Greenager Magazine

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N.03 mensile free press


Greenager N.03 Mensile Free Press Foto in copertina di Gianni Dominici

Direttore responsabile Massimo Pasquini

Redazione Simone Pellegrini Fernando De Maria

Direzione artistica Alice Pasquini

Progetto grafico e impaginazione Ginevra Virgili

Foto/illustrazioni

Giorgio Palmera / Fotografi Senza Frontiere Lucamaleonte / Carol Carducci Alepop Claudio Evangelista Diamond

Fumetti Ho Che Anderson Paolo Cossi Hanno collaborato

Pantaleo Carannante Serena Galosi Silvia Corteggiani Roberto Risica Beatrice Leucadito Valerio Landi Cristiano Cappi Gino Bianchi Gianluca Diana Adriano Padua Paolo Panella Lorenzo Iervolino L.B Grazie a Marco Acciari

Registrazione al Tribunale di Roma n. 70/2007 del 2 marzo 2007

Organo ufficiale: Greenager – onlus Via Euripide 40 – 00125 Roma

Chiuso in redazione il 14 giugno 2007 www.greenager.it L’Associazione Culturale “Greenager onlus”, in conformità ai principi costituzionali, garantisce ai propri collaboratori la più ampia libertà di pensiero, tuttavia non si ritiene responsabile per le opinioni espresse da essi all’interno del magazine.


index AMBIENTE CULTURA SPORT SOCIALE

6 Masaniello e la munnizza 8 Abusivismo di potere 10 Carbone pulito 11 M.I.R.A. 12 LAV 14 Check it out: kitesurf 15 Clownterapia /Ai confini di un sorriso 16 Inferno - Fotografi senza frontiere

MUSICA

18 Mojo Station Blues Festival 19 Cd del mese: Antibalas 20 Qbeta 21 Sporco Impossibile / Box84

RUBRICA 26 Living on the edge 27 Quindicianni oggi e ventanni fa 29 Modello svitabile POSTA 30 Mail

www.greenager.it

Lucamaleonte fotografato da Carol

ARTE 22 Agitpop 24 Martin Luther King 25 La storia di Mara



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“Ve lo avevo detto che stavo male” F.C.

28 MAGGIO

n vento freddo e inatteso spettina gli alberi, mentre la notte è una strada silenziosa. Nando dorme già da ore sul mio letto e non lo sveglia neanche la finestra che sbatte. Oggi abbiamo pianto tutti e alcuni hanno conosciuto la vita stamattina. Fabrizio ci ha mostrato la sua, così come gli veniva, ridendo, cazzarando e snobbando piccoli e grandi diavoli che si portava dentro. C’è un’equazione assurda che ci toglie il fiato, più abbiamo amato e vissuto intensamente una persona, più è profondo il dolore della sua perdita. E l’assenza di Fabrizio è devastante, irrisolvibile, ma che bello essere stati sul suo cammino! Chi, in grande o in piccolo, avrebbe potuto farne a meno? Chi aspetterà una malattia per capire il funzionamento della vita? E, del resto, cosa bisogna aspettare, per amare la gioia? Per amare l‘amicizia e per amare il mare? Le priorità cambiano nel mio sangue con la stesa facilità di un respiro. Vivere a volte riesce senza sforzo, al punto che ci si ritrova come niente annoiati e immersi nell’inutile. E invece VIVERE, VIVERE è ritrovarsi insieme aggrappati tutti all’energia della stessa risata. Tutti tanti come quelli che oggi brindavano commossi. Come quelli che lasciano sul sito le loro parole di rabbia e gratitudine; tanti come quelli che verranno e che del sole di Fabrizio conosceranno solo quello che noi ci porteremo addosso e questi tutti e questi tanti vedranno che ogni cazzo di cosa SARÁ ILLUMINATA!


ambiente

MASANIELLO E LA MUNNIZZA

sociale

arte

di Pantaleo Carannante

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27.02.duemilasette Leggo in vari blog che Bertolaso vuole una discarica a Serre mentre Pecoraro Scanio la vuole ad Eboli. 25.04.duemilasette Leggo dal sito di un quotidiano locale del napoletano. “Il commissario per l’emergenza rifiuti in Campania, Guido Bertolaso si è recato stamattina alle 11,30 sulla discarica di Cava Riconta per un sopralluogo (...)Un rapido giro sull’orlo della cava, che ha ormai raggiunto e superato il livello di quota, per constatare la grande quantità di percolato presente in un angolo della discarica. È stata lanciata una pietra ed il commissario per l’emergenza rifiuti ha potuto constatare con i propri occhi che quello che sembra uno strato di terra, non è altro che un lago di materiale refluo”. Ci sono pure le foto di lui in giugno 07

polo e occhiali da sole che “constata”. Ci sono voluti solo pochi minuti, specifica il giornalista, viene lanciata una pietra, e il ccoommmmiissssaarriioo capisce al volo, che la discarica fa schifo, c’è troppo percolato, va chiusa. 12.05.duemilasette Scontri a Serre tra polizia e cittadini che non vogliono la discarica in località Valle della Masseria. Ordine pubblico. Il presidio resiste.

Vietata la manifestazione del 19 promossa dalla Rete Rifiuti Zero e da vari comitati locali perchè contemporaneamente c’è il rave annuale dei Bersaglieri (il corteo si farà e partira alle 15 dalla stazione a piazza Garibaldi, appena scesi dal treno) 15.05.duemilasette

Sopralluogo alla discarica di Macchia Soprana (che doveva essere chiusa, invece con qualche lavoro, con qualche ricalcolo della capacità, con qualche mossetta in qualche palazzo romano, pare che possa accogliere tutta ‘a munnizza che attualmente giace nelle strade di mezza Campania. Che la gente ha iniziato a dare fuoco ai mucchi di merda. Già lo faceva, ma prima fuori dall’abitato, vicino all’autostrada). 16.05.duemilasette Leggo in vari blog che Bertolaso non la vuole la discarica a Macchia Soprana, che lui la vuole a Valle della Masseria, dove il governo aveva detto. Poi leggo che Pecorario Scanio ha detto di aver subito la decisione in Consiglio dei Ministri (chi ha deciso su una discarica: Parisi?) che per lui ora è meglio a Macchia Soprana dove la gente si incazzerebbe meno, ma avrebbe notato una certa rigidità della Protezione Civile. 18.05.duemilasette Sento alla radio che la manifestazione del 19 è stata infine autorizzata, con la promessa di non disturbare

i Bersaglieri (questa cosa delle manifestazioni parallele mi ricorda il 2 giugno duemilacinque, quando in contemporanea ad una bastonatissima manifestazione di poche centinaia di persone aveva luogo la prima parata militare col re sole Bertinotti tra le autorità, che indossava sprezzante e coraggioso come un Camilo Cienfuegos de noantri, la spilletta della bandiera multicromatica pacifista). 19.05.duemilasette Apre in onore del poker Bertolaso, Catenacci, Bassolino, Rastrelli il corteo a Napoli, cinquemila persone. Come direbbe un intellettuale di peso di mia conoscenza, facciamo il punto. Le istituzioni centrali continuano a proporci discariche e inceneritori, le istituzionioni locali cavalcano i mo-

vimenti e sindaci dai nomi improbabili si pongono a baluardi dell’ambientalismo. Le terre stuprate dall’industrializzazione inutile, fatta di appaltacci, che dà lavoro solo a chi vota bene mentre uccide i fiumi, diventano piano piano la discarica d’Italia. Iterroncittadiniparanapoletani si dividono in: chi si arricchisce distruggendo la propria terra in barba alla loro discendenza (ma i malviventi non erano quei saggi lungimiranti alla Don Vito Corleone); chi lotta per sotrarre pezzi di terra alle logiche surreli dei nostri tempi; chi non si schiera subisce e fa subire, abbrucia ‘a munnizza e si lamenta di tutto ma poi basta che ce sta ‘o mare. Ecco io avrei un consiglio per ognuno di questi soggetti. I malavitosi dovrebbero vendere a più caro prezzo il futuro della loro terra, dei loro figli... tangenti di decine di migliaia di euro...? Ma siamo matti, almeno uno zero in più, cavolo. Con l’inflazione che galoppa, il valore immobilia-

re che cala, la benzina che costa come l’oro bisognerebbe mirare più in alto. Chi lotta dovrebbe regalarci un pò di spettacolo: qualche scontro serio, un ferito in più, un morto, un morticello. Basta con gli studi, le alternative, i noiosi dibattiti e le avveneristiche proposte. Rifiuti zero! ma andiamo, siate seri. Fatevi vedere su Lucignolo che fate messe nere nei cassonetti e poi ne riparliamo. La gente comune invece dovebbe organizzarsi. Nettezza urbana autogestita dint ‘o ‘vvico: riuso delle buatte per metterci il sugo, compostiere dell’isolato e orti pensili sui tetti dei palazzi, bottiglie di plasica agli artisti e vernissage pubblici, cooperative di acquisto e politiche della ricarica per detersivi, latte e bevande varie. I napoletani non ci mettono niente a tirare su una repubblica autonoma fondata sulla gestione dei rifiuti, fantasia al potere. Surreale è continuare a sopportare l’eterna emergenza autorigenerante, fatta di longevi pagliacci senza vergogna.


