Officinae Settembre 2012

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Trimestrale internazionale di attualità , storia e cultura esoterica — Anno X XIV - Settembre 2012 - n.3


Trimestrale internazionale di attualità, storia e cultura esoterica Anno XXIV - n.3 - Settembre 2012 Direttore Editoriale e Responsabile LUIGI PRUNETI Direttore ANNA GIACOMINI Segreteria di Redazione ROBERTO PINOTTI SIMONE TADDEI Comitato di Redazione LINA ROTONDI LUISA CERAVOLO SABRINA CONTI VALERIA DI PACE STEFANO MOMENTÉ FEDERICA POZZI GIANCARLO GUERRERI MATTEO BARTOLETTI RENATA SALERNO Comitato Scientifico VINCENZO CIANCIO ALDO ALESSANDRO MOLA PAOLO ALDO ROSSI IDA LI VIGNI RAFFAELE MARRŸ PAOLO MAGGI Renato ARIANO BARBARA NARDACCI Consulente Legale PIERPAOLA MELEDANDRI hanno collaborato a questo numero MAURIZIO GALAFATE ORLANDI GIUSEPPE IVAN LANTOS IDA LI VIGNI PAOLO MAGGI ALDO ALESSANDRO MOLA ROBERTO PINOTTI LUIGI PRUNETI PAOLO ALDO ROSSI ANNALISA SANTINI ANTONINO ZARCONE ISABELLA ZOLFINO progetto e realizzazione PAOLO DEL FREO


L.Pruneti - La conchiglia marina e il Duca di Atene — 2 A.A.Mola - 1916-1925: una fonte preziosa — 4 A.Santini - Il Risorgimento nazionale nella storia di una bandiera — 8 L.Pruneti - La Massoneria e la guerra di Libia — 22 G.I.Lantos - Nascita del Partito Socialista Italiano — 30 I.Li Vigni - Mille e non più Mille — 40 I.Zolfino - L’Elba francese di Pierre Joseph Briot — 48 P.Maggi - Federico II e la medicina — 56 M.Galafate Orlandi - I misteri di Glastonbury — 62 A.A.Mola - Il caso del “Filosofico” di Napoli, crepuscolo dell’Unità d’Italia — 66 R.Pinotti - Crisi economica, potentati occulti e Massoneria — 68

Sommario

P.A.Rossi - Il Satana — 72

A.Zarcone - Massoni in divisa: Giovanni Ghinazzi — 82 A.A.Mola - Zibaldone dell’insolito — 86 In Biblioteca — 88 Ex Libris — 90 Fregi di Loggia — 95


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ull’umida sabbia della battigia raccolgo una conchiglia … la spiaggia è silenziosa e deserta, come si conviene ad una mattina di settembre dopo la pioggia. L’osservo: è piccola rugosa, ma l’interno è liscio, venato di rosa, ricorda un cielo al tramonto, quando i cirri velano il sole che se ne va. Quanti ricordi … un tempo, quand’ero bambino, collezionavo conchiglie, le sistemavo su una mensola, una accanto all’altra; in primavera mi facevano sognare l’estate, le vacanze, i giorni “pien di speme e di gioia”, ma d’autunno s’ammantavano di malinconia e di rimpianti. Anche quest’anno l’estate si è bruciata in attimo, fra il caldo in-

ciato a furor di popolo. Lasciò il Palazzo della Signoria di notte e alla chetichella, felice come una Pasqua perché almeno era riuscito a salvare la testa. Non so quando Mario Monti se ne andrà da Palazzo Chigi, sicuramente quel dì nessuno minaccerà “di mozzargli lo capo”, tanti, invece, gli attribuiranno lodi ed onori. Sono altrettanto certo, però, che per uscire dalla crisi occorrano volti nuovi, idee nuove e sicuramente una diversa percezione dell’uomo e della società. Rimango comunque fiducioso; d’altra parte dopo il Trecento con la crisi economica, le guerre, la peste, la carestia, vi fu un’età nuova illuminata dal sole dell’umanesimo. Noi cerchiamo in

“Figlia del chiaro mare e della rupe … dismaghi i bimbi, conchiglia di mare” Alceo

fernale dell’anticiclone tropicale, il rito ormai consunto delle Olimpiadi e i tanti discorsi sulla crisi economica. Un giorno i quotidiani avvertivano che lo spread diminuiva, ma ventiquattro ore dopo annunciavano che era di nuovo in crescita, mentre politologi, economisti, analisti, opinionisti, sempre prodighi di parole, ci sommergevano di verdetti e di previsioni. Gli ottimisti affermavano: “l’Italia vedrà presto la fine del tunnel”, “i sacrifici porteranno buoni frutti”. Facevano da contro altare i pessimisti: “il paese va a rotoli”, “la stretta fiscale strangola l’economia e con i consumi in picchiata la disoccupazione andrà alle stelle”. In realtà nessuno è capace di prevedere ciò che accadrà, perché il fenomeno che stiamo vivendo è relativamente nuovo; molti se non tutti ne percepiscono l’ampiezza, pochi ne comprendono le dinamiche, pochissimi hanno idee chiare di come affrontarlo. La crisi odierna mi ricorda un po’ la peste del 1348. I comportamenti dei politici di oggi sono, infatti, simili a quelli dei magistrati del XIV secolo. Alcuni pensavano di salvarsi chiudendo le porte delle città e, sentendosi al sicuro, gridavano dall’alto degli spalti: “Arrangiatevi! Noi siamo stati saggi e previdenti, abbiamo i granai pieni, abbondante acqua nelle cisterne e le nostre mura sono così solide che nessun morbo le varcherà”. Altri compivano inutili riti esorcistici, altri ancora si accusano l’un con l’altro per i dies irae, pur essendo stati sia gli uni che gli altri alla guida della comunità. Anche il caso del governo attuale mi ricorda la storia medievale. Quando le fazioni di un comune che da sempre si contendevano il potere vedevano che la situazione era insostenibile chiamavano uno straniero a governare e mentre lui si occupava di esigere tasse e balzelli e d’affamare ulteriormente il popolo già vessato, loro – i magnati – affilavano le armi, per affrontarsi di nuovo, appena il “salvatore” si fosse levato di torno con le buone o con le cattive. Così avvenne a Firenze nel 1442, quando fu chiamato Gualtieri di Brienne, duca d’Atene. Piacque così tanto che fu subito nominato “signore a vita”; passarono dieci mesi e fu cac2

ogni modo di facilitare l’avvento di una società diversa, capace di riscoprire i sette landmark dell’umanità: equità, giustizia, libertà, uguaglianza, tolleranza, solidarietà, fratellanza. A questa opera collabora anche Officinae, spronando soprattutto alla conoscenza, perché le pietre miliari possono essere innalzate solo se vi è un buon terreno che le sostenga. Se non vi è conoscenza è inutile piantare landmark; saranno solo pioli che sprofonderanno e nella torba s’apriranno le fosse dell’ignoranza, del pregiudizio, della credulità e dell’egoismo peggiore: apatico, ottuso, dissolvente. In questo numero equinoziale Officinae affronta vari ed interessanti argomenti, si va dalla storia massonica, all’antropologia, dai luoghi simbolo ai grandi personaggi del passato. La vera novità consiste, comunque, in tre nuove rubriche. La prima, curata da Aldo Alessandro Mola, s’intitola Lo zibaldone dell’insolito; è una raccolta di curiosità, spesso bizzarre, scoperte dal noto storico, da anni nostro preziosissimo collaboratore. Annalisa Santini redigerà invece gli Ex libris massonici presentando, di volta in volta, alcuni pezzi della vasta raccolta appartenente alla Gran Loggia d’Italia. Infine Antonino Zarcone si occuperà di Massoni in divisa, un repertorio che illustrerà in brevi ma documentate biografie liberi muratori che furono celebri militari. La prima scheda è dedicata al sempre compianto Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro Giovanni Ghinazzi che – come potrete leggere – si guadagnò anche in aviazione i gradi, grazie ad abnegazione, coraggio e perizia. Prendo la mia conchiglietta e me la pongo all’orecchio. Lì per lì non sento niente, sono un po’ deluso, ma non più di tanto … sto diventando sordo. Poi ci riprovo e mi sembra di udire un suono, forse un canto, un canto che viene dal mare: muse o sirene? Potrebbero essere le une o le altre, sta a noi distinguerle, proprio per questo all’Equinozio d’autunno riprendiamo a lavorare con forza e vigore. P.2-3: Murex, 2012, collez. priv. (fotografia P.Del Freo)


La conchiglia marina e il Duca d’Atene... Luigi Pruneti

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1916-1925: una fonte preziosa I registri della Serenissima Gran Loggia d’Italia Aldo A.Mola 4


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ono stati recentemente rinvenuti 42 volumi contenenti 20.414 “schede” di affiliati della Serenissima Gran Loggia d’Italia tra il 1916 e il 1925. Ai registri matricolari si aggiungono altri volumi comprendenti repertori di Logge e delle loro Luci, cioè dei loro “dirigenti”, e di elezioni dei Venerabili e Ufficiali di loggia. Nell’insieme si tratta di materiale informativo corposo, di interesse eccezionale sia per la storia della Gran Loggia stessa, sia della Massoneria italiana tra Grande Guerra e avvento del regime di partito unico, sia, in generale, della storia sociale e civile d’Italia e delle sue relazioni con gli altri Paesi nei quali la Massoneria all’epoca era permessa (le Americhe e l’Europa, colonie incluse, con l’esclusione dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche ove era vietata e perseguitata). Il Sovrano Gran Maestro Gran Commendatore della Gran Loggia d’Italia Luigi Pruneti, ha messo questa imponente fonte documentaria al centro degli studi. Marcello Millimaggi ne ha tratto due relazioni, presentate a convegni della Gran Loggia: prima a Cagliari (pub-

blicata negli atti del convegno su Massoneria e monarchia, “Nuova Delta”), poi a Montesilvano. Molto ne ha scritto lo stesso prof. Pruneti negli Annali della Gran Loggia d’Italia e successivamente in Annales, di imminente pubblicazione (Roma, ediz. Atanor). Fermo restando che esso meriterà uno studio sistematico richiedente anni di lavoro, forniamo alcune informazioni essenziali sull’eccezionale reperto. La matricola documenta la vitalità della Gran Loggia d’Italia, tanto più se la si confronta con i dati forniti per i medesimi anni da quella del Grande Oriente d’Italia (reperita venticinque anni orsono, ma tuttora in attesa di un’analisi scientifica esaustiva). I registri matricolari della Gran loggia consentono alcune considerazioni importanti. In primo luogo emerge che negli anni in discorso la Massoneria ebbe in Italia una vitalità straordinaria. Al netto di assonnamenti, dimissioni e radiazioni o abbruciamenti, alla vigilia dell’autoscioglimento (1925) il corpo della Gran Loggia contò circa 15.000 affiliati: non molti meno di quanti ne avesse il Gran-

de Oriente d’Italia, a giudicare da un repertorio del 1925. Con quegli effettivi la Massoneria italiana era tra le più forti dell’Europa continentale, sia dal punto di vista numerico sia per qualità degli affiliati. Risultava circa due terzi delle Obbedienze francesi e almeno sei volte superiore all’insieme delle varie Obbedienze spagnole. La matricola assegna alla Gran Loggia d’Italia alcuni significativi primati, che esemplifichiamo con alcune “schede”, proposte in allegato. In primo luogo balza evidente la forte compenetrazione tra la Massoneria e lo Stato. In Loggia vediamo infatti affluire: militari delle diverse Armi (Esercito, Marina, Guardia di Finanza, aviatori) anche di grado molto elevato (non mancano militari dell’Arma dei Carabinieri); magistrati; alte cariche (a cominciare da prefetti, come Angelo Annaratone, prefetto di fiducia di Giovanni Giolitti); politici; scrittori e giornalisti; imprenditori, banchieri, dirigenti d’industria; apparati pubblici dello Stato e del parastato (Ferrovie, Poste e Telegrafi...); professioni liberali; docenti e studenti universitari. 5


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Se ne può concludere che negli anni documentati dalla Matricola la Massoneria, e specialmente la Gran Loggia, era espressione della società civile. Essa risulta molto diffusa e radicata nelle regioni all’avanguardia nell’industrializzazione (Lombardia, Piemonte e Liguria), come anche nel Mezzogiorno (dalla Sicilia a Calabria e Campania) e nella Capitale, i cui gangli risultano fortemente penetrati dalla sua presenza. Significativa la presenza di logge all’estero alla sua Obbedienza. La Gran Loggia fa registrare anche una importante partecipazione di referenti di Paesi stranieri (Consoli USA ecc.). Tre altre considerazioni s’impongono: le iniziazioni si moltiplicano alla vigilia e dopo l’avvento del governo Mussolini (settembre-dicembre 1922); esse non diminuiscono affatto nel 1923 dopo i primi annunci di incompatibilità tra iscrizione al Partito Nazionale Fascista e affiliazione massonica (1923); registrano un significativo incremento nella primavera del 1924, segnato dalle elezioni politiche ge6

nerali, poi dal rapimento e assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti e continuano anche nella prima metà del 1925, quando ormai incombevano sia la legge sull’appartenenza dei pubblici impiegati ad associazioni, che comportò l’autoscioglimento delle Organizzazioni massoniche, sia assalti alle Logge con dispersione di arredi e documenti. La Massoneria rimase insomma un baluardo dell’Italia civile anche nelle ore più difficili. Ventimila affiliati in circa dieci anni (e quanto difficili!) costituiscono una realtà che merita attenta riflessione da parte della storiografia, senza pregiudizi e col sussidio delle discipline ausiliarie. Lo stesso vale per l’età media degli iniziati / regolarizzati / affiliati: relativamente ‘bassa’. La ‘vita’ della Gran Loggia subì una drastica interruzione quindici anni dopo la sua fondazione (1910), ma già col 1943, cioè dopo altri diciotto anni, i massoni tornarono apertamente attivi. Chi nel 1945 contava 35-40 anni era nel pieno della maturità. Rimane da approfondire il ruolo svolto negli anni del silenzio forzato, che non

comportò certo la abrasione del carisma iniziatico, la estirpazione dei principi affermati al momento dell’iniziazione, l’oblio dell’esperienza maturata nel cammino verso l’iniziazione e nel lavoro di loggia. Un interrogativo, questo, che vale per i massoni più famosi (Vittorio Valletta, stratega dalla fiat di Torino, l’ammiraglio Luigi Mascherpa, il maresciallo d’Italia Ugo Cavallero, “suicidato” dal feldmaresciallo Kesselring, per Serafino Mazzolini, monarchico e mussoliniano), ma anche per il sindacalista Edmondo Rossoni, che ottiene il grado scozzesista supremo nel marzo 1924, per Michele Terzaghi e un lungo “eccetera” di politici, imprenditori, intellettuali. Al riguardo la Matricola offre rivelazioni sorprendenti. Emblematico è, per esempio, il caso di Malaparte (Curzio Suckert) che viene “regolarizzato” e raggiunge il 33 grado il 28 maggio 1924, quando, all’apertura dei lavori parlamentari, Mussolini mirava ad ampliare la maggioranza di governo tendendo la mano a socialisti riformisti e alla Confederazione Generale del Lavoro. Infine questo repertorio risulta di enorme interesse anche per quanto vela mentre ri-vela: i ricorrenti nomi coperti da Segreto, a volte con indicazione della data dell’iniziazione/affiliazione e dei gradi conferiti, a volte no. Quel Silenzio potrà essere almeno in parte colmato con meticolose ricerche. Lo stesso vale per le numerosissime “dimissioni” registrate negli ultimi mesi di attività: in gran parte concordate in vista della trasformazione della Gran Loggia in Ordine di San Giovanni di Scozia, il progetto coltivato da Raoul Vittorio Palermi, anche in Vaticano considerato la personalità più interessante della Massoneria italiana. La Matricola della Gran Loggia costituisce dunque un terreno da arare per giungere alla biografia della nazione tuttora in corso di costruzione. Ecco quindi alcune “schede” di affiliati alla Serenissima Gran Loggia d’Italia dai Registri conservati nel Museo della Gran Loggia (Palazzo Vitelleschi): *** Vol. 3 Matricola 1505 VITTORIO VALLETTA fu Federico n. a Sampierdarena il 28 luglio 1883, ragioniere, professore di Ragioneria, residente a Torino in via Garibaldi 23. Iniziato nella Loggia “20 settembre 1870”. Maestro il


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24 novembre 1917, grado 30 il 3 gennaio 1918; 31 il 18 luglio 1918, 32 il 20 giugno 1919. Nel 1918 passa alla loggia “Nuova Italia” di Torino. *** Vol. 4 Matricola 2098 UGO CAVALLERO, Generale, dimorante a Parigi, Hotel ‘Eduard VII’, iniziato alla “Loggia Nazionale” il 15 agosto 1918; grado 30, regolarizzato; grado 33. Dimissionario nell’agosto 1924. *** Vol. 5 Matricola 3614 MICHELE TERZAGHI di Maria, n. a Livorno il 29 marzo 1883, avvocato, deputato, residente a Milano, via Verri 12. Iniziato alla Loggia “Centrale Ausonia”, 3 grado 20 settembre 1919, 31 l’8 dic. 1920, 32 il 15 febbraio 1921, 33 il 20 settembre 1922. Autore di Fascismo e Massoneria. *** Vol. 7 Matricola n. 4131 SERAFINO MAZZOLINI fu Cesare n. ad Arcerra (Ancona) il 25 maggio 1890, giornalista, residente ad Ancona via Mazzini 53, iniziato alla “Nazionale” di

Roma, regolarizzato 3 grado 21 dicembre 1919, gradi 18-30 il 25 marzo 1921, in sonno, già alla “Italia Nuova” di Ancona. Futuro gerarca del regime, monarchico, ministro della Repubblica sociale italiana. *** Vol. 16 Matricola n. 7213 LUIGI MASCHERPA fu Rinaldo, n. a Genova il 15 aprile 1893, tenente di vascello (futuro Ammiraglio, senatore del regno), iniziato alla loggia “Nazionale” il 29 gennaio 1921, 2 e 3 grado il 18 febbraio 1922. In servizio sulla nave “Roma” della Marina Militare. Dimissionario nel febbraio 1925. Condannato nell’arbitrario “processo agli Ammiragli” e fucilato come Inigo Campioni. *** Vol. 29 Matricola 13213 EDMONDO ROSSONI fu Attilio, n. a Tresigallo di Ferrara il 6 marzo 1884, pubblicista, residente a Bologna, in via Monte Grappa 11, iniziato alla “Gerolamo Savonarola” di Ferrara il 30 settembre 1922, gradi 2 e 3; 4-33 il 15 marzo 1924. Dal 1923 affiliato alla “Virtus” di Bologna.

Massimo esponente dei sindacati fascisti. *** Vol. 30 Matricola 13966. GIUSEPPE BONOCORE fu Luigi, Deputato al parlamento, residente a Roma via Arenula 4, regolarizzato, gradi 3-30 il 6 dicembre 1922. *** Vol. 39 Matricola 18449 CURZIO SUCKERT (MALAPARTE) di Elvino, nato a Prato il 9 giugno 1896, residente a Roma. Piazza San Silvestro 92, iniziato alla “Loggia Nazionale”, regolarizzato grado 3, gradi 3- 33 il 28 maggio 1924, *** Vol. 42 nn. Matricola 70-77 SEGRETO Alla data 30 maggio 1925, cioè dopo l’approvazione alla Camera dei Deputati della legge sull’iscrizione di pubblici impiegati ad associazioni. P.4: Foto con autografo di Kurt Suckert, detto Curzio Malaparte, quando era direttore de La Stampa a Torino nel 1930; p.5: Malaparte (a sin.) impegnato in un duello, ca. 1916/1920; p.6: Ugo Cavallero in uniforme; p.7: Vincenzo Valletta (al centro) nel 1950 ca; sull’auto il giovane Gianni Agnelli (tutte le foto collez. priv.).

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Il Risorgimento nazionale nella storia di una bandiera Annalisa Santini fotografie di Paolo Del Freo


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a libertà postulata dalla Libera Muratoria Universale si riconosce nell’opera di quei Fratelli che storicamente hanno combattuto e ancora continuano a combattere per il trionfo dei diritti umani e per la costruzione di una società in grado di garantire il massimo possibile di felicità al maggior numero possibile di persone. Il Risorgimento è rappresentato nel Museo della Gran Loggia d’Italia da numerosi e importanti documenti che sono anche un atto di ringraziamento e di rispetto alla nostra storia Patria, perché se siamo costituiti in libera associazione e se abbiamo celebrato i 150 anni di vita dello Stato italiano, è anche grazie a quel 1848 che fu l’anno della caduta del muro della Restaurazione, dell’incertezza delle leggi, del connubio fra trono e altare. Il governo delle leggi è preferibile a quello degli uomini, come ha detto Norberto Bobbio, ed è stato in questo periodo storico che le persone illuminate ne hanno presa consapevolezza. Il ‘48 è stato in Europa l’anno della rivoluzione intellettuale, matrice delle garanzie liberali, della giustizia uguale per tutti, della trasparenza delle leggi e della ricerca di una Costituzione che fornisse il senso della legalità e delle regole imparziali. Gli avvenimenti di quell’anno ci hanno fornito le radici e i valori fondanti di uno stato sorto sulle esigenze di libertà e di democrazia. Questi moti partiti da Palermo, dove il 12 gennaio le truppe borboniche furono in breve tempo cacciate dall’isola e il governo provvisorio di Ruggero Settimo adottò il tricolore e richiese la Costituzione, proseguirono a Napoli dove re Ferdinando fu costretto a concedere la Costituzione. Alla rivoluzione siciliana seguirono le Cinque Giornate di Milano che videro cadere centinaia di milanesi di tutte le fasce sociali, uomini, donne e bambini. Milano, una delle capitali d’Europa, era stata capitale della Repubblica Cisalpina, il cui ministro di polizia era Luigi Porro Lambertenghi (foto n. 1), appartenente a una ricca famiglia dell’aristocrazia lombarda ed entrato giovanissimo in politica. Nel dicembre 1801 fu inviato, come deputato di Como, alla “Consulta di Lione”, la riunione convocata da Napoleone che vide la nascita della Repubblica Italiana (18021805). Dal 1802 fu membro del Corpo legislativo della Repubblica Italiana e man-

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tenne tale carica fino al 1807, anche sotto il Regno Italico. Affiliato alla Massoneria, frequentò la corte di Eugenio di Beauharnais e nel 1810 fu nominato conte da Napoleone. Dopo la caduta di quest’ultimo fu fra coloro che, al Congresso di Vienna, propugnarono la formazione di un Regno indipendente nell’Italia settentrionale. Con la Restaurazione e il ritorno degli Austriaci a Milano, Porro Lambertenghi fu uno degli animatori del movimento liberale con scritti sul “Conciliatore”, la nota rivista di cui fu uno dei fondatori assieme a Federico Confalonieri, Silvio Pellico, Giovanni Berchet e Ludovico di Breme. Amico di Silvio Pellico, lo ospitò in casa sua ed implicato nelle cospirazioni che portarono al suo arresto il 13 ottobre 1820, nell’aprile 1821 riuscì a fuggire riparando in Piemonte, successivamente nel Canton Ticino, a Parigi e infine a Lon-

dra, dove lo raggiunse la notizia della condanna a morte in contumacia pronunciata dal tribunale austriaco il 22 agosto 1822 ed eseguita in effigie. Milano fu poi quindi capitale della Repubblica Italiana e poi del regno d’Italia. A Parigi si fecero le barricate dal 22 al 24 febbraio 1848, il re si dette alla fuga e si proclamò la repubblica, si aprì una costituente per tutelare il lavoro e cominciò a serpeggiare l’idea di una rivoluzione socialista. In quei giorni usciva a Londra il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels, che fu però tradotto in Italia solo nel 1880. Nei giorni 23-26 giugno vi fu una nuova rivoluzione socialista, a Berlino furono fatte le barricate perché anche i liberali tedeschi volevano l’unità nazionale e la Costituzione; è in questo momento che fu coniata in Germania da Heinrich Hoffmann a Francoforte 9


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l’espressione “primavera dei popoli”. Il 13 marzo vi fu un’insurrezione a Vienna con la richiesta della Costituzione a Ferdinando I; i liberali austriaci si battevano per gli stessi principi di quelli italiani e chiedevano l’autonomia amministrativa per il popolo italiano, sloveno, boemo, croato e ungherese. Metternich dovette fuggire a Londra e l’imperatore si rifugiò in Tirolo. Lo Statuto Albertino fu emesso il 4 marzo 1848 e il 14 marzo successivo la Costituzione fu emanata da Pio IX. Appena eletto questi aveva iniziato una politica di riforme, perdonando tutti i reati politici, ed era considerato un papa liberale; il 17 marzo

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Cattaneo pubblicava addirittura un foglio dedicato al Papa che iniziava con le parole “W Pio IX”. Questo sogno durerà quarantadue giorni, quando Pio IX ritirerà i suoi dalla guerra d’indipendenza trincerandosi dietro il proprio ruolo di “papa di tutti”. Grandi le illusioni e grandi le disillusioni; arriveranno il Sillabo e le scomuniche, insieme alla lotta papalina contro le idee moderne e la Massoneria in particolare (foto n. 2, n. 3). A Venezia il 22 marzo si impadronì del potere Daniele Manin, il quale proclamò la Repubblica (foto n. 4). Il 23 marzo Carlo Alberto annunziava l’entrata in guerra, era la Prima Guerra

di Indipendenza. Se si analizzano bene le date dei vari moti che attraversarono tutta l’Europa viene da chiedersi come sia stata possibile, considerando i mezzi di comunicazione del tempo, tanta coordinazione nell’agire? Forse la risposta è che la Massoneria non ha fatto solo l’Italia ma tutta l’Europa. Come dice il professor Aldo A. Mola “… antichi massoni (talvolta con patente di vendite carbonare o passati attraverso iniziazioni ad altre sette o società segrete) furono molti tra i protagonisti dei moti costituzionali del 1820-21 … Lo stesso vale per i ‘rivoluzionari’ (liberali e costituzionali spesso invero moderati) collegati a Filippo Buonarroti autore, insieme a ‘Caio Gracco’ Babeuf, della cospirazione del 1796, detta ‘degli Eguali’, e per Francesco Passano, che nel carcere di Savona, prima di confidare alcunché a Giuseppe Mazzini, gli impartì un segno d’iniziazione massonica, come (senza possibilità né di conferma né di smentita) il genovese asserì in pagine autobiografiche atte a propiziargli la benevolenza dei massoni … Numerosi fra i maggiorenti della Famiglia italiana ebbero iniziazioni all’estero negli anni del primo Risorgimento: essi dirozzarono, con quella massonica, la pietra della riscossa liberale dalla Penisola iberica alla Francia, in Svizzera o Gran Bretagna, nelle lotte per l’indipendenza e il consolidamento liberale nell’America centromeridionale. Taluno ricevette la ‘vera luce’ massonica in templi degli Stati Uniti1…”. Nonostante la Restaurazione, in Toscana le Logge massoniche non sparirono mai (dopo i moti del ’48 e del ’49 e la fuga del Granduca, il triumvirato che resse la Toscana fu formato da Giuseppe Montanelli, Francesco Domenico Guerrazzi e Giuseppe Mazzoni, che sarà poi Gran Maestro) ed anche coloro che propriamente massoni non erano, erano spesso affiliati a Società Segrete di stampo liberale. La Costituzione in Toscana del 17 febbraio 1848 si distingueva dalle altre perché concedeva pieni diritti ai cittadini di tutte le religioni e il 18 marzo nasceva il primo governo costituzionale toscano. Il 30 gennaio del 1849 Leopoldo II di Lorena, visti gli atteggiamenti espansionistici dei Savoia, abbandonava Firenze recandosi dapprima a Siena e poi a Porto S.Stefano, da dove l’8 febbraio s’imbar1 A. A. Mola, Massoneria, Firenze, 2012, pp. 50-51.


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cò per Gaeta. In Toscana si dichiarò decaduto il Granduca e si costituì il Governo provvisorio col triumvirato Guerrazzi, Montanelli e Mazzoni. Nella provincia toscana, in una cittadina mineraria maremmana, Massa Marittima, i segni di entusiasmo furono evidenti e si tolsero dalla facciata comunale gli stemmi lorenesi2. Il 19 marzo 1849 in Toscana avvenivano le elezioni dei deputati all’Assemblea e alla Costituente e, per difenderla, da Massa partirono una cinquantina di giovani volontari che assieme ad una ventina dei vicini paesi di Prata e Monterotondo formarono una compagnia che il 7 marzo partiva per Firenze, ma il soggiorno fu breve perché il 12 aprile la bandiera con lo stemma granducale era nuovamente inalberata a Firenze e a Siena. A Massa i reazionari non vollero soffocare nel sangue la rivolta e si lasciò che il popolo continuasse a prepararsi alle future battaglie. A Roma si era nel frattempo costituita la Seconda Repubblica Romana proclamata il 9 febbraio del 1849 (foto n. 5, n. 6), decretando la decadenza del papato “di fatto e di diritto dal governo temporale della Stato Romano”. “La forma del governo dello stato romano sarà la democrazia pura e prenderà il glorioso nome di Repubblica Romana”. Come dice Aldo A. Mola “… al papa vennero assicurate le guarentigie necessarie ‘per l’indipendenza nell’esercizio della sua potestà spirituale’. Il governo fu assunto da un triumvirato (Carlo Armellini, Mattia Montecchi e Aurelio Saliceti) (foto n. 7). Esso assunse molti e fondamentali provvedimenti …” come abolire il tribunale del sant’Ufficio, battere moneta ed emanare tasse. Continua il Mola: “il 5 marzo giunse Giuseppe Mazzini (foto n. 8 e n. 9), che il 29 assunse la guida del secondo triumvirato con Aurelio Saffi e Carlo Armellini e organizzò la difesa con Giuseppe Garibaldi e … volontari affluenti da tutta3 Italia”. Il governo resistette per tre mesi all’assedio delle soverchianti forze francesi e vide la partecipazione di uomini e donne arrivati da ogni parte d’Italia, d’Europa e persino dall’America. Il francese generale Oudinot, pur forte di circa 7.000 uomini sbarcati a Civitavec2 G. Badii, Massa Marittima (La Brescia Maremmana) nella storia del Risorgimento Italiano, Milano, 1912, p.25. 3 ibidem.

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chia il 24, venne inchiodato per oltre un mese dall’eroica resistenza di Garibaldi e nonostante l’incalzare dei combattimenti, mentre i Francesi entravano in Roma, fu approvata la Costituzione, che aveva come cardini i principi fondamentali: (1) La sovranità è per diritto eterno nel popolo… (2) Il principio democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. Non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o di casta… (foto n.10, n. 11, n. 12). Pur se la piccola repubblica ebbe vita breve (5 mesi, dal 9 febbraio al 4 luglio) a causa dell’intervento militare della Francia di Napoleone III (foto n. 13, n. 14), tuttavia fu un’esperienza significativa nella storia dell’Unificazione italiana; vide l’incontro e il confronto di molte figure di primo piano del Risorgimento accorse da tutta la Penisola, fra cui Giuseppe Garibaldi e Goffredo Mameli. In quei pochi mesi Roma passò dalla condizione di stato tra i più arretrati d’Europa a banco di prova di nuove idee democratiche, ispirate principalmente al mazzinianesimo, fondando la sua vita politica e civile su principi (quali il suffragio universale maschile, l’abolizione della pena di morte e la libertà di culto) che sarebbero diventati realtà in Europa solo un secolo dopo. Quella del 1849 fu la seconda Repubblica che Roma vide dalla fine dell’Impero Romano dopo la prima di epoca napoleonica, peraltro rappresentata nel nostro museo da pezzi particolarmente significativi (foto n. 15, n. 16, n. 17). Alla caduta di Roma, avvenuta il 3 luglio 1849, seguì la miracolosa fuga di Garibaldi, insieme a


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3.000 uomini e 500 cavalli, con quattro eserciti inviati a chiudergli il passo; fuga che dalla valle del Tevere lo porterà nelle paludi di Ravenna dove morirà Anita. Da lì col solo compagno Leggero, traversata la Romagna, Garibaldi si inoltrò in Toscana ove giunse il 1 settembre 1849 per la via di Castelnuovo Val di Cecina verso Massa Marittima, difeso dai migliori cittadini massetani guidati da Giulio e Riccardo Lapini, quest’ultimo affiliato alla Giovine Italia. Da qui, attraversando la fitta boscaglia maremmana, Garibaldi fu condotto a Cala Martina, dove il 2 settembre del 1849 si pose finalmente in salvo imbarcandosi per Porto Venere, da cui, dopo varie vicissitudini, ripartirà il 16 settembre col vapore da guerra Tripoli e, dopo essere sbarcato alla Maddalena, proseguirà per Gibilterra e Tangeri. Gli anni che si susseguirono dal 1850 al 1859 furono anche a Massa Marittima anni di cospirazioni, di persecuzioni, di prigionie e di generosi e repressi entusiasmi. I liberali si agitavano e volevano a qualunque costo che il parlamento toscano fosse riaperto; addirittura, il 10 maggio 18

del 1850 fu destituito il gonfaloniere cittadino per atti ostili al governo e anima di tutto il movimento massetano rimasero i fratelli Lapini. Per la Seconda Guerra d’Indipendenza ben 117 giovani massetani risposero all’appello alle armi, per la maggior parte aggregandosi al corpo dei Cacciatori degli Appennini e in parte ai reggimenti che combatterono a Palestro, a San Martino, a Solferino e a Rocca d’Anfo. Negli anni 1848-49 Massa Marittima inviò per le guerre d’indipendenza 67 volontari, mentre nel 1859 ben 116, senza mai abiurare al credo repubblicano insegnatole da Giovanni Morandini che riuscì a instillare per sempre nella cittadina lo spirito libero e repubblicano che ancora la contraddistingue. Morandini, nipote del vescovo locale, si era laureato in ingegneria a Pisa e si era specializzato a Parigi. Durante un suo viaggio di istruzione in Europa era stato arrestato dagli Austriaci a Venezia per essere andato a salutare la baronessa Anna Bandiera, madre dei martiri Attilio ed Emilio, fucilati nel Vallone di Cosenza, e solo l’influenza dello zio vescovo, in buoni

rapporti col Granduca, servì a trarlo fuori del carcere. Nel 1861 sarà deputato al Parlamento nazionale. Il comune di Massa il 29 aprile del ’59 aderiva entusiasticamente al Governo provvisorio di Firenze e apriva le sottoscrizioni per i volontari, stanziando contemporaneamente a favore delle famiglie dei volontari indigenti partiti per la guerra e dei medesimi per l’anno 1859 un sussidio di 50 lire al mese, unendovi poi il 26 maggio successivo uno stanziamento di altre mille lire. Il 5 maggio 1860, quando Garibaldi salpò da Quarto, 24 massetani, muniti di 3800 lire donate dal Comune4 e di 47 fucili si recarono a Talamone per attendere lo sbarco del generale e unirsi alle sue schiere. Parte di essi fu però aggregata alla disgraziata Colonna Zambianchi, che partì da Talamone lo stesso giorno in cui i Mille facevano rotta verso la Sicilia per fare una diversione attraverso lo stato pontificio e sollevarne le popolazioni, ma caricata da uno squadrone di carabinieri a Grotte 4 A. Sbardellati, Il Fr:. Giuseppe Garibaldi, Roma, 1993, p. 42.


di Castro il 19 maggio, lasciò sul terreno due morti ed una ventina di feriti e fece ritorno in Toscana; parte di essi riuscì comunque a raggiungere Garibaldi in Sicilia. Il ritorno dei volontari garibaldini a Massa Marittima nel 1860 fu festeggiato solennemente e l’11 gennaio del 1861 fu istituito il Comitato di Soccorsi a Garibaldi, coordinato, su incarico del massone Giuseppe Dolfi, dal massone massetano e ufficiale garibaldino dottor Apollonio Apolloni con “lo scopo di procacciare al grande eroe uomini e mezzi per compiere le imprese che al medesimo piacerà di intraprendere per ultimare la redenzione dell’Italia … Senza intenzione di mettersi in urto col governo monarchico costituzionale di Sua Maestà il Re, dichiara il Comitato che non desisterà dall’assunto impegno qualora il governo per vedute diplomatiche avversasse le imprese di Garibaldi compite con il programma Italia e Vittorio5 Emanuele”. Il 15 settembre del 1862 l’Eroe da Caprera accetterà riconoscente e commosso la cittadinanza onoraria conferitagli il 16 dicembre precedente dal Municipio. Il 20 giugno del 1866 scoppiò la Terza Guerra d’Indipendenza; Garibaldi venne chiamato al comando dell’Ottavo Corpo dei Volontari per le operazioni in Tirolo. Da Massa quasi cento giovani corsero a ingrossare le fila dei volontari garibaldini e fra questi molti erano reduci delle passate campagne. I volontari massetani vennero per la maggior parte incorporati nell’ottavo e nono reggimento sotto Menotti Garibaldi, dove combatterono valorosamente. Nel 1867 l’agitazione per Roma libera si fece sempre più intensa e Garibaldi si valse di un’attiva propaganda in tutto il nord dell’Italia; i rappresentanti del popolo massetano il 12 agosto del 1867 si recarono a Siena, dove era il generale, chiedendogli di ritornare il primo settembre a Massa, nel diciottesimo anniversario della memorabile notte nella quale vi passò profugo e ricercato dalla polizia austro-lorenese. Sventura volle che, impegnato per i preparativi della guerra, il generale deludesse le speranze dei massetani. L’11 ottobre 40 massetani partirono volontari fino a raggiungere Farnese. Il 19 ottobre 1867 s’imbatterono in un drappello di soldati pontifici e due massetani morirono subito, uno morirà per le ferite ricevute, mentre altri 5 G. Badii, p. 95.

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tre riportarono ferite più lievi. Fra gli oggetti più interessanti del Museo del GLdI è una grande bandiera con il drappo di seta composto di tre teli, dei quali quello verde è all’asta, quello bianco al centro, quello rosso al battente. Sul lato dritto della banda bianca è ricamata la scritta “LE MADRI DEI VOLONTARI MASSETANI AI LORO FIGLI VITTORIOSI”. L’asta, unita al drappo da una spirale di chiodi dalla testa dorata, è sormontata dal puntale, una fusione in bronzo che riporta le lettere VG, significanti ‘Viva Garibaldi’ (foto n.18 [vd. pag.9, ndr], n.19 [vd. particolare a pagina 10, in alto, ndr]). Le fonti orali la definiscono “bandiera garibaldina”, la scritta ce la dice massetana e ricerche più accurate, bibliografiche e archivistiche lo confermano.

