N.01 mensile free press
Greenager N.01 Mensile Free Press
N.01 mensile free press
Foto in copertina di Apres Los Ojos
Direttore responsabile Massimo Pasquini
Redazione Simone Pellegrini Fernando De Maria
Direzione artistica Alice Pasquini
Progetto grafico e impaginazione Ginevra Virgili
Foto
Valerio Corvelli Jaques Fargion Stefano Ruffa/Studio Maggi Filippo Silvestris (Imago ars)
Fumetti David Migliorelli Liska – Fumetti Dissociati Hanno collaborato
Alessio Ramaccioni Roberto Risica Valerio Landi Fabrizio Campana Micaela Castellani Valerio Corvelli L.B. Cristiano Cappi Cesare Vernetti Lorenzo Iervolino Wu Ming
Grazie a Marco Acciari
Organo ufficiale: Greenager – onlus Via Euripide 40 – 00125 Roma
Tipografia: Emilmarc Via B. Croce 37/41 – 00142 Roma Finito di stampare il 23 marzo 2007
L’associazione culturale “Greenager onlus”, in conformita ai principi costituzionali, garantisce ai propri collaboratori la piu ampia liberta di pensiero tuttavia non si ritiene responsabile x le opinioni espresse da essi all interno del giornale.
illustrazione di Alice Pasquini
Registrazione al Tribunale di Roma n. 70/2007 del 2 marzo 2007
index In un mondo dove la crisi di identità è dilagante e forse necessaria, noi greenagers vi spieghiamo chi non siamo, tanto per non sbilanciarsi. Innanzitutto non siamo vecchi, né dentro né fuori, secondariamente non siamo esclusivi (pregasi di intendere etimologicamente il termine). Non siamo noiosi né solitari, non siamo stanchi e non stiamo a casa. Non siamo ambientalisti integralisti, né finti ambientalisti, non siamo NIMBY (Not In My Back Yard) e non siamo BANANA (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything), ma non siamo nemmeno stronzi fiancheggiatori del “carbone pulito”. Non siamo una onlus arraffona né una pseudo cooperativa sociale, non stiamo seduti su poltrone finanziate ma in continuo movimento per dare spazio alla creatività, promuovere lo sviluppo sostenibile e, fuori da ogni clichè catto/stucchevole, regalare un sorriso a chi ne ha bisogno. Non vogliamo un mondo peggiore né lo vogliamo uguale all’attuale e per questo ci muoviamo per aggregare chi come noi spinge per migliorare il nostro intorno, fin dove la nostra forza ci consente. Se neanche voi siete chi non siamo leggete Greenager e visitate www.greenager.it, cerchiamo energia per il cambiamento.
AMBIENTE 4 Elettro Smog 6 Mors Populi Vox Dei 7 Distribuzione N.00 SOCIALE 8 Ai confini di un sorriso 10 Quartieri: trastevere L’INTERVISTA 12 Linving on the edge: almeno ho viaggiato SPORT 13 Check it out: Parkour. Mi butto o non mi butto?
MUSICA 14 ZU Dispositivo per il lancio obliquo di una sferetta 15 Collettivo Angelo Mai. Orchestra mobile di canzoni e musicisti 16 Assalti Frontali
MODA 17 A_nina ARTE 18 GRA - Genuine Roman Art 20 International Poster Art; seconda edizione COMIX 22 di David Migliorelli e di Liska - Fumetti Dissociati
RUBRICA 24 77FM POSTA 26 L’omicidio del secolo 27 h. 00.25 La nostra inviata
www.greenager.it
Chi non siamo
ambiente
ELETTRO SMOG di Alessio Ramaccioni
L
e sia comunque importante limitare le esposizioni prolungate alle emissioni di onde elettromagnetiche, soprattutto nel caso di soggetti “deboli” (i bambini e alcune tipologie di malato). Il dibattito sull’inquinamento da elettromagnetismo, o elettrosmog, ha preso particolarmente piede negli ultimi anni, anche in seguito alla diffusione di uno strumento tecnologico ormai parte della nostra quotidianità: il telefono cellulare. Partendo dalla prima generazione di telefonini, fino alle tecnologie di cui disponiamo oggi, l’uso del “cellulare” si è diffuso capillarmente all’interno della società del nostro paese, e di tutti i paesi sviluppati. É migliorata la tecnologia, sono migliorate le prestazioni, sono aumentate le possibilità: parlare,
scriversi messaggi, guardare e scambiarsi video, addirittura avere a disposizione una piccola televisione portatile. Ma tutto questo ha un prezzo: oltre a quello puramente economico, che tra acquisto e gestione è comunque considerevole, c’è da considerare quello che potremmo pagare, e forse già stiamo pagando, a livello di salute. Affinché il telefonino “prenda” bene, sono necessarie un certo numero di antenne diffuse in modo omogeneo sul territorio, tanto più numerose quanto sono numerosi gli utenti, tanto più fitte quanto più deve essere forte il segnale. Che deve servire appunto per parlare, guardare la televisione, mandarsi mms. Considerando i costi economici che gli operatori impongono agli utenti, il servizio
sociale
arte
a nostra società è omai caratterizzata da un forte sviluppo tecnologico: veloce, a volte entusiasmante, spesso sfrenato. Le possibilità che ieri ci sembravano difficili da ottenere, oggi sono alla nostra portata quotidianamente, in diversi settori della vita quotidiana. Sviluppo entusiasmante, perché quello che oggi è innovativo, tra un anno è magari obsoleto. Sviluppo sfrenato, perché il succedersi in tempo reale di novità tecnologiche porta alla creazione di bisogni indotti, che vanno a distorcere il rapporto tra l’individuo e la tecnologia, creando a volte dei problemi. Che magari oggi appaiono piccoli, quasi irrilevanti, ma domani potrebbero essere difficili da gestire e da risolvere.
computer, ai telefoni cellulari. Per non parlare delle grosse strutture indispensabili alla nostra società, come gli elettrodotti e i grandi impianti per le comunicazioni radiotelevisive. Tutte queste macchine, piccole o grandi che siano, producono emissioni elettromagnetiche, in bassa o in alta frequenza. Si tratta di emissioni che si propagano intorno all’oggetto che ne rappresenta la fonte, tanto più intensamente quanto è potente questa fonte. Si discute ormai da qualche tempo sulla loro nocività: sicuramente interferiscono con le strutture biologiche, è ancora da accertare come, con quali effetti e in quali tempi. Anche se ormai sempre più scienziati sono dell’opinione che quantomeno non facciano bene,
La maggior parte della tecnologia di cui facciamo uso quotidianamente funziona grazie all’energia elettrica: dalle macchine presenti in cucina, alla televisione, ai
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deve essere il migliore possibile. Miglior servizio, più antenne, è quasi ovvio. Più antenne, più fonti di emissioni elettromagnetiche: magari concentrate su un territorio densamente abitato, come può essere la città di Roma, che vede già in funzione una enorme quantità di altre fonti, dalle antenne radio televisive agli elettrodotti. Prima parlavamo di bisogni indotti: se un giorno fosse dimostrato in maniera inconfutabile che l’elettrosmog fa male, come è avvenuto per esempio nel caso del fumo, sarebbe necessario riflettere sulla reale utilità sociale che ha un videotelefonino, o una piccola televisione inserita all’interno di un telefono (!!!). Vale la pena abusare di tecnologie di questo tipo barattandole con la nostra salute?
