Lisi I richiami della terra estratto

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Giuseppe Lisi

I richiami della terra La mentalità contadina e gli anni dell’abbandono Nota editoriale di Giannozzo Pucci Postfazione di Giuseppe De Rita

Libreria Editrice Fiorentina



Giuseppe Lisi

I richiami della terra La mentalità contadina e gli anni dell’abbandono

Nota editoriale di Giannozzo Pucci Postfazione di Giuseppe De Rita

« passato / presente » Libreria Editrice Fiorentina


ISBN: 978-88-6500-130-1 © 2017 Libreria Editrice Fiorentina Via de’ Pucci, 4 - 50122 Firenze Tel. 055 579921 - Fax 055 2399342 www.lef.firenze.it Stampata su carta riciclata........ Impaginazione e copertina: Manuela Ranfagni Immagine di copertina: A trenta chilometri dalla Città, sulle pendici dell’Appenino, prossima alla casa e al piccolo orto, la capanna ripostiglio rifugio dell’antico mezzadro: 1980, foto dell Autore.


Nota dell’editore

Il contributo unico che Giuseppe Lisi ha dato in tanti anni di riflessioni e testimonianze sulla civiltà contadina ci ha fatto comprendere la profondità di linguaggi, dimensioni e libertà perdute con la fine del mondo rurale toscano e italiano. Questo volumetto, oltre a rinnovare, con pennellate toccanti, la traduzione del modo di vedere la terra della cultura contadina, affronta nella seconda parte l’argomento della sua mentalità nel periodo della deportazione nella comoda prigione della società dei consumi che inizia con la seconda guerra mondiale. Tutte e due le grandi guerre del ‘900, ma soprattutto la seconda, hanno bombardato il mondo con gli oggetti del modo industriale di produzione di massa. Si tratta della guerra della tecnologia contro la terra a cui i trattati di pace non hanno mai posto fine ed è continuata non solo coi veleni 7


chimici e le macchine agricole introdotte ovunque dagli anni ‘50 in poi, ma anche con un’ideologia di progresso che ha imposto una religione tecnologica a lungo preparata da scienziati, economisti e filosofi negli oltre due secoli precedenti. Nonostante le radicali differenze fra i vari economisti, filosofi e ideologi della modernità, tutti (da A. Smith a J.S.Mill, a Marx, a Spencer ecc.) sono stati unanimi sul punto principale “l’uomo doveva non solamente dominare la natura, ma liberarsene fin dove possibile, giacché la libertà dalla natura – allorquando questa era di impedimento al benessere – rientrava pienamente nei diritti umani.” (Giovanni Haussmann, La Terra come Placenta, Libreria Editrice Fiorentina. pag. 93) La devastazione attuale simbolicamente rappresentata dagli inquinamenti materiali, morali e sociali ci ha posto in una strada senza uscita come ben indicato dall’enciclica Laudato sì di papa Francesco. Da dove ricominciare? Il prof. De Rita nella Postfazione, alla ricerca di qualche eredità sommersa della civiltà contadina nella società di 8


oggi, ricorda che ogni processo di trasformazione comincia sempre da “un resto” del passato. Si tratta di un fenomeno molto diffuso in natura per il quale nessun anticrittogamico o manipolazione genetica potrà mai eliminare insetti o batteri considerati nocivi, perché basta che sopravviva un resto e da quello si moltiplicheranno parassiti più forti di prima. Nel caso della civiltà contadina qual è il “resto” da cui potrebbe sprigionarsi un nuovo ricominciare? Nel corso dei 33 anni di vita di quel mercato di coltivatori non industriali, il primo del genere in Italia, “La Fierucola” che si tiene due volte al mese a Firenze, sono stato spettatore di una ricerca diffusa da parte di centinaia di persone a riannodare i fili col passato e a lanciarli verso un nuovo futuro, come è nuova ogni fioritura primaverile. L’agricoltura fino all’epoca industriale è sempre stata biologica, cioè autonoma da sostanze chimiche esterne. Dopo l’irrompere della rivoluzione nera del petrolio nelle campagne negli anni ‘50, verso la fine degli anni ‘60 si è cominciata a formare una resistenza che ha impugnato la 9