Nel citato testo di Gaetano Badii, Massa Marittima, la Brescia maremmana, si legge, infatti, che nella Seconda Guerra d’Indipendenza ben 117 giovani massetani risposero all’appello delle armi fra cui “Francesco Mainardi che diventerà poi vessillifero della Società dei Volontari di Massa Marittima e quella sacra bandiera conserverà fino alla morte… nel 1908”. Il 22 gennaio 1870 fu costituita a Massa la Società Volontari e Reduci dalla Patrie Battaglie. Il primo presidente fu Antonio Fucini e i membri erano 287. La Società è stata attiva almeno fino al 18796. La ricostituzione del6 S.Soldatini (inventario a cura di), Risorgimento nazionale e Patria locale. La raccolta documentaria di Gaetano Badii nell’Archivio Storico Comunale di Massa Marittima, Betti Editrice,

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la disciolta società avvenne il 1 ottobre 1890 nel 30° anniversario della vittoria garibaldina sul Volturno. Gli scopi della Società rimasero gli stessi e cioè di tener vivo il sentimento di patria e libertà e la mutua assistenza dei soci in caso di malattia e Presidente della ricostituita società fu il massone Domenico Pallini. Fra le carte conservate nell’archivio storico di Massa Marittima nella busta contenente gli Atti della Società Volontari e reduci delle Patrie Battaglie abbiamo poi il documento della “soscrizione fra le donne massetane per il dono di una bandiera alla Società dei Volontari reduci dalle patrie campagne - rendiconto”, datato 15 agosto 1870. La storia Siena, 2008, p. 88.

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della nostra bandiera, quindi, scomparsa per quasi un secolo e donata alla nostra Obbedienza da un Fratello alcuni anni fa, appare scritta anche se spero in un prossimo futuro di scoprire altre cose sul suo passato. È un Garibaldi anziano, vestito con il suo famosissimo poncho candido, la camicia rossa, il berretto scuro ricamato d’oro e il bastone quello che troviamo ritratto a figura intera, sullo sfondo di uno studio fotografico, in una grande fotografia all’albumina in possesso del nostro museo (foto n. 20). Dal timbro a secco sul recto della foto, che riporta “Studio fotografico Del Tufo, Foro Traiano 56, Roma”, possiamo dedurre che la data da attribuire alla foto sia il 1875, quando l’Eroe, cinque anni dopo la realizzazione dell’Unità d’I-

talia, tornò per la prima volta a Roma ormai divenuta Capitale del Regno, trovando una città ben diversa da quella che aveva lasciato nel 1849. Adesso era sì, in prima fila, ma non a combattere, bensì ad avanzare proposte che avevano lo scopo di risanare la città eterna e il suo territorio, prevedendo per essi uno sviluppo moderno e funzionale che avrebbe non solo eguagliato, ma addirittura sopravanzato quello delle altre capitali europee. Sul finire del 1874 scrisse al Ministro dei Lavori Pubblici, Silvio Spaventa, per esporgli il suo progetto di proteggere Roma dalle piene del Tevere; essendo stato eletto come tutti gli anni, dal 1861, al Parlamento nazionale, quell’anno optò per il Collegio di Roma 1 e, salpato da Caprera il 26 gennaio 1875, il 27 giunse a Roma e si recò a giurare in Parlamento fra l’indescrivibile entusiasmo dei romani. Il Generale aspirava, stavolta, a liberare Roma da un diverso nemico, le paludi che la circondavano, oltre che a mettere sotto controllo le piene tiberine rendendo il fiume navigabile fino al mare per svolgere compiutamente la funzione di arteria commerciale. Per Garibaldi modernità significava soprattutto sviluppo


economico e rottura con il passato papalino. In quest’opera fu affiancato dagli stessi personaggi che lo avevano sostenuto sui campi di battaglia, in un agone che lo avrebbe visto tra i banchi della Camera nel complicato gioco politico delle battaglie parlamentari. Suo compagno insostituibile nell’intento di risanare il circondario di Roma e di rendere il Tevere navigabile e sicuro fu Quirico Filopanti, garibaldino della prima ora. Assieme proponevano un progetto che avrebbe dovuto parimenti risolvere il problema della bonifica e della portualità. L’intento era di invertire l’ordine dei rami della foce tiberina mandando il maggiore a sboccare a sei chilometri a nord di Fiumicino, dopo aver attraversato lo stagno di Maccarese, ed il minore, attraverso lo stagno di Ostia, a sfociare ad otto chilometri in linea retta a levante dello stesso abitato, progetto che avrebbe oltretutto notevolmente diminuito i sedimenti fluviali all’interno degli stagni con conseguente diminuzione del pericolo d’interramento portuale. Purtroppo la prospettiva garibaldina che puntava allo sviluppo industriale di Roma contrastava con gli intenti della nuova classe politica italiana, a esso avversa. Fu così che l’uomo delle vittorie militari fulminanti si ritrovò sconfitto dai burocrati e dagli interessi economici che vedevano nella proprietà edilizia il cespite principale e l’Agro Romano come luogo di espansione futura della città di Roma. Dopo qualche mese Giuseppe Garibaldi non poté che ritornare nell’amata Caprera, dove morì il 2 giugno 1882. DIDASCALIE DELLE FOTO: Foto n.1: Lasciapassare della Repubblica Cisalpina rilasciato in nome del Ministro di Polizia Porro. - Foto n.2: Benedizione autografa di Pio IX. - Foto n.3: Pio IX [i.e. Giovanni Maria Mastai Ferretti], Epistola Encyclica ad omnes Patriarchas, Primates, Archiepiscopos, Episcopos aliosque locorum ordinarios Gratiam et Communionem cum Apostolica sede habentes. “Qui Nuper” pubblicata il 18 giugno 1859, Roma, 8°, 15 pp. Di fronte ai fermenti che agitano l’Italia, Pio IX invita i propri sudditi a restare calmi e fedeli, e dichiara apertamente che lo Stato Pontificio è necessario al Papa per l’esercizio della sua sacra potestà. - Foto n.4: Moneta Patriottica emessa dal Governo Provvisorio di Venezia con Decreto del 4 settembre 1848 n° 2217. Biglietti da 2, 3 e 5 lire con sigillo sul retro, 11,4 x 7,9 cm Repubblica Veneziana 1848; Moneta del Comune di Venezia 1848, Una Lira Corrente. Questo biglietto fa parte della rarissima serie intestata “Moneta del Comune di Venezia” proveniente da un fondo girato dal Governo

provvisorio al Comune di Venezia. A differenza della moneta patriottica che non fu rimborsata, gli Austriaci ne consentirono il cambio al 50 per cento del valore. - Foto n.5: 9 febbraio 1849 Bando di Proclamazione della Repubblica Romana. - Foto n.6: Ricevuta di un Franco, 17x11 cm Prestito nazionale italiano diretto ad affrettare l’indipendenza e la libertà d’Italia. Timbro in basso a sinistra della Repubblica Romana in data 9 febbraio 1849, sulla destra timbro del Comitato nazionale Italiano con firme autografe di Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi, Mattia Montecchi. Emesso a Londra nel 1852. - Foto n.7: 12 febbraio 1849 Notifica di aver assunto per propria la bandiera Italiana tricolore con l’aquila romana sull’asta. - Foto n.8: Stampa raffigurante Giuseppe Mazzini con la basilica di S. Pietro sullo sfondo,13,5x22,5 cm - Foto n.9: Raro ritratto fotografico di Giuseppe Mazzini con firma autografa “Joseph Mazzini” realizzato a Londra presso lo studio fotografico Caldesi-Blanford, risalente al periodo inglese del politico, 6x9,8 cm - Foto n.10: 5 marzo

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1849 Il ministro dell’Interno Aurelio Saffi spiega i nuovi principi di governo ai cittadini. - Foto n.11: 5 aprile 1849 Il triumvirato emana il suo proclama ai cittadini. - Foto n.12: Trionfo della Repubblica Romana, 11,5x18,5 cm Sonetto in lode della Repubblica Romana. s.d., ma 1849. - Foto n.13: 5 luglio 1849 Manifesto del generale di Divisione e Governatore di Roma Rostolan che, nonostante le parole pacificatrici del manifesto, imponeva la legge marziale. - Foto n.14: 9 febbraio 1850, Il Carnevale del 1850, 18,5x26,5 cm Nell’anniversario della repubblica romana i cittadini oppressi protestano contro il papa ed il generale Oudinot. - Foto n.15: Documento di 27,5 x 20 cm sormontato dalla scritta «Libertà – Uguaglianza – Repubblica – Romana» con al centro il simbolo della Repubblica Romana. 20 Ventoso 1798 Anno I della Repubblica. Proclama dei Consoli del Primo Governo Provvisorio per l’ammissione del popolo di Vallerano nella Repubblica Romana. - Foto n.16: 13 fiorile Anno VI Repubblicano. Comunicazione manoscritta del ministro delle Finan-

ze al ministro dell’Interno per la sospensione dei pagamenti per lavori fatti sul Tevere, 27,5x20 cm - Foto n.17: Anno VII Repubblicano. Assegnati di 10 Paoli. L’Assignat è una cartamoneta emessa durante la Rivoluzione francese ed anche nella Repubblica romana, con la legge del 23 fruttifero dell’anno VI repubblicano (14 settembre 1798) fu deciso di emettere degli assegnati. La valuta usata fu il paolo, la vecchia valuta dello Stato Pontificio, detta anche giulio, che valeva 2 grossi ossia 10 baiocchi. Luogo di emissione Stato Pontificio. - Foto n.18 e 19 [alle pagg. 9 e 10], Bandiera Risorgimentale donata alla “Società dei Volontari e Reduci delle patrie campagne” dalle donne di Massa Marittima il 15 agosto 1870. - Foto n.20: Ritratto fotografico all’albumina a figura intera di Giuseppe Garibaldi, 36 x 60 cms.d. ma 1875, timbro sul recto della fotografia: “Studio fotografico Del Tufo, Foro Traiano 56, Roma”. [Tutto il materiale fotografato è di proprietà e © 2012 del Museo della Gran Loggia d’Italia degli ALAM - fotografie di Paolo Del Freo].

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La Massoneria e la guerra di Libia Luigi Pruneti

parte II

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dire il vero la polemica, anche se a volte si era diffusa in modo strisciante, non si era mai sopita, ma era proseguita durante tutto il conflitto con “un’articolata […] campagna denigratoria che […] metteva in discussione la lealtà [della Massoneria] nei confronti dei supremi interessi nazionali e del conclamato patriottismo”1; ora, a guerra finita, bastò un episodio, un fatto di cronaca perché l’incendio prendesse nuovo vigore, troppa era la voglia di fare i conti con la “setta”, di cui si coglieva probabilmente uno perdurante stato di crisi. Il casus belli fu offerto, inconsapevolmente, da un “prode” della campagna di Libia, il generale Gustavo Fara. Costui era nato a Orta Novarese nel 1859 e da ufficiale di carriera si era distinto ad Agordat in Eritrea nel 1890, tanto da ottenere la “Croce di Cavaliere dell’Ordine militare dei Savoia”. Nel 1911 era partito per la Libia con il grado di colonnello dove, al comando dell’11° Reggimento bersaglieri, aveva partecipato alle battaglie di Sciara-Sciat e di Bir Tobras, dimostrando valore e determinazione. Si era

1 Ibidem, p. 237.

trattato di episodi marginali che si erano conclusi con un ripiegamento ordinato delle truppe; ciò fu, tuttavia, sufficiente affinché venisse promosso generale sul campo e al suo reparto fosse concessa la medaglia d’oro al valor militare. Divenne allora un eroe: Orta Novarese gli dedicò una via2, Novara una piazza, Il Convitto Nazionale “Carlo Alberto” gli donò una spada d’onore, mentre alcuni studenti dell’Università di Roma si recarono da lui, in Libia, a scuola di eroismo3. Cessò di essere tale il 12 Aprile del 1913, quando il corrispondente da Livorno del quotidiano “Il Mattino” pubblicò un articolo sulle sue dimissioni dalla Loggia “Darwin” di Napoli. Aggiungeva il giornalista, probabilmente informato da un figlio di Edoardo Scarfoglio4: “Credo di sapere che tutto ciò debba riannodarsi ad alcune troppo vivaci pressioni e raccomandazioni dovute subire dal genera2 il 14 Gennaio del 1912. 3 A. Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale. Dall’Unità alla marcia su Roma, Roma – Bari 1976, p. 383. 4 F. Cordova, Agli ordini del serpente verde. La massoneria nella crisi del sistema giolittiano, Roma 1990, p. 8.

le, pressioni e raccomandazioni che mal si confacevano all’integrità e coscienza di Gustavo Fara5”. Si alludeva, probabilmente, alla duplice conflittualità, fra giuramento massonico e giuramento al Re e fra gradi massonici e gradi militari, problemi questi già sollevati dai cattolici un mese prima che esplodesse il caso dell’ufficiale di Orta novarese6. Apriti cielo! Immediatamente “La Stampa” di Torino gridò allo scandalo7, dubitando che le fortune di Fara fossero dovute soprattutto alla sua militanza settaria e si chiedeva se fosse accettabile per il Paese l’iscrizione alla Massoneria di magistrati e di militari. “Il Momento” non perse occasione per rilanciare la posta: nell’esercito si faceva carriera solo se si apparteneva alla Massoneria, era lei, l’oscura e tentacolare piovra a determinare le carriere, a stabilire promozioni e onori; altro che meriti in battaglia, altro 5 Gustavo Fara esce dalla Massoneria, in “Il Mattino”, 12 Aprile 1913. 6 L’opera nefasta della setta al di qua e al di là delle Alpi: La Massoneria nell’esercito, in “L’Italia”, 10 Marzo 1913. 7 “La Stampa”, 13 Aprile 1913.

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che preparazione, ciò che aveva peso era l’iniziazione nei tenebrosi templi dei “figli della vedova”; Gustavo Fara era stato certamente abile e valoroso, se non fosse stato un Fratello, però, non sarebbe diventato un eroe, non avrebbe avuto una promozione sul campo; una controprova la si aveva dal generale Pecori-Giraldi8 i cui meriti erano stati volutamente sottaciuti, perché notoriamente cattolico9. La querelle fu alimentata da un’ulteriore riflessione. Perché Fara aveva rassegnato le dimissioni dalla loggia? Forse alla sua coscienza di soldato era ripugnato di sottostare a qualche ordine dei confratelli, o forse gli era stato proposto l’improponibile? Cosa si nascondeva dietro quell’episodio così singolare? Il modo più semplice per sciogliere il rovello e quietare i dubbi era quello d’intervistare l’interes8 In realtà il generale Guglielmo Pecori-Giraldi (1856- 1932) aveva fatto una carriera molto più rapida del collega Gustavo Fara. Sottotenente di artiglieria nel 1876, dopo le campagne di Eritrea, divenne Colonnello nel 1900 e nel 1907 fu promosso Maggiore Generale; fu, infine, nominato Tenente Generale e comandante della I divisione del Corpo di spedizione in Libia nel 1911. O. Bovio, Storia dell’esercito italiano (1861 – 2000) … cit., p. 204, nota 6. 9 “Il Momento”, 30 Aprile 1913..

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sato e, alla fine, “Il Momento” ci riuscì. Un inviato intercettò a Livorno il Generale che, visibilmente infastidito, dette una risposta sibillina: “Del resto la massoneria ha un mezzo molto semplice per troncare tutte le chiacchiere che si fanno: pubblicare la lettera che ho scritto che è semplicissima e chiarissima10”. A quel punto la parola spettava al goi; i responsabili dell’Obbedienza massonica dovevano fornire una risposta, la verità doveva emergere, anzi doveva essere sputata, come un osso rimasto per traverso in gola, … l’opinione pubblica lo esigeva. Fu così che il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Ettore Ferrari, la cui più ardua impresa era stata il monumento a Giordano Bruno in Campo dei Fiori, si decise a parlare. Lo fece rilasciando una dichiarazione talmente ambigua e fumosa che invece di sopire le polemiche suscitò l’effetto opposto. Affermò, infatti, che Fara non lo aveva autorizzato a pubblicare la lettera di dimissione e che il generale era uscito per motivi che attengono ad una soggettiva sopravvenuta situazione del suo spirito e per motivi per tutto intimi e familiari11. 10 “Il Momento” 14 Aprile 1913. 11 “Il Momento” 30 Aprile 1913.

La contradizione delle affermazioni dimostrava, se ve ne fosse stato ancora bisogno, che dietro “il sonno” di Fara vi era qualcosa di losco, poiché, mentre l’Ufficiale invitava la Massoneria a pubblicare la sua lettera di congedo, questa non lo faceva, trincerandosi dietro una mancata indicazione dell’interessato stesso. Inoltre cosa significava “situazione dello spirito” e “motivi intimi”? Parole, solo parole di circostanza, vuote formule per mascherare pressioni e manovre illecite. In effetti, la balbettante dichiarazione di Ferrari accreditò l’ipotesi che dietro le dimissioni vi fosse stato un tentativo di prevaricazione da parte di un subalterno che ‘fidando del possesso di un grado più anziano del suo sulla via iniziatica della Loggia, s’era spinto sul pericoloso confine tra insubordinazione e ribellione, pretendendo di far valere anche in “stellette” le gerarchie esistenti sotto le stellate volte liberomuratorie12’. Se il sospetto emerge ancor oggi, allora fu devastante e fu giuoco forza, per i fogli clericali e nazionalisti, invocare un intervento a livello parlamentare13. 12 A. A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni … cit., p.342. 13 “Corriere d’Italia” 10 Maggio 1913.


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E il 9 Maggio finalmente l’intervento vi fu. La questione fu sollevata in Parlamento da Felice Santini (1850 – 1922), Senatore da un anno, e dal suo collega Roberto Morra di Lavriano e della Montà (1830 – 1917), Generale e feroce autore, nel 1894, della repressione dei “Fasci siciliani”. I due parlamentari posero un’articolata interrogazione al Ministro della Guerra, l’On. Spingardi. Particolarmente vibrante fu il discorso di Morra di Lavriano, che concluse augurandosi: “che tanto il Ministro della Guerra, come il Ministro della Marina sappiano, applicando la legge sullo stato degli ufficiali ora esistente, liberare l’Esercito e l’armata da questa cancrena che non può, a meno di minarli, rendendoli a lungo andare molto meno perfetti di quello che oggi non siano”. Il ministro Paolo Spingardi (1845-1918), Tenente Generale, Collare dell’Annunziata e futuro conte14, rispose all’interrogazione il 12 Maggio con una dichiarazione che era stata condivisa dal Ministro della Marina. Egli negò che l’iscrizione all’associa-

zione confliggesse con il giuramento di fedeltà alla Patria e alla Corona, ma convenne che “è desiderabile, doveroso per un’altra ragione, perché trattasi di associazione segreta che nessun membro della grande famiglia militare debba essere ascritto [alla Massoneria]. L’esercito e l’armata debbono essere un ambiente di luce, di franchezza, di lealtà, dove si possa respirare a pieni polmoni l’aria pienissima dei campi, dove il dovere si compie […]. E tradirebbe il suo dovere, e prostituirebbe la dignità del grado ove fosse rivestito nell’Esercito o nell’Armata quel superiore che subisse l’Autorità dell’inferiore solo perché questi copre nella gerarchia di quella Associazione alla quale entrambi appartengono un grado più elevato […]. Un ufficiale che ciò facesse sarebbe indegno di appartenere all’Esercito e all’Armata […]. Sia certo il Senato che finché io avrò l’onore di sedere in questo posto nessuna influenza di nessuna associazione avrà potere di farmi deviare da quello che io credo mio sacro dovere di cittadino e di soldato15”.

14 Lo diventò nel Dicembre del 1913.

15 In “Giornale d’Italia”, 13 Marzo 1913.

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Le parole del Ministro Spingardi furono tutto sommato, prudenti. Egli non pronunciò alcuna condanna politica e morale, né si sbilanciò in giudizi sulla Massoneria, né sui suoi fini. La sua sembrò più che altro un’astratta dichiarazione di principio, che non implicava provvedimenti di sorta. La risposta piacque a diversi, ma non a tutti. A “l’Idea Nazionale”, ad esempio, non sfuggì come l’intervento del ministro-generale non fosse altro che un’operazione di facciata; egli era stato abile nel rimescolare le carte senza cambiare le regole del giuoco. Tutto questo fu denunciato in un articolo di fuoco del 15 Maggio. Il pezzo, ironico e violento, poneva alla berlina il prestigiatore Spingardi, che di fatto aveva salvato la Massoneria, protetta dal Generale Roberto Brusati, primo aiutante del Re e futuro comandante della I armata durante la Battaglia degli Altipiani (15 Maggio-27 Giugno 1916) e dal Generale Alberto Pollio, dal 1908 26

Capo di Stato Maggiore. Quest’ultimo, grazie alla sua militanza nella setta, sarebbe stato preferito nell’alto incarico a Cadorna, reo di essere cattolico. Strano destino quello di Pollio, convinto triplicista, morì tre giorni dopo i fatti di Sarajevo: le solite malelingue dubitarono che la sua dipartita fosse dovuta a una miocardite di cui soffriva da tempo16. Si voleva forse con queste bordate rivolte a Pollio e Brusati alludere al Re? È possibile. Le simpatie di Vittorio Emanuele III per la Massoneria erano evidenti17, 16 Per la biografia del generale Alberto Pollio (1852 – 1912) cfr. O. Bovio, Storia dell’esercito italiano (1861 – 2000) … cit., pp. 749 – 750. 17 Per quanto concerne le simpatie di Vittorio Emanuele III per la Massoneria cfr. A. A. Mola, Declino e crollo della monarchia in Italia. I Savoia dall’Unità al referendum del 2 Giugno 1946, Milano 2006, p. 158; L. Pruneti, L’Italia, il Montenegro e la Massoneria. Una storia del secolo breve - Parte III, in “Officinae”, a. XXIV, Marzo 2012, pp. 19 – 20.

tanto che fin dalla sua ascesa al trono si era sussurrato di una sua adesione all’istituzione18; i dubbi si erano fatti ancor più consistenti a seguito del discorso della Corona del 1902, dove il Sovrano aveva rimarcato la netta divisione fra potere temporale e potere spirituale19. Anche nell’esercitare le insindacabili prerogative monarchiche egli aveva dimostrato una visione assolutamente innovativa e non contraria ai massoni, attribuendo il Collare della SS.Annunziata, la più prestigiosa onorificenza sabauda, a personaggi che avrebbero fatto torcere il naso a suo padre. Scrive Aldo Alessandro Mola: “Dopo averlo assegnato al Granduca di Russia, Pietro, al cognato, Danilo di Montenegro, ad Alfonso XIII di Spagna e al Principe ereditario del Siam, il 10 Aprile del 1901 ne fregiò il Presidente della Repubblica di Francia, Emile Loubet, che nei confronti della Madonna nutriva una devozione pari alla sua. Fu poi la volta del Presidente del Consiglio, Zanardelli, l’antico massone che era d’accordo con lui nel progetto d’introdurre il divorzio in Italia20”. Il nome del Re comunque non uscì, troppo era il rispetto verso la sua persona, ma la polemica continuò a divampare. Seguendo un canovaccio che poi sarebbe stato ripreso durante tutti i ricorrenti pogrom antimassonici della Penisola, i due accusati, il 13 Maggio su “Il Momento” e il 18 sul “Corriere d’Italia”, rifiutarono sdegnati l’etichetta di massoni21 e ciò accreditò nell’opinione pubblica la convinzione che l’appartenenza all’istituzione fosse una cosa infamante. Di fronte a questo attacco frontale e generalizzato, il Grande Oriente non fu capace di reagire. Chiamato direttamente in causa, si trincerò in un imbarazzato silenzio, alimentando, di fatto, nuovi so18 R. E. Esposito, La massoneria e l’Italia dal 1800 ai nostri giorni, Roma 1969, p. 282. 19 Vittorio Emanuele III aveva, fra l’altro, affermato: “Onorare il clero, ma contenerlo nei limiti del Santuario; portare alla religione e alla libertà di coscienza il più illimitato rispetto, ma serbare inflessibilmente incolumi le prerogative della potestà civile, i diritti della sovranità nazionale”. Ibidem, p. 283. 20 A. A. Mola, Giolitti. Lo statista della nuova Italia, Milano 2003, p. 277. 21 “Il Momento”, 18 Maggio 1913; “Corriere d’Italia”, 18 Maffio 1913.


si guardò bene di togliere le castagne dal fuoco a chi nel 1908 lo aveva radiato. Solo Eugenio Chiesa, la cui domanda d’iniziazione a Palazzo Giustiniani era stata accolta il 29 Maggio, pose, il giorno dopo, un’interpellanza parlamentare, dove riferendosi ai magistrati domandò se per

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spetti. Scrive Ferdinando Cordova: “Di fronte alla virulenza e alla vastità degli attacchi Palazzo Giustiniani rimase smarrito. Un primo segno d’imbarazzo venne dai quotidiani che gli erano vicini, i quali fecero le viste d’ignorare, per lungo tempo, l’animato dibattito in svolgimento, cancellandolo dalle proprie colonne […] Un altro elemento vistoso della massoneria fu il lungo silenzio in cui si chiusero i suoi capi […].” L’imbarazzo della libera muratoria non

passò inosservato. “Si può dire – scrisse l’Idea Nazionale – che la campagna antimassonica di questi giorni è ridotta a un monologo, o meglio, a un processo (penale) in contumacia dell’imputata. Per quanto citata, la massoneria non risponde22”. La débacle finale giunse quando, sfidato a un pubblico confronto dai nazionalisti, il Grande Oriente s’affrettò a respingere l’offerta adducendo poco convincenti e imprecisati motivi di serietà e di dignità. Si frantumò così l’immagine della massoneria italiana; corresponsabile del naufragio fu l’assoluta latitanza del mondo politico italiano. Nessun parlamentare, in vero, fra i tanti in fama di libera muratoria, scese in campo per difenderla; invano Ettore Ferrari cercò per vie traverse di far prendere posizione a Leonardo Bianchi, ex ministro della Pubblica Istruzione. Questo 33 del R.S.A.A. che nel 1910 era stato fra i fondatori della Serenissima Gran Loggia23 22 F. Cordova, Agli ordini del serpente verde. La massoneria nella crisi del sistema giolittiano … cit, pp. 71 – 73. 23 L. Pruneti, La tradizione massonica scozzese

loro sussisteva il divieto d’iscriversi alla Massoneria. Gli rispose il Sottosegretario alla Giustizia Carlo Gallini, affermando che “nelle leggi e nei regolamenti non era sancito alcun impedimento”24. Soddisfatto il quasi adepto Chiesa replicò che ciò confortava “l’alta dignità massonica del Ministro di Grazia, Giustizia e Culti, Camillo Finocchiaro Aprile”25. Che il Guardasigilli fosse un massone era notorio, ma la plateale dichiarazione “sollevò la scandalizzata insurrezione di tutti i settori parlamentari”26. Per di più Finocchiaro Aprile era notoriamente un 33 scozzese, seguace di Fera27 e l’improvvido intervento di Chiesa sembrò a molti un ulteriore episodio dell’annosa faida fra “figli della vedova” di opposte famiglie, cosicché la singolare iniziativa del parlamentare ebbe l’effetto della grandinata finale su una vigna già disastrata dal fortunale. Pure la stampa vicina al goi si segnalò per accidia e mutismo, solo “Il Secolo” provò maldestramente a difendere l’Ordine chiedendosi se l’invocato divieto di iscriversi alla Massoneria riguardasse pure il Re, capo supremo dell’esercito28. Mentre l’episodio dell’interpellanza parlamenin Italia, Roma 1994, p. 86. 24 F. Cordova, Agli ordini del serpente verde. La massoneria nella crisi del sistema giolittiano … cit , p. 82. 25 A. A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni … cit., p. 349. 26 Ibidem. 27 Camillo Finocchiaro Aprile 33\ fu fra i fondatori nel 1910 della Serenissima Gran Loggia d’Italia. Cfr. L. Pruneti, La tradizione massonica scozzese in Italia, Roma 1994, p. 86; A. A. Mola, Un secolo di vita continua in L. Pruneti, Annali della Gran Loggia d’Italia degli A.L.A.M. 1908 -2010, a.c. di A. A. Mola, Bari 2010, p. 22. 28 27 Maggio 1913.

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tare conosceva un’eco internazionale29, tanto da essere ripresa con trascrizioni integralmente tradotte dal “Bulletin Antimaçonnique”, organo della “Ligue Antimaçonnique”30, Palazzo Giustiniani cercava di consolarsi minimizzando la questione. Il colmo si ebbe quando Gustavo Canti, futuro Gran Maestro p.t. del goi31 sostenne il valore positivo di siffatte polemiche, giacché servivano a epurare l’Ordine dagli incerti e da tutti coloro che si erano iscritti per motivi di tornaconto: in pratica il governo della più vasta Comunione massonica italiana era 29 Inimica vis. La sindrome antimassonica in tre secoli di scritti e di testimonianze, a.c. di A. Santini e S. Guidi, Bari 2010, p. 45. 30 “Bulletin Antimaçonnique”, a. 3 n. 5 Mai 1913. 31 Il 14 Luglio del 1917 Gustavo Canti, quale Gran Maestro Aggiunto, sostituì il dimissionario Ettore Ferrari alla guida del Grande Oriente d’Italia. Lo scultore mazziniano fu costretto a lasciare l’altissimo incarico per lo scandalo suscitato dal Congresso delle massonerie delle nazioni alleate e neutre che si era tenuto a Parigi, nella sede del Grande Oriente di Francia in rue Cadet. A. A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni … cit., p. 349.

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passato dalla simbologia della fenice a quella dello struzzo, riscrivendo in chiave moderna la favola della volpe e dell’uva. Chi tenne un profilo assai diverso fu il Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro della Serenissima Gran Loggia d’Italia, l’ex pastore protestante Saverio Fera32. Pur non avendo i mezzi e gli appoggi vantati dal goi, egli s’inserì immediatamente nel dibattito suscitato dalla discussione parlamentare. Sferzando il mondo politico, tremebondo, inerte e silente di fronte a una polemica speciosa, volle dimostrare che nelle altre parti d’Europa non era così e per far questo il 19 Maggio 1913 pubblicò La Massoneria nell’Esercito e nella Marina di Eugenio F.A.Goblet D’Alveilla, già Gran Maestro del Grande Oriente del Belgio e Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio di quel Paese33. Si trat32 Per l’attività pastorale di Saverio Fera cfr. G. Spini, L’evangelo e il berretto frigio. Storia della Chiesa Cristiana Libera in Italia 1870 – 1904, Torino 1971. 33 Il Conte Eugenio F. A. Goblet D’Alveilla, leader del “Partito Liberale”, era Professore all’Università Libera di Bruxelles ed era stato Presi-

tava di un vibrante discorso che l’illustre uomo politico aveva tenuto in Senato, di cui era vice Presidente, per difendere la Massoneria, attaccata pesantemente da Monsignor Keesen, senatore provinciale del Limbourg. Fera non solo annotò l’allocuzione di Goblet D’Alveilla, ma la corredò con una lunga prefazione, nella quale metteva in luce come gli attacchi alla Massoneria fossero dettati da ignoranza o da pregiudizi ideologici e risultassero inesistenti in molti paesi, ove addirittura i capi di stato erano i protettori dell’Ordine34. La pubblicazione, voluta da Fera, fu indice di una particolare attenzione prestata alle forze armate, la cui difesa diventò una costante della Comunione sorta a seguito della scissione del 190835. Siffatta sensibilità, specie dopo il dente dell’Accademia Reale del Belgio. E. F. A. Goblet D’Alviella, La Massoneria nell’Esercito e nella Marina, con prefazione e note di S. Fera, Firenze 1913, p. 9. 34 Ibidem, p. 7. 35 Ricordiamo fra gli altri: Generale Ugo Cavallero (R. L. “Nazionale” Or. di Roma) , Generale Vincenzo Crotta (R. L. “Nazionale” Or. di Roma), Maggiore Generale Giovanni Batti-


2000), Roma 2010. G.Carocci, Giolitti e l’età giolittiana, Torino 1961. F. Cordova, Agli ordini del serpente verde La massoneria nella crisi del sistema giolittiano, Roma 1990. E. Corradini, L’ora di Tripoli, Milano 1911. A. Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale. Dall’Unità alla marcia su Roma, Roma – Bari 1976.

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Primo conflitto mondiale, implicò nella stessa una notevole presenza di militari e di ex combattenti come dimostrano i registri di matricola degli anni 1915-1925. Nel suo complesso, comunque, la Libera Muratoria peninsulare subì, a seguito delle vicende della guerra di Libia e di ciò che ne conseguì, un notevole danno, tanto che, secondo Aldo Alessandro Mola, il conflitto per la “quarta sponda” “pose sta Ameglio, Generale Cesare Faccini (R.L. “V Novembre” Or. di Pola), Tenente Generale Italo Bresciani (R. L. “Nazionale” Or. di Roma), Ammiraglio Giacomo Biando (R. L. “Italia Nova” Or. di La Spezia), Generale di Brigata Giuseppe Barbieri (R. L. “Nazionale” Or. di Roma). Senza contare la supposta, ma mai provata appartenenza alla Serenissima Gran Loggia del Duca della Vittoria, Armando Diaz e del Grande Ammiraglio Paolo Emilio Thaon de Revel. L. Pruneti, Annali della Gran Loggia d’Italia degli A.L.A.M. 1908 -2010 … cit., pp. 72 – 85.

[…] le sicure e concrete premesse per la catastrofe della Massoneria36” che sarebbe giunta nel 1925 con la soppressione da parte del fascismo37. ______________ Bibliografia38 O. Bovio, Storia dell’esercito italiano (1861 – 36 A. A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni … cit., p. 333. 37 La Massoneria in Italia venne di fatto soppressa con la nota legge del 1925 Sulla disciplina di associazioni, enti e istituti e sull’appartenenza ai medesimi del personale dipendente dallo Stato, dalle amministrazioni provinciali e comunali e da istituti sottoposti per la Legge alla tutela dello Stato e degli enti locali. L. Pruneti, La sinagoga di satana. Storia dell’antimassoneria 1725 – 2002 …cit., p. 150 e segg. 38 Per i quotidiani si rimanda alle note a piè di pagina.

G.De Rosa, Il movimento cattolico in Italia, Bari 1970. R. E. Esposito, La massoneria e l’Italia dal 1800 ai nostri giorni, Roma 1969. E. Gentile, Le origini dell’Italia contemporanea. L’età giolittiana, Roma – Bari 2011. E. F. A. Goblet D’Alviella, La Massoneria nell’Esercito e nella Marina, con prefazione e note di F. Fera, Firenze 1913. Inimica vis. La sindrome antimassonica in tre secoli di scritti e di testimonianze, a.c. di A. Santini e S. Guidi, Bari 2010 O. Malgodi, Conversazioni sulla guerra 1914 – 1919, Napoli 1960. F. Malgeri, La stampa cattolica, Brescia 1965. F. Malgeri, La guerra di Libia, Roma 1970. V. Meattini, Benedetto Croce e la mentalità massonica, Bari 2011. A. A. Mola, Declino e crollo della monarchia in Italia. I Savoia dall’Unità al referendum del 2 Giugno 1946, Milano 2006. A. A. Mola, Giolitti. Lo statista della nuova Italia, Milano 2003. A. A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano 1992. L.Pruneti, Annali della Gran Loggia d’Italia degli ALAM 1908-2010, a.c. di A. A. Mola, Bari 2010. L. Pruneti, La sinagoga di satana. Storia dell’antimassoneria 1725 – 2002, Bari 2002. L. Pruneti, La tradizione massonica scozzese in Italia, Roma 1994. L. Pruneti, L’Italia, il Montenegro e la Massoneria. Una storia del secolo breve - Parte III, in “Officinae”, a. XXIV, Marzo 2012. A. Rainero, Storia della Turchia, Milano 1973. G. Rochat, Guerre italiane in Libia e in Etiopia, Treviso 1991. S. Romano, La quarta sponda. La guerra di Libia 1911 – 1912, Milano 1977. S. Romano, Storia d’Italia dal Risorgimento ai nostri giorni, Milano 1998. G. Spini, L’evangelo e il berretto frigio. Storia della Chiesa Cristiana Libera in Italia 1870 – 1904, Torino 1971. R.A.Webster, L’imperialismo industriale italiano. Studio sul prefascismo 1908 - 1915, Torino 1974.

P.22: Sbarco dei bersaglieri a Bengasi, Libia; p.23: Il colonnello Fara (vd. didasc. foto); p.24-25: Il Bleriot - utilizzato in Libia - uno dei primi velivoli militari; p.25 in basso: Decorazione della guerra di Libia 1911/12; p.26: Il collare dei Savoia della Ss.Annunziata; p27: Filatelia del Regno d’Italia relativa alla guerra di Libia del 1911 e succ; p.28-29: Truppe italiane dislocate in Libia, ca. 1911/12.

