Fragilita della potenza

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Alain Gras

FRAGILITÀ DELLA POTENZA Liberarsi dall’incantesimo di un mondo artificiale

Libreria Editrice Fiorentina


introduzione

Il progresso tecnico e la libertà umana

La cosiddetta età “moderna” si è impadronita del potere del fuoco per trasformare la natura. L’energia fossile alimenta soltanto da due secoli le nostre macchine, ma l’industria, il cui dominio si basa su questa radicale innovazione, lo estende sul mondo. Lo fa sotto la copertura di scontri politici e militari di cui l’era del colonialismo, gli ultimi due conflitti mondiali e le presenze odierne in nome dell’Occidente sono esempi magistrali. Queste operazioni evidenziano brutalmente non solo che il mondo occidentale dipende sorprendentemente dal petrolio, ma che è anche incapace di immaginare altre vie che non facciano uso di questa risorsa limitata. Più in generale, molte delle tecniche odierne seguono un modello analogo, chiudendoci in rotaie tecniche, privandoci di qualsiasi scelta, costruendo una civiltà della fragilità. Il “progresso tecnologico” è quindi diventato una catena che limita la libertà umana. Come siamo arrivati a questo punto? Si può pensare ad altre scelte collettive, che siano anche possibili? È interessante constatare che gli antichi conoscevano il pericolo dell’eccesso (come si vedrà, altre società hanno rifiutato la macchina): già Eschilo lancia una specie di avvertimento quando presenta Prometeo, l’eroe che fece conoscere il fuoco agli uomini: Prometeo: Tolsi agli uomini l’ombra della morte. Il coro: Che rimedio trovavi a questo male? Prometeo: Annidai in essi cieche le speranze. Il coro: Insigne beneficio pei mortali.1 Eschilo, Prometeo incatenato, vv. 241-257 in Le tragedie, Vallecchi ed., Firenze 1961, tradotte da Leone Traverso, p. 187. Umberto Galimberti sviluppa questo tema nel

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Il coro, per sottolineare la sua ironia, avrebbe usato un’altra parola ai giorni nostri e avrebbe detto: “Quale progresso gli hai dunque permesso!”. Così oggi subiamo le conseguenze dell’uso smodato del potere del fuoco che brucia la Terra e rilascia un’infinità di scorie che, paradossalmente, neanche il fuoco può più curare. Dei quattro elementi primordiali della nostra civiltà, ovvero terra, vento, acqua (i cinesi aggiungono il legno) e fuoco, quest’ultimo in effetti ha servito da supporto alla rivoluzione industriale mentre gli altri tre sono diventati i suoi schiavi. Dalla terra si estrae il fuoco sotto forma di carbone, gas, petrolio e nella terra si sotterrano i rifiuti della brace. L’acqua degli oceani serve anche a ricevere le ceneri di una nuova categoria, in particolare quelle della più terribile macchina a vapore, il nucleare, e ci si affida al vento per disperdere i residui delle caldaie. Non si dovrebbe parlare quindi di civiltà termo-industriale2? Mi sembra che questo termine indichi più precisamente la dimensione principale del nostro sistema tecnologico. Non è comunque veramente eccezionale che all’origine della nostra civiltà un mito e un insieme di testi “avvertano” del pericolo del desiderio di onnipotenza? Troviamo riuniti gli ingredienti dell’immaginario dei tempi moderni che ruotano intorno alle macchine automatiche: il calore dell’energia fossile che sembra renderci padroni del divenire, la fede in un universo artificiale che non andrà in declino, il sogno del lavoro senza l’uomo; tutti elementi che rimangono ai giorni nostri i libro Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano 1999. 2 Il concetto è stato elaborato da Jacques Grinevald in “L’effet de serre de la biosphère: de la révolution thermo-industrielle à l’écologie globale” in Stratégies énergétiques, biosphère et société, n. 1, 1990, pp. 9-34 e “L’effet de serre et la civilisation thermo-industrielle 1896-1996” in Revue européenne des sciences sociales, n. 108, 1997, pp. 141-146. L’autore è un discepolo di N. Georgescu-Roegen e ha introdotto il suo pensiero nel mondo francofono. Esporrò le sue tesi più avanti.