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Secondo le migliaia di cittadini che sempre con più frequenza si uniscono in comitati e si oppongono al proliferare di antenne, non vale la pena. Purtroppo bisogna fare i conti con lo strapotere delle compagnie di telefonia mobile, e con una legislazione che pone pochissimi limiti a queste compagnie. E spesso bisogna fare i conti anche con amministratori pubblici troppo sbilanciati nel favorire il potere economico piuttosto che il diritto del cittadino a tutelare la propria salute. Ma i comitati cittadini sono sempre più numerosi, la gente sempre più consapevole, e disposta ad informarsi e ad imporsi per tutelare quello che dovrebbe essere un diritto ovvio e acquisito: il diritto alla tutela della propria salute.
MORS POPULI
VOX DEI di Roberto Risica
425 ettari. Per chi non è un contadino o un agente immobiliare, 425 ettari sono 4.250.000 metri quadrati. Una superficie pari a 58.000 volte casa mia. E 58.000 sono gli abitanti di Savona. Ecco, in una superficie così grande da contenere le case di tutti gli abitanti della provincia ligure, sorgono le antenne di Radio Vaticana: un complesso di decine di trasmettitori, alte 100 metri, che irradiano verso tutto il globo terrestre.
E questo fazzolettino di terra è un terreno particolare, perché gode del privilegio dell’extraterritorialità secondo quanto disposto dalla Legge 680/52 e secondo quanto concordato l’anno prima tra lo Stato Italiano e la Santa Sede. E se non fosse che l’eccessiva potenza degli impianti avrebbe provocato otto casi di leucemia infantile nei terreni limitrofi (Roma Nord), con un incremento del pericolo di contrarre la malattia del 1800%, magari ci si potrebbe limitare a scrivere un articolo solo sull’insopportabile bigottismo e moralismo delle trasmissioni evangeliche. Ma una sentenza del Tribunale di Roma ha condannato in primo grado due dirigenti dell’emittente, il cardinale Roberto Tucci e padre Pasquale Borromeo, a dieci giorni di carcere per “getto pericoloso di cose” (ovvero, nel caso specifico, per elettrosmog, ndr) ed è ancora in corso un procedimento in sede civile per risarcimento danni richiesto dalle presunte vittime. Procedimento che potrebbe avvalersi proprio della condanna penale dell’emittente come prova dell’accertata responsabilità per i casi di leucemia riscontrati nella zona. Sembrerebbe andare tutto per il verso giusto, se non fosse che a Dicembre 2006, il procuratore generale di Roma ha chiesto alla prima Corte d’Appello di
non procedere contro i due “prelatoinquinanti” per intervenuta prescrizione del reato. Fine dei giochi. Come a dire: ite, missa est. Ancora una volta, suona la campanella sul più bello. Ma i legali dei due dirigenti, non paghi della prescrizione-impunità, hanno chiesto la piena assoluzione dei loro assistiti, così da scongiurare anche l’eventuale risarcimento pecuniario. Si racconta che Prometeo abbia osato sfidare il Dio per eccellenza, Giove, e che per punizione sia stato incatenato ad una roccia del Caucaso e sottoposto al supplizio di un’aquila che gli divorasse il fegato per l’eternità. Potenza del mito. Nella Bibbia si legge: “È la voce del Signore; egli ricompensa i suoi nemici secondo le loro azioni” (Isaia, 66,6). A voler credere a Isaia, si direbbe che gli abitanti di Cesano, dell’Olgiata e di Osteria Nuova, a nord di Roma, siano tutti atei, blasfemi e nemici di Dio. Aspetteremo la prossima udienza del processo penale, prevista per il 4 Giugno 2007, con il cuore pieno di commozione per le toccanti parole di qualche tempo fa del provocatorio Santo Padre: “La Chiesa sostiene il malato incurabile e terminale, chiedendo politiche sociali giuste che aiutino ad eliminare le cause di molte malattie.” Rivoluzionario, come i circoli antimafia di Dell’Utri.
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DISTRIBUZIONE N.00
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iamo usciti col botto ragazzi, ci siamo fatti sentire per tutto il centro di Roma, tamburi a rotta di collo e copie di “Greenager” distribuite ovunque e a chiunque. È stato molto rumoroso, da Piazza Navona a Campo de’ Fiori mentre la gente ci guardava spaesata, ma ci siamo divertiti e questo è l’importante. Vogliamo ringraziare un po’ di persone: grazie a Marco Acciari, grazie a Giuliano Lucarini e alla sua fantastica banda di percussionisti, grazie a Lorenzo Iervolino, Simone Bucri, Diego Pirillo e Federico Angeloni per le riprese video, grazie all’ospitalità offerta dall’Ambasciata del Brasile per gli appostamenti delle telecamere. Grazie a tutti quelli che hanno distribuito
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il magazine e a tutti quelli che hanno firmato lo striscione (qualche nome: Alessandro, Francesco, Dario, Davide, Luca, Cesare, Micaela, Serena, Daniele, Andrea, ancora Alessandro, Martina, Giovanni, e tanti altri che lo sanno perché c’erano). Grazie, e va detto, alle forze dell’ordine che hanno controllato e agevolato lo svolgersi del corteo. E grazie a chi era presente e si è divertito, questo è solo l’inizio. Adesso abbiamo bisogno di voi, che ci leggete e ci visitate sul sito, per far crescere e consolidare questo progetto che ha nell’interattività la sua base. Scriveteci consigliateci fatevi vedere e sentire, collaborate. Per contattarci: info@greenager.it www.greenager.it
sociale
AI CONFINI DI UN SORRISO di Micaela Castellani
“Questi bambini nascono due volte. Devono imparare a muoversi in un mondo che la prima nascita ha reso più difficile. La seconda dipende da voi” < G. Pontiggia > - Questo no, non ce la farebbero - La corsa no, si stancherebbero troppo - Gridare no, si spaventerebbero-
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uesti i timori, le preoccupazioni che mi assalivano prima di conoscere quelle splendide creature, quei bimbi che mi hanno fatto ricredere sulle loro capacità, quegli sguardi che mi hanno dato una carica indescrivibile, che chiedevano sorrisi in cambio di sorrisi, quegli occhi che avevano bisogno di spensieratezza,
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di divertimento. Era percepibile il loro desiderio di sentirsi al mondo, di sentirsi bambini almeno per qualche ora prima di ritornare in quel letto e indossare di nuovo quella maschera che li fa sembrare più grandi, forti e responsabili. Dei guerrieri che lottano contro la loro malattia e che trasmettono coraggio e speranza. Hanno dimostrato di essere i più forti, nessuno di loro si è arreso davanti ad un ostacolo, davanti ad un gioco che forse per qualcuno di loro ‘non era adatto’, abituati a convivere e a saper gestire il loro disagio, dimostrando di essere loro i padroni del loro corpo, e che è solamente la loro volontà a scegliere ciò che si può e non si può fare. La loro forza e la loro voglia di sentirsi vivi supera qualunque freno che la dispettosa e crudele natura gli impone!I loro atteggiamenti mi hanno dimostrato che spesso ci creiamo degli scrupoli inutili, dei freni sbagliati nei loro confronti, ma ce ne accorgiamo solo quando loro si impegnano a dimostrarci la loro normalità. Il nostro inconscio ci dice che sono diversi e che vanno trattati come tali, ma loro lottano perchè questo non accada, perchè è proprio la nostra
utopia di pretendere da loro l’impossibile a farli sentire vivi e protagonisti. Hanno dimostrato che sono bambini cresciuti in fretta, ma con tanta voglia di sentirsi ancora piccoli, con la nostalgia del mondo che c’è al di fuori di quelle mura. Mi sento di dire GRAZIE a tutti quei bimbi che hanno partecipato alla festa perchè mi hanno regalato un’emozione immensa, mi hanno trasmesso la loro voglia di vivere insegnandomi soprattutto a non rinunciare mai al sorriso. Nessuno e nessun problema devono permettersi di privarci di un sorriso, un gesto così profondo che può ridonare un senso ad una vita, che può rallegrare una giornata, che può riaccendere una speranza, che può non farci sentire soli. Sono andata con l’intenzione di dare ma senza pretese di ricevere. Torno con la speranza di essere riuscita nel mio intento di dare e sorpresa di aver ricevuto tutto quello che in una vita si può sperare. Chi dice che la felicità non esiste è solo un pazzo presuntuoso e pigro: sostengo che la felicità non si trova, ma si crea, si crea dall’umiltà, dalla solidarietà, dalla semplicità interiore. Aspettandola passivamente si rischia di non conoscerla mai. Ho sempre sostenuto che rendere felice qualcuno è molto più bello di quando qualcuno rende felice me. Ringrazio tutti coloro che mi hanno dato questa opportunità e che hanno creduto in me, con l’impegno di non deluderli mai e con lo scopo di portare sempre più in alto questo progetto che ha nel sorriso la sua unica bandiera! greenager 01
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artedì 27 febbraio abbiamo organizzato una festa all’Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” di Roma, grazie all’opportunità che ci è stata offerta dal dottor Tommaso Langiano, direttore sanitario della struttura.Il risultato è stato positivo e divertente, i bambini sono stati fantastici e le due ore sono trascorse nel migliore dei modi, tanto che per il mese prossimo l’appuntamento sarà raddoppiato (le date sono ancora da definire). Sappiamo bene che il nostro impegno per migliorare la degenza dei bambini in ospedale non rappresenta un traguardo, ma cercheremo di portare avanti questo progetto affinché non rimanga una pratica isolata. Ringraziamo di cuore la dottoressa Carla Carlevaris, responsabile della ludoteca dell’ospedale, per aver creduto in noi fin dall’inizio e con lei anche il suo staff, molto disponibile e professionale. Poi ringraziamo Micaela Castellani, responsabile del progetto “Ai confini di un sorriso” e tutta la sua equipe, composta da: Simone Pellegrini, Valerio Landi, Serena Orlacchio, Luca Persiani e Davide Apuzzo. Noi della Greenager non siamo medici né assistenti sociali, ma abbiamo la voglia di regalare un sorriso a chi è più sfortunato, perché pensiamo che ogni essere umano abbia il diritto di sperare in un futuro migliore.
