicità forte tendenzialmente più debole , una laicità che pur mettendo da parte l ipotesi di Dio e l ottica religiosa, non per questo assume impegni ontologici di stampo ateistico o materialistico 23. Tanto travaglio porta, dunque, ad una situazione compromissoria dai contorni poco definiti e di conseguenza poco soddisfacente. A ciò si aggiunga la perplessità generata dall ipotetico condizionamento della bioetica a una visione generale della laicità. Mi sovviene a tal proposito la legge di Hume in etica: nessun valore può essere derivato da un fatto 24, nel nostro caso invece si tende a desumere, spesso sull onda emotiva, l idea significante da episodi particolari. D altra parte uno stato laico può essere solo pluralistico, tollerante, rispettoso delle diverse posizioni di pensiero e su tali criteri devono essere impostate le sue leggi. Ritengo che in virtù di tale spirito debba essere valutata la volontà del singolo sulle scelte che riguardano la propria vita, quando naturalmente egli abbia la possibilità di esprimersi in piena autonomia. In un campo così delicato occorre co-
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Gran Maestro
munque prudenza, giacché i casi, anche se simili per tipologia, possono in realtà dimostrarsi affatto diversi. Necessita, tener presente, quando è in gioco il valore della vita, un altra componente fondamentale della laicità: il dubbio, una delle vie più brevi per avvicinarsi alla verità. Scriveva a tal proposito Leopardi: La nostra ragione non può assolutamente trovare il vero se non dubitando; ch ella si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza; e che non solo il dubbio giova a scoprire il vero [ ], ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita sa il più che si possa sapere 25. In effetti, La certezza del giudizio è in antitesi con la verità, e la condizione preliminare della verità è spogliarsi di quella certezza 26, è appropriarsi di un sapere dubitante 27, necessario per giudicare, caso per caso, una situazione esistenziale drammatica. Scienza e coscienza, prudenza e dubbio, sono indispensabili per promulgare un verdetto quando in gioco vi è la vita ed insieme a queste quattro colonne portanti dovrebbero essere tenuti presenti quei valori umanizzanti così bene enunciati da Habermans. Egli scrive: Senza l emozione dei sentimenti morali di obbligazione o di colpa, rimprovero o perdono, senza la libertà del rispetto morale, senza la felicità dell aiuto solidale e lo sconforto del fallimento morale, senza la gentilezza di un procedimento incivilito nel trattamento dei conflitti e dei contrasti, noi dovremo sentire come insopportabile questo uni-
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verso abitato da uomini 28. Il sapere dubitante e il coraggio di mettersi in discussione, la capacità di ascoltare l altro e di riflettere sulle sue ragioni, l indipendenza critica e il rispetto per la diversità di pensiero, la comprensione in ogni vicenda della dimensione umana, sono i corollari di quell unicum laico che permette di affrontare in maniera congrua i problemi più ardui che le nuove frontiere dell etica impongono alla complessa società del Terzo Millennio. _________________ Bibliografia - AA. VV. Laicità. Domande e risposte in 38 interviste (1988 - 2003), Torino 2003. - AA. VV., Le ragioni dei laici, a.c. di G. Preterossi, Bari 2005. - N. Abbagnano, Laicismo, in Dizionario di filosofia, Torino 1971.
- P. Beraldi, Guido Calogero dignità dell uomo e ragioni della democrazia, Bari 2009. - G. Calogero, Filosofia del dialogo, Milano 1962. - G. Calogero, Lezioni di Filosofia, vol. II, Etica, Torino 1960. - F. Catalano, Laicismo, in L enciclopedia, vol. IX, Novara 2003. - V. Chiti, Laici e Cattolici. Oltre le frontiere fra ragione e fede, Firenze 1999. - Discorsi e radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. XX, Città del Vaticano 1948 - 1959. - G. Fornero, Laicità debole e laicità forte. Il contributo della bioetica al dibattito sulla laicità, Milano 2008. - J. Habermans, Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, a.c. di L. Ceppa, Torino 2002. - G. Giorello, Di nessuna chiesa. La libertà del laico, Milano 2005. - Grande dizionario enciclopedico UTET, vol. XI, Torino 1972. - E. Lecaldano, Il concetto della secolarizzazione e la bioetica della disponibilità della vita, in G. Fornero, Laicità debole e laicità forte. Il contributo della bioetica al dibattito sulla laicità, Milano 2008. - G. Leopardi, Zibaldone,
Roma 2007. - Lessico universale italiano di lingua, letteratura, arti, scienza e tecnica, vol. XI, Roma 1971. - C. Magris, Chi è laico chi è clericale, in Corriere della sera, 20 Gennaio 2008. - C. Magris, Fede, laicità e scuola pubblica, in Corriere della sera, 6 Dicembre 1998. - C. Magris, Laicità e religione, in AA. VV., Le ragioni dei laici, a.c. di G. Preterossi, Bari 2005. - V. Meattini, Natura umana, scetticismo e valori orientamenti, Bari 2009. - K. Popper, Congetture e confutazioni, Bologna 1972. - L. Pruneti, Dalla tolleranza alla laicità. Parte I, in Officinae, a. XX n. 3 Settembre 2008. - L. Pruneti, Dalla tolleranza alla laicità. Parte II, in Officinae, a. XX n. 4 Dicembre 2008. - G. E. Rusconi, Non abusare di Dio, Milano 2007. - C. A. Viano, Laici in ginocchio, Roma - Bari 2006. Note: 1 Lessico universale italiano di lingua, letteratura, arti, scienza e tecnica, vol. XI, Roma 1971, p. 438. 2 L. Pruneti, Dalla tolleranza alla laicità. Parte I, in Officinae, a. XX n. 3 Settembre 2008; L. Pruneti, Dalla tolleranza alla laicità. Parte II, in Officinae, a. XX n. 4 Dicembre 2008.
Gran Maestro
3 N. Abbagnano, Laicismo, in Dizionario di filosofia,
Torino 1971, pp. 624 - 626.
4 K. Popper, Congetture e confutazioni, Bologna 1972,
p. 598.
5 Cfr. P. Beraldi, Guido Calogero dignità dell uomo e
ragioni della democrazia, Bari 2009.
6 G. Calogero, Filosofia del dialogo, Milano 1962, p.
174.
7 C. Magris, Chi è laico chi è clericale, in Corriere della
sera, 20 Gennaio 2008.
8 N. Bobbio, Intervista (Giugno 1991), in AA. VV.
Laicità. Domande e risposte in 38 interviste (1988 2003), Torino 2003, pp. 55 - 58.
9 C. Magris, Fede, laicità e scuola pubblica, in Corriere
XI, Torino 1972.
20 G. Fornero, Laicità debole e laicità forte , p. 251.
12 G. E. Rusconi, Non abusare di Dio, Milano 2007,
p. 7.
21 G. Calogero, Lezioni di Filosofia, vol. II, Etica, Torino 1960, p. 122.
13 V.
22 G. Fornero, Laicità debole e laicità forte , p. 251.
Chiti, Laici e Cattolici. Oltre le frontiere fra ragione e fede, Firenze 1999, p. 72.
14 Questa dichiarazione fu fatta dal Pontefice durante
un udienza concessa ai Marchigiani residenti nella Capitale. Discorsi e radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. XX, Città del Vaticano 1948 - 1959, p. 33. 15 G. Fornero, Laicità debole e laicità forte. Il contributo
della bioetica al dibattito sulla laicità, Milano 2008, p. 239.
16 F. Catalano, Laicismo, in L enciclopedia, vol. IX,
Novara 2003, p. 806.
17 E. Lecaldano, Il concetto della secolarizzazione e la
della sera, 6 Dicembre 1998; C. Magris, Laicità e religione, in AA. VV., Le ragioni dei laici, a.c. di G. Preterossi, Bari 2005, pp. 109 - 114.
bioetica della disponibilità della vita, in G. Fornero, Laicità debole e laicità forte , p. 38.
10 G. Giorello, Di nessuna chiesa. La libertà del laico,
18 Ibidem, p. 255.
11 Cfr. Grande dizionario enciclopedico UTET, vol.
19 C. A. Viano, Laici in ginocchio, Roma - Bari 2006, p. 107.
Milano 2005, pp. 57 - 58.
23 Ibidem, p. 252. 24 V. Meattini, Natura umana, scetticismo e valori
orientamenti, Bari 2009, p. 122.
25 G. Leopardi, Zibaldone, Roma 2007, [1655], p.
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V. Meattini, Natura umana, scetticismo e valori orientamenti cit., p. 101. 27 Ibidem, p. 102. 28 J. Habermans, Il futuro della natura umana. I rischi
di una genetica liberale, a.c. di L. Ceppa, Torino 2002, p. 73.
P.4: Monumento a G.Oberdan, Livorno (part., foto P.Del Freo); p.5-7: Emblemi massonici; p.8-9: Oggetti massonici, collezione GLDI, Roma.
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alla parola al simbolo Per entrare nel complesso e per certi versi misterioso argomento del Simbolismo, solitamente si parte dalla etimologia della parola originaria greca, sumbolon, che richiama il concetto di congiungere, accostare. Presso gli antichi Greci la riunione di due parti di un oggetto spezzato irregolarmente era un segno di riconoscimento, come indica il concorso dei due elementi fonetici da cui tale parola deriva, sun (insieme) e ballw (gettare, mettere), rivelatore dell ingegnoso sistema di identificazione di chi aveva diritto al voto nelle assemblee elettorali.
Il significato di origine non rende però il senso moderno di simbolo, che non è più inteso come parte di una unità, ma piuttosto come tramite o intermediario che rinvia ad altro significato, ad altra realtà concettuale, diversa da quella percepibile a prima vista. La differenza sostanziale con il suo etimo, sta quindi nel fatto che simbolo non può considerarsi una entità priva di una sua parte, ma integra nella propria consistenza, un significante che allude a qualcosa che va al di là della sua forma esteriore. I simboli sono uno strumento di conoscenza che opera a livello di comunicazione, forma prima ed essenziale dell apprendimento. Nor-
malmente per trasmettere idee, concetti, sentimenti, si usa la parola, scritta o parlata, potente dotazione umana, che nella gerarchia del Creato distingue l essere raziocinante dal Regno animale. La parola presenta però forti limiti a causa del divario tra il risultato della materializzazione di una vibrazione sonora articolata e la sostanza di pensiero da cui ha origine e che cerca di esprimere. Una frase costruita secondo i corretti canoni del linguaggio rappresenta invero solo per approssimazione la vastità di pulsioni, ragionamenti, contraddizioni, nonsensi, che si nascondono dietro ciò che si dice o si scrive. Ciò perché è impossibile riprodurre compiutamente
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Simbolismo
l ingranaggio della complessa macchina intellettuale che governa la parola, utopistico credere che anche la più raffinata, colta e completa espressione linguistica possa risuonare nell interlocutore con vibrazione della stessa intensità di chi l ha formulata. E se ciò non accade, non si può parlare di vera comprensione e perfetta comunicazione. La parola è come un fiore reciso, nel momento stesso in cui viene pronunciata o scritta, perde la piena fragranza, la linfa che l alimentava, si stacca dal mondo delle idee e porta così ad estinzione l energia vitale che la permeava nell habitat della mente. Forse un tempo la parola aveva tutt altro valore, secondo i Testi Sacri era un atto creativo capace di produrre non solo vibrazioni sonore, ma vere e proprie realtà materiali. È quanto vuole indicare l incipit del Vangelo di S. Giovanni che racconta del Verbo Incarnato , è ciò che rivela il libro della Genesi quando attribuisce ad Adamo il potere di nominare gli animali, è il mito massonico della parola perduta , che evoca una proprietà analoga, in origine posseduta dagli umani e in seguito scomparsa,
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come il Santo Graal visto da Parsifal, ma poi svanito per un attimo di smarrimento. Tutto questo fa pensare che in un tempo remoto, la cui memoria è affidata alla Scienza sacra , gli uomini probabilmente godevano del dono della identità concettuale e linguistica, nel senso che non esisteva frattura tra costruzione mentale e parola, ma quest ultima sgorgava viva come pensiero genuino e vivificava l idea nel momento stesso in cui la esternava. Il simbolo nasce come surrogato di questa facoltà, a supporto di un linguaggio perduto che non ha più la forza d impatto, come una volta, sulla realtà circostante. Da questa limitazione emerge quindi l esigenza di racchiudere in una immagine dalla forma nota e riconoscibile, significati nascosti e non detti, o perché inesprimibili, o perché talmente ricchi e complessi, da poter essere decodificati soltanto dalla libera interpretazione sorretta da intuito e fervida immaginazione. Il Simbolismo si traduce così in una forma di comunicazione privilegiata che permette di trasferire in maniera sintetica ed immediata mes-
saggi che la parola renderebbe poco efficaci. L enorme ampliamento della capacità di comunicare per simboli è una opportunità che viene sfruttata da sempre e che ancor oggi funziona perfettamente. L elaborazione di forme che rinviano ad altro significato attraversa tutto il percorso umano. Dai graffiti che l uomo primitivo incideva nelle caverne, ai geroglifici con i quali nell Antico Egitto si esprimevano concetti più vivi delle parole, agli ideogrammi di equivalente efficacia tuttora conservati in Oriente, all alfabeto ebraico di valenza magica, da tutto questo emerge il costante sforzo umano di affidare al veicolo di un segno contenuti che sarebbe difficile trasmettere in altro modo. Innumerevoli simboli tramandati dall antichità, come le piramidi, i templi, le cattedrali, rientrano tra le ricchezze più preziose dell Umanità. Il Simbolismo d altra parte è congeniale alla capacità percettiva umana, perché a differenza del linguaggio che è analitico e postula la padronanza della stessa forma espressiva in chi ascolta, propone una forma di comunicazione per sintesi, che favori-
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sce l intuizione, a prescindere dalla conoscenza degli strumenti linguistici, parla a tutti ed è comprensibile da chiunque. La creazione di simboli è una espressione alta dell intelligenza umana, la stessa cultura dipende dalla capacità di simboleggiare e quando questa funzione risulta turbata, l uomo regredisce allo stato animale. La civiltà del nuovo millennio, che non si distingue particolarmente per tale genere di creatività, registra una caduta d interesse verso il simbolismo, che pure aveva animato studi profondi agli inizi del xx secolo , dovuta al fatto che l intelligenza umana è stata abituata ad interessarsi a ciò che le cose sono, non a cosa significano, cerca una utilità immediata in tutto ciò che osserva e così trascura gli aspetti nascosti e forse più importanti della realtà, che richiedono meditazione e profonde indagini. Potere dei simboli Uno dei più rilevanti caratteri dei simboli sta nella loro capacità di penetrare nel profondo della personalità e di sviluppare in chi li percepisce una sorta di reazione potenziata, che favorisce la crescita di au-
tonomia interiore. Acceleratori del processo di conoscenza, sono capaci di scavalcare l andamento lineare del pensiero a vantaggio di una percezione circolare, immediata e complessiva del significato che il simbolo propone, salvo i casi di un uso indiscriminato e inconsapevole che produce un inevitabile depotenziamento. In alcuni casi possono provocare dipendenza dal messaggio. I persuasori occulti della odierna pubblicità, che sanno dominare il potere dell immagine, fabbricando falsi ideali limitano, attraverso simboli abilmente costruiti, la libertà delle masse inconsapevoli, che vengono così occultamente comandate nelle loro scelte. A conferma della loro potenza, altre volte sono stati sfruttati per raccogliere e scatenare forze malefiche, come nel caso della follia hitleriana alimentata da una intensa applicazione di forze occulte dirette non solo ai singoli individui, ma ad una coscienza collettiva che si formava per sommatoria e moltiplicazione di forti suggestioni. Nelle civiltà tradizionali nessuno oserebbe manipolare questo potenziale, come insegna
la saggezza indiana di Ananda Coomaraswamy, al di fuori di simboli appropriati non possono esistere nemmeno decorazioni, perché ogni ornamento ha un valore magico e metafisico. L unica preoccupazione del saggio è impedire la divulgazione delle verità in esso riposte, che porterebbe all indebolimento e banalizzazione del messaggio e in tutti i casi non consentirebbe la sua comprensione che per essere rigorosamente soggettiva, non potrebbe essere trasferita da altri per semplice comunicazione. La conoscenza per simboli svela come un lampo, solo a chi è in grado di percepirlo, tutto un campo di analogie e quando ciò avviene chi lo percepisce prova un senso di liberazione dai limiti imposti dallo spazio e dal tempo; per Elemire Zolla la vorticosa rivelazione di significati trasmessi dalla contemplazione del simbolo può addirittura far raggiungere l estasi. Questa capacità di folgorare e la indipendenza dal metodo discorsivo, rende il simbolo idoneo a raggiungere infatti le più remote profondità dell essere, facendo riaffiorare energie nascoste. Esistono tuttavia simboli non elabo-
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rati da mente umana, trasmessi di epoca in epoca senza che si possa assegnare ad essi una origine storica, che incarnano un archètipo e che, grazie alla intrinseca suggestione magica che ispirano, avvicinano il profano al sacro , mediando tra alto e basso. Sacro non è un semplice sentirsi elevati ad alti pensieri, ma è il senso della propria essenza, che fa percepire una energia colma di maestà per cui si osa pensare alla somiglianza con l entità che si manifesta e nello stesso tempo si inorridisce per la diversità del mondo reale. Solo il simbolo può elaborare questa esperienza attraverso una filosofia perenne di ricerca di equilibrio tra cielo e terra .. Quelli di cui si parla sono simboli metastorici, superumani, portatori di ierofanie che aprono ad un mondo di verità altrimenti inesprimibili. Attivano nello stesso tempo stati di coscienza che aprono le porte al progresso spirituale.
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Simbolismo e Massoneria La civiltà moderna si è allontanata, come si è detto, da questa dimensione e fatica ad accettare l idea, invece ben chiara agli antichi, di una influenza metafisica del simbolo, talune correnti di pensiero lo considerano addirittura antiquato e antistorico. Risulta così fortemente compromessa la possibilità di una evoluzione spirituale, un percorso cioè che si collochi al disopra delle due dominanti del mondo contemporaneo: razionalità e sentimentalismo. Si avverte così da più parti l esigenza di una rinascita del senso profondo di religiosità laica, una religione dei moderni non vincolata e limitata da rivelazioni e dogmatismi, ma libera di accompagnare il cercatore di verità alla Scienza sacra , attraverso un metodo di conoscenza che non dirige, ma guida, non indottrina ma ispira, non impone ma suggerisce, in altri termini uno strumento capace di accrescere il poten-
ziale umano senza incidere sulla sua autonomia. La Massoneria è una delle poche Istituzioni che, in evidente controtendenza, partecipa attivamente al progetto di recupero di queste possibilità e che dispone dei mezzi adatti a soddisfare tale esigenza, malgrado l incalzante materialismo ed il pericoloso appiattimento delle coscienze sul miraggio di un illusorio benessere, che conduce allo smarrimento piuttosto che alla felicità. Il segreto della Massoneria è la conservazione del Simbolismo, tramandato da antichi e segreti saperi, che viene eletto a metodo di ricerca della verità. Ciò spiega la intramontabilità di una formula iniziatica sempre ricercata ed attuale, perché in grado di offrire delle possibilità di conoscenza rare nella civiltà occidentale imbevuta di scientismo e tecnologia. Il primato dei Simboli sapienziali rispetto ad altri strumenti di conoscenza va ricercato nella loro universalità e trascendenza. L accresci-
Simbolismo mento dei saperi nulla aggiunge a figure archetipiche perché le verità espresse sono principi immutabili, può semmai proporre nuovi simboli ma non sostituire quelli tramandati da tempo immemorabile. Per Goethe si ha una vera simbolica ovunque il particolare rappresenti l universale, non come sogni od ombra, bensì come rivelazione viva e immediata di ciò che non può essere indagato. E ancora, il simbolo rappresenta sempre una realtà di ordine superiore: la Natura e lo stesso essere umano sono simboli di una dimensione soprannaturale. E se ci si sofferma a considerarli in questa luce, anche questi simboli sono in grado di svelare verità nascoste. La Massoneria usa sapientemente il potere dei simboli attraverso opportune combinazioni e accostamenti. Guidati da una conoscenza antica, grandi iniziati hanno scelto con cura i segni più eloquenti da offrire alla osservazione degli adepti, perché fruiscano a piene mani di una sorgente di verità. A cominciare dal recupero dell istituto arcaico delle corporazioni muratorie cui si ispira, con le allegorie del Tempio di Salomone dall impianto fortemente evocativo - con la geometria, la numerologia, l astronomia - la Massoneria ha raccolto un ambiente simbolico dove tutto è enigmatico, tutto è da interpretare, da scoprire, tutto insegna saggezza. La scelta delle corporazioni , sta ad indicare che l attività speculativa della Massoneria si innesta nella operatività dei Liberi Muratori, antichi costruttori di cattedrali e dimore filosofali , perché vuole avvalersi, ora come allora, del lavoro come supporto per stabilire un col-
legamento fra l umano e il divino. Ogni mestiere è anche un mistero e realizza un analogia fra processo cosmogonico e sviluppo spirituale. Ed è per via simbolica che avviene lo sganciamento del mestiere dalla
sua forma esteriore e nello stesso tempo la spersonalizzazione dell artigiano che passa dall Io al Sé e che trasformando la materia amorfa in prodotto finito, realizza la sua posizione di mediatore fra cielo e terra. La Massoneria non si è peraltro limitata ad adattare simboli che racchiudono la summa della conoscenza trascendentale conquistata dall uomo e accuratamente velata, ha sapientemente combinato elementi simbolici per potenziare il messaggio di verità e riportarne la forza evocativa al massimo grado. Un esempio per tutti: Squadra e Compasso sovrapposti o intrecciati, ad opera della ritualità massonica sono diventati nella loro unione un archètipo di grande suggestione avvertita non solo dagli addetti ai
lavori , ma da chiunque abbia particolare sensibilità. Separati, sono semplici strumenti di lavoro e sul piano simbolico espressione dei poteri umani, ma messi insieme formano un nuovo simbolo, di rara potenza, che va al di là del significato delle due componenti. Come in un laboratorio nel quale sono presenti tutti gli attrezzi da lavoro, la Massoneria offre per utensili alla Loggia non a caso chiamata anche Officina - un ricco materiale simbolico. L opera alla quale si dedicano i Liberi Muratori non è altro che la formazione di uomini e donne rinnovati nella libertà e nei valori eticospirituali, realizzati nella consapevolezza del ruolo al quale sono chiamati nella società e nel mondo in cui vivono. In questo - e non in altro - si riconosce una Comunione di veri iniziati. ______________ Bibliografia Biedermann H, Simboli, Milano, 1999. Guénon R, Simboli della Scienza sacra, Milano, 1975 Carl G. Jung, Opere (Simboli della trasformazione), Torino, 2006 Cassirer E, Filosofia delle forme simboliche, Firenze, 1961-1966 Palomba G, Morfologia Economica, Napoli, 1956. Jones E, Teoria del simbolismo, Roma, 1972 Manguy I, Simbolica massonica, Roma, 2001 Zolla E., voce Simbologia , Enc. Del Novecento, Milano Eliade M, Images et symboles, Paris, 1952 Otto R, Il sacro. L irrazionale nell idea del divino e la sua relazione al razionale, Milano, 1966. Burckhardt T, Scienza moderna e saggezza tradizionale, Torino, 1968. P.10: Una foto aerea di campi coltivati; p.11: Sigillo cinese; p.12-13: scritture cuneiforme e geroglifica; p.14-15: Graffiti antichi e graffiti moderni.