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germi dell’idea di progresso tecnico. Progresso che presuppone sempre sullo sfondo l’immagine della vittoria sulla morte di cui il grande sistema di prevenzione sanitaria è il potenziale garante.3 Credo che si debba considerare l’avvento della macchina come un’enigma perché, lungi dall’accompagnare coerentemente l’avventura umana, può rappresentare benissimo l’avvento fatidico, il pericolo contro il quale Eschilo voleva mettere in guardia l’umanità. Occorre quindi capovolgere il ragionamento classico. Non bisogna spiegare perché è assente in altre civiltà, bensì perché questo singolarissimo evento esista nella nostra. L’amara, anzi cinica, constatazione di Peter Sloterdijk ci incoraggia, dicendoci che le grammatiche delle civiltà altamente avanzate per adesso ci abbandonano quando bisogna esprimere il luogo dell’artificiale nel reale4. Nel corso di questo libro mi sforzerò di provocare tale cambiamento di prospettiva, proponendo al lettore una “grammatica” per portarlo a capire il nostro divenire e quello della nostra specie nell’era delle macchine. L’asse della riflessione di questo libro si basa anche su un’osservazione di Hannah Arendt che mi era sembrata strana un giorno: “Prima di Galileo tutti i sentieri erano ancora aperti. Se si pensa a Leonardo, ci rendiamo conto che la rivoluzione tecnica avrebbe comunque influenzato lo sviluppo dell’umanità” e la filosofa continuava con una riflessione che, ai miei occhi, era ai limiti dell’assurdo: “[l’evoluzione tecnica] avrebbe potuto condurre al volo, la realizzazione di uno dei più vecchi e tenaci sogni dell’uomo […] avrebbe forse realizzato l’unificazione della terra, ma ben difficilmente la trasformazione della 3 Lucienz Sfez ne spiega i meccanismi ideologici in La Santé parfaite, Seuil, Parigi 1995 e in L’Utopie de la santé parfaite: colloque de Cerisy, PUF, Parigi 2001. 4 P. Sloterdijk, Critica della ragion cinica, Garzanti, Milano 1992. L’autore rileva che la radice logica dei cinismi teorizzanti che guardano la realtà da padroni dell’Olimpo è nell’evoluzionismo, “l’evoluzione” (progresso) è per questo la teodicea moderna, che permette l’ultima interpretazione logica della negatività.

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materia in energia e la conoscenza dell’universo microscopico”5. Solo molto tempo dopo capii che anche Hannah Arendt forse sognava un universo in cui la macchina potesse esistere senza essere associata alla potenza di un motore termico. Di conseguenza il macchinismo, così come lo conosciamo, in realtà non era ovvio e l’invenzione di un apparecchio che produce “automaticamente” lavoro rappresentava un crocevia della Storia che poteva benissimo costituire un’enigma. Come il pesce nel mare non sa cosa sia l’acqua ma la riconosce come il suo unico mondo, in effetti noi esistiamo nel nostro universo come se fosse l’unico universo possibile. La scienza è servita alla costruzione di un mondo dell’arti-ficio che bisognerebbe considerare come il risultato di un’avventura dell’essere vivente iniziata molto tempo fa. Sembra che questo essere vivente sviluppatosi nella biosfera per una necessità immanente – se si dà credito al darwinismo – abbia così passato il testimone a un nuovo regno, quello della macchina. Questa macchina è diventata più di uno strumento, è un’arte di vivere, perché si fa passare sia come una cosa che si guarda o usa che come il segno di un’altra verità, quella di un destino storico. La macchina parla e detta il nostro avvenire di «selvaggio superequipaggiato»6. La realtà contemporanea è anche questo. Quest’arte delle macchine va ben al di là del settore della macchina industriale tradizionale: include il telefono e Internet, ma anche il treno ad alta velocità e la lavatrice, la manipolazione del genoma e lo scanner. Gli innumerevoli racconti che riferiscono con soddisfazione il miglioramento di questo o quello strumento industriale, questo o quel modesto H. Arendt, Vita activa: la condizione umana, Bompiani, Milano 2008 (prima edizione 1962). 6 La parola è di Georges Balandier del quale assumo qui l’ipotesi generale del libro Le Grand Système: “l’abbandono [dell’attenzione vigilante] cieco come il consenso a tutto ciò che si fa […] porterebbe ad abbandonarsi all’influenza crescente dei purificatori e dei securitari” (Fayard, Parigi 2001, p. 188). 5

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oggetto della vita quotidiana, dimenticano sempre di nominare lo sfondo, le enormi infrastrutture tecniche, estremamente avide di energia, che permettono all’oggetto di funzionare. Il tostapane, la lampadina, la sega elettrica e il forno da cucina non funzionano come entità isolate, non sono altro che l’esito di una gigantesca rete di flussi emessi, gestiti e controllati da delle unità di sorveglianza. La vita quotidiana nel XXI secolo si trova interamente connessa con dei macrosistemi tecnici. Non si deve quindi andare avanti e prevedere, come ha fatto Samuel Butler, il seguito inaspettato di questa storia, quello dell’auto-riproduzione delle macchine, visto che, paradossalmente, “l’uomo può considerarsi oggi una parte del loro sistema riproduttivo”7? Ma, allo stesso tempo, si pone la questione di sapere se questo universo tecnoscientifico diventato la seconda natura della modernità sia davvero il prodotto “naturale” della storia dell’uomo. In altre parole: si può inserire nel corso del tempo come un evento possibile o per lo meno spiegabile all’interno dell’evoluzionismo? In realtà è raro che si faccia questa domanda. Bernard Stiegler ha tentato di rispondere in un libro difficile, in cui, di fronte al disorientamento del mondo, propone di ritrovare dei punti di riferimento entrando direttamente nell’era elettronica e biogenetica.8 A tal scopo recupera la visione globale di un cammino tecno-logico dell’umanità e sviluppa la tesi di una tendenza tecnica che precede la Storia. Il filosofo ci riporta così al cuore del problema, tirando fuori la grande questione che sarà quella dell’ultima parte del nostro libro. È un grande merito poiché, per la maggior parte dei nostri contemporanei, è una questione che non ha neanche ragione di esistere dato che si concepisce il progresso tecnico come una tendenza della Storia dove si rivela la necessità che – o almeno così si pensa –, libera l’uomo dal lavoro e migliora le condizioni di vita di tutti. Samuel Butler (1835-1902) fu il primo autore inglese a interrogarsi, nel 1871, sul senso della macchina come automa industriale in Erewhon, Adelphi, Milano 1975. 8 B. Stiegler, La Technique et le Temps, Galilée, Parigi 1996. 7