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ABUSIVISMO S

DI POTERE

di Roberto Risica

i avvicina ormai il caldo estivo e alcuni di voi staranno già assaporando l’idea di una vacanza al mare. Per i fortunati che non godranno del mezzo metro quadrato di Ostia e che possono permettersi una villeggiatura più rilassante, consigliamo Porto Azzurro, sull’Isola d’Elba. Per coloro che amano spiagge bianchissime e mare cristallino, Porto Azzurro rappresenta una meta perfetta. Il posto ideale per costruirsi una villa. Meglio. Il posto ideale per prendere un piccolo e vecchio rustico e trasformarlo in una villa. Ma siete arrivati tardi, ci hanno già pensato l’on. Andrea Rigoni e famiglia (sorella, madre e direttore lavori) che tra il ‘97 e il 2000 con una “serie di illeciti edilizi” hanno realizzato: un seminterrato di otto vani con pavimento in cotto (spacciato per un garage!), due nuove aperture, un muretto ed una nuova terrazza anch’essa pavimentata. Chi andasse all’Isola d’Elba potrà controllare da sé. Infatti, anche se nel 2003 il Tribunale di Livorno li ha condannati a 8 mesi di reclusione, a 24 mila euro di ammenda, ma soprattutto a demolire le opere edilizie abusive e a ripristinare lo stato originario dei luoghi a loro spese (anche perché la zona è protetta ed inserita nel Parco Nazionale dell’Arcipelago), nulla è stato fatto, in attesa della sentenza d’appello. Nel 2006 Rigoni è stato eletto alla Camera, nella Margherita. Alleato con i Verdi.

Io l’ho visto spesso a Porta a Porta, criticare le strategie del Governo Berlusconi in materia d’economia o discutere animatamente con Tremonti sui modi per rimpinguare le casse dello Stato. Tra i modi contestati, c’è anche il condono. Bruno Vespa, però, si dimentica sempre di chiedere all’on. Visco come mai allora, proprio lui, abbia chiesto di accedervi. Vincenzo Visco, infatti, autorevole membro Ds, nei primi anni ‘90 compra una casa con magazzino abusivo, a Pantelleria, vista mare. Successivamente, la ristruttura ma non prende bene le misure e la allarga un po’. Ma per fortuna, il governo Berlusconi vara puntuale un condono edilizio e il buon Visco non perde l’occasione. Purtroppo per lui, però, l’area risulta inserita in una zona dove, in base alla legge regionale, non si può spostare neanche un mattone; e soprattutto, il Comune di Pantelleria ritiene che i lavori siano proseguiti anche oltre il termine ultimo e fa una denuncia alla Pretura di Marsala. Si apre il processo, le accuse sono molte, ma Visco è un uomo fortunato e molte di esse decadono quando la Commissione edilizia del Municipio di Pantelleria concede una parziale sanatoria, in deroga alla legge regionale. Il processo, dimezzato, comunque continua. Il Sindaco di Pantelleria ha la sagace intuizione di non costituirsi parte civile.

di Roberto Risica

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Nel ‘99, il Pretore scrive che Visco: 1. Ha trasformato una cisterna ed un ripostiglio in due stanze abitabili da 28 metri quadrati. Ma l’illecito è stato condonato e anche se c’è il sospetto che Visco non avesse diritto ad accedere al condono Berulsconi, manca la certezza del contrario. Assolto. 2. Ha ampliato, nel ‘94, una stanza di 3 mq. Anche qui, Visco aveva provato a chiedere una sanatoria, ma senza successo. Condannato. 3. Ha ricavato, da atterrazzamenti già esistenti, due cisterne per altri 50 metri quadrati. Ma il pretore dice che non c’è stata rilevante alterazione dello stato dei luoghi dal punto di vista paesaggistico. Assolto. 4. Ha realizzato una nuova costruzione (scoperta in un sopralluogo nel ‘97) per il ricovero di bombole e gruppo elettrogeno. Ma il manufatto risulta più grande di quanto necessario e quindi serve una concessione. Che non c’è. Condannato. Visco ricorre in appello e viene condannato ancora. In contumacia. Ma la Corte fa una distinzione di reati. E conclude che poiché gli abusi edilizi del ‘94 e del ‘97 sono distanti nel tempo, di differente natura e hanno finalità diverse, non sono il frutto di un unico disegno criminoso. Perciò, scorporando i due reati, si scopre che quello del ‘94 è

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opportunamente caduto in prescrizione. Sopravvive strenuamente quello del ‘97. Per il quale Visco è condannato definitivamente, e finalmente direi, a 10 giorni di arresto e 20 milioni di lire di ammenda. Oggi, Viceministro dell’Economia, siede nel governo. O sulla sdraio, a Pantelleria. Ma il condono è super partes e trova ammiratori sia a sinistra che a destra. Andiamo con ordine. L’on. Domenico Nania, il politico canuto che di ribelle non ha solo il ciuffo ma anche i pugni considerata la condanna a 7 mesi di reclusione per lesioni personali, compra nel 1997 un vetusto fabbricato rurale con ampio terreno intorno a Barcellona Pozzo di Gotto (Me). Con un progetto dell’ingegnere Genovese presenta una richiesta al Comune per ristrutturarlo, ma la richiesta è respinta. Allora, che si fa? Beh, invece che cambiare la richiesta, cambiano il Comune. E nel 2001, viene eletto sindaco Candeloro Nania, cugino del senatore, che si affretta a nominare assessore all’urbanistica, guarda caso, proprio l’ingegner Genovese. A questo punto, Nania non perde tempo: presenta una nuova richiesta? No, la ritira e inizia i lavori. Costruisce un paio di tettoie, un gazebo, un magazzino-lavanderia, una piscina e una palestra semicoperta. Non solo. Su un terreno confinante, comincia ad edificare anche l’ingegnerneoassessore

Genovese. La questione però è troppo clamorosa e finisce sulla scrivania della Procura e nel 2004, prima che sia pubblicato un articolo sull’Unità, Nania fa in tempo a presentare una richiesta di sanatoria al Comune, un anno dopo la fine dei lavori. Ma la presenta male: manca il progetto. Dopo le opportune integrazioni, la richiesta, firmata ovviamente da un collega di studio dell’ingengerneoassessore Genovese, viene accolta. La Procura tuttavia ritiene che alcune opere non siano sanabili. Così dal Comune viene emessa un’ordinanza di demolizione per i manufatti abusivi di Nania. Il bello è che di ordinanza di demolizione ne viene messa anche un’altra: per una parte della villa proprio dell’ingengerneoassessore Genovese. Che coppia! Nania ricorre al Tar chiedendo una sospensiva. Lo fa attraverso

il suo legale, che però è anche il legale del Comune. In sintesi, l’avvocato del Comune chiede al Tar di sospendere un’ordinanza emessa dallo stesso Comune, che lo paga. Ancora dubbi sulla necessità di una legge che regoli il conflitto d’interessi? Inizia finalmente il processo dove il Comune non si presenta parte civile. Nel 2005 Nania viene condannato a 90 giorni di reclusione, a 15 mila euro di ammenda ed alla demolizione delle parti abusive della sua villa. É in corso l’appello e Nania è riuscito a diventare Presidente dei senatori An. Forse aveva ragione Al Capone quando, a chi lo accusava di essere un uomo senza scrupoli, rispondeva serafico: “Io sono un delinquente onesto. Non ho mai fatto politica.”