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a decenni anche in Italia l antimassoneria e la persecuzione dei massoni sono al centro di studi importanti. Su impulso di Luigi Pruneti è imminente una esposizione di documenti e libri, completa di Catalogo, che consentirà di approfondire il tema. In via preliminare osserviamo che l odio contro la Massoneria non si tradusse sempre in persecuzione, anche se in molti casi la preparò e giustificò (che non significa: legittimò, né che essa fosse quindi ben data e ben meritata ). L antimassonismo divenne persecuzione solo quando riuscì a valersi del potere politico e dell ordine giudiziario. Talvolta - però - esso non conseguì l obiettivo: l annientamento delle organizzazioni massoniche. È il caso dell Italia dal 1943-44 a oggi. Ricorrentemente il Paese ha registrato campagne d opinione virulente contro la Massoneria. Esse si sono talora accompagnate anche a leggi della Repubblica, varate da parlamentari e consiglieri regionali poco informati di storia e attualità della Libera Muratoria (come evidenziano gli Atti delle rispettive assemblee) ma non hanno comportato né lo scioglimento dell Ordine né la chiusura delle Logge. Paradossalmente, l attivismo dei Pubblici poteri deve registrare la sua sconfitta non tanto perchè esistono in Italia istituzioni liberomuratorie accreditate ma perché nel frattempo si è registrata la proliferazione di una pletora di associazioni sedicenti massoniche, nessuna delle quali pare abbia i requisiti di associazione segreta frettolosamente addebitata dal legislatore alla Loggia Propaganda massonica n. 2, che sino al suo scioglimento era registrata tra quelle attive e quotizzanti del Grande Oriente d Italia, come confermato dagli atti dell assemblea annuale di tale organizzazione (marzo 1981). Nei quasi settant anni dalla riorganizzazione moltissimi italiani hanno subito gravi, iniqui e talora irreparabili danni perché Massoni, ma non consta che alcun italiano abbia dovuto lasciare il Paese perché tale. In passato, invece, molti Massoni furono costretti all esilio. La casistica dell Italia (un nome geografico sino al 17 marzo 1861 o più esattamente sino al 1918 o al 1924 se non si vuole dimenticare Fiume) è molto più complessa di quella di altri Paesi europei. Per occuparsene occorre quindi porre premesse di metodo e di merito, utili perché non esiste al momento alcuna opera
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sull argomento. Va dunque ricordato anzitutto che esistono due generi di esilio: a - Abbandono (spontaneo o forzato) della Patria per un altro Paese (e conseguente perdita dei diritti originari); b - Esclusione dalla società (per scelta o imposta dalle autorità) senza lasciare il proprio Paese. Esiste, cioè, un esilio vero e proprio di iniziativa o sotto pressione dei poteri statuali. Tale forma di allontanamento, spesso espatrio in violazione delle norme o fuga precipitosa o permanenza in uno Stato estero raggiunto in forme del tutto libere e legali, formano una casistica dunque assai complessa e diversificata. Essa però riguarda prevalentemente una minoranza di persone colte, militanti politici, molto spesso in buone condizioni sociali ed economiche, con padronanza di lingue e possibilità di esercizio di una professione all estero o con la tutela da parte di organizzazioni politiche, religiose, sindacali o associazioni culturali del Paese ospite . Tale modalità di esilio si concreta nell abbandono del Paese di origine, ma non nel-
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l eclissi civile e sociale della persona che sceglie o è indotta o costretta a rifugiarsi o a trattenersi all estero. Anzi, in molti casi l esule acquista maggior prestigio e fortune proprio dalla sua condizione di perseguitato. Molto più diffusa è la seconda forma di esilio: la rinuncia alla professione delle proprie idee come prezzo che si paga per non lasciare il Paese. Anche questa forma di esilio si sostanzia in due diversi tipi: a - Chi viene emarginato dalla società ma rimane fedele alle scelte originarie o ne conserva almeno il ricordo in attesa di poterle riaffermare o almeno trasmettere a chi ne continuerà il cammino; b - Chi conserva posizioni civili e sociali a prezzo dell oblio pubblico (se non personale) del proprio passato e quindi della sua accurata cancellazione (pentimento dinnanzi ai poteri costituiti, pubblico o privato rinnegamento della colpa ...) In molti casi il prezzo della sopravvivenza (e/o permanenza in posizioni privilegiate, di comando e persino ulteriori progressi
nella gerarchia dei poteri) si accompagna alla assunzione (pubblica e/o privata: con infiniti casi di doppiezza e ripetuti mutamenti di casacca) di posizioni opposte a quelle precedentemente professate, inclusa la corresponsabilità nella persecuzione dei confratelli (valgano d esempio i casi di Antonio Salvotti, il Massone che divenne abilissimo e ammirato inquirente nei più famosi processi a carico di Carbonari e Massoni dopo la Restaurazione del 181415, e Roberto Farinacci, iniziato alla Vedetta d Italia, all Obbedienza del Grande Oriente, poi ras di Cremona a promotore di acri campagne d opinione contro Massoni ed ebrei ...) Queste forme di esilio vennero vissute dai Massoni italiani nel corso del tempo in diverse fasi. Il loro caso è difficile da spiegare a chi dimentichi che a differenza di Gran Bretagna, Francia, Spagna, Olanda, Portogallo e persino stati sorti sotto tutela estera (come il Belgio e la Grecia) sino al 1861-70 l Italia fu un coacervo di staterelli, sicché per esulare o essere costretti a espatriare bastava
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varcare un fiume (come Renzo Tramaglino quando venne traghettato sull Adda), svalicare una catena di monti o di colli, salpare da un porto del Regno di Napoli (poi delle Due Sicilie ) verso la Toscana o la Liguria. In quel mondo frammentato, la libertà era a portata di mano più di quanto accadde nel Novecento perché nella maggior parte dei casi gli esuli circolarono in Stati italofoni, mentre nel secolo ventesimo la scelta
dell espatrio volle anche dire l adozione di una o più lingue straniere. La storia dei Massoni italiani in esilio comporterà di esaminare scenari molto diversificati nel tempo. In sintesi possiamo accennarne almeno i principali. 1 - Nel Settecento, per effetto delle scomuniche pontificie (quando il Papa era anche sovrano e varava leggi penali) e dei divieti
e condanne emanati da parte di poteri statuali (tutti gli Stati dell epoca, nessuno escluso, malgrado la leggenda di maggiore o minore tolleranza di questo o quel principe, dell una o altra repubblica: da Venezia a Genova, dal Granducato di Toscana al microducato di Modena...) i Massoni furono costretti a trasferirsi dall uno all altro dei molti Stati esistenti nello spazio geografico detto in Italia o in terre straniere,
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sulla traccia di quanto avevano dovuto fare nel tempo i pochi eretici e, in una breve stagione, i Valdesi in attesa del glorioso ritorno . 2 - Durante la riscossa austro-russa del 1798-1800, in risposta all invasione francese (napoleonica) del 1796-97 e alla nascita delle Repubbliche del biennio 1797-98. In questa fase pochi passarono all estero. Fu il caso di Vincenzo Monti, poi autore dei celebri versi Bell Italia, amate sponde pur vi torno a riveder. Trema in petto e si confonde l alma oppressa dal piacer... Un piacere così appagante che dopo la Restaurazione Monti sposò il Ritorno di Astrea , dimenticò grembiule e volta stellata e se ne stette quieto. 3 - Dopo la Restaurazione (1814) e il fallimento dei moti liberali costituzionali (1821, 1831, 1834...). Fu in quegli anni che - scrisse
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il grande Giosue Carducci - Ugo Foscolo lasciando Milano per Londra, dette all Italia una nuova istituzione, l esilio (un esempio per tanti altri patrioti, Massoni e non massoni, come Giuseppe Mazzini, che nel 1831 tra relegazione temporanea in un borgo ligure e l esilio scelse quest ultimo). 4 - Dopo il fallimento della I Guerra d Indipendenza, la sconfessione delle Costituzioni da parte dei sovrani che le avevano promulgate (con l eccezione di Carlo Alberto di Savoia nel Regno di Sardegna) e il crollo della Repubblica Romana (18481849). 5 - Dall avvento del governo Mussolini e dall autoscioglimento forzato delle organizzazioni massoniche (1925) alla fine della guerra (1945). Il terreno sul quale lo storico è chiamato a riflettere non è però solo l opzione dell esilio da parte dei Massoni, ma anche la sorte dei confratelli che, per scelta o neces-
sità, rimasero dov erano e si adattarono. Per essere credibile la storia non può circoscriversi a enfatizzare le eccezioni dimenticando i movimenti profondi e le masse . Anche se i Massoni in Italia non furono mai massa (come ci ricordano le importanti e meritorie ricerche di Luigi Pruneti e di Marcello Millimaggi sul repertorio degli affiliati alla Gran Loggia d Italia dal 1916 al 1925), il dato fondamentale sul quale occorre insistere è evidente: i Massoni italiani esuli all estero tra il 1926 e il 1943 furono sparuta minoranza rispetto all insieme delle Comunità liberomuratorie italiane. Santi Fedele si è spinto ad asserire che gli iniziati alla leggendaria Propaganda Massonica all Obbedienza del Grande Oriente d Italia dell esilio (non in esilio ) erano appena un paio. Le carte ci offrono una realtà meno sconsolante di quella da lui descritta, ma non del tutto diversa. Ecco dunque perché occorre privilegiare l altra
e fondamentale modalità di esilio: la vita condotta dai Massoni in patria, armati della necessaria antica capacità di sopravvivenza in condizioni estreme. Non sempre si trattò di doppiezza e raramente di doppia lealtà (incenso al regime, omaggio alle Colonne) proprio perché dal 1929-31 lo Stato deragliò verso un autoritarismo che vestì i panni di governo personale (non diciamo Cesarismo per non offendere la memoria di Caio Giulio Cesare) e negli ultimi anni di ottusa dittatura di un partito unico senza vere basi culturali, di una filosofia della storia, vagante da un estremo all altro, sempre più in balìa di alleanze ideologiche e militari sempre più pericolose e infine catastrofiche. In quegli anni accadde di tutto. Si è insistito molto sull itinerario di Vittorio Palermi. Ma non dimentichiamo che Ulisse Bacci chiuse con tutti i sacramenti di Santa Madre Chiesa una vita di anticlericale e mangiapreti militante. Allo scioglimento le organizzazioni massoniche italiane contavano circa 50.000 affiliati (quasi il doppio di oggi). Quanti fratelli andarono all estero perché Massoni? Cinquanta? Quanti rientrarono dal 1936? Bastino d esempio Arturo Labriola, già Gran Maestro del Grande Oriente dell esilio, che patteggiò personalmente con Mussolini, e lo spassoso Alberto Giannini, autore di Le memorie di un fesso. A conclusione di questi rapidi appunti, una considerazione s impone. La storia della Massoneria in Italia sarà meno incompleta quando si darà conto del complesso rapporto tra Massoni ed esilio in una terra ove la Libera Muratoria venne talvolta tollerata dai pubblici poteri, ma mai veramente accettata né riconosciuta : quasi tre secoli tra sopportazione, persecuzione, esilio e forzata autocensura. Nel frattempo sarebbe bene astenersi dall attribuire all Ordine massonico ciò che gli fu estraneo: il giacobinismo, il rivoluzionarismo, il settarismo politico e tanti altri meriti (o demeriti) anche se gli vennero affibbiati da Benedetto Croce, dimentico di aver a lungo sparato a palle incatenate contro l umanitarismo massonico e di aver tenuto in alta considerazione Francesco Gaeta, autore di un celebre scartafaccio antimassonico poi maramaldescamente usato come arma contundente contro i Massoni quando ormai il male era fatto.
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P.16: 33; p.17: Napoleone, vignetta satirica e, in basso, sciabola del periodo napoleonico; p.18-19: Copricapi del XVIII e XIX secolo; p.20-21: Immagini del Fascismo.
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l 21 luglio scorso, il mondo intero ha celebrato il quarantesimo anniversario dello sbarco sulla Luna. Ne hanno parlato i tg, i giornali, internet... Tanto, ma non quanto mi aspettavo. In pochi giorni tutto è rientrato: siamo stati sulla luna, ok; adesso c è la crisi. Peccato che un evento del genere non riesca più ad emozionare. Né credo dipenda dall umanità di oggi: ripensandoci, l euforia collettiva sulla conquista della Luna si spense relativamente in fretta dopo la fine delle missioni Apollo, nel 1972. Per risvegliare l interesse si è dovuto ricorrere all ipotesi del bluff, uno dei tanti misteri che tanto piacciono all opinione pubblica, purché non ci sia da approfondire troppo: siamo stati davvero sulla Luna? Chi c era dietro all assassinio di Kennedy? Hanno già clonato l uomo? È stato solo un incidente ad uccidere Lady Diana? Eppure, molti ancora ricordano la lunga diretta rai di Tito Stagno. Ventotto ore di collegamenti, interviste, servizi speciali, venti milioni di telespettatori italiani, centocinquanta ospiti nello Studio 3 di via Teulada. E il battibecco, rimasto memorabile nella storia televisiva, fra Tito Stagno e Ruggero Orlando da Houston. Hanno toccato! - No, mancano ancora dieci metri ... In effetti mancavano, quei dieci metri. Niente, rispetto alla distanza percorsa, ma evocativi di un salto di qualità, culturale prima ancora che scientifico o politico, incredibilmente difficile da compiere. Anche in quella occasione, la Luna seppe dare testimonianza delle sue luci ed ombre, degli ammiccamenti con cui altera i confini del reale; della sua stessa realtà, sfuggente e
soggettiva. Nei Tarocchi, la carta della Luna rappresenta il miraggio, la suggestione ingannevole e pure penetrante nella sfera inconscia del possibile. In Astrologia è l archètipo del femminile materno, nutritivo, la luce riflessa e la conoscenza mediata: da cosa? Dall ambiente, dal vissuto, dai ricordi, dai bisogni... da tutto ciò che è noi ma non sempre si manifesta direttamente tramite
noi. Persino erigere il tema astrologico dello sbarco sulla Luna è un compito solo apparentemente facile. Che ci vuole? Una data, un ora, un luogo... Già. In Italia era il 21 luglio, ore 4:56; a Washington era il 20 luglio, ore 22:56; a Mosca il 21 luglio, ore 6:56. Stesso momento, stessa configurazione planetaria, ma diversa trasposizione sulla terra (domificazione) e, per questo e altri motivi anche ovvi, diversa percezione. Ma che ora era sulla Luna? Il piccolo passo per l uomo, grande per l umanità quando ha lasciato la sua orma sul suolo grigio e polveroso del nostro satellite? Penso all umanità ed erigo il tema per Greenwich, fuso zero, Tempo Universale 2:57 GMT del 21 luglio. L Ascendente è in Cancro, domicilio della Luna. Anche il Sole è ovviamente in
Stelle Cancro, congiunto a Mercurio e in trigono a Nettuno, retrogrado; quasi volesse tornare indietro per recuperare la memoria di un sogno: infranto dalle necessità contingenti della società di quel tempo storico. Conquistare lo spazio? Forse. Ma soprattutto rassicurare sé stessa, ritrovarsi al di là dello spazio e del tempo, in un periodo in cui tanti fermenti di ribellione e trasformazione stavano destabilizzando valori fino a poco tempo prima ritenuti comuni. Ritrovare un senso di unione che sulla terra sembrava vacillare; emozionarsi tutti, magari per motivi diversi ma contemporaneamente. Hanno toccato... Quel contatto con il mistero di una realtà distante eppure vicina da sempre, quella conjunctio con l amica dei poeti e degli amanti, generosa di consolazione con il suo volto dolcemente inclinato, comprensivo, sulle miserie umane quel contatto doveva essere una commozione condivisa, un empatia nettuniana che proclamasse, reclamasse un nuovo senso di appartenenza, una nuova frontiera dell esistere e del divenire, in cui la Madre Terra riconosceva la sua soror mystica al luminoso cospetto del Sole-Vita: c è vita sulla Luna! E in effetti, almeno per un attimo, almeno alle 22:56 GMT, l uomo portò la propria energia vitale sul nostro satellite, mentre la Luna entrava in mondovisione nelle nostre case, nei nostri cuori, nel nostro qui ed ora . Non eravamo più soli, divisi; non eravamo più pastori erranti . Ma andò davvero così? Il mio interrogativo non vuole certo emulare il tormentone sul bluff della missione Apollo 11. No, penso ad altro; ed altro ricordo, perché la Luna è proprio questo: Memoria.
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Stelle Ricordo un intervista fatta a Edwin Buzz Aldrin, uno dei tre astronauti della missione e che assieme a Neil Armstrong allunò con il lem (Michael Collins rimase in orbita sul modulo di comando) e scese per secondo sul suolo lunare. Negli anni seguenti, Aldrin entrò in una profonda depressione, con problemi di alcolismo da cui non sembra essersi mai ripreso del tutto, e furono in molti a credere che lo stress, la fatica, l enorme pressione e l impatto emotivo di quella esperienza lo avessero provato profondamente; il che è quanto meno verosimile. Abbandonò la nasa nel 1971, e per elaborare questa depressione scrisse un libro, Return in Earth, che fece discutere, non solo nell immediato. Ad ogni anniversario dello sbarco sulla Luna qualcuno tornava ad intervistare Buzz Aldrin ed anche in questo anniversario ha rilasciato dichiarazioni: alcune simili, altre diverse... il tempo passa per tutti. Ma io ricordo in particolare una sua frase precisa, pronunciata dopo il ritorno dalla Luna e prima della sua crisi depressiva; né mai dimenticherò quelle parole, anche se ho dimenticato dove le lessi: Ci stavamo avvicinando e io guardavo la Luna diventare sempre più grande. E mentre la guardavo, mi resi conto che anche lei guardava me . Non so cosa lo spinse a un tale commento, né come e quanto tale sensazione influì, in seguito, su di lui. Certo fu una sensazione inquietante, per come la descrisse. Non era un languido incontro di sguardi: Aldrin avvertì in quello della Luna un disagio, un rimprovero, forse una minaccia; sentì che ciò che stavano facendo, e che per l umanità era un momento di trionfo, per la Luna era una profanazione. La conquista della Luna stava violando non solo un mistero, un archètipo, ma una reale identità, una manifestazione di vita individuale ed autonoma, ancorché sconosciuta e sublimata dalla visione geocentrica e dalla fantasia antropocentrica. La Luna era viva a prescindere da loro, che anzi in quel momento erano gli uomini più distanti dalla terra ma anche i più piccoli esseri dell Universo, rispetto a quel satellite che si rivelava, man mano che si avvicinava,
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Astolfo giunge sulla Luna a cavallo dell Ippogrifo Da l'apostolo santo fu condotto in un vallon fra due montagne istretto, ove mirabilmente era ridutto ciò che si perde o per nostro diffetto, o per colpa di tempo o di Fortuna: ciò che si perde qui, là si raguna. Non pur di regni o di ricchezze parlo, in che la ruota instabile lavora; ma di quel ch'in poter di tor, di darlo non ha Fortuna, intender voglio ancora. Molta fama è là su, che, come tarlo, il tempo al lungo andar qua giù divora: là su infiniti prieghi e voti stanno che da noi peccatori a Dio si fanno. Le lacrime e i sospiri degli amanti, l'inutil tempo che si perde a giuoco, e l'ozio lungo d'uomini ignoranti, vani disegni che non han mai loco, i vani desidèr sono tanti, che la più parte ingombran di quel loco: ciò che in somma qua giù perdesti mai, là su salendo ritrovar potrai. ... sol la pazzia non v'è poca né assai; che sta qua giù, né se ne parte mai. ... Era come un liquor suttile e molle, atto a esalar, se non si tien ben chiuso; e si vedea raccolto in varie ampolle, qual più, qual men capace, atte a quell'uso. Quella è maggior di tutte, in che del folle signor d'Anglante era il gran senno infuso; e fu l'altre conosciuta, quando avea scritto di fuor: "Senno d'Orlando". E così tutte l'avean scritto anco il nome di color di chi fu il senno. Del suo gran parte vide il duce franco; ma molto più maravigliar lo fenno molti ch'egli credea che dramma manco non dovessero averne, e quivi dénno chiara notizia che ne tenean poco; che molta quantità n'era in quel loco. Altri in amar lo perde, altri in onori, altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze; altri ne le speranze de' signori, altri dietro alle magiche sciocchezze; altri in gemme, altri in opre di pittori, et altri in altro che più d'altro aprezze. Di sofisti e d'astrologhi raccolto, e di poeti ancor ve n'era molto. (L.Ariosto, Orlando Furioso, c.XXXIV)
ancor più distante e alieno. Come Astolfo, nell Orlando Furioso, va sulla Luna per ritrovare il senno dell umanità, anche quella impresa, nata per smanie competitive nel pieno della Guerra Fredda, riuscì a riportare una settimana di pace e calore sulla terra, un carico di nuova speranza da riportare a casa dal Mare della Tranquillità... E fu un impresa eroica, solare, con Apollo lanciato verso immortali traguardi. Eppure, quel caldo Sole estivo era ancora in Cancro, in casa della Luna. Né la metafora della profanazione sembra tanto azzardata, se è vero che quella stessa Luna che sulla terra mostrava il suo primo quarto, una falce di crescente luce riflessa, era in precisa quadratura al Sole, dal segno della Bilancia. Chi o cosa stava soppesando l anima del mondo? Quanto poteva contare sul giudizio quello sguardo di reciproca e indeterminata influenza tra osservatore ed osservato, in mancanza di un riferimento di superiore e di-
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staccata oggettività? La Luna interiore stava diventato troppo grande per essere contenuta dalla coscienza, da lì a poco sarebbe stato Aldrin a entrare nella coscienza lunare... un interrogativo più ignoto ed altro del suo stesso inconscio. Allora non si conosceva l origine della Luna. Anche adesso ci sono diverse teorie, ma quella più accreditata è che sia il frutto della condensazione di detriti terrestri, scagliati nello spazio e trattenuti in orbita gravitazionale dopo la collisione di un enorme asteroide sul nostro pianeta. Ipotesi o realtà, la similitudine originale sostiene tanto il concetto di vicinanza con la terra quanto quello di un allontanamento, in cui non è chiaro se sia la terra a sublimare la ferita con romantiche proiezioni o la Luna a mantenere la memoria di un rifiuto, di un distacco forzato verso un esistenza autonoma ma anche solitaria, deserta, sterile. Come satellite, la Luna ha una massa decisamente significativa. I pianeti interni, Mercurio e Venere, non hanno satelliti; Marte ne ha due molto piccoli, probabilmente due asteroidi catturati; anche i tanti satelliti dei quattro pianeti giganti sono minuscoli al loro confronto. La
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Stelle nostra Luna esprime dunque un protagonismo eccezionale, che porterebbe eventuali osservatori o astrologi esterni a considerare il sistema Terra-Luna come un pianeta doppio, assimilabile solo a quello Plutone-Caronte, almeno nel reciproco rapporto. Strana questa associazione con il pianeta più misterioso e lontano, astronomicamente ambiguo ma astrologicamente detentore del massimo potere. Un pianeta legato all inconscio, proprio come la Luna. Invisibile ed oscuro come anche la Luna sarebbe, se Apollo non muovesse il Carro del Sole; e che tale diventa ogni mese, quando si congiunge al Sole nel loro ciclico amplesso protetto dagli sguardi terreni, perché solo il suo volto nascosto riceve la fecondazione della luce... La Luna in Bilancia, in quadratura al Sole di quel lontano 21 luglio, era la stessa Luna in Bilancia di Buzz Aldrin. Quella missione coincise dunque con ciò che in astrologia si chiama rivoluzione lunare : una tappa mensile di rivisitazione della propria interiorità. E fu davvero una rivoluzione per lui, perché era la sua Luna natale ad essere quadrata a Plutone in Cancro... Proprio il segno in cui Plutone transitava quando la scienza lo scoprì e la coscienza lo rese noto agli uomini: meno di un mese dopo la nascita di Aldrin, cioè all interno dello stesso ciclo lunare, con il Sole in Acquario, segno del futuro, delle scoperte scientifiche, dei viaggi della mente oltre il tempo e lo spazio. L Acquario è anche il segno che meglio descrive l uomo prometeico, lo slancio che spinge verso la conquista della conoscenza: per migliorare la vita degli uomini e nobilitare la propria, a rischio di perderla. E sul fatto che la missione Apollo sia stata impresa umana, degli uomini per gli uomini, non c è alcun dubbio. Non tutti sanno quanto fu temeraria, azzardata, persino ingenua, e quanto peso ebbe l intervento umano nella sua riuscita. Un impresa resa possibile solo quando i computer raggiunsero dimensioni sufficientemente contenute per essere inserite nelle strumentazioni di bordo, tant è che nel 1969 si riteneva di poter disporre di una capacità di calcolo eccezionale, mentre tutti i computer presenti nella sala di controllo di Houston avevano una potenza complessiva paragonabile a un portatile dei nostri giorni, e quello a bordo della capsula era poco più di una calcolatrice
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Che fai tu luna in ciel? Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, Contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga Di riandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga Di mirar queste valli? Somiglia alla tua vita La vita del pastore. Sorge in sul primo albore; Move la greggia oltre pel campo, e vede Greggi, fontane ed erbe; Poi stanco si riposa in su la sera: Altro mai non íspera. Dimmi, o luna: a che vale Al pastor la sua vita, La vostra vita a Voi? dimmi; ove tende Questo vagar mio breve, Il tuo corso immortale? (G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell Asia)
tascabile... Già dal lancio, tutti sapevano che, se qualcosa fosse andato storto, un piccolo razzo di salvataggio avrebbe staccato la capsula con gli astronauti lanciandola verso il mare: solo molti anni dopo si seppe che il computer avrebbe impiegato almeno due secondi per individuare un guasto e procedere all espulsione, mentre l esplosione di un motore ci avrebbe messo meno di mezzo secondo per mandare in briciole il razzo e i suoi ospiti. Lo stesso allunaggio fu condotto manualmente da Armstrong, perché il computer andò in errore proprio mentre calcolava la traiettoria di discesa e la distanza tra il lem e la superficie lunare. Non era un guasto, come la spia sul monitor segnalava, solo un blocco momentaneo per eccessive informazioni Un po come accade ai nostri pc quando apriamo troppi programmi e la ram non è sufficiente per gestirli: spesso siamo costretti a spegnere e riaccendere, ma su un razzo non è possibile farsi un caffè nell attesa che il sistema si riavvii. Ci fu poi il portellone incastrato, che Armstrong aprì con una spallata prima di scendere sulla Luna; e persino al momento di tornare a casa si accorsero che l interruttore di accensione era rimasto danneggiato, così che Aldrin si ingegnò ad azionarlo con la punta di una penna... Una semplice penna in cambio della vita. Sembra inconcepibile per noi che abbiamo ormai telecomandi per ogni interruttore Ma alla fine tutto andò bene, non esattamente come previsto ma senz altro come desiderato: dopo 195 ore dalla partenza, il 24 luglio, il modulo di comando staccatosi dal Mare della Tranquillità ammarò nell Oceano Pacifico. Nettuno accolse il ritorno al passato mentre il mondo festeggiava i tre eroi che avevano reso presente il futuro. Anche Prometeo è un eroe solare. Ma sempre al limite dell hybris: un confine sorvegliato proprio da Apollo, figlio di Zeus e di Latona, che possedeva i poteri del progresso tecnologico ma era anche dea nascosta, sovrana della notte... Forse fu questo il monito che Aldrin intercettò in quel severo e malinconico sguardo lunare. Forse fu il ricordo della propria madre divorante , Luna-Plutone, che turbò l eroismo del suo Sole acquariano. Forse, per un attimo, qualcosa in lui comprese il paradosso lunare per cui anche la Luna, come tutti noi, è innanzitutto figlia, e che è soltanto il riflesso del Sole a rimandarcene l immagine cangiante,
come in uno specchio infranto. Forse sentì che quell immagine, quella proiezione, altro non era che la memoria tormentata della madre terra che la espulse dal proprio utero trattenendola però con il cordone ombelicale della gravità: condannata a una distanza troppo vicina per essere davvero autonoma, condannata a errare nella notte mostrando di sé solo il volto più caro ai terrestri... La Luna dei poeti e degli amanti. O forse, semplicemente, capì il paradosso che lui stesso incarnava in quel momento, mentre con volo prometeico sfidava il mistero plutoniano dell Essere o non-Essere; ricordando che, se l Urano astrologico spezza gli anelli delle catene di Saturno, è invece il Saturno mitologico - il figlio che reclama la propria indipendenza per poi autolimitarsi - a detronizzarne la potenza virile. E lo faceva nel nome di Apollo, custode delle tre massime incise sul Tempio di Delfi, per cui la vera saggezza era appunto il riconoscimento dei propri limiti: Sii saggio, conosci te stesso, nulla di troppo . Apollo, nocchiero del Sole ma figlio della Luna. Nessuno, dal 1972, ha più pensato di far tornare l uomo sulla Luna. Troppo dispendioso, troppo rischioso e in fondo inutile, dopo la fine della Guerra Fredda. Oggi le mete dell uomo prometeico sono altre: la stazione orbitante, i satelliti artificiali sempre più specializzati e voyeuristici, Marte. Eppure mi piace pensare che, tra questi ed altri motivi profani, ci sia anche un inconscio turbamento per cui l umanità non vuole più offendere la Luna, ma difenderla e amarla per ciò che è ed è sempre stata: una musa protettrice e nutritiva, che accoglie i sospiri del cuore e i sogni della mente, che continua a ispirare i nostri canti notturni e a vegliare su di noi da lassù, custodendo il vero senno della nostra umanità. Mi piace pensare che ogni Plenilunio sia uno sguardo complice, non una mera opposizione, tra Sole e Luna. E che ogni ondata di marea ci rimandi l eco di un richiamo struggente, di un femminile deprivato che cerca la madre, cerca la figlia... come Cerere e Proserpina separate da Plutone. Un monito e insieme un occasione, una memoria ciclicamente rinnovata, affinché proprio nel regno oscuro e profondo dell anima possiamo ritrovare il senso umile e potente, creativo, della vita.
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P.22: Notturno con luna, collez. priv; p.23: Buzz Aldrin nella celeberrima foto dello sbarco sulla Luna; p.24: Immagine astronomica della Luna; p.25: Orlando Furioso in uno spettacolo dei pupi e in basso - frontespizio di una ediz. antica dell Orlando Furioso; p.26: Il gregge del Pastore errante dell'Asia ; p.27: Prometeo dona all Uomo la scintilla, affresco, Parigi.