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QUARTIERI Trastevere di Valerio Corvelli
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i potrebbe chiamare Mario... e potrebbe fare Rossi di cognome... potrebbe essere uno come tanti. Si alza la mattina, fa colazione, va all’università, cerca lavoro, guarda la tv, ha una ragazza/o… e pensa. Quel giorno voleva scoprire... Presa la Metro scese a Circo Massimo e dopo una breve passeggiata, aveva cominciato a perdersi nelle strette viuzze di Trastevere, passando dalla ‘zona delle osterie’ a quella notturna di Trilussa e Santa Maria in Trastevere, dove il tram segna un piccolo confine nel quartiere romano, fra tradizione e turismo. E si era trovato a scoprire, come ogni giorno, qualcosa di nuovo o qualcosa a cui non aveva mai fatto caso… Dalla piccola casa editrice che alberga nel sotto scala di un vecchio palazzo, all’asilo notturno di cui mai avrebbe sospettato l’esistenza… si era trovato a scoprire che la vecchia osteria romana si trovava in mezzo ad un ristorante greco ed uno indiano... che al lato di ogni portone mancano due tre sampietrini, per fare spazio alla nascita di una piantina… che dentro ogni cortile c’è un habitat naturale e nonostante ci sia tanto cemento, ogni albero è circondato
da una recinzione, come se si volesse difendere dall’avanzata dei palazzi… si era trovato a scoprire che poteva regalare un mazzo di carciofi, sono così belli che ti viene voglia di mangiarli subito… si era trovato a scoprire che i personaggi dei film americani, che tornano alle nove di sera a casa con una pila da una dozzina di libri in una mano e un dvd ondeggiante nell’altra, esistono veramente… si era trovato a scoprire che non conosceva tutti i nomi delle strade che stava percorrendo e che era circondato da migliaia di cartine turistiche… si era trovato a scoprire che in quel periodo dell’anno molte persone avevano un braccio fasciato… si era trovato a scoprire che un uomo che indossa una sciarpa di lana rossa e una camicia di lino bianca deve essere per forza un artista… si era trovato a scoprire di avere un acuto senso dell’osservazione e subito dopo… si era trovato a scoprire che non tutti i padroni dei cani che girano per Roma raccolgono gli escrementi… si era trovato a scoprire che era febbraio ma faceva un caldo incredibile, ma non era colpa di nessuno, per carità!... si era trovato a scoprire che anche un edificio
di smisurati metri quadri può essere abbandonato a sé stesso, nel centro della città, con tanta gente senza casa… si era trovato a scoprire queste e tante altre cose… che lo avevano fatto riflettere sulla sua ignoranza e sulla sua pigrizia… e si era trovato a pensare, seduto su una panchina, affacciata sui sampietrini con vista panni stesi, alle parole che aveva letto quel giorno sull’oroscopo, le aveva dette Franz Kafka: “Non hai bisogno di fare nulla. Rimani seduto alla tua scrivania e ascolta. Non devi neanche ascoltare, aspetta. Non devi neanche aspettare, impara solo ad essere silenzioso, tranquillo e solitario. E il mondo ti si offrirà spontaneamente senza maschera. Non ha altra scelta; rotolerà estasiato ai tuoi piedi.” E aveva scoperto che stando fermo o in movimento poteva sempre imparare qualcosa… ma decise di camminare perché preferiva scoprire così… perché, come scrisse Neruda in Ode alla vita, “Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e non cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce…”
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l’intervista
LIVING ON THE EDGE
Almeno ho viaggiato
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lisa ha 26 anni un figlio di uno e sua sorella in arrivo. Suo marito è Marco, che ha qualche anno di più e lavora con i fratelli in una macelleria. Quando sono andati in viaggio di nozze a Parigi, Elisa non se l’è sentita di dire a suo marito che quella città la conosceva a menadito. Neanche quando Marco ha allungato un biglietto da dieci ad una ragazza di Torino con capelli verdi e cane al seguito. Quella ragazza poteva essere Elisa stessa qualche anno prima, quando seguiva i technival e i rave per tutta l’Europa, arrangiandosi come poteva, col suo ragazzo inglese Ben, tre cani, e un “van” pieno di droghe sintetiche nascoste ovunque. 12
Come è cominciato? Ai tempi del liceo avevo qualche amico che andava alle feste (rave ndr), un venerdì all’uscita di scuola mi dissero che c’era una festa dalle parti mie, alla Fintek (un ex stabilimento industriale sulla Pontina), che era iniziata la sera prima e che sarebbe durata fino a domenica. Così ci siamo imbarcati dal Ripetta e siamo arrivati alla Fintek nel primo pomeriggio, con l’intenzione di tornare per cena. Beh non sono più tornata a casa. E poi ? E poi sono rimasta lì con uno di quei miei compagni di classe, c’era gente che ci viveva in quella fabbrica prima che ci scappasse il morto, e io mi misi con loro.
Potresti immaginare le ragioni di una scelta tanto forte? Beh avevo sedici anni e una forte passione per le droghe. E poi, come a tutti, anche a me piace viaggiare. Così quando un gruppo di inglesi è passato alla Fintek per un technival, io ho “preso il treno” e mi sono accollata a loro. Come è andata con gli inglesi ? Direi bene, ho trovato l’amore, e in un paio di anni ho girato tutta l’Europa, non con un fighettissimo Inter Rail ma col furgone, vivendo le città e i loro sobborghi, le situazioni più estreme e quelle più normali. Diciamo che ho “conosciuto il mondo”, per questo ho sorriso dello stupore generale quando è scoppiato il casino delle balnieu. Per me era così ovvio.
di L.B.