CARBONE

PULITO? di Serena Galosi

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’alto Lazio è in fermento. A fine marzo è iniziato a Tarquinia uno sciopero della fame collettivo portato avanti da cittadini/e che da più di un anno si stanno battendo contro la riconversione a carbone della centrale elettrica di Torre Valdaliga Nord di Civitavecchia. Questa forma di protesta estrema, oltre a dare continuità alle contestazioni di un anno fa che hanno visto gruppi di cittadini incatenarsi sull’Aurelia bloccando il traffico all’altezza di Tarquinia e occupare i binari della ferrovia , vuole richiamare l’attenzione del Ministero della Sanità in quanto da studi scientifici risulta che l’utilizzo del carbone, considerato uno dei combustibili fossili più inquinanti, emettendo le polveri PM 10 procura irrimediabili danni alla salute quali cancro polmonare, infarto cardiaco, polmoniti, leucemie, ictus. L’ENEL parla di ‘carbone pulito’; così pulito che in seguito alla combustione emette quantità di ossido di carbonio, anidride solforosa e carbonica, idrocarburi volatili, mercurio, arsenico e alluminio responsabili dell’inquinamento atmosferico e delle falde acquifere. Così pulito che i terreni agricoli presenti nel raggio di 30 km dalla centrale dovranno essere convertiti al ‘no food’, al non commestibile, come già avvenuto nella Valle del Sacco. 8

Per questo gli scioperanti pretendono anche l’intervento dei Ministeri delle Attività Produttive e dell’Agricoltura che tenendo conto dell’impatto ambientale dovrebbero agire concretamente bloccando i già avviati lavori di riconversione. Inoltre, trasportate da alcuni venti le polveri sottili, non filtrabili, viaggiano a una velocità tale da raggiungere distanze di 300 km in 12 ore. Senza parlare del problema riguardante lo smaltimento delle scorie tossiche. Negli ultimi mesi si sono succeduti numerosi tavoli di concertazione dai quali non è emersa alcuna volontà istituzionale di modificare il progetto di riconversione. Intanto il Movimento No Coke Alto Lazio si ramifica: da molti giorni oltre a Tarquinia, anche a Civitavecchia, Allumiere, S. Marinella, Ladispoli e Cerveteri cittadini e amministratori comunali hanno iniziato scioperi della fame, hanno istallato presidi permanenti nelle piazze per sensibilizzare la cittadinanza e rompere il silenzio . Sono state occupate pacificamente le aule consiliari di Tarquinia, Civitavecchia, Cerveteri, della Provincia di Viterbo e dell’XI Municipio di Roma. Il Movimento che auspica un piano energetico nazionale all’insegna di fonti alternative rinnovabili, è determinato a contrastare la formula ‘carbone pulito’ che naturalmente è un ossimoro, a sconfiggere la rassegnazione di molti che lascia indisturbata la controparte e soprattutto ad essere parte attiva nell’impedire il grave errore della riconversione. Per ulteriori informazioni visitare il blog www.nocoketarquinia.splinder.com greenager 03


M.I.R.A. di Silvia Corteggiani

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razie ad Architettura Senza Frontiere che, nell’ambito del programma Gioventù dell’Unione Europea, organizza il progetto “Storie di migranti ed accoglienza” nel novembre 2006 a Roma, venti ragazzi provenienti da Barcellona, Bruxelles, Porto e Roma si trovano catapultati in una riflessione sul tema della migrazione. Sulla base di poche linee guida, nel giro di un paio di settimane questi ragazzi studiano e ragionano sulla realtà dei rifugiati nei centri di accoglienza in Europa, sulle politiche di inclusione sociale, che nelle leggi si direbbero più di esclusione e xenofobia, sul modo in cui la città viene vissuta da chi non fa mero turismo ma cerca di creare uno spazio di comunità. Pian piano si crea un clima denso e deciso. Non accettano termini come “immigrato” o “emigrante” perché la terra non è mia o tua e chiunque ha diritto a migrare, semplicemente migrare, come è accaduto per secoli, senza barriere o privilegi. Non accettano l’idea del centro di accoglienza

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come strumento di segregazione, vogliono che siano le città stesse ad essere accoglienti. Vogliono abolire il razzismo creando un modello di interculturalità, non la superficiale multiculturalità a cui siamo abituati. Ammettono i preconcetti come primo passo verso la conoscenza, ma non vogliono che si trasformino in opinioni errate solo per mancanza di consapevolezza. Vogliono cambiare la mentalità collettiva partendo dalla costruzione dell’individuo, perché ritengono che questa sia l’unica via per ottenere politiche efficaci, mentre rigettano quelle attuali - espressione di un’ideologia dell’esclusione - come un corpo umano rigetterebbe organi di cartone, perché il concetto di comunità e quello di esclusione non possono essere compatibili.

Su queste basi nasce M.I.R.A. (Migration Interface for Reflection and Activism). Migration: l’ideologia che rappresenta una nuova mentalità, presentata nel Manifesto. Interface: una piattaforma che supporti e connetta differenti individui, progetti, organizzazioni, idee…….costruendo ponti tra di loro. Reflection: il processo della consapevolezza individuale comincia costruendo la coscienza individuale. Activism: essere attivi con risposte efficaci a differenti problemi e situazioni, denunciando, contestando e ridefinendo. M.I.R.A. opera raccogliendo informazioni da tutto il mondo e offrendo spunti di riflessione affinché cresca la

consapevolezza. La sua strategia è quella di esprimersi sempre attraverso iniziative concrete. Infatti già a febbraio realizza un primo prodotto, il cd Unidade Nyabinghi 500 ANOS, di Ras Gustavo, i cui testi raccontano di schiavismo e reclamano la necessità di prendere coscienza. Poco dopo arriva il concorso di idee “Hosting City_Porto” www. mi-ra.in/hostingcity (è possibile partecipare fino al 7 luglio 2007) che promuove una riflessione sulla città, in questo caso Porto, rappresentata attraverso quattro luoghi, che mostrano problemi di inclusione nel territorio fisico e sociale, associati ai temi della migrazione. Coloro che danno vita a M.I.R.A. si rendono conto che queste conclusioni sono obiettivi a lunghissimo termine, o addirittura senza possibilità di completa realizzazione, ma con estrema lucidità si trovano spesso a ripetere che l’utopia non va scansata ma deve essere uno strumento, il mezzo per continuare a camminare nella direzione del progresso. Join MIRA… www.mi-ra.in

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LAV di Beatrice Leucadito

Incontriamo Roberta Bartocci, responsabile LAV per la vivisezione.

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uali sono ad oggi i fronti aperti in cui deve battersi una associazione animalista? Nel caso della LAV sono molti e molto eterogenei. Si va da combattere situazione di piena illegalità anche col supporto delle forze dell’ordine, come nel caso dei combattimenti clandestini tra cani, zoomafia, maltrattamenti efferati verso gli animali, a situazioni in cui si deve divulgare un punto di vista non antropocentrico, cioè di chi riconosce agli animali non umani il diritto di assecondare le loro esigenze di specie. Questo avviene attraverso la diffusione della cultura e della filosofia vegetariana e vegana e la sensibilizzazione sulla sperimentazione animale. Tuttavia non è facile andare a scardinare quei classici luoghi comuni che costituiscono il moderno sistema di pensiero medio, cioè che gli animali sono fatti per essere mangiati, gli animali esistono affinché ci si possano sperimentare farmaci e cosmetici, insomma tutta la scuola di pensiero che è votata a ritenere l’animale come un mero strumento dell’uomo. Quali sono i principali nemici del movimento animalista? Quali sono i principali nemici del 12

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Quali sono i principali nemici del movimento animalista? Gli interessi economici in primis, anche se va tenuto conto che sono sostenuti da una generale indifferenza e carenza di informazioni sul tema del maltrattamento degli animali, visto sotto tutti i punti di vista.

riscontro sull’uomo viene puntualmente rimesso in discussione e nella stramaggioranza dei casi risulta inattendibile. È semplicemente assurdo affidarsi ad un metodo che fallisce nel 90% dei casi e quindi qui la questione smette di essere di competenza esclusivamente etica ed assume una suo peso specifico in campo scientifico.

Come si deve presentare un’azione in senso animalista perché sia efficace? Da dove deve nascere? Bisogna assolutamente muoversi sia sul versante istituzionale che sociale. L’azione deve andare dal basso verso l’alto e viceversa. Gli interventi devono essere in questo senso solidali e coerenti. E soprattutto la LAV, come associazione animalista, ha sempre portato avanti una linea di azione imperniata sull’idea che non basta protestare, ma occorre essere sempre propositivi.

Quali sono le strutture interessate a sperimentare sugli animali? Il cervello motore è l’università, che produce culturalmente l’idea che gli animali siano delle buone basi di sperimentazione. L’università per sviluppare la propria ricerca si alimenta economicamente con l’industria. Tra industria e università c’è uno scambio mutualistico molto fitto, perché l’industria mette a disposizione i fondi (andando cosi anche a sopperire la esiguità di finanziamenti che promanano dalle casse statali) e da parte sua l’università fornisce e forma materiale umano, che un domani andrà a prestare la propria opera presso quelle stesse imprese chimiche e farmaceutiche. Quello che però incide molto in questo sistema è il consenso che nasce dall’opinione pubblica, strumentalizzato, convogliato attraverso gli organi di informazione. Quando al telegiornale o sulla pagina di qualche quotidiano si legge che è stato trovato un enzima in grado di sconfiggere il cancro con la sperimentazione su conigli o su topi, si omette di raccontare il finale, ovvero che nel 90% dei casi, questi risultati andranno cestinati perché incompatibili con l’organismo umano. Intanto

Quando e perché è si è iniziato a sperimentare sugli animali? Da circa un secolo si usano gli animali come strumento di ricerca, perché è comodo, perché chi viene sottoposto alla vivisezione non ha una voce per protestare. Se all’inizio occorreva dare una risposta all’esigenza studiare un organismo complesso, cosa che con le colture cellulari non si poteva fare, ci si è ben presto accorti che pur essendo gli animali degli organismi complessi restano pur sempre molto diversi da noi, tanto è vero che il 90% dei farmaci che ha dato un certo esito sugli animali quando arriva alla fase di