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a qualche tempo circolano nel mondo della scienza due termini nuovi che potrebbero essere i protagonisti di una vera e propria rivoluzione nel campo dello studio delle relazioni umane. Questi due termini, lo avrete capito già dal titolo, sono empatia e neuroni specchio. Il primo dei due, che pertiene alla terminologia psicanalitica, in realtà non è affatto nuovo. Il nome deriva dal greco empaqeia che, tradotto un po liberamente, vuol dire sentire il dolore altrui dentro di sé . Il termine empatia, che oggi dilaga in ogni campo della cultura veniva usato già nella Grecia classica per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava il cantore al suo pubblico. Ma il suo ritorno in auge in tempi più recenti è merito della psicanalisi ed è stato utilizzato per la prima volta dalle scuole post-freudiane. Freud infatti riteneva che il medico dovesse mostrarsi emotivamente neutrale nei confronti del suo paziente, cioè freddo: non doveva raccogliere per alcun motivo le emozioni trasmesse dal paziente. Gli psicanalisti post-freudiani come Heinz Kohut invece, hanno completamente ribaltato questo concetto, valorizzando molto la capacità di percepire le emozioni trasmesse da un altra persona. Essi ritenevano infatti che raccogliere le emozioni del paziente fosse uno strumento fondamentale per esplorare il suo animo. Il concetto di empatia è oggi ampiamente utilizzato dalla medicina in generale, che si serve del processo empatico per favorire il flusso di comunicazione fra il medico ed il suo paziente. È grazie all empatia che io riesco ad entrare nella sua anima e, così facendo, riesco a vedere il mondo con i suoi occhi. Personalmente tuttavia, quando penso all empatia, penso ad una frase pronunciata dallo psicologo Gustave M. Gilbert che, durante il processo di Norimberga prestava assistenza ai criminali nazisti sotto processo. Quando gli chiesero se, a contatto con quegli uomini che avevano freddamente e lucidamente torturato e sterminato milioni di persone, si fosse fatto un idea di cosa fosse il male assoluto, la sua risposta fu pressappoco questa: Credo che la natura del male assoluto sia costituita dalla mancanza di empatia . Questa mi sembra la migliore definizione che sia mai stata data del male generato
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dall uomo. Spesso ci arrovelliamo nel tentativo di definire e di comprendere i meccanismi alla base del dolore che un uomo può infliggere a un suo simile. Forse la spiegazione è racchiusa tutta in quella semplice frase. Chi fa del male non è capace di sentire il dolore dell altra persona. Specularmente, ciascuno di noi sa bene quanto sia difficile levare la mano per colpire un proprio simile se, anche per un attimo ci identifichiamo in lui. Diceva Otto von Bismark: Chi ha guardato negli occhi un soldato morente rifletterà prima di intraprendere una nuova guerra . Certo questa frase non risuonò neppure un attimo nella mente di Hitler prima di scatenare una guerra genocida, né ha risuonato nella mente dei mille piccoli Hitler che hanno infestato il mondo nei successivi sessant anni. Ma è proprio qui il punto: guardare un uomo negli occhi vuol dire rispecchiarsi in quello sguardo, riconoscerlo come il proprio. Vuol dire, in altre parole, guardare il mondo con gli occhi di un altra persona,
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fosse anche il nostro peggior nemico. Ci chiediamo a questo punto, esiste un meccanismo nella nostra mente che determina la capacità di specchiarci, di identificarci nell altro da noi? E questo meccanismo, se esiste, è già presente nel nostro codice genetico, o è un valore che acquisiamo attraverso la cultura, l educazione, la religione? Direbbero gli anglosassoni: nature or nurture? La scoperta dei neuroni specchio ha gettato una luce nuova e del tutto inattesa su questa domanda. I neuroni specchio sono cellule del nostro cervello che si attivano selettivamente, diciamo si accendono sia quando compiamo un azione, sia quando la osserviamo mentre è compiuta da altri. I neuroni dell osservatore rispecchiano quindi ciò che avviene nella mente del soggetto osservato, come se, a compiere l azione, fosse l osservatore stesso. La scoperta dei neuroni specchio è tutta italiana. Negli anni 80 e 90 un gruppo di ricercatori dell Università di Parma si stava dedicando allo studio di una zona della
corteccia cerebrale, l area cosiddetta premotoria . Gli studiosi avevano collocato degli elettrodi nella corteccia di un malcapitato macaco per studiare i movimenti della mano. Durante gli esperimenti registravano il comportamento del cervello della scimmia mentre le si porgeva del cibo. Sembra che, mentre uno sperimentatore colto da improvviso appetito, prendeva una banana dal cesto di frutta preparato per la scimmia, alcuni neuroni dell animale che osservava la scena avevano reagito. Come poteva essere accaduto questo, se la scimmia era rimasta ferma? Fino ad allora si pensava che quei neuroni si attivassero soltanto se il bipede si muoveva! In un primo momento gli sperimentatori pensarono si trattasse di un guasto nella strumentazione, ma le reazioni si ripetevano ogni volta che il macaco vedeva l uomo afferrare il cibo. Nel 1995 gli stessi scienziati dimostrarono per la prima volta l esistenza nell uomo di un sistema simile a quello trovato nella scimmia. Naturalmente, in questo caso,
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anziché conficcare elettrodi nel cervello, utilizzarono altre tecniche come la risonanza magnetica funzionale, la stimolazione magnetica transcranica e l elettroencefalografia. Ma il risultato fu il medesimo: anche la corteccia motoria dell uomo viene attivata dall osservazione di azioni altrui comportandosi come se il movimento fosse il proprio. La scoperta del sistema-specchio ha aperto molte ipotesi teoriche. Questi neuroni sono probabilmente i mediatori della comprensione delle azioni di altre persone e quindi dell apprendimento attraverso l imitazione. Ma la capacità del nostro cervello di attivarsi quando percepisce le emozioni altrui rende ogni individuo in grado di agire in base a quella che gli scopritori chiamano partecipazione empatica . In parole più semplici, il sistemaspecchio potrebbe essere alla base dell empatia. Se questo è vero, avrebbe ragione Vilayanur S. Ramachandran quando afferma che I neuroni specchio saranno per la psicologia quello che il dna è stato per
la biologia . Ma allora, se l empatia è un meccanismo legato ai neuroni specchio, qualcuno potrebbe pensare che, più neuroni specchio abbiamo nel nostro cervello, più siamo empatici e, se non ci va affatto di essere gentili con il nostro prossimo, poco male in fondo: la colpa non è nostra, ma del destino cinico e baro che non ci ha rifornito a sufficienza di queste preziose cellule. Invece le cose non stanno affatto così. E a chiarirci le idee ci hanno pensato i dati provenienti dalla meditazione dei religiosi più osservati, spiati e studiati nella storia della scienza: i monaci buddisti. Questi uomini pii trascorrono molte ore della loro vita ad allenarsi in esercizi di compassione, in cui, annullando le loro personali pene, preoccupazioni e dolori, si concentrano solo ed esclusivamente sul dolore altrui. Empatia allo stato puro dunque. Vera e propria attività di potenziamento dei neuroni-specchio. Ebbene, studiando il comportamento della loro mente durante questi esercizi, con la risonanza magnetica funzionale, si è osservato come
i monaci riescono a concentrare la propria attività in aree specifiche del cervello che risultano, negli anni, suscettibili di un vero e proprio allenamento . Dunque il pensiero empatico e, verosimilmente, l attività dei nostri neuroni specchio, è un abilità che può essere allenata. Oppure può essere lasciata dormire. La nostra volontà ha questo potere. E a proposito della compassione dei monaci buddisti, qualcuno ricorderà il paradosso del sant uomo che, dopo essersi impegnato in intense meditazioni a sfondo altruistico, incontra un mendicante che gli chiede una ciotola di riso e, invece di sfamarlo, lo riempie di legnate. In realtà il paradosso è solo apparente e serve per sottolineare, soprattutto a vantaggio di noi occidentali, la netta differenza fra beneficenza e com-passione: la beneficenza è un atto magnanimo, certo non disprezzabile, ma che esalta la figura di colui che lo compie e, contemporaneamente traccia un solco invalicabile rispetto a chi lo riceve. La com-passione invece è un processo
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empatico, di identificazione : io mi specchio nel mio prossimo, mi identifico in lui e, dunque, condivido il dolore che sta provando. Il sistema/specchio sembra dunque essere alla base dei meccanismi di socializzazione. Riconoscersi in un altro individuo vuol dire accettarlo nella propria vita. Questo ha un valore biologico immenso perché consente la creazione di gruppi omogenei di individui in grado di collaborare fra loro e di costituire un fonte unico contro le avversità. Senza il sistema/specchio probabilmente non esisterebbe la società, ma solo individui isolati, di pessimo carattere e in continua guerra fra loro. Ma forse il valore del sistema/specchio è ancora più grande: potrebbe trattarsi di un sistema di apprendimento globale. È facile intuire che i neuroni specchio, riconoscendo i gesti altrui come propri, consentono l apprendimento per imitazione. Ma potrebbero essere anche alla base della conoscenza di sé: può sembrare strano, ma l uomo non è in grado, da solo, di costruirsi un immagine del proprio io, noi
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ci vediamo e ci riconosciamo attraverso l immagine di noi che gli altri ci rinviano. Se un uomo vivesse tutta la sua esistenza in un isola deserta, avrebbe spaventosi problemi di identità. Insomma, gli altri sono il nostro specchio. Apprendendo dagli altri, impariamo anche a conoscere noi stessi. Il solidarismo massonico è stato da sempre uno dei bersagli preferiti della critica antimassonica di tutti i tempi. Scambiato di volta in volta per favoritismo, lobbysmo o, addirittura atteggiamento mafioso, a tutti è sfuggito come la Fratellanza liberomuratoria abbia già da molti secoli anticipato i due aspetti centrali che abbiamo visto caratterizzare i sistemi/specchio: il loro ruolo nel processo di conoscenza di noi stessi e in quello di identificazione con l altro. Iniziamo dal primo punto: la nostra solidarietà è profondamente organica al processo di conoscenza di noi stessi. In una comunità in cui ci riconosciamo reciprocamente come fratelli, liberi e uguali fra noi, ci serviamo l uno dell altro per esplo-
rare la nostra personalità. Peraltro, il meccanismo di apprendimento basato sui sistemi/specchio risolve un apparente contraddizione: quella del percorso di crescita interiore, che è solitario per definizione, che si svolge nel buio e nella profondità di noi stessi, e quella delle dinamiche di gruppo. Così la Massoneria riesce a conciliare queste due logiche che sembrano escludersi mutuamente. Secondo punto: la solidarietà massonica, che si realizzi nei confronti di un Fratello piuttosto che di un profano, non è un semplice atto di beneficenza, non segna mai un confine, fosse anche quello sottile che separa il benefattore dal suo beneficiato. È la ricerca di un unità. È riconoscere il bisogno altrui come il proprio. Quando riusciranno a fare qualcosa di simile anche coloro che sono sempre così pronti a emettere giudizi sommari sugli altri?
P.28-32: Simulazioni di neuroni; p.34: Ricostruzione triassiale dell encefalo.
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l desiderio della vita e l ansia della morte, nel profondo del sentirsi e dell avvertirsi veramente unici, ha, nel corso della Storia, finito per partorire, fra i tanti, il dolce e consolatorio mito dell anima. In realtà, tracciare una storia dell anima è impresa ardua, pur tuttavia credo sia necessario cercare di penetrare nel tema dalle lontane origini. Nei popoli primitivi l anima risulterebbe compresa in una più ampia relazione con la realtà che circonda l uomo. Così, ad esempio seguendo Lèvy-Bruhl, l uomo primitivo risulterebbe soggetto alla legge di partecipazione : in altri termini il suo stato mentale sarebbe caratterizzato da uno stadio pre-logico nel quale non risulta alcuna distinzione fra l individuo e il suo gruppo, fra vivi e morti, fra uomini, animali e oggetti. Tutto è animato da una forza impersonale e anonima a cui ogni cosa appartiene e si riferisce. Tale concezione rimanda con altri accenti al concetto di Mana. Nell Antico Egitto l uomo risultava dall unione di nove costituenti: il dipanarsi dell esistenza individuale comportava il dovere di farli crescere, tentando così di accedere ai gradi superiori dell esistenza. Il concetto di anima risulta pertanto, in senso stretto, estraneo al mondo egizio ove finisce per coincidere solo in parte con il Ba, il Ka e l Akh, i tre principi spirituali dell Essere. Risale, così, alla Antica Grecia l ancora attuale nozione di anima nel suo duplice connotato, il primo spiritualista con i suoi rimandi antropologici dualisti, il secondo materialista di stampo strettamente empirico e caratterizzato da un antropologia monista. Curiosamente nella nostra lingua utilizziamo un termine latino, anima, il cui ètimo rimanda al greco ánaimos che sta per esangue o ad ánemos, il vento o il respiro. E dico curiosamente in quanto gli Antichi Greci parlavano di psychè che, seguendo Platone, deriverebbe da anapnèo, il respirare , o da anapsycho, refrigero , mentre per Aristotele troverebbe la sua radice in katapsycho, raffreddo . Le forme attuali tedesche seele e inglese soul deriverebbero dal tedesco antico saiwolò a sua volta corrispondente al greco aiólos, agile, semovente . Infine, il vocabolo sanscrito atman sta per respirare derivandone il tedesco moderno atmen.
Ciò premesso, in generale si può dire che sin dai presocratici l anima coincida con il principio della vita, intesa nelle sue connotazioni che afferiscono alle operazioni spirituali essendo, al tempo stesso, entità a se stante o sostanza. Tale definizione risulta, così, comprendere una concezione dell anima sia come realtà incorporea sia come realtà materiale: in ogni caso ciò che resta immutato è il suo
Animula vagula, blandula, Hospes comesque corporis, Quæ nunc abibis in loca? Pallidula, rigida, nudula, Nec, ut soles, dabis iocos. (Publio Elio Traiano Adriano)
Anima costituirsi come realtà a sé, fondamento delle attività spirituali che ne derivano il loro principio di autonomia e di validazione ontologica. La storia dell anima, almeno nelle filosofie e nelle religioni di provenienza occidentale, si presenta sufficientemente monotona, in quanto finisce per coincidere con l interpretazione che viene data della realtà a cui l anima stessa rimanda. Prima di analizzare come la storia della medicina abbia finito per intersecare la storia del pensiero filosofico e religioso, è necessario effettuare un ultima precisazione. È indubbio che il pensiero che permea a tutt oggi la nostra cultura e finanche il nostro più semplice parlare quotidiano, abbia precisi riferimenti storici con le Sacre Scritture della tradizione giudaica, fatti propri dalla religione cristiana. Nell Antico Testamento quando si parla dell uomo si utilizzano tre vocaboli di origine aramaica: basâr che sta per carne, nefes che esprime la vitalità individuale e rûah che rimanda allo spirito. In tal senso l uomo è insieme basâr e nefes e in lui Dio infonde rûah. Ne risulta una tripartizione dell essere umano
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che tuttavia oggi confonde. Nell Antica Grecia, il filosofo inizialmente coincide, almeno in un senso ampio, con il fisico: é, in altri termini, alla ricerca del Principio a cui tutto si uniforma e da qui nasce la sua necessità di indagare, anche se con limitati mezzi, la physis, quel mondo nel quale ogni uomo vive. Identificarlo costituirebbe la chiave di accesso a ciò che sta oltre, al metafisico. Solo quando cambia il contesto socio-politico, si assiste ad un viraggio di interesse: conscio dell impossibilità di vedere ciò che sta al di sotto del velo di Iside, il filosofo inizia ad occuparsi dell uomo e lo fa sia diventando sofista, cioè una sorta di professionista della sapienza, concentrando il proprio interesse speculativo sull uomo e sul contesto sociale dove egli vive, sia rimaterializzandosi nella figura di Socrate, figlio sì del proprio tempo ma padre del nostro in cui ancor oggi viviamo. Infine, i mutamenti politici fornirono l humus alla nascita del pensiero platonico, tutto rivolto ad un sapere superiore che potesse fornire un modello teorico giustificativo, attraverso la conoscenza di una realtà prima ed eterna, del nostro essere qui ed ora, e, subito appresso, del pensiero aristotelico che, con
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In un certo senso credo stia tutto qui il problema di ogni Uomo: Voglio vivere, vivere, vivere. Ditemi che fare per amor del cielo e io qualunque cosa farò pur di stormire nel giardino dei viventi. (Sergej Esenin) il suo costituirsi come un metodo di approccio gnoseologico, rivolse nuovamente il proprio sguardo alla natura. Si vuol, in altri termini, accennare all insopprimibile e basilare bisogno di ogni uomo, che si ponga domande, di far i conti con il mistero della Vita: per spiegarlo si possono volgere gli occhi verso il cielo o
verso la terra. Nell un caso e nell altro bisogna, però, sempre tenere presente, come diceva Wittgenstein, che su ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere . Un approccio religioso non può, e non deve, ovviamente spingersi a predire come è fatta la Natura: il nostro essere laici ce lo ricorda ad ogni istante. Ma forse è meno chiaro che, come ci ricorda Niels Bohr, è sbagliato pensare che sia compito della fisica scoprire come è fatta la materia. La fisica tratta di ciò che si può dire della Natura . Compito della Scienza è disvelare ciò che è possibile conoscere. Compito della Filosofia, e di una religione aperta, è dare una chiave di lettura di ciò che non si conosce ancora ma ancor di più di ciò che non si può conoscere, almeno col ricorso alle scienze umane. D altronde già il nostro Goethe diceva che la più grande delle gioie di un essere razionale è l aver esplorato ciò che è esplorabile e l aver serenamente onorato ciò che è inesplorabile . Si dovrebbe meglio comprendere che diventa necessario, almeno per ogni religione o filosofia che ammetta una trascendenza o una immanenza, origine e fonte della
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vita, definire ogni uomo come l insieme di basâr, la materia o, con i Greci, sarx, la carne come parte mortale e corruttibile dopo la morte; di nefes, la psyché, l anima intesa come l insieme delle manifestazioni mentali (passioni, affetti, desideri, pensiero, conoscenza, gioia, timore, pietà, memoria...); di rûah, lo pneuma, lo spirito vivificante, mezzo con il quale da un lato comunichiamo con Dio e dall altro Dio ha vitalizzato la carne donandole, quindi, un anima. La lunga premessa è sembrata necessaria per definire, almeno per sommi capi, il panorama a cui dobbiamo riferirci quando vogliamo interessarci di come i medici siano stati ed ancor oggi siano chiamati a definire non che cos è l anima ma dove essa si trovi. Inizialmente la medicina fu pratica di schietta matrice teurgica e che come tale il medico svolgeva una funzione magica nel tentativo di portare il malato alla guarigione, sollevandolo dalla punizione che la Divinità gli aveva inflitto. Solo con Ippocrate la medicina si costituisce come scienza nel conflitto fecondo con la filosofia, che valse a darle chiara consapevolezza di metodo e la rese capace di elaborare l espressione classica e perfetta del
concetto di scienza a lei proprio [Jaeger] . L uomo fa parte dell Universo e ne condivide le leggi: la Medicina con Ippocrate diventa la scienza del corpo umano soggetto a tali leggi cosmiche e concepito esso stesso come un microcosmo. La base della medicina è allora la conoscenza delle leggi con le quali l organismo umano reagisce agli effetti delle forze che regolano l universo, nel suo stato normale come in quello patologico. Nell epoca omerica, che risale circa al 800-700 a.C. e si situa pertanto in epoca pre-ippocratica, seguendo le teorie di Bruno Snell, i Greci distinguevano una forma di anima-vitale, la psychè, che rappresentava l identità personale ma che non aveva una precisa sede anatomica: era muta durante la veglia e si manifestava unicamente durante il sonno ed il sogno; alla morte abbandonava il corpo attraverso gli arti o le ferite e raggiungeva l Ade nelle sembianze dell éidolon. Al tempo stesso esistevano delle altre forme di anima ben localizzate nel corpo umano. Va per primo ricordato il thymòs, situato nel petto ed associato al caldo vapore del respiro e da cui il latino fumus. Esso è alla base delle emozioni ed ancor oggi in medicina si parla di timia
riferendosi al tono dell umore, anche se ben altre funzioni vengono attribuite al corretto o patologico funzionamento del timo , ghiandola situata nello spazio mediastinico anteriore. A sua volta il thymòs si concentrava nei phrénes, il diaframma o secondo altri i polmoni stessi. Qui era la sede delle emozioni: gioia e dolore, pietà e vendetta, coraggio e paura. Secondariamente esisteva il pensiero, il nous: anch esso era situato nel torace ma non ne esisteva una precisa sede anatomica, così come per il ménos, la forza del guerriero in battaglia. Infine l étor e il kradìa costituivano in qualche modo il ker, il cuore come sede degli affetti, distinto dal kardìa, il cuore come organo anatomico. Nella filosofia presocratica, alcuni pensatori sembrano più interessati all identificazione del principio che non alla sua sede: così Anassimene e Diogene d Apollonia lo identificano nell aria, mentre Eraclito con il fuoco. Altri risultano più interessati alla fisicità: Empedocle ritiene che l uomo pensa con il sangue e che le sensazioni sono trasmissioni particolate che penetrano attraverso i pori. Parmenide la situa nel torace anche se continua a ritenere il sangue il veicolo del pensiero.
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Anima
Democrito, infine, distingue un anima razionale, situata nel torace e nella testa, da un anima irrazionale dispersa in tutto il corpo: va da sé che l anima di Democrito è, come ogni altra cosa che esiste, formata di atomi. A partire dal 500 a.C. l ambiente medico e filosofico greco si impegna in una disputa che continuerà sino al Rinascimento. Da un lato va formandosi uno schieramento che possiamo definire encefalocentrista per il quale è l encefalo ad essere la sede della coscienza umana. Dall altro si precisa e si definisce uno schieramento cardiocentrista che vede nel cuore il centro pensante di ogni uomo. Esaminiamoli per sommi capi. Agli inizi del V secolo a.C. nasce e svolge la propria professione di medico Alcmeone di Crotone. Forse per aver svolto dissezioni anatomiche sugli animali (sino al Rinascimento sarà considerato empio sezionare un cadavere) e sicuramente per aver osservato la sintomatologia di eventi patologici a carico dell encefalo, egli sosterrà che tutti gli animali hanno sensazioni ma che solo
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l uomo può synìemi, cioè mettere insieme e quindi comprendere. In tal senso l encefalo è la sede del più alto potere dell anima . Su analoghe posizioni furono Ippone di Samo, Anassagora di Clazomene e Diogene d Apollonia. Nel IV secolo a.C. Ippocrate precisa ancor meglio la centrale funzione dell encefalo quale sede della mente e dell anima umana, che egli paragona ad una statua sacra posta nel centro del cervello e che può essere danneggiata da eventi fisici esterni o corrotta dagli umori del corpo. È con Platone che la teoria encefalocentrista trova la sua giustificazione filosofica. Platone ritiene che nella testa, ove risiede l encefalo, si trovi la parte più importante dell anima, il lògos, intelligente e razionale, divina e immortale, in questo riprendendo il pensiero di Pitagora. Esistono poi altre due tipi d anima, umane e mortali: la prima, il thymòs, è situata sopra il diaframma fra i polmoni ed il cuore, presiede ai sentimenti ed è connessa al logos tramite il collo; la seconda, la ephithumìa, presiede ai bisogni animaleschi e si trova nell addome, fra il
diaframma e l ombelico e vicino al fegato. La teoria di Platone non pecca tuttavia di originalità: oltre a Democrito anche Filolao di Crotone aveva distinto la testa quale sede del pensiero, il cuore sede della vita e delle sensazioni, l ombelico sede dello sviluppo della vita e i genitali sede della riproduzione. Analogamente la Scuola Pitagorica riteneva che il cervello fosse la sede della mente (il nous) e del pensiero (i phrénes) mentre il cuore era sede delle emozioni (thymos). Che il cuore fosse in qualche modo la sede del pensiero e delle emozioni, è, per contro, teoria antica e risale sin agli antichi Egizi e alla Mesopotamia. La sua giustificazione scientifica si fa risalire a Filistione di Locri o alla Scuola di Cnido in Asia Minore. Fu tuttavia Aristotele, il grande filosofo ma al tempo stesso il primo anatomista della Storia, a darne ampia spiegazione. Secondo Aristotele, l anima era la forma, cioè la sostanza, di ogni corpo vivente. In tal senso ogni organismo possedeva un anima vegetativa, che presiedeva alle funzioni di sostentamento, un anima sensitiva e motoria
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che era comune anche agli animali ed infine un anima intellettuale, il nous, propria solo dell uomo. Tutte e tre le parti dell anima si troverebbero nel cuore, che è la fonte del calore, del sangue e dell origine dei vasi sanguigni. In ogni caso Aristotele si occupò anche dell encefalo, che descrisse con una certa precisione anche se lo ritenne privo di apporto ematico, in quanto i vasi si limiterebbero alla dura madre, freddo e diviso in enkephalos, gli emisferi cerebrali a sede sopratentoriale, e in parenkephalìs, il cervelletto. In aggiunta descrisse tre canali o poroi diretti uno all encefalo (forse i nervi ottici) e due al cervelletto (forse il trigemino e l oculomotore comune). Completò le sue osservazioni con la prima, anche se approssimativa, descrizione delle cavità ventricolari, del liquor cefalo-rachidiano e del midollo spinale. La funzione che egli riservò al cervello si limitava a quella di ridurre l eccesso di calore, cioè l intensità delle emozioni che venivano veicolate dal sangue, ma anche un qualche non ben definito ruolo nella produzione del sonno. Ulteriore linfa alla
teoria cardiocentrista venne da Diocle di Caristo, ritenuto da Plinio il Vecchio il più grande medico dell Antichità. Egli ribadì il ruolo centrale del cuore dal quale lo pneuma vitale si diffondeva in tutto il corpo. Dovette avere, tuttavia, qualche ripensamento se ad un certo punto finì per attribuire un ruolo, anche se sussidiario, al cervello la cui parte destra era coinvolta nelle sensazioni e la sinistra nell intelligenza. Anche Protagora di Cos, maestro di Erofilo, sostenne la centralità del cuore al quale giungeva dagli organi di senso lo pneuma trasportato dalle arterie e dal quale si diffondeva ai muscoli; per inciso, alle vene era deputato il compito di trasportare il sangue ai vari organi. Infine sulla stessa linea di pensiero si schierarono la Scuola Peripatetica, Atteneo di Attalia e la Scuola Stoica. Nel III secolo a.C., ad Alessandria d Egitto, nasce e fiorisce la più importante scuola medica non solo dell epoca ma i cui frutti rimasero basilari per la conoscenza medica sino al XVII secolo d.C. Non solo lo stimolante ambiente scientifico ma la possibilità,
del tutto sconosciuta per quell epoca, di poter praticare autopsie, in particolare sui criminali condannati a morte, e vivisezioni fecero nascere la moderna anatomia descrittiva. Due sono i medici rimasti famosi: Erofilo di Calcedonia ed Erasistrato di Ceo. Ad Erofilo si deve una precisa descrizione degli emisferi cerebrali e dello spazio sottotentoriale, dei ventricoli cerebrali assegnando al IV ventricolo il ruolo di coordinamento (heghemonikòn) dell intero corpo, ma anche dei nervi cranici e spinali. Erasistrato proseguì nell opera di Erofilo, dapprima assegnando alla dura madre il ruolo di centro di tutte le operazioni mentali, sensitive e motorie, in un secondo tempo, avendo chiaramente riconosciuto l origine dei nervi dalla sostanza cerebrale e midollare, sposò la teoria che l intelligenza dell uomo era proporzionale alla complessità delle circonvoluzioni cerebrali. P.34-35: Identità, collez. priv; p.36-37: Galeno ed Ippocrate, affresco; p.38: Un cactus imita le circonvoluzioni cerebrali; p.39: Simulazione al computer dei vasi sanguigni del cervello.
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I riti quotidiani Maurizio Galafate Orlandi
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l valore di una parola, quello che le fu attribuito quando venne pronunciata per la prima volta, corrisponde sempre ad un idea preesistente anche se a volte viene dimenticato. Riscoprire tale significato ci può aiutare a comprendere perché essa nacque ed a quale esigenza rispondesse. Il sostantivo Rito deriva dal radicale sanscrito rta ed esprime il concetto di Ordine che in ogni tempo e luogo regola la vita del singolo individuo, di un gruppo, dell intera società umana. Esso crea legami tra diverse culture e civiltà, ed unisce alla sua dimensione internazionale l universalismo di principi che collocano l essere umano al centro della storia. Tutti noi, nel corso della nostra vita, sia individualmente che insieme ad altri, pratichiamo dei riti ai quali siamo stati iniziati ed ogni volta che li ripetiamo ci permettono di trascorrere una breve parte della nostra esistenza in uno spazio-tempo separato vivendo momenti di serenità, quei momenti che ci aiutano a sorridere. Esistono riti mattutini come radersi, bere un caffè, oppure curare la propria persona; esistono analoghi riti serali ed anche quelli che riguardano la nostra attività nella rete, come ad esempio leggere la posta elettronica. Tutti questi, ed altri ancora, sono veri e propri comportamenti rituali che vengono vissuti in modo diverso a seconda della tradizione propria di ciascuna cultura. I riti scandiscono il ritmo della nostra vita quotidiana perché hanno un tempo ed un luogo di esecuzione ben precisi nel momento in cui compiamo i gesti che li veicolano e, se si svolgono con il coinvolgimento di più persone, ne consolidano la coesione, costituendo in questo modo una guida che ci accompagnerà nel cammino della vita. Al mattino quando ci rasiamo eseguiamo un rito e siamo noi a renderlo tale nel momento in cui mettiamo in atto il rituale che ci è stato insegnato. Quando ogni giorno usciamo di casa e ci rechiamo al lavoro, eseguiamo anche in questo caso un rituale che ci fa sentire parte della società umana e nella quale noi ci riconosciamo. Ad un attento osservatore risulta evidente che non si tratta di abitudini oppure di comportamenti consuetudinari perché questi, se da una parte consistono nella ripetizione di atti, dall altra sono soltanto fini a se stessi.
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Rituali Innumerevoli sono i riti quotidiani che pratichiamo: - Non incomincio bene la giornata se non salto sul letto e canto la mia canzone preferita; - Appena mi sveglio vado ad aprire la porta di casa e faccio entrare il gatto; per non dimenticare il bambino che, prima di addormentarsi, accarezza i capelli della mamma. Tra i riti collettivi ricordiamo quello cosiddetto dei cento giorni quando, prima degli esami di maturità, gli studenti si recano in piazza dei Miracoli a Pisa dove accarezzano la lucertola sul portone del Duomo. Altri scrivono il voto sulla sabbia poi, dopo aver gettato del sale con le spalle rivolte al mare, guardano se l onda della risacca lo cancella mentre altri ancora comprano una penna, la stessa che successivamente verrà usata per sostenere l esame, quindi si recano in un santuario dove la fanno benedire. Si tratta di una pratica rituale che infonde fiducia e sicurezza, che costituisce per noi punti fermi e sicuri nella nostra vita quotidiana perchè tutto ciò che diciamo in quei momenti appartiene a campi semantici diversi da quelli usuali, i quali, in tal modo, esercitano su di noi un potere di suggestione che va ben oltre il significato delle parole dette e degli atti compiuti. L introduzione nel mondo del lavoro, invece, non è soltanto un rito, bensì una vera propria iniziazione a riti futuri. Qui l apprendista viene istruito non soltanto sui suoi compiti, ma anche sulle pratiche e gli usi adottati dal gruppo insieme al quale si troverà a lavorare. Anche in questo caso non si tratta di semplici abitudini, perché la caratteristica di queste ultime è quella di essere meccaniche, prive di ogni carattere emozionale e, anche se esistono da lungo tempo, non implicano alcuna vera partecipazione da parte del soggetto che le pone in essere. La sacralità di questi avvenimenti è evidente se noi intendiamo come sacro tutto ciò che consideriamo del massimo rispetto e che è altresì da noi fortemente desiderato, allo stesso tempo sono anche segreti perché li teniamo separati e li custodiamo gelosamente soltanto per noi, godiamo le emozioni che ci danno e che infondono gioia di vivere. Come abbiamo visto le pratiche rituali permeano la società umana in ogni suo aspetto e contribuiscono a formare la
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Tradizione divenendone parte integrante per perpetuare usi e costumi che dai primordi sono in tal modo arrivati fino a noi. Sarà proprio la Tradizione che ci aiuterà nella costante ricerca della Conoscenza che non è soltanto semplice Sapere, bensì l identificazione dell essere che coglie l universale. Se avremo una giusta predisposizione dell animo e faremo nostri i suoi insegnamenti allora potremo raggiungerla, ma se ciò non fosse tutto il nostro agire non avrebbe alcun senso perché la vera Conoscenza, quella il cui elemento principale è costituito dall intuizione, non è frutto di
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iovin Signore, o a te scenda per lungo
di magnanimi lombi ordine il sangue purissimo celeste, o in te del sangue emendino il difetto i compri onori e le adunate in terra o in mar ricchezze dal genitor frugale in pochi lustri, me Precettor d amabil Rito ascolta. Come ingannar questi nojosi e lenti giorni di vita, cui sì lungo tedio e fastidio insoffribile accompagna or io t insegnerò. Quali al Mattino, quai dopo il Mezzodì, quali la Sera esser debban tue cure apprenderai, se in mezzo agli ozj tuoi ozio ti resta pur di tender gli orecchi a versi miei.
erudizione e di approfondimenti culturali bensì del desiderio costante di progredire. Così sarà di generazione in generazione a patto che le nostre azioni si svolgano in un Ordinamento preesistente, altrimenti si tratterebbe soltanto di sporadiche manifestazioni soggettive. Dall Iniziazione alle Tradizioni, dal Sacro ai Riti, tutti si realizzano mediante sequenze di atti, gesti e parole che, disposti in un certo ordine, si pongono un preciso obiettivo: - Mettere a disposizione del neofita quegli insegnamenti che gli permetteranno di comprendere che il suo bene personale è parte di quello dell intera Umanità. L uomo è da sempre alla ricerca di valori universali per cui valga la pena di vivere e che, come scrisse il letterato Christoph M. Wieland, ci inducono a considerare tutti i popoli della terra come altrettanti rami di un unica famiglia . Questi costituiscono nel loro insieme la chiave di accesso ad un mondo spirituale nel quale l uomo assume consapevolezza della sua responsabilità etica nel terzo millennio e si fa sempre più sensibile alle questioni importanti che caratterizzano la società moderna quali l istruzione, la discriminazione, la tutela dei diritti dei singoli, i problemi dell ambiente. Egli non dovrà più pensare soltanto a se stesso, ma porsi al servizio degli altri per il loro bene, quel bene che Aristotele definì: ciò verso cui ogni cosa per natura tende e che in una costante evoluzione cerca di raggiungere un fine superiore. I Riti ci stimolano all introspezione ed ogni qualvolta avremo fatto più luce dentro noi stessi, o come scrisse René Guenon, nella cavità del nostro cuore, nel centro del nostro essere , l ideale di perfezione al quale tendiamo ci permetterà di percepire quel meraviglioso rapporto di interdipendenza esistente in tutto il Creato e ristabilire in tal modo il regno della Pace e dell Armonia. Se tutto questo non accadesse, il mondo futuro sarebbe piatto come quello descritto da Edwin A. Abbott in Flatland, noi vivremmo soltanto a due dimensioni e, omologati gli uni agli altri, verremmo rappresentati da scheletriche e stereotipate forme geometriche.