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Nascita del Partito Socialista Italiano Giuseppe Ivan Lantos

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ulle pagine ingiallite dal tempo di Lotta di classe, Organo socialista centrale del Partito dei Lavoratori Italiani, mal conservate nel diario dei ricordi – o sbiadite nella memoria corta di chi, oggi, si occupa, o dovrebbe occuparsi, della res publica – in data 20-21 agosto 1892, si legge: “Malgrado il Congresso fosse indetto per le 9 del mattino [del 14 agosto 1892 N.d.R.], già un’ora prima una folla di congressisti, in parte arrivati la sera precedente, in parte riversati a Genova dai treni della notte facevano ressa in largo Roma alla porta della sala Sivori. Nell’ambiente luminoso di via Roma, in quella grande serenità estiva dove la vita sembrava raddoppiata, era uno scambio clamoroso di saluti e di notizie fra vecchi amici e compagni convenuti da ogni parte d’ltalia, veterani del socialismo e dell’organizzazione operaia, vecchi membri dell’Internazionale, mescolati alle nuove reclute del partito, a studenti, a operai dai tratti risoluti ed intelligenti, a bruni rappresentanti delle nuove società di braccianti sorte in que-

sti ultimi anni nell’Italia centrale. Crocchi si formano e si sciolgono intorno alle personalità più spiccate del partito. I milanesi, i reggiani, i cremonesi, i palermitani - rappresentanti questi ultimi degli ottomila lavoratori del Fascio di Palermo sorto meravigliosamente in questi ultimi mesi - sono fatti segno alle simpatie di una folla di amici. Notansi il Maffi, il Prampolini, l’Agnini, il Bissolati e il Quaini di Cremona, il Balducci di Forlì, i fratelli Masini, Bettino Pilli di Serravezza, il Danielli di Firenze e una quantità di altri notissimi. Più tardi il Costa. Qua e là qualche gruppetto d’anarchici, riconoscibili alle camicie o alle cravatte rosse, alla foggia del vestire. Si fanno previsioni sul Congresso e molti si rallegrano pel gran numero degli intervenuti”.1 I nominati erano quasi tutti massoni2. 1 Ora anche in L. Cortesi (a cura di) Il socialismo italiano tra riforme e rivoluzione. Dibattiti congressuali del PSI 1892-1921, Laterza, Bari, 1969 . 2 Gregorio Agnini (1856-1945), Alessandro Balducci (1858-1904), Leonida Bissolati (1857-

Vale la pena di ricordare che al Congresso partecipavano anche alcune donne, oltre ad Anna Kuliscioff, vera leader del socialismo internazionale, c’erano Clotilde Fratino, in rappresentanza delle Sorelle del lavoro di Alessandria e Giuditta Brambilla per le Figlie del lavoro di Milano. Una partecipazione, quella femminile, particolarmente significativa degli orientamenti del nascente partito in un’epoca nella quale alle donne era precluso il diritto di voto e, lo ricordiamo per amore di verità, anche quello di appartenenza alle Logge. Così, centoventi anni or sono, il 15 agosto 1892, a Genova, nella sala dei “Carabinieri genovesi”, il corpo dei Fucilieri garibaldini, nacque il Partito dei Lavoratori Italiani, destinato a cambiare il proprio nome in quello di Partito socialista dei lavoratori Italiani, l’anno successivo, in occasione del congresso di Reggio 1920), Andrea Costa (1851-1910), Antonio Maffi (1845-1912), Bettino Pilli (1862-1939), Camillo Prampolini (1859-1930) .

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sonica. Gian Mario Cazzaniga, curatore del xxi volume degli “Annali della Storia d’Italia”, La Massoneria, scrive: “Possiamo dire che le logge massoniche del Settecento costituirono il laboratorio in cui si formarono le grandi correnti del pensiero politico contemporaneo: liberalismo, repubblicanesimo, democrazia cristiana e socialismo”.4 E ancora, a proposito di sinistra: “Bisogna distinguere i suoi due filoni anarco-repubblicano e socialista-marxista. Il primo, nel secondo Ottocento, vide la maggior parte dei suoi esponenti affiliati alle logge; nel secondo ci fu una presenza massonica importante, a cominciare dai due generi di Marx: Paul Lafargue e Charles Longuet”5. Gli esempi italiani

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Emilia e, nel 1895, a Parma, in quello di Partito Socialista Italiano. Rammentare quell’evento non è riesumare archivisticamente una pagina di storia patria ma, come vedremo, è conservare la memoria del contributo fondante e fondamentale che i massoni hanno dato per fare dell’Italia una nazione unita, indipendente e libera prima, poi repubblicana e democratica. Sì, perché anche tra coloro che si adoperarono per la nascita di quel partito, molti furono da protagonisti i Fratelli Liberi Muratori. Sarebbe, tuttavia, uno sterile esercizio intellettuale commemorare un passato pur glorioso laddove il ricordare non fosse lezione per l’impegno civile nel presente e per il futuro. Il giornalista Dario Fertilio ha scritto: “Un grembiale di ‘compagno’, il secondo grado gerarchico della massoneria, e una bandiera operaia della ‘lega tessile’: stessa cazzuola e uguale compasso, analoga la 32

pala con l’immancabile livella. E poi due donne guerriere che marciano insieme verso il bel sol dell’avvenire: la prima, a impersonare i liberi muratori del Grande Oriente, l’altra nei panni della Comune parigina. Modi diversi, all’italiana o in stile francese, per dire la stessa cosa: la sinistra, compresa quella di oggi, è figlia della massoneria. O almeno nipote, benché abbia preferito potare i rami più antichi dell’albero genealogico, rimuovere le memorie di famiglia e in qualche caso demonizzare l’appartenenza stessa dei suoi membri alla mitica associazione vincolata dal segreto”3. La storia del pensiero socialista non soltanto in Italia, ma in Europa e nel mondo è strettamente legata all’iniziativa mas3 Dario Fertilio, “Un percorso comune da Garibaldi ad Arturo Labriola. Poi la grande rimozione”, su Corriere della Sera, 21 aprile 2006.

non si contano: da Giuseppe Garibaldi ad Antonio Labriola, passando per Andrea Costa - anarchico - accostatosi poi al filone socialista di Turati, ma non si possono trascurare i celebri esponenti anarco-repubblicani, come il russo Mikhail Bakunin e il francese Pierre-Joseph Proudhon. “Nel campo socialistamarxista” osserva Cazzaniga, “il settore riformista e la direzione del movimento sindacale rimasero massonici fino alla prima guerra mondiale6”. Ma torniamo a Genova in quell’agosto reso rovente dal solleone e dalla tensione ideale che animava i delegati. Qualcuno si chiederà perché proprio il capoluogo ligure fosse 4 Gian Mario Cazzaniga (a cura di), Storia d’Italia, Annali xxi, La Massoneria, Torino 2006. 5 ibidem. 6 ibidem.


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stato scelto come sede per il Congresso di fondazione del primo partito italiano destinato a rappresentare le istanze del proletariato. Il motivo era talmente semplice da rasentare la banalità, ma era esemplare dei costumi del tempo lontani non centovent’anni, bensì anni luce, da quelli della casta politica d’oggi economicamente privilegiata dai finanziamenti pubblici: i delegati, numerosi dei quali vicini all’indigenza, dovevano pagare di tasca propria le spese di partecipazione al Congresso. A Genova, città alla quale si attribuivano i natali di Cristoforo Colombo, si celebravano i quattrocento anni della scoperta dell’America e, per l’occasione, le ferrovie avevano messo in vendita biglietti a prezzo ridotto per chi volesse recarvisi in treno. Anche se i delegati dovevano pagarsi viaggio, vitto e soggiorno, la loro partecipazione non era a titolo individuale ma rappresentativo di oltre trecento tra società operaie, circoli e leghe, divisi tra socialisti che s’ispiravano soprattutto al modello del Partito socialdemocratico tedesco, “l’esempio concreto di come un partito socialista doveva diventare”7, e gli anarchici. A Genova, questi erano una minoranza ma straordinariamente coesa. Nell’uno e nell’altro campo militavano massoni separati dall’ideologia politica, uniti vieppiù dagli ideali di Liberi Muratori, tuttavia neppure questo servì a evitare la rottura tra la componente socialista e quella anarchica; la nascita del nuovo partito fu così segnata da una di quel7 Gaetano Arfè, Storia del socialismo italiano, Torino 1965.

le scissioni che ne avrebbero caratterizzato l’intera esistenza. Ma prima di rievocare la cronaca della nascita di quello che sarebbe diventato il Partito socialista italiano è opportuno ricordare quale fosse la situazione sociale ed economica dell’Italia dopo l’Unità al completamento della quale mancavano i territori irredenti rimasti sotto l’egemonia asburgica, cioè quelli che sarebbero stati il Friuli, la Venezia Giulia, il Trentino e l’Alto Adige. L’Italia degli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento era un paese che, rispetto ad altri in Europa nei quali si stava affermando la seconda rivoluzione industriale, si poteva definire arretrato, in prevalenza agricolo, nel quale scarseggiavano le linee ferroviarie e le strade di grande comunicazione. “L’industria, debole e localizzata in alcune aree del Nord, dava occupazione a una minoranza di lavoratori […] l’Italia non era quindi popolata da una cospicua classe operaia impiega-

ta in fabbriche moderne. Anzi, la composizione sociale del proletariato appariva peculiare: pochi operai, un numero crescente di lavoratori urbani impiegati in aziende artigiane, come sarti, panettieri, tipografi, nonché edili, e moltissimi contadini: la grande maggioranza. Un dato che, lontano da quello di altri paesi europei, avrebbe segnato, va detto subito, anche il movimento socialista della Penisola”8. La qualità della vita delle masse popolari era di livello estremamente scadente, segnato da un’indigenza diffusa. L’alimentazione quotidiana, nella quale la carne era un lusso, accessibile, e non a tutti, soltanto in occasione del Natale e della Pasqua, era costituita principalmente da pane di bassa qualità, zuppe a base di verdure e di erbe selvatiche e, soprattutto a Nord, dalla polenta, la farina di mais che, caren8 P.Mattera, Storia del PSI 1892-1994, Roma, 2010.

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te di vitamine, provocava la pellagra. La mortalità infantile era livelli drammatici: circa 400 decessi sotto i cinque anni ogni mille nati vivi; secondo i dati dell’Istat, l’aspettativa di vita, nel 1881, era di 35,2 anni per gli uomini e di 35,7 anni per le donne. La malaria era endemica in molte zone della Penisola. L’analfabetismo si aggirava attorno al 70 per cento, con punte del 90 nell’Italia meridionale. Una parte preponderante della classe dirigente, formata da una minoranza di estrazione aristocratico-borghese, considerava il popolo minuto una moltitudine che avrebbe potuto mettere a repentaglio l’ordine sociale garantito da una legge elettorale che consentiva l’accesso alle urne in base al censo e all’alfabetizzazione. Di fatto, poveri e analfabeti, la grande maggioranza dei “nuovi” Italiani era esclusa dal diritto al voto, erano sudditi e non cittadini. “L’Italia era divenuta uno 34

Stato, con un ordinamento giuridico, ma non ancora una Nazione, ovvero una società di cittadini dotati di un sentimento di appartenenza comune e di un’identità collettiva”9. In questo panorama, esponenti della borghesia colta, perlopiù massoni, entrati in contatto con circoli socialisti che facevano capo all’Internazionale fondata nel 1864 con un Indirizzo inaugurale scritto da Karl Marx, avevano principiato a fondare le Società di mutuo soccorso destinate ad aiutare gli appartenenti al proletariato urbano ad affrontare le difficoltà dell’esistenza quotidiana. Capofila di questi massoni socialisti fu Giuseppe Garibaldi il quale, nel 1871, si dichiarava pubblicamente membro dell’Internazionale. In una lettera indirizzata a Celso Ceretti il 22 settembre 1872 scriveva: 9 ibidem.

“L’Internazionale è il sole dell’avvenire”. Non è un caso che molte Società di mutuo soccorso sarebbero state intitolate a suo nome. Considerato il ruolo dei Massoni nella formazione delle Società operaie di mestiere, ci piace pensare che essi possano essersi ispirati, anche involontariamente, a quel fenomeno appartenente alla tradizione della Libera Muratoria che conosciamo con il nome di “Gilde”. Ai tempi della Massoneria operativa una di esse riuniva i maestri muratori, gli artigiani edili e gli architetti e aveva tra i propri scopi statutari la difesa degli interessi professionali, la disciplina dei suoi membri e la trasmissione dei segreti del mestiere, ma anche provvedere alle necessità di mutuo soccorso dei propri membri. Dalla lenta metamorfosi di questa Gilda sarebbe nata la Massoneria speculativa moderna. Una prima estensione delle finalità mutualistiche delle Società operaie si ebbe quando si decise di utilizzare i fondi per sostenere economicamente i lavoratori in sciopero, trasformandosi così da strumenti di pura solidarietà in organizzazioni di lotta che presero il nome di “leghe di resistenza”. Nel 1872 a Roma, da un convegno nazionale delle Società operaie e dei lavoratori tipografi, nasceva la ”Associazione fra gli operai tipografi italiani”, che può considerarsi la prima federazione nazionale di categoria. Nello stesso periodo si trasformarono in associazioni di tipo sindacale numerose altre Società operaie, passando dalla concezione mutualistica a forme organizzate di resistenza e di lotta. Molte associazioni di mestiere, come quelle dei panettieri, dei muratori, dei ferrovieri e, soprattutto, dei tessili furono impegnate in dure


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lotte contro le pesanti condizioni di lavoro. Particolarmente significativa fu la lotta nelle fabbriche laniere del Biellese, culminata, nel 1877, con uno sciopero di oltre cento giorni, per respingere, con successo, la pretesa dei datori di lavoro di imporre regolamenti aziendali unilaterali. Nel 1884 braccianti e lavoratori della terra del mantovano furono protagonisti di grandi lotte per l’aumento dei salari. Con l’affermarsi del movimento dei lavoratori si facevano sempre più forti la spinta all’organizzazione e al coordinamento e la richiesta di rappresentanza e di diritti sociali. Nel 1891 a Milano, Piacenza e Torino nascevano, soprattutto per l’opera del massone Osvaldo Gnocchi Viani10, le prime Camere del Lavoro 10 Osvaldo Gnocchi Viani (1837-1917) fu il fondatore, nel 1893, della Società Umanitaria di Milano, della quale fu poi segretario generale. Nello Statuto dell’Umanitaria, una delle più nobili istituzioni filantropiche d’ispirazione massonica, resa possibile dal lascito ereditario del Libero Muratore Prospero Moisè Loria (1814-1892), si legge: “Lo scopo della Società Umanitaria è mettere i diseredati, senza distinzione, in condizione di rilevarsi da se medesimi procurando loro appoggio, lavoro ed istruzione”. Oggi come allora, l’impronta So-

che riunivano le diverse organizzazioni di mestiere. Nel 1893, al primo congresso nazionale delle Camere del lavoro, erano presenti a Parma dodici Camere del Lavoro e l’anno dopo erano già sedici le Camere del Lavoro costituite a Milano, Torino, Piacenza, Venezia, Brescia, Roma, Bologna, Parma, Padova, Pavia, Cremona, Firenze, Verona, Monza, Bergamo, Napoli. Il passaggio dall’iniziativa sindacale a quella politica fu quasi fisiologico, favorito anche dalla legge elettorale voluta dal presidente del Consiglio Agostino Depretis, esponente della sinistra storica e massone. La legge sostituiva quella del 1859 e ne modificava sia il sistema sia la base elettorale. Il suffragio restava riservato esclusivamente ai maschi che avessero compiuto il ventunesimo anno d’età (la soglia precedente era di venticinque anni). Avrebbe potuto votare soltanto chi cietà Umanitaria rimane costante: “anticipare, sperimentare, risolvere”. L’ente prosegue la sua opera con un’intensa attività sociale e culturale. Per intervenire sul territorio, tra Milano, Napoli, Roma e la Sardegna, si sta mettendo a frutto una progettualità diversificata su vari fronti di intervento, dal disagio scolastico alla formazione professionale, dall’avviamento al lavoro alla promozione dei giovani.

avesse esibito la licenza del biennio elementare statale e gratuito stabilito dalla Legge Coppino del 1877 indipendentemente dal reddito11. Tuttavia chi avesse esibito un diverso certificato o, non ne avesse avuto alcuno, avrebbe potuto votare pagando 19,80 lire. Per effetto di queste modifiche la base elettorale crebbe significativamente, passando dal 2 al 7 per cento della popolazione e aprendo, di fatto, il diritto di voto ai ceti popolari che potavano, finalmente, eleggere i propri rappresentanti in Parlamento. Il primo di loro fu Andrea Costa, eletto a Ravenna. Costa, nato a Imola nel 1851, aveva incominciato la carriera politica appena ventenne affascinato dalle idee dell’anarchico Mikhail Bakunin. Costretto all’esilio in Svizzera, conobbe la russa Anna Kuliscioff, giovane rivoluzionaria di irresistibile fascino e di grande cultura, della quale s’innamorò riamato. Il loro non era soltanto un legame di pas11 Michele Coppino (1822-1901). Fu cinque volte Ministro della Pubblica Istruzione, il suo nome è rimasto legato alla Legge del 1877 che introdusse l’obbligatorietà dell’istruzione elementare gratuita e laica. In Massoneria era stato iniziato il 16 febbraio 1860 presso la storica Loggia Ausonia di Torino.

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sione e sentimento, ma anche un vivace confronto di idee. Anna convinse il suo anarchico italiano ad accostarsi ai testi di Marx e del socialismo. Quelle letture finirono con l’incrinare il granitico anarchismo di Costa, al punto che, nel 1879, con la Lettera agli amici di Romagna annunciò il proprio passaggio dall’anarchia al socialismo. Nel 1881, rientrato dall’esilio, Andrea Costa fondò il Partito socialista rivoluzionario di Romagna. Come s’è detto, nel 1882, venne eletto primo deputato socialista del Parlamento italiano. Un anno dopo, il 25 settembre 1883, fu iniziato nella Loggia Rienzi di Roma; nel cursus honorum massonico arrivò a ricoprire la carica di Grande Maestro Aggiunto del Grande Oriente d’Italia. A Milano, città da sempre “laboratorio” d’iniziative politiche e sociali, il movimento dei lavoratori prese una deriva “operaista” per impulso di Giuseppe Croce (1853-1915) e di Costantino Lazzari (1857-1927), i quali si fecero portavoce dell’insofferenza verso la dirigen36

za d’estrazione borghese e intellettuale e fondarono il Partito operaio italiano che aveva come principio statutario le rivendicazioni normative e salariali. In questo quadro s’andava formando l’embrione di quel socialismo italiano che s’ispirava al proto-marxismo alla diffusione del quale contribuirono in maniera importante le lezioni del filosofo Antonio Labriola, docente di Filosofia teoretica dell’Università di Roma12, e le traduzioni in italiano di Il Capitale, nel 1886, e del Manifesto del Partito Comunista, nel 12 Antonio Labriola (1843-1904). Iniziato alla Massoneria a Roma. Intrattenne un fitto carteggio coi massimi esponenti del socialismo europeo: Friedrich Engels, Karl Kautsky, Eduard Bernstein, Georges Eugène Sorel (l’orizzonte europeo nel quale si muoveva era rarissimo in altri intellettuali dell’epoca, conosceva perfettamente i dibattiti sulle scienze, sulla storia e sul sapere filosofico). I suoi Saggi sul materialismo storico lo resero uno dei maggiori teorici marxisti europei di quel tempo, assolutamente il primo in Italia.

1888. Labriola è da considerarsi uno dei padri nobili del socialismo nostrano anche se preferì dedicarsi agli studi teorici, senza legarsi all’organizzazione. Fu però Antonio Labriola a individuare in Filippo Turati il personaggio capace di farsi interprete e di dare organicità a un partito d’impronta marxista nel paludoso panorama della politica italiana. Turati, comasco d’origine borghese, negli anni della formazione aveva fatto amicizia con Leonida Bissolati (1857-1920), compagno di liceo assieme al quale si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza di Pavia e si trasferì, dopo il biennio, a Bologna, con Achille Loria (1857-1943) e con Enrico Ferri (1856-1929), incontrati all’ateneo bolognese, tutti incontri decisivi nell’orientarlo verso posizioni democratiche. A Bologna si laureò a pieni voti nel 1877 con una tesi di economia politica. Nello stesso periodo maturò il graduale trapasso da un vago teismo spiritualista al positivismo, anche per l’influenza di Arcangelo Ghisleri (1855-1938), al quale si avvicinò nel 1878 diventando presto redattore dei due fogli radicali da lui diretti, Preludio e Rivista repubblicana, mentre approfondiva lo studio del positivismo aderendo alla tesi del filosofo Roberto Ardigò (1828-1920) e a quelle del criminologo Cesare Lombroso (18351909). Vale la pena di porre l’accento sul fatto che tutti i personaggi che abbiamo citato erano massoni, fatta eccezione per Roberto Ardigò, professore del seminario mantovano e canonico, che aveva gettato la veste talare alle ortiche nel 1871, acce-


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samente antimassone13. Tuttavia, nonostante queste frequentazioni, Turati non aderì mai alla Massoneria né però si manifestò apertamente contrario all’istituzione, neppure quando durante l’XI Congresso nazionale del Partito socialista italiano, tenuto a Milano dal 21 al 25 ottobre 1910, in occasione del quale fu commemorato Andrea Costa passato da pochi mesi all’Oriente Eterno, un congressista sollevò una pregiudiziale chiedendo che i membri della presidenza del Congresso dichiarassero esplicitamente di non appartenere alla Massoneria. Alla pregiudiziale si dichiararono contrari Giuseppe Emanuele Modigliani, Giovanni Lerda e Guido Podrecca, intervenne Giacinto Menotti Serrati e la mozione, grazie alla mediazione di Filippo Turati, fu accantonata. Al Congresso partecipava, come delegato della Federazione di Forlì, Benito Mussolini, il quale ripresentò il tema dell’incompatibilità tra appartenenza al Partito socialista e alla Massoneria in tutti i successivi congressi senza successo, finché nel XIV Congresso, tenuto ad Ancona tra il 26 e il 29 aprile 1914, il suo ordine del giorno antimassonico ottenne la maggioranza dei voti. Ma torniamo alle vicende di Filippo Turati, il ritratto del quale ci offre l’immagine di un brillante intellettuale, sensibile ai problemi sociali, fisicamente e, soprattutto, psicologicamente delicato al punto da 13 Roberto Ardigò, filosofo positivista, fu, nel 1903, protagonista di un acceso attacco contro la Massoneria, cui rispose con un editoriale altrettanto acceso la “Rivista della Massoneria Italiana”.

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soffrire di gravi momenti di depressione. Soltanto tra il 1882 e il 1883, Turati, che in questi anni aveva girato l’Europa alla ricerca di psichiatri in grado di curarlo, superò la propria crisi personale intensificando l’impegno politico, anticipato alla fine del 1882 sul settimanale sociali-

Storia sta La Plebe. Decisivo, sia sul piano personale sia su quello politico, fu l’incontro, avvenuto a Napoli nel 1884, con Anna Kuliscioff che s’era separata da Andrea Costa. Tra Filippo e Anna nacque un’unione sentimentale, intellettuale e politica di straordinaria intensità destinata a durare per tutta la loro vita come testimonia il loro fitto carteggio pubblicato nel 1977 da Einaudi. La Kuliscioff diede a Turati quella “fiducia e sicurezza in se stesso”14 che gli era fino allora mancata e, come già aveva fatto con Andrea Costa, lo orientò verso il marxismo. Fu così che, nel 1889, Turati fondò, a Milano, una Lega socialista e, nel 1891, ereditata da Arcangelo Ghisleri la rivista d’indirizzo democratico-repubblicano Cuore e Critica, ne cambiò la testata in Critica Sociale e l’orientamento in funzione del suo progetto: la fondazione di un partito socialista di dimensione nazionale. Critica Sociale divenne, come ebbe a sottolineare lo storico Gaetano Arfé: “per opera sua e della Kuliscioff, il centro di raccolta e di organizzazione della nuova cultura socialista e rimarrà il più autorevole organo teorico e politico del movimento socialista italiano”15. Il progetto turatiano si muoveva su due direttrici che anticipavano quello che sarebbe stato il socialismo riformista; riunire le membra sparse del socialismo italiano e, segnatamente, conciliare le posizioni dei compagni romagnoli di più specifico indirizzo politico con quelle degli operaisti lombardi che consideravano precipua la lotta sindacale; l’altro aspetto del disegno di Tu14 Renato Zangheri in Storia del Socialismo italiano, volume II, Torino 1997. 15 Gaetano Arfè, Storia del Socialismo italiano, Torino 1965.

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rati era la rottura con gli anarchici che insofferenti “a ogni disciplina e ostili al metodo legalitario”16, enunciavano l’intenzione di abbattere lo Stato con la violenza. E sul progetto turatiano si sarebbe articolato il programma del Congresso di Genova. Il 14 agosto 1892, primo giorno dell’assise, vide riunite nella Sala Sivori, sontuosa di dorature e specchi, tutte le anime del socialismo italiano. Fino dalla riunione mattutina dedicata alle procedure preliminari, tra le quali l’elezione della presidenza del Congresso, si mani-

festò un conflitto tra la proposta di Anna Kuliscioff, la quale suggeriva di affidare la presidenza a quattro delegati, uno in rappresentanza dell’Italia settentrionale, uno dell’Italia centrale, uno per il Meridione e uno per Genova. Alfredo Casati si disse d’accordo a patto che tutti e quattro fossero operai. A questo punto si scatenò una vera e propria bagarre su chi potesse essere classificato operaio, posto che tutti erano rappresentanti dei lavoratori. Si giunse così, su proposta di Camillo Prampolini, alla votazione delle due mozioni che vide prevalere quella della Kuliscioff. I presidenti sarebbero stati cinque: Fabrizio Maffi, Andrea Costa, Giacinto Bosco, Pietro Chiesa e l’anar16 Paolo Mattera, Storia del PSI 1892-1994, Roma, 2010.

chico Eugenio Pellaco. Fu nella riunione pomeridiana che più marcatamente si manifestò il dissidio tra socialisti e anarchici su quello che era, forse, l’argomento più importante all’ordine del giorno: Programma e Statuto del partito. Gli anarchici chiesero di rinviare la discussione con il pretesto che alcuni dei loro rappresentanti non avevano potuto prendere conoscenza del progetto. I socialisti replicarono accusando gli anarchici di ostruzionismo. Camillo Prampolini cercò di placare gli animi. «Da anni, quando incominciò a sorgere il partito socialista in Italia, noi combattiamo fra noi una lotta continua nei giornali, nelle assemblee, nelle pubbliche piazze, nei congressi», disse il Fratello Prampolini. «Io non dirò che vi sia da una parte o dall’altra malafede, anzi non vi è. Voi siete onesti quanto noi, ma è indiscutibile che questa lotta esiste, ed è di tutti i giorni, di tutte le ore, e ciò perché noi siamo due partiti essenzialmente diversi, percorriamo due vie assolutamente opposte, tra noi non può esserci comunanza, dunque lasciateci in pace […] Se noi dobbiamo battere due vie diverse, facciamolo da buoni amici; voi percorrete la vostra, noi proseguiamo la nostra […] domani voi adunatevi in un altro sito, e noi faremo altrettanto e credete che solo così potremo riuscire a qualche conclusione»17. La replica dell’anarchico Pietro Gori18 fu dura: «Noi siamo la minoranza, ma esigiamo la libertà di portare fra voi la nostra propaganda. Perché ci mettete alla porta? Dovunque voi sarete voi, là vi seguiremo»19. A questo punto intervenne Filippo Turati. «Voi non ci seguirete. Noi non vi metteremo alla porta. 17 In Lotta di classe, Organo socialista centrale del Partito dei Lavoratori Italiani, 20-21 agosto 1892, ora anche in L. Cortesi (a cura di) Il socialismo italiano tra riforme e rivoluzione. Dibattiti congressuali del PSI 1892-1921, Bari, 1969. 18 Pietro Gori (1865-1911) sarebbe stato iniziato alla Massoneria esule in Argentina il 12 agosto 1901 nella Rispettabile Loggia Rivadavia. 19 In Lotta di classe, Organo socialista centrale del Partito dei Lavoratori Italiani, 20-21 agosto 1892, ora anche in L. Cortesi (a cura di) Il socialismo italiano tra riforme e rivoluzione. Dibattiti congressuali del PSI 1892-1921, Bari, 1969.


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Soltanto noi siamo stanchi di voi e ci separiamo. La vostra “libertà” è violenza contro di noi […] Lasciateci dunque in pace […] Siamo dunque intesi: domani mattina noi ci aduneremo fuori di qui senza di voi, e voi terrete, ovunque vi piaccia, le vostre riunioni»20. Con l’intervento di Turati si concluse quella prima, a dir poco turbolenta, giornata congressuale. Quella sera, i rappresentanti di centocinquanta associazioni riuniti in una trattoria di salita Pollaioli, presenti anche Filippo Turati e Anna Kuliscioff, decisero che il Congresso socialista si sarebbe riunito, senza gli anarchici, nella sede dei Carabinieri genovesi in via della Pace per esaurire l’ordine del giorno. Il mattino del 15 agosto, “il padiglione dei Carabinieri genovesi, cinto da un’ortaglia, fu anch’esso, in poco d’ora gremito di congressisti. A tutti tardava di riguadagnare il tempo perduto. La porta era rigorosamente guardata. Gli anarchici per altro si erano di nuovo radunati nel salone del giorno avanti”21. Filippo Turati espose, con una certa intransigenza, gli aspetti fondamentali del programma: lotte di mestieri, affidate alle Camere del lavoro e alle altre Associazioni di arti e mestieri per i miglioramenti immediati della vita operaia relativamente a orari, salari, regolamenti di fabbrica e quant’altro; una lotta più ampia intesa a conqui-

stare i poteri pubblici, Stato, Comuni e altre Amministrazioni pubbliche per trasformarli, da strumento d’oppressione e sfruttamento, in uno strumento per l’espropriazione economica e politica della classe dominante. L’impostazione “classista” turatiana contrastava con quella che avrebbero voluto i delegati di cultura massonica che, ispirata ai principi di Libertà Uguaglianza Fratellanza, avrebbero preferito un programma nel quale si affermasse che “tutti gli uomini hanno lo stesso diritto all’esistenza perché nascono uguali”. Alla fine, dopo una discussione dai toni talvolta accesi, il programma, così come lo aveva proposto Turati, fu approvato con quattro voti contrari e qualche astensione. Era nato il Partito dei Lavoratori Italiani destinato a cambiare il proprio nome in quello Partito Socialista Italiano in occasione del Congresso del 1895 a Parma. Fu il punto d’arrivo e, al tempo stesso, di partenza di un percorso spesso tormentato. Antonio Labriola in una lettera indirizzata a Friedrich Engels scrisse: “Un partito politico non si fa entrare nella mente degli operai con un ordine del giorno, è una faccenda di esperienza, di tattica, di educazione e d’istruzione, e perciò di tempo”22. Questa cronaca non può non ricordare un altro anniversario. Ricorrono, infatti, vent’anni da quel 1992 nel quale il Partito socialista italiano avrebbe dovuto ce-

20 ibidem. 21 ibidem.

22 Antonio Labriola, Epistolario 1890-1892, a cura di V.Gerratana e A.Santucci, Roma 1983.

lebrare il centesimo della fondazione che si trasformò invece nell’anno del tracollo, l’inizio della fine. Il 17 febbraio, l’esponente socialista Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano, fu arrestato su ordine del magistrato Antonio Di Pietro per una questione di mazzette. Fu il primo arresto dell’operazione Mani pulite condotta, oltre che da Di Pietro, da Gherardo Colombo, Piercamillo Da Vigo, coordinati da Gerardo D’Ambrosio sotto la guida del procuratore capo Francesco Saverio Borrelli. Il crollo delle mura di Tangentopoli travolse i partiti che avevano contribuito a formare il sistema politico della prima Repubblica e, tra questi fu, forse, il Partito socialista a pagare il prezzo più alto. Con le elezioni del 27 marzo 1994 il sipario calò su quell’avventura bella iniziata a Genova il 15 agosto 1892 con la partecipazione decisiva di un gruppo di Massoni che offrirono alla causa il contributo della loro fede e della loro intelligenza. P.30 (part.)- e p.39: Il quarto stato, olio su tela, 1901, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Milano; p.31: Manifestazione per le ‘8 ore’ delle mondine vercellesi nel 1902; p32 (sin.): Anna Kulisciova (Anna Moiseevna Rozenštejn) (Crimea 1855-Milano 1925); p.32 (destra): Laura Marx e Paul Lafargue; p.33 (sin.): Pierre-Joseph Proudhon (Besançon 1809-Parigi 1865); p.33 (destra): Michail Aleksandrovich Bakunin (Russia 1814-Berna 1876); p.34: Il mediatore, olio di G.P.da Volpedo; p.34: 1902, Manifesto Socialista; p.35: Contadini e contadine, ca. 1900; p.36: La Plebe, testata giornalistica della seconda metà dell‘800; p.36: Antonio Labriola (Cassino 1843-Roma1904); p.37 (a sinistra): Filippo Turati (Canzo 1857-Parigi 1932); p.37 (a destra): Camillo Prampolini (Reggio nell’Emilia 1859-Milano 1930); p.38: 1917, Tessera del Partito Socialista.

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Mille e non piÚ Mille Paure, falsi profeti e riti alla vigilia dell’Anno Mille. Ida Li Vigni

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l’Anticristo iglioli è l’ultima ora, e, come avete sentito l’Anticristo viene: anzi ecco che fin d’ora son già molti gli anticristi; da questo possiamo capire che è l’ultima ora. Sono usciti di mezzo a noi ma non erano dei nostri; perché se fossero stati dei nostri sarebbero rimasti con noi, ma sono usciti, affin­ ché venissero smascherati in quanto non erano con noi. Voi però avete ri­ cevuto l’unzione che viene dal Santo e ben comprendete il tutto. Io non vi ho scritto come se voi non sapeste la verità, ma proprio perché la cono­scete e ben sapete che nessuna menzogna può venire dalla verità. E chi altri è il bugiardo se non colui che afferma che Gesù non è il Cristo? Co­stui è l’Anticristo che nega il Padre e il Figlio. (San Giovanni, Prima Lettera, XXII, 18-22)

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iù volte l’Europa cristiana è stata percorsa dall’eco di queste parole; più volte ha vis­suto la tenace e ossessiva attesa dell’età felice dell’oro che sarebbe seguita al ritorno definitivo di Cristo fra gli uomini. E sempre, ad annunciare la seconda venuta del Salvatore, furono uomini che venivano dal popolo e che davano voce alle aspettative e alle angosce dei diseredati. Uomini che, facendosi interpreti delle speranze escatologi­che dei semplici, fi­nivano con il contrapporsi inevitabilmente alle istituzioni ufficiali, presentandosi come messaggeri celesti, pseudo-Cristi o pseudo-apostoli venuti a sal­vare gli eletti dalla falsa Chiesa prima dell’imminente Giudizio finale. Figli dei “tempi negati alla speranza”, generati dalle carestie, dalle guerre e dalle malat­tie, essi esprimevano con il loro linguaggio per lo più sgrammaticato e sempre scomposto le confuse ri­cerche di verità e di giustizia dell’ambiente da cui provenivano e a cui sapevano parlare. Per la Chiesa furono figli di Satana, per­ versi eretici; per il popolo, au­tentici profe-

Seicentossessantasei: il numero della Bestia le fu dato di animare la statua della bestia fino a farla parlare, sicchè questa fece mettere a morte tutti coloro che non si prostra­vano davanti a lei. Ed essa fece sì che tutti: piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, ri­ cevano un’impronta sulla loro mano destra e sulla loro fronte di modo che nessuno possa comprare o vendere se non chi ha l’impronta, il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza! Chi ha l’intelligenza calcoli il numero della bestia perché è numero d’uomo. E il suo numero è seicentoses­santasei. (S. Giovanni, Apocalisse, XIII, I e sgg.). 41


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ti e santi venerati. Per lo storico, essi sono un emblematico esempio del drammatico scontro fra due forme opposte di cultura, di linguaggio e di co­dici interpretativi. La loro voce risuonò a intervalli regolari, come drammaticamente ricorrenti erano le sventure che si abbattevano sugli uomini, ma raramente, almeno fino al XVI secolo (un’eccezione è fra Dolcino) il loro annuncio di un mondo migliore e della fine dei tempi si trasformò in azione, ovvero assunse la forma di una rivendicazione armata volta a instaurare più con la forza umana che con la Provvidenza divina il profetizzato avvento della salvifica seconda venuta di Cristo. Qualche esempio, de­sunto da uno spazio cronologico mol42

to esteso (all’incirca dal VI all’XI secolo), ser­virà a fissare i tratti e le costanti caratteristiche di questi falsi pro­feti. Il primo caso ben delineato (uno pseudo-Elia viene ricordato sommariamente nella Vita di San Martino, scritta da Sulpicio Severo intorno all’anno 400) lo troviamo nel libro IX della Historia francorum di Gregorio, vescovo di Tours. Si tratta di un tale Desiderio, forse originario delle campagne attorno a Bordeaux, il quale era riuscito in poco tempo ad attirare intorno a sé una grande moltitudine di popolo grazie alle sue ca­pacità tau­ma­turgiche e profetiche. Con indosso un cappuccio e un mantello di lana, contornato da un seguito di donne e di contadini che fuggi­vano

dalle terre devastate dalla carestia, egli compiva gua­rigioni miracolose e stupiva i semplici con i suoi pro­lungati di­giuni (in realtà - corregge subito malignamente Gregorio - nel suo rifugio, di nascosto, divorava freneticamente il cibo e le be­vande che i suoi accoliti gli portavano in offerta) e con le sue pro­fezie ispira­tegli direttamente dagli apostoli Pietro e Paolo con cui affermava di essere in comunicazione spirituale. Smascherato dagli uomini di Gregorio, sparì dalla circolazione, così come sette anni prima era accaduto con un altro pseudo-profeta origi­nario - come si ap­purerà nel corso del processo tenutosi a Parigi - di una cittadina dei Pirenei. In questo secondo caso Gregorio è più ricco di informazioni, senza dubbio a causa dello scompiglio che questo falso profeta riuscì a provocare in seno alla popolazione di Tours e di Parigi. Coperto da un mantello senza maniche, con in mano un bastone a forma di croce dai cui bracci pendevano piccole olle di terracotta che a suo dire conte­nevano olio santo, in possesso di alcune reli­quie di San Vincenzo e di San Felice, que­sto impostore aveva fatto la sua prima comparsa ufficiale proprio a Tours, dove aveva tentato di farsi riconoscere quale nuovo apostolo dall’al­ libito e scandalizzato Gregorio. Scacciato dalla città, fece perdere le sue tracce ma qualche anno dopo riec­colo comparire a Parigi, in occasione di una festa religiosa, a capo di un “coro” di prosti­tute e di popolane scarmigliate e seminude, annunciando con ac­centi invasati l’imminente avvento dei tempi nuovi e denunciando l’immoralità della “falsa Chiesa”.