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però in una persona di media cultura e magari non incline all’ approfondimento, è stata instillata la falsa speranza di un risultato e inculcata l’idea che le pratiche di vivisezione siano tanto proficue quanto indispensabili. Viviamo in una società che si proclama amica degli animali e attenta all’ambiente, poi però gli stessi animali dalla stessa società vengono barbaramente sfruttati e martoriati. Dove si colloca il punto da cui scaturisce questo paradosso? Se è vero che non serve essere animalisti per essere contro i maltrattamenti sugli animali, è altrettanto vero che quando si tratta di fare delle scelte di campo, quando si è chiamati a fare delle rinunce, a modificare le proprie abitudini, allora ci si ferma. E lo Stato non fa che contribuire ad incrementare questa opacità ed incoerenza d’azione, da una parte promuovendo incontri sulla salvaguardia dell’ambiente, firmando trattati, facendosi paladino di valori ambientalisti, ma dall’altra boccia o respinge una seria legiferazione in materia. Quale dovrebbe essere il principio a cui informare l’erogazione e il riconoscimento dei diritti essenziali alla vita e alla salute? Insomma, come aggirare lo spettro dello specismo? Il principio di precauzione potrebbe essere un buon principio guida, che esemplificativamente può riassumersi in: “non ho il diritto di procurare

dolore a nessun essere vivente che potrebbe soffrire gli effetti del mio agire”. Ma si deve temperare ed affinare questo principio facendo appello anche al principio di responsabilità, già proposto da Hans Jonas, in base al quale ogni soggetto deve essere pronto a rispondere delle proprie azioni e non può schermarsi dietro una “facciata societaria” che eclissa la sua identità e dissolve le conseguenze di ciò che ha commesso grazie ad una comoda personalità giuridica per così dire “spersonalizzata”. Fare ricerca equivale a sperimentare su animali? Assolutamente no. A volte si tende a trattare l’argomento trascurando la realtà che secondo l’Istituto Superiore di Sanità circa il 70% della ricerca biomedica, a sua volta parte della ricerca in generale, non si fa su animali, ma adopera metodi alternativi (in vitro, in silico…). Questo significa che non è vero che non ci sono altri sistemi di sperimentazione, anzi, sono risultati più mirati e precisi rispetto a quelli crudeli e approssimativi basati sulla sperimentazione su animali Per cosa provi rabbia, in quanto animalista? Per chi non vuole guardare al di la proprio naso e si limita a pensare al proprio orticello.

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CHECK IT OUT Kitesurf

Disciplina acquatica “off-limits”, divenuta una vera e propria mania. di Cristiano Cappi

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ntorno alla metà degli anni ’90, tale Emmanuel Bertin in arte MANU (in lingua Hawaiana “volatile”), francese ma residente alle Hawaii, ha la geniale intuizione di unire due meravigliosi sport, il Windsurf e l’ Aquilonismo da trazione, dando vita ad una nuova disciplina chiamata Fly-Board e ribattezzata in seguito con il più altisonante nome di Kitesurf. Questa disciplina, nonostante la giovane età, attrae moltissimo per la sua peculiare vocazione acrobatica. Tra gli sport acquatici di scivolamento, il Kitesurf è senza dubbio

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quello che si dispone più semplicemente all’ apprendimento e che permette nel più breve tempo i maggiori miglioramenti. Nonostante ciò non è una pratica sportiva che va sottovalutata. A pieno titolo rientra nella categoria degli sport “estremi”, il che è indice di quanta cautela serva nelle varie fasi di apprendimento. Inizialmente il neofita dovrà familiarizzare con gli strumenti e le attrezzature. Per fare ciò dovrà impegnarsi in un allenamento di controllo della vela a terra, sulla spiaggia; questo fino a che non si sentirà pronto a prendere il largo, ma assolutamente senza indossare la tavola, che sarà solo l’ ultimo e forse il più traumatico passo per l’ approfondimento della pratica del Kite. Tutti questi livelli d’ apprendimento implicano se non un istruttore qualificato, quantomeno uno spazio libero e spazioso. Il nostro litorale romano offre tratti di spiaggia bellissimi, ma sempre più spesso molto affollati. Il problema perciò è conciliare la pratica degli sport acquatici e la normale balneazione. La soluzione primaria e per un certo verso istituzionale (anche se mancano precise normative in merito), è che la pratica del Kite, come tutti altri sport che richiedono spazi sia di spiaggia che di mare, dovrebbe essere confinata nelle zone predisposte, che però risultano essere inadeguate ed insufficienti. Infatti l’ unica “zona kiters”

ad accesso libero del litorale ostiense, è la prima spiaggia del primo cancello (neanche 100 metri quadrati), che troppo spesso risulta essere occupata da bagnanti e turisti, specie durante il weekend, cosa che rende impossibile la pratica delle attività a cui era stata destinata. Allora per molti l’ unica soluzione è ritirarsi nelle meno affollate “zone kiters” di Focene e Santa Marinella, che però contano un numero tanto alto di sportivi (dilettanti e non), che spesso può mettere in difficoltà soprattutto chi è alle prime armi. Percò l’ imperativo è: più spazi pubblici riservati al Kitesurf, che vengano tutelati dalle folle dei bagnanti specie nei giorni festivi, che spesso per i kiters non professionisti sono l’ unica occasione settimanale per affinare le loro capacità. Quindi non resta che la speranza di riuscire a vedere valorizzata una disciplina, che oltre ad essere molto divertente per chi la pratica, risulta ormai come un ineliminabile ornamento delle nostre coste, grazie alle spettacolari manovre dei “riders” più esperti, che nonostante le difficoltà di convivenza con i bagnanti, affollano le spiagge di Ostia, attirando curiosi affascinati dalle evoluzioni aeree degli aquiloni colorati a festa, che lambiscono senza toccare le acque (ormai non tanto blu) delle nostre coste.

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AI CONFINI

CLOWNTERAPIA

DI UN SORRISO

di Valerio Landi

V.I.P. Italia onlus è una federazione di 35 associazioni che si occupa di clownterapia ormai da dieci anni. Nasce a Torino e nel tempo è riuscita a superare le barriere cittadine per allargare il suo operato a livello nazionale. Oggi ha sedi in tutta Italia e nonostante difficoltà burocratiche e organizzative, continua a portare avanti il proprio progetto di volontariato, rivolto a chi purtroppo è costretto in ospedale. Conta circa 1500 volontari che offrono servizio in 90 ospedali. Organizza dei corsi di formazione per diventare clown e assolutamente non pone limiti di età, credo e orientamento politico per partecipare. È autofinanziata e ha creato un appuntamento annuale per la raccolta fondi giunto ormai alla terza edizione, la “Giornata nazionale del naso rosso”.

Incontriamo Gabriele, clown “Mensolina”, dell’associazione di Roma. Perché nasce V.I.P. Italia onlus? Perché pensiamo non sia giusto che chi è malato debba arrendersi alla sua malattia. Bisogna capire che stare in ospedale può provocare dei traumi che vanno oltre il problema specifico per cui si sta lì. Quindi anche solo scambiare due parole con un paziente e vedere un sorriso sul suo volto vuol dire tanto. Come sono organizzati gli incontri negli ospedali? Abbiamo delle convenzioni con le quali fissiamo degli appuntamenti periodici. A Roma collaboriamo con l’ospedale pediatrico Bambino Gesù, con l’istituto di riabilitazione Santa Lucia e con l’ospedale Sandro Pertini. Ogni sabato e domenica gruppi di tre clown girano per i vari reparti e passano qualche minuto con i pazienti.

I vostri corsi sono riconosciuti dalle istituzioni? Rilasciate un attestato, un riconoscimento? No, o meglio, i nostri corsi sono riconosciuti dagli ospedali nei quali facciamo volontariato, ma non dagli organi statali. Non rilasciamo nessun attestato, ma una volta finito il corso, che dura un anno, si inizia a far parte dell’associazione, quindi a lavorare con noi. Secondo te potrebbe essere un problema se la clownterapia diventasse un disciplina riconosciuta e gestita allo stesso modo della medicina tradizionale? Ci sarebbe il rischio di diventare meno puliti. Nel senso che finché le iniziative sono volontarie, si è sicuri della purezza di intenti, anche perché siamo direttamente noi a gestire i fondi. Se invece diventasse una disciplina riconosciuta e remunerata, ci sarebbero più rischi. www.clownterapia-roma.it

Mercoledì 9 maggio abbiamo realizzato il secondo appuntamento del progetto “Ai confini di un sorriso”, ideato e organizzato da noi di Greenager onlus insieme all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, che ha come scopo quello di alleviare la degenza dei bambini in ospedale. In questo spazio vogliamo di nuovo ringraziare il direttore sanitario dell’ospedale, dott. Tommaso Langiano e la responsabile della ludoteca, dott.ssa Carla Carlevaris con la sua equipe, perché continuano a credere in noi e rendono possibile la realizzazione del progetto. E poi grazie anche alla nostra di equipe, composta questa volta da Micaela Castellani, Serena Orlacchio, Valentina Mencarelli, Maura Amore, Valerio Landi e Simone Pellegrini, ragazzi “normali” che tentano di dimostrare che anche chi non è un medico o un infermiere può aiutare chi sta male e che se un bambino ride, vuol dire che non ha paura. Per maggiori informazioni visitate il nostro sito, www. greenager.it , nel quale troverete una sezione dedicata.