(G. Parini, il Giorno) P.40-41: Monochrome cat , collez. priv; p.43: Scacchi, matita grassa, collez. priv.
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irca mezzo secolo fa l antropologo Ernesto De Martino, in particolare attraverso il suo saggio del 1961 La terra del rimorso individuava il rischio della perdita della presenza , forma di dissociazione resa in comportamenti estatici, nella mancanza di certezze sociali, in situazioni di inferiorità che colpivano soprattutto la donna in un Salento percorso dal mitico potere della taranta . Ragno ipotetico che perseguitava i colpiti con tutta la forza del suo insistito rimorso. Ma l antropologo, più che nella terapia tradizionale realizzata mediante un accompagnamento musicale eseguita dalla nota orchestrina del barbiere di Nardò, credeva in un rimedio ben più moderno, ossia nel raggiungimento di una nuova posizione sociale di coloro che venivano morsi, determinata dalla dignità del lavoro conseguibile in un società effettivamente moderna. Guadagno che sarebbe certamente arrivato e che si preannunciava attraverso il processo di industrializzazione, che nel diffondersi in quelle terre avrebbe creato una nuova coscienza di classe. Insomma, il progresso si sarebbe inevitabilmente tradotto nella trasformazione di espressioni tradizionali in relitti folclorici, utilizzabili solo per sagre paesane, e quindi utili tutto al più all industria del turismo o a testardi antropologi, intenti nell opera di Sisifo di ravvivare contenuti museali. Insomma attivi e pratici sindacalisti avrebbero sostituito per sempre maghi e fattucchiere, e le loro direttive chiare e democratiche avrebbero sepolto definitivamente formule e gesti oscuramente magniloquenti. In effetti il tarantismo pugliese presto si estinse, ma non si estinsero variate forme di magismo che per manifestarsi utilizzarono altri veicoli, più attuali, e soprattutto socialmente efficaci. Sì che al Salento rurale e magico o alla Napoli della jettatura celebrata da Eduardo, si sostituì la Torino della fiat e della coscienza operaia (sempre troppo ossequiente però verso i vecchi
padroni dall abito nuovo, correttamente democratico), ma soprattutto della cartomanzia, della divinazione in fascicoli, degli oroscopi massificati per nuovi fruitori, socialmente inseriti ma non meno perduti della povera Maria di Nardò con le sue crisi
estatiche. Come mai? De Martino non arrivò a chiederselo, anche perché lasciò questo mondo prima che il fenomeno divenisse così evidente e massiccio da trovare nemici in tribunale e alleati in tv. Il nuovo mezzo che unificava e omologava l Italia ben più dello spirito risorgimentale e del nazionalismo mussoliniano (Pasolini docet), rendendo il popolo uniformemente con-
Alchimia sumatore. Di beni materiali certo, dalla seicento ai miracolosi elettrodomestici, ma soprattutto di oracoli prêt-a-porter, sollecitati da una carenza mai risolta. La carenza dell esistenza, dell essere umano in quanto tale, del suo essere per la morte e per la sofferenza, abbondantemente concessa dalla stupidità prometeica e dal dono di Zeus. Per quanto socialmente sicuro, l uomo nuovo dello sviluppo industriale e della coscienza sindacale, non superava certo i suoi limiti costitutivi, con l aggiunta di mantenere salda quella speranza, residuo del vaso di Pandora, che si trasformava in una assoluta mancanza di rassegnazione, in una illimitata fiducia nell operabilità umana, e quindi nella ferma volontà di agire anche in situazioni che una vera saggezza avrebbe consegnato a una ragionevole passività. Ma, esaltato dalle conquiste della tecnica, oltre che da quelle sindacali, l uomo moderno, stupefatto per la forza enorme datagli dal progresso, pur dinanzi all impossibilità di agire, a causa di un male fisico o un amore, entrambi terminali, cercava alternative, vie ragionevolmente impraticabili, nella folle convinzione di poter trovare comunque una soluzione. Sì che questa persona carente, pur di operare, finiva col rivolgersi ad un magismo posticcio, comportamento che convinceva tra l altro la nutrita schiera dei sociologi da settimanale che alla base di questo operare non moderno esistesse un represso bisogno di spiritualità di una società soffocata dal materialismo. Così, sotto il velo di ricerca del soprannaturale incominciò a trionfare un magismo tecnicizzato e democratico, del quale l oroscopo costituì la forma meno dannosa ma anche più stupida, in particolare quando si pretese di renderlo scientifico con metodi matematici, nella completa ignoranza delle trasformazioni apportate dalla rivoluzione galileiana. Rivoluzione, dico, non evoluzione ma neppure involuzione. Semplice segno dei tempi, di una mentalità che mutava
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assieme all essere del cosmo. L antica astrologia, come altre scienze tradizionali, avevano una ragion d essere in un universo plastico (si veda in particolare Garin, 1988), malleabile, descritto dai testi ermetici e ripreso dalla tradizione umanistica, nel quale il microcosmo umano aveva amplissima libertà d azione. Operando sul basso dei metalli per influenzare l alto degli astri, secondo la perfetta corrispondenza e simpatia; ponendosi al centro del cosmo, come il sacerdote di Campanella che, chiuso tra le mura de La Città del Sole, operava con il suo universo in miniatura per mantenere l equilibrio cosmico. Se l ordine stellare è in te, nulla può nuocerti , recitava l antico
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principio, in base al quale si operava sul grande per dominare il piccolo e sul piccolo per organizzare il grande. E soprattutto si agiva simbolicamente sulla materia al fine di purificare lo spirito, in maniera tale che questo, a sua volta, mediante il potere raggiunto, potesse stancarla" e trasformare in oro se stesso prima che il vile piombo. Non esistevano però in questo caso formule determinate, diffusamente utilizzabili: l opera al rosso si basava sulla capacità dell operatore; il portento avveniva ex opere operantis e non ex opere operato, vale a dire che ben diversamente dalla scienza chimica, per la quale la formula è neutra e produce il suo effetto qual che sia il soggetto a metterla in
atto, al centro dell operazione alchemica si collocava il soggetto operante in quanto microcosmo, con la sua costanza ascetica. Immaginiamo l alchimista nel suo gabinetto, liquefare piombo e rame, volatilizzare e condensare in una ripetizione ossessiva che, chimicamente non produrrebbe mai oro, fino a che... Fino a che egli stesso, attraverso l illimitata ripetizione, raggiungerà una tale elevatezza spirituale da costringere la materia ad ubbidire alla volontà del suo spirito. L alchimista non vuole creare oro, ma vuole essere oro, nuovo Mida consapevole, in grado di maritare mundum. Ma questi era fisiognomicamente e sostanzialmente diverso dallo scienziato attuale, era figlio ed artefice di un mondo differente, che da lì a poco sarebbe stato cancellato da alcuni eventi significativi. L analisi filologica e la scienza galileiana. Nel primo caso segnaliamo, seguendo l indicazione della Yates (1985), l opera di Isaac de Casaubon, che, con stringente analisi filologica rivelava la modernità dei testi ermetici, non trascrizione di antichissima sapienza egizia, ma prodotto di un pensiero filosofico ellenistico. Nel secondo, Galilei, che, consapevole di non poter operare magicamente su un universo ormai definitivamente compiuto (non più plastico, non più organismo vivo e pertanto trasformabile) si accontentava di descriverlo immobilizzandolo in leggi matematiche. A questi dati si aggiunge, e non da ultima, la nuova figura del mercante, che interessato a trasformare meno se stesso che la materia vile in oro, trovava nell attività commerciale un mezzo molto più redditizio e rapido. Esportare manufatti ed importare schiavi: comprare e vendere, nella maniera più rapida possibile, sostituendo al tempo illimitato dell alchimista, quello più breve possibile tra un viaggio e l altro, tra un guadagno e l altro. Solo allora incominciava a valere quel detto per cui il tempo è danaro , e non a caso proprio allora, come sottolinea Spengler, all orologio del villaggio o della città antica, che segnava in maniera approssimativa le parti del giorno, si sostituiva un orologio ben più puntuale, da mettere nel taschino, affinché fosse continuamente presente a scandire ogni attività umana nel suo contesto sociale (Spengler, 1991). All alchimista, all astrologo che non si limitava a descrivere il movimento degli astri, ma a influenzarlo per poter agire sulla vita umana, si sostituiva un mero calcolatore, il cui fine era di confermare il fatto,
decretando la piena ubbidienza dello spirito al peso della materia. Senza residui e senza nostalgie: era il dato al quale non aveva senso opporsi, come non aveva senso insistere su formule e soprattutto su comportamenti ormai vuotati di senso. Da quel momento in poi l astrologia non poteva avere più alcuna vigenza, perché data l immutabilità dell universo, allo spirito umano non rimaneva altro che la capacità intellettiva della descrizione, la facoltà di testimoniare quell incessante incontro atomico che non ammetteva alcun clinamen, che non lasciava spazio a residui morali. Con la scienza chimica e quella fisica, fondate su descrizioni di caratteristiche esclusivamente geometrico-meccanico, sorgevano allo stesso tempo l universo di Cartesio, e la rappresentazione di un dio estraneo, lontano, sorta di deus otiosus che si limitava a sorvegliare l immutabilità del cosmo, tale almeno sino al giorno del giudizio, ed a sancire ristrettissimi limiti per la libertà umana. Concezione acuita dalla Riforma, nella sua forte propensione antirinascimentale e antiromana. In maniera allora coerente con una cultura e un tempo inequivocabilmente lontani da principi tradizionali (definirei tradizionale ogni concezione o istituto che non si consideri occasionale ma fondato su una regola superiore, sulla direzione divina o sulla volontà dell essere dal quale il soggetto trae ispirazione e valore nel suo operare, oltre che la certezza di sé in quanto liberato dal caos) ci si dedicò al culto di una scienza privata di attributi, nella sua presunzione di assolutezza, o tutt al più fornita della ridondante qualifica di scientifica , quale unica possibilità di interpretare efficacemente il mondo ed operare nel suo ambito. Presunzione probabilmente, ma è anche vero che non si ponevano alternative, in quanto si era interrotta quella diretta via di comunicazione fra maestro e discepolo, non sostituibile dalla trasmissione di formule attraverso il mezzo della scrittura. Ricordo in proposito l acuta osservazione di Carlos Castaneda nel suo saggio narrativo A scuola dallo stregone, nel quale il maestro Don Juan, come primo ammonimento rivolto al volontario apprendista, gli dice di disfarsi di penna e blocco d appunti e di ascoltare le parole di lui e le sensazioni proprie, allo scopo di assumere una sorta di empatia - Einfühlung - diremmo in termini psicologici, per superare la barriera della dialettica. Il pensiero dialettico, l argo-
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mentare dialettico, sono segni peculiari di una modernità che si riconosce in un dialogare in cui la certezza dell io si fonda su una differenziazione nominale rispetto all alterità, e si rafforza in quanto prodotto terminale di un incessante rispecchiamento. Il nostro attuale (o almeno di questo tipo umano e di questa cultura) modo di pensare, di essere, è inconfondibilmente fondato su tale processo, che nell apparente rispetto dell alterità, la rende comunque funzionale a un io dominante, che la fagocita e ci si alimenta. In tal modo l io si accresce, ovvero nei termini della tradizione buddista, rafforza quel desiderio di vita che, prima che carattere volitivo ha forma intellettiva.
Nel momento in cui l io individua e determina, ossia dà nome e forma alla realtà esterna, consolida se stesso, ma con ciò accresce una contraddittorietà intrinseca, dal momento in cui tale determinazione avviene sulla base dell alterità, ossia su quel che l io non è. Per questa argomentazione rimandiamo alla filosofia parmenidea e alla sua interpretazione in termini esistenziali offerta da Carlo Michelstaedter (1958). Ma è solo questa la possibilità attuale? La dialettica e questo tipo di scienza alla quale oggi si contrappone un ancor più deleterio magismo fondato sui pregiudizi della scienza stessa? È possibile, invece, recuperare modi di una concezione tradizionale? Po-
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trebbe essere percorribile la via di chi, ripetendo antiche simbologie e forme rituali intende connettersi con un universo (quello mobile, plastico, continuamente reinventabile) attualmente oscurato? O si tratta piuttosto di tentativi inutili, finalizzati al vano sforzo di ravvivare simbologie morte? In termini più concreti: ha senso, ad esempio, riproporre antichi rituali egizi quando non esiste più una regalità sacra? La risposta coerente sarebbe negativa, a meno che non si diriga il pensiero a quegli antichi amanuensi, quei Benedettini che, pur senza averne grande coscienza, copiavano e ricopiavano antichi testi, magari senza com-
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prenderne il significato, con la speranza o la coscienza di preservarli per un mondo a venire che ne avrebbe forse compreso e vissuto il senso. Con ciò abbiamo indicato due possibili atteggiamenti antimoderni nei confronti della realtà e della sua manipolazione, che, pur se incerti, hanno entrambi almeno il pregio di non mescolare e confondere la scienza magica con quella sperimentale, ossia di utilizzare la metodologia di quest ultima nell assurda pretesa di offrire maggior credito all altra. Quando, ribadiamo, alla obbligatoria riproducibilità dell esperimento scientifico in maniera del tutto indipendente dalle carat-
teristiche dello sperimentatore, si contrappone l assoluta casualità del secondo, determinato dall operatore e da condizioni non traducibili in termini matematici. Aggiungiamo che operare nel presente secondo metodi rituali tratti da realtà storiche ormai consumate, se fatto con la consapevolezza dell inutilità pratica ma della pura abnegazione, se sorretto dalla ferma volontà di testimoniare (come quel soldato romano segnalato da Spengler, rimasto immobile al suo posto di guardia nonostante l eruzione del Vesuvio per tener fede alle consegne) ha comunque un valore, nel momento che sottrae l individuo alla
costrizione del fine e al suo condizionamento. Al di là di questa sorta di eroismo individuale ci troviamo comunque dinanzi all impossibilità di recuperare, nel senso di rendere attive, forme tradizionali in una fase cosmica o storica (a seconda della prospettiva) recante tutti i tratti della modernità, del senso del finito e della contingenza. Un epoca in cui l individuo, privato di maestri, non è in grado di percepire né di operare in base a princìpi tradizionali. Non è in grado ad esempio di percepire la politica come opera sacra (del resto la politica oggi non ha niente di sacro, come non hanno nessuna nobiltà i residui di antiche caste), né la propria presenza nel mondo come espressione di un preciso ordine cosmico che dà valore al suo essere. Marcato da questa coscienza d una esistenza occasionale, pur se illuso da forme ottimistiche di salvezza collocate alla fine dei tempi, costui non può percorrere altre vie che quella della causalità scientifica che sancisce per lui l impossibilità della Grande Salute (termine nietzscheano) e lo condanna alla amoralità della morte. Ubbidiente ai dettami della scienza moderna, a un universo definito e dominato dalla materia, egli è giustamente guidato da scetticismo verso ogni altra soluzione che si sottrae alle leggi della scienza. A meno che... a meno che non si decida di condurli sino alle estreme e logiche conseguenze questo scetticismo, questo oculato relativismo, portati della modernità, e rivolgerli persino contro se stessi. Contro quelle certezze per le quali ciò che viene indicato come la cosa in sé e il mondo reale, non sono tali, ma frutto di prospettive e di interpretazioni. E capire che questa manifestazione dell umano non è unica e definitiva, così come la sua gestalt attuale, forma in divenire non esauribile nel limitato numero di anni della storia sinora vissuta. In somma, suggeriamo con ciò all uomo contemporaneo di mettere in atto lo stesso scetticismo che lo ha allontanato da un quadro del mondo tradizionale, onde ridurre le certezze assolute di una visione scientifica. Sì che possa comprendere che la descrizione geometrico-meccanica del modo non è un dato, ma un interpretazione, e lasciare quel margine di possibilità ad altri modi del pensiero e ad altri mondi, mai oggettivi ma sempre oggetto e prodotto di quadri interpretativi. Sì che allora anche la modernità e i suoi
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prodotti, relativizzando la nostra presenza storica, potrebbero condurci verso altre possibili forme d esistenza, non risolte nel brevissimo spazio di questa temporalità e di questa cultura, la cultura occidentale, il cui grande guadagno deve essere invece uno scetticismo privo di limitazioni, da rivolgere anche o soprattutto contro le proprie momentanee certezze. Percepire questo sottrae il pensiero ad un ottuso dogmatismo e soprattutto a alla presuntuosa centralità del momento, tradotta dall Illuminismo nell universalità dei valori (quelli ispirati dalla logica cartesiana) dettati dall intelligenza dell uomo moderno. Da ciò la mia scelta personale: incapace di riconoscermi in forme tradizionali per il marchio di modernità che è in me, seguo il senso critico, ugualmente in me radicato, nei confronti di ogni enunciato, aprendo la
mente e il cuore verso altre, illimitate, possibilità dell umano.
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n un mondo dove si immagina possano aver spazio solo lievità e fiaba visse un personaggio che merita ricordare: Salvatore Viganò. Celeberrimo ballerino e coreografo iniziò la sua carriera a Roma dove esordì in vesti femminili, poiché alle donne non era frequentemente consentito calpestare la scena. Prendendo parte insieme al padre ballerino e coreografo alle feste celebrate a Madrid per l incoronazione di Carlo iv incontrò la danzatrice spagnola Maria Medina celebre per la sua bravura e la sua bellezza. Bello, giovane e intraprendente, il Viganò fu vinto dalle grazie di lei e dopo pochi mesi essa divenne sua moglie. Insieme partirono per Parigi unendosi ad un amico fraterno, ballerino anch esso, il francese Douberval, maestro oltre che collega. Dopo varie esperienze a Vienna e Venezia per Salvatore Viganò giunse la più alta prova della sua carriera. Un balletto sulla musica di Beethoven, Le creature di Prometeo, entusiasmò a tal punto il pubblico da essere detto non ballo, ma poema, opera divina dai cronisti del tempo. Il suo Prometeo aveva la particolarità di una coreografia innovativa e straordinaria per i tempi, in cui con artifici scenici ricchissimi si narrava la storia dell uomo che sfidò gli dei. Il gran ballo mitologico, rappresentato per la prima volta a Milano nel 1813, suscitò entusiasmi incredibili e fu la meraviglia del momento ed al contempo una miniera d oro per gli impresari. Carlo Porta ci dà la misura di tali entusiasmi con l ottava: Quando per vedé al Prometti tri mes fa El correva alla Scala tutt Milan, E vegnevan giò a tropp de là e de scià I forestee de tanti mia lontan, Tant che per ciappà post boeugnava ess là Col disnà mezzo in gola e mezzo in man, Vedend tutta sta struscia e sto spuell Me son ressolt an mi d andà a vedell. Col Prometeo, Viganò acquisì una rinomanza europea accresciuta poi dalla messa in scena dei Titani, che molti considerarono un altro capolavoro, ricco di scenari prospettici e di effetti magici. I balli di Viganò avevano una condotta regolare, una fisionomia, uno sviluppo, un azione logica continua e soprattutto un fine. Si dividevano in atti e non in quadri con un impegno speciale per la composizione visiva, ma la prima cura dell autore era verso lo svolgimento razionale della favola scenica. Quindi
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pensava agli accessori, agli ornamenti, agli abbellimenti decorativi ed a tutte le risorse di cui si servivano i coreografi. Viganò disegnava, suonava il violino, scriveva musica, conosceva bene la letteratura e la storia, era calcolatore e fantasioso ad un tempo. Vincenzo Monti disse di lui: Se Viganò si fosse dato alla poesia, egli aveva tutte le attitudini per divenire un altro Ariosto . Altri dissero di lui: conoscitore del cuore umano come un Goldoni, scrutatore delle passioni come un Alfieri, immaginoso come un Rossini, ispirato come il più grande poeta . Certo è che scavò un solco luminoso nel sentiero dell arte e portò la coreografia italiana ad un altezza a cui non era mai salita fino ad allora. Con lui il ballo, eliminato ogni residuo di licenza spesso oscena usata dagli antichi, corse verso la nobile missione di scuotere gli animi e suscitare commozioni non inferiori a quelle provocate dalla rappresentazione drammatica. Così il consenso popolare suscitato dal Prometeo non trovò forse riscontro in nessun altro spettacolo del teatro di prosa di quei tempi. Nella sua arte vi era un disegno non recondito. Con la sua capacità di toccare le anime voleva unire in un effervescenza di entusiasmo popolare il forte richiamo della libertà nato dai sentimenti politici dei patrioti. L Italia era in un periodo di grandi fermenti, le società segrete proliferavano e gli artisti di teatro ne facevano parte quasi tutti compreso Salvatore Viganò di cui era nota la fede di patriota e di cospiratore pericoloso. In data 26 agosto 1816 la R.Cesarea Reggenza Provvisoria emanava a Milano il seguente decreto: Art.1 Gli ordini segreti, le adunanze, cospirazioni, fratellanze segrete, come sarebbero le Loggie (sic!) dei cosiddetti Franchi muratori ed altre consimili Società, qualunque ne sia la denominazione, delle quali ora non si conosce il preciso oggetto, o le di cui discipline ed opera-
zioni appaiono enigmatiche, sono e s intendono a tutto rigore proibite. Art.2 I contravventori al disposto dell art. prec. Saranno puniti con la detenzione non minore di due mesi, né maggiore di un anno e colla perdita di tutti gli effetti, mobili denaro e diritti spettanti alla illecita unione. Gli individui addetti al regio e pubblico servizio che ne facessero parte, saranno inoltre destituiti ed incapaci di coprire ulteriori impieghi. Pei contravventori recidivi la detenzione sarà d un anno e potrà secondo le circostanze estendersi sino agli anni tre. Art.3 Coloro che avranno scientemente somministrato per le suddette conventicole, sia gratuitamente, sia contro mercede, o corrispettivo qualunque, case, stanze od altri simili luoghi, verranno puniti con la multa dalle lire ducento alle lire mille. Se questi individui appartenessero essi pure alla conventicola, oltre alla multa, saranno soggetti alla detenzione prescritta per recidivi nell art. prec. Art.4 Col disposto di questa determinazione non
s intende per niente derogato alle vigenti leggi penali sugli attentati contro l interna ed esterna sicurezza dello Stato, come neppure alle leggi e regolamenti in corso sulle associazioni in genere. Art.5 Le autorità giudiziarie e politiche, ciascuna in ciò che le riguarda, terranno man forte per l esecuzione della presente determinazione, che sarà pubblicata. Il Commissario Plenipotenziario F.M. conte di Bellegarde Per la Reggenza A.Stringhelli Tale notificazione venne fatta conoscere a tutto il personale della Scala ed a quello dell Accademia di ballo dove il Viganò trionfava come massimo genio della coreografia. Egli, infatti, aveva lavorato continuativamente a Milano dal 1815 al 1819. Erano gli anni della Restaurazione immediatamente successivi al Congresso di Vienna. Tutta una serie di divine danzatrici passò in quegli anni sotto la sua direzione, tra tutte eccelse Antonietta Pallerini di cui Salvatore soleva dire: Vorrei se mi fosse possibile, essere un nuovo Giosuè e arrestare il sole degli anni per la mia Antonietta, perché la vita dei miei balli è legata troppo a quella di lei . Ma il suo sole non si fermò ed amatissimo dal suo pubblico, che in lui vedeva l emblema di un arte superiore animata oltre che dalla poesia e dalla musica, anche dall amor di patria e di libertà, morì nel 1821. Forse non aveva ancora sfiorato i 40 anni. (Da un articolo di Gino Monaldi pubblicato su Antologia, Fascicolo 850, 16 maggio 1907)
P.50: Balletto classico; p.51: Locandina della Scala e - in basso - la tomba del Viganò a Bologna.