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indice Introduzione

Il progresso tecnico e la libertà umana La comparsa della macchina industriale La strana liberazione dell’essere da parte della cosa motorizzata Progresso tecnico o traiettoria tecnologica? Una questione filosofica su storia e libertà

p. 5 p. 10 p. 13 p. 15

Prima parte

p. 21

Capitolo I

p. 23

Le chimere del progresso tecnologico Nascita della società termo-industriale. Una strada che non porta da nessuna parte? Opinione sul capitalismo carbonifero Invenzione dell’efficienza delocalizzata La rivolta luddista La delocalizzazione tramite la macchina a vapore ovvero l’energia fossile fattore di mobilità Il bivio verso l’energia fossile: caso o necessità?

Capitolo II

La megamacchina del progresso e la grande trasformazione sociotecnica Macchina e cyberspazio Macchina ed entropia Il caso dell’acqua e il paradosso dell’evidenza Prima dimensione dell’interpretazione fenomenologica: il confronto nel tempo Seconda dimensione: lo spazio del confronto Terza dimensione: l’identità del fenomeno Megamacchina del quotidiano, il progresso minuscolo

Capitolo III

Fragilità della potenza tecnologica e orizzonte della catastrofe. Dal rischio al pericolo Il progresso, la globalizzazione e il macrosistema tecnologico Il mondo pieno, connesso, e il mondo vuoto, scollegato

p. 25 p. 28 p.37 p. 39 p. 47

p. 51 p. 54 p. 58 p. 61 p. 61 p. 62 p. 63 p. 66

p. 79 p. 80 p. 92


Il campo fortificato L’implosione dell’energia Il picco di Hubbert Il presente del futuro

p. 95 p. 98 p. 103 p. 108

Seconda parte

p. 113

Capitolo IV

p. 115

La meccanica del progresso tecnologico L’enigma della falsa liberazione galileiana Il Rinascimento e Galileo nel labirinto del tempo La Chiesa, la scienza, la tecnica L’assoluta a-moralità del mondo della conoscenza La nuova passività del soggetto nel mondo

Capitolo V

Dall’universo infinito dello strumento al mondo chiuso della macchina. Il bivio inaspettato La macchina automatica Il lavoro può essere fatto senza l’uomo Il paradiso meccanico L’ingabbiamento del progresso nella macchina L’universo della macchina e il Dio orologiaio

p. 115 p. 123 p. 125 p. 128

p. 133

p. 142 p. 146 p. 148 p. 150 p. 152

Terza parte

p. 159

Capitolo VI

p. 161

L’invenzione del progresso tecnologico Lo strumento del progresso – viaggio alle origini Dalla pietra al coltello. Una rappresentazione del progresso tecnico L’utensile come macchina dell’ominizzazione L’isolamento dell’atto tecnico in relazione col contesto

Capitolo VII

Scegliere di non fare, ovvero si può fuggire dal progresso? L’invenzione del tempo dello sviluppo Il privilegio del tempo presente Perché non fare? Perché fare? Su qualche esempio di grandi rifiuti

p. 162 p. 171 p. 173

p. 185 p. 186 p. 190 p. 195 p. 205


Capitolo VIII

L’efficienza, una questione di valori e un concetto senza valore Il moschetto, strumento cartesiano Il paragone, o la relatività del cambiamento in materia di efficienza Meglio e peggio, il carattere incommensurabile delle situazioni La scala dei tempi, o l’effetto inaspettato della misura del tempo

Capitolo IX

La rottura alla base della storia delle tecniche Prima – dopo Continuo – discontinuo Limite – bivio Caso – necessità Complesso o complicato?

Conclusione

Il progresso tecnico, rinascita di una controversia Come se la Terra non esistesse, come se ci fosse un progetto tecnologico per gli uomini Un gioco a somma zero

Bibliografia selezionata

p. 211 p. 217 p. 221 p. 225 p. 230

p. 241 p. 243 p. 245 p. 249 p. 252 p. 256

p. 263 p. 264 p. 271

p. 277


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