Come testimonia Gregorio, “... Il suo linguaggio era sgram­maticato, le sue espressioni indecenti ed oscene; ... dalle sue lab­ bra non uscì neanche una parola sensata ...”. Fatto rinchiudere e perquisito, si trovò che nel sacco che si portava appresso na­scondeva ra­dici ed erbe di ogni genere, ma anche grasso d’orso, ossa di topo e unghie di talpa; in­somma, rimedi magici per ogni sorta di malattia e di fattura. Che fosse un servitore di Satana, venuto a ingannare gli uomini e a dannarli, lo si vide ben presto poiché non solo eluse la sorveglianza (segno, forse, di una certa complicità con le senti­nelle e di sicuri appoggi all’esterno), ma non trovò meglio da fare che andarsene a dormire, ubriaco e con indosso ancora le catene che non aveva spez­zato, in quella chiesa di San Giuliano dove Gregorio era solito recarsi a pregare verso la mezzanotte. Avvertito dal terribile lezzo di latrina che l’impostore emanava e che or­mai ammorbava tutta la chiesa, Gregorio lo fece nuova­mente catturare e lo consegnò al vescovo di Parigi dietro la ga­ranzia che non gli venisse fatto alcun male: evidente­mente i tempi erano ancora tali da garantire una certa tolleranza da parte degli uomini di Chiesa. Al processo risultò essere un servo evaso del vescovo di Boerretanae, nei Pirenei, venuto a “trarre in inganno il popolo allettandolo” con false profezie e falsi mi­racoli. Ed ecco un terzo esempio, sempre tratto dalla Historia franco­rum, ma questa volta dal libro X. È la storia di uno “Pseudo-Cristo” che, abbandonate le native campagne di Bourges, per­corse la Provenza e la zona di Poitiers per predicare il suo mes­ saggio di redenzione. Erano anni terribili: carestie ed epidemie si sussegui­vano senza lasciare tre­gua, segni funesti e nascite mo­struose sconvolgevano il cielo e la terra e i profeti com­parivano un po’ ovunque, sintomo manifesto di quella imminente fine del mondo che per gli uomini come Gregorio doveva essere prece­duta dall’avvento dell’Anticristo e che per gli altri, i “semplici”, san­civa l’instaurazione in terra del regno della giustizia e della fe­li­cità. Uno scarto esegetico non indifferente e comunque irriduci­bile, foriero del destino tragico dei futuri movimenti millenari­stici. Ma torniamo allo “pseudoCristo” di Gregorio. Impazzito a causa di uno sciame di mosche che lo aveva assalito nel bosco dove si era recato a tagliare le-

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gna, l’uomo aveva finito con l’abbandonare il villaggio natio e, vestito di una pelle d’animale, si era messo a girovagare, compiendo guarigioni miracolose, assolvendo dai peccati e profe­tizzando la salvezza o la dannazione di quanti lo ascoltavano. Nella zona di Poitiers si presentò accompagnato da una donna che chiamava Maria, mentre di sé diceva di es­sere Cristo, venuto a salvare gli eletti e a rifondare il regno della giu­stizia. Il popolo, fra cui anche molti sacerdoti di origini umili, non tardò a seguirlo e presto - testimonia Gregorio – “più di tremila persone” lo seguirono. Un movimento pericoloso, tanto più che si presentava connotato da una scoperta vena di violenza, destinata a sfociare ben presto in saccheggi e rapine i cui proventi venivano distribuiti fra i più bisognosi. Né

meno pericoloso do­veva essere l’impianto ideologico delle sue profezie, se esse riu­ sci­vano a strappare gli uomini dalle chiese e a farli danzare semi­nudi per le vie, in un cre­scendo di riti “diabolici” (ovvero, dichia­ratamente pagani) che culminavano con le pre­ghiere e le offerte votive fatte presso i crocicchi o nelle radure dei boschi. Non ci stupi­sce pertanto il finale della storia: fatto uccidere a tradimento il “profeta”, dispersi con le armi i suoi seguaci, torturata e sco­municata Maria (e si notino le straordinarie analogie con quella che sarà la vicenda molto più tarda di Dolcino), l’invasato di Dio si tra­sforma in eretico, con tutto quello che ne consegue di persecu­zioni e di cacce spietate. Lo si vede bene due secoli dopo, quando l’apostolo di Germania, Wynfried-Boni43


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facio, si scontrò con lo pseudo pro­feta Aldeberto, un sacerdote che aveva fondato una sètta a cui aderì un gran numero di uomini provenienti dagli strati più bassi della società. Gli atti dei processi - tenutisi in Germania nel 744 e a Roma, presente papa Zaccaria, nell’anno successivo - sono ric­chi di testimonianze e ci permettono di rico­struire con una certa approssimazione il clima e soprattutto i contenuti dei messaggi che questi profeti popolari andavano diffondendo. Senza mezzi termini Aldeberto, un sa­cerdote di origini popolari, si dichiarava uomo di Dio, santo profeta venuto a redi­mere i peccatori e a ri­scattare la Chiesa dalla sua corruzione e depravazione. Quando ancora era nel ventre della madre, ella aveva avuto una visione in cui le veniva annun­ciata la nascita di un figlio che avrebbe ope­rato fra 44

gli uomini come Cristo. Aveva avuto inizio così quel rapporto personale di Aldeberto con Dio che lo avrebbe spinto a predi­care la nuova novella fra i “semplici” e fra gli uomini di Chiesa. Un angelo, a suggello di questa santa alleanza, gli aveva portato dagli estremi confini del mondo delle reliquie miracolose e l’arcangelo Michele in persona gli aveva consegnato un’epistola di Gesù Cristo, caduta dal cielo a Gerusalemme, in cui erano svelate le verità sulla predestinazione e sul Giudizio finale. Abile oratore, egli aveva anche composto una preghiera, ov­viamente su ispirazione di­vina, in cui accanto a Dio Padre e al Figlio si invocavano gli angeli Oriel, Raguel, Tubuel, Michele (l’unico angelo ortodosso della serie, essendo gli altri i nomi degli an­geli ribelli, cfr. Libro di Enoch), Tubuas, Saboac e Simiel. Quando

predicava, ne­gava valore alla confessione (e dunque rinnegava la dottrina ortodossa del peccato e dell’espia­zione), contestava le interpretazioni canoniche dei Sacri testi (a cui opponeva la parola di Dio, che ognuno poteva ascoltare den­tro di sé), esortava i semplici a la­sciare le chiese e a erigere nelle radure dei boschi e vicino alle sorgenti croci presso cui pregare, ma soprattutto denunciava i soprusi e le violenze che il popolo doveva su­bire a causa della superbia dei potenti e dell’avidità del clero. In suo onore si eressero cappelle ed egli stesso si faceva venerare come un santo, distribuendo i suoi capelli e le sue un­ghie come po­tenti reliquie contro il Maligno e le malattie. Per i diseredati e gli scontenti che lo segui­vano fu (e rimase a lungo, nonostante la scomunica) un protettore e difensore, sosteni­tore della giustizia e autore di miracoli; per il sinodo romano, che lo giudicò nel 754, un pazzo e un sacrilego, un corrut­tore delle coscienze. Saltiamo ancora di tre secoli e arriviamo finalmente all’anno Mille, ov­vero alle Storie di Rodolfo il Glabro. Anche in questo caso, dal 987 al 1033, è un continuo susseguirsi di crisi di sussistenza, di mor­ talità di massa e di eventi sovrannaturali. Nelle campagne ab­ban­do­nate e nelle città sovraffollate per l’afflusso di quanti vi cerca­vano rifugio e pane ricom­paiono i falsi profeti, con i loro cori di prostitute e di pezzenti e le loro profezie sulla fine del mondo. Ancora una volta sono uomini del popolo, come Leutardo di Vertus, nella contea di Chalons, il cui com­porta­ mento e le cui parole sem­brano incarnare le esigenze spiri­tuali che molto più tardi animeranno il movimento ca­taro o quello dell’Alleluja di frate da Cornetta. Leutardo - racconta Rodolfo - un giorno si era addormentato per la grande stanchezza in un campo. Nel sonno gli parve che un grande sciame di api gli pene­trasse nel corpo “per la sua segreta apertura naturale” per poi uscirgli dalla bocca con un grande ronzio, prendendo a tormen­tarlo con frequenti punture. Dopo averlo molestato a lungo, gli sembrò che le api gli parlassero e gli in­giungessero di operare fra gli uomini predicando e compiendo miracoli (Rodolfo dice: “gli ordinas­sero di fare molte cose impossibili agli uomini.”). Svegliatosi, Leutardo seguì l’invito divino; ripudiò la moglie, in­dossò le vesti del predicatore e si mise a pe­regrinare per villag-


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gi e città annun­ciando la seconda venuta del Salvatore e profetizzando il destino di quanti lo interpellavano o assistevano. I suoi atti ci illuminano assai più dei commenti di Rodolfo: entrato in chiesa, spezza il crocifisso, dichiarando che la morte umana di Cristo nega ampiamente la trascen­denza di Dio; si op­pone alle interpretazioni delle Sacre Scritture e alle epurazioni arbi­ trarie compiute dagli interpreti ortodossi; invita il popolo a ri­fiutarsi di pagare le decime perché la Chiesa vera deve essere po­vera; contesta la validità dei sacramenti e proclama la non validità del matrimonio, poiché è un legame contratto liberamente dall’uomo e dalla donna, che sono gli unici a poter decidere di scio­ glierlo. Non riesce a crearsi un forte movi-

mento, forse per­ché smascherato in tempo (Rodolfo ci ammannisce la consueta sce­netta del vero “uomo di Dio” che confonde l’impostore a cui non resta che af­ fogarsi in un pozzo), ma è il termometro di una ten­sione spirituale e sociale che di lì a un ventennio darà vita alle sètte dei Manichei. Le storie narrate presentano tutte delle costanti (l’origine popo­lare, l’invasamento a opera di fastidiosi insetti - la “follia sacra” degli sciamani -, le tracce di un forte paga­nesimo destinato a con­servarsi fino in epoca moderna nelle aree di rifugio, le attese escatologiche in chiave terrena, l’ambigua assimilazione del mes­ saggio cristiano) che non possono essere disconosciute o fretto­losamente attribuite a una sorta di modello adottato dalla

cultura ufficiale per stigmatizzare il falso profeta. Questi giullari di Dio che costrui­ vano il proprio comportamento sulle agiografie popolari dei santi taumaturghi e sui re­sidui delle vi­sioni messianiche pagane, interpretavano i fermenti spirituali e sociali di quei semplici da cui sapevano farsi comprendere. E tuttavia poco incisero sulle coscienze collettive, se non in brevi momenti e su un numero sostanzialmente ristretto di adepti, indubbiamente poco per attribuire loro il potere di scatenare la terribile paura dell’anno Mille, che infatti non ci fu, nostante un’infinità di segnali facessero presagire l’avvento di eventi straordinari. La storiografia più recente, da Cardini a Duby e Le Goff, ha ormai dimostrato a chiare lettere come 45


la paura della fine del mondo alla vigilia dell’anno Mille sia un mito romantico, fondato su un aneddoto per nulla provato secondo il quale alla vigilia di Capodanno dell’anno Mille una folla si sarebbe radunata a Roma in attesa della fine del mondo. La mezzanotte arrivò e non accadde

Storia nulla, sicché Papa Silvestro II, al secolo Gerbert d’Aurillac, dopo aver benedetto la folla la rimandò a casa. Lo condensa perfettamente Raoul Manselli quando afferma: ‘Il tornante della storia medievale è costituito dall’anno Mille. È storia senza consistenza considerare questo anno come l’attesa della fine del mondo; al contrario, si tratta dell’inizio di un periodo di grande risveglio, di grande rinnovamento sotto tutti gli aspetti.’ Comunque basta leggere le cronache del tempo per rendersi conto che la vita continuò a scorrere come sempre, gli uomini non si fermarono, non vi furono scene di panico, processioni di penitenti e di flagellanti, né i predicatori percorsero le vie invitando i fedeli a pentirsi e a confessare le loro colpe in vista dell’imminente fine del mondo. Di fatto, disponiamo di una sola testimonianza al riguardo, quella di un monaco dell’abbazia di Saint-Benoit-sur-Loire che annota: “Mi è stato raccontato che nell’anno 994, a Parigi, alcuni preti annunciavano la fine del mondo”. E quattro o cinque anni più tardi, all’immediata vigilia dell’anno Mille, aggiungeva: “Questi preti sono pazzi. Basta aprire il testo sacro, la Bibbia, per constatare come Gesù abbia detto che mai si sarebbe saputo il giorno, né l’ora”. La posizione della Chiesa era chiarissima come ci attesta un’anonima lettera a un vescovo di Verdun in cui si confuta la teoria che vedeva nelle recenti invasioni degli Ungari la discesa in campo dei popoli di Gog e Magog, le armate dell’Anticristo, preannunciata dall’Apocalisse. Anche il trattato De ortu et tempore Antichristi di Adso di Montier-en-Der pare scritto solo per stemperare una possibile attesa, perché, pur esaminando nei dettagli il significato della figura dell’Anticristo, non si pronuncia sull’epoca storica della sua venuta. E anche chi è più possibilista, si mantiene sul generico assegnando il valore di svolta epocale al cambio di millennio, ma sen46

za pronunciarsi su quando e come avverrà la svolta. Così Rodolfo il Glabro, che pure interpreta i fatti accaduti in prossimità dell’anno Mille come possibili segni dell’arrivo dell’ultima età del mondo, alla fine opta per la soluzione “ufficiale”: non la fine immediata e distruttiva del mondo, ma l’avvento di una nuova era annunciata da eventi terribili (perché misteriose sono le vie della Provvidenza divina che si serve del male per operare il bene) da cui scaturirà un mondo migliore. In effetti orribili presagi sembravano annunciare l’ormai imminente disastro, anche se si tratta di eventi che dal VI secolo avevano tormentato puntualmente l’Europa. Al solito pestilenze, guerre, carestie con il loro corte di disperazione, violenze inumane (la carestia del 997 registrò diffusi episodi di cannibalismo) e morte. Le cronache di Rodolfo il Glabro ci informano minuziosamente dei tragici fatti successi nel passaggio di millennio. A Orléans il vessillo con l’immagine di Cristo, custodito nel monastero di Saint Pierre-lePuellier, aveva cominciato a versare lacrime e aveva continuato a farlo per molti giorni; la gente arrivava da ogni parte per vedere il fenomeno. Poi un lupo era entrato nella cattedrale della stessa città e aveva afferrato con le fauci la corda della campana, suonandola a distesa finché i sacerdoti non erano riusciti a scacciarlo. Era chiaro che qualcosa di terribile incombeva su Orléans e infatti l’anno seguente la città era stata distrutta da un incendio. Numerosi altri incendi scoppiarono nelle città europee per tutto il X secolo; il Vesuvio entrò in eruzione, emettendo frammenti di roccia mista a fuoco. Nel 997 iniziò una spaventosa carestia, durata cinque anni, che portò miseria e fame in tutto il continente. Ovunque cadevano pietre dal cielo e apparivano mostri annunciatori di disgrazie. Per non parlare degli eventi astronomici: il 20 giugno 894, all’improvviso, in pieno mezzogiorno brillò nel cielo una sorta di cometa bianchissima, che si spostava lentamente. Il 21 ottobre di soli quattro anni dopo ci fu un’eclisse di sole; nel febbraio 998, in Germania, a notte fonda “si scorse un corpo celeste, brillante e rosso, vagante nel buio, che esplose improvvisamente e precipitò a terra, mentre la luna si tingeva di un rosso sangue”. E ancora: alla vigilia del millenio un altro messaggio divino, una cometa

bianchissima illuminò il cielo per l’intero autunno. Ce n’era abbastanza per credere nell’avvento degli ultimi giorni, ma la psicosi collettiva non scoppiò, né poteva essere altrimenti a ben pensarci: in assenza di forti personalità, i profeti dotati di carisma che appariranno solo due secoli dopo, con una struttura sociale fortemente sorretta dalla Chiesa, in un mondo dove ben pochi avevano nozione della misurazione del tempo (per tacere il fatto della coesistenza di calendari diversi) non c’erano le condizioni perché questo avvenisse. Giunse finalmente il fatidico Anno Mille ... e passò senza che accadesse nulla di catastrofico. I quattro cavalieri dell’Apocalisse erano sì arrivati, portando guerre, epidemie, carestie e morte, ma Satana e l’Anticristo non erano comparsi per far sprofondare il mondo in un abisso sulfureo. D’altra parte di guerre ce n’erano sempre state, le epidemie e le carestie erano ormai una tragica abitudine per chi aveva sopportato le orde dei barbari, le scorrerie dei Saraceni, i taglieggiamenti dei signorotti locali. Insomma, era arrivato il nuovo millennio e tutto continuava come sempre. Per la cronaca: i fautori della fine del mondo decisero che non il Mille era l’anno del giudizio, ma il 1033, cioè il millesimo anno dalla morte di Cristo. Ma passò anche questo anniversario senza conseguenze e la gente continuò a fare i conti con i 4 cavalieri dell’Apocalisse. P.40: 2002, Abbazia di San Galgano; p.41: Particolare di dipinto di scuola bizantina; p.42: 2006, Abbazia di Sant’Antimo; p.42(destra): Il crocefisso di Romsey, ca. anno 1000, pietra, Inghilterra; p.43: 2005, Antica abbazia sulla costa bretone, Francia; p.44: Manoscritto miniato; p.45: Uno dei Cavalieri dell’Apocalisse mentre esce dalla bocca dell’Inferno, Codex miniato, sec. XII ca; p.46: Cometa Lulin, febbraio 2009; p.47: I quattro cavalieri dell’Apocalisse, una delle tavole de L’Apocalisse, una serie di quindici xilografie di Albrecht Dürer, edite ca. 1496-1498 - (foto p.40, p.42 e p.43 Paolo Del Freo).


Storia

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L’Elba francese di Pierre Joseph Briot Isabella Zolfino

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parte I


G

li Inglesi avevano lasciato Portoferraio l’11 giugno 1802, alle prime luci dell’alba e la sera stessa erano arrivati i Francesi del Generale Rusca. L’Elba, fino a quel momento appartenente al Granducato di Toscana per il territorio di Portoferraio, al regno delle Due Sicilie per quello di Longone e ai Principi di Piombino per il resto, non era per niente francofila e non aveva nessuna intenzione di diventare francese. Il 14 messidor anno X (3 luglio 1802) Napoleone così scrive al Generale Berthier1: “Voi dovete, Cittadino Ministro, raccomandare al generale Rusca di disarmare gli abitanti di Portoferraio: di fare arrestare dodici fra i principali colpevoli e di farli imbarcare come ostaggi su una fregata che ha l’ordine di trovarsi a Portoferraio; di costringere 50 marinai, scegliendo fra quelli più avversi ai francesi, a imbarcarsi su questa fregata per prendere servizio nella nostra Marina; di prelevare con la forza 50 giovani che abbiano meno di venticinque anni e non siano sposati, per prendere servizio in una delle nostre demi-brigate di fanteria leggera; infine di scegliere, di concerto con il Commissario del Governo, le dodici famiglie più oneste dell’Isola d’Elba e che siano di interesse della Francia, per inviare i loro bambini in collegio a Parigi; infine, di inviare una deputazione di tre persone, le più in vista e le più istruite del posto”. Commissario del Governo francese era in quel momento Pier Joseph Briot, ardente repubblicano, giacobino e fervente italofilo. Era nato il 17 aprile 1771 in un paesino vicino a Besançon da famiglia agiata. Gli studi giovanili presso un collegio gestito da religiosi lo avevano indirizzato verso la carriera ecclesiastica ma ben presto si era reso conto che quel genere di vita non era per niente confacente alla sua natura. Intraprende quindi la carriera di avvocato ottenendo, alla fine dell’anno 1790, la cattedra di retorica al collegio di Besançon. Profondamente colpito dal colpo di stato del 18 Brumaire (9 Novembre 1799) con il quale Napoleone instituiva a Parigi il Consolato divenendo di fatto dittatore, Briot entrò nei ranghi dell’opposizione repubblicana che mirava a frenare la formazione di un potere personale fondato sul Primo Console. Il suo acceso attivismo politico, era stato tra gli avo-

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cats buttati fuori a colpi di baionetta dai granatieri di Murat, stava costando caro a Briot e fu solo la protezione di Luciano Bonaparte, conosciuto quando era membro del Consiglio dei Cinquecento e col quale resterà sempre in stretti rapporti di amicizia, a salvarlo dalla deportazione in Guyana. Grazie sempre alla sua intercessione ottenne il “perdono” dal Primo Console e dopo circa due anni di relativa inattività gli fu conferito l’incarico di Commissario Governativo all’Isola d’Elba, luogo dove fu “diplomaticamente esiliato”. Il suo mandato era quello di Commissario del Governo Francese2 con funzioni di Governatore Civile. La posizione dell’Elba, a causa della guerra che in quel momento imperversava alternando le posizioni di dominio della Francia, era molto incerta e Briot aveva ritardato il più possibile la sua partenza per l’Elba giungendovi solo nel marzo del 1802. Il 5 germinal dell’anno X della Repub-

blica (26 marzo 1802), infatti, la corvetta Mohavok, comandata dal capitano Gantheaume, gettò l’ancora nella rada di Porto-Longone, luogo di residenza del Generale Rusca che comandava le trup49


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pe d’occupazione dell’Isola d’Elba. Il Generale non fu molto contento dell’arrivo della nave con a bordo l’inviato del Primo Console; il cittadino Pierre Joseph Briot, ex legislatore, era stato mandato con la nomina di Commissario e con le funzioni di Governatore Civile: avrebbe sicuramente contrastato la sua autorità visto che l’isola, fino a quel momento, era stata sottoposta solo all’autorità militare. Da parte sua Briot aveva cercato di ritardare il più possibile il momento di occupare il suo posto di funzionario del Governo e il Generale Rusca aveva sperato, in cuor suo, di non vederlo arrivare mai; la nave, tuttavia, era arrivata e l’uomo inviato dal Primo Console non sembrava poi così sgradevole da frequentare, aveva appena trent’anni, un viso sorridente, un naso un po’ buffo e una verve inarrestabile. Il generale Rusca fu obbligato, suo malgrado, ad ospitarlo fornendogli un giaciglio e del pane. Dopo diversi giorni la condizione del nuovo Commissario non era affatto cambiata: era ancora alloggiato a Longone presso il generale e non esisteva alcuna possibilità di reperire una sistemazione migliore. La situazione era 50

perciò molto preoccupante ma il dovere per cui era stato chiamato era la sola cosa di cui doveva occuparsi. L’Elba era stata, fino a quel momento, un possedimento del Principato di Piombino. Il Principe nominava tutti i suoi funzionari e i magistrati, le cariche pubbliche erano appannaggio della borghesia e monopolio di poche famiglie, la giustizia era difettosa e l’istruzione era in mano ai religiosi “Zoccolanti” che dirigevano l’unico collegio dell’isola. L’agricoltura era praticata in modo rudimentale e la maggior parte delle terre risultava in stato di abbandono in quanto di proprietà della Chiesa. Unica ricchezza erano le miniere di ferro, le saline e la pesca del tonno. La popolazione era formata prevalentemente da contadini e pescatori ignoranti fortemente controllati da un Clero tradizionalista e in genere ostile alla Francia. Le istruzioni che Briot aveva ricevuto per il suo mandato erano molto precise: doveva limitarsi a ricoprire il ruolo di osservatore per permettere l’organizzazione dell’Isola sotto la direzione dell’Amministrazione della Corsica. Avrebbe dovuto studiarne la situazione sociale, economica e amministrativa

e mandare a Parigi, ogni dieci giorni, un rapporto sulla situazione del paese oltre a rendere conto a Miot, suo diretto superiore, dell’applicazione delle ordinanze e dell’attività della polizia locale. L’Elba si trovava quindi in una situazione assai deplorevole e i sopralluoghi effettuati da Briot misero in luce un quadro a dir poco disastroso. In più, il Generale Rusca, compatriota di Napoleone e per questo nelle sue grazie, si comportava proprio come un perfetto soldato: era violento, brutale e dotato di un brutto carattere e non si faceva scrupolo di usare la forza non solo con i militari ma anche con i civili taglieggiando il paese conquistato fino a rischiare di stancare, con il suo comportamento, lo stesso Napoleone. Sotto la direzione di Miot si pose comunque immediatamente al lavoro e con molto coraggio. Non trascurò niente: Amministrazione Generale e Municipale, Miniere di ferro e Saline, Marina, Dogana, Finanze, Agricoltura, Giustizia. Ogni campo fu attentamente studiato e organizzato in attesa di dotare l’Isola di un vero e proprio Statuto definitivo. Come Commissario del Governo aveva


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urgenza di far rientrare i fondi pubblici sui quali era autorizzato a prelevare il suo stipendio ma in cassa non c’era nemmeno un soldo e non c’era verso di reperire denaro; negli uffici dell’armée regnava il più perfetto disordine e Briot non sapeva dove mettere letteralmente le mani per quanto riguardava le entrate e le uscite. I Registri della passata Amministrazione, quella dei Principi di Piombino, erano spariti ed erano stati commessi molti sperperi di denaro a causa della guerra. Tutti chiedevano soldi, Rusca, il Commissario di Guerra, i soldati polacchi ... C’erano molte cose che avevano bisogno di essere messe a posto: impiegati e capitani del porto che incassavano i diritti di ancoraggio, agenti comunali che incassavano tasse sul vino e imposte; redditi ufficialmente ignoti ma ben conosciuti dai commissari di guerra che fino a quel momento si erano impossessati di quelli più interessanti ... Era arrivato il momento di mettere un po’ d’ordine in tutto questo marasma e il 3 floreal (23 aprile 1802), il Commissario Briot emanò il suo primo arreté avente per oggetto l’organizzazione della contabilità del reddito pubblico dell’Isola perché, come egli stesso dichiarò, l’etat des choses est tal que cette operation ne peut souffrir aucun retard.3 Cominciò separando la Cassa militare da quella civile, sospese i trattamenti economicamente esagerati riducendoli alle giuste proporzioni, nominò un funzionario incaricato degli incassi, un receveur géneral, scegliendolo fra gli abitan-

ti dell’Isola e così via. L’arreté prevedeva ben 12 punti. La situazione era così sconfortante e le risorse così magre che per sopperire alle prime necessità della sua Amministrazione Briot, per fronteggiare la situazione, si trovò obbligato a versare di tasca propria denaro nelle casse pubbliche. Ma quando la situazione generale stava arrivando al tracollo, i magazzini della farina erano quasi vuoti e il pane cominciava a scarseggiare, un colpo di fortuna inaspettato dette un po’ di ossigeno alle finanze: le compagnie concessionarie delle miniere accettarono di versare un cospicuo anticipo del loro canone per lo sfruttamento del minerale di ferro e un privato stipulò un contratto di nove anni per la pesca del tonno. Qualcosa finalmente cominciava a girare nel verso giu-

sto! Nonostante questo promettente inizio, a Briot non era comunque sfuggito il clima di malumore che serpeggiava fra gli Elbani che non accettavano l’idea di essere diventati francesi e, ancor di più, il fatto di non aver riscontrato una grande differenza fra i sistemi amministrativi utilizzati dal vecchio Governo e quelli del nuovo. Il Commissario allora, ricalcando quanto fatto a Besançon per la festa celebrativa della Rivoluzione, conciliò le direttive imposte dalla Francia con la necessità di addolcire gli animi: emanò un arreté (8 floreal anno X, 28 aprile 1802) col quale si stabiliva che il giorno 12 floreal avrebbe avuto luogo a Longone una grande festa in onore dell’annessione dell’Elba alla Francia. Il programma dell’evento avrebbe incluso una grande distribuzio51


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ne di pane e di altri generi alimentari ai più poveri e il generale Rusca, in qualità di esecutore testamentario del giudice spagnolo Alarion, avrebbe presenziato al matrimonio di una povera e onesta fanciulla alla quale sarebbe stata elargita la dote. La festa venne organizzata nei minimi particolari secondo le disposizioni del Commissario Briot. La cerimonia, anticipata da due colpi di cannone, iniziò alle nove e mezzo di mattino con la parata militare e la presenza del Clero benedicente. Un corteo 52

inalberò la scritta “alla Repubblica Francese e ai suoi Difensori” e Bonaparte fu acclamato come “Vincitore e Pacificatore”. Non mancò una Messa solenne nella chiesa parrocchiale alla presenza delle autorità civili e militari. Un bel successo davvero. Il Commissario Briot, nonostante tutte le difficoltà, stava riuscendo, con abili mosse, a far breccia nella tendenziale ostilità degli Elbani verso la Francia. Per quanto riguardava Portoferraio comunque, malgrado il Trattato di Amiens, la città era ancora in mano agli Inglesi che sembrava non volessero saperne di lasciare la città e gli abitanti erano convinti che i Francesi non sarebbero mai entrati perché presto l’Isola sarebbe tornata ai vecchi padroni. De Fixon, vecchio e tenace combattente deciso a non arrendersi come gli aveva ordinato il Granduca Ferdinando III, sbarrò le porte agli invasori francesi e fu solo dopo l’arrivo dell’ordine firmato dal Granduca che De Fixon, dopo aver fatto abbassare la bandiera granducale e innalzare quella municipale di Portoferraio, abbandonò la piazza nelle mani della guardia civica e dei più saggi fra i cittadini evitando che la capitolazione della

città potesse essere imputata alla guarnigione toscana. Appena gli Inglesi e il De Fixon ebbero lasciato la città di Portoferraio, imbarcandosi alla volta di Livorno (11 giugno 1802), gli abitanti, abbandonati a se stessi, non persero tempo ad inviare una delegazione di cittadini dal generale Rusca a Longone per invitarlo prendere possesso della loro città in nome della Repubblica. Rusca accettò l’invito con distinzione4 e, la sera stessa, entrò in città in testa alle sue truppe e con le bandiere spiegate. l’Elba era diventata così ufficialmente francese. Il giorno dopo anche il Commissario Briot fa il suo ingresso in Portoferraio ma l’accoglienza che riceve è piuttosto gelida a conferma che i Francesi non sono i benvenuti. Come Commissario del Governo Francese offre la carica di sindaco all’arciprete Barberi5 che rifiuta in favore di Vincenzo Vantini accettando solo di fargli da Aggiunto; accoglie poi, come primo atto, il suggerimento del nuovo Sindaco di restituire gratuitamente ai legittimi proprietari, a nome del Governo, i beni impegnati al Monte di Pietà di valore inferiore a 6 franchi6.


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Il giorno 28 prairial (17 giugno) dell’anno X della Repubblica, la stessa cerimonia festosa che aveva avuto luogo a Longone il 12 floreal si ripete a Portoferraio e Briot, preceduto da un drappello di Granatieri e da autorità civili e militari, si dirige verso la chiesa dove, dopo una messa solenne e l’immancabile processione, l’Arciprete intona il Te Deum e Domine salvam fac Rempublicam. Nonostante le cose stessero procedendo per il meglio sia dal punto di vista amministrativo che contabile, nessuno si sarebbe mai aspettato che qualcosa avrebbe potuto sconvolgere questi programmi: del tutto inaspettatamente arrivò infatti la notizia della destituzione di Briot che sembrava non avesse mai aperto la corrispondenza con Parigi visto che il Primo Console lamentava di non aver mai ricevuto i rapporti periodici che il Commissario aveva l’obbligo di inviare ogni dieci giorni. Napoleone ignorava che la mancanza di notizie fosse dovuta alla difficoltà delle comunicazioni con la Francia e non alla negligenza del Commissario. Del resto, il decreto della sua stessa destituzione portava la data del 27 germinal e Briot aveva ricevuto la notizia della

disgrazia solo il 20 floreal, cioè circa un mese dopo; non basta, lo stesso Lelievre, membro del Consiglio delle Miniere, chiamato a sostituirlo, non poté che arrivare a metà estate per lo stesso motivo. In attesa del suo successore e malgrado la sua cattiva fortuna, Briot pensò bene di utilizzare al meglio il tempo restante pur nella convinzione che il Governo non gliene sarebbe stato riconoscente: nominò un Ispettore delle Foreste, un Ispettore del Demanio, Giudici e Cancellieri del Tribunale, inoltre, e non cosa da poco, decretò l’applicazione del sistema metrico decimale7. La penuria di soldi complicava sempre più la situazione anche perché le truppe già da tempo non ricevevano la loro paga. A Portoferraio, per fortuna, gli edifici, a parte le saline, non avevano avuto troppi danni a causa del lungo assedio; solo la lanterna del faro aveva bisogno di qualche riparazione. Quindi, la cosa più urgente era quella di liberare la città dai grandi cumuli di immondizia che erano stati ammassati in tutti quei mesi e, per questa operazione, Briot decise di utilizzare i 65 forzati che la passata amministrazione aveva così “generosamente” abbandonato ai Francesi.

Il Generale Rusca non aveva nessuna intenzione di mantenerli vista anche la grave situazione finanziaria in cui versava l’Armée ma Briot, in attesa di poter rispedire i forzati al Re d’Etruria, decise di impiegarli per questa operazione di pulizia cittadina. Alla data dell’11 messidor, in cassa non c’era più il becco di un quattrino e le scorte di farina e di pane erano appena sufficienti per altri 25 giorni; in più non perveniva alcuna notizia di un eventuale altro incarico che lo riguardasse e il suo successore non dava segni del suo arrivo. Alla fine Lelievre arrivò, sbarcò a Portoferraio e, senza alcun indugio, si istallò subito al posto di Briot diventato ormai ex Commissario del Governo Francese. Non appena il suo successore Lelievre fu in grado di occupare il suo posto a Portoferraio, cioè il 13 messidor anno X8, 2 luglio 1802, l’ex Commissario del Governo Francese Briot lasciò l’Elba ma non andò però subito a Parigi perché, dopo aver inviato al Ministro degli Interni Chaptal una lunga lettera con le giustificazioni inerenti il suo operato9, il 4 thermidor dell’anno X della Repubblica (23 luglio 1802) Briot si recò personalmente e senza indugi da André-François Miot, Am53


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ministratore della Corsica, per parlargli della sua destituzione e chiedere che gli venisse resa giustizia. Miot ascoltò le sue ragioni e, convinto della integrità e della buona fede di quello che ormai era l’ex Commissario del Governo Francese all’Elba, convenne che era giusto intervenire in suo favore presso le Autorità competenti. Dopo aver effettuato questa importante mossa in Corsica, Briot andò a Livorno per imbarcarsi alla volta di Marsiglia e raggiungere Parigi verso la fine del mese di fructidor (metà settembre 1802) ma qui i suoi progetti furono ancora una volta sconvolti: l’incarico alla Prefettura dell’Alto-Reno di cui gli era stato parlato e che aveva sollecitato era svanito; gli si prospettava però la possibilità di tornare all’Elba per rimpiazzare Lelievre, forse a causa del fatto che quest’ultimo non aveva trovato quel posto molto gradevole o perché Bonaparte era ritornato sulla sua prima decisione dopo aver giudicato gli sforzi di Briot più meritori di quanto avesse pensato in un primo momento. Non si conosce il vero motivo del ripensamento del I Console: l’appoggio del Ministro Chaptal, le insistenze sia di Giuseppe che di Luciano Bonaparte, entrambe le cose ... tutto sembrava procedere affinché potesse riprendere il suo posto, tutto sembrava avviarsi alla soluzione. Briot, comunque, non aveva alcuna intenzione di restare inattivo e, nell’attesa che gli venisse confermata la notizia di poter riprendere il posto tanto dibattuto, mise a profitto la sua presenza a Parigi preparando, grazie alle conoscenze e all’esperienza acquisita durante il suo soggiorno elbano, un progetto sull’organizzazione amministrativa dell’Isola d’Elba. Il documento fu presentato al Consiglio di Stato che lo accettò senza riserve, naturalmente dopo l’approvazione del I Console10. Era il 22 nivose dell’anno XI della Repubblica (13 gennaio 1803) e l’8 pluviose dello stesso anno (28 gennaio) il I Console firmò l’atto che lo riabilitava definitivamente e gli conferiva il titolo di Commissario Generale. Ora, con la piena la fiducia di Napoleone, Briot poteva fare ritorno all’Elba, ma questa volta le condizioni erano diverse, aveva la nomina di Commissario Gene-


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rale e un grande progetto per l’emancipazione dell’Isola. Il giorno 23 germinal dell’anno XI, il Cittadino Lelievre11 così informò i vari Mairies dell’Elba e Dipendenze: “Ho il piacere di annunciare che le mie funzioni di Commissario del Governo all’Isola d’Elba cessano con l’arrivo del Cittadino Briot nominato Commissario Generale con un Arreté del Primo Console dell’8 pluviose scorso; voi dovete essere lieti che la scelta del Primo Console sia caduta su un uomo che voi conoscete e di cui avete grande stima sia come amministratore che come buon organizzatore”. Claude-Hugues Lelievre12 era un uomo notevole, non era certo un politico ma un valente scienziato, uno dei più illustri chimici e grande esperto di mineralogia. Nominato da Napoleone Ispettore Generale per organizzare le miniere all’Isola d’Elba, non passò alla storia per la sua parentesi di amministratore francese all’Elba ma per il suo talento scientifico che lo portò, fra l’altro, a scoprire, proprio all’Elba, un nuovo minerale a base di calcio e ferro, l’ilvaite, che in suo onore fu chiamata lievrite.

Ma la sua vocazione non era quella di fare il Commissario del Governo e fu quindi ben felice di lasciare quel posto a Briot, un uomo che, ricambiato, apprezzava e stimava molto gli Elbani. L’Elba, insieme all’isola di Capraia, Pianosa, Montecristo e Palmaiola, formava una grande Circoscrizione Amministrativa alla cui testa c’era un Commissario Generale che disponeva di ampi poteri. Questo importante funzionario era incaricato di svolgere le sue funzioni amministrative rispondendo solo ai Ministri con i quali corrispondeva direttamente a seconda della natura degli affari da trattare. Come Commissario esercitava tutte le funzioni tipiche del Prefetto e, come tale, aveva diritto anche ad un Segretario Generale ma, differentemente dal Prefetto, aveva il potere discrezionale di sospendere i funzionari e renderne conto solo al Ministro competente. [segue...] ______________

2 Pierre–Joseph Briot, un revolutionnaire franccomtois. – di Maurice Dayet, Annales Litteraires de l’Universitè de Besançon, 241. 3 Dal Registre des arreté du 3 floreal an X jusque au 29 germinal an XI - nota n.1 - A.S.C.Pf. - Collocazione F1. 4 Da: Storia dell’Isola d’Elba di Giuseppe Ninci. 5 Nota 2. 6 Dal Registre des arreté du 3 floreal an x jusque au 29 germinal an XI - nota n.16 - A.S.C.Pf. Collocazione F1. 7 Nota 2. 8 nota del 13 messidor an XI Registre n. 1 Corrispondance 13 germinal an X – 24 brumaire an XXI - A.S.C.Pf. – Coll. I 2. 9 Nota 2. 10 Regnaud de Saint Jean d’Angely, President de la section de l’Interieur du Conseil d’Etat à Briot, 20 niv. An XI: le projet relatif à l’organisation de l’Ile d’Elbe a passé au Conseil d’Etat samedi dernier (Papier Briot) A.N. AF IV-82. 11 nota del 23 germinal an XI - Registre n. 1 Corrispondance 13 Germinal an X – 24 Brumaire an XII - A.S.C.Pf. – Coll. I 2. 12 Biographie universelle ancienne et moderne: ou histoire, par ordre ...: Volume xxiv, p.52 Louis Gabriel Michaud - 1859.