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di Gino Bianchi

fotografia di Giorgio Palmera

INFERNO I

mmaginate l’inferno. Immaginate le fiamme e il fumo denso che avvolgono il paesaggio, stormi d’avvoltoi neri che volteggiano in cielo. Immaginate un lago dalle acque nere come la pece e schiere d’anime perse che vagano nella pallida luce del mattino silenziose e tristi, coscienti della propria dannazione. Immaginate un mondo che va alla deriva, la disperazione d’uomini ridotti ad uno stato animale, costretti a vagare tra i rifiuti in cerca di qualche avanzo da riciclare per poter mettere insieme un pasto. Immaginate case di cartone e latta, messe su tanto per avere un riparo, per recuperare in una situazione d’estrema povertà un minimo di dignità, il ricordo di appartenere al genere umano, nonostante tutto. Immaginate uomini donne e bambini arrivare in ordine sparso, armati di rampini per smuovere i mucchi di spazzatura e spaccare i sacchi di plastica, alla ricerca di tutto ciò che è utile. Immaginate enormi stormi d’avvoltoi, cani randagi e branchi di mucche che contendono agli uomini-ratto il pasto e il guadagno in una disperata lotta per la sopravvivenza. Immaginate bambini nati e cresciuti lontano da qualsiasi forma di rispetto e di dignità, dimenticati dalla società civile: senza casa, senza istruzione, senza assistenza sanitaria, privati di qualsiasi diritto, come se non esistessero, se appartenessero ad un sottogenere che non è neanche preso in considerazione. Immaginate che quel posto esista, non nelle viscere della terra, non in un luogo metafisico, fuori del tempo e dallo spazio, ma qui, sul nostro pianeta, oggi. Ora smettete di immaginare: il Basurero di Managua è uno di questi Inferni dove vivere significa lottare giorno per giorno, dove la speranza è solo un’utopia. 16

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giugno 07 17

illustrazione di Valentina Tata


MOJO STATION BLUES FESTIVAL III edizione di Federico Re

Circolo degli Artisti Roma june 21-24 2007

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trana storia quella del Mojo Station Blues Festival. Non capita tutti i giorni di imbattersi in una rassegna musicale che nasce come “filiazione” di una trasmissione radiofonica. Sin dal 2002, sugli 88.9 fm di Radio Città Aperta, Gianluca Diana e Pietropaolo Moroncelli conducono ‘Mojo Station - Il Blues e le sue Culture’, esplorando in ogni dove i territori della ‘musica del diavolo’. Dall’ottimo riscontro avuto da quest’esperienza, nasce l’idea di proporre un festival che dia spazio a un genere di suoni usualmente considerati di nicchia dalle regole strutturali di un certo tipo di giornalismo musicale, nonché dal mercato discografico. Sin dagli esordi del 2005, la rassegna si contraddistingue per una proposta sonora che affonda le sue radici nella cultura nero ed afroamericana. Musicisti come Corey Harris, T-Model Ford, Richard Johnston e molti altri hanno greenager 03


illustrazione di Alepop

già calcato i palchi romani del festival, mentre altri ancora si accingono a farlo per l’edizione di quest’anno. “Come nel 2006 avremo anteprime europee e nazionali. Willie King & The Liberators, Jawbone e Hillstomp. Senza dimenticare gente come John Sinclair, Olga e Jon Short”, ci dice Pietropaolo Moroncelli, condirettore assieme a Gianluca Diana del Festival e prosegue: “La scelta dei musicisti avviene in base ad una ‘ricerca sul campo’ e con

questo intendo il profondo sud degli States, ricerca che effettuiamo da tempo, ovviamente senza attitudini ‘antropologo-radicalchic’, ma da semplici appassionati”. Un nome su tutti? “Senza far torto a nessuno, sicuramente Willie King. Oltre che musicista meraviglioso, è un uomo impegnato fortemente nel suo tessuto sociale d’appartenenza, in Alabama. Grazie agli introiti delle sue tournee, da venti anni a questa parte si occupa di costruire asili, case e di finanziare associazioni no-profit come l’Alabama Blues Project che preservano dalla dispersione il patrimonio culturale di quelle terre. Esattamente come un altro grande della cultura africana, Ali Farka Toure”. Ancora: “La citazione dotta su Toure, non cade poi a caso. I musicisti che vi ho elencato fino ad ora coprono i primi tre giorni della rassegna. Il

quarto giorno, domenica 24 giugno, verterà sulle connessioni tra Africa e Blues. Inquest’ottica, al momento possiamo anticiparvi la presenza in cartellone del musicista maliano Baba Sissoko, artista che presentiamo in coproduzione con la tredicesima edizione della Festa Europea della Musica”. Componente fondamentale del Festival è poi il progetto sulle arti visuali. “Esattamente. A cura di Agitpop, sarà infatti la sezione visual di ‘Blues & Komix’. Autori come Alepop, David Vecchiato, Maurizio Ribichini ed altri allestiranno lo spazio del Circolo degli Artisti, con le loro interpretazioni autorali. L’intera area sarà invasa dal loro immaginario grafico. I grandi narratori blues a fumetti, Robert Crumb e Joe Sacco, sarebbero fieri di loro”. Info e line-up completa sul web.

http://www.mojostation.net http://www.myspace.com/mojostation http://www.agitmusic.com giugno 07

ANTIBALAS

“True security is born from love alone” di Gianluca Diana

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ra il 1997, quando Fela Anikulapo Kuti abbandonò la terra per sempre. Da allora sono passati dieci anni, ma la lezione impartita dal grande padre dell’afrobeat, non è andata perduta. Tra epigoni più o meno degni di essere accostati a Kuti, un posto particolare lo occupano gli Antibalas. Il combo multietnico di stanza a New York, attivo oramai dal 1998, licenzia la sua quinta produzione sulla lunga distanza, “Security”, avvalendosi tra l’altro dell’apporto del poliedrico produttore e musicista John McEntire (Tortoise, Stereolab, Tom Zè). “Security” si compone di sette incisioni, in cui il verbo dell’afrobeat oramai assimilato e riproposto con carattere e personalità, si mescola con elementi di funk ed electro-jazz. É probabilmente il disco della maturità per gli Antibalas, oramai lontani dal ruolo di meri ripropositori del sound di Fela Kuti. L’intero lavoro infatti brilla di luce propria, sia nei momenti maggiormente ritmici (“Beaten Metal”, “Filibuster X”, “Hilo”), che in quelli in cui le strutture armoniche rallentano e si dilatano fino a raggiungere ambientazioni quasi filmiche ed oniriche (“I. C.E.”, “Age”). Tanto nel suono d’insieme che nelle individualità, gli Antibalas eccellono senza apparente fatica, ne mostrano momenti di stanca in nessun brano. Disco quindi bello e coinvolgente, di quelli che fuoriescono dal vostro cd-player, davvero con difficoltà. http://www.antibalas.com - http://anti.com/home.php http://www.myspace.com/antibalas 19


QBETA di Paolo Panella

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mano definirsi un caos polimorfo, un calderone bastardo di influenze musicali fra le più varie. E la verità non è lontana. Hanno radici forti e profonde, quelle Siciliane, sulle quali costruiscono la loro ‘visione’ di una contaminazione senza limiti che è musica ma non solo: è cultura, è politica, è arte nel senso più ampio. Il loro stile è raro proprio perché il loro slancio è allo stesso tempo consapevole e senza rete. Così i Qbeta approdano ai porti più disparati con la sicurezza dell’esperto navigatore: ad accoglierli sono ora lo ska, ora il funky, degli echi del pop di qualità degli anni ‘80, e poi le sonorità afro, quelle dell’Est Europa e ancora più in là, perché la ricerca dei Qbeta sembra poter non finire mai. (www.qbeta.com) Tanto per cominciare, la solita domanda: ”Come vi siete formati?” Tutto è successo nel ‘93 attorno ad un forno a legna mentre aspettavamo la doratura del pane. Sembra una favola ma è andata così. Avevo già scritto delle cose che prendevano spunto dalla nostra cultura etnica con chiari riferimenti al movimento dei cantastorie siciliani. A quel tempo suonavamo

parecchio blues e jazz. Miscelare le due culture, una apparentemente monofona e araba, l’altra ricca già di contaminazioni impregnate di mille note, ci apriva un mondo fatto di spigoli e rotondità, il resto è andato andando! Come vi sentite ad essere stati gli unici ospiti italiani al ‘Forum Social Mondial’ di Porto Alegre? Ci siamo trovati catapultati

dentro una verità che parlava di uguaglianza, rispetto della propria vita e degli altri. Un grande laboratorio fatto per gente che ha voglia di cambiare il mondo, un concetto ideale per chi con la musica cerca proprio questo. Un giorno mentre gustavo al bar la mia solita granita di mandorla con panino, un amico che vive in Brasile mi chiama dicendomi che gli organizzatori del forum volevano invitare un gruppo italiano che avesse caratteristiche ideologiche e culturali simili o inerenti alle tematiche trattate. Dopo aver tradotto i nostri testi e fatto ascoltare i brani fatta fù!! Dopo venti giorni eravamo in Brasile. Da questa esperienza è venuto fuori un documento video che spesso proiettiamo prima dei nostri concerti. È un modo per portare un po’ di quello che abbiamo vissuto oltre oceano.

tutti personaggi entusiasti del ‘nuovo’, quel nuovo che purtroppo nella nostra piccola e bella Italia fa quasi paura: la bellezza della semplicità, la ricerca della semplicità che non vuol dire assolutamente ‘scontato’ o ‘facile’. Da noi purtroppo non funziona così, ma crediamo che le cose possano cambiare e la testa ce la sentiamo abbastanza dura... cambierà e come se cambierà!!!