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l mito di Orfeo, eroesacerdote-musico di Tracia, figlio di Eagro e della musa Calliope, è attestato fin dal secolo VI a.C, ma il nucleo maggiore delle fonti (Inni orfici e il poema Argonautici) risale all età tardo ellenistica e romana (dal II sec. d.C.). Centrale nel mito è la discesa di Orfeo agli Inferi per riprendersi la sposa Euridice, uccisa dal morso d un serpente nel giorno
delle nozze. Narrano i mitografi: Essendo disceso all Ade per la sua donna, e avendo visto come sono le cose laggiù, Orfeo cessò di onorare Dioniso e considerò come massimo fra gli dei Apollo [...]. Perciò Dioniso adirato gli mandò contro le Bassaridi che lo sbranarono e dispersero le sue membra [...]. Le Muse poi, raccoltele assieme, le seppellirono nella città chiamata Libetra . Nel mito orfico confluiscono elementi archetipici universali. La discesa agli inferi
e la morte per sbranamento sono topoi ricorrenti dalle mitologie nord-europee a quelle asiatiche ed egizie. Si tratta di tipiche prove iniziatiche che danno alla figura di Orfeo connotati sciamanici. I suoi poteri magici, esercitati mediante il canto (suono/parola), sono la manifestazione di una condizione superiore dell essere conseguita attraverso le esperienze mistiche del viaggio nell ombra (risveglio dello spirito) e della morte che lo assimila al dio. Orfeo muore
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Musica come Dioniso-Zagreo, fanciullo divino sbranato dai Titani, e come il dio egizio Osiride, dal cui culto misterico molti elementi passano in area ellenica alla linea eleusina-dionisiaco-orfica. Dagli echi mitici rimbalza nei secoli la fabula di Orfeo, nata dalle propaggini del tenebroso mito cretese di Dioniso, signore della divina follia ; immagine della Sapienza, ma anche dei dissidii laceranti generati nell uomo dall esperienza del conoscere. Orfeo partecipa tanto dell oscura violenza di Dioniso quanto della serenità luminosa di Apollo, dal quale riceve il canto dal magico potere incantatorio e l aurea cetra che seduce e soggiòga, reca pacatezza e mansuetudine, quanto il flauto dionisiaco è richiamo minaccioso, suscitatore di follia . Apollo non ha la fulminea violenza invasiva e divorante di Dioniso; è l obliquo , colui che colpisce da lontano con il suo arco. Dietro l apparenza suadente egli agisce per via indiretta e subdola attraverso la parola ambigua dell oracolo che a fatica s orienta fra i meandri del logos, la razionalità dell intelletto fatta di calcolo e discorso . Tocca a Orfeo conciliare gli opposti - ascési e pulsione animale, crudeltà e innocenza, frenesia e distacco contemplativo - e ricondurre a sintesi il dionisiaco e l apollineo. È lui che mitiga l asprezza primitiva del dionisismo rettificandone la natura bacchico-orgiastica nella disciplina mistico/spirituale dei Misteri, offerti all uomo, in poesia e musica, perché possa accedere alla propria parte divina. A ciò Orfeo giunge attraverso un percorso di fatica e dolore che inizia con il descensus ad inferos, il viaggio/ricerca per ritrovare Euridice. Felice chi entra sotto la terra recita un frammento di Pindaro - avendo visto quello [l ineffabile oggetto della ricerca interiore]: conosce la fine della vita e il principio dato da Zeus . Ma a Orfeo, nonostante il suo canto, non è dato ancora di sciogliere l anima/Euridice dallo stato di costrizione (il carcere platonico) in cui la resistenza della materia la trattiene. Deve risalire fra i vivi, dove lo
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attende il castigo feroce di Dioniso. Solo la fine straziante per sbranamento - morte mistica con carattere sacrificale e quindi sacralizzante - conduce Orfeo all immedesimazione con il dio e alla rinascita, dopo che le parti smembrate sono ricomposte in unità. Il doloroso ciclo purificante è compiuto e con esso la sintesi dei contrarii. L eroe è divenuto sapiente, ha conquistato la conoscenza. Degenera nel tempo l originaria componente mistico religiosa del mito orfico e
la figura sacerdotale lascia il posto al cantore/incantatore che con il suono accorda le vibrazioni dell essere a quelle del l universo. La musica, pitagoricamente intesa come riflesso dell armonia cosmica, quella delle sfere celesti , rimane il contrassegno di Orfeo. Nella musica, canalizzatrice di influssi celesti, si manifesta per i neoplatonici dell Accademia fiorentina la magia spiritualis dell orfismo. Marsilio Ficino nella sua prefazione al Pimander (raccolta di scritti esoterici attribuiti a Ermete Trismegisto) traccia una genealogia dei prisci theologi che da Ermete attraverso Orfeo arriva a Pitagora e al divino Platone. Lo stesso Ficino, e con lui Pico della Mirandola, Poliziano e Lorenzo de Medici,
s atteggiano a novelli Orfei intonando su liuto e lira da braccio inni orfici dal magico potere talismanico. Poliziano rielabora poi il mito in forma poetico-drammatica nella sua Fabula de Orpheo rappresentata alla corte di Mantova attorno al 1480. Una manierata aura pastorale cala da allora attorno al personaggio e ne accompagna la trasmigrazione al mondo tutto terrestre degli intrattenimenti cortigiani. Definitivamente spogliato dei suoi attributi mistici, all alba del Seicento il cantore di Tracia viene accolto nell olimpo del nascente melodramma che del mito si impadronisce piegandolo alle profane esigenze delle feste di corte in cui il racconto viene riambientato (il cruento epilogo del mito si cambia di regola nel lieto fine d obbligo). La favola in musica , prototipo dell opera, nasce a Firenze nell ottobre 1600 con Euridice di Ottavio Rinuccini (libretto) e Jacopo Peri (musica); ma è Monteverdi con Orfeo (Mantova, 1607) a consegnare l eroe alla sua nuova immortalità melodrammatica, rappresentandone tutto il potere incantatorio musicale nell invocazione a Caronte ( Possente spirto ), attraverso la barocca meraviglia di un abbagliante scrittura virtuosistica che ha pochi eguali nella storia della vocalità. È naturale la scelta di Orfeo quale personaggio guida del nascente melodramma. Si doveva giustificare - esperienza del tutto nuova per il pubblico - lo svolgersi interamente cantato dell azione scenica; ed era più facile far accettare la novità se a cantare fossero state deità piuttosto che uomini, in quanto più si conforma con il concetto che si ha dei personaggi soprumani il parlar in musica come osserva Il Corago, trattato seicentesco sulla messinscena. Chi dunque meglio di Orfeo, divino cantore per antonomasia, poteva essere preso a emblema del nuovo stile di cantar recitativo ? Ecco allora i primi e tanti altri Orfei che calcano la scena melodrammatica d ogni tempo fino al celebre Orfeo ed Euridice di Gluck (1762, libretto di Ranieri de Calzabigi), prima opera d un tempo nuovo che non si riconosce più nei fasti
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ampollosi del teatro barocco, per giungere alla dissacrante satira di Orphée aux enfers (1858) di Offenbach. V è nel nucleo profondo della fabula un significato che va oltre le molte metamorfosi dal mito all opera. Nella sua radicale ambiguità fra il dionisiaco e l apollineo, Orfeo è l archètipo dell artista/iniziato (faber di se stesso)
- sintesi di abbandono all istintività e contenimento nella razionalità - il cui atto ideativo ha in sé qualcosa della primordiale creazione e dunque del divino. È anche quello dell artista/iniziato un continuo viaggio/ricerca; esaltante: Attraverso le Muse io mi slanciai in alto sul mondo
si legge nell Alcesti di Euripide), ma che pure conosce la dura necessità del dolore poiché, canta Rilke nei Sonetti a Orfeo: Solo colui che anche fra le ombre levò la lira non perderà in avvenire il più segreto dei toni. P.52: Orfeo, statua in bronzo, USA; p.53 in basso: vaso con la morte di Orfeo; p.53 e 55: Mosaici romani raffiguranti il mito di Orfeo.
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andare nel mondo. Il vortice tumultuoso di emozioni, che rinviano ad una memoria emozionale, che si è giocata e si gioca nel passato. Lo tzunami emotivo, che si attualizza nel qui ed ora smuovendo l azione, che porta a contattare l Altro. La frenetica ricerca del senso. L angoscia, che fa scacco alla speranza. La frantumazione di un desiderio, che diviene disillusione. La rottura della palla di cristallo, che contiene i bisogni più arcaici. L imprecisa linea di demarcazione tra il là ed allora e il qui ed ora. La fragilità di parole, che si muovono nell incontro-scontro di due esistenze, di due mondi esistenziali, che si cercano senza trovarsi. Turbamento dell amore concluso e non soddisfatto. Fuga in un desiderio frantumato. Bisogno che si modella e plasma in un esistenza al limite. Tutto va e viene come nella frenetica e assordante rumorosità dei suoni e delle luci, che si intrecciano e si accavallano nei Luna Park. È questo il passaggio nel mondo? Sono questi gli in-contri-scontri della vita? Sono queste le metamorfosi del desiderio e della passione?
Sono queste le emozioni che si tessono nel vissuto delle memorie di ciascun individuo? In questo girotondo di passioni e desideri, di emozioni e sensazioni, di percezioni e sentimenti, in cui il mondo della vita scorre, nasce lo stalker, che brama la sua vittima. Un gioco rotto dal silenzio di un dolore che molte volte si infrange senza trovare la presenza nutritiva dell Altro. Quell essere umano, che veste i panni dello stalker, naviga in una zattera alla deriva. È un naufrago senza meta. È un milite senza patria. È un esule senza terra. È un viandante senza sentiero. È un astronauta, che ha perduto il pianeta su cui posare il suo piede. Lo stalking è un fenomeno che abita il mondo e noi, esseri umani in questo spaccato di esistenza in cui cerchiamo un approdo sicuro, lo abitiamo. Le narrazioni delle esperienze di stalking, (sia di colui che agisce che di colei che lo subisce) descrivono incisivamente la drammaticità, che diviene, per entrambi una relazione patologica, un vissuto angosciante, pericoloso e stra(av)volgente. Eppure, inizialmente tutto nasce da un incontro. Un incontro in cui si tesse e trama una storia dal finale doloroso.
L incontro Non è un occasione qualunque si sono dati appuntamento in un luogo, dopo che per più di un mese, le loro giornate si sono intessute nel ritmo costante di telefonate ed e-mail, scandite dalle ore che separano l andare dei minuti. Quell incontro intessuto nella loro trama di vita era per entrambi la realizzazione di un sogno, un grande sogno. Era l approdo in quel arcipelago desiderato. Hanno atteso tanto tempo, ma poi, hanno avuto la possibilità di sperimentare che, a volte, i desideri si realizzano... Quest incontro vissuto come magico, però, si trasforma in una gabbia, nel momento in cui fra i due qualcosa si incrina. Qualcosa smuove rabbia e rancore, odio e pregiudizi, violenza al posto di tenerezza. Allora, così, senza una precisa ragione, quell incantesimo d amore si rompe, ed i due, della e dalla relazione, si allontanano. Lui, ferito nell orgoglio maschile dal rifiuto di lei, prima di accettare questa separazione inizia un gioco sottile e perturbante per riportare a sé la sua amata. Ne nasce un gioco liminare e doloroso in cui lei viene intrappolata. È un tritacarne emozionale, che la frantuma attimo dopo attimo. Eppu-
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re, lui, annebbiato dal suo amore sordo, continua incessantemente la corsa verso di lei, attimi dopo attimi, giorni e mesi. Tutto questo solo per lei che fugge. Lui la insegue. Lei si nasconde. Lui la scova. Lei chiede aiuto. Lui si presenta sempre puntuale per aiutarla. Lei cerca sostegno dagli amici comuni. Lui si giustifica con loro. Questa danza tra vittima e persecutore continua per molto tempo fin tanto che un giorno lui è bloccato da una custodia cautelare... Stalking Questa modalità assillante di continuare a mantenere un rapporto con l Altro, tanto da condurlo in un circolo vizioso di dolorosità e paura, viene definita dalla comunità scientifica stalking, ovvero la Sindrome del Molestatore Assillante. È una forma parti-
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colare di molestia, che negli ultimi anni ha destato l interesse della Psichiatria, della Psicologia e della Medicina forense. Il termine significa letteralmente inseguire o cacciare (atteggiamento tipico di tutti gli animali predatori) e si riferisce ad un insieme di comportamenti ripetuti ed intrusivi di sorveglianza e controllo, di ricerca di contatto e comunicazione nei confronti di una vittima che risulta infastidita e/o preoccupata da tali attenzioni e comportamenti non graditi (G. M. Galeazzi, P. Curci, Sindrome del molestatore assillante (Stalking): una rassegna, in Giornale Italiano di Psicopatologia, in http://sopsi.archicoop.it, 2001). È un disturbo che sovente porta alla perdita delle coordinate della consapevolezza nel momento in cui i soggetti vedono sfumare
l oggetto del loro desiderio. Il persecutore instaura con la sua vittima una forte polarizzazione ideo affettiva, tant è che spesso si può riscontrare un delirio erotomane. Questo atteggiamento si struttura sul fraintendimento del comportamento iniziale della vittima, che viene scambiato per assenso. La grande maggioranza di episodi simili sono attribuibili a soggetti di sesso maschile che hanno interrotto o che vogliono interrompere la relazione con la compagna e che sono mossi da molteplici intenti, fra cui il tentativo di ristabilire il rapporto, la gelosia, la vendetta per torti percepiti, la dipendenza ed il desiderio di continuare ad esercitare un controllo sulla vittima. Naturalmente è molto comune che le vittime di questi comportamenti siano di sesso femminile mentre colui che agisce, lo stalker, sia un soggetto maschile. Le azioni degli stalker possono essere estremamente pericolose per le loro vittime. Queste ultime infatti, vivono spesso nel terrore e nella paura, fino a sviluppare anche gravi patologie psichiatriche. La persona vittimizzata dal suo stalker entra all interno di una spirale che la frantuma lasciandola in balia di un totale naufragio. Lo stalker si presenta come un Dinosauro dell Amore che insegue ed è inseguito dal ricordo della persona che lo ha lasciato o che è stata costretta a lasciarlo. Per Lui dimenticare diviene quasi impossibile ed i nuovi rapporti risultano insoddisfacenti. Ne emerge un rapporto idealizzato in cui vi è l illusione di riuscire a ristabilire una forte fusione e unità con l Altro. La Sindrome del Molestatore Assillante è un esperienza psicopatologica a bordo di quel viaggio esistenziale tra delirio e ossessione che oscura la possibilità di vivere l identità di un Sé integrato ed integro. Ne emerge un alterazione profonda del Sé che viene evidenziata in modo particolareggiata nella costruzione del racconto di Sé che generalmente fa lo stalker. Vi è, infatti, un alterazione della forma e della presenza, che si manifesta con il bisogno fobico-ossessivo di essere sempre vicino all oggetto amato, di possederlo e gestirlo come una marionetta, come se solo quell oggetto d amore lo riconoscesse come esistente. Lo stalker diviene il burattinaio, che gestisce il suo burattino, in quella triade emozionale di orgoglio desiderio speranza. L ossessività ritualizzata, che lo stalker mette in atto, è l esperienza di trovarsi vicino al mondo intimo dell Altro (vittima) ricomponendo
una distanza, che ridefinisce al tempo stesso la propria identità, la propria esistenzialità. Per cui il tentativo di ridefinirsi attraverso l oggetto amato attualizza da un lato un agito impulsivo e dall altro un comportamento dipendente. Ecco che lo spazio vittima persecutore diviene l ideazione delirante dello spazio affettivo mancante sperimentato nelle prime relazioni affettive a cui il soggetto tenta di riparare strutturando uno scenario in cui emerge la possibilità di essere vicino a . L essere vicino a permette di riempire quel vuoto naufragante sperimentato in età infantile in seguito ad un attaccamento disorganizzato tipico di quei bambini, che hanno fame del proprio caregiver (agente di accudimento). Quel soggetto parla attraverso la sua psicopatologia del dolore per la perdita delle relazioni significative sperimentata durante il suo sviluppo. In qualche modo la psicopatologia diviene, così, la metafora stessa dell estrema solitudine e della ricostituzione solipsistica del mondo affettivo dopo l annullamento dello stesso. Ne nasce un oscillante ambivalenza esistenziale che fluttua tra credenza ed esperienza. Tant è che prende corpo una radicale crisi della coscienza rispetto a se stesso. Crisi che lo stalker cerca di riparare con la costruzione di una relazione oggettuale con quell Altro che gli permette di dare un senso ad un esistenza frantumata, un Altro che può possedere o dominare per non sentire la paura di un dominio forse sentito o provato durante l infanzia. Ecco che il significato del mondo dello stalker passa dall Io so al tentativo di rendere attualizzabile quello che Io so di Te che mi ami e che Io amo. Spesso ciò che spinge ad un comportamento molesto ed assillante è un desiderio di vendetta finalizzato a lavare l onta per un presunto torto subito in ambito affettivo relazionale. Dietro a tutto ciò quasi sempre troviamo una storia personale segnata da esperienze di profondo ed intenso dolore che hanno condotto lo stalker, alla totale incapacità di sopportare la sofferenza per la perdita di un riferimento affettivo significativo. Se l Altro è mancante la persona naufraga nel mare del nulla e come atto riparatorio rincorre l oggetto. In età adulta nel momento in cui c è la rottura di una relazione d amore significativa è possibile che il vissuto antico riemerga con tutta la sua forza dirompendo all interno di una relazione di stalking. Lo stalker può ricontattare quel bisogno antico che unito alla sua mancanza ed al suo bisogno di dipendere dall Altro per esistere può
condurlo ad attualizzare la sua vendetta attraverso l ossessività rituale di comportamenti assillanti e molestanti fino a soddisfare il suo bisogno di possesso dell oggetto d amore. Una mancata elaborazione del lutto per la privazione della persona amata, conduce a strutturare un sentimento di rabbia verso colui che abbandona, tanto che questa esperienza emotiva conduce in un vortice di dolore che viene tras-formato in aggressività. Così emerge il personaggio del persecutore che è intessuto in un trauma copionale in cui c è l eterno desiderio di nutrire quella ferita antica per eliminare la sofferenza che sta vivendo. Si crea quello
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rauma copionale, ogni trauma vissuto dalla persona lascia all interno del Sé una traccia intorno alla quale l individuo ri-aggiusta, ri-ordina, ri-costituisce, riorganizza la propria visione di Sé, dell Altro e del mondo in cui è stato gettato al momento della sua nascita. In questa mondanità la persona mette in atto le strategie relazionali che sono più adeguate per gestire il suo esserenel-mondo. Ecco che ciascun individuo dovrà tenere conto delle proprie risorse e dell ambiente che ruota intorno a lui/lei al fine di trovare una collocazione inter-relazionale ed intrarelazionale. In questo scenario se si presenta un evento traumatico esso è in stretto contatto con questi tre elementi: la persona, l Altro ed il mondo. Tuttavia, l evento traumatico attualizza nel soggetto che lo vive una risposta adattiva che diventerà, se non adeguatamente elaborata e riparata, una traccia all interno della quale ruoterà la narrazione della sua storia di vita. L esito sarà quello che l individuo non riuscirà a coglierne l essenza in quanto emergerà una disorganizzazione della capacità dell individuo di leggerne la narrazione.
spazio in cui l unica possibilità è data dalla ossessiva ritualizzazione della persecuzione continua. Molti soggetti ed in particolare quelli che poi esplodono, non sono in grado di vivere in maniera sana i propri stati d animo negativi e risolvono il tutto con un acting-out omicida o molestante. In questi individui si assiste allo sgretolamento del tempo interno che cade in una grande fornace in cui tutto si confonde, si fonde e si annulla. L Altro è lo specchio nel quale la frantumazione del suo Sé può ritrovare la possibilità di essere ricomposto. Per questo lo Stalker s incolla al suo oggetto desiderato sperimen-
Psicologia tando la bruciante sensazione di non esistere senza di lui. Ecco che gli stalker, lacerati fra nostalgia e disperazione, percepiscono il loro desiderio mancato quasi come un dolore fisico che li conduce ad attualizzare vere e proprie violenze verso l Altro con alla base un sentimento di rabbia e di vendetta per l angoscia e l ansia dovute all abbandono. La genesi pare sia simile a tutti: messaggi ingiuriosi, persecuzioni varie, si innesta così una spirale d odio, se la vittima reagisce a sua volta, è più probabile che l ira del suo carnefice diventi incontrollabile e sfoci in omicidio (M. Cozzolino, Il peggior nemico, Roma, 2001). Caratteristico è il ritiro sociale con incapacità di svolgere le consuete occupazioni, con difficoltà di concentrazione, memoria, sonno, appetito. Pianto e disperazione sono frequenti oltre che passaggi all acting-out per la ricerca spasmodica dell Altro. Un lutto amoroso, non elaborato porta il soggetto alla ricerca di un ricongiungimento, di un ristabilimento della relazione senza la quale si ritiene di non poter vivere. Questo può avere esito nell estrema possibilità di un attacco aggressivo omicida, freddamente perpetuato, accuratamente preparato. Lo scopo è di riprendere il controllo dell Altro che sfugge; attraverso la soppressione dell oggetto d amore, a cui a volte fa seguito il suicidio, si cerca di ritrovare quell unità persa nella vita (M. Pathè, P. E. Mullen, The impact of stalkers on their victims, Br. J. Psychiatry, 170, 1997). È proprio dello stalker esperire un amore viscerale verso l Altro tanto da travolgerlo in quel viaggio naufragante che conduce in un territorio desolato e ghiacciato. C è l idea delirante di ricreare quello spazio di presenza, incontro, relazione, intimità madre/bambino. Mi viene da ipotizzare che vi sia una trasposizione tra la figura materna e quella dell oggetto amato, come se l individuo volesse riappropriarsi di quello spazio iniziale dedicato all incontro autentico, empatico, sintonizzante, nutritivo, stimolante, riconoscitivo, che è risultato mancante. Questo è il motivo che sottostà molte volte ai delitti passionali. A questo punto lo stalker ha pronunciato le sue battute finali, ha recitato a pieno il suo copione portando a termine il dramma della sua vita.
Il Ratto delle sabine: p.56: Giambologna, Piazza Signoria, Firenze; p.57-58: J.L.David, Louvre, Parigi.
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Storia
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La Carta del Carnaro Un esempio autentico di legislazione massonica redatto a quattro mani da Alceste De Ambris e Gabriele D Annunzio Luca Irwin Fragale
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ome Mola ha affermato, bisogna constatare che proprio un nucleo della Massoneria fu alla radice dell impresa di Fiume, intesa e voluta quale prosecuzione dell interventismo del maggio 1915, e che se questa ebbe così il suo più profondo coinvolgimento nella lotta politica, trova altresì conferma la complessità e la natura non esclusivamente fascistica né strettamente prefascistica dell impresa fiumana [ ]. Se per i fascisti [ ] il fiumanesimo venne assunto a precedente storico, quasi a prova generale dell assalto squadristico allo Stato, non tutti i fiumani si sarebbero riconosciuti [ ] nel fascismo 1. Gli alleati negavano Fiume all Italia, e D Annunzio la prese nel giungere da Ronchi, alla testa di un migliaio di granatieri e di arditi, di cui parecchi [ ] erano massoni e agivano di concerto colle autorità dirigenti dell Ordine . Egli dichiarò infatti che senza l appoggio incondizionato della Massoneria, l impresa di Ronchi non avrebbe potuto raggiungere il suo obiettivo 2. L affiliazione di D Annunzio alla Loggia XXX ottobre di Fiume della GLI serviva probabilmente a controbilanciare l influenza decisiva di Palazzo Giustiniani sulla Marcia di Ronchi3. Lo stesso Mola ha avuto modo di sottolineare come molti e non secondari contenuti della Carta del Carnaro, possono essere ascritti alla circolazione di idee promossa dalle componenti più avanzate delle Logge. Essa è estranea al corporativismo cattolico e ai programmi di riforma politico-sociale fascisti 4. È il caso dello spirito sotteso al Titolo Delle Corporazioni (artt. XVIII-XXI), all art. VII sulle libertà di pensiero e al Titolo L Istruzione pubblica. Nonché pure all art. LIV, che recita: Alle chiare pareti delle scuole [ ] non convengono emblemi di religione né figure di parte politica. Le scuole pubbliche accolgono i seguaci di tutte le confessioni religiose, i credenti di tutte le fedi, quelli che possono viver senza altare e senza Dio. Perfettamente rispettata è la libertà di coscienza. E ciascuno può fare la sua preghiera tacita . Ciò può essere illustrato ancor meglio producendo in esame alcuni esaurienti scritti di Renzo De Felice, il quale segnalò come nel 1925 Gaspare Ambrosini, trattando del problema sindacale e di come esso fosse stato affrontato a livello costituzionale in Europa negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale e alla rivoluzione russa, avesse scritto: La Carta di Libertà del Carnaro, cioè la costituzione promulgata l 8 settembre 1920 dal Comandante Gabriele D Annunzio
per il libero Stato di Fiume, può considerarsi come fondamentale per tutti gli studii sui sistemi sindacali [ ]. Oltre l afflato poetico, la Costituzione dannunziana presenta una concretezza di ordinamenti veramente ammirevole. Potrà discutersi sulla suscettibilità o meno di tali ordinamenti, specie per un grande Stato. Certamente si tratta però di ordinamenti concretamente disegnati: il che è quello che più interessa perché quello che finora mancava. Finora filosofi, economisti ed anche giuristi, che pur pensavano di trasformare il mondo attraverso la realizzazione dell ideale sindacale, si erano sempre limitati all enunciazione dei principi astratti ed alla propaganda di utopie o di miti, e non avevano saputo o voluto tracciare l esempio concreto e completo di un ordinamento sindacale [ ]. Mancava quindi nella dottrina e nella legislazione un esempio di concreto e completo ordinamento sindacale. Quell ordinamento che filosofi, economisti e giuristi non avevano creato, doveva essere creato dalla mente fervida di Gabriele D Annunzio, la cui Carta di Libertà del Carnaro, quantunque non entrata in attuazione, resta nella scienza come il modello più insigne di completo ordinamento sindacale finora escogitato 5. L anno successivo, Francesco Ruffini, trattando a sua volta delle esperienze costituzionali di quegli stessi anni e, in particolare, dei tentativi di attuare la rappresentanza non delle opinioni, ma degli interessi della società economicamente, socialmente, professionalmente organizzata , osservava: Un semplice tentativo di attuazione della rappresentanza organica si ebbe con la Carta di Libertà del Carnaro, promulgata da Gabriele D annunzio l 8 settembre 1920 per lo Stato di Fiume. Tentativo minuscolo, massime se lo si paragoni con il colossale precedente russo, ma, a differenza di questo, non unilaterale ed esclusivo, sebbene completo e comprensivo nel suo vasto disegno. Visione lirica di un poeta , come fu definito: sì, ma non immeritevole di fissare l attenzione dello statista, e non solamente come un semplice curiosum di quella epoca singolarissima della nostra storia nazionale 6. La questione è profonda e delicata ed è il caso di evidenziare più attentamente alcune precise parole di De Felice, espungendo gli episodi meno salienti ai nostri fini: Dopo quello già di per sé significativo dell Ambrosini, un giudizio così positivo (e che, per di più, prescinde completamente dalla suggestione letteraria che la Carta del Carnaro così
fortemente sprigiona) sotto la penna di uno studioso come il Ruffini - tanto equilibrato e severo quanto lontanissimo da ogni apriorismo filo-dannunziano e da ogni propensione corporativistica - ci pare renda bene l interesse che questo documento ha suscitato e continua a suscitare non solo tra gli studiosi dell impresa fiumana e di D Annunzio, ma anche tra quelli del moderno costituzionalismo [ ]: a) [ ] La Carta del Carnaro nulla ha in realtà a che fare, nello spirito e nella sostanza, non solo con il corporativismo cattolico ma anche con il corporativismo e con i programmi di riforma politico-sociale fascisti, anche se alcuni fascisti - demagogicamente o sentimentalmente (a seconda della propria formazione ideologico-culturale e delle personali vicende politiche)- tendevano ad annoverarla, sia pure il più delle volte con molta sufficienza e cautela, tra gli incunaboli del fascismo; il corporativismo deambrisiano presente nella Carta del Carnaro si muove infatti su una linea mazziniano-sindacalista assolutamente diversa da quella burocraticoautoritaria del corporativismo fascista; b) [ ] anche a prescindere da ciò [ ] il clamoroso fallimento dell esperimento corporativo, dissipando quasi completamente la suggestione delle parti più propriamente corporative della costituzione fiumana, ripropone all attenzione degli studiosi altri aspetti di essa (concezione della proprietà, rapporti di lavoro, istruzione pubblica, condizione della donna, revocabilità di qualsiasi mandato, riforma periodica della costituzione, ecc.) che in un primo momento erano sembrati meno significativi o più letterari e dei quali, invece, oggi si può meglio valutare tutta la modernità, e, talvolta, persino l attualità; c) [ ] il legame della Carta del Carnaro con la situazione fiumana del tempo è minore di quanto, nel clima arroventato di quegli anni, sembrò allora; al punto che non è azzardato affermare che D Annunzio e De Ambris più che dare una costituzione a Fiume [ ] volevano prospettare agli uomini nuovi usciti dal travaglio della guerra una soluzione organica e al tempo stesso non meramente tecnica ma, al contrario, emotivamente suggestiva - diversa sia da quella democratico-borghese sia da quella bolscevica - in grado di rispondere alle loro inquietudini e alle loro attese di rinnovamento politico-sociale; d) [ ] quindi, nonostante il suo indiscutibile valore letterario, la Carta del Carnaro non
Storia solo non può essere considerata soprattutto come una intuizione poetica, come il frutto geniale ma personale di un letterato che si era voluto improvvisare legislatore , ma,al contrario, deve essere vista e studiata come una sorta di summa [ ] delle concezioni sindacaliste rivoluzionarie sviluppatesi nei primi due decenni del nostro secolo nella cultura europea e in tutta una serie di frange del sovversivismo radicale italiano e straniero. In questa prospettiva acquistano particolare importanza due problemi, sin qui considerati in genere secondari: quello dell effettiva paternità della Carta del Carnaro e quello del momento in cui essa fu concepita. Che nella elaborazione della Carta del Carnaro avesse avuto parte anche Alceste De Ambris era noto sin dal 1920, tanto negli ambienti dannunziani quanto fuori di essi [ ]. La Carta del Carnaro (lo Statuto della Reggenza) nella sua parte sostanziale, nei concetti ispiratori, nelle posizioni basilari, fu opera prevalente di Alceste De Ambris, Segretario degli Affari Civili del Comando dell Esercito Liberatore in Fiume. D Annunzio, senza dubbio, accettò quei concetti, alcuni con entusiasmo, altri forse per semplice condiscendenza, e li fuse nel crogiuolo del suo cervello, e li filtrò attraverso la sua sensibilità. Li fece suoi dando loro quella forma letteraria che egli solo poteva dare. Ma chi volesse rappresentare la Carta come opera personale di Gabriele D Annunzio, e quei concetti come la risultante delle sue meditazioni sui problemi sociali, errerebbe. E della stessa opinione è anche Ferdinando Gerra, a cui si deve lo studio italiano più recente sul D Annunzio fiumano. A suo giudizio, alcune parti della carta hanno chiaro carattere dannunziano , in particolare l articolo XIV, sulle credenze religiose, e il LXIV, sulla musica (a proposito del quale ritiene per altro certa una influenza di Luisa Baccara); per il resto però non ha neppure lui dubbi: lo Statuto della Reggenza fu elaborato dal Comandante sotto l influenza e la stretta collaborazione del capo di gabinetto, e nella loro essenza sociale i vari capitoli riflettono in modo particolare il pensiero di Alceste De Ambris7. Se tutti erano d accordo nel ritenere che nella elaborazione della Carta del Carnaro (e non solo degli articoli relativi all assetto corporativo, di cui De Ambris era notoriamente un deciso fautore) D Annunzio era stato influenzato ed aiutato dal suo capo di
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Storia gabinetto, sino a cinque anni fa nessuno ha potuto stabilire i termini reali di questa collaborazione, dire cioè quanto e cosa (al di là, è ovvio, della forma letteraria) nella costituzione fiumana è opera di D Annunzio e quanto è di De Ambris [ ]. Il canevaccio di De Ambris era in realtà un vero e proprio testo, completo in tutte le sue parti, steso in forma di articolato e sostanzialmente già pronto per la pubblicazione. E ugualmente può rendersi conto che la Carta dannunziana recepì puntualmente sia lo spirito, sia i principi caratterizzanti e gli istituti, sia l articolato del testo deambrisiano. A parte, ovviamente, la trasposizione in prosa d arte [ ] e un sistematico uso, per indicare i vari istituti e le varie magistrature, di termini arcaici tratti dal linguaggio degli antichi statuti comunali e corporativi e, in qualche raro caso, dell ordinamento fiumano in atto, gli interventi, le aggiunte, le modifiche, le soppressioni, operati da D Annunzio furono, nel complesso, assai pochi e -sotto il profilo politico-sociale- di scarso rilievo [ ]. Aggiunti in toto da D Annunzio e, quindi, suo personale apporto risultano gli articoli XIV ( sulle credenze religiose ), LXIII ( dell edilità ) e LXIV ( della musica ), nonché la parte finale del XIX, laddove il poeta introdusse la sua famosissima decima corporazione (il cui nesso con l articolo XIV è evidente) [ ]. La Carta del Carnaro fu resa pubblica il 30 agosto 1920, quando, nella serata, D Annunzio ne diede lettura nel Teatro Fenice gremito di autorità, legionari e cittadini . Cinque giorni dopo la lettura pubblica della Carta, Eugenio Cosaleschi scrisse a D Annunzio le sue impressioni in merito, confidando queste parole: I principi della Costituzione che hanno suscitato maggiori commenti e un certo turbamento, son quelli relativi al diritto di cittadinanza e all istituzione di scuole parallele per le minoranze etniche. Si teme che diverranno cittadini fiumani molti croati, e non si vorrebbe che a Fiume, ove esiste pure una minoranza croata, venisse istituita una scuola croata. Per quanto concerne la cittadinanza, credo che accordandola ai soli nati a Fiume si eliminerebbero tutte le preoccupazioni di una invasione slava. Quanto alle scuole, il principio sancito dalla Costituzione risponde a criteri tanto giusti che dovrebbero essere accolti da tutti gli spiriti liberi. La preoccupazione sul pericolo delle scuole bilingui poteva sussistere sotto il governo austriaco,
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quando l esistenza di una scuola slava favorita dal Governo, costituiva una insidiosa attrazione per le classi più povere che, dopo lunga lotta, finivano per mandare i propri figli nelle scuole slave ove godevano di vantaggi, di privilegi, ricevevano doni, la refezione gratuita, ecc. ecc. Ma tutto ciò non può avvenire sicuramente sotto una Reggenza italianissima che anche nelle scuole per gli slavi vorrà imprimere lo spirito latino, riconducendo così l alta stirpe inquieta sulla via della bellezza e della libertà 8.