bandiera del bio per marcare una diversità, un’origine e una scelta vocazionale. L’agricoltura industriale orientata al mercato difficilmente suscita vocazioni dell’anima: troppo scientifica, troppo materialista, troppo succube del meccanicismo, mentre il complesso tessuto di relazioni presenti nelle cosmogonie dei biodinamici, dei biologici, dei permacultori, e delle varie discipline dell’agricoltura naturale rispecchiano qualcosa delle metafore della civiltà contadina, di cui a volte cercano di intuire le origini. Per fare solo pochissimi esempi pensiamo agli influssi delle costellazioni dei biodinamici sui lavori agricoli o ai recenti studi di Gerard Ducerf che hanno prodotto l’ Encyclopédie des Plantes bioindicatrices, uno strumento straordinario per leggere la fertilità dei campi e le vie per risanarla, o ancora la poesia della Rivoluzione del Filo di Paglia di Fukuoka che alla prova dei fatti non promuove una tecnica ma un modo di vivere. Il “resto” è nelle radici di un vuoto culturale molto profondo che ha sete di essere riempito da una vita in consonanza con gli altri esseri: quanto sia inestirpabile l’ho 10


potuto verificare nell’esempio dei tanti che hanno accettato le persecuzioni, la clandestinità e gli ostacoli assurdi della burocrazia, con cui il sistema industriale ha fatto il deserto nelle campagne, per costruirsi un’esistenza sui prodotti della nostra terra. Albert Einstein, a proposito della velocità della luce, ha introdotto il concetto di “costanti universali di natura”, secondo cui esisterebbero delle regole nell’universo che non possono essere violate. Se ciò è vero anche nell’ambito umano, ogni modifica di queste regole sarebbe una degradazione: pensiamo che tutti gli uomini da Adamo ed Eva nascono normalmente con due gambe e con un’acidità del sangue contenuta in dati confini. Se fra le costanti universali umane ci fosse anche il prendersi cura della terra in modo artigianale, cioè contadino, il “resto” che cova sotto la cenere della modernità avrebbe una potenzialità di rinascita molto grande, basterebbe cambiare politica. Pensare che è bastato un mercato che privilegia le attività biologiche dei piccoli contadini artigianali per consentire a tanti di loro di continuare a vivere in posti sperduti degli Appennini! 11


Cosa succederebbe se cominciasse una politica di liberalizzazione delle piccole attività contadine e promozione della residenza agricola nelle campagne a partire dai terreni di proprietà pubblica? Ho in mente i tanti giovani che si sono messi a vivere e coltivare in proprietà pubbliche che non erano state concesse né a loro né a nessun altro e una volta fatti uscire quelle case ristrutturate a spese pubbliche sono rimaste abbandonate e preda degli sciacalli, penso all’Umbria, ma anche in Toscana a Mondeggi c’è un occupazione su terreni della provincia mal gestiti per anni e poi destinati a ripianare il bilancio ordinario. La memoria della civiltà contadina parla ancora nelle rovine delle case, dei campi, dei cimiteri, nei viottoli abbandonati, ma i giovani che cercano di ricostruire le vecchie rovine entrano in dialogo con le generazioni passate anche se con idee e sperimentazioni nuove. Nella ricercata rinascita delle attività primarie, il “resto” radicato nelle vocazioni profonde di tanta gente saprà certamente farsi strada. 12


Dall’angustia e vuoto analgesico della realtà virtuale il bisogno liberante di vivere fra gli oggetti reali emergerà con tutta la sua carica inarrestabile. Giannozzo Pucci

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La mentalità contadina e gli anni dell’abbandono

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nizio da dove termina la valle, dal Passo detto “del Giogo” perché si apre tra due selle che simulano l’attacco dei buoi. Il Giogo conclude in emblema la vallata agricola del Mugello. E’ la prima analogia che incontriamo fissata su un luogo. Là dove pare che si appoggino le stanghe del carro e dell’aratro, nel breve tratto pianeggiante della Firenze Imola quando cessa di salire, il valico dove passò la Linea, detta Gotica, è una sosta utile per chi ripercorre i sentieri di una guerra.

Doppio fronte Le tracce lasciate, come di ogni evento divenuto parte della società dei consumi e dello spetta15


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