Note:

P.48 e 55: Napoleone lascia l’isola d’Elba (part.); p.49 e 52: Stemmi napoleonici su residenze patrizie elbane; p.49: Ritratto a stampa di Briot; p.50: 2010, Portoferraio (foto Paolo Del Freo); p.51: Il generale Rusca e Lelievre (vd. testo articolo); p.52, 53 e 54: Abbigliamento e suppellettili napoleonici.

1 Dal Registro della Corrispondenza di Napoleone I – nota n. 6160.

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Medicina

Federico II e la medicina Paolo Maggi


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ederico II, tra i suoi molti meriti, ebbe anche quello di circondarsi di illustri uomini di scienza e di promuovere l’arte medica: convocò alla sua corte matematici come Leonardo Fibonacci, studiosi della nascente astronomia come Michele Scoto, e molti medici. Nel 1224 fondò l’Università di Napoli, prima istituzione statale e laica che, priva di ingerenze confessionali, riuscì ad attirare menti libere da ogni parte dell’Impero. Riordinò inoltre la Scuola Medica Salernitana dove, in assoluta controcorrente rispetto ai tempi, fu istituita la prima cattedra di Anatomia. Ricordiamo infatti che la pratica della dissezione era considerata un’eresia dalla chiesa cattolica e gli studi anatomici a quei tempi si effettuavano per lo più in clandestinità. La Corte sveva divenne così uno straordinario centro culturale e scientifico destinato ad essere ricordato, nella memoria dei posteri, come un’isola felice. I rapporti tra Federico e la medicina mi permettono di fare alcune considerazioni, forse non ovvie, sulla scienza nel Medioevo. Federico non avrebbe potuto essere un mecenate di menti scientifiche libere e creative se, comunque, non vi fosse stata, a quell’epoca, una grande vivacità intellettuale in molti campi del sapere scientifico. Sarebbe davvero l’ora di smentire definitivamente l’idea che il Medioevo sia stato, da questo punto di vista, un’era buia. Il Medioevo è stata certamente caratterizzata da una forte spiritualità, e non capire questa caratteristica, anche nel campo della scienza, vuol dire non capire ciò che in quell’epoca stava succedendo. La vera grande differenza tra il Medioevo e il Rinascimento, anche in campo scientifico, è il fatto che il primo poneva al centro la Divinità, il secondo l’Uomo. Certo, il ruolo della Chiesa è stato assai spesso un grande freno al progresso scientifico, ma non è mai davvero riuscito a fermarlo. E a prova di ciò vi è la constatazione evidente che quanto è successo dal XVI secolo in poi in campo di conoscenza tecnico-scientifica, è frutto di un lungo cammino iniziato nel Medioevo, se non prima. Ma facciamo qualche esempio che ci possa aiutare a chiarire meglio quanto sia stato vivace il pensiero scientifico anche in un’epoca considerata, spesso ingiustamente, di oscurantismo. Nel Medioevo sorgono strutture che, pur so-

migliando molto vagamente ai moderni ospedali, ne saranno gli antesignani. Ed è nel Medioevo che molti uomini di scienza lasciano all’umanità scoperte ed invenzioni di fondamentale importanza. Alberto Magno scopre la lisciva di potassio e descrive il cinabro, la biacca e il minio. Raimondo Lullo scopre il bicarbonato di potassio, Johann Rudolf Glauber il solfato di sodio, Blaise Vignere l’acido benzoico, Giovanbattista della Porta il monossido di stagno, Basilio Valentino l’acido solforico e l’acido cloridrico, Johannes Baptista Van Helmont i gas, Brandt il fosforo. Si deve inoltre ad una donna, Maria l’Ebrea, la scoperta del bagno-maria. Non è un caso che i nomi che ho appena citato siano più

noti presso il grande pubblico come quelli di alchimisti, piuttosto che di scienziati. Mondino de’ Liuzzi, medico medievale, realizza le prime dissezioni anatomiche e, nel 1316, pubblica un trattato di anatomia che apre l’era degli studi autoptici e costi-

Medicina tuisce in punto di riferimento fondamentale per chi si dedicherà successivamente alla pratica chirurgica. È ancora nel Medioevo che nascono gli occhiali. “Con gli occhiali non solo gli uomini di studio, ma anche chi si dedicava ad attività commerciali e artigianali hanno prolungato e au-

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mentato le proprie capacità di applicazione. È come se le energie intellettuali di quei secoli si fossero raddoppiate, se non decuplicate” (U. Eco, L’Espresso del 25 febbraio 2009). Per dirla insomma con le parole di Paolo Rossi, il Medioevo rappresenta, “… un antico e saldo patrimonio di idee al quale attingevano a piene mani non solo Bruno e Campanella e Robert Fludd, ma anche personaggi come Bacon e Gilbert, Kepler e Newton”. Non si può d’altro canto negare che, dopo il crollo dell’Impero Romano, la scienza medica in Occidente non se la passasse molto bene: alcuni settori andarono in regressione, molte conoscenze vennero perdute o comunque rimasero patrimonio di pochi. Questa decadenza è in parte dovuta alla disgregazione sociale ed economica dell’Occidente, in parte al ruolo di censura della Chiesa. Si deve agli Arabi, in realtà la conservazione della tradizione medica dell’antichità e il suo successivo sviluppo durante il primo Medioevo. Questi diedero vita a una cultura complessa che fu luogo di sintesi di varie scuole mediche e filosofiche. Per chi vuole una realistica ricostruzione della medicina di quei tempi, consiglio il romanzo Medicus di Noah Gordon, che racconta l’avventu58

ra di un giovane cerusico inglese che raggiunge Isphasan per laurearsi in Medicina alla scuola del grande Ibn Sina, meglio noto come Avicenna. Gli Arabi raccolsero l’eredità dei Greci e dei Latini, ma anche degli Assiri, degli Ebrei e degli Indiani (a questi ultimi si deve l’uso di sostanze quali il borato, l’allume, il solfato di ferro…) e diedero un contributo personale al progresso medico introducendo nuove piante medicinali, come l’anice, la cannella, la rosa, il sandalo, la zucca, la noce moscata, mentre con l’alcool e lo zucchero di canna preparavano sciroppi, conserve ed elisir. Dobbiamo così all’opera della cultura arabo-islamica se l’Europa medievale riuscì a recuperare il grande bagaglio ereditato dal mondo classico, perduto in Occidente, con l’aggiunta di nuove importanti scoperte. E ciò avviene quando si iniziano a tradurre i testi dall’arabo in latino. Va menzionata a questo proposito, per la sua importanza in quel periodo, la famosa Articella, raccolta di testi medici di Galeno, Ippocrate e altri classici, unitamente agli scritti dei commentatori arabi. Dunque la scienza non scompare nel Medioevo, ma è certamente vero che la medicina soffre molto dell’ipertrofico ruolo della Chiesa, che spesso vede la cura e l’attenzione

per il corpo come un pericoloso attentato al primato dello spirito. E si dovrà attendere l’arrivo di Cartesio, con la sua strategica divisione di competenze tra corpo e mente (il corpo alla scienza e la mente alla Chiesa) per sdoganare lo studio del corpo umano dai veti ecclesiastici. Certo, i medici servivano, anche ai preti. E spesso, essendo considerato un mestiere per certi versi impuro, si tollerava che venisse esercitato da non cattolici, per esempio dagli Ebrei, che già si occupavano di un’altra disciplina, all’epoca considerata impura: le finanze, cioè il denaro e, dunque, lo sterco del diavolo. E non è un caso che vi sia una plurisecolare tradizione di medici ebrei in Vaticano: salvo rarissime eccezioni, sin dai tempi più remoti non vi fu Papa che non avesse il medico personale ebreo e, in genere, lo stesso archiatra era Ebreo. Ebbero un archiatra pontificio ebreo Nicolò IV, Benedetto IX, Alessandro VI, Giulio II, Clemente VII, e altri. Ma anche vescovi e cardinali chiamavano medici ebrei al loro capezzale. E, per non essere da meno, a imitazione dell’alto clero, anche i nobili amavano servirsi di medici ebrei. Uno dei più famosi è il marchigiano magister Elia di Sabbato che, chiamato a Roma nel 1405 come medico di curia da Innocenzo VII, diventa poi archiatra di Martino V. Nel 1410 è in Inghilterra presso re Enrico IV. Al suo ritorno, la sua città natale Fermo gli conferisce il raro titolo nobiliare di miles, ma viene riconfermato nella carica di archiatra presso il papa Eugenio IV. È poi chiamato a Milano dai Visconti e infine dagli Este a Ferrara. Si capisce dunque alla luce di queste considerazioni come sia stato importante in quell’epoca il ruolo di Federico, sempre particolarmente attento a quello che proveniva dalle altre culture, araba, ebraica o altro. È per questo che egli chiama in cattedra medici ebrei ed arabi ad insegnare alla Scuola Medica Salernitana. Il suo amore per la sapienza coltivata presso altre culture fu del resto la ragione per cui chiamò alla sua Corte Leonardo Fibonacci, che aveva trascorso molti anni in Algeria e in Turchia, a Costantinopoli, per imparare la matematica dagli Arabi. All’epoca di Federico II i principali centri di cultura medica erano Salerno (già dal IX sec.), l’università di Bologna (fondata nel 1088) e, allora meno importante, quella di Padova (fondata nel 1222). Come si diceva, a lui si deve


il riordino della Scuola di Salerno che sotto il suo Regno raggiunge il culmine dello splendore. La formazione del medico nella Scuola Salernitana richiedeva obbligatoriamente anche lo studio della filosofia, della logica e della dialettica. Il medico insomma doveva essere un sapiente. La tradizione di quella scuola influenzò non solo l’Italia, ma anche altre nazioni, come la Francia. Come accennavo prima, sotto la spinta della Scuola Salernitana nacque anche un sistema embrionale di ospedalizzazione per l’osservazione continuativa e la cura dei malati. Una leggenda, che merita di essere ricordata, racconta che la Scuola sia stata fondata da quattro medici: l’arabo Adela, l’ebreo Helinus, il greco Pontus e il latino Salernus. Si tratta certamente di una leggenda, ma è ben chiaro il suo messaggio: in quella Scuola confluivano le tradizioni mediche di quattro diverse culture. Vi fu anche una iniziale influenza della Abbazia di Montecassino, dove si erano conservate alcune conoscenze mediche dell’antichità. La Scuola di Salerno comunque resta laica, anche se composta da credenti. Figure importanti del periodo iniziale della Scuola furono Alfano (1010-1085), monaco benedettino e studioso di medicina, e Costantino Africano (1015-1087), medico ippocratico, studioso della scienza dei Caldei, degli Arabi, dei Persiani, degli Indiani e degli Etiopi. Costantino fu un grande traduttore di testi dall’arabo in latino, tanto da avere la fama del primo divulgatore della scienza medica araba in Occidente, il che ci riporta inevitabilmente alla leggenda dei quattro simbolici fondatori. La Scuola Salernitana era attentissima alla prevenzione delle malattie. Citando Bartolomeo di Salerno (XII sec.): “La medicina pratica si divide in due parti: la scienza che conserva la salute e quella che cura la malattia... conservare la salute è cosa che si può fare meglio e con più certezza che non ripristinare la salute una volta che è andata perduta ...” La Scuola aveva prodotto anche un completo prontuario farmaceutico, in gran parte dovuto a Niccolò Salernitano: l’Antidotarium (XI-XII sec.). In esso viene citata la spongia o spugna soporifera, mediante la quale venivano inalate sostanze narcotiche come l’oppio o la mandragora, per anestetizzare i pazienti durante le operazioni chirurgiche. La spugna veniva

preparata imbevendola di queste sostanze narcotiche e poi essiccata: al momento dell’uso si inumidiva con acqua calda e il principio attivo veniva assunto o bevendo il succo o per inalazione. Naturalmente il metodo comportava frequenti rischi da sovradosaggio, che potevano portare anche alla morte del paziente, ma si trattava di un primo embrione della scienza anestesiologica che si sviluppò compiutamente solo dal XIX secolo in poi. Un’altra dimostrazione di come il Medioevo sia stato per certi versi un’epoca di inaspettata modernità è il ruolo delle donne in medicina. Le cronache dell’epoca ci ricordano una serie di dottoresse: Abella, Mecuriade, Rebecca Guarna, Costanza Calenda e Trotula de Ruggiero. Quest’ultima era una dottoressa della Scuola Medica Salernitana, vissuta in pieno Medioevo, ai tempi di Gisulfo II, l’ultimo principe longobardo di Salerno. Ostetrica e levatrice, venne definita quasi magistra con cui pochi, anche tra gli uomini, potevano rivaleggiare. È autrice di vari testi di medicina, rimasti famosi per lungo tempo: De mulieribus passionibus in ante et post partum, De aegritudine curatione, De epilepsia, De oculis, De pleuresi, De gengivis, ecc. Nel De mulieribus passionibus in ante et

post partum, vero e proprio trattato di ostetricia e ginecologia, si parla della affezioni della donna, della gravidanza, del parto e del puerperio, con consigli per la cura del neonato. L’ultima parte del trattato è dedicato alla cosmesi della donna dopo il parto, per riacquistare la bellezza e

Medicina garantire la salute del corpo. Questo testimonia molto bene il concetto di salute che avevano i medici dell’antichità, che andava ben oltre la semplice cura della malattia. Va ricordato ancora che nell’Italia meridionale, durante il Medioevo, le medichesse avevano un ruolo sociale, pubblico, ben definito, in particolare nel campo della ginecologia e della chirurgia. Si possiedono anche testimonianze iconografiche della presenza della donna in campo medico: infatti le miniature medievali, che corredano i libri di medicina, non di rado mostrano figure femminili impegnate in attività mediche e chirurgiche, come le suture: in fondo il cucire apparteneva di assoluto diritto alla tradizione delle arti muliebri. Ed è proprio la storia di una medichessa medievale che ci fa capire molte cose sul

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ruolo della scienza in quell’epoca: si tratta della monaca benedettina tedesca Ildegarda di Bingen (1098-1179), badessa del convento di Disibodenberg, famosa per le doti religioso-visionarie, ma anche per le conoscenze in campo medico-sanitario e, più in generale, naturalistico. Ad esempio,

Medicina il suo testo Causae et curae costituì a lungo un prezioso compendio del sapere medievale in questi campi, scritto appositamente per diffonderlo anche tra i ceti popolari. Ildegarda inseriva i suoi insegnamenti in una cornice teologica e cosmologica di grande spessore dottrinario, in cui traspare di frequente la concezione olistica ed empatica del creato, ad esempio quan-

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do, pur rifiutando l’astrologia come scienza delle previsioni sul futuro, afferma che gli astri sono legati alla vita dell’uomo e ne sono talvolta influenzati, in una catena sottile di azioni e reazioni. La Chiesa, soddisfatta di una visione della medicina che ruotava intorno alla spiritualità, teneva nella più alta considerazione la badessa di Disibodenberg, che fu molto ascoltata per i suoi consigli da alcuni papi e da personaggi come Federico Barbarossa. Ma Federico pone sotto la sua ala protettrice un manipolo di eretici che stanno preparando, in pieno Medioevo, una grande rivoluzione scientifica. Sono gli Alchimisti. E la loro grande rivoluzione è quella contro la filosofia naturale. Questa ribellione si concretizzerà in due forme diverse: con la presenza di una scienza alternativa a quella accademi-

ca, che serpeggerà per tutta l’antichità e il Medioevo e, successivamente, con un ripensamento globale del pensiero scientifico, che inizierà nel Rinascimento, e che si fonderà sulla diffusione di un pensiero naturalistico basato sull’osservazione diretta della natura e sull’uso del metodo sperimentale. Nel nome di Aristotele si sviluppa infatti nell’antichità una dottrina dogmatica detta filosofia naturale che non si basava sulla sperimentazione, ma sul principio di autorità. Essa non accettava che i fenomeni naturali dovessero essere esplorati in modo pragmatico e non riconosceva il metodo sperimentale come la strada maestra per raggiungere la conoscenza della realtà. L’abuso del principio di autorità perpetrato nel nome della filosofia naturale portava a grottesche conseguenze: quando nel XVI secolo si iniziarono, tra mille difficoltà, le prime dissezioni sistematiche di cadaveri umani, ci si accorse che il fegato non era affatto come lo aveva descritto Galeno che, per altro, aveva compiuto le sue osservazioni solo su fegati di maiale. Tuttavia il principio di autorità era talmente radicato nei medici dell’epoca che uno di loro, guardando un fegato umano dal vivo, esclamò: “Che strano, evidentemente i miei sensi mi ingannano se vedo questo fegato così diverso da quanto Galeno descrive!”. La ribellione alla filosofia naturale genera un filone culturale, oggi dimenticato, che si identifica con la tradizione magico-alchemica. Questa scuola avrà una vita assai lunga ed una profonda influenza sulle origini del metodo sperimentale moderno. Gli Alchimisti infatti e tutti gli oppositori della filosofia naturale abbandonano lo studio della natura insegnato nelle università e adottano un approccio basato sulla sperimentazione. E sarà proprio seguendo l’esempio della tradizione magico-alchemica che molti grandi uomini di scienza come Galilei, Newton e Bacone animeranno la cosiddetta Rivoluzione Scientifica a cavallo fra il XVII e il XVIII secolo. Questi maestri della rivoluzione scientifica, con il loro giocare a fare i maghi, adottarono e svilupparono il metodo sperimentale rendendolo uno dei più efficaci strumenti di investigazione della natura. Paracelso è stato uno dei più noti esponenti del filone magico-alchemico. Ma non dimentichiamoci che alla Corte di Federico vi era anche Michele Scoto


che, oltre ad essere un grande matematico ed astronomo, si dedicava anche alle predizioni, tanto che Dante, nel Canto XX, lo sprofonda nella Bolgia degli indovini. Ma del resto evitiamo di condannare questi aspetti di una scienza ancora commista con la magia: Newton e Galilei facevano la stessa cosa quattro secoli dopo, in piena rivoluzione scientifica. Il nostro discorso sul pensiero medico ai tempi di Federico II non si può concludere senza citare quanto egli fece in campo di legislazione sanitaria. Egli infatti introduce il principio della regolamentazione statale dell’attività medica come dovere dei governanti a tutela della salute dei sudditi. Il testo in cui sono citate le sue disposizioni sono le celebri Costituzioni di Melfi, promulgate dal sovrano nel 1240 dopo una elaborazione decennale (Constitutionum domini Federici secundi sacratissimi Romani imperatoris Ierusalem et Siciliae serenissimi regis felicis triumphatoris et semper augusti). La saggezza e la lungimiranza di Federico II risaltano in pieno dalla lettura delle Costituzioni. Il diritto della comunità alla tutela della propria salute, anche a livello ambientale, è messo al primo posto di fronte agli interessi di singoli e gruppi. Il malato viene protetto dagli abusi del medico o dalle truffe dei cosiddetti “preparatori” di farmaci. In particolare i poveri hanno il diritto di essere curati senza spese. Si esige che il medico possieda una professionalità al di fuori di ogni dubbio, attestata da “maestri” e verificata con un esame di stato. Gli si vieta per legge di associarsi con i farmacisti e di gestire laboratori dove vengono preparati i farmaci (divieto oggigiorno ampiamente aggirato). Una grande attenzione viene poi posta nel codificare l’attività del chirurgo. Questi interventi pubblici di Federico lasciarono un segno indelebile, ben visibile anche ai giorni d’oggi, nei rapporti tra medicina e società. ________________ Bibliografia: G.Monastra. La cultura medica nell’età di Federico II. www.estovest.net/tradizione/ medicmedev.html AA.VV., Il farmaco nei tempi, Milano, 1990. — I secoli d’oro della medicina, Modena, 1986. — La Scuola Medica Salernitana, Napo-

Medicina

li, 1988. — Storia della medicina, Roma, 1994. L.C.Arano, Tacuinum sanitatis, Milano, 1979. Ugo de Fouilloi, La medicina dell’anima (De medicina animae), Torino, 1998. Ildegarda di Bingen, Cause e cure delle infermità, Palermo, 1997. J.C.Dousset, Storia dei medicamenti e dei farmaci, con introduzione di W. Sannita, Genova, 1989. P.M.Jones, Materia medica, The British Library e Centro Tibaldi, 1997. Frank J. Lipp, Le erbe, Torino, 1998. Giacomo Mottura, Il giuramento di Ippocrate - I doveri del medico nella storia, Edi-

tori Riuniti, Roma, 1986. Seyyed H. Nasr, Scienza e civiltà dell’Islam, Milano, 1977. G.Penso, La medicina medievale, Saronno, 1991. L.Sterpellone, La medicina greca, Saronno, 1998. L.Sterpellone e M.Salem El-sheikh, La medicina araba, Saronno, 1995. T.Zucconi, Guglielmo da Saliceto e la chirurgia dei suoi tempi, Monografie di storia locale, Piacenza, 1977. P.56-61: Medici esercitanti la professione in vari codex miniati medievali; si noti in particolare il dentista durante una estrazione a pag. 56.

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Mysterium

I misteri di Glastonbury Maurizio Galafate Orlandi

parte I


Mysterium

I

ntroduzione Quando si parla di geografia ed antropologia del mistero il pensiero corre a Glastonbury, un luogo dove il mistero è l’indiscusso protagonista. Il biancospino divino, lo sgorgare di acqua dai poteri curativi da antiche sorgenti, il ricordo, ancora molto vivo, di culti antichissimi come quello della Dea Madre e l’identificazione della città con la mitica isola di Avalon, ne sono soltanto un esempio. Molte delle leggende che alimentano i misteri di Glastonbury nascono da fatti storici accertati ai quali, nel corso dei secoli, si sono sovrapposti svariati racconti popolari che non hanno più permesso di distinguere le une dagli altri. La tradizione popolare considera questa cittadina del Somerset un luogo dove la magia dei Celti vive ancora, dove la tradizione celtica è fonte di insegnamento, e come tutte le tradizioni deve essere conquistata momento per momento, lungo tutto il cammino della nostra vita, soltanto così ci potrà aiutare a ritrovare

noi stessi. Non dovremo mai assoggettarci ad essa passivamente, la nostra dovrà essere una partecipazione attiva, solo a questa condizione ci trasmetterà il patrimonio sapienziale che racchiude in sé. Poniamoci ora la domanda: qual’è la funzione della tradizione? La risposta non può essere che questa:La tradizione ha la funzione di trasmettere il patrimonio culturale dei popoli accumulatosi nel corso della loro storia e della loro evoluzione, ed i valori etici che ne emergeranno ci renderanno più sensibili a tutti gli aspetti che caratterizzano la società moderna. Quanto parliamo di Glastonbury e dei suoi misteri, parliamo della leggenda di Artù, di quella di Giuseppe di Arimatea e del sacro Biancospino sulla Wearyall Hill, parliamo del Tor, del Pozzo del Calice, dell’Abbazia, parliamo di Gog e Magog e delle Ley Lines, su una delle quali si trova la stessa Glastonbury. L’isola di Avalon L’identificazione di Avalon con Glastonbury è stata da sempre oggetto di discus-

sione ed anche oggi non tutti sono d’accordo che l’una si identifichi nell’altra, anche se è proprio Glastonbury ad essere sempre più spesso indicata come il luogo ove venne sepolto Artù. Nel medioevo l’associazione di Re Artù con Avalon iniziò ad essere valutata con attenzione mentre, precedentemente, le leggende arturiane narravano soltanto le sue gesta. Geoffrey di Monmouth, nella sua opera intitolata Storia Britannica, scritta tra il 1135 ed il 1140, sostenne che “l’ultima destinazione terrena di Artù fu Avalon”. Successivamente, Giraldus Cambrensis, vissuto tra il XII ed il XIII secolo, visitò l’Abbazia di Glastonbury per raccogliere personalmente notizie sulla sepoltura di Artù e per verificare quali fossero stati gli eventi realmente accaduti ed oggetto tutt’oggi di accese dispute. Come risultato della sua indagine Giraldus ci lasciò questa testimonianza: “Enrico II apprese da un poeta gallese che Re Artù venne sepolto nell’Abbazia di Glastonbury e trasmise la notizia all’abate 63


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di allora”. Più tardi, intorno al 1190 circa, vennero effettuati alcuni scavi e dissepolti quelli che si presume siano i resti di Artù e Ginevra. Gli scettici non mancarono e cercarono in molti modi di screditare l’importanza di questo ritrovamento sostenendo che si trattava di un artificio ad opera dei monaci per farsi pubblicità ed ottenere così i fondi che avrebbero poi utilizzato per la ricostruzione dell’Abbazia. Questa storia è ancora oggi oggetto di studio ed il dott. Ralegh Radford, che scavò il sito in questione tra il 1962 ed il 1963, verificò che un importante personaggio era stato realmente seppellito in quel luogo ed aggiunse di non aver trovata alcuna ra64

gione per cui i monaci avrebbero dovuto inventare quella storia fraudolenta, avendo inoltre riscontrato che tutti i dettagli erano precisi ed accurati. Un racconto narra che quando un monaco volle essere sepolto nel terreno dell’Abbazia, si scavò per preparare la fossa. Durante questi scavi, cinque metri sotto il livello del suolo, vennero scoperte una lastra di pietra ed una croce di piombo. Sulla croce era possibile leggere una iscrizione: “Qui giace il famoso Re Arturo con Ginevra sepolto nell’isola di Avalon”. Al di sotto di questa, vennero rinvenute due bare di quercia con dentro delle ossa che sembravano essere appartenute ad un uomo molto alto, il cui teschio

mostrava segni tali da ipotizzare che fosse morto per un colpo alla testa, mentre si pensò che le ossa più piccole fossero i resti di Ginevra. Non molto tempo dopo questa scoperta, Geraldo del Galles, come era anche conosciuto Geraldo Cambrensis, scrisse testualmente: “Ora il corpo di re Arturo, che la leggenda ha inventato fosse stato trasferito al suo trapasso, sotto forma di spettro, ad un luogo lontano, è stato ritrovato oggi a Glastonbury, sotto terra e, in una bara di quercia, tra due pietre a forma di piramide erette molto tempo fa nel cimitero consacrato. Il sito ha rivelato strani e quasi miracolosi segni; venne quindi trasportato con tutti gli onori nella Chiesa e decentemente consegnato ad una tomba di marmo”. L’Abbazia L’Abbazia benedettina di Glastonbury è il più antico monastero inglese. La sua fondazione si ritiene risalga al VI secolo, venne distrutta dalle incursioni dei Danesi, fu poi restaurata da Dunstano che, nel 946, ne divenne Abate. Successivamente, era il 1082, vennero ricostruiti sia la chiesa che il convento e, dopo un incendio, ancora una volta nel 1184 ad opera di Enrico II. Coloro che sono interessati all’antica scienza della Geometria potranno trovare nell’Abbazia molti elementi simbolici ricchi di significato se ne osserveranno attentamente la configurazione e le misure. Frederick Bligh Bond, ai primi del secolo scorso, venne incaricato dalla Chiesa Anglicana di effettuare alcuni scavi nei pressi dell’Abbazia. Bond era un architetto ed archeologo, ma anche un ricercatore dell’occulto. Quello che ebbe modo di scoprire fu sorprendente, anche perché fu il risultato di un esperimento di scrittura automatica per mezzo del quale si mise in contatto con alcuni monaci vissuti nel XIV secolo. La sua prima domanda fu se potevano raccontargli qualcosa riguardo l’Abbazia. La risposta fu affermativa. Nel corso di questo e di altri contatti che seguirono, i monaci raccontarono quale fosse stata, alla loro epoca, la configurazione dell’Abbazia e quella del terreno circostante. A questo punto Bond decise di scavare dove gli era stato indicato e, tra le altre cose, trovò nella Cappella l’Uovo di


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pietra, proprio dietro il Grande Altare. Si rese subito conto che si trattava di un oggetto pagano che tanto somigliava ad un Omphalos, quella che viene considerata la rappresentazione universale della Dea Madre considerata centro o ombelico del mondo e grembo materno. Quella pietra ovoidale era, per Elémire Zolla, l’Omphalos, la pelle contratta e spessa che metteva in contatto con il cuore materno. Era a forma di uovo, con un incavo sulla sommità. Lì sedeva l’Oracolo della Dea e le dava voce. C’era anche un altro incavo nella pietra dove, presumibilmente, i monaci stessi avevano montato una croce nel tentativo di cristianizzarla allo stesso modo in cui si cercò di cristianizzare pressoché tutti i luoghi di culto primordiali. Oggi si trova dove Bond la fece riporre, dietro la cucina dell’Abate. Il principale asse stradale di Glastonbury presenta un’antica connessione, un

allineamento con Stonehenge, infatti la linea che attraversa la navata e la torre della chiesa di San Benedetto, seguendo l’asse longitudinale della chiesa passa vicina ai piedi del Tor in direzione della chiesa di San Michele, che si trova a Gare Hill nel Wiltshire poi, proseguendo verso est, la “linea” passa molto vicino a Stonehenge. Originariamente la chiesa, la cui fondazione si fa risalire a Giuseppe di Arimatea, venne costruita con orientamento verso Stonehenge. John Michell, geologo e fisico inglese, membro della Royal Society, vissuto nel XVIII secolo, ritenne che esistesse un legame geometrico tra il disegno delle fondazioni di Glastonbury e quello di Stonehenge; a questo scopo effettuò una ricerca che, successivamente, pubblicò in un libro dal titolo Nuova luce sugli antichi misteri di Glastonbury. Michell tra l’altro scrisse che, anche se con una certa ap-

prossimazione che è d’obbligo in questa materia, Stonehenge e Glastonbury furono fondate sulla stessa ley line, anche se questo non comporta che i fondatori di Glastonbury abbiano necessariamente copiato lo schema planimetrico dell’antico tempio. Che invece quel particolare schema sia stato tramandato dalla Libera Muratoria di mestiere ed utilizzato in due epoche diverse e così distanti tra di loro? L’abbazia di Glastonbury conserva ancora oggi un alone di magia e di mistero, avvalorato anche dal fatto che alcuni sensitivi, mentre si aggiravano attorno le rovine dell’Abbazia, sostennero di aver sentito voci di monaci provenienti dal passato. Ma Glastonbury è questo e molto altro ancora. [segue...] P.62 e 65: Il ‘Tor’ e l’Abbazia di Glastonbury, Inghilterra.

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Attualità

Il caso del ‘Filosofico’ di Napoli, crepuscolo dell’Unità d’Italia Aldo Alessandro Mola

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ran parte della biblioteca dell’Istituto italiano per gli studi filosofici (Napoli, www. iisf.it) è finita in scatoloni. Nel migliore dei casi, non sarà consultabile per anni. Fuggiti i buoi, si cerca di chiudere la stalla. Per salvare la faccia e tacitare la polemica contro la loro ignavia, esplosa anche all’estero, gli Enti locali promettono qualche rimedio. Il miur tace. Poiché non è né una scuola materna né una Università, l’Istituto è fuori com-

petenza. E i Beni Culturali? Sarebbe falso ridurre il caso a mera distrazione burocratica nell’erogazione dei fondi vitali per il “Filosofico”, che non è volano di voti ma tempio della libera ricerca. Il suo crepuscolo in realtà mette a nudo la faglia che da anni si è aperta sotto la crosta dell’unità nazionale e che ora rischia di inghiottire tutto. Il Paese conta moltissime biblioteche con i libri bene ordinati negli scaffali, cataloghi accurati, ma senza personale e quindi chiuse: un

incubo da “sepolto vivo”. Ma il suo caso supera ogni altro. Lo scorso anno una mostra fotografica documentò che il Salone di Palazzo Serra, sede del “Filosofico”, ospitò l’ultimo rito dell’Italia politica e imprenditoriale capace di guardare in volto i grandi della Terra senza complessi di inferiorità perché forte della propria cultura. Per fermarne il declino, dalla sua fondazione, nel 1975, l’Istituto per gli studi filosofici ha promosso in Italia e all’estero migliaia


Attualità

di convegni, seminari, conferenze e pubblicato altrettanti volumi e opuscoli. Con impegno assiduo Aldo Tonini orchestra annualmente centinaia di Scuole in tutte Italia, anche grazie ad antenne presenti nell’area liguro-piemontese da Asti e Acqui Terme a Cuneo e Imperia. Perciò la sorte della sua biblioteca investe la vita culturale dell’Italia intera. A suo sostegno occorre la mobilitazione dell’Italia civile. Non è retorica d’occasione. Come l’Istituto italiano per gli studi storici, creato da Benedetto Croce nel 1947, poi diretto da Federico Chabod e vivaio di storici illustri, così il “Filosofico”, noto anche col nome del suo fondatore e presidente, Gerardo Marotta, si muove nel solco dell’Italia che trae linfa vitale dai Lumi e dal Risorgimento. Bastino pochi nomi: Pasquale Stanislao Mancini docente di Giovanni Giolitti all’Università di Torino, Francesco De Sanctis ministro dell’Istruzione con Camillo Cavour e poi a fianco dell’albese Michele Coppino nella modernizzazione dell’Istruzione pubblica dalle elementari alle Università. Era l’Italia di Quintino Sella e dei fratelli Silvio e Bertrando Spaventa, degli hegeliani di Napoli che dettero nerbo ideale allo Stato unitario: un magistero dialettico che mezzo secolo fa ha veduto tre uomini del Mezzogiorno alla guida della riflessione sulla memoria nazionale: Rosario Romeo biografo di Cavour, Ruggiero Romano (Storia d’Italia, Einaudi), Giuseppe Galasso (Storia d’Italia, Utet). Nel 150° del Regno d’Italia l’Istituto di Marotta dedicò al presidente eme-

rito Carlo Azeglio Ciampi “che ha ravvivato la memoria del nostro Risorgimento” l’antologia La nascita dell’Italia unita, curata da Antonio Gargano e Arturo Martorelli: panorama equilibrato ed esauriente di testimonianze e pensieri che alimentarono l’unificazione e ne fecero il cemento d morale dei “popoli d’Italia”, da Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II di Savoia a Mazzini e Marx, da Melchiorre Gioia a Settembrini e Pisacane… Con l’Appello alla filosofia sottoscritto da Hans-Georg Gadamer, Edgar Morin, Giovanni Pugliese Carratelli, Marotta e altri e fatto proprio dal Parlamento Europeo e dall’onu, vent’anni orsono l’Istituto ammonì: senza filosofia politica non vi è politica, come senza economia politica non vi è politica economica ma solo l’affanno di “decreti” scadenti a grida manzoniane, cerot-

ti su piaghe cancrenose come da decenni accade. La vicenda della Biblioteca del “Filosofico” meriterà di far da appendice all’Inchiesta Saredo su Napoli, opportunamente ripubblicata dall’Istituto per ricordarci che, se i mali sono antichi, non mancano intelligenze ed energie per sconfiggerli. Non è dunque tempo di rassegnazione, ma di azione, come nel 1848 scrisse De Sanctis nel Discorso ai giovani pubblicato da Giuseppe Catenacci per l’Associazione ex Allievi della Nunziatella e per il Filosofico. L’Italia e l’Istituto simul stabunt, simul cadent: vivranno o crolleranno insieme, perché l’Italia nacque da un’idea, spenta la quale torna a essere terra per invasioni e scorrerie. P.66-67: Napoli, Palazzo Serra; p.67 in basso: L’avv. Gerardo Marotta, perplesso, fra gli scatoloni dei libri sfrattati.