È stata altresì segnalata la significativa posizione di Maffeo Pantaleoni, documentata da due lettere a D Annunzio, del 15 e del 17 settembre 1920. Nella prima, scritta con l intento di convincere D Annunzio a modificare la Costituzione prima di promulgarla ufficialmente, si legge: La Dichiarazione di Autonomia va limitata a quanto dispongono gli articoli dello Statuto sub I, II, III, IV, V, VI, VII e basta. Il resto dello Statuto non va compreso nella dichiarazione di autonomia, perché non necessario, e perché richiede revisione. In particolare non va cristallizzata fin da ora la
vita commerciale e produttiva nel quadro delle corporazioni; Va promulgato il Codice Civile italiano; il Codice di Commercio italiano. In quanto al Codice di procedura nostro va riflettuto un momentino se non sia più spiccio, più perfetto, più conforme alle consuetudini locali, quello in uso sotto il governo cessato. Così pure il Codice Penale. La legge sulla cooperativa è una legge di privilegio. Crea un monopolio. Esenta da imposta. Rimandala. Devono essere possibili le cooperative, facile la loro costituzione, ma non giova che abbiano diritto di monopolio e privilegi di qualunque genere. Sono società commerciali e fanno affari come tutte le altre; La partecipazione internazionale dell Autonomia del nuovo stato deve riuscire simpatica per modernità e allettatrice quale organismo di libertà. Quindi il Breve di cui all art. X non va promulgato in avvenire, ma bensì ora e deve essere tutt uno con la dichiarazione di autonomia cioè unito agli art. I-VII. A questo titolo avverrà il riconoscimento dell Autonomia perché utile al mondo, e non già perché bella, e giusta. Queste proprietà il mondo politico non cura. A questo titolo sarà accolto il prestito pubblico ; nella seconda, Pantaloni si premurò di ribadire: Ti scongiuro di cogliere l occasione che hai di lasciar cadere, sans en avoir l air, salvando tutte le apparenze, le parti dello Statuto che non soltanto non sono vitali, ma, se prese sul serio, cioè ritenute e trattate come vera legge, e quindi praticamente attuate e fatte rispettare, escludono del tutto la possibilità di attrarre a Fiume commercio e capitali. Lo Statuto, promulgato il 4 settembre, sta bene con questa promulgazione. Resta un ideale, resta un faro. Ma, altro è questo, altro è una legge! Perciò cogli l occasione di far approvare da un plebiscito soltanto gli articoli che ti ho segnalati nella mia lettera del 15. Questi saranno legge. L art. IX è incompatibile con ogni attività economica moderna. Non troveremo un soldo se stà come stà. Sarà in contrasto con qualsiasi Codice Civile e Commerciale moderno. Esclude o rende oggetto di interpretazione e sofisticazione persino il Diritto di successione e di testare. L art. XII, secondo alinea, è pure inconciliabile e con i propositi liberali di altri articoli, e con le esigenze del Capitalismo moderno. L art. XIX o resta lettera morta o darà la città in mano alle sole leghe operaie. Non muta una lega se la si chiama sindacato, associazione o corporazione. Ristabilisce la mano morta e
tratta i datori d opera come malfattori da sorvegliare. Il mondo è grande e questi malfattori troveranno posto a vita in altre regioni che inciviliranno e arricchiranno lasciando Fiume alla sua marmaglia di operai. Ma! Lo Statuto si potrà mutare! Bella roba. È supporre che le cose fatte abbiano da essere rifatte. E allora, facciamole un po meglio da principio! Se ne va ogni stabilità necessaria al lavoro ordinato. È un noto pregio della costituzione inglese la sua trasformazione lenta e a passi micrografici. E qui si fa una quarantottata! E si specula sul correttivo che usano le repubbliche Sud Americane. Hai un occasione unica per creare un eldorado di libertà e ordine, un campo unico per iniziative, e fai una prigione regolamentata, quando non ci sarai più te, da quattro capolega! 9. Ben netta appariva così la bocciatura dei progetti rivoluzionari di D Annunzio, De Ambris e Giulietti. Fu da allora che il GOI cominciò ad allontanarsi dai libertari e nazionalisti. Nel gennaio 1920, denunciando le gravi condizioni in cui versava la città e l atteggiamento violento di alcuni legionari, dai quali [era] minacciata anche la sicurezza personale dei cittadini , il Gran Maestro Torrigiani invitò il collegio dei venerabili di Roma, che aveva raccolto del denaro da inviare alla Reggenza, a devolverlo piuttosto in soccorso ai bambini poveri di Fiume 10, diversamente da chi, agli albori dell impresa, si era prodigato per un credito di due milioni di lire al governo fiumano11. Già nel 1921 D Annunzio avrebbe concepito il suo ruolo politico come quello dell uomo al quale ad un certo momento si sarebbe fatto necessariamente ricorso come unico riferimento unitario al di sopra delle meschinità politiche e parlamentari, in grado di realizzare la pacificazione del Paese. A partire dal 1922 la trama intessuta dai vari circoli sindacali, politici ed economici che vedevano in D Annunzio un possibile ammortizzatore della crisi italiana, avrebbe preso sempre più corpo. Per il 4 novembre 1922 D Annunzio prenderà già accordi con il massone Francesco Saverio Nitti per organizzare una marcia su Roma di reduci e combattenti tramite la quale forzando la mano al potere politico avrebbe costituito un direttorio dittatoriale a cui avrebbe invitato Mussolini, con la certezza che non avrebbe accettato 12. D Annunzio cominciò però presto a ritenere
che il Fascismo fosse diventato una degenerazione di tutti quei valori che egli volle salutare con l impresa di Fiume. Il plagio lo irritava ed offendeva. Così sarebbe maturato in lui un senso di ribellione all eventualità della conquista del potere da parte di Mussolini13. Nell agosto del 1922, i Massoni Balbo, Grandi e De Ambris chiesero il suo autorevole intervento contro l incombente minaccia fascista. Il progetto era ancora quello di indire a Roma una grande adunata di combattenti di tutti i partiti, per ristabilire l ordine, pur conservando il regime parlamentare, giacché si faranno le elezioni regolari e libere dopo tre mesi di dittatura 14. Sempre Balbo, con Grandi, si fece promotore dell idea per la quale D Annunzio avrebbe potuto mettersi a capo del movimento squadrista. Nulla di tutto ciò accadde e, come rilevato da Renzo De Felice, ancora la sera del 29 ottobre D Annunzio non credeva nel pieno successo di Mussolini e pensava che tutto si sarebbe risolto in un governo-ponte che avrebbe preparato le nuove elezioni politiche 15. Ma il nuovo regime politico nato in seguito alla marcia su Roma non era destinato ad essere un fatto effimero. Tutt altro, tanto che ben presto D Annunzio si fece autore di amari e rassegnati sfoghi indirizzati al duce, fomentati, tra le tante altre ragioni, dai ripetuti attacchi provenienti dal giornale di Farinacci, Cremona Nuova . In realtà D Annunzio non perseguiva un disegno stricto sensu politico ma si limitava piuttosto a dar maggiore voce ai progetti sociali dei suoi consiglieri, primo tra tutti Alceste De Ambris. Più che concrete istanze politiche, il Vate impersonava le sue incostanze che lo portarono dall estrema destra alla sinistra più radicale, una destra e una sinistra che risultavano però essere schemi scomodi e riduttivi. Infine, le sue debolezze aiutarono Mussolini a reintegrarlo nel regime in spregio alla sua temporanea dissidenza. Si accontentava del titolo di principe di Montenevoso concessogli dal Re, su intercessione del Duce - e della trasformazione della sua villa di Cargnacco in una fondazione sovvenzionata dallo Stato. Ecco come D Annunzio si concilierà con quel fascismo che lo relegherà, a dir poco, a monumento nazionale vivente di se stesso nella sua villa-museo 16.
Storia Note: 1 Cfr. Mola, Storia della Massoneria italiana. Dalle
origini ai giorni nostri, IV edizione, Milano, 2001, p. 456. 2 Vannoni, Massoneria, fascismo e Chiesa cattolica, Bari, 1979, p. 37, che cita G. LETI, Carboneria e Massoneria nel Risorgimento italiano, Genova, 1925, pp. 391e 392. 3 Cfr. Gentile, così citato da Veltri nella sua nota a Morini, Squadrismo tra squadra e compasso. Dalle barricate di Parma alla marcia su Roma, Parma, 1991, p. 3. Inoltre, per una ricognizione circa l esoterismo dannunziano (nonché in merito ad un ipotesi di suicidio del poeta), è sufficiente fare riferimento al commento sugli afferenti saggi di Attilio Mazza, in Giovetti, D Annunzio occultista e sciamano, in Luce e ombra. Rivista trimestrale di parapsicologia e dei problemi connessi, a. 102, n. 2, Bologna, aprile-giugno 2002, pp. 135-142. 4 Cfr. Mola, Storia, cit., p. 463. 5 Genesi, significato e fortuna della Carta del Carnaro, in De Felice, D Annunzio politico. 1918-1938, Bari, 1978, pp. 105-140 che cita Ambrosini, Sindacati, Consigli tecnici e Parlamento politico, Roma 1925, pp. 109 e ss. 6 Genesi, significato e fortuna della Carta del Carnaro, in De Felice, D Annunzio, cit., pp. 105-140 che cita Ruffini, Diritti di libertà, Firenze, 1946, p. 2. 7 Gerra, L impresa di Fiume. Nelle parole e nell azione di Gabriele D Annunzio, Milano, 1966, p. 460, in De Felice, D Annunzio, cit., pp. 105-140. 8 De Felice, D Annunzio, cit., pp. 105-140, che cita Archivio del Vittoriale, Archivio fiumano, fasc. Cosaleschi Eugenio - Ufficio Affari Esteri , 5 settembre 1920. Informazioni riservate per il comandante . 9 De Felice, D Annunzio, cit., pp. 105-140, che cita Id., Il carteggio fiumano D Annunzio-Pantaleoni, in Clio, luglio-dicembre 1974, pp. 522 e ss. 10 ASGOI, Verbali della giunta, seduta dell 8 gennaio 1920, in Conti, Storia della Massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Bologna, 2003, p. 270. 11 Cfr. Conti, Storia, cit., p. 270. 12 Tamaro, Venti anni di storia, vol. I, Roma, 1953, pp. 235-236, in Morini, Squadrismo, cit., pp. 12 e ss. 13 Cfr. Morini, Squadrismo, cit., pp. 14-15. 14 Tasca, Nascita e avvento del fascismo, Bari, 1974, vol. II, p. 418, in Morini, Squadrismo, cit., pp. 12 e ss. 15 De Felice, D Annunzio politico, 1918-1938, Bari, 1978, p. 179, citato qui da Morini, Squadrismo, cit., p. 17. 16 Cfr. Morini, Squadrismo, cit., p. 17. Bibliografia essenziale: CONTI F., Storia della Massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Bologna, 2003. DE FELICE R., D Annunzio politico. 1918-1938, Bari, 1978. Giovetti P., D Annunzio occultista e sciamano, in Luce e ombra. Rivista trimestrale di parapsicologia e dei problemi connessi, a. 102, n. 2, Bologna, aprile-giugno 2002, pp. 135-142. Mola A. A., Storia della Massoneria italiana. Dalle origini ai giorni nostri, IV edizione, Milano, 2001. Morini F., Squadrismo tra squadra e compasso. Dalle barricate di Parma alla marcia su Roma, Parma, 1991. Vannoni G., Massoneria, fascismo e Chiesa cattolica, Bari, 1979. P.62-63: Due ritratti fotografici di Gabriele D Annunzio.
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Caro Milo
C era una volta una mamma con un figlio di 13 anni... Clizia Gallarotti
M
amma, a che ti servono dei guanti bianchi? Io e Milo viviamo da soli. Forse per questo abbiamo molta confidenza, nonostante i miei cinquant anni suonati da un pezzo e i suoi tredici appena compiuti. Se qualcuno può dire o pensare che sono una mamma anziana , come forse pensano alcuni suoi compagni di scuola, o forse penseresti tu che leggi spinto dalla sua stessa curiosità, in realtà proprio perché ho avuto questo figlio quando ero un po più vecchia delle altre mamme, quando altre addirittura sono quasi nonne alla stessa mia età, io devo essergli riconoscente, perché grazie a lui sono rimasta molto, ma mooolto più
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giovane di altre signore della mia età. Com è possibile, dirai tu? Ma è chiaro! Perché sono costretta ogni giorno a spogliarmi di tutti i miei problemi di mamma e di donna che lavora, per imparare com è fatto il mondo della sua scuola, dei suoi amici, dei loro pensieri. Altrimenti come potremmo parlare insieme e capirci? E poi giacché per esempio di domenica siamo spesso noi due soli, con chi può farsi un giro in bici, o andare a sciare, o a scarpinare in qualche gita? Tutte cose che mantengono giovani e ti tolgono di dosso un po della pigrizia di certi papà che guardano lo sport in televisione, o della noia di mamme bravissime in cucina ma imbranate per montare una tenda canadese dei boy scout. E poi in casa siamo noi due soltanto, e ci
viene spontaneo parlare e raccontare della nostra giornata: lui a scuola, io a lavorare; lui con amici e professori, io con i miei clienti o con le persone che incontro in qualche ufficio dove devo recarmi; lui con la sua bicicletta che ogni anno scopriamo che è diventata troppo bassa, io con la macchina dal meccanico che mi costringe a prendere l autobus; lui che vorrebbe comperarsi un videogioco che costa troppo e io che continuo a guardare quei bei sandali rossi in una vetrina; lui che alla fine il gioco se lo fa prestare da qualcuno, magari taroccato, e io che tiro fuori i sandali vecchi dell anno scorso cercando di convincermi che sono belli anche se non sono rossi. Insomma, noi parliamo di tutto, quando ci capita, magari durante un piccolo viaggio in macchina, o la sera quando stiamo mezz oretta insieme nel lettone a guardare un po di tv prima di dormire. Quindi succede che veramente non ci sono segreti tra di noi, se non alcuni piccoli problemi che i genitori risolvono da soli perché non vale la pena lasciarsi rovinare il piacere della colazione insieme, e alcuni segreti che giustamente i ragazzi preferiscono discutere con un amico, magari usando delle parole in codice che solo loro conoscono. Perché di un segreto si riesce a parlare soltanto con un proprio simile, che ci capirà di sicuro, e quindi un giovane lo farà con un giovane, e i grandi non devono immischiarsi. Giusto? Io rispetto i suoi segreti, lui non fa domande quando vede che sono un po preoccupata per qualcosa: sappiamo entrambi che tutto si risolve mantenendo la calma. Però siccome la vita è fatta di cicli e di età diverse tra loro, e ogni età ha le sue caratteristiche, se è giusto che un ragazzo o una ragazza di tredici anni abbiano i loro piccoli segreti, io non credo che sia giusto che un figlio debba pensare che sua mamma o suo papà hanno qualcosa di segreto che un figlio non può sapere. Penso, anzi, che se un genitore desidera poter diventare un buon esempio per suo
figlio, la prima cosa da fare sia proprio di dirsi reciprocamente sempre la verità. Non sembra anche a te che ogni volta che si dice la verità, magari proprio quando fa un po paura perché non è così bella come ci piacerebbe, dopo ci si sente così bene, così sollevati? Te ne sei accorto di sicuro, sia con i tuoi amici che a scuola: a conti fatti la verità è la soluzione migliore sempre: non occorre impegnare la memoria per cercare di ricordarsi le bugie che si raccon-
tano, e la sera si va a dormire tranquilli senza rimorsi o dubbi troppo fastidiosi! A volte però, anche se non si dice una bugia, non si dice lo stesso la verità: semplicemente si evita di rispondere, si cambia discorso. Io ho fatto così quando Milo mi ha domandato: mamma, a che ti servono i guanti bianchi? . E da allora non sono tranquilla, e non mi piace andare a dormire la sera senza sentirmi del tutto tranquilla: non vorrei proprio che lui nel suo letto prima di addormentarsi ripensasse ai miei guanti bianchi, e si chiedesse come mai ho cambiato discorso, e potesse credere che io gli nasconda qualcosa. Perché caso mai, se ci succede di voler nascondere qualcosa, si cerca di farlo per delle cose brutte, non certo per delle cose pulite e belle, non ti pare? Il fatto è che quel giorno proprio non pensavo che lui avrebbe rimuginato su quei guanti. Eravamo andati in centro insieme, e ne ho approfittato per entrare in un paio
l Occhio di Minerva di negozi a cercare dei guanti di pelle bianchi: li volevo leggeri, facili da lavare, semplici e senza ricami o cose di moda. Mi rispondevano tutti di provare nei negozi di abiti da sposa! Però in quelli vendevano solo guanti lunghi fino al gomito, da cerimonia, di raso lucido e molto appariscenti. E stato allora che Milo mi ha domandato a cosa mi dovevano servire; ho quasi avuto il dubbio che abbia potuto pensare che io voglia sposarmi. Figurarsi! Ma ti pare che se avessi incontrato l uomo giusto per me e mi sposassi mio figlio non sarebbe la prima persona a saperlo? Premessa So benissimo che come tutti i figli anche Milo, quando gli capita di restare a casa da solo, va a perlustrare i miei cassetti e i miei armadi, perché da bambina l ho fatto anch io con i cassetti di mia madre, che mi sembrava nascondessero un sacco di cose meravigliose che non si potevano toccare: ricordi della nonna, qualche gioiello, sciarpe sottilissime di seta e delicate, scialli da sera ancora profumati. Milo invece probabilmente va in caccia di qualcosa che io possa aver comperato per lui e nascosto per fargli una sorpresa: mi sa tanto che da piccolo aveva scoperto che facevo così con i regali di Santa Lucia e di Natale: li nascondevo in fondo agli armadi fino alla notte in cui facevo i pacchetti di nascosto dopo che si era addormentato. Adesso mi sono fatta furba. Poiché so che lui guarda nei miei cassetti e nei miei armadi, se compro un regalo per lui lo nascondo nel baule della macchina, e così siamo pari. Lui pensa che io scleri e invece sono ancora sveglia abbastanza, non è vero? Comunque mi seccherebbe che trovasse e aprisse la piccola busta nera nella quale tengo il corredino con i guanti bianchi ; non prima, almeno, di aver letto queste pagine. Ma queste sono piccole furbizie, che comunque sono contenta di avere perché mi considero una persona libera, e neppure
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l Occhio di Minerva mio figlio può mettere un limite alla mia libertà andando a spiarmi nei cassetti! Io del resto non credo di avere niente da nascondere della mia vita, mi comporto meglio che posso in ogni situazione, sono contenta dei sani principi che mi hanno insegnato i miei genitori e le altre persone che ho incontrato quando ero giovane, e degli insegnamenti che mi ha dato la scuola. All inizio non mi rendevo sempre conto di quali insegnamenti fossero più importanti di altri, o mi sarebbero rimasti più impressi, ma adesso che del tempo è passato mi accorgo che quelli buoni mi sono tornati utili, che mi hanno aiutata quando ho avuto qualche problema, quando ho dovuto prendere delle decisioni, o fare delle scelte. Come con le cose da studiare a scuola: quelle studiate bene, o che erano le più belle e interessanti, te le ricordi anche dopo molto tempo, mentre le altre si dimenticano così facilmente! Ma è come per la matematica, o per l inglese: se non fai anche i compiti a casa, non studi le regole e non fai esercizio, dopo un po è come se non avessi imparato niente. Quindi anche i buoni principi bisogna metterli in pratica, altrimenti... Ma accidenti, cosa sono? Sono semplicemente alcune regole fondamentali per vivere bene con se stessi e con gli altri. Quel che conta è la sostanza Che te ne fai di una playstation se non hai i dischetti da metterci dentro? E della serie dei libri di Harry Potter se non li leggi? E della bicicletta con venticinque cambi se vai sempre in pianura? E dei paraginocchi e paragomiti se non hai i roller?
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E che te ne fai di una bella testa di capelli col gel o rasati come vuoi tu, se dentro il cervello non viene coltivato? E di una t-shirt di Benetton se sotto nessuno si accorge che hai anche il cuore? E di un sacco di giochi
se poi non sai farti degli amici o non hai dei fratelli per giocare? A scuola ormai alla tua età hai già imparato un sacco di cose, specialmente nei libri di storia, di quello che riguarda il passato degli uomini: dalla preistoria in poi hai già sentito le cose almeno un paio di volte, prima alle elementari e poi alle medie. Hai sentito parlare degli antichi egizi e dei loro misteri, dei greci e dei loro filosofi, dell avvento di Cristo e delle crociate, di re Artù, del medioevo e dei cavalieri, delle grandi cattedrali gotiche, della scoperta dell America e della nascita degli Stati Uniti,
della rivoluzione francese e del risorgimento italiano, delle guerre mondiali e delle potenze economiche del nostro secolo. Sai che nel mondo si sono sviluppate tante religioni, non esiste soltanto la tua: ci sono i musulmani, i cristiani cattolici, i cristiani protestanti, gli induisti, gli ebraici, gli ortodossi, i buddhisti, e chi più ne ha più ne metta, ognuna con il suo credo e con le sue regole e le sue cerimonie e i suoi riti. Sai anche che vi sono stati nella storia personaggi che sono diventati famosi nel bene e nel male, ma alcuni probabilmente ti avranno già appassionato: forse Garibaldi? o magari Carducci? o preferisci Pascoli? o Beethoven? Anzi guarda, ti faccio una piccola lista di nomi che sono sicura ti faranno venire in mente qualcosa di importante o di bello; e ti dico intanto che tutti - dall antichità ai giorni nostri - hanno una cosa in comune, sempre la stessa, e siccome so che sei curioso, per ora non ti dico qual è: ma sappi che è la cosa più importante che ha caratterizzato la loro vita e la loro opera. Una cosa che è rimasta uguale per tutti i secoli ed è uguale anche oggi. Una cosa sostanziale e capace di rendere speciale una persona. Potrei anche dirti che tutte queste persone avevano e hanno in comune i guanti bianchi. Per ora credimi sulla parola, che più avanti ti spiego meglio. Intanto ecco la lista, e guarda che è ridotta all osso; non voglio che ti sembri di fare un esame, quelli che ti nomino li conosci di sicuro: potrei partire da lontano, ad esempio da Pitagora, che te lo ricordi per via del teorema; di certo hai studiato le poesie di Pascoli e Carducci, e quella bella perché è cortissima e se la ricordano tutti di Quasimodo, oppure quelle più complicate di Foscolo. Ma se ti annoia
l Occhio di Minerva
parlare di scuola, che ne dici dei cartoni di Walt Disney? Preferisci Totò? O i western di John Wayne? E hai visto che poco tempo fa c era in tv Via col vento con Clark Gable? Anche Stanlio e Ollio sono sempre divertenti. Hai appena fatto il saggio di musica: anche se ti piace il jazz, conosci Mozart e Beethoven (lo sai, vero, che era sordo?) e magari Gershwin (sì, quello di Summertime, che provano a cantarla sempre tutti) o Paganini, quello che suonava il violino come un indiavolato. Aspetta: e Kipling con le storie di Kim e della giungla? E De Amicis con Cuore? (noi leggevamo il libro, voi avete visto il film in televisione, quell attore che ha fatto anche il medico in famiglia, sai), oppure ti ricordi quand eri piccolo che ti leggevo Pinocchio di Collodi? E magari tra un po ti appassionerai veramente alla lettura e ti leggerai Guerra e pace di Tolstoj (anch io me l ero letto quando avevo 13 anni!), e se imparerai il tedesco un po meglio, chissà
fatto imparare anche a scuola, cosicché tu addirittura sai a memoria tutte le strofe meglio di me? E le automobili che usiamo tutti i giorni e che ci intasano le strade ma sono tanto utili? Il primo a produrle in serie è stato Henry Ford, e ti nomino anche Vittorio Valletta, che ha diretto la Fiat all inizio del 1900 facendola diventare la fabbrica più grande d Italia. Se non te ne sei già innamorato, prima o poi incontrerai nei tuoi libri Gandhi, l indiano padre della non violenza, o il suo successore Nehru, o Giordano Bruno, che nel 1500 è andato al rogo per non rinnegare i suoi convincimenti (così giusti che Giovanni Paolo II, il Papa della tua infanzia, gli ha chiesto scusa per la persecuzione della chiesa che l ha condannato). E senza voler fare la professoressa noiosa, sai da solo chi erano George Washington, Beniamino Franklin, Abramo Lincoln, Rooswelt, Winston Churchill, Federico II di Prussia detto il Grande, Garibaldi, il
tutti i tempi hanno un origine in comune. Alcuni credono di sapere da dove veniamo, chi dice creati da Dio, chi dice frutto di un evoluzione puramente fisica, e comunque tutti gli uomini della terra prima o poi si domandano come mai siamo al mondo, quale sia lo scopo della nostra vita, e cosa succederà dopo la nostra morte. In questo destino tanto sconosciuto siamo tutti fratelli. E poi non dimenticare: questa cosa in comune fa sì che la fratellanza esiste indipendentemente da quale sia la religione di ognuno, o la sua provenienza sociale. È qualcosa che non riconosce le diverse nazionalità, le bandiere le considera tutte ugualmente degne di rispetto, le religioni tutte giuste, le razze e i colori della pelle tutti belli, quindi è qualcosa che sostiene la uguaglianza di tutti gli uomini. E naturalmente, come avrai capito dalla lista dei nomi che ti ho fatto, solo degli uomini con uno spirito veramente libero possono aver avuto la
che un giorno non ti possa gustare Goethe in lingua originale (ha scritto un bellissimo libro su un viaggio in Italia fatto in carrozza, pensa, dalla Germania a qui e giù fino al sud con tutta calma e godendosi davvero il panorama e le abitudini della gente). E poi chi credi che abbia inventato Sherlock Holmes? Un signore che si chiamava Arthur Doyle. Ti sto annoiando? Guarda che anche una cosa un po più moderna, come il tuo telefonino che fa le fotografie, esiste perché è stata inventata da Meucci. E se non ti basta, il secondo uomo sbarcato sulla luna era Aldrin. E gli scavi archeologi di Troia, insieme ai più grandi e famosi reperti dell antichità portati in Europa? È stato un certo Schliemann. Ma qualsiasi cosa nominiamo, posso aggiungere un nome alla lista: se parli degli antibiotici per la bronchite che ti prendi ogni tanto, il signor Fleming, che ha scoperto la penicillina; o se parli di bomba atomica, il primo ad arrivare alle scoperte necessarie è stato Enrico Fermi; vuoi pensare all inno di Mameli che finalmente vi hanno
Conte di Cavour, Vittorio Emanuele II di Savoia, Cesare Battisti, Guglielmo Oberdan, Piero Maroncelli, Nino Bixio, non è vero? Io invece ti dirò (perché magari nei tuoi libri non l hanno ancora scritto) che Isac Rabin era un uomo politico israeliano, Allende era il presidente del Cile, Sadat era il presidente dell Egitto, Dubcek era il capo del partito comunista cecoslovacco, Simon Bolivar era il presidente della Colombia: tutti personaggi che guarda caso hanno pagato ben care le loro idee e quello che rappresentavano. Poi c è stato anche un signor Voltaire, non dimentichiamolo, che ha sempre difeso tutti i perseguitati, ma lui nei libri di storia c è eccome, perché era del 1700. E comunque, in tutta questa lista i Nobel si sprecano. Sarà un caso? Libertà, uguaglianza, fratellanza Proviamo a ricapitolare: cosa può essere quella cosa che attraverso tutti i secoli della storia conosciuta è la cosa in comune a tutti questi personaggi? La fratellanza di sicuro, perché tutti gli uomini di tutti i luoghi e di
forza e la bravura per raggiungere risultati importanti: infatti tutto quello che ci costringe, che ci crea delle paure, che lega i nostri pensieri e non li lascia evolvere e innalzare, è un limite per la nostra libertà. Ricordati: la paura non è gradita a Dio, e la fortuna non premia i paurosi. Il nostro spirito è capace di arrivare molto in alto, se lo nutriamo del cibo giusto ad ogni età, gradualmente, senza fretta. Nel Vangelo c è scritto che Gesù, parlando ai suoi discepoli stupiti per le cose che riusciva a fare, ha risposto: se farete come me diventerete come me e meglio di me . E ricordati anche che quando si è fermamente convinti di qualcosa è giusto combattere per il proprio convincimento, anche con veemenza, ma comunque è giusto cercare di mantenere la propria libertà a tutti i costi; nel Vangelo di Giovanni è detta una cosa che anche adesso che sono grande mi fa impressione: i tiepidi verranno vomitati . A me l idea del vomito mi fa proprio schifo, davvero non vorrei essere io, e allora
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l Occhio di Minerva cerco di difendere meglio e più che posso le cose in cui credo. I guanti bianchi e anche il grembiule Adesso sei stato davvero molto paziente, ed è ora che cominci a spiegarti la storia dei guanti. Ma non basta, perché c è di mezzo anche un simbolico grembiulino. Dal tempo dei tempi dicono alcuni, mentre altri si accontentano di farla risalire a secoli dei quali abbiamo tracce più certe, esiste una cosa che mette insieme i concetti fondamentali dei quali ti ho raccontato fino ad ora: persone libere e di sani principi, che sono capaci di mantenere un segreto per dimostrare la loro serietà, che se devono parlare di quel segreto lo fanno soltanto tra loro, e che credono fermamente nella libertà, nella uguaglianza e nella fratellanza, cercando di vivere tutta la loro vita rispettando questi concetti che sono apparentemente pochi e semplici, ma che richiedono impegno e onestà per restarvi fedeli, a volte in occasioni che la vita offre nelle quali esisterebbero soluzioni più comode, o più redditizie, ma moralmente meno pulite. Questa cosa è la Massoneria Ci sono sicuramente molte persone che non fanno parte della Massoneria, ma che sono ugualmente libere, vivono secondo buoni principi, sono oneste, ma non devono mantenere un segreto su tutto questo. E perché? La differenza sta nel fatto che un massone, quando viene accolto nella Massoneria, giura solennemente, come hai fatto tu quando sei diventato lupetto, che certi vostri segreti scout non me li racconti neanche per sogno, e giura di restare fedele ai suoi fratelli massoni e di non rivelare a nessuno i loro nomi. Questo è cominciato anticamente quando i primi massoni erano probabilmente quei sacerdoti che avevano una cultura diversa dalle persone comuni, e dovevano difendere le loro conoscenze
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da chi poteva farne un uso non adatto o profano. Si dice che la massoneria esistesse già ai tempi degli antichi egizi, e degli antichi greci, e delle crociate, e dei cavalieri della Tavola Rotonda, e avanti fino ai secoli più recenti, con l indipendenza degli Stati Uniti d America, la Rivoluzione Francese, fino all ultima storia d Italia e alla nascita della nostra Nazione. Ma più di tutto si hanno notizie certe della Massoneria dal 1700 circa.