Parlateci di ‘ognittanto’, vostro ultimo disco in uscita. Tutto è il contrario di niente, allegro è il contrario di triste, sereno contro agitato. Un disco giocato con il sentire degli opposti, dove il guardarsi ed il guardare non hanno una necessaria linea comune. É per questo che ‘ognittanto’ arriva e ‘ognittanto’se ne và, ‘ognittanto’ parlo di me, ‘ognittanto’ parlo di te, ‘ognittanto’ ci si veste di rosso e ‘ognittanto’ di blu.

Cosa ne pensate dell’attuale panorama musicale italiano? Condividere il palco con Gilberto Gil, Manu Chao e tanti altri è stata un’esperienza meravigliosa perché sono

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COS’È EILDENTROEILFUORIEILBOX84? …OMOTA’L! …è un progetto musicale partorito da tre menti e tre corpi nel 2004 a Roma… esattamente in un box-auto, il box n°84, ben isolato dal resto del mondo: almeno 10 Mt. sottoterra!

COMUNICAZIONE INNOVATIVA

PER MUSICA EMERGENTE Mi infiltro dove nessuno arriva, non sopporto il bianco più bianco. Sono lo Sporco Impossibile. Alla ricerca di sonorità nascoste, giro per l’Italia attraversando aree urbane, dimesse e fervide. Carico tutto nelle reti sociali virtuali e documento lasciando tracce indelebili. Lascio che i linguaggi si mescolino creando formule divertenti, improvvise, spiazzanti. Gioco con gli immaginari e li moltiplico a seconda dei miei significati. Sono un esperimento affascinante che mette in relazione i mondi di chi fa musica e i mondi di chi l’ascolta. Voglio il dialogo tra le parti sviluppando una comunità appassionata fino ad una serata live, a Roma. Ho il dovere di battere nuove strade, dal basso e attraverso gli strumenti messi a disposizione dalle nuove tecnologie. Cerco futuro e continuità, mi accumulo sui canali della comunicazione con l’obiettivo non di intasare ma di rendere vissuto.

Senza il dentro non c’è il fuori e viceversa, ma non solo, all’interno di questi poli c’è un infinito in continua evoluzione: questo equilibrio in movimento è la piattaforma sul quale si posano i tre del box! Dalla primavera del 2005, senza comprendere il perché, i tre ragazzi sono stati apprezzati nei loro concerti, invitati a rassegne, selezionati per dei concorsi… …inoltre il loro primo lavoro,“Obecalp”…è stato apprezzato da molti recensori…I tre non capiscono. …ma continuano a galleggiare sulla loro piattaforma. Dal 2006 allargano il confine artistico dei loro concerti alla pittura grazie alla partecipazione sempre straordinaria di una pittrice: l’amica artista Patrizia Pecorella che dipinge la loro musica sul palco rendendo le esecuzioni dal vivo ancor più espressive! Il 26 Aprile 2007, è uscito… il primo CD:

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porco Impossibile è un laboratorio di promozione musicale che, utilizzando strategie di comunicazione innovative, lavora alla crescita di realtà musicali originali, valide e nascoste. Quattro artisti prescelti, tre mesi di attività tra rete e territorio, una serata live finale. Innovazione e creatività al servizio di musica sommersa, che fatica ad emergere in un mercato con sempre meno punti di riferimento. Lontani dalle logiche che coinvolgono gli artisti sfruttando la loro voglia di venir fuori. Niente concorsi e niente rasgiugno 07

“OMOTA’L”

segne. L’intento è piuttosto quello di creare una comunità di sostenitori del progetto per mezzo del blog, www. sporcoimpossibile.it, del sito www. greenager.it e di altri social networking a cominciare da www.myspace.com/ sporcoimpossibile, ai quali presentare e far conoscere il percorso artistico delle band con trasmissioni in podcast ed altri contenuti speciali come videointerviste e iniziative di guerrilla marketing sul territorio. Stimolare così il pubblico ad www.sporcoimpossibile.it una partecipazione attiva nel percorso www.myspace.com/ promozionale. sporcoimpossibile

“OMOTA’L” è il primo CD, ma in realtà è il secondo lavoro del box… “OMOTA’L” è il primo CD che si presenta da sé nella tracciafantasma… “OMOTA’L” è il primo CD, che prima di esistere, era già stato dipinto da Patrizia Pecorella “OMOTA’L”è il primo CD in carta riciclata dove non c’è scritto “è in carta riciclata”… “OMOTA’L”è il primo CD con un simbolo che si scrive tutto tenendo premuto SHIFT: (°_*) siamo lieti di esserci presentati “Vi vogliamo bene !” EildentroEilfuoriEilbox84…



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gitpop, ovvero una invereconda voglia di sovvertire il normale vedere. Il che significa dare corpo, vita e colore ad un’altra modalità di rappresentazione grafica. Che non soppianti altre forme preesistenti o peggio le soverchi. Semplicemente, una altra e diversa forma visuale e comunicativa. Agitpop, dicevamo. Vale a dire un progetto che germina nel Nord Est negli anni novanta, partorito dalla menti insane di Alepop (Alessandro Staf-

fa) e Diavù (David Vecchiato), con l’idea di essere “…Un progetto apolide, itinerante e polivalente, che diffonde in modalità sotterranea una “diversa” comunicazione visiva…”. Obiettivo, rendere fruibile particolari forme creative come il fumetto atipico e le sue molteplici versioni nar-

rative, le visioni neopop e le forme illustrate che le compongono, le strutture videografiche ed i webcartoons, nonchè il variegato mondo dei “toys”, concretazione fisica di quanto immaginato e creato. Una miscellanea di stili e discipline artistiche così composita, ha quindi dato vita ad una comunità aperta ed elastica, capace di esprimersi e produrre sia collettivamente attraverso riviste

(come Interzona e Tank Girl Magazine ), web, happenings & performances (come “Blues & Komix” o “IUK” per Repubblica XL ); sia singolarmente, lavorando per conto di case editrici, magazine, label discografiche che se ne avvalgono per visualizzare le proprie idee e progetti. A spiegare bene il tutto, contribuiscono le parole di Alepop : …“Quando ho pensato ad Agitpop nel 1996, era mio interesse creare un piccola etichetta che divulgasse grafica, web cartoons, illustrazioni, strani fumetti, poster, etc… Tale progetto, è poi via via mutato, in quello che una volta veniva chiamato un “collettivo”. Nel corso di questo decennio,


Martin Luther King Ho Che Anderson

L

ui si chiama Ho Che Anderson, e tutte le fantasie che potete farvi sul suo nome possono essere assolutamente reali. Canadese, classe 1969, vi sarà già capitato di vederlo in Italia in diverse pubblicazioni, tra cui Cut Up (Scream Queen) e Eros Comix ( The Muse ). Qui lo vediamo impegnato nella monumentale e splendida biografia di Martin Luther King. Libera da demagogia spicciola e senza ideologismi di facciata, la matita di Anderson traccia un profilo “raw ‘n dirty” di King. Storia di un uomo e della sua comunità, in un tempo in cui lungo le strade d’America si cercava una altro mondo possibile. Veloci e fluttuanti i cambi di registro che si incontrano lungo il volume, permettendone una fruibilità immediata e diretta. Riferimenti autoriali (A. Breccia; S. Toppi; H. Chaykin) a go-go, ma senza nessun imprimatur particolare, a testimonianza di un codice espressivo incredibilmente personale. Il tutto è pubblicato dalle edizioni Becco Giallo, casa editrice attenta e coraggiosa sia ai contenuti (cronaca, storia, etc..) che agli autori prevalentemente italiani. www.beccogiallo.it - http://beccogiallo.it/blog/ - www.hocheanderson.com 24

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La storia di Mara di Adriano Padua