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C Massoneria

Crisi economica, potentati occulti e Massoneria Roberto Pinotti

hi conta di più? Un leader eletto a suffragio universale dal popolo per qualche anno dopo essere venuto a patti con i suoi “grandi elettori” pronti a presentargli il conto o dei burocrati di stato inamovibili che da anni operano nella macchina statale all’ombra della Casa Bianca o di Palazzo Chigi, sempre indispensabili per il Presidente o il Premier di turno? L’America è l’indiscusso modello positivo del moderno Occidente. Con una illuminata e avanzata costituzione che persegue la felicità dei cittadini, caratterizzata dai sacrosanti principi (di palese origine massonica) di libertà, uguaglianza, fratellanza e tolleranza che hanno plasmato il mondo come l‘Occidente lo conosce esportandoli in Europa con la Rivoluzione Francese e la creazione dello Stato Liberale (Italia unitaria compresa, col giusto annientamento del tirannico potere temporale del Papa-Re e Garibaldi primo Gran Maestro della Massoneria Italiana), dalla Rivoluzione di Washington in poi gli Stati Uniti hanno fatto il bene del mondo più o meno fino alla conclusione della Prima Guerra Mondiale, in cui la loro (seppur calcolata) entrata in guerra a fianco di Inghilterra, Francia e Italia contro gli Imperi Centrali e l’Impero Ottomano (la Russia degli Zar era uscita dal conflitto grazie all’ascesa di Lenin pagato dall’oro tedesco) fu decisiva. Anche se alla “inutile strage” del 1914-1918, stimolata da industriali e finanzieri desiderosi di fare affari con un conflitto generale, l’Alta Finanza USA non era certo estranea. Poi, però, le cose sono cambiate. Gli USA si scoprirono attori protagonisti sulla scena mondiale, e fecero dunque i loro interessi a danno anche degli alleati (si pensi alla frustrante “vittoria mutilata” italiana generata dal presidente Wilson e germe del Fascismo). Il rampante capitalismo internazionalista della emergente potenza mondiale americana cominciò così a manifestare componenti sempre più imperialistiche, che il successivo scontro con l’Impero Giapponese per il controllo dello scacchiere economico-strategico dell’Asia e del Pacifico vide montare dopo Pearl Harbor (evento atteso e segretamente auspicato in quanto giustificativo dell’entrata in guerra e contro cui Roosevelt nulla fece se non salvare, spostandole opportunamente all’ultimo momento, le portaerei USA alla fonda). L’estendersi del conflitto contro la Germania


nazista e l’Italia fascista costituì per gli USA una storica opportunità per trasformarsi in Potenza Mondiale. Oltre che agli storici sereni, anche quelli filocomunisti osannanti ancor oggi la limitata Resistenza di casa nostra, di fatto inesistente senza i “liberatori” angloamericani, non sfugge il ruolo pro domo sua giocato dal capitalismo rampante statunitense nell’annientamento del nazifascismo. E tanto meno il fatto che nel conflitto e subito dopo sia stato fatto ampio uso di mezzi eticamente del tutto riprovevoli e poi non troppo diversi da quelli utilizzati dal deprecato Asse: dalla strumentale alleanza col brutale sterminatore Stalin, non troppo diverso da Hitler, al vergognoso accordo con la criminalità organizzata USA che attraverso Lucky Luciano aprì le porte – grazie alla Mafia – all’invasione alleata della Sicilia e dell’Italia, dalla sistematica distruzione di Dresda col pianificato massacro della popolazione civile tedesca, alla cinica decisione di sganciare due bombe atomiche non su obiettivi militari nipponici, ma sugli inermi e incolpevoli abitanti di Hiroshima e Nagasaki a futuro monito per i Giapponesi e i Sovietici, già considerati nelle ultime settimane di guerra come futuri avversari. Non si dimentichi infine che i tanto vituperati ex-nemici nazisti con tanto di SS sono stati coinvolti direttamente e pesantemente nella nascita e nel potenziamento della CIA in funzione antisovietica. Va da sé che la conseguente Pax Americana fu naturalmente preferibile a una vittoria di Hitler o al prevalere del comunismo sovietico e che l’odierna Italia, dal 1945 prona alle direttive USA nella peggiore tradizione italiota tutta pizza, mandolino e logica levantina (con la Francia oppure anche la Spagna, basta che se magna), è stato per noi il male minore. Ma sempre un male, sia chiaro. E oggi, non diversamente dal nazifascismo o dal comunismo, gli USA si sono trasformati nell’ombra di loro stessi e dei nobili principi che li hanno tenuti a battesimo, ancora strombazzati ma di fatto disattesi. E diventando così il fulcro del Nuovo Ordine Mondiale e della Globalizzazione più forsennata, con Washington arrogante “gendarme del mondo” in nome di quella sempre meno celata potenza imperialistica “punta dell’iceberg” del potere transnazionale e trasversale delle élites della finanza, del mondo bancario, dell’industria, delle “Sette Sorelle” del petrolio, delle fabbriche di armi, del-

le multinazionali del farmaco, della ricerca scientifica subalterna e prostituita alla politica. Tutto questo con pesanti interrogativi sullo stesso dramma dell’11 Settembre 2001 inteso come utile e comodo “fatto scatenante” epocale: in realtà un “evento annunciato” che nella migliore delle ipotesi l’intelligence USA (come già avvenne nel 1941 per Pearl Harbor) non avrebbe fatto nulla per evitare allo scopo di poter poi consentire al governo USA di scatenare gli economicamente più che interessati interventi in Af-

te il popolare ‘Ike’, “nelle assemblee parlamentari dobbiamo guardarci dalla crescita di influenza, sia palese sia occulta, del complesso militare-industriale. II rischio che un po­tere gestito da persone sbagliate cresca disastrosamente esiste, ed esisterà anche in futuro. Non dobbiamo mai permettere

ghanistan, Irak e Medio Oriente con tutti gli impliciti tornaconti del caso a carattere petrolifero e finanziario per la “élite del potere”. Realtà come la Commissione Trilaterale o il Gruppo Bilderberg appaiono solo i volti rispettabili ed in doppiopetto di questa impalpabile ma onnipresente realtà antidemocratica e spietata che da Wall Street, dalla Svizzera e non solo controlla il mondo al di sopra degli elettorati, dei parlamenti e dei governi e su cui per primo attirò coraggiosamente l’attenzione il Presidente USA Eisenhower nel 1961 nel suo memorabile “discorso d’addio” alla Casa Bianca indicando i pericoli costituiti dallo sviluppo di quello che egli chiamava il “comparto militare-industriale”. Come disse testualmen-

te per scontato: soltanto cittadini vigili e ben informati, infatti, possono imporre un adeguato bilanciamento tra l’enorme macchina militare-industriale e i nostri metodi e obiettivi pacifici, affinchè la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme …”. È questa precisa realtà che ha finito con il creare la difficile situazione di crisi che stiamo vivendo oggi, e che dopo averci variamente disastrati ha imposto da ultimo alla governance transnazionale delle Banche di surrogare quasi del tutto i poteri degli Stati dell’Unione Europea e non solo, i quali risultano ormai privati di una loro sovranità nazionale a tutto vantaggio della Grande Finanza globalizzata. “La verità” aveva d’altronde dichiarato nel 1933 il Presidente de69

Massoneria che il peso di questa commi­stione di poteri metta in pericolo le nostre libertà o i processi democratici. E non dobbiamo dare nien-


gli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt “è che elementi della Finanza sono proprietari del Governo USA nei suoi cardini principali sin dai giorni di Andrew Jackson…”. Nel corso dei “mille giorni” della sua presidenza John Fitzgerald Kennedy pronunciò un discorso piuttosto inquietante e criptico

Massoneria cui i media non dettero particolare importanza e che passò sottotono. Ma il cui contenuto resta a dir poco sconcertante, anche se non fa nomi e quindi potrebbe anche riferirsi a più di un contesto. Lo riportiamo di seguito testualmente. “Signore e Signori, proprio la parola ‘segretezza’ è ripugnante in una società libera e aperta e noi siamo un popolo storicamente e intrinsecamente contrario a procedure segrete, ad associazioni segrete, a giuramenti segreti e ad atti segreti perché siamo contrastati in tutto il mondo da una cospirazione spietata e monolitica che si sostiene principalmente su strumenti segreti per estendere la propria sfera di influenza con l’infiltrazione piuttosto che con l’invasione, con l’eversione in luogo delle elezioni, e basandosi sull’intimidazione invece che sulle libera scelta. È un sistema che ha i suoi coscritti, grandi risorse umane e materiali per la costruzione di una macchina altamente efficiente che combina operazioni militari e diplomatiche, servizi segreti, economia, scienza e politica. L’organizzazione è segreta, non pubblica. I suoi errori vengono nascosti e non pubblicizzati. Nessuna spesa da approvare, nessun segreto che viene alla luce. Ecco perché il legislatore ateniese Solone dichiarò un crimine per un cittadino l’astensione dal dibattito. Sono a chiedere il vostro aiuto nel tremendo compito di informare e allertare gli americani, fiducioso che col vostro aiuto l’uomo sarà ciò per cui era nato: libero e indipendente…” A cosa si riferiva Kennedy? All’URSS e al suo imperialismo rampante che portò alla crisi dei missili a Cuba? Forse. Ma potrebbe anche essere un discorso del tutto collegabile a quello di Eisenhower sulla questione del “complesso militare-industriale”, lasciata da “Ike” come testimone al suo successore abbandonando la Casa Bianca. Fin qui tutto bene (si fa per dire). Il fatto è che per molti dietro tutto questo c’era e c’è il solito responsabile: la Massoneria. Vai a spiegare che, deviazione del “comitato d’affari” noto come la Log70

gia P2 del Grande Oriente d’Italia a parte, quest’ultima resta solo una delimitata, positiva e innocua scuola filosofica a carattere iniziatico-esoterico per il miglioramento interiore del singolo. Niente da fare. Altro che “P3” e “P4”. Dietro una Trilaterale o il Gruppo di Bilderberg per tanti c’è il “Governo Occulto” mondiale della Libera Muratoria o se preferite quello degli “Illuminati” che da essa sono ispirati. E così vengono tirati in ballo tranquillamente grotteschi scenari associanti a tutto ciò foschi e misteriosi rituali pagani, sette sataniche, sacrifici umani e perfino l’infiltrata presenza di crudeli e mostruosi alieni “rettiliani” alla “Visitors” che secondo i best-sellers di un David Icke si celerebbero dietro i volti di certi capi di stato, dai Bush ai Windsor. Affermazioni deliranti che Icke giustifica come confidenze di esponenti dell’intelligence USA. Confidenze evidentemente interessate e di pura disinformazione, e certo finalizzate a ridicolizzare tutto e dunque anche il veritiero concetto di una operante élite mondiale del potere che con la Massoneria ha ben poco a che spartire. Dietro a tutto ciò si muove, in realtà, non certo una schiera di massoni, bensì un “Nuovo Ordine Mondiale” sorto con la caduta del Muro di Berlino e costituito da finanzieri d’assalto, grandi banchieri, industriali spregiudicati, petrolieri cinici, biechi assicuratori, presidenti di innumerevoli multinazionali, politici corrotti, giudici di parte, scienziati asserviti o venduti e militari megalomani, tutti collegati fra loro e perseguenti da tempo i propri interessi comuni che prevedono un mondo sempre più controllabile, controllato, inquinato e impoverito, dei cittadini acritici sensibili ad un consumismo creato da falsi bisogni costruiti all’uopo, una popolazione anziana avviata a ridurre la propria aspettativa di vita grazie al drastico azzeramento della sanità e

della previdenza pubbliche, la sensibile riduzione delle garanzie sindacali e dei diritti civili, l’utilizzo biecamente economico di conflitti locali ad hoc generati dove sia più utile e conveniente, la persistenza delle fonti energetiche tradizionali a tutto vantaggio dell’‘oro nero’ ed il contenimento di ogni applicazione di energie alternative a basso costo, la giustizia paralizzata ed inefficiente e l’informazione imbavagliata da media caratterizzati da una loro voluta e calcolata mancanza di approfondimento e persino da una silenziosa e strisciante penetrazione sul web. E altro ancora a loro esclusivo vantaggio. Anche in Italia quanto sopra lo stanno drammaticamente vivendo oggi i lavoratori in cassa integrazione o licenziati che vedono svanire ogni tutela dell’Articolo 18 e su cui si sta praticando ex abrupto un vero massacro, i tartassati a reddito fisso, le piccole e medie industrie azzoppate e paralizzate dall’assenza di credito bancario, i cosiddetti “esodati”, i pensionati affamati da una “manovra” iniqua tesa solo a fare cassa, i cittadini non più tutelati da una magistratura onnipotente e politicizzata, i giovani di


fatto tagliati fuori dal mondo del lavoro, gli studenti impreparati da una scuola pubblica volutamente degradata a tutto vantaggio di un’istruzione privata elitaria … Indubbiamente Mario Monti, già commissario europeo, preside alla Bocconi, consulente di Goldman Sachs, esponente della Commissione Trilaterale e del Gruppo Bilderberg, addirittura indicato per il suo pregresso coinvolgimento con l’Università di Yale come un Bonesman (e cioè un componente del potentato elitario paramassonico USA degli Skull and Bones di cui fa parte chi conta negli States), non appare un premier molto rassicurante, con le sue allarmanti dichiarazioni sull’Articolo 18, sulla presunta “monotonia” del posto fisso e sul preteso “buonismo” sociale dei precedenti governi italiani. Quanto a tutti i nostri politici, è superfluo commentare il loro situazionismo. Se a ciò si aggiunge poi il fatto che il Presidente Giorgio Napolitano, con un blitz istituzionale realizzato nominandolo in precedenza con voluta tempestività e a tempo di record senatore a vita, lo ha unilateralmente quanto discutibilmente imposto come premier “tecnico” su più che verosimile suggerimento diretto della Germania (lo ha scritto il Wall Street Journal), il coinvolgimento di Monti con certi “Poteri Forti” che reggono il mondo attuale sembrerebbe più che una semplice ipotesi. E ipotesi si possono dunque fare anche su quale sia il ruolo effettivo di Mario Monti (indicato in copertina da time magazine come possibile “salvatore dell’Europa”). Il 7 febbraio 2012, sull’autorevole Corriere della Sera, l’ambasciatore USA in Italia David Thorne ha rilasciato delle dichiarazioni alla vigilia dell’incontro a Washington fra il premier italiano e Obama. Egli ha affermato che “Monti ha cambiato la dinamica europea”, che “le sue riforme del lavoro consentiranno più investimenti internazionali” e che “l’Italia è diventata l’alleato più affidabile degli USA sul continente”. Infine, il modus operandi di Monti che non crea lavoro e quindi ripresa, potrebbe essere coerente col palese piano dei poteri bancari di “fare cassa” ai danni delle economie deboli del “ventre molle” dell’Euro: Grecia, Portogallo, Spagna, Italia. Quel che è assolutamente certo, d’altronde, è che oggi - attraverso Mario Monti - anche il nostro Paese è governato direttamente dalle banche e dai banchieri internazionali. Gli stessi, in pratica, all’origine della at-

Massoneria

tuale crisi. Che in tal modo si cautelano alle spalle della gente. Alle nostre spalle. L’indegno scempio dell’Argentina di ieri e della Grecia di oggi insegnino. Il termine banchieri suona alquanto vago, ma certi potenti contesti che realmente controllano i governi mondiali possono essere indicati. E non da ora. Si pensi ad esempio al banchiere americano Morgan che – comprendendo che le finalità dello scienziato erano quelle di fornire a tutti energia libera e gratuita – fece di tutto per affossare le iniziative di Nikola Tesla, brillante tecnico e inventore croato morto in miseria. In Inghilterra il fedele suddito di Sua Maestà Britannica Sir William Pity della Camera dei Lords ricordava nel 1770 che “c’è qualcosa dietro il trono, più grande del Re medesimo …” E il Primo Ministro inglese Benjamin Disraeli sottolineava nel 1844 che “il mondo è governato da persone molto diverse da quelle che immaginano quelli che non si trovano dietro le quinte …” Dall’Ottocento le facoltose famiglie ebree sono state indicate come la punta dell’iceberg di una cospirazione giudaica per il controllo dell’economia internazionale, e l’antisemitismo venne a galla prima col falso zarista dei Protocolli dei

Savi Anziani di Sion e poi con le persecuzioni di Stalin in Russia, di Hitler in Germania con la Shoa e oggi con i programmi integralisti dell’islamico Presidente Ahmadinejad. Ma ovviamente non è così semplice. Gli israeliti dell’Alta Finanza mondiale o della B’nai Brit ebraica sono infatti in buona compagnia: dallo ior vaticano di Marcinkus ai “signori” a stelle e strisce di Wall Street, tutti rigidamente wasp (sigla dalle iniziali dei termini white, anglo-saxon e protestant, ovvero bianchi, anglosassoni e protestanti). E ora ci sono i magnati russi e cinesi e gli emiri del petrolio. Il quadro è decisamente trasversale. Ma ancora una volta dietro tutto ciò viene posta la Massoneria con i suoi biechi interessi, Monti viene dunque mostrato su internet con tanto di grembiule di Maestro e Lilli Gruber gli chiede seraficamente se è vero. Ovviamente la risposta è no, perché Monti sarà tutto quello che volete, ma non un Fratello. Meno male che la grande stampa sta evitando di dare corpo a simili sciocchezze. Ma sono poi sciocchezze? Da sempre, nelle situazioni critiche, si ricerca un “nemico esterno”. E ieri come oggi la Massoneria resta purtroppo un candidato ideale. 71


Storia...

Il Satana Immagini dell’Avversario Paolo Aldo Rossi


...delle idee

I

l dramma ricorrente all’inizio e alla fine dei tempi, la duplice vittoria sull’Abisso che l’Evangelista Giovanni evoca dapprima come storico e quindi da profeta, occupa nella memoria collet­tiva un ruolo ricorrente e inquietante. La narrazione dell’antica vicenda della cacciata del Serpente nelle profondità dalle quali era stato generato e l’annuncio profetico dei giorni in cui riemergerà e, nuovamente, dopo un’immane battaglia che sconvolgerà l’Universo, sarà sprofondato nelle tenebre, è un evento incancel­labile e mai sfumato nel ricordo della vicenda umana, tanto da es­sere assunto quale ultimo spazio del divenire storico. È questa la rappresentazione dei giorni del grande terrore, il tempo in cui l’Orribile, unico e autentico seduttore, che conosce il modo di produrre il delirante piacere del tremendo, si farà ri­chiamo dell’Abisso. Da quell’Abisso che era stato testimone dell’alito primigenio del Dio Creatore erano uscite tutte le creature della Notte, un Bestiario che aveva riempito l’immaginazione di innumeri generazioni di uomini. Le raffigurazio-

Colui che abita gli Abissi e ha la sua dimora nella Notte

I

o vidi un angelo che scendeva dal cielo e teneva in mano la chiave dell’Abisso ed un’enorme catena. Egli afferrò il Dragone, il serpente antico, il diavolo il quale ha anche nome Satana, e lo serrò in catene per mille anni sprofondandolo nell’Abisso e poi lo chiuse e vi posò sopra un sigillo, perchè non seducesse più le nazioni, finché non si fossero compiuti i mille anni ... E quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dalla sua pri­gione ed uscirà per sedurre le nazioni ai quattro angoli della terra, Gog e Magog, il cui numero è come la sabbia del mare, per radu­narli alla battaglia. Essi salirono sulla faccia della terra e circondarono l’accampamento dei santi e la città diletta. Ma scese un fuoco dal cielo che li divorò. Il diavolo che li seduceva fu precipitato nello stagno di fuoco e zolfo, dove erano stati precipitati anche la bestia e il falso pro­feta ed essi furono tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli. (Apocalisse di Giovanni, 20, 1-3, 7-11)

ni tremende di Ugarit e di Babilonia, gli invincibili leviatani dei racconti biblici, i terrificanti geni dell’altro mondo dell’Egitto faraonico, le mo­ struose creature antropomorfe e zoomorfe (omo e allomorfe) dei miti greco-latini, hanno continuato a popolare la terra proprio perché la loro dimora nell’abisso non era mai stata definitivamente sigillata e separata dal mondo degli uomini, né questo aveva potuto essere interdetto all’inarrestabile teoria di mostri che, di tanto in tanto, erano riusciti ad affacciarsi dalle soglie della notte. Esiste, quasi fosse un’incommensurabile ragnatela che avvi­luppa l’intera storia dell’umanità, un reticolo di memoria nelle cui maglie sono rimasti inestricabilmente impigliati ricordi, l’intensità dei quali era stata enormemente sproporzionata rispetto alla capacità che una singola mente aveva di contenere. Le pro­ fondità marine, le acque salate e amare, le mefitiche paludi e gli abissi della terra hanno sempre segnato il confine tra i paesaggi luminosi di uno spazio che l’occhio può riprodurre, l’orecchio sa cogliere e la mano può afferrare e una tenebra 73


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che solo l’immaginazione sa vedere popolandola di terrore. L’Abisso e la Notte si assomigliano: da questa escono le larve degli esseri che sono stati vivi e da quello i mostri che non possono morire. Dimore di morte e di orrore, le tenebre e il profondo hanno ri­cevuto dagli uomini il ruolo di spazi propri del male, lo scandaliz­ zante paradosso dell’essere creato, ma increabile, coevo dell’uomo, sceso con lui sulla terra senza che Dio avesse mai an­nesso a Sé o commesso ad altri la paternità e la responsabilità della sua venuta. Dolore e morte rappresentano eventi corposi, pur se inconce­pibili; essi non provengono dalla città dell’uomo, che ne è la vit­tima, né abitano presso Dio perche non troverebbero spazio al­cuno nella Sua immensa perfezione, ma, sfuggite al Caos primi­genio, esse sono personificazioni della Bestia del Disordine che abita negli abissi del mare e nelle profondità della terra, luoghi che hanno diretta co74

municazione con le tenebre della notte. Le tavolette di Assurbanipal, trovate a Ninive ma provenienti da Babilonia, nelle quali è raccontato l’epos dei grandi dèi scesi in guerra fra loro, mettono in scena la cosmica contesa fra Tiamat, la femmina dea delle acque amare, la “madre di Habur che diede vita a tutte le forme”, la genitrice di mostri marini, e Marduk, il gio­vane dio che, ottenuta la vittoria sul mare, fu riconosciuto il nuovo signore del mondo. Quando l’Abisso si apre ne escono le più terribili e orrende creazioni del delirio. Il brano in cui Tiamat forgia le schiere mostruose che poi dovrà lanciare contro il suo contendente ha la forza impressionante di quando l’orrendo è nello stesso tempo strazio e seduzione: Ella forgiò irresistibili armate, mise al mondo giganti a forma di serpente, con denti aguzzi e bocche che non conoscevano pietà, versò nelle loro vene veleno in

luogo del sangue. Erano mostri violenti, vestiti di furia di drago e di bagliori di nembo, essi erano simili agli dei e chiunque avesse osato fissarli non sa­rebbe stato in grado di trattenere la fuga. Fece sorgere l’Idra Viperina, il Dragone Rosso e il Mammouth, il Grande Leone, il Cane Rabbioso e L’uomo Scorpione, gli impetuosi demoni dell’uragano, il Tritone e il Centauro, undici esseri orrendi, intrepidi nel combattimento, nè alcuno poteva opporsi al loro furibondo assalto. (Enuma Elish, I, 126-162) L’Avversario-Femmina, foggiatrice di mostri, è anche indi­cata come l’origine della Discordia, il caos morale che genera quello sociale. Così, infatti, le parla l’eroe: Tua era la forza e tuo il potere. Tu eri la grande regina di tutti, ma null’altro era accetto al tuo cuore che discordia, conflitti e tu­multo. Nell’anima non hai che odio. Tu, che noi abbiamo chia­mato nostra Madre hai opposto il fratello al fra-


tello, hai gettato il figlio contro il padre! Iniqua, vile e di cuore nero! Singolare è, nel contesto dell’epopea babilonese di Marduk, il racconto della creazione dell’uomo. Il dio vincitore decide di dare vita a una nuova creatura da mettere al servizio degli dei: l’Uomo. Prenderò sangue e ossa egli pensò e ne formerò un piccolo fantoccio. Il suo nome sarà Uomo. Uomo servirà gli dei, accudirà ai loro bisogni, mentre essi eseguiranno i loro compiti. Ma per non sprecare ossa e sangue nuovi, pensò di prenderli da uno dei ribelli, colui che guidava, al servizio di Tiamat, la schiera dei mostri. È così che, secondo la lezione babilonese, il sangue e le ossa delle creature di Tiamat hanno preso dimora nell’Uomo. È così che parte di ciò che sta sigillato nel profondo dell’Abisso circola nelle vene dell’Uomo e sostiene il peso della sua carne. L’Avversario non sta, quindi, relegato soltanto nell’Abisso, ma fa parte integrante dell’uomo il quale ne costituisce, appunto, il nuovo carcere di cui sono andate smarrite le chiavi prima che potesse essere definitivamente sigillato per i millenni a venire. In questa dimensione l’Uomo non può cadere, egli non ha un Avversario trascendente che lo perderà, in quanto gli dèi hanno già posto a germogliare in lui il seme del Male. L’uomo si è quindi trovato a passare sulla strada che collega l’Abisso con la Notte, la dimora dei mostri con quella della morte e ha riconosciuto l’Avversario tanto bene da poterlo evocare da dentro di sé ogniqualvolta ha desiderato di essere tentato dal mo­struoso, di essere sedotto dall’eccesso di voluttà dell’orribile, di esser catturato dal delirio del tremendo. Abbandono e sostituzione dell’originario Nel Genesi, l’Avversario abita il Giardino dell’Eden, il luogo di un sogno di troppo breve durata per l’uomo destinato a sva­ nire non appena il desiderio di seduzione si incontra con il sedut­tore, non appena la materia grave (il travalicare le condizioni on­tologiche proprie) si fonde con la piena avvertenza e il deliberato consenso. I sette giorni della creazione iniziano con una rappresentazione dello stato originario dell’Universo identico a quello dell’Enuma Elish, il Poema della Creazione dei popoli dell’Eufrate, solo

che la vittoria di Dio sull’Abisso non è raccontata in termini ieroga­mici (preludio di tutte le teomachie, così come per gli uomini i matrimoni lo sono delle liti familiari), ma come un atto di volontà che dirige il logos: “E sia la luce!” afferma Yahvé e ciò nella piena coscienza di volere l’ordine e nella conoscenza del modo per ottenerlo. Le forze della disgregazione vengono così ridotte all’inesistenza in quanto il Creatore dell’ordine non si aliena nel risultato della sua azione. Dio infatti non scende nella creazione, ma si limita a riconoscere la correttezza di quello che ha fatto. L’uomo, invece, sedotto dall’Avversario, attratto dal Serpente cede al fascino del mostruoso: la fusione fra soggetto e oggetto lo condanna. Quel frammento di disordine che in lui è rimasto, quell’astuto abitante dell’Abisso che ha saputo traslocare nel Paradiso Terrestre e abitare nella casa dell’Uomo, lo porta ad abbandonare lo stato in cui il mostruoso, il disgregante, il dissol­vente non erano riconosciuti come esistenti e a imboccare la strada della conoscenza, nella quale il pensiero si fa portatore della molteplicità e in questa si assimila, costruendo la parola che tradisce l’essere originario, nella quale il non essere (il divenire del tempo e le metamorfosi dello spazio) irrompe nell’Essere e si fa riconoscere come erede e non usurpatore dell’unità. L’abbandono dello stato primitivo di purezza, lo stato in cui l’uomo è pago di nominare le cose, ma non le conosce secon-

do sintesi di logo ed empiria, quello in cui il dubbio prende il posto dello stupore e i molti, che l’uno ha generato, acquistano la pro­teiforme iridescenza di un molteplice mai più completamente ri­ducibile, segna l’irreversibile passo. L’androgine si spezza in due parti, il maschio e la fem-

...delle idee mina, che si cercheranno per tutti i secoli a venire senza potersi né trovare né ricongiungere, il linguaggio diverrà “le lingue” e lo stesso oggetto sarà rinominato in infiniti differenti modi, la morte irromperà nella storia perchè un uomo la evocherà dagli abissi della notte versando il sangue del suo fratello e le tecniche sostituiranno il logos originario, in qu­anto saranno generate dalla sua unione con l’empirico. È sempre possibile resistere alla seduzione del bello (l’aistesis è appunto il modo di comunicare del sensibile), la de­bolezza dei sensi non è mai così totale da non poter essere vinta sicchè l’edoné (la voluttà del piacere sensibile) s’allenta non ap­pena ha avuto il possesso: l’alienazione del soggetto nell’oggetto ha la durata dell’istante in cui l’oggetto è consumato. Anche l’eccesso è chiuso entro precisi confini. Ben diversa è l’identità intenzionale che s’istaura nel processo di conoscenza: l’omologazione al ruolo demiurgico comporta il riconoscimento del divenire. Il non-Essere spalanca le sue porte e dall’Abisso fuoriescono i mostri. Essi non sono il prodotto del sonno della

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Storia...

Ragione, bensì i fantasmi che si presentano nei suoi sogni. Costante è stata, nella storia della cultura occidentale, la lettura della caduta primigenia in chiave sessuale (negli interpreti filoso­ficamente meno smaliziati) ed estetico-edonistica (in quelli for­niti di maggior sensibilità speculativa). L’Avversario, il Tentatore, è indubbiamente o femmina o alleato della femmina. Al ruolo femminile, si badi bene, non va addebitato il primitivo e in­genuo, seppur immediato, attributo della seduzione sessuale. Ben più articolato e complesso è il suo significato. A livello mitolo­gico, il femminile è l’elemento acqua con i suoi numerosi portati simbolici. Sul piano archetipico, sottende la rottura dell’unità dell’androgine, il quale, a sua volta, sul piano antropologico ri­ manda al tema del frazionamento dell’unità Uomo-Vita con la conseguente irruzione della morte nella storia (Eva o Havvah è “il vivere”, nella versione greca dei Settanta è detto che Adamo diede alla sua compagna il nome di Zoé ). In ambito filosofico o meglio della fenomenologia delle forme del “pensare” l’intelletto è maschile e la 76

sensazione è femminile. La donna, come fattore di perdizione del genere umano, non è una costante transculturale ovunque facilmente decodificabile: Eva e Pandora appartengono al mito misogino, mentre, ad esempio, ai due estremi del per­corso culturale della “mezzaluna fertile” troviamo, alle origini, il precedentemente citato racconto sumerico per cui l’uomo è già preformato dalla divinità perchè fosse in parte malvagio e, all’apice, il mito alessandrino del Pimandro in cui l’uomo sceglie liberamente la caduta in favore della conoscenza della Natura. Il mito greco di Pandora è totalmente esplicito e non dà adito a interpretazioni avventurose o a miticidi, ottenuti per ellisse di parti essenziali del racconto, a soli fini ideologici (Pandora è l’inconsapevole strumento degli dèi che intendono punire Prometeo, l’autentico responsabile del peccato originale e non è la malvagia femmina che opera intenzionalmente per la rovina): L’Araldo divino fece parlare la femmina, un dono le dette: Pandora, dono di tutti gli dei abitanti le case d’Olimpo per la di­sgrazia degli esseri umani che mangia-

no pane ... Prima di allora, le razze degli uomini sopra la terra erano im­muni daimali, ignari di dure fatiche, non conoscevano i morbi penosi che danno la morte. Quando la mano di donna levò dal gran vaso il coperchio sparse i malanni versando sugli uomini pianti e dolori. Solo Speranza rimase serrata nel carcere chiuso ... (Esiodo, Le Opere e i Giorni, 53 e sgg. ) Mentre quello ebraico lo è solo sul piano idiografico e non su quello ermeneutico: Ora il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che il Signore Iddio aveva fatto. Disse dunque alla donna:”Davvero Dio vi ha detto: Non mangiate di alcun albero del guardino?” Rispose la donna al serpente: “Noi possiamo mangiare del frutto degli alberi del giardino, ma quanto al frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino, Dio ci ha detto: Non mangiatene! Anzi, non toccatelo neppure, altrimenti morrete”. Allora il serpente disse alla donna: “No, voi non morrete, anzi Dio sa che il giorno in cui ne mangerete vi sia apriranno gli occhi e sarete come Dio: conoscitori del bene e del male”. (Genesi 3, 1-6) Quanti piani di lettura sono stati utilizzati per questo brano! I componenti del cast che dà vita alla recita del racconto biblico sono diventati, via via, i portatori delle intenzioni simboli­che e delle fantasie ermeneutiche più diverse. E sì che l’espressione: “conoscenza del bene e del male” è sufficientemente immediata sia dal punto di vista lessicale che semantico! Si potrebbe riproporre, al riguardo, una parafrasi del tipo: interpre­tationes non sunt multiplicanda propter necessitatem, se non altro perchè esiste già una notevole concorrenza sul piano confessio­nale (fatto del tutto concesso e concepibile) per non obbligare lo storico a professare un mestiere non suo: inventare nuove raffigu­razioni simboliche o allegorie di Satana oltre quelle già esistenti. Bernard Teyssèdre, nel suo La naissance du Diable, ci ricorda quella che, anche a mio avviso, è la prima delle interpretazioni filosofiche del Serpente Tentatore, quella che, specie in ambito etico-estetico, ha poi servito da falsariga alla morale giudaico-cristiana nei secoli seguenti. Si tratta della lettura della caduta primigenia contenuta nella Creazione del Mondo di Filone Alessandrino, un giudeo


neoplatonico vissuto ai tempi in cui il Cristo predicava in Palestina. Lasciamo la parola al testo: Dato che nel divenire non vi è nulla di stabile e che i mortali sono necessariamente soggetti a modifiche e variazioni, biso­gnava che il primo uomo venisse messo alla prova anche dal male. L’origine della sua colpa vitale è stata la donna. Il Serpente è per la donna, Vita sospesa alla sensazione ed alla carne, la voluttà (edoné) che si contorce e s’attorciglia, incapace di sollevarsi, che striscia sulla terra e arrotola le sue spire sui beni del mondo, che ricerca gli anfratti che stanno all’interno dei corpi per annidarsi nelle pieghe e nelle crepe di ciascuno dei sensi ... I primi rapporti carnali (sunodoi) fra il maschio e la femmina hanno avuto come grande maestro d’iniziazione la voluttà ... [il serpente] è il consigliere dell’uomo che si compiace di sac­cheggiare quel che in lui vi è di puro e di santo, inteso al solo scopo di farlo morire dei suoi morsi velenosi e indolori ... La voluttà non osa presentare le sue imposture e i suoi lacci menzogneri all’uomo, ma alla donna si, e, attraverso di lei arriva all’uomo. In noi, infatti, l’intelletto gioca il ruolo del maschio e la sensazione quello della femmina. La voluttà s’accosta quindi in prima istanza alle sensazioni e le frequenta e, in seguito, avendone abusato va persa l’egemonia dell’intelletto. Ciascuna delle sensazioni viene eccitata dai suoi filtri di incantamento: la vista dalla varietà dei colori e delle figure, l’udito dalle melodie dei suoni, il gusto dal diletto dei sapori, l’odorato dalle fragranze dei profumi. Quando, come graziose servette, le sensazioni affascinanti portano ciò, con il concorso della persuasione, all’intelletto, questi non è in grado di respin­gerlo. Così alienato, da principe che era diviene schiavo, da pa­drone servitore, da libero cittadino a esiliato, da immortale a mortale. Non bisogna ignorare che la voluttà simile ad una cortigiana, ad una puttana, concupisce il coito di un amante e si cerca delle ruffiane che lo riescano ad adescare. Sono, appunto, le sensa­zioni che autentiche ruffiane e prossenete portano tale amante all’intelletto il quale, una volta adescato non può più liberarsi dai lacci ... (Philo Judaeus, De Opificio Mundi)

Quel che viene dopo Filone altro non è che “variazione sul tema”, perchè se la misoginia ha profonde radici bibliche (per nulla ereditate dai Vangeli), la dottrina vincente della donna alle­ata, per il suo intrinseco portato estetico-edonistico, all’Avversario dell’intelletto, non ha riscontro in precedenza. I grandi miti assiri, babilonesi, ittiti, cananei, egizi indicavano il terrore dell’Abisso e della Morte in un inimmaginabile invi­luppo di attrazione e repulsione del caotico tremendo; il mito greco di Pandora segnalava nella donna il consecutivo della ybris umana: la ftonos divina, mentre le narrazioni vetero testamentarie fanno della “madre di tutti i viventi” colei che, dopo la divisione del primigenio Adam in maschio e femmina, dona all’umanità la conoscenza, facendole però perdere la vita: Poi il Signore Iddio disse:” Ecco, ora l’uomo è diventato come uno di noi nella conoscenza del bene e del male. Ora dunque, non stenda la mano e non colga anche l’albero della vita e ne mangi e viva in eterno” (Genesi, 3, 22) Esiste, in merito al drammatico tema della frammentazione dell’androgine originario, un illuminante brano del Vangelo degli Egizi, dove il tema della Morte è legato alla separazione delle funzioni maschile e femminile e quello della conoscenza alla ri­composizione dell’unità. Quando il Verbo ebbe parlato della Fine dei tempi, Salome domandò: “Per quanto tempo la Morte regnerà ancora sulla terra?” E il Signore rispose: “Finchè nasceranno uomini partoriti da donne” ... E Salomé gli domandava quando avrebbe avuto la piena conoscenza di tutte le cose sulle quali lo stava interrogando, il Signore rispose “Quando voi avrete calpestato il velo del pu­dore, e i due diverrano uno e l’uomo con la donna non sarà più nè uomo nè donna: Dall’età di Filone, attraverso la Patristica e la Scolastica, fino ai tempi conseguiti dalla Riforma e dalla Controriforma, il tema estetico-edonistico è risultato, invece, il leit-motif nella dialettica fra Uomo e Satana: l’albero che sta al centro del Giardino dell’Eden ha dato i suoi frutti amarissimi in quanto essi sono il ri­sultato della degenerazione della conoscenza intellettiva in quella sensitiva.