La massoneria è ricchissima di simboli e di simbologie che vengono dal sapere dell antichità o sono stati presi dal mondo degli artigiani costruttori che nei secoli hanno costruito case, chiese, cattedrali: quindi nella massoneria si parla in modo simbolico prendendo come riferimenti oggetti dei muratori; infatti la massoneria si chiama anche Libera Muratoria, cioè l associazione dei muratori che si riunivano per progettare e poi costruire: alcuni sapevano fare i calcoli, altri sapevano tagliare le pietre, altri sapevano fare i tetti e così via, ed usavano la cazzuola, il martello, il compasso, la squadra, la livella. Naturalmente stavano ben attenti a custodire i loro segreti professionali, di modo che nessuno potesse rubar loro il mestiere! In più si portavano dietro, generazione dopo generazione, conoscenze antiche che riguardavano l astronomia, la filosofia, e tutte quelle cose che da sempre l uomo è andato domandandosi e scoprendo per
darsi una risposta: Da dove vengo? Chi sono? Dove vado? Ma allora cos è successo? Poiché i massoni erano sempre molto seri e rispettavano il loro giuramento del segreto, il resto delle persone ha cominciato a immaginare chissà quali misteri che non si potessero raccontare, e nei secoli la massoneria è stata perseguitata, descritta come se fosse una setta diabolica, come una associazione malvagia di persone terribili che volevano agire contro lo Stato, o contro una chiesa; quella era proprio la reazione delle persone ignoranti nei confronti delle cose sconosciute: la paura. E perché si doveva aver paura della Massoneria? Forse perché i massoni erano coerenti, solidali tra loro, onesti, contrari ai mille intrallazzi economici e politici che in tutti i tempi e in tutte le società si organizzavano per raggiungere e mantenere il potere. E invece, guarda caso, sono proprio stati massoni quei personaggi che hanno combattuto per la libertà di un popolo, per la nascita di una nazione, per la sua indipendenza. E anche oggi, nel giuramento di chi viene accolto nella massoneria, c è la promessa di fedeltà e rispetto per la Patria, per l Umanità, e per i Fratelli massoni. Come si dice di persone così? Che hanno le mani pulite. E cosa può rappresentare le mani pulite, quale può essere il simbolo? I GUANTI BIANCHI !!! E cosa è necessario fare per raggiungere questi risultati concreti? Lavorare! E come si lavora? Con gli attrezzi e con il grembiule. Questi sono i simboli del massone. Quindi ogni massone ha un piccolo corredino: dei guanti bianchi e un piccolo grembiule di colore diverso a seconda di quanto tempo è passato da quando è stato accolto nella massoneria. E dove si incontrano i massoni? In un luogo che una volta era all aperto, e che è una piccola rappresentazione simbolica del tempio di re Salomone e dell universo con i suoi pianeti e le sue stelle, che i massoni chiamano Tempio. Nel tempio sono riuniti tutti i simboli più importanti
che con l andar del tempo rivelano i loro significati senza bisogno di insegnamenti, ma soltanto perché il massone diventa più sensibile e capisce meglio tante cose che riguardano l anima e lo spirito. E cosa si incontrano a fare, adesso che non devono più costruire cattedrali o altri edifici? Per imparare lentamente a diventare migliori; ognuno cerca di migliorare se stesso e di nutrire il proprio spirito, di correggere i propri difetti, prendendo esempio dagli altri più anziani e dal loro comportamento, cercando di avere dei pensieri belli e di comunicare agli altri quello che ha imparato e che cerca di mettere in pratica. Ci sono poi dei momenti sempre emozionanti, quando invece qualche persona più grande ringrazia un giovane dicendogli che ha imparato qualcosa da lui: infatti il segreto è uno soltanto, che vale per tutti e vale poi anche nella propria vita di ogni giorno: quello che abbiamo in più non è nostro, ma va donato; quindi tutti possono dare a tutti e tutti ricevere da tutti. È come se ognuno dei massoni che va nel tempio fosse una pietra grezza che lui stesso deve con pazienza levigare fino a farla diventare bella liscia e squadrata, e per questo gli vengono messi a disposizione gli attrezzi dell officina, che sono le cose che può imparare dagli altri o imparare a scoprire nel profondo di se stesso. Nel Tempio ognuno lavora sotto a una grande scritta: agdgadu, che significa a gloria del grande architetto dell universo : così può ricordarsi costantemente della bontà della propria intenzione, e dello scopo del suo lavoro. La Massoneria esiste in tutto il mondo, è universale, non bada alle religioni e alle razze; un ragazzo di vent anni è importante come un Presidente della Repubblica, nessuno giudica un altro con malanimo, se qualcuno ha bisogno di aiuto anche materiale sa che i suoi fratelli lo possono soccorrere. E come in tutte le cose buone, ci si capisce anche se si parlano lingue diverse, se si vive in Paesi lontanissimi,
se uno fa il panettiere e l altro è uno scienziato. Certo nel corso dei secoli anche tra i massoni, come dappertutto, si è intrufolato qualche imbroglione, qualcuno che pensava di poter nascondere sotto il grembiule e i guanti bianchi il suo essere magari addirittura un po delinquente o un po fanatico di cose che con i buoni scopi della Massoneria non c entrano per niente; ma con il tempo si è fatto scoprire, e questo è successo
anche recentemente. I veri massoni però non si prendono neppure la briga di difendersi dalle malelingue, che in queste occasioni si affrettano a calunniare facendo di ogni erba un fascio: sanno che è inutile, e che certe cose non si spiegano con le parole ma con i comportamenti e con l esempio. Quando sono nel tempio i massoni non fanno chiasso liberamente, senza regole: si comportano seriamente, cercano di concentrarsi, e ogni cosa che fanno e dicono è guidata da un rito; a una cerimonia si può assistere da spettatori, mentre a un rito si partecipa personalmente: infatti nel tempio ogni massone ha il suo compito. Uno si occupa di chiudere la porta quando gli altri sono entrati, uno fa l appello, uno accompagna gli altri a sedere, uno fa il moderatore, uno fa il segretario e prende nota di quello che viene detto, e così via. E inoltre ognuno partecipa personalmente portando i suoi pensieri. Piano piano, un po alla volta, i
l Occhio di Minerva massoni più giovani ricevono dai più anziani qualche informazione e insegnamento in più per imparare a migliorarsi: sono tutti elementi che attraverso la storia dell umanità hanno avuto significati importanti, e che sono stati tramandati nei secoli da un massone all altro perché non andassero perduti, e che ogni massone sogna di trasmettere ai suoi figli o con l esempio che può dare con il comportamento o addirittura con il risultato bellissimo di vedere che anche suo figlio o sua figlia desidera diventare un massone. Lo potrà fare soltanto quando sarà maggiorenne, e per venire accettato dovrà dimostrare di essere una persona che si comporta bene, è sincera, onesta, educata, paziente, e desiderosa di imparare e di condividere con gli altri la sua esperienza. Ecco, Milo. Hai capito adesso perché la mamma cercava i guanti bianchi? Perché è un massone, orgogliosa di esserlo in assoluto segreto. Oltre ai miei fratelli massoni l unico a conoscere il segreto sei tu, che per primo puoi essere testimone dei miei comportamenti nella vita quotidiana. Non ti dico che il mio sogno potrebbe essere abbracciarti un giorno nella mia stessa Loggia, perché le strade della tua vita sono ancora imperscrutabili, e perché hai tanti anni ancora per guardarti intorno e scegliere, decidere, provare. Chi lo sa... E se queste pagine vengono lette da qualche altro figlio di massone, spero che per tutti le spiegazioni siano chiare, altrimenti .. chiedete al papà o alla mamma, che vi diranno qualche altro pezzetto di questo semplicissimo mistero (si fa per dire!!) Ma adesso che sapete acqua in bocca, mi raccomando: come tutte le formule magiche, anche quella semplice, misteriosa, segreta e antica della Massoneria, se si rivela a un estraneo e si spoglia del suo fascino nascosto, non funziona più!!! P.64-65: Simboli massonici; p.66: Vercelli, monumento a Cavour, (foto M.Badolato); p.67: Liberté, Egalité, Fraternité; p.68: Grembiuli massonici, stampe, collez. priv.
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Cinema
Cinema e Libera Muratoria Il messaggio massonico di Avatar Roberto Pinotti
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A
ll inizio l ultima megaproduzione di James Cameron, appena uscita sugli schermi dopo 4 anni di lavorazione, ha avuto seppur indirettamente in TV su RAIUNO una prima ben misera presentazione nel programma notturno sul cinema condotto dall inossidabile Marzullo. Tutti hanno infatti visto lo stirato sorrisetto di sufficienza di un Gian Luigi Rondi fare capolino dalla patetica sciarpa che avviluppa il preteso maestro italiano della celluloide a mo della coperta di Linus, a significare implicitamente che ci si trovava di fronte alla solita americanata prodotta con grandi mezzi ma non caratterizzata da particolari contenuti. Orbene, è il caso di dire basta a certe masturbazioni intellettuali che - ferme al neorealismo italiano del dopoguerra quali sacri feticci e assoluti punti di riferimento per certi intellettuali che hanno fatto il loro tempo - vorrebbero pontificare su tutto e tutti in nome della Cultura. Il fatto è che siamo nel 2010, mentre in Italia la Cultura resta sostanzialmente quella post-resistenziale, anche se alla Sinistra non se ne può certo fare una colpa. Nel dopoguerra, infatti, il vuoto lasciato dall apporto culturale liberale dopo l incubo fascista, non riempito certamente da una Chiesa o da una DC che, pur vincitori alle elezioni, non potevano necessariamente produrla e tanto meno da chi, pur potendo promuoverla, era troppo impegnato a gettare le basi della ricostruzione e del successivo Boom economico - è stato occupato dal PCI con la sua visione del mondo determinista, materialista e atea. In questo Togliatti fu tempista e geniale. A parte questo dato di fatto, da cui solo ora ci si comincia ad affrancare e di cui ci si libererà definitivamente solo quando questa weltanschauung stantia e arrogantemente saccente sopravvissuta alla caduta del Muro di Berlino ed al collasso dell URSS scivolerà con certi vecchi psudointellettuali nella loro tomba, oggi - con la Globalizzazione in atto - tende a prevalerein certuni il concetto che il cinema di qualità si debba fare con pochi mezzi e belle idee. E sul fatto che si possa fare siamo anche d accordo. Ma non siamo d accordo che con la puzza al naso si debba etichettare qualsiasi grande produzione hollywoodiana come un sottoprodotto per masse beote o poco più, quale risultato di un sistema
(nondimeno invidiato per mezzi e capitali) che in quanto caratterizzato dalla quantità non può comportare qualità. Avatar è invece un prodotto fatto, sì, con mezzi avanzati e innovativi, ma nondimeno caratterizzato da contenuti di qualità. Comprensibile che questi ultimi possano anche non essere percepiti da una visione arida, agnostica e materialista del mondo, ma questo non toglie che ci siano, eccome. E sono anche contenuti estremamente in linea con i concetti cardine della Massoneria. La trama è presto detta. In un prossimo futuro la razza umana ha creato una testa di ponte su un pianeta extrasolare, Pandora, caratterizzato dalla presenza di un minerale prezioso che si ritiene a quel punto di dover estrarre su larga scala. Pandora, la cui atmosfera non è respirabile per gli uomini, è un trionfo della natura, con una varietà eccezionale di forme di vita animali e vegetali, e la specie dominante è costituita da una razza di umanoidi alti oltre tre metri e dalla pelle azzurra (i Na vi) riuniti in varie comunità. Niente tecnologia, niente architettura o città come noi le conosciamo, niente enonomia di mercato e niente logica della sopraffazione. Il comprensibilmente difficile contatto con gli Abitanti del Cielo (gli uomini giunti dalla Terra) produce subito dei problemi, e gli invasori umani procedono con un sottile programma di infiltrazione della società pandoriana gestito da una scienziata (Sigouney Weaver, la ben nota protagonista di Alien) per conto della Società tesa a sfruttare il giacimento: il programma Avatar. Nella terminologia indù un Avatar è l incarnazione di una divinità in un corpo umano per realizzare una missione solitamente spirituale all interno del contesto umano. In questo caso il programma consta nella creazione in laboratorio per clonazione di organismi Na vi sviluppati fino all età adulta (realizzati mixando il DNA umano con quello dei nativi) e tali da venire poi "teleguidati" da operatori umani che si "incarnano" nel corpo alieno operando così nella società pandoriana. Quando il contatto fra l operatore umano e il corpo pandoriano viene interrotto, quest ultimo cade inerte in catalessi. Il tutto ha prodotto buoni risultati e la scienziata (con il suo "doppio" Na vi) ha iniziato con i nativi un interessante dialogo
antropologico, insegnando loro la lingua degli umani e altro. Ma i rapporti sono sempre più tesi. A questo punto il protagonista Jake Sully - un ex-marine finito su una sedia a rotelle dopo un azione ma dal DNA compatibile per via familiare con il corpo Na avi utilizzato dal fratello morto in un incidente - viene sbattuto su Pandora per sostituire il congiunto deceduto e infiltrarsi fra i pandoriani. Lo scopo è conquistare la loro fiducia, fornire informazioni utili e creare i presupposti di futuri interventi umani tesi alla evacuazione dei nativi e allo sfruttamento dei giacimenti. E così il marine paralizzato (Sam Worthington) si ritrova ad agire euforicamente in un corpo diverso dal suo ma nondimeno prestante e pieno di vita su un pianeta bellissimo seppur ostile, vincendo la comprensibile avversione di una comunità estranea che pur comprendendo che egli non è uno di loro, bensì un alieno terrestre in un corpo Na vi, accetta nondimeno di istruirlo (come d altronde lui chiede) sulla loro realtà. E sua istruttrice sarà una giovane amazzone Na vi, Neytiri. E così egli si calerà totalmente nel suo nuovo ruolo, al punto da assimilare in positivo la antitecnologica visione del mondo dei nativi e giungendo perfino a passare dallo loro parte contro gli umani, al punto da contribuire infine ad affrancarli dall incombente invasione. Il film ha fatto il pieno di consensi e di oscar, frantumando ogni record di incassi, complice l eccezionalità di un 3D che mediante la visione con gli occhialini garantisce allo spettatore uno spettacolo stereoscopico e innovativo in un orgia di effetti speciali prodotti dalla magia del computer. Così ci si trova immersi fino al collo nella seducente realtà fisica di Pandora, si corre nelle sue foreste, di sale sui suoi alberi e sulle sue montagne sospese, si vola sulle favolose creature alate addomesticate dai Na vi. Ma a parte la indubbia godibilità dello spettacolo c è ben di più. La pellicola, infatti, trabocca di concetti massonici che non possono non essere evidenziati in questa sede. In primis, prevale il profondo messaggio etico espresso dalla formula Libertà Uguaglianza - Fratellanza. Il protagonista, seppur uomo, è ed opera quale campione della libertà giustamente rivendicata dal popolo Na avi, che vive una vita libera, serena e a contatto con la natura in una
Cinema società dominata dall uguaglianza e dalla fratellanza al di là di ogni limite tecnologico. E sposerà in toto tale condizione. Quindi, abbiamo il lungo e difficile sentiero della sua Iniziazione, al culmine del quale vi è non solo l accettazione da parte della Comunità, ma il superamento di varie prove con l acquisizione di una coscienza interiore e perfino del sentimento dell amore che legherà il nostro alla sua amazzone-istruttrice Neytiri. E con esso altresì l accettazione della profonda spiritualità dei nativi, espressa nella credenza della Grande Madre, di fatto coincidente con la Natura ma anche evocante il concetto di Gaia espresso da Lovelock. Una sorta di divinità cosmica onnipresente assimilabile a tutti gli effetti al Grande Architetto dell Universo, con cui i Na avi sono collegati non solo tramite la sciamana-sacerdotessa madre della amazzoneistruttrice Neytiri, ma attraverso una sorta di una collettiva catena psichica di gruppo che si rifà palesemente alla Catena d Unione e al concetto inequivocabile di Eggregore. E da ultimo sarà proprio ciò non solo ad innescare una inattesa ed incredibile sollevazione generale di tutta la natura di Pandora contro gli invasori che vedrà, nel momento della apparente vittoria degli umani sui Na avi, mandrie di animali e stormi di volatili sacrificarsi in massa per travolgere la tecnologia e la forza bruta degli occupanti umani, ma anche il definitivo inserimento del protagonista nel suo corpo alieno con la sua rinascita in un mondo nuovo e migliore. Forse Steven Spielberg ha esagerato dicendo che dal punto di vista tecnico dopo Avatar il cinema non sarà più lo stesso. Quello che però è certo è che concetti profondi e importanti come questi hanno facilmente ragione delle superficiali critiche di chi ha visto nel film solo l apoteosi del Buon Selvaggio di Rousseau o un banale plagio della storia di Pocahontas. In effetti certi critici dovrebbero davvero andare a nascondersi. In realtà Avatar è qualcosa di più di un film di fantascienza. È una lezione di etica e di buoni costumi, di ideali e di spiritualità e un notevole spunto di meditazione interiore. Uno spettacolo che un massone non dovrebbe perdere per nessuna ragione.
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Canzone perduta
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i solito la televisione mi fa addormentare. Di sera tardi ad un volume giusto, con la complicità del divano, di solito verso le 23. La televisione è meglio di qualsiasi benzodiazepina(molecola che mi sono sempre rifiutato di assumere anche nei peggiori momenti di tensione). La voce dell Angelo mi ha sempre spinto verso l autonomia e la lucidità aiutandomi a vincere ogni volta la tentazione della dipendenza, almeno quella chimica. La televisione, intesa come ipnotico elettrodomestico, è quasi piacevole come la melissa o la passiflora. O il tiglio o il luppolo. Con la non trascurabile differenza che tali rimedi erboristici hanno nomi più fatati e strutture spagiriche affatto meravigliose. Insomma ero già in quella fase di pre-sonno in cui i pensieri lambiscono il perimetro dei sogni e la coscienza si interiorizza e precipita lentamente in una corporeità sempre più sottile. Tra pochi minuti, come quasi sempre, mi sarei alzato pigramente per andare a letto, rilassato e felicemente rimbambito. Ma ecco l imprevedibile. A un certo punto percepisco un annuncio: a X Factor c è Francesco De Gregori. L elettroencefalogramma ormai praticamente piatto si ravviva. Il Principe non ama frequentare le telecamere. È un piccolo avvenimento. Ed io, piccolo cantautore di provincia, ritrovo un mai dimenticato mito giovanile. Ecco il Degre: è un po invecchiato ma regale. Elegante ed essenziale, come sempre. Il sound è acustico. Attacca con la chitarra, entra la voce. "Pezzi di stella, pezzi di costellazione/Pezzi d amore eterno, pezzi di stagione/Pezzi di ceramica, pezzi di vetro/Pezzi di occhi che si guardano indietro/Pezzi di carne,pezzi di carbone/ Pezzi di sorriso, pezzi di canzone/Pezzi di parola, pezzi di Parlamento/Pezzi di pioggia, pezzi di fuoco spento/Ognuno è fabbro della sua sconfitta/E ognuno merita il suo destino/Chiudi gli occhi e vai in Africa, Celestino!". Vai in Africa Celestino: una bella canzone dal testo intrigante con annessa allusione politica in filigrana, (dietro la ripetuta citazione di Celestino, si celerebbe la figura dell amico-nemico Walter Veltroni che nel 2002, in un intervista al Giornale, confidò di avere in testa e nel cuore la voglia di andare in Africa a svolgere un ruolo sociale ). Ma non è di questo che voglio parlare. Per i più curiosi ci sono abbondanti informazioni nell immensa memoria del web. Passo al nocciolo dell emozione. Subito dopo l esecuzione della sopraccitata canzone, De Gregori, in duetto con Morgan, si cimenta in un grande brano di De André, Il suonatore Jones, tratto dall album del 1971 Non al denaro,
non all amore né al cielo, riscritturaadattamento al linguaggio ed al clima dell Italia degli anni settanta, dell Antologia di Spoon River, una serie di epitaffi poetici che lo scrittore americano Edgar Lee Masters pubblicò tra il 1914 e il 1915 sul Mirror di St. Louis. Come è noto, in ogni poesia la voce di un defunto racconta la propria vita con lirica sincerità. De André scelse nove delle 243 poesie e le trasformò, con la collaborazione di Giuseppe Bentivoglio, in canzoni legate al tema dell invidia, molla primaria di ogni lotta di potere, e a quello della scienza, generatrice di contrasto tra l aspirazione del ricercatore e la repressione operata del Sistema. Ma torniamo a X Factor e lasciamo la parola allo stesso De Gregori: "Bene... la prossima canzone è una canzone del nostro amico Fabrizio De Andrè...io vorrei chiamare Morgan a suonarla con noi... perché la conosce molto bene (qui Morgan fa un inchino teatrale) io sono onorato di suonare con lui, lui è onorato di suonare con me, quindi siamo tutti onorati". L attacco musicale del clavicembalo è rispettoso della trascrizione originale di Nicola Piovani, allora giovane arrangiatore del Genovese. Poi entra la chitarra di De Gregori. Subito dopo la voce. I primi versi sono lancinanti: In un vortice di polvere/gli altri vedevan siccità/a me ricordava/la gonna di Jenny/in un ballo di tanti anni fa/sentivo la mia terra/vibrare di suoni/era il mio cuore/e allora perché coltivarla ancora/come pensarla migliore/libertà l ho vista dormire/nei campi coltivati/a cielo e denaro/a cielo ed amore/protetta da un filo spinato/libertà l ho vista svegliarsi/ogni volta che ho suonato/per un fruscio di ragazze a un ballo/per un compagno ubriaco... L armonica a bocca di Francesco vibra e si appoggia sulle belle tastiere di Morgan che entra di voce nella seconda parte del pezzo. E poi se la gente sa/e la gente lo sa che sai suonare/suonare ti tocca/per tutta la vita/e ti piace lasciarti ascoltare/finì con i campi alle ortiche/ finì con un flauto spezzato/e un ridere rauco e ricordi tanti/e nemmeno un rimpianto. Esplode l applauso in studio. E l emozione a casa. Finalmente una pagina di bella televisione. Capace di far rivivere ricordi e stimolare nuovi pensieri: Faber, Fernanda Pivano, la traduttrice dell opera recentemente scomparsa, la scoperta di Edgar Lee Masters e della sua meravigliosa, antiborghese Antologia, miele per la mia generazione di utopisti contestatori. Oggi come ieri risuona il tema sempiterno della frustrazione individuale che si trasforma in abuso di potere, della sopraffazione generata dall invidia aggressiva, del
Sistema che soffoca le istanze di emancipazione. E che proibisce - non certo il metafisico Dio del Cielo - di mangiare la mela della Libertà. In questo teatro della memoria sfilano gli indimenticabili personaggi dello Spoon River, i morti-vivi che fanno irrompere la cruda verità della poesia nel nostro mondo di vivi-morti: un ottico "spacciatore di lenti", un giudice nano, frustrato e vendicativo, un matto, un blasfemo, un medico che da bambino voleva "guarire i ciliegi" e da grande si ritrova "bollato per sempre truffatore imbroglione", un malato di cuore che rende l anima sulle labbra dell amata. E un chimico, che dopo aver esercitato in vita il potere di "sposare gli elementi senza farli reagire", ora confessa: "gli uomini mai mi riuscì di capire perché si combinassero attraverso l amore". Ma più di tutti un verso mi trafigge, quello finale, appunto, del Suonatore Jones. Lo ripropongo: Finì con i campi alle ortiche/finì con un flauto spezzato/e un ridere rauco e ricordi tanti/e nemmeno un rimpianto. Il suonatore Jones è il personaggio che più di ogni altro ha rispecchiato il daimon di De Andrè. Per riprova, concludo con un frammento tratto dall intervista che il 25 ottobre del 1971 Fernanda Pivano fece a Fabrizio. "Pivano: Ma fino a che punto, per esempio, ti sei identificato col suonatore di violino(Jones, che nel 71 suona il flauto) che conclude il disco? E non voglio alludere al fatto che da ragazzo ti sei accostato alla musica studiando il violino. De Andrè: Non c è dubbio che per me questa è stata la poesia più difficile. Calarsi nella realtà degli altri personaggi pieni di difetti e di complessi è stato relativamente facile, ma calarsi in questo personaggio così sereno da suonare per puro divertimento, senza farsi pagare, per me che sono un professionista della musica è stato tutto altro che facile. Capisci? Per Jones la musica non è un mestiere, è un alternativa: ridurla a un mestiere sarebbe come seppellire la libertà. E in questo momento non so dirti se non finirò prima o poi per seguire il suo esempio". Grazie Edgar, grazie Fernanda, grazie Faber. Dormite in pace sulla collina e continuate a sognare e a cantare per sempre l amore per la libertà. Siate certi che il vostro sogno poetico può ancora contribuire a farci ridestare dal sonno interminabile della Ragione. Sul sito www.raffaelemazzei.it si possono vedere ed ascoltare i brani citati all'interno dell'articolo.