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a storia di Mara non è soltanto la storia di Mara Nanni, fiancheggiatrice delle Brigate Rosse romane, arrestata nel 1979 e poi condannata all’ergastolo (pena successivamente ridotta a 15 anni in terzo grado). La storia di Mara è anche un’opera dell’autore Paolo Cossi, che, oltre a dare corpo con stile multiforme alle parole della protagonista, ripercorre molte delle immagini degli anni di piombo, alcune ben impresse nella mente di tutti (come le immagini fotografiche degli uomini della scorta di Aldo

giugno 07 greenager

Moro massacrati), altre solo immaginabili (come il volo di Pinelli), ma qui concrete grazie alle peculiari caratteristiche del linguaggio scelto, quello del racconto a fumetti. La storia di Mara è anche uno dei pochi strumenti che le generazioni successive a quelle degli anni di piombo hanno di comprendere il clima nel quale il terrorismo politico e di stato trovò terreno fertile. Oggi quel periodo controverso della nostra storia è sempre meno oggetto di inchieste. Tuttavia il fantasma delle B.R. non è mai stato disposto a sparire, e sopravvive a prescindere dagli importanti cambiamenti del nostro tessuto sociale. Nemmeno la commissione stragi è stata capace di fornire una visione d’insieme di quel complicato e inestricabile groviglio tra servizi segreti nazionali e stranieri, guerra fredda, logge massoniche deviate, terrorismo, che furono gli anni di piombo. Ancora oggi la cultura del segreto e l’assenza

di trasparenza nel rapporto stato-cittadini caratterizzano la nostra società, come dimostra il segreto di stato posto sul caso Abu Omar-Pollari dagli ultimi due governi. Nel nostro paese gli archivi non si desecretano mai, come è tradizione delle democrazie avanzate, piuttosto si fanno sparire, dunque sono poche le speranze di sapere. Quello che ci resta è dedicarci a storie come quella di Mara, che Cossi ci restituisce affidandola al suo eterogeneo talento, spaziando dal fumetto classico all’illustrazione d’autore, fino all’intervento su immagini fotografiche preesistenti. Storie personali che almeno ci aiutano a capire una verità particolare, parziale, quella di una giovane cresciuta in una scuola altamente politicizzata che durante la contestazione si trova di fronte alla scelta della lotta armata, compiuta con incoscienza e utopistica disperazione. Così la storia di Mara diventa quella di una terrorista in

clandestinità, che non riesce a rispettare del tutto le rigide consegne dell’organizzazione, ma è costretta a rinunciare ad una vita normale. Mara diventa parte di un ingranaggio del quale non si rende nemmeno conto. Non ha mai sparato un colpo, ma viene condannata all’ergastolo dopo l’arresto e si accorge che qualcuno (chi?) stava giocando con la sua vita, e se ne accorge pensando alla morte improvvisa di suo fratello, occasione nella quale nessun “compagno” presunto le accenna solidarietà umana, con l’eccezione di Adriana Faranda. Alla fine del racconto si scopre che Mara, ritratta da Cossi nello scenario del lago di Bracciano, sta raccontando tutto a Seme, un cane meticcio. Dunque la racconta a sé stessa, l’unica persona degna di ricevere questa confessione, l’unica che porta con sé le ferite e non solo le parole facili e le improbabili dietrologie che spesso siamo costretti a sentire.

Storie come quella di Mara Nanni sono le uniche verità che possiamo sapere senza perderci tra indagini deviate, personaggi dalle discutibili biografie e processi fatti e disfatti. La narrazione termina

con la nascita del figlio Matteo, nel 1988. Qui comincia un’altra storia, ma quella di Mara non è un’altra vita, è sempre la stessa, e le ferite lentamente diventano cicatrici, mentre noi dimentichiamo. 25


sociale

rubrica

LIVING ON THE EDGE Troppa umidità fa venire i reumatismi

di L.B.

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ilvya ha ventisei anni. Tre anni fa è venuta in Italia, come tanti migranti, in cerca di una vita migliore. Si è lasciata alle spalle un matrimonio fallito, una casa vicino Bucarest e un figlio di sette anni del quale non parla volentieri. É venuta a vivere a Roma presso una sua cugina dalla quale aveva ricevuto tutte le assicurazioni del caso (principalmente riguardanti un letto e un lavoro) senonchè il letto ma soprattutto il lavoro pronti per lei non erano esattamente quello che si aspettava.

Cosa ti aspettava una volta arrivata in Italia? Una branda in un’affollatissima stanzetta e un bel posto di lavoro sul lato destro della Salaria. E tu? Come hai reagito? Volevo sputare in faccia a mia cugina, che non vedevo da 15 anni, ma era prioritario scappare per non essere cooptata dal suo miserabile pappone.

illustrazione di Claudio Evangelista

Cooptata? Sei sicura di essere rumena? Sicurissima (mi mostra il passaporto n.d.a.). Non cascare anche tu nei soliti luoghi comuni, so abbastanza bene l’italiano. Come prosegue la tua storia? Per più di tre anni ho fatto la badante ad una signora anziana, che poi ha pensato bene di lasciare questo mondo facendo di me una disoccupata, una clandestina e una senza casa in un colpo solo. Quello è stato il periodo 26

peggiore, ho passato pure la trafila di Ponte Galeria. Uscita di lì non ho avuto scelta. Un bel giorno mi sono messa a battere. Sono stati i giorni più brutti della mia vita. Non riuscivo a dormire e non mangiavo niente. Dopo cinque giorni sono riuscita a pagarmi un letto e a restituire dei soldi che mi avevano prestato. Ero di nuovo libera ma ero morta dentro. Ora mi sembri tutt’altro che morta. Già, dona forte romena (imita la parlata rumena n.d.a.). Ho deciso di trovare un lavoro più adatto alle mie capacità e soprattutto che non provochi reumatismi. Grazie a qualche conoscenza giusta adesso lavoro come segretaria in una piccola impresa di trasporti. Ma non ho lasciato del tutto la prostituzione. Prego? Collaboro con un’associazione che combatte la prostituzione. Il mio compito è infiltrarmi e offrire un’alternativa a chi non crede di averla. greenager 03


illustrazione di Diamond

QUINDICIANNI OGGI

E VENTANNI FA E

cco a voi una fantastica intervista fottutamente doppia. L’occasione era ghiotta, due sorelle: Flavia, classe 1972 e Arianna, classe 1991 che hanno frequentato lo stesso liceo raccontano i loro quindici anni. La prima con un salto indietro nel tempo di 20 anni e la seconda stà ferma dove è perché 15 anni gia c’è li ha.

Che fai la sera quando esci? FLAVIA: Ci si vedeva davanti a scuola per decidere cosa fare, il più delle volte ci si arenava lì. Si partiva, ma solo dopo molte ore passate a consultare tutti e fumare canne. ARIANNA: Vado a ballare quando ci sono serate, se no, è birretta a San Lorenzo o Trastevere. giugno 07

Come ti vesti? FLAVIA: Da zecchetta del Mamiani (maglioni larghi, pantaloni militari, anfibi o doctor Martins, kefia, cappelli reggae) alcune volte dirottavo verso un soft dark. ARIANNA: Magliettina, scarpa sportiva e Pantalone largo. Niente minigonne rasochiappa o magliettine attillate. Non saprei come muovermi!

he tipo è lui? C FLAVIA: Moro, occhi verdi, aveva la moto e un nome esotico e 2 anni più di me. ARIANNA: Fantastico! Non parla molto ma quando dice qualcosa è sempre brillante. Per il resto è alto, bello e un po’ “maledetto”. Su dieci ragazze della tua età, quante hanno… insomma… quante sono? FLAVIA: Meno della metà,

più o meno 3 su 10, tra cui io e alcune mie amiche, le altre si sentivano in ritardo sui tempi, il dibattito in proposito era acceso. Io ero consultata in quanto precoce. ARIANNA: Non saprei dire in percentuale. Comunque parecchie hanno già avuto rapporti a quindici anni. Chi per curiosità, chi per amore. I genitori: per cosa li manderesti a quel paese? FLAVIA: Per il solo fatto che esistano! ARIANNA: Per troppe cose. Ma in fondo non è colpa loro. Quanto costa il fumo? FLAVIA: Mi sembra 2 o 3 canne a diecimilalire, ma io lo scroccavo e non lo compravo in prima persona! ARIANNA: Troppo! Minimo 10 euro per un tocchetto che ti escono fuori al massimo tre canne! Credo che mi verrà un colpo quando leggerò quanto costava venti anni fa… Il primo in classifica? FLAVIA: Misha, ragazzo culto della scuola, alto, moro, silenzioso (ora vende magliette a Porta Portese). ARIANNA: Per me il mio ragazzo. Per MTV non saprei.