La Donna, poi, gioca in tutta la questione il ruolo di schermo o per meglio dire da ipostasi cui attribuire la responsa­bilità del Male sulla terra, dato che Satana, che è pur sempre Spirito, non potendo agire sulla materia deve chiamare in gioco l’alleanza di chi è in possesso dei sensi e del-

...delle idee la capacità di usarli. I Padri della Chiesa hanno ben assimilato la lezione dell’ebreo di Alessandria e lanciano parole di fuoco contro colei tramite la quale l’Avversario può insinuarsi nelle carni dell’uomo. Citiamo a caso: Quando vedete una donna, pensate che davanti a voi non c’è nè un essere umano nè una bestia feroce, ma il Diavolo in per­sona. La voce della donna è il sibilo del Serpente. (S. Giovanni Crisostomo) La donna è la porta di Satana, la strada dell’ingiustizia, le chele dello scorpione. (S. Gerolamo) Fugga da noi questa peste, questo contagio, questa insidiosa rovina. La donna è il dolce veleno con cui il Diavolo si impos­

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sessa delle nostre anime. (S. Cipriano) In senso tutt’affatto diverso era stata nella predicazione del Cristo l’immagine di Satana. L’Avversario, il Tentatore (le cui tecniche di persuasione ha dovuto sperimentare Gesù medesimo), è Colui che

Storia... tende a distruggere la purezza di cuore. Allora Gesù fu condotto dalla Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo e dopo aver digiunato quaranta giorni e qua­ranta notti ebbe infine fame. Avvi-

cinatisigli il Tentatore gli disse: “Se sei Figlio di Dio di’ a queste pietre che divengano pane”. Ed egli rispose: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Allora il diavolo lo condusse nella città santa e lo pose sopra il pinnacolo del tempio e gli disse: “Se sei figlio di Dio gettati giù perchè sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini per te, essi ti porteranno sulle mani, affinchè il tuo piede non abbia ad inciampare in alcuna pietra”. Gesù rispose: “Sta an­che scritto: Non tentare il Signore Dio tuo”. Di nuovo il diavolo lo condusse sopra una montagna altissima e gli fece vedere tutti i regni del mondo e la loro gloria dicendo: “Tutte queste cose sa­ranno tue se prostrandoti mi adorerai”. Ma Gesù gli disse: “Vattene Satana, poichè sta scrit78

to: Adorerai il Signore Dio tuo e solo Lui servirai”. (Matteo 4, 1-11) In primo luogo Cristo rifiuta di imputare il male fisico a colpe morali individuali o familiari: il cieco, lo storpio, il sordomuto, l’emorroissa e in genere ognuno degli infermi (compresi i “posseduti”) con cui viene a contatto, sono diagnosticati impuri nel corpo, ma non nello spirito. La sofferenza che subiscono non è la punizione di una colpa commessa da loro o dai loro genitori (la lezione di Giobbe è stata perfettamente assimilata dal Rabbi Jesohua). Egli è il Grande Esorcista

perchè adamantina è la purezza del suo cuore. Le sue battaglie contro il Demonio sono già vinte di partenza e, difatti, le legioni di demoni si lamentano di lui come di un elemento estraneo alla dialettica storica, un elemento inatteso che sconvolge le regole usuali e fa pendere la bilancia dalla parte del Bene. È come se Dio avesse smesso di stare ai patti e avesse deciso di mettere Satana stesso alla prova: Ed appena sceso dalla barca subito gli corse incontro dai se­ polcri un uomo posseduto da uno spirito impuro. Questi dimo­rava nei sepolcri e nessuno poteva tenerlo legato neppure con ca­tene ... E stava sempre giorno e notte nei sepolcri o sui monti a urlare e a lacerarsi con pietre. E visto Gesù da lontano subito gli corse

incontro e lo riconobbe e quindi urlando a gran voce: “Cosa c’è fra me e te, o Gesù figlio del Dio Altissimo? Ti scon­ giuro in nome di Dio di non tormentarmi”. Gli diceva infatti: “Esci spirito impuro da quest’uomo” e ancora: “Quale è il tuo nome?” Ed egli: “ Il mio nome è legione, perchè siamo molti” (Marco 5, 1-10) Il solo nome del Cristo basta a mettere Satana in fuga, ma, come è ricordato negli Atti degli Apostoli, Satana non si fa ingan­nare dalle forme: “Conosco Gesù e so chi è Paolo, ma voi chi siete?” dice ai maghi ebrei che usavano il nome del Cristo per cacciarli. “Non siete voi che parlate, ma lo Spirito del Padre Vostro che è in voi” ricorda Gesù ai suoi discepoli; i posseduti dallo Spirito Santo possono, quindi, salvare i posseduti da Satana non per loro “potere miracolante” ma in quanto operano en tò onòmati sou (nel nome suo). La salvezza sta nel credere con la fiducia di un fanciullo, offrirsi al mondo nella purezza di cuore. I segni della salvezza sono esplicitati al temine del Vangelo di Marco: Andate per il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà battezzato si salvera e chi non avrà cre­duto sarà condannato. Questi sono i segni che accompagneranno quelli che hanno creduto: nel mio nome cacceranno i demoni, parleranno nuove lingue, prenderanno in mano i serpenti e nes­ sun veleno potrà nuocerli, porranno le mani sopra i malati e li guariranno. (Marco, 16, 15-19) Il Cristo è in primo luogo Colui che ha vinto la Morte e che ha ricacciato i Mostri nell’Abisso. Il Messia, atteso dall’inizio dei tempi della storia, è l’imprigionatore del serpente, il domatore del Leviatano, il nemico di Satana, l’unico viaggiatore tornato dagli Inferi, il vincitore della Morte. Con lui termina un itinerario storico e ne ricomincia un altro: l’Antico Avversario delle stirpi semitiche si trasforma in Principio del Male, l’antitesi di Dio, il Suo doppio malvagio. Nella letteratura nuovo testamentaria Satana non si è ancora fuso con l’iranico Ahriman, l’oppositore del dio-buono Ahura Mazda, ma rappresenta fondamentalmente l’agonizzante abitatore degli abissi e della notte (drago-morte) che il Salvatore ha defi­nitivamente sconfit-


Signore disse: “Hai posto la tua attenzione sul mio servo Giobbe, del quale non v’è pari sulla terra, uomi integro e retto, timorato di Dio e alieno dal male”. Satana rispose al Signore dicendo: “Forse che Giobbe teme Dio senza motivo? Non hai tu posto forse un ri­paro intorno a lui, alla

...delle idee

to, pur consentendogli di ritornare, ma solo alla fine dei tempi. Per intanto i suoi discepoli non solo sparge­ranno la Buona Novella fra tutti i popoli, ma li libereranno anche dai loro demoni-avversari. Sfortunatamente tale messaggio (intendo quello del Cristo) ha una brevissima durata storica e il cristianesimo diventa rapi­damente l’eclettico portatore dei più diversi elementi di un mondo che s’era via via trovato a ridursi alle dimensioni del passo dei legionari romani. Fra questi elementi il demoniaco sembra costi­tuire quello che più d’ogni altro ha assunto tutte le caratteristiche negative delle varie civiltà d’origine: Satana incarna quindi in sé l’opposto ontologico di Dio, il Principio del Male, il Maestro delle femmine, l’Iniziatore dell’edoné aistesis, il

Rapinatore delle anime, il Mostro che seduce tramite l’orrore ... L’ Avversario In tutta la letteratura veterotestamentaria il nome di Satana non appare che in tre luoghi: Ora Satana insorse contro Israele e incitò Davide a censire il popolo di Dio ... (Cron. 21, 1) E mi fece vedere Giosué, il gran Sacerdote, ritto dinanzi all’ angelo del Signore e Satana ritto alla sua destra per accusarlo. (Zaccaria, 3, 1) Ora un giorno gli angeli vennero a presentarsi al Signore e fra essi venne anche il Satana [ha-satan]. E il Signore disse a Satana: “Da dove vieni?” Satana rispose al Signore dicendo: “Dal girare per la terra e portare i miei passi su di essa”. E il

sua casa e a tutto ciò che gli appartiene? L’opera della sua mano hai benedetto ed i suoi averi si sono mol­tiplicati sulla terra. Ma prova a stendere la tua mano contro di lui, tocca tutto quello che lui possiede e vedrai se non ti offenderà apertamente”. (Giobbe, 1, 6-12) Egli è l’Avversario, l’angelo di Dio che non si limita ad appro­vare tutto quel che Lui fa, ma gli parla con franchezza e mette alla prova, col consenso divino, il popolo del Suo Signore. Più tardi verrà via via assimilato con il Serpente o con Leviathan, Boehemot e altri mostri che le diverse culture pros­sime a quella ebraica avevano lasciato transitare fra le memorie collettive. Nel sogno di Daniele le Quattro Bestie sono indubitabilmente riconoscibili nei mostri della primeva mitologia babilonese: le creature venute dal mare e mai definitivamente ricacciate negli abissi. Leviathan, come dragone degli abissi, è chiaramente definito in Isaia: In quei giorni Yahvé vincerà definitivamente Leviathan e lo abbatterà con la sua spada forte e ben temprata., Leviathan il ser­pente guizzante, Leviathan il serpente tortuoso, Egli ucciderà il dragone che viene dal mare. ( 27, 1) E fuori dai testi canonici da Henoch: In quel giorno si divideranno due belve marine: una belva femmina di nome Leviathan, affinchè dimori negli abissi del mare, sulle sorgenti dell’acqua. Ed il maschio che si chiama Behemot, è colui che occupa col suo petto quel che non si vede nel deserto ... (LX, 7) In Giobbe, invece, è sicuramente assimilabile al coccodrillo, così come Behemot lo è nell’ippopotamo, i due terribili e masto­dontici nemici degli egizi. Nei Salmi, invece, ritorna la tematica della Bestia che abita Tehom, l’abisso originario. Dai due popoli presso i quali si trovarono esiliati, egizi e babi­lonesi, gli ebrei assimilarono il relativo Bestiario che, nelle 79


Storia...

sue forme più terrifiche, si riferiva necessariamente all’abisso e al de­serto. Il più terribile dei mostri egizi, forse l’unico davvero temuto da tutti (eppure si pensi quale copia di personaggi mostruosi popola la religione faraonica!) è Apofis. Egli che inaridisce il Nilo abbe­ verandosi delle sue acque è, dapprima, l’Avversario di Horus e quindi di AmonRa, col quale ingaggia l’aspra lotta per ingoiarsi il sole. Mostro ambivalente che incarna la duplice paura di un po­ polo agricolo che temeva la siccità e, sopra ogni altra cosa, la perdita della luce, Apofis è il serpente che brucia, incenerisce e rinsecca ciò che gli si para davanti; la sua energia è utile ad Amon-Ra, come è precisato nella stele di Metternich, ma va rego­lata. Apofis è il ribelle per eccellenza, l’immortale che deve essere domato, ma non può essere distrutto. Le formule di scongiuro contro il dragone della siccità e il nemico della luce, quali sono ri­portate nella statua di Dijed-her, nel Libro dei Morti e nei Testi delle Piramidi, sono esattamente le stesse che utilizzeranno più tardi gli esorcisti cristiani, ma nel frattempo il serpente, che gli egizi avevano fatto incatenare da Orione e dalla Grande Orsa ai cieli del Sud e del 80

Nord, era già passato in Israele diventano l’antico dragone. S’egli trattiene le acque, è la siccità, se da loro via libera esse si riverseranno sulla tera e la sconvolgeranno (Giobbe 12, 15). Siccità e diluvio hanno i loro signori: il dragone che s’abbevera della rugiada delle stelle e quello che libera le cateratte del cielo. In modo analogo gli Ebrei avevano assunto dai Semiti dell’Eufrate la loro lunga teoria di abitatori degli abissi e padroni della notte. In particolare il serpente è un elemento che compare in tutte le ibridazioni zoomorfe sia ofidocefale che somatofide: l’idra a sette teste, il dragone dalla testa e ali d’aquila e il corpo di ret­tile, il leone col corpo squamoso e la testa di aspide, il toro rettile ecc ... In tutti i miti sumerici essi compongono la grande armata della tempesta, i portatori dell’uragano, i maestri del diluvio. Ma nello stesso tempo essi rendono amare le acque, contengono il veleno dello scorpione, bruciano ciò che è vivo con il loro ardore. Apofis che porta la carestia, Tifone che erutta pietre di fuoco, Samanum che sparge la peste, Mashkadu l’avvelenatore, Serah dei sumeri il dio-serpente della vita e della morte, Vrta degli indù

che porta la siccità, sono alcuni dei suoi nomi. Egli è in realtà il Male, l’incarnazione degli umani terrori, la parte orribile della natura, il disordine cosmico, gli uragani e le siccità, le malattie e le sofferenze, il destino di morte. Nella mitologia germanica Loki, il demone dell’eversione delle forze naturali e dell’ordine cosmico, ha con sé una nutrita schiera di aiutanti, gli stessi che nei giorni di Ragnarok avranno una tale rivincita contro gli Dèi da ottenere completa e forse definitiva vit­toria: la morte dell’Universo come completamento del dramma delle infinite morti individuali. Anche per i greci e i romani il destino di morte era nelle mani di una schiera di abitatori degli Inferi: i loro nomi e le loro funzioni rimandano alla morte, alla tenebra, alla decomposizione del cada­vere, al giudizio e alla pena. Lo stesso Pan porta in sé l’ambivalenza del rapporto sesso-morte. In India, così come già s’è visto per le terre mesopotamiche, Abisso e Morte hanno la stessa carica di orrore demoniaco: Vrta è il dragone che porta la siccità e Pisaca è lo spettro che divora la carne dei cadaveri, Shiva è il devastatore dell’ordine naturale e Kali “la nera” è l’epifania


della morte, le Grandi Madri sono por­ tatrici di vita e di morte, di nutrimento e di fame. Dalle grandi montagne del Tibet alle foreste africane, dalle praterie del Nord America alla tundra siberiana, dai territori altaici a quelli mongoli, il terrore ha costantemente incarnato un Avversario dal duplice aspetto: infrazione dell’ordine e destino di morte. E in quest’accorata lamentazione del Salmista che prega il Suo Dio di salvarlo dall’abisso e dalla morte che sta, a mio avviso, il senso profondo della storia dell’Avversario: Tu non puoi abbandonare la mia anima allo Sheol nè permettere che il Tuo amico stia di fronte all’Abisso (Salmi 16,10). La metateorizzazione del mito di Satana in chiave politica o sessuale, strumento di assimilazione dell’Avversario negli avver­sari, fa parte del risveglio del Satana che ogni uomo ha in sé, ap­partiene ai tempi in cui Egli non fa più paura né genera terrore per coloro che lo hanno imprigionato per farne il loro mezzo di potere sugli altri, che a loro volta lo vivono come immagine dei loro per­secutori. Ma quando Satana riappare davanti ai nostri occhi, si riaccende la seduzione dell’orribile, l’ambivalente voluttà del tremendo, l’ineffabile piacere di sentirsi nell’Abisso e fra le braccia della Morte. Davanti a Lucifero le parole non bastano a ridare l’immagine della figura dell’Avversario, è necessario fare ricorso a un segno grafico globale, una sorta di ologramma del terrore: Com’io divenni allor gelato e fioco/Nol dimandar, lettor, ch’io non lo scrivo/ Però c’ogni parlar sarebbe poco./Io non morii e non rimasi vivo:/Pensa oggimai per te, s’ahi fior d’ingegno,/Qual io divenni d’uno e d’altro privo./Lo ‘mperator del doloroso regno/da mezzo il petto uscia fuor dalla ghiaccia;/E più con un gigante io mi convegno. (Dante, Inferno, XXXIV, vv. 22-30).

...delle idee

P.72-81: Opere ‘demoniache’ dell’inglese William Blake (28 novembre 1757-12 agosto 1827) e del fiammingo Pieter Bruegel o Brueghel (Breda, 1525/1530 circa – Bruxelles, 5 settembre 1569); In apertura il ‘Satana’ di Blake.

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Massoni...

Giovanni Ghinazzi Documenti su massoni in divisa Antonino Zarcone

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iovanni Ghinazzi (Bologna, 9 Luglio 1915 – Roma, 14 novembre 1986). Figlio di Guglielmo e Adalgisa Boldini Serra. Ufficiale dell’Aeronautica Militare. Diplomato Ragioniere e Perito commerciale presso l’Istituto Tecnico Commerciale per Geometri “Pier Crescenzi” di Bologna nell’estate del 1934. Ammesso a domanda in qualità di Aviere Allievo Ufficiale di complemento con l’obbligo di compiere una ferma di 18 mesi a partire dal 27 settembre 1935 ed assegnato alla base militare di Parma. L’otto ottobre 1935 viene trasferito all’Aeroporto di Taliedo. Nominato pilota d’aeroplano su apparecchio Ca. 100 il 10 maggio 1936. Trasferito alla Scuola Centrale di Pilotaggio di Grottaglie il 20 maggio 1936. Nominato Primo Aviere il 25 giugno 1936 con decorrenza dal 10 maggio 1936. Nominato

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Pilota militare su apparecchio BR. 2 il 26 novembre 1936. Abilitato al pilotaggio su apparecchio S. 81 l’11 gennaio 1937. Nominato Sottotenente di Complemento nell’Arma aeronautica ruolo naviganti l’8 febbraio 1937 e destinato all’8° Stormo da Bombardamento. Presta giuramento di fedeltà a Bologna il 28 marzo 1937. Autorizzato a rimanere in servizio per tre mesi a decorrere dal 27 marzo 1937: nomina poi prorogata di tre mesi in tre mesi. Abilitato a pilotare l’apparecchio Savoia 79 il 20 settembre 1937. Inviato in Missione speciale Oltre mare per partecipare alla guerra civile spagnola dal 12 gennaio 1938 al 16 febbraio 1939. Decorato della medaglia Commemorativa della Campagna di Spagna della Croce al Merito di Guerra e della Medaglia di Benemerenza dei volontari di Spagna della Medalla Militar Collettiva Spagnola e della Medalla

de la Campaña Española. Il 17 settembre 1938 è decorato della Medaglia d’Argento al Valore Militare perché <<Volontario in missione di guerra per l’affermazione degli ideali fascisti, partecipava quale capo equipaggio di apparecchio da bombardamento veloce a numerose azioni di guerra affrontando valorosamente violenti combattimenti con la caccia nemica e vivacissima reazione antiaerea. Cielo di Spagna, gennaio – marzo 1938>> e il 14 maggio 1940 di Medaglia di Bronzo al Valore Militare perché <<Capo equipaggio di apparecchio da bombardamento, già ripetutamente distintosi in precedenti cicli operativi, partecipava a molte altre azioni di guerra, dando conferma delle sue elevate qualità morali e militari. Durante un’azione particolarmente rischiosa, il suo velivolo veniva colpito in pieno e danneggiato da un proiettile contraereo,


...in divisa che uccideva un membro dell’equipaggio. Malgrado la tragicità della situazione e le precaria stabilità dell’apparecchio, conservava calma esemplare e riusciva con somma perizia, a rientrare alla base di partenza. Cielo di Spagna, settembre 1938 – febbraio 1939>>. All’11° Stormo da Bombardamento dal 20 marzo 1939. Al Comando della III^ Divisione aerea “Centauro” dal 1° aprile 1939. Transitato in servizio permanente effettivo per Merito di Guerra il 16 febbraio 1939 con anzianità 17 dicembre 1936 ed autorizzato a fregiarsi dell’apposito distintivo. Promosso Tenente il 22 settembre 1939 con decorrenza dal 12 luglio 1938. Nel 1939 partecipa alle Operazioni Militari per l’Occupazione dell’Albania per cui è decorato della Medaglia Commemorativa della Spedizione in Albania e della Cro-

ce al merito di Guerra per la Spedizione in Albania (20 maggio 1941). Al Comando Generale della Gioventù Italiana del Littorio dal 1° marzo 1940. Al 12° Stormo da bombardamento dal 1° giugno 1940. Combattente della guerra 1940/43. Mobilitato in territorio dichiarato in stato di guerra e zona d’operazioni dall’11 giugno 1940. Partecipa alle operazioni di guerra contro la Francia, in Africa Settentrionale, contro la Grecia, la Jugoslavia e nel Mediterraneo. Al 41° Gruppo autonomo da Bombardamento dal 15 settembre 1940. Il 6 luglio 1940 parte col proprio reparto dall’Aeroporto di Ciampino e si trasferisce all’Aeroporto di Gadurrà a Rodi. Decorato della Medaglia di Bronzo al Valore Militare “sul campo” perché <<Capo pilota di velivolo da bombardamento, eseguiva con ec-

cezionali risultati, azioni offensive al limite dell’autonomia, superando gravi difficoltà, contro importantissimi e ben difesi depositi di carburante nemici. Cielo del mediterraneo, 15 luglio 1940>>. L’8 agosto 1940 parte in missione e giunge all’aeroporto di Ciampino Nord. Abilitato al pilotaggio di apparecchio Cant Z. 1007 bis il 14 agosto 1940. Il 23 settembre 1940 parte da Ciampino per rientrare all’Aeroporto di Gadurrà. Il 5 novembre 1940 si trasferisce con il proprio reparto all’Aeroporto di Castel Benito a Tripoli; poi l’11 novembre 1940 a Brindisi. Abilitato al pilotaggio su apparecchio Savoia 82 il 16 novembre 1940. Decorato della Medaglia d’Argento al Valore Militare perché <<Ufficiale pilota, prendeva parte quale capo equipaggio di apparecchio da bombardamento a numerose azioni sul-

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la flotta e sulle armate basi nemiche, dimostrando capacità ed ardimento. Superando valorosamente l’intenso fuoco contraereo e gli attacchi della caccia, riusciva sempre a raggiungere gli obiettivi assegnatigli, a colpirli efficacemente, portando un valido contributo all’ottimo esito delle missioni. Cielo del Mediterraneo e della Grecia, 11 giugno 1940 – 13 dicembre 1940>>. Inviato in convalescenza per malattia contratta in servizio dal 2 aprile 1941 (enterocolite-malaria),

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cessa di essere mobilitato in territorio dichiarato in stato di guerra e zona d’operazioni. Abilitato al pilotaggio di apparecchio S. 84 il 26 aprile 1941, rientra al reparto il 22 aprile 1941. Viene nuovamente mobilitato in territorio dichiarato in stato di guerra e zona d’operazioni. Il 3 maggio 1941 si trasferisce con il proprio reparto all’Aeroporto di Littoria ed il 4 agosto 1941 nuovamente a quello di Gadurrà a Rodi. Ricoverato all’Ospedale Militare di Rodi il 20 luglio 1941, cessa

di essere mobilitato in territorio dichiarato in stato di guerra e zona d’operazioni. Rientrato al reparto il 3 agosto 1941, viene nuovamente mobilitato in territorio dichiarato in stato di guerra e zona d’operazioni. Il 4 agosto 1941 rimpatria con il proprio reparto e rientra a Littoria. Promosso Capitano l’8 agosto 1941. Decorato della Medaglia di Bronzo al Valore Militare perché <<capo equipaggio di velivolo da bombardamento, partecipava a numerose missioni belliche. Nell’at-


tacco di una complessa formazione navale nemica sfidando l’intenso fuoco contraereo, riusciva a colpire con bombe un incrociatore, dimostrando belle doti di combattente e di pilota. Cielo del Mediterraneo e Croazia, 14 dicembre 1940 – 12 luglio 1941>>. Inviato in licenza di convalescenza dal 7 aprile 1942, cessa di essere mobilitato in territorio dichiarato in stato di guerra e zona d’operazioni. Il 24 luglio 1942 è nominato Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia. Autorizzato a fregiarsi del Distintivo di Bronzo (1 grado) per la categoria bombardamento; nel 1942 è inviato in convalescenza per malattia contratta in servizio (ulcera duodenale) l’8 settembre 1942. Dal 28 novembre 1942 è collocato in aspettativa per infermità contratta in servizio. È Autorizzato a fregiarsi del Distintivo d’Argento (2 grado) per la categoria bombardamento nel 1943. Richiamato in servizio presso la Scuola di Applicazione Aeronautica dal 29 maggio 1943, l’8 settembre 1943 si sbanda a seguito degli avvenimenti bellici conseguenti l’armistizio dell’8 settembre 1943. Il 2 maggio 1945 si presenta al Comando Nucleo della 2 Zona Aerea territoriale, a disposizione della quale rimane in attesa di un successivo impiego. Viene decorato di due Croci al Merito di Guerra e della Medaglia Militare Aeronautica d’Oro di Lunga Navigazione Aerea. È iniziato Apprendista Libero Muratore il 7 luglio 1945 nella sede della Massoneria di via Meravigli a Milano. Il 30 settembre 1945 viene nuovamente collocato in aspettativa per infermità contratta in servizio. Fondatore della Loggia “Orione” di Bologna e, in seguito, della “VIII Agosto” (8 marzo 1946), ne è Maestro Venerabile fino al 1970. Il 17 febbraio 1948, a seguito del cambiamento della forma istituzionale, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica Italiana. È promosso Maggiore il 16 agosto 1948 con decorrenza dal 1 dicembre 1945 e assegnato al Presidio regionale aeronautico di Bologna; dal 17 settembre 1948 viene collocato nella Forza assente il 29 marzo 1949. Ispettore Regionale della Serenissima Gran Loggia Nazionale per l’Emilia dal 31 Maggio 1949. Al Comando della 2 Zona Aerea Territoriale dal 3 maggio 1950, giudice del Tribunale Militare Territoriale di Padova dal 13 marzo 1950

...in divisa

al 29 maggio 1951; è promosso Tenente Colonnello l’11 maggio 1951 con anzianità 31 dicembre 1950. Giudice del Tribunale Militare Territoriale di Bologna dal 30 giugno 1951 al 30 luglio 1953, comandante dell’Aeroporto di Bologna dal 1° luglio 1951 al 16 luglio 1952, al Comando della Zona Aerea Territoriale dal 2 agosto al 25 ottobre 1952, è alla Scuola di Guerra Aerea di Firenze dal 25 ottobre 1952. Primo Gran Sorvegliante dal 1953. Collocato in aspettativa per infermità contratta in guerra dal 10 febbraio 1954. Nominato Cavaliere dell’ordine al Merito della Repubblica Italiana il 2 giugno 1954. Gran Maestro Pro tempore della Serenissima Gran Loggia d’Italia dal 1955. Collocato in congedo assoluto il 21 dicembre 1955. Iscritto nel Ruolo d’Onore l’8 febbraio 1958 con decorrenza dal 13 maggio 1955. Promosso Colonnello l’11 settembre 1961. Luogotenente Sovrano Gran Commendatore pro tempore della Gran Loggia d’Ita-

lia dal 14 gennaio 1962. Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia dal 24 giugno 1962. Nominato Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana il 27 dicembre 1962. Sovrano Gran Commendatore ad interim della Gran Loggia d’Italia dal 14 marzo 1964, poi Sovrano Gran Commendatore e Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia dal 14 giugno 1964 sino al passaggio all’Oriente Eterno. Commendatore dell’Ordine equestre di San Silvestro Papa il 1 febbraio 1966 è nominato Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana il 12 ottobre 1969. Promosso Generale di Divisione aerea il 3 dicembre 1970 con decorrenza dal 13 dicembre 1967, il 5 aprile 1975 sposa la marchesa Ottavia Boggiano Pico. P.82 e 83 in alto: Un velivolo Caproni Ca.100 sia in versione terrestre che idro; p.83 (in alto a destra): Fiat BR.2; p.83 (in basso): 1937, Savoia Marchetti 79 con le insegne della Guerra di Spagna (1936/1939); p.84: Il velivolo da bombardamento Cant. Z.1007bis Alcione (la vers. ‘bis’ aveva sostituito i motori Isotta-Fraschini con dei Piaggio, più potenti); p.85: Roma, Giovanni Ghinazzi 33\

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A Lo zibaldone...

Il diavolo non rispose all’esorcista... E alla fine Satana stava per sbottare: ‘Ma che diavolo vuoi?’ Aldo Alessandro Mola

ll’esorcista il Diavolo infine non rispose più. Perché? Maleducato? O perché sapeva di latino…” Chiassoso ma breve fu il successo dell’Ultimo esorcista di Padre Gabriele Amorth e Paolo Rodari (Edizioni Piemme, gruppo Mondadori). Domenica 1 aprile 2012 il saggista Errico Buonanno ne ha scritto in “La lettura”, (supplemento domenicale del “Corriere della Sera”), con il trepido entusiasmo di chi, per parlarne con cognizione di causa, ha assistito nientemeno che all’esorcismo di un ragazzo. Anzi vi ha partecipato recitando “Un’ Ave Maria, che – narra Buonanno – riesco a seguire, poi invocazioni più complesse, in latino, e la consegna a pregare col gruppo mi vede in difficoltà…” Dopo lunghi minuti di battaglia, al giovane indemoniato, ormai esausto e con gli occhi leggermente storti – secondo Buonanno – padre Amorth domandò: “Come ti chiami?” Silenzio. “Quid est nomen tuum?” “Marco…” rispose flebile il demonio tramite l’esorcizzando. “Marco e poi? Basta? Non senti altri nomi?” incalzò il padre. Zero. Evidentemente il Diavolo era stufo di sentirsi interrogare in italiano e in un latino maccheronico anziché nella sua lingua luciferina. Un Satanasso serio da un esorcista di classe si attende semmai una domanda in buon latino, e dunque: “Quod est nomen tuum…”, non “Quid…” Sulle due rive del Tevere il latino è ormai una lingua morta, ma rimane indispensabile per valicare le porte dell’Inferno. Altrimenti Satana ha ragione di … mandare al diavolo esorcisti, indemoniati e giornalisti. È un po’ come per la Madonna: poliglotta che passa dal francese di Lourdes, al portoghese di Fatima, a lingue balcaniche e dialetti valligiani, ma non consta usi fare confidenze in latino, né nella lingua di Giosue Carducci. A meno che tutto il racconto di Buonanno sia uno scherzo da 1 aprile. In fondo il Buon Diavolo è un burlone e si beffa anzitutto di chi ci crede e di chi ne scrive, anche nella “Lettura” del Corrierone. Francisco José de Goya y Lucientes (1746-1828), dipinto satirico.


L’

assuefazione a vedere un oggetto abitua a non guardarlo e a non capirlo davvero. Sempre identico, nel tempo esso cessa di attrarre l’attenzione. C’è. Non ci si domanda più che cosa esprima. Accade anche per le icone. Parlano solo se e quando le facciamo parlare e ne cogliamo il significato: quando da “segno” divengono “simbolo”. Altrimenti rimangono indifferenti, mute. Ed è così per i motti abituali. Li si ripete senza interrogarsi sul loro significato. Quando si scopre che la loro interpretazione corrente è errata o quanto meno dubbia e si tenta di correggere,

piano chi sia l’autore del manoscritto. Le firme in calce non aiutano affatto, perché nessuna rimanda alla grafia del lungo testo né all’aggiunta della data. Non sappiamo neppure se i firmatari si siano fermati sull’incipit o l’abbiano considerato sicuramente corretto, come spesso accade anche con i documenti più delicati e impegnativi, i cui singoli articoli e commi impegnano più che l’intestazione, data per scontata. Quel che ora consta, o possiamo osservare, è che quella formula è priva di senso. Qualunque tentativo di traduzione si risolve in un rompicapo, perché ab regge l’ablativo mentre inge-

ché architectoris) gloria ad ingeniis la cui traduzione in lingua neolatina non venne mai proposta nelle versioni che ne furono pubblicate in francese, italiano, spagnolo precedenti il Manifesto Ai Due Emisferi che il 10 ottobre 1802 lanciò il verbo scozzesista con la circolare approntata

, ... dell insolito

da Frédéric Dalcho, Isaac Auld ed Emmanuel De la Motta. L’intestazione della Circolare è: Universi terrarum orbis architectonis gloria ab (anziché ad) ingentis (anziché ingeniis). Architecton (genitivo

Un ‘rebus’ La divisa del Rito Scozzese Antico e Accettato si cozza contro il muro invalicabile del conformismo, il terrore del cambiamento. E ci si rassegna a lasciare le cose come sono o come suonano. È il caso di una tra le invocazioni più usate nel rituale cattolico: la formula “Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, liberaci dal male”, scalcinata traduzione in volgare del latino Agnus Dei, qui tollis peccata mundi ecc. Tollis è seconda persona del tempo presente di verbo tollere, che significa togliere ma anche prendere su di sé, farsi carico. L’Agnello di Dio si sobbarca i peccati del Mondo e si sacrifica. Accetta il patibolo per liberare gli uomini dalla colpa originale che li ha resi incapaci di redenzione con le loro sole forze. L’Agnello si fa capro espiatorio di colpe sovrastanti le forze degli uomini. È un “mistero” fondamentale - la Trinità - racchiuso in una parola, tradotta male, sbiascicata peggio, incompresa. Altrettanto curiosa è la formula iniziatica che della Costituzione del Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico e Accettato in (o per) l’Italia. La copia dell’Atto costitutivo, datato a Parigi il 16 marzo 1805, redatta il 5 aprile 1805 si apre con il motto: Universis orbis terrarum architectoris gloria(m) ab ingenii. Non sap-

nii è genitivo di ingenium. Se ne dovette accorgere l’editore dell’Estratto de’ Primi Travaglj della Gran Loggia Generale dell’Ordine R.le della Franca Massoneria Scozz(ese) al Rito Antico ed Accettato sotto la denominazione di G(rande) O(riente) d’Italia (Milano, 1805), ora ristampato da Pontecorboli (Firenze) per l’Istituto di Studi Lino Salvini, che infatti propose: Universis orbis terrarum architectoris gloria ab ingeniis ove gloria passò da accusativo a nominativo, ovvero a soggetto. La sua traduzione lascia interrogativi pressoché insormontabili, spingendo a soluzioni fantasiose e azzardate e al confine dell’assurdo. Potrebbe significare che ‘la gloria dell’architetto dell’orbe terrestre [proviene, verbo sottinteso] dai geni universali’. Sarebbero dunque gli uomini di scienza a generare la gloria del (Grande) Architetto. Un passo oltre, essi ne sarebbero gli inventori (cioè quanti scoprono e/o ideano). Un capovolgimento di prospettive non da poco, a patto che universis sia apposizione di ingeniis. La versione latina delle Grandi Costituzioni del 1786, dette di Federico il Grande, notoriamente apocrife, reca invece il motto: Universi terrarum orbis summi architectonis (anzi-

architectonis), notiamo di passo, non è l’architetto ma una macchina teatrale, un “buffone”. La formula risulta dunque uno scherzo inquietante. Esistono varie altre redazioni, tra le quali ricordiamo quella del Grande Oriente del Messico, Universi terrarum orbis architectonis ad gloriam ingentis, essa pure fatua. Il 13 settembre 1875 il Convento di Losanna dei Supremi Consigli scozzesisti approvò all’unanimità la Dichiarazione dei principi costitutivi e la divisa Deus Meumque Jus. Insomma, si direbbe che in “scozzese” latinum est non legitur o meglio non significa, è intraducibile, non ha la limpida efficacia di ‘Alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo’, riassunta nell’acrostico A.G.D.G.A.D.U, che non ha bisogno di soverchi sforzi interpretativi e mette tutti d’accordo. Sulla traduzione possibile delle formule anticamente in uso si potrebbe bandire un concorso mettendo in palio un punto interrogativo d’oro. D’altronde, la Massoneria non vuole forse instillare il dubbio? E forse quell’intestazione così sconcertante non volle appunto invitare gli “ingegni” a fermarsi a meditare sulla soglia prima di varcarla?

(Aldo A.Mola)

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Il Gioco dell’eroe

G. Magi (con allegato CD audio), Edizioni Il Punto d’Incontro 2012.

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os’è il Gioco dell’Eroe? È un percorso iniziatico, una danza, un viaggio verso l’interno del nostro essere. E’ una forma nuova di meditazione sia attiva che passiva. Passiva perché agisce mediante il rilassamento, attiva perché attiva (appunto!) i centri energetici del nostro corpo, sia che ne siamo consapevoli immediatamente oppure no. “Il Gioco dell’Eroe”, come scrive il cantautore Franco Battiato nella prefazione all’omonimo libro di Gianluca Magi, “è un grande sasso gettato in un immobile stagno”. L’immobile stagno della nostra quotidianità, vissuta spesso senza consapevolezza, con la passività del non-vivere, bombardati da una miriade di messaggi mediatici e provenienti dall’esterno, per lo più inutili alla nostra evoluzione spirituale e mentale. Il Gioco dell’Eroe è un libro ed un CD editi dalle Edizioni Il Punto d’Incontro e predisposti, appunto, da Gianluca Magi, esperto di religioni e filosofie orientali e docente delle stesse presso 88

l’Università di Urbino (oltre che ricordiamo la sua significativa apparizione nel film “Niente è mai come sembra” dello stesso Franco Battiato, accanto al regista e scrittore Alejandro Jodorowsky, cui lo lega una profonda amicizia). Il libro è una guida per il lettore, l’aspirante iniziato, il neofita, realizzata sotto forma di dialogo. Un dialogo fra Magi (soprannominato, non a caso, da suo figlio Cristoforo di otto anni “Il Magio”) e la giornalista Anna Mazzone. Una guida verso il cosiddetto “mondo extra-ordinario” che non è lontano da noi, bensì è in noi. Ed il Gioco è propedeutico a metterci in comunicazione con esso. Noi siamo gli Eroi che intraprendono un viaggio che solo apparentemente è lontano. Ed invece si trova in quello che l’autore chiama il “Santuario Interiore” (il famoso Tempio Interiore dei Liberi Muratori e degli antichi Costruttori di Cattedrali). Il CD allegato al libro è, infatti, una meditazione guidata dalla voce stessa di Gianluca Magi, la quale, con un suono mistico di sottofondo, conduce la nostra mente alla ricerca della Guida, ovvero di quell’essere spirituale che dimora in noi, che è sempre con noi, e che può essere richiamato ogni qual volta ne abbiamo necessità, al fine di riceverne risposte utili alla nostra vita. La nostra Guida si trova alla fine di una profonda scala a chiocciola, che gira su se stessa per sette volte... Il Gioco dell’Eroe, in realtà, non è nulla di nuovo né di straordinario. Esso attinge agli archetipi teorizzati dallo psicanalista Carl Gustav Jung, al simbolismo che ci circonda e di cui è costellata la nostra Storia più antica. Esso permette semplicemente il risveglio di tali archetipi. Pone un ordine interiore ai simboli e li fa affiorare alla nostra coscienza. Se praticata con costanza, la meditazione contenuta nel CD è un ottimo esercizio mentale ed il libro-intervista di Gianluca Magi è un ottimo manuale, sia per

coloro i quali sono già avezzi di pratiche spirituali, sia per i profani. Se poi desidererete approfondire il Gioco dell’Eroe, oppure contattare direttamente l’autore, potete accedere al sito gianlucamagi.it. Buon gioco a tutti i lettori. (Luca Bagatin)

Massoneria

A. A. Mola, Giunti, Firenze 2012.

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a Massoneria è, per molti, indice di mistero, per altri di segretezza, per altri ancora addirittura di nefandezze. Nulla di più sbagliato e, ancora una volta, a chiarirlo ai lettori italiani, è il prof. Aldo Alessandro Mola, medaglia d’oro per la Cultura, la cui Storia della Massoneria Italiana di Bompiani è giunta ormai all’VIII edizione. Con l’agile volumetto Massoneria, edito da Giunti neanche un mese fa nella collana Storia Pocket, il Mola riassume, anche per il lettore più frettoloso, che cos’è e che cosa non è la Massoneria. Da fine studioso dell’epopea risorgimentale italiana qual è, il prof. Mola ricorda


Recensioni la pubblicazione, nel 1908, del bellissimo Libro del massone italiano di Ulisse Bacci, direttore della Rivista Massonica del Grande Oriente d’Italia. Libro che, in Italia, per la prima volta, spiegava tutti i “segreti e misteri” della Massoneria. Scartando origini fantastiche e mitologiche, il Bacci raccontò, senza fronzoli, le autentiche origini gnostiche ed esoteriche della Massoneria, partendo dallo Zoroastrismo, il Brahamanesimo, il culto di Iside, i Misteri Eleusini, Pitagora, le sette druidiche, i Templari, sino a giungere ai Rosacroce. L’opera del Bacci, inoltre, per la prima volta, riportava i rituali massonici che, evidentemente, nulla avevano del satanismo di cui erano tacciati dalla Chiesa cattolica e da ex massoni farlocchi come Léo Taxil. La Massoneria, come ricorda il Mola, ufficialmente nacque il 24 giugno 1717, a Londra e, via via, si diffuse, nel corso del ‘700, in tutta Europa e, con grande successo, anche nelle Americhe. La prima Loggia massonica italiana fu installata a Firenze nel 1730 e, purtroppo, sarà proprio l’Italia a conoscere le uniche vittime della persecuzione antimassonica, operata in particolar modo dalla Chiesa cattolica. Tommaso Crudeli e Alessandro Cagliostro saranno, infatti, barbaramente torturati ed incarcerati con un’unica accusa: quella di essere massoni. Invero, la Massoneria, non essendo una

religione, non avrebbe mai potuto porsi in competizione con alcuna Chiesa, purtuttavia, nonostante ciò, per molti anni, la scomunica papale si abbatté sul capo dei massoni cattolici e tutt’oggi, purtroppo, la ferita non è ancora sanata. La Massoneria, considerata “eretica” persino nel periodo della Rivoluzione francese, conoscerà un vero splendore durante il periodo napoleonico, il quale, peraltro, sarà all’origine dell’idea di Unificazione nazionale italiana. Aldo A. Mola, infatti, racconta come i primi patrioti italiani, massoni a loro volta, quali Gian Domenico Romagnosi e Francesco Saverio Salfi, preconizzarono l’Unificazione nazionale in nome della Roma pagana degli antichi, contrapposta alla Roma bigotta dei papi. La Massoneria ed il Risorgimento troveranno ad ogni modo in Giuseppe Garibaldi - nominato Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia - il più grande simbolo di libertà sino al punto che Garibaldi fu il primo Gran Maestro a volere l’entrata delle donne nelle Logge massoniche, cosa ancora oggi tristemente vietata nel GOI, ma ammessa nella Gran Loggia d’Italia degli ALAM. Una volta ottenuta l’Unificazione nazionale, finalmente la Massoneria riuscì non solo ad ottenere quel respiro che le era mancato per troppo tempo, ma persino a proporre le sue idee in seno al Governo ed al Parlamento, in quan-

to molti dei suoi rappresentanti erano eminenti massoni. E non certo di idee turpi trattavasi, bensì di riforme come quella dell’istruzione elementare laica e gratuita per tutti, l’assistenza sociale per i meno abbienti e la creazione della Direzione generale per la sanità. Non mancarono polemiche anticlericali in seno all’istituzione massonica, ciò che portò il Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato Saverio Fera, nel 1908, a staccarsi dal Grande Oriente d’Italia per fondare la Serenissima Gran Loggia d’Italia, su posizioni liberali ed aperte a qualsiasi orientamento religioso, senza alcuna polemica con la Chiesa cattolica. Un ampio capitolo del saggio Massoneria di Aldo A. Mola è dedicato, giustamente, all’Antimassoneria e, dunque, a tutte le persecuzioni che i massoni dovettero subire dalla creazione delle prime Logge sino ai giorni nostri, allorquando fu montato ad arte il falso scandalo P2, ove peraltro tutti i suoi componenti saranno assolti, con sentenze definitive della Corte di Assise di Roma del 1994 e del 1996. Per non parlare poi, dall’inchiesta antimassonica del giudice Agostino Cordova, anch’essa finita con assoluzioni piene, ma che costò la gogna mediatica per i massoni ingiustamente coinvolti ed accusati.