Se è andata così bene perché sei tornata per sposarti con un macellaio? Non è stato facile tornare, peggio di come me l’aspettavo. Nessuno mi voleva più vedere, anche i più fattoni mi facevano dei “pezzi” infiniti. Ad un certo punto credevo di ripartire. Però oltre al fascino una vita estrema è collegata anche al terrore. Terrore di non tornare da un “viaggio”, terrore di vedere il tuo corpo disfarsi, terrore di non arrivare all’età adulta. Non ho retto al terrore.
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sport
rubrica
CHECK IT OUT
Parkour. Mi butto o non mi butto? di Cristiano Cappi
- Il Parkour è una sfida con se stessi, è il tentativo di oltrepassare i propri limiti, aumentando la consapevolezza nei propri mezzi, il traceur (così si chiama chi pratica questa disciplina, ndr.) aspira a superare in modo fluido, atletico ed esteticamente valido le barriere naturali o artificiali che si trovano lungo la sua strada (muri, scalinate, gradoni, pareti, pendii, precipizi), affidandosi ad ottime doti atletiche e ad una indispensabile dose di creatività – queste sono le prime parole che ci dice Stefano Pulcini, presidente dell’ “Associazione Italiana Parkour.it”. É utile ricordare che il Parkour nasce in Francia circa 15 anni fa grazie a due ragazzi, David e Sebastien, che quasi per gioco cominciarono a praticare in un ambiente urbano le tecniche apprese giocando da bambini nei boschi della campagna francese. Da questa esperienza si generano in tutt’ Europa diverse crews intente a studiare, attraverso la pratica, “l’arte dello spostamento”. Il nome “Parkour” non è altro che un neologismo ottenuto mettendo una kappa nella parola francese parcour “percorso”, un percorso che viene prima tracciato e poi affrontato a mani nude dal “traceur” (letteralmente “colui che traccia”), cercando ogni volta un limite più estremo. Ciò che balza agli occhi è la portata “filosofica” di questa pratica sportiva urbana. Non c’è niente di più sbagliato che pensare ai “traceur” come a dei ragazzini sconsiderati annoiati di vivere che si
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buttano senza cognizione da strutture architettoniche. “Se basta camminare farò quattro passi e se serve correre cercherò di non fermarmi; davanti ad ogni ostacolo dovrò impegnarmi a vederlo come un altro appoggio per andare avanti” (Laohu, “Il mio limite”), infatti parlare di Parkour vuol dire riconoscere a questa pratica una sua peculiarità: non è solo pura tecnica, ma è anche fluidità e armonia dei gesti, richiede autocontrollo, la coscienza delle proprie paure, riflessi e sangue freddo, così il lato mentale si esercita parallelamente all’allenamento del corpo. Per poter approcciare in modo valido la pratica del Freerunning (sostantivo anglosassone per il Parkour), si deve essere coscienti del suo statuto (seppur ancora non riconosciuto) di pratica sportiva a tutti gli effetti. In definitiva il Parkour non è solo la solita ultima moda dell’ estate, da consumare rigorosamente insieme all’ultima hit della classifica pop, bensì una vera e propria pratica sportiva “urban” (estrema come la bmx, lo skate o i roller), che però ha in più una forte componente antitecnologica. La mobilità pura si fa arte, in modo autoreferenziale. Una volta avuta la necessaria preparazione fisica, ma soprattutto mentale, non serve altro che stilare un percorso che collega in linea d’aria due punti della propria città, per poi lanciarsi nel percorso a mani nude, superando con stile tutto ciò che
si frappone fra noi e l’arrivo previsto. In Italia da un paio d’anni esiste un associazione per il Parkour (presieduta e coordinata appunto da Stefano Pulcini), che si impegna a promuovere questo sport, questa filosofia. - Parkour.it si pone come un’alternativa alla noia dell’immobilità fisica e mentale, non è nient’altro che un “agorà”, una posto dove i traceur nazionali ed internazionali si riuniscono per vivere e sognare uniti da una passione che certamente resterà per sempre un bellissimo ricordo della gioventù -. Naturalmente niente più che un altro esempio di tentare l’aggregazione attraverso la pratica di un’attività comune, nel nome di uno spirito antitecnologico e creativo: nuove energie tenute insieme dalla passione.
Per associarsi ad “Associazione Italiana Parkour.it” visita i siti: www.aipit.it e www.parkour.it
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ambiente
musica
DISPOSITIVO
arte
index
PER IL LANCIO OBLIQUO
sociale
rubrica
ZU di Cesare Vernetti
Gli ZU sono un band romana che fonde alla perfezione il free jazz con il punk più selvaggio. Generi che vengono rappresentati all’ennesima potenza, con un dialogo quasi matematico tra basso 14
e batteria e con il sax che rende a volte dolci e a volte totalmente isterici i brani che suonano. I componenti sono Jacopo Battaglia, batteria, Luca Mai, sax baritono, e Massimo Pupillo, basso. Sono da anni affermati in Europa e oltreoceano. In questi ultimi 5 anni contano quasi 800 concerti, distribuiti in Asia, Usa, Canada, Europa, Russia ed Africa. Hanno collaborato e fatto tours con artisti del calibro di Mike Patton, Thurstone Moore e Jim O’Rourke dei Sonic Youth, Nobukazu Takemura, Dalek, Fantomas, Nomeansno, Melvins etc... Nel loro palmares hanno anche da citare il fatto di essere stati registrati da Steve Albini (produttore di Pj Harvey, Pixies, Nirvana). Ma la loro vita musicale non si ferma qui. Gli ZU hanno fondato con Geff Farina il gruppo ARDECORE. Massimo fa parte del progetto musicale ORIGINAL SILENCE (Thurston Moore, Jim O’Rourke, Mats Gustafsson, Terrie Ex, Paal Nilssen-Love). Luca ha collaborato dal vivo con Dalek, Karate e Nomeansno, ed ha un duo con Mats Gustafson. Jacopo è attivo anche come compositore di colonne sonore per il cinema. Il primo aprile suonano con Joe Lally dei Fugazi al Circolo degli Artisti all’interno dell’evento Greenager. Ragazzi non mancate, ne vale la pena. www.zuism.com
DI UNA SFERETTA
di Cesare Vernetti
Per questo numero siamo andati a conoscere meglio uno dei gruppi più apprezzati della scena musicale romana, i “Dispositivo per il Lancio Obliquo di una Sferetta”. Ci troviamo nel loro studio, lo “Spastic Guru”, in compagnia del Pisi, chitarra e synth, e del Valerio, batteria, intenti a lavorare sul loro primo cd autoprodotto, in uscita questa estate.
