La signora di Sing Sing

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Idanna Pucci

La Signora di Sing Sing Prefazione di Edgar Morin

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A Edgar Morin, esempio di umanità, conoscenza, saggezza e apertura verso il mondo e tutte le epoche. Il saggio dei saggi tra presente e passato nell’eternità. A Terence Ward, la cui presenza al mio fianco trasforma il compito più strenuo in un’esperienza poetica che riconferma la sacralità della vita.

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De lo que fui no tengo sino estas marcas crueles porque aquellos dolores confirman mi existencia. pablo neruda, No hay pura luz

Essere contro la pena di morte non vuol dire essere contro la pena in genere e in favore della libertà di tutti i delinquenti. Ma per punire con giustizia occorre il rispetto delle regole che sono il frutto dell’incivilimento, occorre il convincimento della ragione, occorrono prove. tiziano terzani, Lettere contro la guerra

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prefazione di Edgar Morin

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uesto libro ci tuffa nella tragedia vissuta da poveri emigranti dal Sud d’Italia, catapultati alla fine del XIX secolo nella città più moderna del mondo, New York, e – in particolare – nelle drammatiche vicende di una giovane donna, che aveva solo il suo onore come unico e più prezioso bene da difendere. Questo libro ci immerge in un processo all’americana, in cui la giovane accusata non comprende nulla né dell’accusa che le si addebita, né di come viene difesa: verrà pertanto condannata a morte. Questo libro ci inoltra infine nella magnifica e coraggiosa impresa di una ricca borghese americana, diventata per matrimonio un’aristocratica italiana, che intraprende una corsa contro il tempo per evitare l’esecuzione della giovane immigrata, far riaprire e rifare un giusto processo. Una profonda riflessione sulla questione carceraria e sulla morte. Ogni civiltà dovrebbe superare la legge del taglione, che, a dispetto dell’educazione, è fortemente inscritta dentro ciascuno di noi, che ripudiamo la vendetta, l’occhio per occhio, ma che siamo profondamente felici quando il conte di Montecristo si vendica o quando il «giustiziere» dei film western abbatte i criminali. Cesare Beccaria, ancora nel Settecento, ci aveva raccomandato di considerare la detenzione non come una punizione del delitto 9

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o del crimine commesso, ma come una protezione per la società, finalizzata a educare il condannato, facendo così evolvere il vero progresso civile, che abbandona l’equivalente della legge del taglione, trasformatasi oggi in una pena che priva della libertà in base a un calcolo ragionieristico computato in anni, secondo la gravità del crimine. Molti ancora oggi considerano la prigione come una giusta punizione e si indignano se i condannati guardano la televisione. Riguardo alla pena di morte, l’allora ministro della Giustizia, Robert Badinter, ne decretò l’abolizione in Francia nel 1981, all’inizio della presidenza di François Mitterrand, sfidando un’opinione pubblica prevalentemente ostile a questa riforma, connotata invece da una superiorità morale e civile. Purtroppo tale pena permane in molte nazioni civili, tra cui gli Stati Uniti ed è massicciamente utilizzata in Cina. La morte è infatti considerata come la massima punizione, invece di essere concepita come l’ultima persistente sopravvivenza della legge del taglione. Tutto ciò che si basa sulla vendetta fa regredire l’umanità e le condanne a morte stanno riapparendo nell’attuale grande regressione, costituita dalle guerre civili e dalle guerre tra nazioni straniere. La pena di morte ignora che un condannato può riabilitarsi, redimersi. Imprigionare un essere umano dentro il crimine da lui commesso, qualificandolo, tout court un criminale, significa, come diceva Hegel, non voler guardare a tutti gli altri aspetti della vita di una persona, alle varie sfaccettature dei suoi comportamenti e sentimenti. È particolarmente sconvolgente la trasformazione psicologica, morale, culturale in prigione della giovane sartina quasi analfabeta, ignara della lingua inglese, posseduta dal sentimento arcaico di essere stata disonorata. Infatti l’uomo che aveva abusato di lei ha rifiutato di sposarla nonostante le sue suppliche. È nostro compito precipuo favorire la possibilità di riabilita10

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zione e redenzione e pensare che il perdono può avviare e condurre a un processo di ravvedimento. Da questo libro emana una straordinaria ricchezza umana: l’autrice, discendente di Cora, si occupa con tutta la sua sensibilità del destino dei poveri emigrati italiani in America. La sentiamo implicitamente fiera della sua bisnonna attivista e della famiglia di Brazzà che – vogliamo aggiungerlo – ha dato all’Africa l’unico esploratore che ha rispettato i popoli indigeni. Possiamo intravedere la sua presenza nell’autrice. Questo libro, oltre al suo valore intrinseco, costituito da un racconto di suspense per la lotta tra la vita e la morte, da un affresco tra due mondi culturali compresenti e da una testimonianza sulla New York della fine del XIX secolo, dovrebbe anche suscitare in noi una riflessione sulla barbarie che minaccia costantemente la nostra civiltà.

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