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Ex libris massonici La collezione del Museo della Gran Loggia d’Italia degli ALAM Annalisa Santini

a collezione di ex libris della Gran Loggia d’Italia è iniziata nel 2009 con un’importante acquisizione di materiale massonico, antiquario e contemporaneo, da parte dell’attuale Gran Maestro, il professor Luigi Pruneti. Comprende quasi un centinaio di ex libris, per la maggior parte a soggetto massonico. Presentandoli alcuni alla volta cercherò brevemente di illustrarne via via la storia, i principi di classificazione, le tecniche artistiche e la simbologia giacché, trattandosi di opere d’arte massoniche, questi ex libris per essere letti hanno bisogno della conoscenza dell’alfabeto e della lingua con cui sono stati creati, cioè il linguaggio estetico simbolico. Con il termine ex libris (che in latino significa “dai libri”) ci si riferisce ad una etichetta, solitamente ornata di figure e motti, che si applica su di un libro, generalmente sul foglio di guardia o sulla controguardia1 per indicarne il proprietario. Funge da contrassegno per i volumi catalogati in una biblioteca privata o talvolta pubblica. Pur essendo in genere cartaceo, talvolta è in materiali pregiati quali cuoio o pergamena, o è semplicemente un timbro, generalmente a inchiostro. Rappresenta il legame del lettore con i suoi libri, ma soprattutto sottolinea le sue scelte nel creare la propria biblioteca. La storia dell’ex libris risale nel mondo occidentale alla rivoluzione editoriale di Gutenberg. I primi esemplari sono, infatti, legati all’area tedesca, anche se ben presto si diffondono anche nelle altre nazioni, assumendo spesso forme pregevoli che ne hanno fatto oggetto di collezione, a cominciare da quelli 1 I fogli di guardia sono quelli che precedono la prima e seguono l’ultima carta del libro. Per controguardia si intende invece il foglio incollato nella parte interna del piatto, ovverosia la copertina del libro stesso.


importantissimi creati dal grande incisore Albrecht Dürer, uno dei primi artisti di fama che si è interessato agli ex libris, anche se il filone maggiore della produzione resterà legato all’esecuzione artigianale. Attualmente il bookplate, come è chiamato nell’area anglosassone, viene prodotto come un multiplo su carta realizzato con le tecniche della stampa xilografica, calcografica, serigrafica, offset, linoleumgrafia, fotoincisione, digital-grafic e, la più raffinata, incisione all’acquaforte. Tutte queste tecniche hanno un forte richiamo alchemico per il gioco d’incisione su di una matrice che crea l’immagine proprio con quello che lo scavo ha tolto, sul chiaro che diviene scuro come in un eterno pavimento bianco e nero e l’acido dell’acquaforte che corrodendo la materia trasforma la corrosione in arte. Mentre in Germania l’esemplare più antico risale al 1450 circa, in Italia il primo ex libris conosciuto risale al 1548 ed è appartenuto al vescovo di Tortona, monsignor Francesco Gambara, che vi inserisce l’immagine di un gambero, giocando con l’analogia tra il proprio nome e quello dell’animale. Ci troviamo spesso di fronte a questa scelta quando il cognome del committente si presta a un’evocazione zoologica: pesci per Fischer o Poissons o Pesci o Pescatori, buoi per il tedesco Ochs, per il francese Bovet e per l’italiano Manzi o Manzoni o ancora volpi per il signor Fox o Volpi o Renard e così via. Quando è usata un’analogia fra il significato del cognome e l’immagine che compare sull’ex libris, questo è detto “parlante”. La maggiore collezione mondiale, con circa centomila esemplari, è conservata al British Museum, mentre a Milano è famosa la collezione di Achille Bertarelli2, custodita nel museo del Castello Sforzesco. L’ex libris massonico è, ovviamente, nato dopo il 1717, ma la simbologia massonica è sempre stata poco esplicita, sì da essere comprensibile solo per gli iniziati. Specialmente nelle nazioni cattoliche, dove maggiore è stata la persecuzione, la produzione di questi oggetti è diventata frequente e palese solo negli ultimi trenta anni, pur sempre ri2 Achille Bertarelli, Gli ex-libris italiani, Milano, 1902.

Ex Libris

cordando che si parla di un oggetto di nicchia. Nel mondo anglosassone e in Olanda, invece, oltre che i privati, molte sono le Obbedienze e le biblioteche massoniche che si sono dotate di un proprio ex libris sin dalla fine del 1700. Una approssimativa classificazione dell’ex libris massonico ci permette di trattare di quelli con riferimenti espliciti a simboli massonici che si possono, a loro volta, riferire all’Ordine o ad uno dei Riti. Abbiamo poi gli ex libris personali di massoni famosi, che possono anche non avere alcun riferimento massonico specifico, come quello di George Washington che presenta il suo stemma di famiglia con il motto Exitus acta probat, quello di Rudyard Kipling che raffigura un elefante indiano con bardatura e baldacchino, o del famoso, ma meno noto per la sua appartenenza alla massoneria, Charles Lindbergh, il primo trasvolatore in solitario dell’Atlantico. Un terzo tipo è quello nel quale vi sono raffigu-

rati massoni famosi come Mozart, Federico Il il Grande di Prussia o Niccolò Paganini. L’ex libris massonico in Italia è stato studiato dal compianto Fratello Remo Palmirani, nato a Bologna nel 1943 e ivi passato all’Oriente Eterno il 20 luglio 2005, noto ed apprezzato medico geriatra che ha esordito nel magico mondo exlibristico nel 1978. Da allora ha scritto circa 30 volumi sull’argomento, dei quali due sull’ex libris massonico3. È stato presidente dell’Accademia italiana dell’Ex libris, da lui fondata nel 1987, organizzando da allora un centinaio di mostre sull’argomento. Qui sopra vediamo il primo ex libris esaminato che è quello di Luigi Pruneti, 2010, acquaforte4 arricchita all’acqua3 R.Palmirani, Ex libris massonici, Roma, 2000; Id., Gli ex libris della Massoneria, Ortona, 2002. 4 Acquaforte è l’antico nome dell’acido nitrico, così chiamato per il suo potere corrosivo. Con lo stesso nome si indica anche la stampa arti-

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Ex Libris

tinta, 80x105 mm numerata e firmata, realizzata da Leonardo Scarfò. L’artista, nato a Firenze nel 1974, laureato in Filosofia e appassionato alle tematiche sottese al rapporto fra pensiero ed arte, ottiene il titolo di Ph.D. con un dissertazione su L’Origine della Geometria presso la Ludwig Maximilians Universität di Monaco. Studia dal vero gli antichi maestri, con particolare predilezione per i grandi incisori del Cinquecento europeo. Esorstica ottenuta da una matrice di rame o zinco coperta di cera che è incisa con delle punte di acciaio, immergendo poi la lastra incisa in vari tipi di soluzioni acide, ottenendo così la corrosione del metallo solo nei punti dove manca la cera, mentre il resto rimane intatto. Con l’acquaragia si rimuove la cera rimasta e si procede all’inchiostratura, che deve solo rimanere nei solchi incisi, e alla pulitura dell’inchiostro superficiale. La stampa si effettua servendosi di un torchio, che comprime il foglio di carta inumidito, contro la matrice inchiostrata.

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disce con successo alla Fiera Internazionale di Arte Contemporanea a Bolzano KunstArt 2009, cui prenderà parte anche nel 2010, accanto ai nomi storici del ‘900. Inizia quindi un rapporto di collaborazione con una delle più importanti gallerie milanesi, la Miniaci Art Gallery di Via Brera. Nel 2011, attorno al suo ciclo di sei acqueforti sulla Civiltà Italiana, inaugura in anteprima, ancora a Monaco di Baviera, un ciclo di mostre dedicate alla rappresentazione fantastica delle tappe fondamentali della nostra civiltà artistica. Realizza per numerosi comuni italiani, fra i quali Montalcino, Positano, Sabbioneta, tirature di acqueforti raffiguranti in chiave allegorica la storia, le tradizioni, le peculiarità artistiche e antropologiche del territorio. Il Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia Luigi Pruneti non ha bisogno certo di presentazioni, ma poiché l’ex-libris rappresenta, in

chiave altrettanto misteriosa e suggestiva quelle che erano l’essenza simbolica e le finalità delle “imprese” rinascimentali, per il Gran Maestro di un’Obbedienza Massonica Regolare, il cui scopo più alto corrisponde al raggiungimento di metodi di conoscenza compiuti, è sembrato giusto all’artista sottolineare quell’elemento di sforzo, di autocritica, di concentrazione, di estrema e ininterrotta vigilanza grazie al quale ciò che in noi costituisce continuo elemento di distrazione e di tralignamento rispetto ai supremi ideali viene ad essere domato e dominato. Il massone non reprime, né tantomeno perverte, le istintualità più opache e incoercibili, ma educa, orientandole in modo creativo e costruttivo, le immense potenzialità insite nella materia che rappresentano l’ineliminabile e onnipresente punto sorgivo di ogni autentica spiritualità. Il momento iniziatico prende le mosse dall’elemento Terra, e Mercurio che doma il drago non rappresenta banalmente il dominio dello spirito sulla materia, ma l’armonica complementarietà di ciò che è contrapposto solo in apparenza. Il drago è anche un trono; è un labirinto di radici che, legandoci indissolubilmente alla Madre, rappresenta la porta attraverso cui superare ogni morte. Accanto al volto divino del dio se ne trova un altro, più schematico e vago, umano, intento a guardare verso il basso, verso il drago e verso la terra, che rappresenta l’equivalente umano del Sol Niger che il dio tiene in mano e che a sua volta racchiude al suo interno il simbolo dell’oro. Il sole radioso è invece situato sul plesso solare del dio, la cui posizione “uncinata” rafforza la dinamica circolare dell’astro. Accanto al Delta, inciso all’acquatinta5, c’è l’aquila bicipite del Rito scozzese. La coda del drago è attorcigliata in forma di simbolo dell’infinito. Tenendo le fauci del mostro, dominandolo e nello stesso tempo esponendosi alla sua furia vo5 Per acquatinta si intende una variante della tecnica dell’acquaforte: infatti le corrosioni sulla lastra si ottengono sempre con l’impiego di una soluzione acida. Il metodo è identico a quello descritto per la realizzazione dell’acquaforte, ma le sue caratteristiche finali, che gli danno la brillantezza propria dell’acquerello, sono ottenute con una lastra granulata anziché levigata.


race, il dio si trasforma in un Ercole. Fra gli artigli del drago e non semplicemente a terra è il teschio. In basso, a sostenere le colonne, vi sono, incrociati, da un lato cazzuola e livella, dall’altro scalpello e maglietto. Accanto a tali strumenti muratori compaiono due volti, vicino ai quali ci sono squadra e compasso. I volti sono definiti in modo tale da far sì che si richiamino sia a Giano Bifronte, raffigurato quasi femmineo, sia al Rebis. Tutta la composizione di Mercurio e il drago satura geometricamente lo spazio secondo uno schema architettonico che culmina con il Delta. Questo importante ex libris non può che essere seguito da uno altrettanto interessante di Remo Palmirani, 1999, linoleografia6 di Mauricio Schvarzman 123x110 mm. L’artista argentino, vincitore del premio Acqui Terme 2009, è nato nel 1947 a Buenos Aires e ha studiato alla scuola nazionale di belle arti Manuel Belgrano y Prilidano Pueymedon. Maestro di Disegno nel 1974 e Professore di Incisione nel 1977, ha indirizzato il suo lavoro in particolar modo alla produzione di piccola grafica su linoleum. Ha lavorato in Italia partecipando a molti concorsi di exlibristica. Questa opera fa pensare a uno studio particolarmente meditato di quella che è la più famosa leggenda massonica: la morte di Hiram. Forse ricordando il V grado del Rito scozzese antico e accettato, le spoglie del costruttore del Tempio di Salomone sono portate sopra una magica Gerusalemme dentro alla quale spicca il Mausoleo che i Maestri Perfetti hanno costruito lontano dagli occhi dei profani. Il colore verde dell’erba ricorda il colore del grado quale simbolo di vegetazione e di vita dopo la morte. Un’acacia chiude il cammino al primo dei tre 6 È una tecnica per produrre una stampa da una spessa matrice di linoleum, materiale ottenuto mettendo insieme polvere di sughero, olio di lino e pece greca. Il linoleum fu inventato negli anni Sessanta dell’Ottocento, ma fu utilizzato per la stampa, nella manifattura della carta da parati, solo negli anni Novanta. La tecnica è essenzialmente uno sviluppo della xilografia, il più antico dei metodi di stampa, ma l’incisione su linoleum è più facile da realizzare perché il materiale è soffice e liscio perciò più semplice da lavorare, permettendo con una tecnica particolare inventata da Picasso di impiegare più colori con una sola matrice.

Ex Libris

Maestri che hanno ritrovato le spoglie di Hiram, come a dirgli che il cammino è finito e che è giunto alla meta; in alto la Stella con inscritta la G raffigurata fra Squadra e Compasso sotto il Sole radiante, simboleggia, pur nella tristezza dei tre Maestri che riportano le spoglie del costruttore del Tempio assieme agli strumenti della sua morte, la rinascita della Parola simboleggiata da Hiram. Terzo ex libris massonico di grande interesse è questo di Renzo Dionigi, noto chirurgo milanese e Magnifico Rettore dell’Università dell’Insubria (VareseComo), xilografia7 a più colori del 1994 7 Per xilografia si intende l’incisione di immagini e a volte di brevi testi su tavolette di legno; le matrici vengono successivamente inchiostrate e utilizzate per la realizzazione di più esemplari dello stesso soggetto, su carta e a volte su seta, mediante la stampa con il torchio.

di Remo Wolf, uno dei più noti pittori e incisori di ex libris italiani di fama internazionale. Nato a Trento il 29 febbraio del 1912 e morto il 27 gennaio 2009, ha avuto una carriera lunghissima, iniziata negli anni Trenta del secolo scorso, producendo centinaia di tele, di disegni, di incisioni, di xilografie, e quasi 800 ex libris xilografici e più di cento calcografici. Ha lavorato anche come illustratore per quotidiani, per libri e per riviste. Ha fondato nel 1952, assieme ad altri artisti, l’“Associazione incisori veneti” che ha fatto conoscere in Italia e nel mondo questo tipo di produzione, curando oltre 110 mostre sul tema. Wolf ha studiato prima a Trento, poi a Parma e a Firenze. Nel 1931 ha iniziato a insegnare Disegno e Storia dell’arte in varie scuole a Bolzano, a Merano, a Bressanone, a Trento e Rovereto. 93


Durante la II Guerra Mondiale è stato fatto prigioniero dagli Inglesi e durante la prigionia ha continuato a dipingere utilizzando come tela dei vecchi ritagli di tenda da campo. L’artista ha partecipato più volte (1942, 1950, 1954, 1956) alla Biennale Interna-

Ex Libris zionale d’Arte di Venezia e alle maggiori esposizioni nazionali e internazionali di xilografia; nella sua biografia artistica sono circa duecento le mostre tra personali e collettive. Nel 1991 la Galleria Civica di Trento ha dedicato alla sua produzione un allestimento antologico, al quale sono seguiti, nel 2002, quello a Palazzo Trentini e nel 2005 quello alla Galleria Civica di Arco. In questo ex libris abbiamo una rappresentazione dell’Ordine dell’Arco Reale al quale appartiene il suo proprietario, fra l’altro anche scrittore di importanti testi massonici. Il Rito di York, che fa parte dei riti praticati nel Grande Oriente d’Italia, a differenza degli altri riti di perfezionamento massonico non rappresenta un’organizzazione unica, ma comprende al suo interno tre ordini differenti: l’Ordine dell’Arco Reale, rappresentato in questo ex libris, l’Ordine Criptico dei Maestri Reali ed Eletti, della Croce Rossa e del Tempio. Tutte e tre le organizzazioni sono distinte ed egualmente sovrane. La nascita della Massoneria dell’Arco Reale risale alla creazione ad Hartford, nel Connecticut, dei Grandi Capitoli degli Stati Uniti d’America il 24 ottobre 1797, del cosiddetto Grand Royal Arch Chapter d’Inghilterra il 18 marzo 1817, di Scozia il 28 agosto 1817, di Irlanda il 11 giugno 1829. Già nel 1806 il Grand Royal Arch Chapter si trasformò in General Grand Chapter of Royal Arch Masons of The United States of America, il quale nel 1954 assunse la denominazione di General Grand Chapter of Royal Arch Masons International, a seguito della diffusione della massoneria dell’Arco Reale nel mondo. Il rito riunisce, per quanto riguarda l’Italia, il Gran Capitolo dei Liberi Muratori dell’Arco Reale in Italia, il Gran Concilio dei Massoni Criptici d’Italia, e 94

la Gran Commenda dei Cavalieri Templari d’Italia. La Massoneria dell’Arco Reale esiste dunque nel mondo in quattro “gruppi” o “sistemi”, che per la loro origine e in ordine di importanza numerica dei rispettivi aderenti si distinguono in americano, inglese, scozzese e irlandese. In ciascuno di questi sistemi, l’Arco Reale si articola in Grandi Capitoli, aventi all’obbedienza un certo numero di Capitoli che sono l’unità funzionale particolare e basilare della Massoneria dell’Arco Reale o Massoneria Capitolare col quale questa viene anche designata. Oltre appunto all’arco, vediamo raffigurati nell’ex-libris una squadra e un compasso che simboleggiano il lavoro percorso nei primi tre gradi, poi una cazzuola che è anche una rappresentazione del fulmine per la sua forma e simbolo di forza creatrice, tanto che nel medioevo il Creatore era raffigurato con la cazzuola in mano, poiché, servendo a mescolare la calce, essa simbolicamente riunisce, fonde e unifica. Domina la scena il Gioiello, un compasso aperto a 90° sovrapposto ad un quarto di cerchio. Nell’angolo in basso a destra appare l’acacia che ricorda la comune origine di tutti i massoni. In apertura della rubrica è rappresentato l’ex libris di N. Hanrath, pregiata opera xilografica del 1934 di Constant Joseph Alban8, 131x91 mm. Alban, nato a Rotterdam il 20 gennaio 1873 ed ivi morto il 6 giugno 1944, è stato un incisore e pittore olandese. Nella sua città natale ha studiato alla Accademia di Belle Arti dove è stato allievo di Jan de Jong e Alexander van Maasdijk. Ha dipinto ritratti, nature morte e paesaggi. Membro della Società degli Artisti di Rotterdam, oltre che pittore, Alban è stato un noto interior designer ed ha disegnato mobili per la fabbrica di H. Pander & Son. N. Hanrath, un massone olandese collezionista di libri, ha avuto la fortuna di avere a suo nome un ex libris che, anche se influenzato dalla corrente razionalistica olandese imperante nel periodo, si avvicina in maniera sorprendente al De Stijl (lo Stile), il neoplasticismo olande8 R. Palmirani, Ex libris massonici, Roma, 2000, p. 36.

se, un movimento artistico fondato in Olanda nel 1917, utilizzato anche da Piet Mondrian per descrivere la propria arte essenziale, geometrica e infine astratta.9 Sicuramente l’occuparsi di disegno industriale per la produzione di arredi e mobili ha avuto un ruolo essenziale nella formazione artistica di Alban. L’ex libris, contornato dalle parole olandesi “Wijsheid, Kracht, Schoonheid”, cioè “ Bellezza, Forza, Saggezza” mostra il massone intento a scolpire la pietra, circondato dai suoi strumenti. Utilizzando l’intelligenza, rappresentata dallo scalpello e la forza, rappresentata dal maglietto, sgrezza la pietra che servirà a costruire il Tempio. La squadra, formata dall’unione della verticale con l’orizzontale, s’inserisce in un gioco di linee rette fra la gamba e la seconda pietra grezza sulla quale siede il massone, accentuando il significato di passività della squadra stessa; il compasso, invece, aperto a 45°, come nel grado di Maestro, simbolo di dominio sulla materia, è appoggiato alla pietra già in parte sgrezzata. In alto brilla il Tempio, inscritto nel semicerchio di un Sole radiante e vitalizzante situato al centro di un orizzonte scandito da rigide linee geometriche, come pure la strada che dall’uomo porta al Tempio. Ai due lati, al posto delle colonne, due cipressi, simbolo anch’essi, dell’unione del cielo con la terra, ma anche simbolo di lutto e dolore inconsolabile perché nascono vicino a chi soffre, come l’acacia nata accanto alla tomba di Hiram. I due cipressi ai lati dell’incisione segnano i limiti del mondo profano che non può entrare in questo paesaggio ideale dove tutto si fonde nella luce incorruttibile dell’oro che splende intorno a questo mondo di sogno, illuminando l’uomo, la pietra sgrezzata, il Tempio e gli strumenti del mestiere. 9 Il neoplasticismo è una pittura, nell’ambito dell’astrattismo geometrico, che in un certo senso assomiglia a un’operazione matematica. Tutto si basa su i tratti elementari della linea, del piano e dei colori primari.


R.L. Trilussa-C.Perfetto Oriente di Bordighera

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n doppio cerchio racchiude i profili di Cesare Perfetto e di Carlo Alberto Salustri, più conosciuto con lo pseudonimo di Trilussa. Il poeta Trilussa (Roma 1871-1950) è stato un poeta italiano, noto per le sue composizioni in dialetto romanesco, caratterizzate da un linguaggio arguto, appena increspato dal dialetto borghese. Con questa sua caratteristica ha commentato circa cinquant’anni di cronaca romana e italiana, dall’eta giolittiana agli anni del fascismo e a quelli del dopoguerra. La corruzione dei politici, il fanatismo dei gerarchi, gli intrallazzi dei potenti sono alcuni dei suoi bersagli preferiti. Ma la satira politico e sociale, condotta d’altronde con un certo scetticismo qualunquistico, non e l’unico motivo ispiratore della poesia trilussiana: frequenti sono i momenti di crepuscolare malinconia, la riflessione sconsolata, qua e la corretta dai guizzi dell’ironia, sugli amori che appassiscono, sulla solitudine che rende amara e vuota la vecchiaia. Fu un Massone che non venne mai iniziato nell’Ordine. lnfatti, la decisione di richiedere l’ammissione alla Libera Muratoria viene da lui maturata in tarda età, tanto che la domanda, che pure era stata accolta, non ha avuto alcun seguito per la morte improvvisa del poeta. Nella sua ricerca e nella sua denuncia sembra richiamare gli ideali della Massoneria, soprattutto attraverso i quattro sonetti Li frammassoni de jeri e Li frammassoni de oggi, dove certamente non colpisce tanto le idee della Frammassoneria, quanto l’applicazione delle stesse da parte di massoni che allora come oggi dovevano aver solo una rap-

presentazione della Massoneria certamente non felicissima. Cesare Perfetto (Roma 1919-Bordighera 2005) fu personalità di spicco della vita culturale del Ponente Ligure ed intendeva contrapporre una manifestazione di contenuto piu profondo ai molti eventi di carattere meramente mondano nati nel secondo dopoguerra. Perfetto, giornalista di professione, romano di noscita, ma bordigotto di adozione, fu l’organizzatore del Salone lnternazionale dell’Umorismo, che si tenne a Bordighera dal 1947 al 1999. Pur commerciante di libri e titolare di uno libreria nel centro di Bordighera ben fornita di opere di contenuto esoterico, Cesare Perfetto era caratterizzato dalla sua perenne ironia, dimostrata anche dal suo inseparabile papillon, che ornava il suo viso, sempre sorridente e pronto alla battuta. Massone di lunga data, ricoprì alte cariche nell’ambito dell’Obbedienza. Come tale, fu uno dei fondatori nel 1992 della R.L. Trilussa all’Or. di Bordighera, che nel 2010 mutò il proprio nome in quello epigrafato, proprio in onore di Cesare. Piace immaginare i due personoggi intrattenersi in un verosimile colloquio tra loro, sui Lungotevere, in un tardo pomeriggio d’autunno, con il vento che fa volare le foglie ingiallite tra gli alberi.

R.L. Mozart Oriente di Castelvetrano

I

n primo piano il ritratto di W.A. Mozart che qui viene ricordato per la sua appartenenza massonica oltre che per le sue sublimi creazioni musicali. Egli resta un importante riferimento per tutti noi, anche per il profondo legame che egli seppe stabilire con la Massoneria e con i suoi Fratelli. Sotto il ritratto del musicista sono riportati il nome ed il numero della Loggia. Il

piccolo tempio raffigurato in basso rappresenta sia l’importante simbolo Massonico sia il simbolo del territorio dell’Oriente di appartenenza in cui sorge, affacciato sul Mediterraneo, l’estesissimo parco archeologico greco di Selinunte. Fanno da cornice i 12 segni dello zodiaco, rappresentazione cosmogonica dell’Universo, e in alto - ancora più esternamente - il nome della nostra Obbedienza e in basso il nome dell’Oriente di appartenenza.

R.L. Fra Pantaleo Oriente di Castelvetrano

I

l Logo di forma circolare è coronato dal tricolore italiano, a giustificazione della avvenuta gemmazione in occasione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia. All’interno sono raffigurati dodici nodi d’amore, rappresentanti il numero dei fratelli che hanno fondato la Loggia. La frase “IL VERBO, LA LUCE, LA VITA” inserita in alto sta a rappresentare ciò che Fra Giovanni Pantaleo fu e fece per per Garibaldi e per la riuscita dell’impresa Garibaldina in Sicilia (per un esauriente racconto delle vicende storiche legate al Pantaleo si rimanda all’inserto in Officinae n.4 del 2000). Il significato dei due rami di Acacia e degli utensili muratori raffigurati al suo interno è ben noto a tutti i fratelli e le sorelle dell’Obbedienza. Questa Loggia, fortemente voluta dai fratelli che l’hanno costituita con l’assenso dell’Elett.mo e Pot.mo Fr. Giuseppe Gioia 33\ Grande Ispettore della Provincia di Trapani, è stata intitolata al frate Castelvetranese, per rendergli omaggio e in quanto gemmata proprio dalla R.L. Garibaldi all’Or. di Mazara del Vallo, in occasione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia. Per tale Loggia è stata rilasciata dallo Zenit patente provvisoria 545 del 9 gennaio 2012.

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R.L. Les 9 Soeurs Oriente di Pinerolo

R∴L∴ 14 Juillet Or∴di Savona R∴L∴ 4 Giugno 1270 R.G. Or∴di Viterbo R∴L∴ Ab Initio Or∴di Portoferraio R∴L∴ Ad Justitiam Or∴di Lucca R∴L∴ Aetruria Nova Or∴di Versilia R∴L∴ Alef Or∴di Viareggio R∴L∴ Alma Mater Or∴di Arezzo R∴L∴ Anita Garibaldi Or∴di Firenze R∴L∴ A.Garibaldi/A.Giulie Or∴di Livorno R∴L∴ Antares Or∴di Firenze R∴L∴ Antropos Or∴di Forlì R∴L∴ Archita Or∴di Taranto R∴L∴ Aristotele II Or∴di Bologna R∴L∴ Astrolabio Or∴di Grosseto R∴L∴ Athanor Or∴di Brescia R∴L∴ Athanor Or∴di Cosenza R∴L∴ Athanor Or∴di Pinerolo R∴L∴ Athanor Or∴di Rovigo R∴L∴ Athena Or∴di Pinerolo R∴L∴ Atlantide Or∴di Pinerolo R∴L∴ Audere Semper Or∴di Firenze R∴L∴ Augusta Or∴di Torino R∴L∴ Aurora Or∴di Genova R∴L∴ Ausonia Or∴di Siena R∴L∴ Ausonia Or∴di Torino R∴L∴ C. B.Conte di Cavour Or∴di Arezzo R∴L∴ C. Rosen Kreutz Or∴di Siena R∴L∴ Carlo Fajani Or∴di Ancona R∴L∴ Cartesio Or∴di Firenze R∴L∴ Cattaneo Or∴di Firenze R∴L∴ Cavour Or∴di Prato R∴L∴ Cavour Or∴di Vercelli R∴L∴ Chevaliers d’Orient Or∴di Beirut R∴L∴ Cidnea Or∴di Brescia R∴L∴ Clara Vallis Or∴di Como R∴L∴ Concordia Or∴di Asti R∴L∴ Corona Ferrea Or∴di Monza R∴L∴ Cosmo Or∴di Argentario Albinia R∴L∴ Costantino Nigra Or∴di Torino R∴L∴ D.Di Marco Or∴di Piedim.Matese R∴L∴ Dei Trecento Or∴di Treviso R∴L∴ Delta Or∴di Bologna R∴L∴ Eleuteria Or∴di Catania R∴L∴ Eleuteria Or∴di Pietra Ligure R∴L∴ Emanuele De Deo Or∴di Bari R∴L∴ Enrico Fermi Or∴di Milano

I

l Fregio che rappresenta la nostra Loggia consiste in un medaglione caratterizzato, al recto, da una corona circolare rialzata rispetto allo spazio interno. Questa reca le iscrizioni relative al nome della Loggia, dell’Oriente e dell’Obbedienza di appartenenza. Separano queste iscrizioni una Squadra con Compasso sovrapposto e due Nodi d’Amore. Il cerchio centrale smaltato di azzurro, che richiama il colore che viene attribuito ai tre gradi dell’Ordine massonico, vuole raffigurare il Cielo cosmico, simbolo del G\A\D\U\ In questo cerchio è evidenziata la presenza di nove stelle a cinque punte disposte a croce. Simboleggiano le Muse, le nove sorelle figlie di Mnemosine, protettrici delle Ar-

R∴L∴ EOS Or∴di Bari R∴L∴ Erasmo Or∴di Torino R∴L∴ Ermete Or∴di Bologna R∴L∴ Etruria Or∴di Siena R∴L∴ Excalibur Or∴di Trieste R∴L∴ Falesia Or∴di Piombino R∴L∴ Fargnoli Or∴di Viterbo R∴L∴ Fedeli d’Amore Or∴di Vicenza R∴L∴ Federico II Or∴di Firenze R∴L∴ Federico II Or∴di Jesi R∴L∴ Fenice Or∴di Spotorno R∴L∴ F.Rodriguez y Baena Or∴di Milano R∴L∴ Fidelitas Or∴di Firenze R∴L∴ Fra Pantaleo Or∴di Castelvetrano R∴L∴ Fratelli Cairoli Or∴di Pavia R∴L∴ Galahad Or∴di Roma R∴L∴ G.Ghinazzi Or∴di Roma R∴L∴ G.Mazzini Or∴di Livorno R∴L∴ G.Mazzini Or∴di Parma R∴L∴ G.Biancheri Or∴di Ventimiglia R∴L∴ G.Bruno - S.La Torre Or∴di Roma R∴L∴ G.Papini Or∴di Roma R∴L∴ Garibaldi Or∴di Castiglione R∴L∴ Garibaldi Or∴di Cosenza R∴L∴ Garibaldi Or∴di Mazara del Vallo R∴L∴ Garibaldi Or∴di Toronto R∴L∴ Gaspare Spontini Or∴di Jesi R∴L∴ Giordano Bruno Or∴di Catanzaro R∴L∴ Gianni Cazzani Or∴di Pavia R∴L∴ Giordano Bruno Or∴di Firenze R∴L∴ Giordano Bruno Or∴di R.Calabria R∴L∴ Giosuè Carducci Or∴di Follonica R∴L∴ Giosuè Carducci Or∴di Partanna R∴L∴ Giovanni Bovio Or∴di Bari R∴L∴ Giovanni Pascoli Or∴di Forlì R∴L∴ Giovanni Risi Or∴di Firenze R∴L∴ Giustizia e Libertà Or∴di Roma R∴L∴ Goldoni Or∴di Londra R∴L∴ Graal Or∴di Livorno R∴L∴ Herdonea Or∴di Foggia R∴L∴ Hiram Or∴di Bologna R∴L∴ Hiram Or∴di Sanremo R∴L∴ Hispaniola Or∴di Santo Domingo R∴L∴ Horus Or∴di Padova R∴L∴ Horus Or∴di Pinerolo R∴L∴ Horus Or∴di R.Calabria

ti e delle Scienze. La disposizione a croce delle nove stelle dà vita a quattro squadre e richiama col braccio orizzontale la Livella e con quello verticale la Perpendicolare. La disposizione delle nove stelle con le punte volte verso l’esterno del fregio vuole significare che la conoscenza e l’interpretazione, in chiave massonica, di Arti e Scienze fatta con i lavori di Loggia, devono poi essere proiettate da ogni Sorella e Fratello nel mondo profano, all’esterno dell’Officina stessa. II verso del fregio è caratterizzato dalla presenza del Delta, sui cui lati corrono le parole del motto Forza-Verità-Unione che fu già della R\ L\ francese Les Neuf Soeurs del 1776 alla quale la nostra Officina si è ispirata.

R∴L∴ Humanitas Or∴di Pistoia R∴L∴ Humanitas Or∴di Treviso R∴L∴ Ibis Or∴di Torino R∴L∴ Il Cenacolo Or∴di Pescara R∴L∴ Il Nuovo Pensiero Or∴di Catanzaro R∴L∴ Internazionale Or∴di Sanremo R∴L∴ Iter Virtutis Or∴di Pisa R∴L∴ Jakin e Boaz Or∴di Milano R∴L∴ Kipling Or∴di Firenze R∴L∴ La Fenice Or∴di Bari R∴L∴ La Fenice Or∴di Chieti R∴L∴ La Fenice Or∴di Forlì R∴L∴ La Fenice Or∴di Livorno R∴L∴ La Fenice Or∴di Pieve a Nievole R∴L∴ La Fenice Or∴di Rovato R∴L∴ La Prealpina Or∴di Biella R∴L∴ La Silenceuse Or∴di Cuneo R∴L∴ Le Melagrane Or∴di Padova R∴L∴ Leonardo da Vinci Or∴di Taranto R∴L∴ Les 9 Soeurs Or∴di Pinerolo R∴L∴ Libertà e Progresso Or∴di Livorno R∴L∴ Liguria Or∴di Orspedaletti R∴L∴ Logos Or∴di Milano R∴L∴ Luce e Libertà Or∴di Potenza R∴L∴ Luigi Alberotanza Or∴di Bari R∴L∴ Luigi Spadini Or∴di Macerata R∴L∴ Lux Or∴di Firenze R∴L∴ M’’aat Or∴di Barletta R∴L∴ Magistri Comacini Or∴di Como R∴L∴ Manfredi Or∴di Taranto R∴L∴ Melagrana Or∴di Cosenza R∴L∴ Melagrana Or∴di Torino R∴L∴ Minerva Or∴di Cosenza R∴L∴ Minerva Or∴di Torino R∴L∴ Monviso Or∴di Torino R∴L∴ Mozart Or∴di Castelvetrano R∴L∴ Mozart Or∴di Genova R∴L∴ Mozart Or∴di Roma R∴L∴ Mozart Or∴di Torino R∴L∴ Navenna Or∴di Ravenna R∴L∴ Nazario Sauro Or∴di Piombino R∴L∴ Nino Bixio Or∴di Trieste R∴L∴ Oltre il Cielo Or∴di Lecco R∴L∴ Omnium Matrix Or∴di Milano R∴L∴ Orione Or∴di Torino R∴L∴ Palermo Or∴di Palermo

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