Come nascono i dispositivo? Pisi: - Le nostre origini risalgono al 3° liceo. Eravamo tutti nella stessa scuola. Nasciamo come gruppo cover, ispirati dalla scena grungettona dell’epoca - . Valerio: - Ascoltavamo a mazzetta i vari Sound Garden, Pearl Jam ecc… - . Da dove viene questo nome astruso? Pisi: - Una settimana prima di un concerto, ci siamo ritrovati a dover scegliere un nome per il gruppo. Abbiamo aperto il libro di fisica, c’era una piccola foto di una catapulta metallica, e sotto c’era scritto “dispositivo per il lancio obliquo di una sferetta”, questo è il perché del nostro nome. Molto semplice - . Adesso una domanda obbligatoria, quali sono le vostre influenze musicali? Valerio: - La nostra svolta musicale iniziò con la scoperta dei Sonic Youth e della scena noise. Pisi: - Scoperta che pose le basi degli attuali
Dispositivo. Poi con il passare degli anni le nostre influenze si sono espanse, anche grazie ad internet che ci permette di conoscere moltissime realtà musicali di oggi e del passato, e possiamo dire che vanno dai Queens Of Stone Age ai Mr Bungle -. Valerio: - Dai Deerhoof a Zappa ecc… - . Come scegliete i nomi delle vostre canzoni? Ad esempio “Mangia bambini”? Pisi: - Le nostre canzoni vengono composte in un modo molto istintivo, non è che uno si mette e fa la canzone e poi ci mette il testo sopra. Noi entriamo in studio ed iniziamo a suonare e chiaramente ci saranno pezzi che faranno cagà e altri no. E poi costruiamo i testi su quelli buoni. I nomi vengono necessariamente fuori quando il pezzo lo devi identificare; una volta che è finito, dopo lo chiami. “Mangia Bambini”, quando è stata completata, era una canzone talmente violenta e ruvida che suggeriva l’immagine “Mangia Bambini” - . Lanciate un appello a questo disastrato mondo giovanile. - Basta lamentarvi del fatto che non c’è niente da fare la sera, non è vero. A Roma ci sono un SACCO di gruppi che suonano, solo che voi preferite stare a casa a guardare il Grande Fratello!! Dovete uscire da casa ed entrare nei locali a vedere un concerto da paura. Se venite a vedere noi, spero che saremo di vostro gradimento, ma anche se andate a vedere che ne so, gli Inferno, o i Thrang, o tanti altri invece di rincoglionirvi col Grande Fratello, potrete passare una serata diversa senza il rischio di essere risucchiati dalla Marcuzzi e cazzate varie!! - . www.myspace.com/maledettidispo greenager 01
COLLETTIVO ANGELO MAI ORCHESTRA MOBILE DI CANZONI E MUSICISTI di Lorenzo Iervolino
rappresentato da un immaginifico bar underground, dove succede veramente di tutto e nel quale “entrare, può vuol dire non uscirne più”… Pino Marino sposta invece l’attenzione su temi più materialmente noti: la precarietà lavorativa e l’invadenza della televisione nelle nostre coscienze, sono trattati con la poeticità magica e sospesa, che contraddistingue la sua scrittura. “Non ho lavoro”, in particolare, esprime una carica disperata e attuale che sa porsi agli antipodi della rassegnazione, e che, anzi, possiede tanta energia da sospingere una rivolta, sciogliendosi poi in un inciso quasi pittorico, tanto è visivamente d’impatto l’immagine che la voce di Pino Marino sa disegnare. Lo spirito collettivo del progetto è ripreso nella corale Accross the Universe dei Beatles, a tutti gli effetti la firma dell’intero gruppo posta in calce al disco, che nonostante chiuda l’album, sembra lasciare in sospeso un discorso, che a questo punto, vuole, merita e pretende, un altrettanto multiforme ed imprevedibile proseguimento. Volume I viene distribuito in maniera indipendente: girerà l’Italia attraverso i concerti del Collettivo e la vendita postale (www.angelomai.org) Contatti: www.angelomai.org - myspace.com/ilmafio myspace.com/collettivoangelomai
foto di Filippo Silvestris (Imago Ars)
Quella dell’Angelo Mai occupato è una bellissima storia: nata come occupazione abitativa, per dare un tetto agli sfrattati del centro storico e a senza casa, si è da subito trasformata anche in laboratorio culturale che ha offerto la possibilità a molti artisti di esprimersi, di raccontarsi, di provare gli spettacoli gratuitamente o anche solo di incontrarsi. Dal libretto del cd trascrivo queste parole: “per noi dell’Angelo Mai occupato questo disco è un atto d’amore. È la prova tangibile della passione che ci ha unito a molti compagni di viaggio incontrati in due anni di cammino. È il luogo in cui si sono incontrati i sogni e la tenacia di musicisti, teatranti, famiglie senza casa, artisti di ogni dove e persone che di arte non si sono
mai occupate. È la fotografia indelebile della possibilità di far tornare la cultura a palpitare, a unire, a seminare bellezza…” ll Disco. Free jazz, rock, pop - nell’accezione lennoniana del termine -, un componimento pianistico e uno swing; un gruppo di fiati, due batteristi, un violino, un basso, un pianista, molteplici chitarre, una voce femminile e, soprattutto, quattro cantautori. Un incontro di esperienze musicali diverse che sembra trovare un interessante equilibrio sonoro complessivo. Le canzoni, si preoccupano di avere un senso - e non di chi le può acquistare - regalano atmosfere inattese e toccanti, mostrando la capacità compositiva, fertile e fresca degli autori, che si spartiscono equamente - due pezzi per ciascuno - la superficie liscia del cd. Roberto Angelini, Francesco Forni, Massimo Giangrande e il piano di Andrea Pesce, esplorano con intensità e dolcezza il bisogno di vicinanza, la paura dell’abbandono, la salvezza rappresentata dalla condivisione, creando immagini penetranti e delicate, dalle quali ci si lascia cullare - a volte inconsapevolmente - con la percezione fisica di un desiderato viaggio immobile. Tutto questo finché Forni si prende la briga di movimentare le sonorità e i corpi, invitandoli a perdersi in un surreale mondo parallelo,
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FRONTALI di Wu Ming
Militant-A è sulla scena dell’hip hop da quando questa è nata sul finire degli anni ottanta. Alla ribalta con Onda Rossa Posse nel ’91, ha riempito le liriche di veleno contro un certo Bush che invadeva un certo Iraq. Sedici anni sono passati, un mare di tempo che ha lasciato tragicamente immutate tante cose, per fortuna pure la testa di Militant A, che ha continuato poi con gli Assalti Frontali a “fare movimento per il movimento”.
• Gli Assalti Frontali sono in tour con il nuovo progetto musicale “Pas de mic” Rap nella strada 2007
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situazione è diversa, secondo me non c’è una vera e propria scena, i vari gruppi si odiano o al meglio fanno esperienze diverse e disaggregate. Concentriamoci sulle tematiche. Se oltre oceano si è passati da Fight the Power dei Public Enemy a Hustler’s Ambition di 50 Cent da noi si è passati dagli Assalti Frontali a Mondo Marcio. Cosa ha portato a questo cambiamento radicale? Una cosa è il rap, altra è l’industria dell’intrattenimento. Sicuramente ora c’è una cura maniacale della forma, che è sicuramente importante, ma si è perso di vista il conte-
nuto. È cambiato il business, che ora spinge la telecamera a cercare pistole e donne nude perché sa che così il video avrà più passaggi. Gli artisti sono diventati vittime del modello imposto dalla classifica. Anche un tempo c’erano le majors, anche i Public Enemy pubblicavano per una major, ma non c’era una tale omogeneità. Inoltre si è persa la voglia di fare esperienze e raccontarle. Il rap è un grande strumento che può permettere la più ampia diffusione possibile, ma è poco sfruttato, in certi pezzi non ci sento esperienze vere.
Oggi l’hip hop ha più di qualche punto in comune col reggae. Stessi temi, stessi vestiti e stesso stile, che ne pensi? Anche prima avevamo punti in comune. Io ho iniziato col One Love Hi Powa anche se ora ho un po’ perso di vista questo ambiente. Quello che posso notare è che ora quella scena è più unita rispetto a quella del rap. Sicuramente grazie ai centri sociali che continuano ad essere laboratori fondamentali per chi inizia e per chi ha voglia di fare. www.assaltifrontali.it
foto di Stefano Ruffa/Studio Maggi
ASSALTI
Dall’ottantanove spingi sul microfono, con te tanta strada ha fatto anche l’hip hop italiano. Come puoi descrivere la differenza tra vecchia e nuova scuola? Si pensa che ci siano due generazioni ma secondo me ce ne sono almeno quattro o cinque, diverse tra loro. La prima, alla quale appartengo, è quella delle posse che nasce nei centri sociali da rappers che facevano i conti con un approccio di conflitto. Quella scena era sicuramente più unità, sebbene si stendesse per tutta l’Italia, da Milano al Salento passando per Bologna, Roma, Napoli eccetera. Ora la
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moda
A NINA
di A. P.