La canzone più bella? FLAVIA: “Should l stay or should I go” dei clash e “with or without u” degli U2. ARIANNA: “Blowing in the Wind” di Dylan. Qual è il più grande problema della società? FLAVIA: Era la guerra fredda, i due schieramenti e la corsa agli armamenti. In Italia i socialisti rubavano e la Dc appoggiava la mafia. Quindi o eri raccomandato o avevi uno zio socialista… ARIANNA: Che fin da piccolo ti insegnano ad aver paura della gente e ti vogliono convincere che fuori è pericoloso e tanto vale stare a casa a guardare la tv. Comunque, il vero problema è che tutti, dai politici alle televisioni, dicono un sacco di cazzate. Che cosa pensi di fare per risolverlo? FLAVIA: Lo urlavo a scuola e in strada durante le manifestazioni. ARIANNA: Io da sola, pur volendo, non potrei fare molto. Ma penso che, prima o poi, qualcuno si ribellerà. Da chi ti faresti aiutare per risolverlo? FLAVIA: Dai compagnucci

del collettivo studentesco. ARIANNA: Homer Simpson. La sua filosofia di vita è perfetta. Io non rompo a te, tu non rompi a me. Per chi voteresti se potessi? FLAVIA: Capanna di DP (democrazia proletaria). ARIANNA: Nessuno, perché nessuno dei politici attuali mi rappresenta veramente, anzi, non ci si avvicina nemmeno. Come ti immagini tra venti anni? FLAVIA: Fica, indipendente, intellettuale, con un lavoro fico. ARIANNA: Non saprei, forse un po’ più alta. Come immagini il mondo tra venti anni? FLAVIA: Con grossi problemi ambientali e di guerra. ARIANNA: Preferisco non pensarci. Che cosa cambieresti della scuola? FLAVIA: Avrei cambiato i programmi, la testa di alcuni proff e assolutamente l’orario d’ingresso. ARIANNA: Abolirei il greco e inserirei una seconda lingua, farei cominciare la scuola alle 10.

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ECOFLORA E SOLARA

Ecoflora s.r.l. è un’azienda caratterizzata da un alto livello di specializzazione negli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di aree verdi, alberature stradali e piante monumentali, in ambito pubblico e privato. L’azienda fornisce progetti, consulenze e assistenza di cantiere per opere in ambiente urbano e naturale. I continui aggiornamenti tecnici e gli investimenti tecnologici hanno permesso a questa azienda nel corso degli ultimi anni di rispondere alla crescita qualitativa della domanda di prestazioni d’opera. Attraverso la pianificazione preventiva degli interventi attuata anche attraverso forme di Global Service, e ad un alto livello di meccanizzazione, l’azienda è in grado di rispondere alle molteplici esigenze di una moderna e dinamica gestione di servizi ambientali. Solara2 è un’azienda legata alla ricerca di una elevata qualità nell’installazione dei tappeti erbosi dei campi da calcio e non solo, degli impianti di irrigazione, indispensabili per la loro durata nel tempo, e dell’esigenza di curare in proprio e con personale specializzato i lavori di ingegneria ambientale, di sistemazione paesaggistica, di verde attrezzato e di arredo urbano.

Ecoflora s.r.l. e Solara2 hanno unito il loro know how per gestire il consorzio Axa. La continua acquisizione di tecniche innovative di giardinaggio e paesaggismo, la passione e la cura specialistica per gli alberi, la scelta dei macchinari più innovativi ed evoluti del settore hanno spinto queste aziende leader in Italia nei settori di competenza, ad una collaborazione con l’obiettivo di preciso di incrementare il pregio paesaggistico dell’Axa agendo sul verde stradale, dei giardini, dei parchi e delle aiuole. Attraverso personale specializzato e tecnici qualificati nelle diverse discipline la Solara 2 e l’Ecoflora vogliono rendere più vivibile il quartiere attraverso l’incremento dell’ordine, della pulizia e del senso del bello che deriva dal verde di arredo.

www.ecoflorasrl.it via Belluno 16, 00165 Roma Tel. 06.9147278, Fax 06.9147137

SOLARA2 via di Macchia Saponara n. 24, 00125 Roma Tel. 06 5211224


MODELLO SVITABILE M di Lorenzo Iervolino

a che bella giornata stamattina! Al solito m’accoglie la segretaria vamp con le calze a rete, stavolta però, le sorrido dal computer, senza alcun pensiero. Anche a mensa mi stupisco, di snobbar le tette della ragioniera, sbranando la frittata, con grandissimo appetito. La Giovanna del terzo piano, mi sfila accanto che è tutta coscia, mi guarda seria e io rispondo ancora con cinquanta denti nel sorriso, non sentendo, nei calzoni, neppure un miagolìo. Per un attimo mi vaga perso, un sottile dubbio nel capoccione: può essere affogata nei cerali la mia manìa, prima d’abbandonare l’uscio? E’ davvero una bellissima giornata, oggi pomeriggio! Fischietto sfilandomi la cravatta, quando un viso

giugno 07

d’angelo mi chiede l’ora, da sotto un caschetto biondo: io non sudo, io non tremo e non mi riesce neppure di desiderarle, quelle gambette bianche giovincelle, che dopo una giravolta, sotto la gonnina rossa, vedo saltellare via. Sorrido al volante soddisfatto e mi spingo fino al mare, senza sbavare neanche un goccio, per le donnine mezze nude che sono in vendita sulla via! Mi cambio, mi spettino, corricchio sulla riva, non ho neppure in dosso lo slip di contenimento, per l’alzabandiera malandrino, perché tutti questi corpi, per la prima volta, mi sembrano come il mare e come il cielo e, leggero, mi tuffo nell’acqua fredda. Con il sole sul viso e il sale in bocca, mi chiedo come posso esser posseduto da questa cordiale magia,

perché io ne sono certo che la rasatura e il caffellatte, erano gli stessi d’ogni mattina. Rincaso e mi sembra una giornata ancora splendida, stasera non esco, leggo un libro! M’infilo in cucina e rubo due uova al frigo. Poi, mentre scoppiettano in padella, torno fleshato sui miei passi: riapro il frigo e con un brivido d’angoscia, rammento, come uno schiaffo in faccia, un certo accorgimento, preso stamattina: allora allungo la mano nel fresco illuminato e ne traggo, con gli occhi già iniettati di sangue, l’oggetto abbandonato: spalanco la chiusura lampo e ben saldo lo riavvito, nel cespuglietto vuoto fra le gambe e sotto l’ombelico!

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Mail

da Andrea festina.lente@hotmail.it

Si, sono sempre Andrea, ho visto con piacere che mi avete pubblicato già due volte su due, grazie. Anche se a questo punto ho un dubbio, atroce. O sono il più fico e tra migliaia di mail che vi mandano scegliete la mia perché scrivo praticamente come John Fante oppure, dispiacere, non vi scrive un cazzo di nessuno. Voglio capire, può mai darsi che mi cominciate a pagare in futuro? Così finalmente potrei andarmene dal call center dove lavoro per fare qualcosa che mi piace. Vi dico solo che adesso faccio sempre la stessa cosa 6 ore al giorno 5 giorni a settimana + 2 sabati al mese a scelta (straordinario obbligatorio, che culo) per ben ben 5 euroni l’ora. Ti trovi alle nove di sera a chiamare la gente a casa per vendergli l’ultimo fantastico abbonamento telefonico del cazzo. -Buonasera sono Andrea di F+++++b, il gestore telefonico, posso parlare con chi si occupa del telefono? -MA CHI E’? CHI E’?!? STO MANGIANDO. -Ah è lei che si occupa del telefono. Senta volevo dirle che la sua zona è stata raggiunta dai servizi in banda larga di F+++++b, quindi può finalmente effettuare un distacco definitivo dal suo gestore attuale, non pagare più il canone e passare a noi. Le dico i piani tariffari? -MA VAFFF!!! MA COSA VUOLE DA ME, HANNO GIA’ CHIAMATO 15 VOLTE E HO DETTO SEMPRE CHE HO 77 ANNI, SONO

SOOOLO, NON MI CHIAMA NESSUNO E NON VOGLIO NIENTE. LASCIATEMI IN PACE!!! -Guardi che potrebbe risparmiare almeno 30 euro al mese, si rende conto della nostra offerta? -CLICK.TU-TU-TU. Direte che c’è di peggio, infatti. Il mio capo ha le tette rifatte e i denti sporgenti, se la sente calda perché dice che vende, è coercitiva e nessuno la scopa. Il suo vice è gay. Niente di strano, solo che non fa altro che provarci con chiunque, la sera fa le presenze nei night club e certe volte viene a lavorare ancora con il trucco addosso. Tutto questo è arricchito da una percentuale altissima di pseudodonne con forme strane e curve sbagliate. Che dire, sono solo un facile esempio del precariato di oggi e devo sentirmi fortunato perché almeno lavoro e devo pure dire grazie a chi mi paga. Comunque basta, non voglio fare il sindacalista, tanto la situazione la conoscete tutti. Avevo pensato una frase a effetto per concludere ma me la sono scordata, invece mi gira in testa un famoso detto medievale, quello che ha a che fare con l’ano dell’ortolano. Lo conoscete? Quello che dice “aò, gira gira va sempre a fini nell’ano dell’ortolano”. Non so voi, ma io un po’ ortolano mi ci sento. Con questa finezza vi saluto e ci becchiamo come al solito a Plaza Tripi.


giugno 07

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