Canzone perduta
P.74-75: Televisiòn, 2009, collez. privata.
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Sicilia
La Tempesta
Paolo Maurensig, Morganti Editori, 2009, 204 pp.
Fa sempre piacere leggere l opera di un autore che già si conosce e si apprezza, ma si scopre un piacere particolare se ci si rende conto che nella lettura non ci legano all autore solo i fili della normale conoscenza letteraria ma quelli più sottili e profondi di una condivisione antica come il tempo. La nuova fatica di Paolo Maurensig ci proietta in una Venezia magica sospesa in un alternanza temporale tra la fine ottocento ed i giorni nostri, seguendo un intreccio fitto e misterioso che parte dal 1500, epoca nella quale Zorzi da Castelfranco detto il Giorgione, geniale e complesso artista dipinge il suo quadro più famoso ed enigmatico chiamato la Tempesta . Henry James, poeta americano, durante un soggiorno nella città lagunare (1892) rimane colpito da una misteriosa opera d arte. Decide di scrivere una storia nella quale un giovane scrittore come lui si trova a Venezia alla ricerca di ispirazione. Con la complicità di Annelien, una splendida fanciulla sulla quale pende un tragico destino, si mette alla ricerca di un quadro che non ha mai visto ma pensa di conoscere. Improvvisamente la visione di un dipinto lo lascia dapprima incantato e poi preda di una crisi di panico. Il carteggio di Henry James si perde e viene ritrovato oltre cent anni dopo da Olimpia, giovane ed affascinante pittrice di cui si innamora uno scrittore alla ricerca di idee per una nuova opera. Tra calli campielli e palazzi i protagonisti ricercano i significati simbolici occultati nella Tempesta . Tutta la sottile trama inizialmente sembra semplice ma subito si dirama in rivoli diversi, una sorta di scatole cinesi che si intersecano, similitudini che si specchiano. Tutti i personaggi si alternano con continui scambi e sfumature di ruolo a partire da Olimpia e Annelien, le due giovani donne con storie parallele ed una sussurrata tragica fine. Il
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quadro del Giorgione entra ed esce, ma è sempre presente nella trama dei diversi racconti al di là delle temporalità in cui si dipana il romanzo. Evidentissimi i richiami esoterici, tanto che alla fine della prima parte del libro la morte di uno dei protagonisti avviene dopo che esclama urlando VITRIOL! con l ultimo respiro. L acronimo alchemico si ritrova poi nelle parole del Giorgione che appare durante una seduta spiritica riportata nelle ultime pagine . In grande abbondanza, quindi, i rimandi più o meno occulti, come si confà a una scrittura iniziatica che può essere letta e compresa su diversi piani. Si ritrovano in particolare motivi di derivazione rosacrociana ed altri riferiti ad altre scuole ermetiche mescolati a simbologie massoniche. Nella musicalità del testo non vengono tralasciati i riferimenti dotti (da Francesco Colonna a Bulwer -Litton a Gurdjeff ) e le occasioni per brevi ma intensi piccoli gioielli di pensiero o sollecitazioni esoteriche. Se è vero che la scrittura di Maurensig è più che lettura, è l ascolto di una musica, quel che ricorda la Tempesta è un minuetto con intrecci e scherzi che si alternano a brevi ma profondi respiri beethoveniani. Alla fine l autore offre la sua personale interpretazione della simbologia occulta celata nella Tempesta , avvertendo però che: dare una spiegazione ad un simbolo spegne il suo significato più profondo . Le parole di uno dei personaggi sembrano calzate ad arte quale chiosa alla recensione di quest opera: Ogni artista apre dei passaggi verso la trascendenza, qualcuno scalfisce a malapena il muro, altri scavano pertugi, strette feritoie oltre le quali poter sbirciare. Ma c è chi apre anche una porta sufficientemente grande da permetterci di entrare e di percorrere a perdifiato l indimenticabile fuga di stanze.
Fabrizio Turrini
Recensioni Sulle ali del sogno
a cura di Paolo Aldo Rossi, Ida Li Vigni e Emanuela Miconi, Mimesis, Milano, 2009, pp.344
La genesi di questo libro a più voci risale ad un anno fa quando a cena con un amica carissima, Silvana Fasce, parlando di un suo articolo sul sogno apparso su Anthropos &Iatria XI, 2 (2007) e del suo attivo interesse per il tema in questione, nacque l idea di organizzare un Convegno interdisciplinare presso l Università di Genova tale da coinvolgere diversi ambiti disciplinari e da fornire stimoli, non certo esaustivi vista la complessità del tema, per ulteriori confronti. Grazie al sostegno di Silvana Fasce e di Paolo Aldo Rossi sono stati coinvolti in un progetto comune non solo docenti delle Facoltà di Lettere e Filosofia e Lingue straniere, ma anche studiosi interessati al tema proposto che sono intervenuti con apporti legati ai loro ambiti di ricerca. Non solo. Dato che alcuni studiosi interpellati non potevano intervenire in occasione del Convegno a causa di loro impegni precedenti, ma erano molto interessati a contribuire alla ricerca, è stato deciso con il loro consenso di pubblicare all interno della presente miscellanea gli articoli originali che hanno fatto pervenire. Questo ha consentito di aprire altre finestre sull universo onirico e di ampliare il quadro delle possibili suggestioni ad esso legate, tenendo sempre presente che un argomento così magmatico e sfuggente quale è il sogno male si presta ad essere imbrigliato all interno di un qualsiasi tipo di schema, vuoi meramente cronologico, vuoi per soggetti. Ma dato che pareva necessario, in qualche modo, suggerire un percorso di lettura, si è pensato di individuare dei macro contenitori in grado di raggruppare i contributi secondo un criterio di coerenza. È parso ovvio aprire, dopo il lungo saggio estremamente esauriente di Paolo Aldo Rossi dedicato alla ricostruzione di un percorso ideale che si dipana dall Antichità al Rinascimento, abbracciando linguaggi simbolici e riflessioni filosofiche e passando dai materiali biblici a quelli greco-latini, da quelli medievali (in particolare Sant Agostino) a quelli rinascimentali (con il confronto fra Cartesio e Keplero), con le due interpretazioni canoniche, quella neuro-fisiologica a firma di Walter Sannita e quella filosofico-psicanalitica a firma di Oscar Meo, non per contrapporle ma per suggerire le possibili integrazioni in un ambito che non vuole opporre la scienza alla riflessione filosofica. Si è poi pensato di seguire un ideale
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Recensioni percorso cronologico, non tanto al fine di sottolineare una reale evoluzione dell immaginario onirico, ma, piuttosto, per portare alla luce i diversi tipi di approccio in relazione a contesti storici e culturali diversi ed esplorarne gli esiti in ambiti differenziati quali la musica, la letteratura, la filosofia e l arte figurativa, quest ultima assunta come pausa di riflessione e cerniera tra i due blocchi ideali della cultura antica e medievale da un lato, moderna e contemporanea dall altro. Nello specifico si è partiti dal mondo greco e latino con gli interventi di Donatella Restani, sul rapporto musica-sogno nel mondo greco, di Margherita Rubino sui sogni nelle opere di Eschilo, e di Valeria Motosso, sul rapporto che i Romani avevano con il sogno, cui hanno fatto seguito gli studi che aprono lo sguardo sull interpretazione filosofico-religiosa del sogno nella cultura sanscrita, biblica e islamica ad opera di Paolo Magnone, Silvana Fasce e Ida ZilioGrandi. Il contributo di Marina Montesano su i sogni in Boccaccio apre il contesto medievale-moderno con una rifiessione sui sogni nel Decameron di Boccaccio. Seguono i contributi di Ida Livigni sul vivace e suggestivo universo onirico di Cardano, di Paolo Aldo Rossi sul mistico sogno di Cartesio e di Davide Arecco sulle fonti neo-platoniche del Somnium di Keplero. Gli interventi di Andrea De Pascalis e di Massimo Marra allargano l orizzonte ai rapporti fra linguaggio onirico ed alchimia, quasi a costituire un intermezzo esoterico-simbolico, a preludio del lavoro di Lauro Magnani sulle raffigurazione dei corpi dei sognatori e le suggestioni che ispirano all osservatore; lavoro che, se da un lato viene posto a ideale cesura cronologica tra le diverse epoche indagate, dall altro introduce ad una nuova sezione relativa alla dimensione storico-letteraria nella quale troviamo gli interventi di Roberto De Pol su von Kleist e di Ida Merello sulle tematiche fantastiche nell opera del francese Charles Nodier; Mirella Pasini offre una panoramica sull approccio positivista al sogno e infine i contributi di Emanuela Miconi relativi alle suggestioni bachelardiane e di Serena Spazzarini sullo studio di Ignaz Jezover concludono, in una prospettiva comparatistica, la rassegna. A chiusura del volume si è voluto riportare in Appendice la scelta antologica dal Libro dei sogni di Artemidoro curata da Donatella Re-
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stani, la traduzione di Paolo Aldo Rossi del Somnium Kepleri e la sua proposta di lettura del sogno di Cartesio tratto da La vie de M. Des Cartes di Adrien Baillet nella traduzione italiana di Garin, nonché il testo del Fiore de Fiori di Giovanni Vasconia proposto da Massimo Marra, dal momento che questi testi rappresentano un occasione preziosa di riflessione e uno stimolo a procedere nella ricerca.
Ma per comprendere meglio la natura di questo volume è giusto riportare la presentazione al Convegno del prof. Sergio Poli, Preside della Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell Università di Genova, che così bene ne interpreta gli intenti e le atmosfere: "È difficile introdurre un convegno sul sogno, perché le introduzioni e i saluti devono essere brevi, mentre, come i titoli degli interventi già fanno intravedere, l argomento è sconfinato: parlare di sogni significa, infatti, parlare di cosa essi siano, e di come sorgano; oppure di come e perché vengano rappresentati nei testi e sulla scena; del valore che il sogno può assumere, quando lo si interpreta come premonizione di ciò che accadrà, o come spia di ciò che noi, individui o civiltà, siamo nel profondo. Il dizionario stesso ci rimanda, alla parola sogno , a molteplici accezioni che possono giustificare ogni tipo di analisi o di divagazione. Non è, infine, una sorta di sogno la nostra stessa vita, e non sono fondati su
sogni archetipali o stereotipici - che non sono la realtà, ma gli occhiali con cui inevitabilmente la guardiamo - i nostri comportamenti e i nostri giudizi? Parlare di sogno è quindi parlare di noi, e da tutti i punti di vista, il che apparirebbe qui troppo, e fuori luogo. Mi par più giusto, invece, sottolineare come il convegno rimandi al noi di questa sala e di questo Ateneo, al lavoro che è stato fatto per creare un evento culturale dalla portata davvero interdisciplinare, e al quale hanno lavorato colleghi e studiosi di due facoltà; e notare subito come collaborazione e interdisciplinarietà siano qualcosa di non frequente, una sorta di bel sogno realizzato, del quale ringrazio gli organizzatori e al quale sono onorato di partecipare. In quanto studioso non solo di letteratura, ma anche di lingua francese, mi permetto poi di ricordare come la grammatica dei sogni riporti a quella della lingua, che segmenta il mondo - e perciò in un certo senso lo sogna - in modo diverso da cultura a cultura; e come anche la lingua possa offrire non solo uno strumentoper narrare il sogno, o per analizzarlo, ma si possa anche trasformare nell oggetto stesso del fantasticare. Il sogno (mi si permetta un accezione ampia) di una lingua originaria, quello di una lingua perfetta, e quello di lingue altre hanno segnato e segnano il nostro immaginario e la storia della nostra cultura. Che lingua parlava Adamo, nel Paradiso terrestre? Quale la relazione tra sogno e miracolo nella narrazione evangelica della Pentecoste, quando ciascun componente di una folla eterogenea restava fuor di sé per lo stupore ascoltando nella propria specifica lingua le parole degli apostoli? Che dire poi del celebre tetrastichon utopico di More, o delle lingue inverse, delle parole musicali e dei gesti loquaci che risuonano nei testi di tanta letteratura utopica e che rimbalzano, modificandosi, via via sino a noi nei romanzi di fantascienza e nel mondo di Internet? Certo, non si tratta espressamente di sogni; ma, come nel caso delle parole pronunciate dai veggenti e dalle Pizie in uno stato di semicoscienza governato dal Dio, ne siamo probabilmente vicini. Forse potremmo cominciare a sognare un secondo colloquio sull argomento...". (Le curatrici: Ida Li Vigni e Emanuela Miconi)
Recensioni
Gli Autori: Paolo Aldo Rossi, Professore ordinario di Storia del Pensiero Scientifico e di Storia del Pensiero medico e Biologico all Università di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia - Oscar Meo, Professore associato di Estetica all Università di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia - Walter G. Sannita, Professore associato - Dipartimento di Scienze Motorie, Università di Genova; Department of Psychiatry, State University of New York, Stony Brook, NY, USA - Donatella Restani, Professore associato di Storia della Letteratura per musica e di Civiltà musicale antica all Università di Ravenna, Dipartimento di Storie e metodi per la Conservazione dei Beni Culturali - Silvana Fasce, Professore ordinario di Letteratura Latina all Università di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia - Margherita Rubino, Professore associato di Teatro e drammaturgia dell antichità e di Tradizioni del teatro greco e latino all Università di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia - Valeria Motosso, Studiosa di Lette-
ratura Latina, Genova - Paolo Magnone, Professore a contratto di Lingua e Letteratura Sanscrita all Università "Cattolica" di Milano - Ida Zilio-Grandi, Ricercatrice in Lingua e letteratura araba all Università di Genova e all Università di Venezia - Andrea De Pascalis, Saggista, studioso del pensiero magico, simbolico ed esoterico, Roma - Marina Montesano, Ricercatrice di Storia Medievale all Università di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia - Ida Li Vigni, Docente di lettere presso il Liceo Artistico Paul Klee di Genova, Cultrice della materia presso le Cattedre di Storia del Pensiero scientifico e di Storia del pensiero medico e biologico, dottoranda di ricerca in Filosofia all Università di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia - Davide Arecco, Ricercatore, Cattedra di Storia della scienza e della tecnica all Università di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia - Massimo Marra, Studioso di ermeneutica simbolica, antropologia del sacro e storia dell esoterismo occidentale (moderno e contem-
poraneo), Napoli - Lauro Magnani, Professore ordinario di Storia dell Arte moderna all Università di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia - Roberto De Pol, Professore associato di Letteratura e cultura tedesca all Università di Genova, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere - Ida Merello, Professore ordinario di Letteratura francese all Università di Genova, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere Mirella Pasini, Professore associato di Etica della comunicazione e Sociologia all Università di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia Emanuela Miconi, Laureata in Lingue e in Filosofia, dottoranda in Lingue e letterature comparate, Genova - Spazzarini Serena, Professore a contratto, settore germanistica, di Grammatica tedesca all Università di Genova, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere.
P.75: Ritratto di Henry James, 1913, J.S.Sargent; p.77: H.Holbein, ritratto di Thomas More.
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V
edevo il sole, non direttamente, ma nell oro scuro con cui dorava la banderuola di ferro della casa di fronte. E siccome il mondo non è altro che un vastissimo quadrante solare, non mi era necessario vederlo in anticipo per sapere che in quel momento, sulla piazza, la bottega che aveva calato la sua tenda per la luce si preparava a serrare per l ora della messa solenne, e il padrone rivestito dell abito domenicale esponeva all interesse dei clienti gli ultimi drappi, sempre controllando che non fosse l ora di chiusura, avvolto in un sentore di tela grezza; al mercato i venditori erano sul punto di esporre le uova e i polli, mentre nessuno ancora si trovava davanti alla chiesa, tranne la donna vestita di nero che ne esce rapidamente a qualsiasi ora, nelle città provinciali. Ma adesso era lo splendore del sole che indorava la banderuola della casa di fronte che attirava il mio desiderio di rivederlo, poiché in futuro lo avrei rivisto assai spesso, questo splendore del sole alle dieci del mattino, che non dorava ormai più le lastre di ardesia della chiesa, ma l angelo d oro del campanile di San Marco, quando veniva aperta dal palazzo la mia finestra sulla calle di Venezia. E dal mio letto vedevo solo una cosa, il sole, non direttamente, ma nei bagliori fiammeggianti sull angelo dorato del campanile di San Marco, che mi consentiva di conoscere allo stesso tempo quale era esattamente l ora e la luce in tutta Venezia e mi portava sulle sue ali abbacinanti una promessa di bellezza e di gioia (trad. A.Giacomini)
Conversation Convver Con ersation sation avec avec maman
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Marcel Proust
I
R.L. Vittoria Oriente di Savona
l recto del gioiello raffigura un tempio il cui timpano è sorretto da due colonne - emblemi di Forza e Bellezza e simboli della Vita - una in stile Dorico e l altra in stile Corinzio, addobbate con serti di palma e di lauro. All interno avanza la greca Nike, la Vittoria, nell atto di spiccare il volo. Essa non vuol essere una mera apoteosi di un trionfo o sopraffazione, ma meglio lo spirito che ispira e sancisce la conquista. Il Sole e la Luna, rappresentanti la Ragione e la Luce riflessa della Conoscenza, sovrastano un pavimento a quadri bianchi e neri e completano la densa simbologia dell insieme. A margine - tratta dal XXVI Canto dell Inferno
O
R.L. G.Bruno - S.La Torre Oriente di Roma
rdinate graficamente, le fiammelle si dispongono in una sorta di triangolo fluttuante; rievocano il rogo di Giordano Bruno, ma lo superano suggerendo l idea di un fuoco controllato, che non brucia i fiori dell oro. Tale fuoco trova alimento spirituale nello zoccolo programmatico sul quale poggia: l appello al Grande Architetto dell Universo, base di tutti i nostri architettonici lavori. Le fiammelle si fanno strada verso l alto e rompono il cerchio della necessità profana per avviarsi alla libertà iniziatica simboleggiata dalla dedica alla Gran Loggia d Italia e alla nostra
L
della Divina Commedia - sta incisa la frase fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza. Questo il messaggio che Ulisse, l Odisseo, rivolge ai compagni (l Uomo) che condividono il suo simbolico viaggio. Uomo che deve essere cosciente della propria condizione e del proprio intelletto, creato per cose più grandi di lui. Per mezzo di questo, con razionalità e spirito critico, l Uomo è in grado di conquistare luoghi conosciuti e sconosciuti accettando sempre nuove sfide per ottenere l inimmaginabile.
Loggia; dedica scritta attorno al cerchio, in lettere aperte e ariose. Ormai il rogo si è trasformato in athanor, in benefico fuoco d entusiasmo. È un evoluzione parallela a quella della Loggia, che al nome di Giordano Bruno ha voluto affiancare quello dell illustre Fratello Salvatore La Torre operando quasi una rifondazione. I fratelli della R\ L\ Bruno-La Torre portano questa medaglia all altezza della regione cardiaca, cioè del anabata chakra.
R.L. Archita Oriente di Taranto
a figura di Archita campeggia al centro del gioiello della nostra Loggia. Archita, filosofo, matematico, politico e stratega militare, fu uno degli ultimi rappresentanti della scuola di pensiero pitagorica; il fulgore del suo pensiero è fonte di ispirazione e guida per i Fratelli fondatori della Loggia. Le due colonne doriche - recentemente restaurate e poste all ingresso della Città Nuova - accolgono i viaggiatori, così come le Colonne del Tempio accolgono i pellegrini dello spirito che cercano ristoro e conoscenza.
L Ahnk - posta sul lato destro - ci ricorda la provenienza della R.L. Archita, generata dalla Loggia Madre Isthar; simboleggia il trait-d union che lega in modo indissolubile le due Logge. Tutto proviene dall unione degli opposti, dal positivo e dal negativo, rappresentati dalle due barre della croce ansata, dal suo centro, inizio e fine del cappio che genera il ciclo delle purificazioni cosmiche.
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R.L. Zodiaco Oriente di Pinerolo
R.L. Fenice Oriente di Chieti
L
o Zodiaco nasce nell antichità, introdotto dai Babilonesi, quale suddivisione della Volta Celeste. Tale area viene ripartita in dodici settori, indicati con nomi di un bestiario ancestrale: Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, Sagittario, Capricorno, Acquario, Pesci. All interno di questo spazio si muovono il sole e la luna determinando così scorrere del tempo ed universalità dello spazio. La Massoneria ha voluto inserire questo simbolismo all interno dei propri
I
l nome della Loggia la Fenice è scaturito dal fatto singolare che tutti i Fratelli fondatori erano accomunati dal sincero entusiasmo per la filosofia e lo spirito della Massoneria, ma anche - purtroppo - da una esperienza regressa piuttosto deludente. Di qui l intento di dar vita ad una Loggia nuova, entusiastica, che sapesse realizzare nel modo più fedele e confacente gli Statuti, una cellula
Templi; questi - infatti - sono una rappresentazione di uno spazio sacro sotto una Volta stellata; sono circondati dai segni zodiacali e insieme al Sole e alla Luna in Oriente, evocano la proiezione cosmica dell ambito esoterico. Come i simboli dello Zodiaco si dividono in Terra, Aria, Acqua e Fuoco, così chi inizia deve sottostare a queste quattro prove. In questa ottica di percorso iniziatico mirato a proiettare se stessi nell armonia cosmica è nata la Loggia Zodiaco all Oriente di Pinerolo.
di autentica vita massonica. Il mito dell Araba Fenice che rinasce dalle ceneri a nuova vita incarna appieno il suddetto spirito. Nel gioiello appare quindi l immagine dell Araba Fenice che spicca il volo verso l alto passando attraverso una squadra e compasso sovrapposti in grado di Maestro e recanti incisi il nome della Loggia ed il suo Oriente e l Obbedienza della GLDI alla quale essa appartiene.
ad oggi l elenco delle Logge già pubblicato... R\L\ Cartesio Or\di Firenze R\L\ Nino Bixio Or\di Trieste R\L\ Scaligera Or\di Verona R\L\ Minerva Or\di Torino R\L\ Sile Or\di Treviso R\L\ Luigi Spadini Or\di Macerata R\L\ Enrico Fermi Or\di Milano R\L\ Kipling Or\di Firenze R\L\ Iter Virtutis Or\di Pisa R\L\ Venetia Or\di Venezia R\L\ La Fenice Or\di Forlì R\L\ Goldoni Or\di Londra R\L\ Horus Or\di R.Calabria R\L\ Pisacane Or\di Udine R\L\ Mozart Or\di Roma R\L\ Prometeo Or\di Lecce R\L\ Salomone Or\di Catanzaro R\L\ Teodorico Or\di Bologna R\L\ Fargnoli Or\di Viterbo R\L\ Minerva Or\di Cosenza R\L\ Federico II Or\di Jesi R\L\ Giovanni Pascoli Or\di Forlì R\L\ Triplice Alleanza Or\di Roma R\L\ Garibaldi Or\di Castiglione R\L\ Astrolabio Or\di Grosseto R\L\ Augusta Or\di Torino R\L\ Voltaire Or\di Torino R\L\ Zenith Or\di Cosenza R\L\ Audere Semper Or\di Firenze R\L\ Justitiam Or\di Lucca R\L\ Horus Or\di Pinerolo R\L\ Jakin e Boaz Or\di Milano R\L\ Petrarca Or\di Abano Terme R\L\ Eleuteria Or\di Pietra Ligure R\L\ Risorgimento Or\di Milano R\L\ Fidelitas Or\di Firenze R\L\ Athanor Or\di Cosenza R\L\ Ermete Or\di Bologna R\L\ Monviso Or\di Torino R\L\ Cosmo Or\di Albinia R\L\ Trilussa Or\di Bordighera R\L\ Logos Or\di Milano R\L\ Valli di Susa Or\di Susa R\L\ Cattaneo Or\di Firenze R\L\ Mozart Or\di Genova
R\L\ Carlo Faiani Or\di Ancona R\L\ Aetruria Nova Or\di Versilia R\L\ Giordano Bruno Or\di Firenze R\L\ Magistri Comacini Or\di Como R\L\ Libertà e Progresso Or\di Livorno R\L\ Uroborus Or\di Milano R\L\ Ugo Bassi Or\di Bologna R\L\ Ravenna Or\di Ravenna R\L\ Hiram Or\di Sanremo R\L\ Cavour Or\di Vercelli R\L\ Concordia Or\di Asti R\L\ Per Aspera ad Astra Or\di Lucca R\L\ Dei Trecento Or\di Treviso R\L\ La Fenice Or\di Livorno R\L\ Aristotele II Or\di Bologna R\L\ La Prealpina Or\di Torino R\L\ Erasmo Or\di Torino R\L\ Hiram Or\di Bologna R\L\ Garibaldi Or\di Toronto R\L\ Sagittario Or\di Prato R\L\ Giustizia e Libertà Or\di Roma R\L\ Le Melagrane Or\di Padova R\L\ Luigi Alberotanza Or\di Bari R\L\ Antares Or\di Firenze R\L\ Cidnea Or\di Brescia R\L\ Fratelli Cairoli Or\di Pavia R\L\ Nazario Sauro Or\di Piombino R\L\ Antropos Or\di Forlì R\L\ Internazionale Or\di Sanremo R\L\ Giordano Bruno Or\di Catanzaro R\L\ Federico II Or\di Firenze R\L\ Pietro Micca Or\di Torino R\L\ Athanor Or\di Brescia R\L\ Chevaliers d Orient Or\di Beirut R\L\ Giosuè Carducci Or\di Follonica R\L\ Orrione Or\di Torino R\L\ Atlantide Or\di Pinerolo R\L\ Falesia Or\di Piombino R\L\ Alma Mater Or\di Arezzo R\L\ Cavour Or\di Arezzo R\L\ G.Biancheri Or\di Ventimiglia R\L\ Sibelius Or\di Vercelli R\L\ C.Rosenkreutz Or\di Siena R\L\ Virgilio Or\di Mantova R\L\ Mozart Or\di Torino
R\L\ Ausonia Or\di Siena R\L\ Vincenzo Sessa Or\di Lecce R\L\ Manfredi Or\di Taranto R\L\ Cavour Or\di Prato R\L\ Liguria Or\di Orspedaletti R\L\ S.Friscia Or\di Sciacca R\L\ Atanor Or\di Pinerolo R\L\ Ulisse Or\di Forlì R\L\ 14 juillet Or\di Savona R\L\ Pitagora Or\di Cosenza R\L\ Alef Or\di Viareggio R\L\ Ibis Or\di Torino R\L\ Melagrana Or\di Torino R\L\ Aurora Or\di Genova R\L\ Silentium... Or\di Val Bormida R\L\ Polaris Or\di Reggio Calabria R\L\ Athanor Or\di Rovigo R\L\ G. Mazzini Or\di Parma R\L\ Palermo Or\di Palermo R\L\ XX Settembre Or\di Torino R\L\ La Silenceuse Or\di Cuneo R\L\ Corona Ferrea Or\di Monza R\L\ Clara Vallis Or\di Como R\L\ Giovanni Bovio Or\di Bari R\L\ EOS Or\di Bari R\L\ G. Ghinazzi Or\di Roma R\L\ D.Di Marco Or\di Piedimonte Matese R\L\ Orltre il cielo Or\di Lecco R\L\ San Giorgio Or\di Genova R\L\ G.Papini Or\di Roma R\L\ Anita Garibaldi/Alpi Giulie Or\di Livorno R\L\ Melagrana Or\di Cosenza R\L\ Il nuovo pensiero Or\di Catanzaro R\L\ M aat Or\di Barletta R\L\ Costantino Nigra Or\di Torino R\L\ Umanità e Progresso Or\di Sanremo R\L\ Fenice Or\di Spotorno R\L\ Ferd.Rodriguez Y Baena Or\di Milano R\L\ G.Bruno - S.La Torre Or\di Roma R\L\ XI Settembre Or\di Pesaro R\L\ Il Cenacolo Or\di Pescara R\L\ Humanitas Or\di Pistoia R\L\ G.Spontini Or\di Jesi
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