Sono sempre più numerosi a Roma laboratori (botteghe più che negozi, sartorie artigianali più che atelier griffati) in grado di interpretare il trend globale di oggi, artistico e sperimentale, di un pubblico giovane (ma non solo) che detesta omologarsi e pensa che la perfezione sia noiosa. Perché vestire autoproduzioni per il piacere di portare capi diversi, originali, fatti con amore, sta diventando una pratica sempre più diffusa. A_nina è il marchio di Anna Bonardello, giovane fashion designer di Pinerolo (TO) che sta lanciando una propria linea di stile, più che di abbigliamento: ogni capo è unico e irriproducibile “eh si, la produzione in serie non mi appartiene…”
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Anna, come sei approdata a Roma? Finita l’università avevo due cose che principalmente mi smuovevano: una laurea al DAMS CINEMA e la mia macchina da cucire (perfezionata dopo un corso da modellista); ho fatto due più due e mi sono trasferita a Roma per lavorare come costumista per il cinema. Il punto di forza della tua collezione è un appeal un po’ retrò, ma dal sapore molto esotico e al contempo attuale. Che cosa ti ispira? Lavorando sul set ho imparato ad apprezzare gli anni Cinquanta vestendo attori e attrici che dentro quegli abiti diventano “importanti”
o “irresistibili”, ho controllato tagli di abiti degli anni Quaranta cercando di modernizzarli, adesso sto campionando tessuti per un film tv ambientato nell’800. A questo aggiungo una grande passione per l’Oriente, per i tagli morbidi ed essenziali dei pantaloni thai per esempio, o per le forme dei kimono giapponesi. E poi mi interessa la parte più street della moda, fatta di pantaloni larghi con cavalli bassi e gonne colorate con stoffe elastiche in vita. E ancora coltivo un fondo di gusto per il “tamarro” (come diciamo noi su a Torino), per il trash e il sadomaso. Ecco, più o meno, quando prendo un cartamodello per preparare
una nuova creazione passo in rassegna tutti gli imput visivi e tattili appena descritti. Progetti per il futuro? Quello di proseguire le mie sperimentazioni di pari passo alle esperienze lavorative da assistente costumista. Continuare ad imparare aiutata dal fatto che finalmente mi sono comprata una tagliacuci. Appena avrò finito questo film (il remake di un vecchio sceneggiato degli anni ‘70 sulla baronessa di Carini) mi cimenterò in complicatissimi abiti degli anni Quaranta o magari in quelle forme un pò rigide degli anni Sessanta.
A_nina espone i suoi lavori da Artifizio, in via dei Latini 33/A, a San Lorenzo. Alcuni prodotti A_nina si possono ricevere online, inviando una mail a annabonardello@yahoo.it Per fare un giro sul web, invece: www.myspace. com/nina_nina78 www.fotolog.com/ a_ninaworks
arte sociale
GRA
C
GENUINE ROMAN ART
di Alice Pasquini
he cosa hanno in comune i settanta chilometri d’asfalto che circondano Roma e l’arte grafica? GRA - Genuine Roman Art è un gruppo creativo formato da quattro giovani grafici che prende il nome e il simbolo dal Grande Raccordo Anulare, un cerchio imperfetto fatto di 33 uscite, che unisce le differenze e mette in contatto la capitale senza chiuderla in se stessa. Dal 2005 GRA lavora sodo all’organizzazione di mostre, concorsi ed eventi che offrono occasione di visibilità a numerosi artisti emergenti. Partendo dall’idea che la divisione tra cultura alta e bassa sia ormai superata, il gruppo si è messo in cammino alla ricerca di un’originale dimensione artistica della grafica. Una ricerca che nasce dal confronto e dall’interazione tra gli artisti che nelle esposizioni sono invitati ad interpretare un tema comune componendo ciascuno un lavoro ad hoc. Dalla già sperimentata “tema/colore” fino all’attuale “/rm - La città in mostra”, al concorso “Metamorfosi” e “.PONG”. Grazie al passaparola e ad internet i grafici coinvolti sono moltissimi. “Il nostro intento è individuare un tratto, un nuovo lessico, delle linee comuni che possano identificare uno stile grafico italiano”. Ben presto GRA si è allargato fino a diventare un vero e proprio network di lavoro, una rete in grado di connettere innumerevoli fermenti creativi. “È il nostro tentativo di svegliare la scena artistica di Roma, da tempo in preda ad una sorta di letargo, addormentata nel suo rispecchiarsi nel fontanone, troppo impegnata a dirsi ‘quanto sò bella’ per cogliere le novità che si cominciano ad intravedere sotto la patina da cartolina”. 18
Come è nato GRA? All’inizio eravamo in quattro. Ognuno di noi era un collettivo di dubbi, di pensieri, di linee tenute nel cassetto. Dopo un anno d’esperienze lavorative ci siamo riuniti e ci siamo posti alcune domande sulla nostra professione. Da una domanda di una sera è nato il collettivo GRA. “Esiste uno stile scandinavo. Esiste uno stile brasiliano. Ma esiste uno stile italiano?”. E allora ci siamo inventati una sfida che dia l’opportunità a tutti i grafici di poter usare le proprie capacità e conoscenze non solo all’interno di un’agenzia, non solo al servizio del cliente. Come scegliete i luoghi e le persone da coinvolgere nelle vostre iniziative? Basta leggere l’elenco dei locali dove abbiamo esposto (ristoranti, club, centri sociali, gallerie e spazi polifunzionali) per capire che assolutamente non vogliamo che la grafica sia considerata di nicchia. Quindi anche le persone stesse che vi partecipano vengono tutte da differenti background. La selezione che facciamo avviene non solo dal punto di vista estetico ma dalla progettazione e ricerca della tecnica.
Quali sono i vostri progetti attuali? Prima di tutto c’è /rm, un progetto che coinvolge grafici italiani e non a dare una propria interpretazione di Roma. /rm sposta la nostra ricerca dello stile sulla sua relazione con il territorio. Ogni opera è frutto di visioni e conoscenza di una realtà filtrata da un tratto personale. Poi c’è .PONG che unisce in un gioco la creatività e la competizione al divertimento, ma soprattutto permette un inedito modo di comunicare. Individualità che magari non parlano la stessa lingua, creano la medesima tavola esprimendosi con l’unico mezzo che li accomuna: la grafica. Infine per il secondo anno consecutivo collaboriamo con MArteLive, occupandoci della sezione grafica. In occasione del restyling del logo e dell’immagine che stiamo curando per loro, abbiamo scelto di affrontare il tema della “Metamorfosi”. Per il futuro? Si guarda lontano: presenteremo un nuovo progetto al Design Festa... www.genuineromanart.com www.myspace.com/genuineromanart greenager 01
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Project /rm - La cittĂ in mostra Esposizione di grafica su Roma Sabato 28 Aprile: Rialto Santambrogio Deadline: sabato 15 Aprile Tema: Roma Info: rm@genuineromanart.com
Concorso di grafica MArteLive 2007 Da martedĂŹ 17 Aprile: Alpheus Deadline: selezioni aperte Tema: Metamorfosi Info: martegra@genuineromanart.com
.PONG - Create art by playing togheter Graphic design game gallery Un gioco, due partecipanti. Unico vincitore: la grafica. Info: pong@genuineromanart.com aprile 07
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arte sociale
INTERNATIONAL
POSTER ART 2ÂŞ edizione di Alice Pasquini
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re compagni fidati agiscono nel buio. In silenzio. Con occhio vigile e passo spedito perlustrano l’area, imparando vicoli, strade, possibili vie di scampo.Sono armati! Secchio e scopa. Sotto al braccio i grandi fogli di carta che annunciano la nascita dell’International poster Art: la prima grande rassegna internazionale dedicata all’arte urbana del poster. L’appuntamento è il 3 maggio a ESC, atelier occupato in via dei Reti 15, nel cuore di San Lorenzo. L’inaugurazione durerà due giorni: il 3 maggio l’apertura ufficiale dalle 17:00 all’1:00, il 4 maggio il concerto dei JunglaBeat Acid Orchestra, dalle 19:00 alle 2:00, chiuderà la fase aprile 07
inaugurale. Lucamaleonte, Sten e Lex, ideatori ed organizzatori dell’esposizione sono tre artisti che intervengono sul territorio con stencil, poster e stickers, ma non disdegnano il circuito più formale ed istituzionale delle gallerie per proporsi ad un pubblico diverso dal passante. “L’idea è quella di divulgare il più possibile questo movimento e far si che anche gli occhi più distratti vengano coinvolti dal turbinio di immagini presenti su tutto il tessuto urbano. Vogliamo rendere noto ai più un aspetto della street art poco sviluppato nella città di Roma, unendo artisti da tutto il mondo sotto l’insegna di questo tipo di intervento”. Per la passata edizione (Maggio 2006) le adesioni sono state moltissime e l’esposizione è stata
accolta con calore sia dal pubblico romano, che ha partecipato con interesse, sia dal circuito della street art internazionale.
Centinaia i poster inviati da tutto il mondo, realizzati attraverso tecniche diverse, dallo stencil, alla pittura a mano libera, dalla stampa alla serigrafia. “Una volta raccolto il materiale i poster verranno attaccati direttamente al muro, riproponendo così un possibile scenario urbano, contaminato e vivo”. La prima edizione ha visto partecipare circa 70 street artists tra cui: Abbominevole, Microbo, Bo130 (Italia), JR, Freemantle, Mezzoforte (Francia), Alejan-
dra Cestac (Brasile) Krisis (Scozia), N4T4, Enntia (Inghilterra), Posterchild (Corea del Sud), Mute (Grecia), Feral (U.S.A.), Ghostpatrol, Miso (Australia), Ephameron (Belgio). “La nostra unione crea una rete attiva e stimolante, che va al di la dell’international poster art stessa, grazie anche ad internet, che permette agli street artist di essere presenti in luoghi difficilmente raggiungibili perché distanti”. Gli artisti sono stati invitati a partecipare tramite il portale di steet art (www.woostercollective.com). “Quest’anno saranno circa lo stesso numero dell’anno scorso, e proprio come la passata edizione, rappresenteranno tutte le realtà della street art internazionale, dagli Stati Uniti all’Australia, dai paesi dell’est all’Africa del Sud, e tutta l’Europa”. La street art è oggi una pratica molto diffusa, un fenomeno esploso nell’ultimo
decennio dalle macerie del graffitismo. “Basta visitare il portale Wooster Collective per rendersi conto del numero crescente di opere che strade di tutto il mondo ospitano. Il poster è uno dei media principali attraverso cui la street art si esprime. Il “poster” è al centro della nostra esposizione.”
• Atelier occupato ESC via dei Reti 15, San Lorenzo tel. 0697612244 esc.art@escatelier.net Orario: dal mercoledì al venerdì dalle 19 - 24 dal 3 maggio al 3 luglio
internationalposterart@ yahoo.it
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comix
di David Migliorelli
di Liska - Fumetti Dissociati
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sociale
rubrica
77 FM foto di Jaques Fargion
di Massimo Pasquini
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E
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ra ‘Correvano coi carri’ di Giovanna Marini. Compagni, la domanda di oggi, per la rubrica chissenefrega, è: perché quel naziqualunquista di Lucio Battisti è sparito dalla circolazione? Per ‘Amarsi un po’ o per ‘sì, viaggiare’? Nel dubbio, ci colleghiamo col CDNA – Centro Diffusione Notizie Arbitrarie. “Grazie, è accertato che il Battisti in questione non ha partecipato a un raduno di Ordine Nuovo, è stato visto invece dalle parti di Lugano, Svizzera, dove anche Mina ha depositato i miliardoni a parte il fatto che mi stanno finendo i gettoni, vi informo che il governo ha messo in atto una losca manovra per impedirci di riprenderci la vita. Sta per essere varata la Legge 285, quella che ci spedirà tutti a lavorare nello Stato, per omologarci ai rincoglioniti che già ci lavorano. Un piano delirante. Si propone l’ultima canna da onesti disoccupati visionari...”
fonte Il Male
ra “Carabigniere blues” degli Skiantos. C’è Gianluca al telefono. Sei in onda. “A me tutto ‘sto parlarsi addosso mi sta sulle palle. Apri Lotta Continua e non fai altro che leggere compagni in crisi di autocoscienza perché filano la stessa donna e compagne che ripetono che iosonomiaemiautogestisco. E dai! E basta: ‘disperazione è bello’, ‘nuclei sconvolti clandestini’. E via demenziando. Cioè, qui c’è un mezzo colpo di stato, due ministri in galera, compagni ammazzati, le leggi speciali e ci tocca sentire per radio ‘Mi piaccion le sbarbine?’ Di quello schizzato di Freak Antoni...”
E
ra Joe Ramone. Che non sa suonare una ceppa ma sta dando la possibilità di esprimersi a un sacco di gente alienata e desiderante. Il mondo si sta popolando di esseri alieni. Da quale guscio cosmico sono usciti fuori i vari Jimmy Carter e Bettino Craxi? Di Asor Rosa lo sappiamo: è nato da un palindromo. Comunque, della serie ‘I have a dream’, ascoltiamo Piccola Alce da piazza Vittorio. ‘Ho spaccato il vetro e zottato l’autoradio, ho preso calci il pulotto e gli ho fatto un’eutanasia di ero al cane lupo. M’hanno portato in aula. Giudici: un’infermiera, un operaio, uno studente, una contadina. ‘Compagna, dicci dove abbiamo sbagliato’...”
E
ra un pezzo dell’ultimo intervento di Deleuze. Poi apriamo la discussione qui su 77 FM. Ma prima, dal nostro inviato nella cabina del Pantheon, il collegamento telefonico con le tribù dei Prati e dei Monti. Aquila Spolpata, che state combinando? “Beh, è stata sotterrata l’ascia di guerra e decine di compagne e compagni giocano a ‘puzzico creativo’ sull’elefante della Minerva”. Come è andato il corteo? “Guarda, metà del corteo era indiano, metà della metà con i colori di guerra e metà della metà col calumet della pace, ma le compagne stavano dappertutto, represse dai maschietti repressi che giocano a fare i militari ...”
E
ra ‘Born to Run’. Curioso che è appena morto Elvis Presley e i Sex Pistols hanno annunciato la fine del rock e su Rolling Stone hanno annunciato che il futuro del rock’n’roll è Bruce Springsteen. In ogni caso, oggi qui da noi hanno fatto scappare quel boia nazista di Kappler dal Celio; chi lo avvista gli può riservare un trattamento di rieducazione alle Fosse Ardeatine. Intanto, è stato beccato un guardiano di latrine di San Lorenzo che spiava i maschietti dalle fessure. Per i risvolti psicologici della vicenda, ci colleghiamo col nostro esperto in latrine, Vermilinguo delle Praterie dell’Est...” continua...
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posta foto di Jaques Fargion
L’OMICIDIO DEL SECOLO di Laura Campopiano
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o imparato a diffidare di chi utilizza, o peggio abusa, del termine “naturalmente”. Non posso, mio malgrado, definirmi una ambientalista attiva, a meno che non mi valga come lode il disperato cocciuto tentativo di venire a capo del riciclaggio casalingo, ma non è certo un’avversione alla Natura che ha innescato in me questa profonda ostilità, tutt’altro. Per non cadere io stessa nella trappola che sto cercando di segnalare, arrivo già al punto, senza indugiare oltre. Cosa è naturale? Soprattutto chi può arrogarsi il diritto di definire una qualsiasi cosa, azione, sensazione, persona, ragionamento come tale? “Naturalmente si” “Naturalmente no” “É naturale che…”. Sarebbe interessante andare a rovistare nella storia semantica dell’avverbio “naturalmente” per capire quando e come ha assunto la connotazione 26
di giudizio che oggi porta in sé; seguirne il percorso che passa, solo nel secolo scorso, dalla giustificazione nazista della naturale selezione etnica alle etichette “bio” che colorano di verde interi scaffali ipnotizzandoci, ammiccando ad un’ovvia superiorità qualitativa. Forse si dovrebbe indagare sul suo contrario, innaturale o piuttosto artificiale, per comprendere le ragioni sociali di un fenomeno così ampio, paurosamente globale. Ho imparato a diffidare di chi utilizza il termine “naturalmente” per moltiplicare la forza di un’affermazione, rendere inopinabile il proprio punto di vista, oggettivare una parzialità, obbligare ad una posizione di artificio, sempre sgradevole, qualsiasi tentativo di messa in discussione. É davvero paradossale che la nostra società, quella cosiddetta moderna, abbia reso universale la “naturalità” ammazzando la naturalezza
(pare si tratti di avvelenamento). Noi che distruggiamo metodicamente l’ambiente, ovvero Madre Natura, siamo tutti profeti, nel nostro piccolo mondo quotidiano, pronti a distinguere ciò che è naturale da ciò che non lo è, giudicando insindacabilmente. Ciascuno asservito sempre più ad un’omologazione universale che banalizza l’ovvio, naturalmente, e consuma il senso. I ritmi e le priorità di cui il vivere sociale si dota, e che allo stesso tempo alimenta, diventano l’unica alternativa, e dunque smettono di essere un’alternativa, naturalmente. Ci siamo assuefatti ad un’ineluttabilità degli eventi, delle scelte, dei percorsi singoli e collettivi, al suono di slogan e spot pubblicitari che dal commercio dei beni sono transumati al commercio unidirezionale del bene. Tutto diventa naturale perché inevitabile, perché evidente, indiscutibile, mentre svanisce la naturalezza dell’uomo e del suo vivere nella Natura. Ho imparato a diffidare di chi utilizza il termine “naturalmente” e per questo divorerò il primo numero di Greenager, perché la cultura, l’identità, il modo di vivere, il linguaggio, l’economia intera sono naturalmente piene di contraddizioni che varrebbe la pena indagare, per comprendere e denunciare l’omicidio del secolo. Un reato per il quale è già stata emessa sentenza perché alla pena di morte ci siamo già condannati da soli. Tuttavia, l’istinto di sopravvivenza è nella natura umana (fra le prime vittime dell’avvelenamento) e, a sentenza emessa, c’è chi non si arrende all’inevitabile distruzione e cerca un buon avvocato nella speranza della grazia di una riabilitazione, lavori forzati di ricostruzione.
h. 00.25 da Andrea
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ggi non mi sono svegliato. Oggi sono rimasto a dormire tutto il giorno. Mi sono alzato dal letto si, mi sono vestito come al solito, ma non mi sono svegliato; e sono stato benissimo. È difficile a spiegare. Per la prima volta annullato in questa nostra strana società. Mentre dormivo però, col cervello spento: fin dal mattino camminando per strada non ho fatto caso all’aria pesante della mia cara metropoli, un misto di gasolio benzina metano tombini inceneritori, mischiato e dritto nei polmoni; anzi il naso mi pizzicava di buono. E alzando gli occhi da lavatrici e copertoni ho trovato perfino affascinante il diciottesimo palazzo a quindici piani abusivo condonato in costruzione
deturpare il prato dove porto il cane, il mio bel cane “Black”. A casa poi, tornato dalla ricognizione mattutina, l’approccio con la televisione mi è parso buono: quelle cazzate che tutto il giorno girano tra i canali erano sostenibili, addirittura guardando “Studio Aperto” mi sono fatto pure due risate, tra lapi veline costanzi amici fratelli e gabibbi. Mi è sembrata una vita facile, cibo precotto da mettere in padella, ma un po’ triste. Per fortuna dopo il sonnellino spagnolo, dalle dieci a mezzanotte, mi si è di nuovo riempita la coscienza e diciamo che i funzionamenti fisici e mentali si sono stabilizzati su livelli accettabili di reazione. Faccio il caffe. h. 00.25. - Il fatto è che non esiste una scena – ripenso a uno strano incontro di ieri a trastevere – tutti si muovono, tutti fanno qualcosa, ma lo sforzo non porta a un cazzo, ci parliamo
LA NOSTRA INVIATA
da Annina Salerno
Qui a Baghdad la pace regna sovrana. É il posto ideale per chi vuole rilassarsi un pò anche se i divertimenti non mancano: ogni giorno c’è qualcosa da festeggiare, parate e sfilate di carri... se non fosse per quelle continue esplosioni… sembra che si nutra la profonda convinzione che ogni giorno sia l’ultimo... dell’anno. In questo contesto spettacolare è impossibile non pensare a voi Greenager.
addosso – strappando la cartina il ‘fratello’. – Guarda questi – indicando una locandina della destra giovanile – questi sono dei cazzoni che non capiscono una sega, ma sono compatti, tutti uniti. Loro hanno una scena -. E io pensavo: questo è un fattone. Tossisce. La passa. – Ognuno si fa i cazzi suoi. Chi fa teatro si esibisce nel taetro a un pubblico che fa teatro. Chi scrive sui muri frequenta solo contesti di chi scrive sui muri. Chi fa radio si becca a conferenze e rappresentazioni con chi fa radio. E a loro poi sembra di avere fatto un grande sforzo e un grande risultato. Coglioni. Siamo solo dei poveri coglioni. Mentre ci guardiamo in faccia e ci incazziamo per cose pretestuose il posto dove viviamo se lo sta mangiando il signor cemento, la testa ce la mangiano i media, i polmoni ce li bruciano le polveri sottili, che per me neanche esistono, e la cosa migliore da fare la sera è la solita cannetta. Questo si può fare. Una dopo l’ altra dopo l’ altra ti dimentichi pure perché eri incazzato. Infatti poi, ma io ero incazzato? Mi pare un po’ 1984 di Orwell. Il problema è che qua pure i prolet stanno dalla parte sbagliata -. Cazzo, ma chi ho beccato ieri? Mi ricordo un pò per volta. Colpa dell’alcool? Si, evidentemente. Insomma, tipo strano, ma non ha mica tutti i torti. La scena, manca la scena. Si parte insieme, propositi progetti idee, ma poi si diverge e ci si disperde. Bisogna puntare un centro e convergere invece. Riempire un sacco, no tirarsi dietro la schiena la poca roba che c’è dentro. Ma ci vuole impegno. Io intanto strappo la cartina, accendo, tossisco. festina.lente@hotmail.it
10 MODI PER AFFRONTARE
IL “CLIMATE WARMING” 1 Mettere a palla il condizionatore del suv 2 Tenere aperto il frigo 3 Sostituire i mammiferi coi rettili 4 Indire una gara per la più grande granita del mondo 5 Non accendere il camino 6 Aumentare la dose di anidride carbonica nella Coca Cola 7 Evitare il più possibile di sudare 8 Allargare l’orbita della Terra intorno al Sole 9 Accendere il condizionatore di casa con le finestre aperte 10 Comprarsi tutti una ghiacciaia e tirare i cubetti dal balcone
Credono in noi: