Speciale progetto floris, studi e risultati

Page 1

Progetto

Floris, studi e risultati realizzato da

CRA-FSO

UnitĂ di Ricerca per la Floricoltura e le Specie Ornamentali

con la collaborazione di


Riflessioni sulla ricerca florovivaistica e dintorni Cristina Borghi, Marina Laura, Andrea Allavena adottate ed in particolar modo i materiali vegetali coltivati; questi ultimi sono costituiti e riprodotti prevalentemente all’estero e gravano ad ogni ciclo produttivo sui costi aziendali con le royalties per i diritti dei costitutori. Sebbene ogni intervento possa sembrare tardivo, nel medio e lungo periodo la ricerca pubblica e privata nazionale può ancora dare risposte e soluzioni ai problemi del florovivaismo, fatte salve alcune premesse: la ripresa immediata del finanziamento; il riconoscimento, al mondo della ricerca, del sostegno finanziario pubblico per sviluppare ricerche di base di livello internazionale che permettano di mantenere elevato il patrimonio di conoscenze necessario per affrontare rapidamente e con cognizione le problematiche applicative; la collaborazione pubblico/privato per identificare obiettivi strategici su cui impostare i progetti di ricerca; il coinvolgimento delle Aziende nei progetti volti al raggiungimento di obiettivi strategici; il finanziamento in toto da parte delle Aziende degli interventi su problematiche contingenti o di interesse specifico; la durata dei progetti di ricerca adeguata alla tipologia degli obiettivi (Es.: non è ragionevole finanziare un progetto di miglioramento genetico per tre anni). La possibilità di effettuare ricerche a tutto campo sarebbe ideale per il settore florovivaistico che è caratterizzato da un’infinità di specie e di prodotti. Considerata tuttavia l’attuale scarsa disponibilità di finanziamenti, si ritiene che la ricerca debba essere concentrata su specie e settori prioritari al fine di restituire competitività al comparto, rendendo le produzioni meno costose in termini generali ed in particolare riducendo i costi ambientali e di salute degli operatori del settore. A tal fine si ritengono prioritarie le linee di ricerca volte ad identificare specie adatte per la coltivazione nei microclimi mediterranei e renderle competitive nei confronti delle coltivazioni tradizionali ormai globalizzate. Su un numero selezionato di specie dovranno essere create le conoscenze di base per poter effettuare il miglioramento genetico con tecniche avanzate rese disponibili dagli studi nei settori della genetica e delle scienze “omiche” in genere; gli interventi applicativi saranno mirati alla costituzione di varietà con specifiche caratteristiche estetiche ed agronomiche. Inoltre dovranno essere messe a punto strategie per la razionalizzazione degli input della produzione (concimi, acqua, materiali plastici, energia termica, energia radiante, lavoro); particolare importanza sarà rivolta alla riduzione dell’impiego di presidi sanitari mettendo a punto metodologie di lotta integrata e biologica, induzione di resistenze, tecniche diagnostiche, risanamento, mantenimento e moltiplicazione in sanità delle varietà. Le produzioni di nicchia manifestano specifiche difficoltà al momento della commercializzazione a causa di numerosi fattori: scarsa conoscenza dei prodotti, modeste disponibilità, periodi di commercializzazione stagionali, novità. I sistemi convenzionali di commercializzazione a partire dalle grandi aste (Olanda) fino alle modalità basate su esportatori che operano su specifici mercati (Italia) potrebbero non trovare una sufficiente convenienza per inserire nuovi prodotti tra le loro specialità. Il mercato telematico potrebbe offrire una maggiore trasparenza tra offerta e domanda, favorire l’ingresso sul mercato dei nuovi prodotti e riattivare anche la commercializzazione di prodotti classici obliati per disinteresse.

FLORIS è uno degli ultimi progetti del settore florovivaistico in cui sono state affrontate attività relative alle collezioni di germoplasma, alla propagazione, al miglioramento genetico, alle tecniche colturali e alla difesa. Il contributo del progetto è solo una piccola goccia nel mare delle specie florovivaistiche e delle diverse problematiche che ciascuna specie pone. I principali risultati delle ricerche svolte e le novità prodotte dai sette gruppi di lavoro coinvolti nel progetto sono riportate nei successivi articoli. Al termine di un progetto di ricerca triennale, prorogato per altri due anni senza ulteriori aggravi di costi al fine di completare gli esperimenti e proseguire le attività nel settore del miglioramento genetico, sembra opportuno proporre alcune considerazioni sulla ricerca nel settore florovivaistico. La ricerca pubblica dovrebbe essere vista dalle Aziende come una fonte di conoscenza da cui attingere nei momenti di crescita del mercato, per migliorare le proprie prestazioni e nei momenti di difficoltà per evitare la stagnazione; ai tempi della maggiore espansione della floricoltura italiana la ricerca è stata al contrario considerata un elemento superfluo. Nonostante la rilevanza del florovivaismo (circa 6% del PIL agricolo), la ricerca pubblica del settore è stata considerata la “cenerentola” della ricerca nazionale con finanziamenti modesti, di breve respiro, privi di un profondo significato scientifico e di una strategia industriale; a conferma basta pensare alla maggiore valenza attribuita dai media e dalla classe politica, ad esempio, alla viticoltura che pesa in modo analogo sul PIL nazionale. Dalle Aziende la ricerca è stata spesso considerata autoreferenziale e rivolta a studi di base non in grado di dare risposte concrete alle problematiche specifiche. Solo negli anni recenti, con il settore in crisi, gli Enti di Ricerca sono diventati meta di esponenti del mondo produttivo florovivaistico in cerca di idee e di materiali che potessero sollevare da situazioni compromesse. A parte le innumerevoli richieste di “risanare” coltivazioni aggredite da patogeni, una delle domande frequente dei florovivaisti è stata “Cosa devo coltivare?”; da questa domanda si delinea il problema della scarsità di novità florovivaistiche, della trasparenza del mercato, dei costi di produzione, non solo di qualche realtà locale ma di tutto il settore. Purtroppo da un sistema di ricerca indebolito non ci si possono attendere contributi immediati e risolutivi; le risposte date sono comunque derivate dal frutto di esperienze di ricerca effettuate in progetti trasversali (non di settore) finanziati prevalentemente dal MiPAAF. Nel frattempo a livello europeo ed extraeuropeo le attività di ricerca sono continuate sia a livello pubblico sia, in particolar modo, a livello privato ad opera sia di piccoli Imprenditori sia di grosse Aziende, prevalentemente multinazionali. Queste ultime hanno monopolizzato le innovazioni in campo florovivaistico sia con la ricerca intramurale, tecnologicamente avanzata, sia con l’acquisizione delle piccole Aziende di breeding, detentrici di materiali vegetali derivati da anni di miglioramento con metodi tradizionali, attaccamento al lavoro e spirito creativo. A livello nazionale solo alcune Aziende hanno investito, in modo innovativo, sulla costituzione varietale e sui settori collegati; altre, forse la maggior parte, è rimasta ancorata ai metodi di miglioramento genetico tradizionali. Il florovivaismo italiano soffre, di conseguenza, come o forse più di altri settori agricoli, di una cronica dipendenza dall’estero per quanto riguarda le tecnologie II


Automazione irrigua avanzata per il verde pubblico e le produzioni vegetali Enrico Farina*, Carla Dalla Guda*, Caterina Allera* Giovanni Rosso**, Alessandro Soracco** *CRA FSO, Sanremo - **Rinnovando s.r.l., Como Introduzione L’acqua non è una risorsa inesauribile: sprechi, inquinamento, siccità e, in generale il suo peggioramento in quantità e qualità, stanno inducendo una competizione sempre più accentuata tra uso in campo agricolo e consumo nei settori civile e industriale. Una corretta gestione delle risorse idriche in agricoltura al fine di ottimizzare i consumi è quindi diventato fondamentale.Il progetto Floris nella parte dedicata alla automazione ha affrontato il tema dell’irrigazione con una tecnologia in grado di garantire l’apporto di acqua solo nel momento di effettiva necessità della coltivazione. Va ricordato che nel settore delle ornamentali la perfezione del prodotto è essenziale per un buon esito commerciale; è quindi fondamentale che la coltura non sia sottoposta ad alcuno stress idrico per presentarsi sul mercato senza alcun difetto estetico. Il coltivatore inoltre affidandosi ad automazione irrigua razionale potrebbe risparmiare il tempo che dedica alle pratiche di irrigazione e al controllo dello stato idrico della coltura in quanto già oberato da trattamenti antiparassitari, operazioni di raccolta, confezionamento e di commercializzazione. Il progetto Floris ha affrontato il tema “irrigazione” considerando alcuni contesti della realtà florovivaistica e dell’arredo urbano: coltivazione di rose in fuori suolo, di arbusti in piena terra a diverse condizioni climatiche, superfici erbose per giardino, pannelli di coltivazione verticali. Nelle prove effettuate possiamo distinguere 2 fasi: la I fase effettuata in laboratorio e volta alla scelta di sensori per idrologia a basso costo che garantissero una buona affidabilità anche in substrati utilizzati in fuori suolo come pomice, agriperlite o fibra di cocco; la II fase in campo con test dei sensori preferenzialmente a basso costo per una gestione automatizzata e con utilizzazione di soluzioni tecnologiche adatte a varie condizioni locali. La casistica ha permesso di valutare tali tecnologie che si sono rivelate innovative e poliedriche e che potrebbero essere applicate in campi che spaziano dalla gestione irrigua automatizzata di parchi e giardini pubblici a quella di aziende floricole e vivaistiche. Naturalmente questa innovazione si deve accompagnare a un mutamento e a una crescita importante nelle conoscenze e nelle competenze del coltivatore.

ricevono riflessa e perturbata dalle proprietà dielettriche della linea di trasmissione. Se la linea di trasmissione è nel terreno agrario o nel substrato di coltivazione la perturbazione di gran lunga maggiore è determinata dall’acqua presente, in conseguenza della sua elevata costante dielettrica. La risposta della sonda, espressa in mV è funzione del contenuto idrico del substrato stesso, con un valore in mV che aumenta al crescere del contenuto idrico nel terreno. Tali sensori sono utilizzabili per monitorare il contenuto idrico di un substrato di coltivazione. Le sonde utilizzate nella ricerca sono state la Aquaflex (Streat Instruments Ltd, New Zealand) , la SM 200 (Delta T Devices, UK), la ML 2x (Delta T Devices, UK), la 10 HS (Decagon, USA); la VG 400 e la HF 400 (Vegetronix, USA) (Fig. 1). SCHEDE ELETTRONICHE Le schede elettroniche utilizzate (Rinnovando s.r.l.) sono dotate di molteplici ingressi per input da sensori nel range 0-5 Vcc, (per umidità, temperatura di terreno, aria, acqua, velocità del vento, ecc). Tali schede possiedono almeno 4 relays elettromeccanici per l’azionamento elettrico di impianti e dispositivi (es. pompe irrigue, elettrovalvole, dosatori e pompe ad iniezione, ventilatori, ecc.); nel nostro caso i relays hanno consentito la gestione delle EV di apertura dell’impianto irriguo e talora di una pompa. Le schede si connettono a dispositivi di trasmissione dati. MODALITÀ DI TRASMISSIONE DATI E SOFTWARE DI GESTIONE I valori di input dalle sonde, trasformati in dati analogici, sono poi trasmessi via modem (es., sms), via wi-fi oppure tramite una porta ethernet ad una unità di processo (server) dotata di una piattaforma software ‘Agrimonitoring’. Questa raccoglie tutti i dati di monitoraggio dei sensori in un archivio storico disponibile per interrogazione o elaborazione in formato grafico; i dati in ingresso vengono anche elaborati secondo processi di logica decisionale per dare eventualmente corso tramite relè a comandi per EV o pompe, determinando così irrigazioni secondo procedure definite dall’utente nel software stesso (modalità di irrigazione: volumi di acqua, frazionamento dell’intervento in quote o in settori). I valori di setpoint sono determinati su base empirica osservando le condizioni di disponibilità di acqua del substrato e scegliendo il valore di monitoraggio corrispondente alla condizione idrica minima desiderata.

TECNOLOGIE UTILIZZATE: Gli elementi della tecnologia utilizzata sono organizzati nel seguente schema generale: SONDE FDR Le sonde FDR (Frequency Domain Reflectometry) emettono un’onda elettromagnetica lungo una linea di trasmissione, la

ATTIVITA - FASE I: test di affidabilità di sensori FDR PROVE IN LABORATORIO In laboratorio sono state eseguite valutazioni comparative di alcuni sensori della classe FDR utilizzabili per il monitoraggio del contenuto idrico del terreno, allo scopo di individuare sensori a basso costo ma di sufficiente affidabilità ai fini della gestione III


Sonda Aquaflex

Sonda 10 HS

Sonda VG 400 Sonda SM 200

Sonda ML2x

Fig 1. Vari tipi di sensore utilizzati nel corso dell’attività.

di interazione con la scheda in uso la meno indicata sembra invece la sonda SM 200, risultata più sensibile alle variazioni di valore di monitoraggio a breve termine. Il sensore può essere utilizzato comunque con buona performance attraverso medie mobili dei valori di monitoraggio; questa azione può infatti essere impostata come opzione nel programma Agrimonitoring. Il grafico generato dalla media mobile dei valori registrati dalla sonda SM 200 su 6 dati (i dati rilevati in un’ora, ma le frequenze di monitoraggio potrebbero essere anche maggiori, diminuendo il tempo di accumulo di 6 dati) può essere assimilato a quello generato dalla sonda Aquaflex; la media mobile ha permesso di eliminare le oscillazioni più ampie che avrebbero reso più complessa l’impostazione del setpoint. Sono invece risultate ugualmente attendibili, nonostante si tratti di sensori a basso costo, la Vegetronix VG 400 e la Vegetronix HF 400. Si è tuttavia scelto, per le prove in campo la Vegetronix modello HF in quanto meno disturbata da variazioni di corrente sulla linea elettrica principale (Fig. 3).

idrica. Le prove eseguite hanno visto il confronto tra contenuto idrico del substrato (ottenuto per misurazione gravimetrica), e il corrispondente ddp (mV) registrato dalle sonde. Le prove sono state eseguite su substrati incoerenti: Agriperlite, fibra di cocco e pomice. I dati raccolti per ogni sensore hanno permesso di determinare una serie di funzioni matematiche y=f(x) che esprimono la relazione tra il dato di sonda e quello di contenuto idrico v:v (ricavato dai dati gravimetrici). Il coefficiente di correlazione (r2) è risultato per qualsiasi sensore superiore a 0.9 (es, Fig. 2). Una volta valutate in laboratorio le performance delle sonde in substrati per fuori suolo si è passati al test in campo degli stessi. PROVE IN UN SISTEMA DI ALLEVAMENTO FUORI SUOLO DI ROSE In questa fase di sperimentazione svolta su rose allevate in fuori suolo su fibra di cocco:pomice all’origine 50:50 in volume si è scelto di testare in modo comparativo i trend di monitoraggio dei diversi sensori affidando la gestione irrigua, a turno, ad un sensore e lasciando gli altri 3 in monitoraggio. Dalla valutazione dei diversi sensori in campo è emerso che, a) tutti i sensori sono in grado di segnalare con il loro monitoraggio le variazioni di contenuto idrico determinatesi nel substrato; b) la sonda Aquaflex (più costosa rispetto alle altre), ha evidenziato grande stabilità di monitoraggio a breve termine rispondendo comunque in modo puntuale alle mutate condizioni di contenuto idrico del substrato a seguito delle irrigazioni. La Aquaflex con la sua forma a nastro effettua, ogni volta, una misura risultato di una media di situazioni idriche differenti esistenti lungo il suo sviluppo in lunghezza; ciò limita l’ampiezza e la frequenza delle oscillazioni dei valori registrati. Nelle condizioni

ATTIVITÀ – FASE II Gestione irrigua di prato ed arbusti presso il CRA-FSO Un piccolo appezzamento di terreno di circa 50 m2 è stato seminato a prato vicino ad alcune arbustive costituite da varie specie di viburno (a foglia caduca) e Photinia (sempreverdi ma abbastanza resistenti a ridotta disponibilità idrica); i due appezzamenti sono stati gestiti da un sensore ML2x per quanto riguarda il prato e da una sensore Vegetronix 400 HF per le arbustive. La gestione separata è stata garantita da un impianto di irrigazione dotato di 3 elettrovalvole: 1 elettrovalvola per il prato e 2 per le arbustive, distinte in settori irrigui separati. La pressione dell’acqua era tale da poter evitare l’uso di una pompa. La semina del prato è stata effettuata ai primi di aprile con un mix commerciale di Festuca arundinacea e Poa pratensis; l’irrigazione del prato avveniva tramite irroratori a farfalla con getto a 180° distribuendo circa 400 ml di acqua/m2 a intervento; l’irrigazione delle arbustive avveniva con erogatori a goccia e distribuendo 500 ml di acqua in 5 minuti di intervento e utilizzando 1 o 2 erogatori/pianta a seconda delle sue dimensioni. Il sensore era posto in modo da poter risentire dell’avvenuta irrigazione. L’unità locale di gestione irrigua utile per l’automazione di un giardino o di un parco pubblico (MONIcube) può essere interrato nel prato (Fig. 4) in modo tale da non poter essere disturbata né casualmente né volutamente se non con una certa difficoltà. Il MONIcube è costituito da una scatola stagna in cui è allocata una batteria tampone ad alta capacità per assicurare l’energia elettrica, una scheda a

Fig 2. Test comparativo su Agriperlite di tre tipi di sonde FDR (calibrazione in laboratorio). IV


Fig 3. Test su fibra di cocco:pomice di 4 tipi di sonde FDR; le Aquaflex, SM 200, Vegetronix HF sono in monitoraggio passivo.

delle piante ha influenzato la partenza delle irrigazioni: gli interventi irrigui, nulli a dicembre-gennaio, sono così ricominciati alla fine di febbraio colla ripresa vegetativa dei Viburni. Se confrontiamo le gestioni irrigue determinate dall’uso di due sonde diverse, una la Vegetronix HF 400 (quella del test in oggetto su arbusti quali Viburni e Photinia) e l’altra la ML2X (a servizio di una collezione di Viburni pure presso CRA-FSO), sonde che hanno gestito piante in areali contigui, si nota che la frequenza degli interventi irrigui varia allo stesso modo in relazione alle temperature e ai mm di pioggia. Si osserva che date di irrigazioni per lo più coincidano nei due appezzamenti; questo a confermare la equivalente funzionalità delle 2 sonde diverse che rispondono nello stesso modo a piante con esigenze simili. Se invece paragoniamo gli interventi irrigui del prato (sempre sonda ML2x) e degli arbusti (Vegetronix VH 400), si nota che i due sensori hanno servito i due appezzamenti in accordo ad effettive esigenze idriche differenziate, determinando ad esempio nello stesso periodo frequenti interventi irrigui nel prato (anche più volte/giorno) e invece interventi ogni due-tre giorni agli arbusti. Fase II. Gestione irrigua di Arbustive a grande distanza L’esperienza con trasmissione GSM nel prato e arbusti fatta all’interno dell’azienda del CRA-FSO e il precedente utilizzo di un pannello solare per la gestione della collezione dei Viburni, sempre presso il CRA-FSO, sono stati propedeutici alla automatizzazione irrigua della Collezione di arbustive, sopratutto Viburni a Vezzanelli di Zignago (SP), in un’area situata a 170 Km in linea d’aria da Sanremo (240 Km di strada) e non servita da energia elettrica di rete. Il modulo di gestione è simile per dispositivi al MONIcube precedentemente descritto ma in questo caso è fissato in alto su un palo, sotto un pannello solare. L’alimentazione elettrica è stata infatti

quattro relè abilitata all’ottimizzazione dei consumi energetici, connessa a modem GSM. La scheda era collegata ad un modem in cui una sim, tramite sms, trasmetteva i dati di contenuto idrico delle sonde al software dedicato sull’Unità di processo (Server) e da tale software riceveva l’eventuale comando di attivare l’irrigazione tramite i relays in dotazione. Per quanto attiene i risultati ottenuti per il prato, come si può vedere in Tab. 1 i quantitativi irrigui variano da 4,4 a 6,5 l/m2/giorno; dati in accordo con quelli in letteratura tecnica ove si prevedono da 5 a 8 l/m2/giorno per la corretta gestione irrigua. Il prato ha mantenuto il suo aspetto decorativo verde e rigoglioso (Fig. 5); la gestione irrigua automatizzata con sonda è stata modulata dalle piogge che, quando verificatesi, hanno ridotto la frequenza delle irrigazioni. È stata garantita anche crescita e sviluppo delle arbustive; la presenza della sonda ha registrato l’apporto irriguo delle piogge diminuendo la frequenza delle irrigazioni mentre l’aumento delle temperature ha amplificato il numero degli interventi; anche lo stato fenologico

Tab. 1. Gestione irrigua del prato - Apporti quindicinali di acqua – Periodo maggio-luglio

Fig.4 - MONIcube per gestione irrigua di prato ed arbusti in cui sono visibili scheda elettronica e modem GSM. V

II quindicina Maggio

17 interventi

4,0/L/m2/giorno

I quindicina Giugno

20 interventi

5,2/L/m2/giorno

II quindicina Giugno

22 interventi

5,7/L/m2/giorno

I quindicina Luglio

25 interventi

6,5/L/m2/giorno


l’irrigazione è avvenuta tramite una classica centralina a calendario che effettuava 4 irrigazioni giornaliere a distanza di 3 ore a partire dalle ore 9:40 lasciando i sensori in monitoraggio passivo. In una seconda fase, attivata a partire dal 13 gennaio, siamo passati alla gestione automatizzata tramite sonda. In questo caso la trasmissione dei dati tra scheda e Unità di processo è avvenuta tramite cavo ethernet, vista la vicinanza dei due dispositivi. Per l’irrigazione automatizzata è stato fissato come set point il valore minimo di contenuto idrico registrato durante l’irrigazione temporizzata per uno dei due sensori; il secondo sensore è stato lasciato in monitoraggio passivo. Gli interventi giornalieri determinatisi in automatico sono stati da 1 al massimo 2 con produzione del 37% di drenato. Si può facilmente arguire che nella gestione “su base empirica”, a calendario, si sarebbe ottenuta una produzione altissima di drenato, stimabile attorno al 90%. Con la nostra automazione irrigua basata su sensori si è invece ottenuta una vegetazione rigogliosa sui pannelli verticali (Fig. 6 - 7), con un netto risparmio nell’uso dell’acqua.

Fig.5 Prato in gestione irrigua automatizzata; il sensore è in prossimità dell’imbuto utile a determinare l’ acqua erogata

assicurata da un pannello solare di superficie adeguata collegato ad una batteria per l’accumulo di energia utile ad alimentare il modem, la scheda e le 3 elettrovalvole necessarie ad irrigare separatamente 3 settori. Non si è resa necessaria una pompa in quanto la pressione dell’acqua proveniente da una sorgente ad altezza maggiore del punto di utilizzo era di circa 2,5 Atm. In questo caso si è scelto di procedere mediante step successivi in modo da valutare l’efficacia del sistema anche in condizioni di gestione irrigua di base da remoto. In un primo periodo si è così gestita l’irrigazione inviando da cellulare sms di comando apertura delle singole elettrovalvole; la scelta di irrigare dipendeva dal monitoraggio dei dati di pluviometria disponibili da web. In un secondo tempo si è passati alla messa in campo di una sonda FDR Vegetronix 400 HF, valutata nelle prove precedenti come attendibile e a basso costo, collegata alla scheda elettronica: la trasmissione di dati e comandi è avvenuto come per il prato e le arbustive in modalità GSM. Con questa fase è stato pure individuato un setpoint da utilizzare per la fase finale di test di automazione irrigua. Le irrigazioni in automatico sono partite nel mese di marzo, anche in questo caso nel momento in cui le piante cominciano a vegetare, e sono proseguite con una certa frequenza sino al mese di giugno, causa protratta mancanza di piogge. In seguito gli interventi irrigui attivati in automatico ma non seguiti da un innalzamento del valore di monitoraggio (maggior contenuto idrico del terreno) hanno permesso di allertare personale residente vicino la Collezione sulla opportunità di alcuni controlli, con verifica del disseccamento della sorgente che forniva di acqua il sito della collezione. È stato a questo punto necessario provvedere localmente ad interventi irrigui di soccorso (autobotti). Questa esperienza tenutasi nella zona preappenninica in provincia di La Spezia ha consentito di sperimentare l’efficacia del sistema a garantire le esigenze irrigue anche a grandi distanze dal suo punto di reale gestione. Il sistema è risultato in grado di gestire l’irrigazione a distanza con l’ausilio del solo pannello solare per la fornitura elettrica e ha garantito lo sviluppo e la crescita delle piante della collezione anche durante la stagione più calda fornendo adeguatamente l’irrigazione e consentendo infine di segnalare rischi di protratta carenza idrica per cause eccezionali.

L’attività è stata svolta nell’ambito del Progetto FLORIS (finanziamento MiPAAF).

Fig.6 - Pannelli Perliwall per coltivazione in verticale. Irrigazione automatizzata da sensore, scheda connessa ethernet e software Agrimonitoring.

Fig 7. Fioritura progressiva di due specie di Campanula allevate su pannelli Perliwall.

Fase III. Gestione di pareti verdi L’esperienza presso il CRA-FSO ha visto l’impiego di pannelli Perliwall, proposti per la creazione di pareti verdi, in cui sono state disposte piantine di Campanula sp., Lantana montevideensis cvs. e Chlorophytum comosum. Sono state utilizzate 2 sonde Vegetronix HF 400 inserite nel pannello ad altezza diversa. In una prima fase

Schema di tecnologia per automazione irrigua a lunga distanza -Sito Vezzanelli (SP). VI


Sviluppo e messa a punto di un sistema di allarme per le principali fitopatie della rosa Angela Teani, Silvia Pacifici, Sonia Cacini, Jacopo Mori, Giovanni Minuto*, Gianluca Burchi Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura - CRA-VIV Unità di Ricerca per il Vivaismo e la Gestione del Verde Ambientale ed Ornamentale, Pescia (PT) * CeRSAA Centro di Sperimentazione ed Assistenza Agricola, Albenga (SV) Introduzione L’importanza economica del settore florovivaistico, la necessità di rendere sempre più efficienti i sistemi colturali, di ridurre gli input energetici e di minimizzare l’impatto ambientale (Reg. 128/2009/CE-Dir. 1107/09/CE) rendono interessante la possibilità di sviluppare ed applicare sistemi di allarme relativi allo sviluppo di malattie di specie ornamentali. Nel settore florovivaistico non sono stati ancora sviluppati sistemi di allerta completi applicabili alla previsione ed al contenimento delle fitopatie. Alcuni tentativi sono stati proposti solo per l’agente del mal bianco della rosa (Sphaerotheca pannosa var. rosae), per il quale sono stati effettuati in passato degli studi di applicabilità di modelli non lineari. L’attività di sperimentazione in oggetto si colloca in questo ambito con lo scopo di mettere a punto un sistema di allerta per i principali agenti patogeni della parte aerea di alcune varietà appartenenti al genere Rosa impiegate come arbusti fioriti. Il sistema si è avvalso di un apparato di raccolta dei principali parametri meteorologici correlabili all’insorgenza dei principali agenti patogeni della Rosa quali Sphaerotheca pannosa var. rosae, Diplocarpon rosae e Botrytis cinerea. Tale apparato, sviluppato in collaborazione con la ditta Rinnovando s.r.l. (http://www.rinnovando.it), è stato dotato di sonde meteorologiche (temperatura dell’aria, umidità relativa dell’aria, bagnatura fogliare, umidità del terreno, velocità del vento) collegate ad un sistema di trasmissione dati wireless raccolti da un software dedicato (Agrimonitoring) consultabile in tempo reale. Con la collaborazione del CeRSAA di Albenga (SV), è stato possibile mettere a punto il disegno sperimentale della prova che si è articolato nei seguenti step: • raccolta di informazioni bibliografiche relative alla biologia ed epidemiologia delle principali alterazioni fogliari della rosa; • individuazione dei parametri climatici critici su cui indirizzare le rilevazioni utili ai fini della messa a punto di un sistema di allerta; • individuazione dei parametri fenologici della coltura critici su cui indirizzare le rilevazioni utili ai fini della messa a punto del sistema di allerta; • preparazione di protocolli per la raccolta dei dati necessari alla validazione di campo del sistema di allerta così realizzato; • consulenza nella fase di validazione di campo. Nello specifico, le attività del CRA-VIV quale Unità operativa deputata alla conduzione della sperimentazione hanno previsto: • ricerca bibliografica; • individuazione delle specie da utilizzare (genere Rosa) e reperimento del materiale di propagazione;

• individuazione e studio degli agenti patogeni tipici della rosa: Botrytis cinerea (Botrite), Diplocarpon rosae (Ticchiolatura), Sphaerotheca pannosa var. rosae (Oidio); • definizione del layout sperimentale (basato su un approccio Standard EPPO) ed avvio dei confronti tra le diverse varietà e/o cultivars individuate; • valutazione delle risposte delle piante relativamente all’andamento climatico ed alla comparsa di agenti patogeni; • monitoraggio dell’andamento dei parametri climatici e loro trasferimento al software di gestione in modalità wireless; • analisi dei risultati intermedi e ottimizzazione del protocollo sperimentale; • valutazione dei risultati ottenuti. Materiale Vegetale Nella primavera 2010 sono state individuate dieci varietà di Rosa importanti da un punto di vista commerciale, fornite dalla ditta Nino Sanremo, idonee alla produzione di arbusti fioriti e dotate di un diverso grado di suscettibilità agli agenti patogeni della rosa. Sono state quindi selezionate e messe in prova le seguenti varietà: ‘Matthias Meilland’: a fiore rosso, altezza piante 70-80 cm, fiori raggruppati ‘Cosmos’: a fiore bianco puro, altezza piante 80-120 cm, fiori molto grandi ‘Iceberg’: a fiore bianco puro, altezza piante 120 cm, estremamente rifiorente ‘Comptesse du Barry’: a fiore giallo limone, altezza piante 6080 cm, fiori a grappoli ‘R. bengala comune’: a fiore rosa variegato, altezza piante 150 cm ‘Rose d’Or d‘Antibes: a fiore giallo intenso, altezza piante 6080 cm ‘White Meidland’: a fiore bianco neve, altezza piante 50-80 cm, portamento strisciante ‘Frangrans’: a fiore arancio ramato, altezza piante 30 – 40 cm, rosa nana ‘Pink Meillandina’: a fiore rosa salmone, altezza piante 30 – 40 cm, rosa nana ‘Celementine Meillandina’: a fiore arancio ocra, altezza piante 30 – 40 cm, rosa nana Quaranta piante per varietà sono state suddivise in quattro replicazioni disposte nel campo sperimentale secondo uno schema randomizzato a blocchi in un campo sperimentale precedentemente spianato, livellato e dotato di telo pacciamante ricoperto da uno strato di ghiaia bianca di diametro 2 cm (Fig.1).

VII


Fig.2 Dettaglio delle sonde meteorologiche collocate al centro del campo sperimentale in prossimità delle piante in vaso (soprachioma e/o sotto-chioma).

Fig.1 Il campo sperimentale del CRA-VIV Pescia, con disposizione della stazione meteorologica e delle piante di rosa in vaso provviste di sistema di irrigazione a goccia (1-2 gocciolatori per vaso) e disposte su terreno pacciamato e ricoperto di ghiaia.

Sphaerotheca pannosa var. rosae Temperatura media di 20°C, con range tra 18°C e 25°C; umidità relativa media del 70% con range tra 65% e 85%; ventosità superiore a 2 m/s ed assenza di pioggia battente. Diplocarpon rosae Range di temperatura media tra 10°C e 15°C; umidità relativa media fra l’80% e il 100%; persistente bagnatura fogliare. Botrytis cinerea Umidità relativa prossima alla saturazione e prolungata

Il campo è stato dotato di impianto di irrigazione a goccia con un capillare per ogni pianta. Dopo un anno dall’avvio della prova le piante sono state trasferite in vasi di maggiori dimensioni (22 cm) e l’impianto d’irrigazione è stato ampliato aggiungendo un ulteriore capillare. Al centro del campo è stata disposta una parcella mista (una pianta per varietà) al centro della quale è stata collocata una stazione meteo dotata di sensori in prossimità delle piante (Fig.2): • temperatura dell’aria in corrispondenza della chioma e sotto la chioma delle piante; • umidità relativa dell’aria sopra la chioma e sotto la chioma delle piante; • umidità del substrato di coltivazione; • velocità del vento; • bagnatura fogliare. I dati rilevati sono stati raccolti quotidianamente ogni 10 minuti e trasmessi, mediante un sistema wireless, ad un PC dotato di software ‘Agrimonitoring’ (Fig.3) situato negli uffici del CRA-VIV. Condizioni meteorologiche ottimali per la diffusione dei patogeni Sulla base di quanto disponibile in letteratura, sono stati definiti i principali parametri climatici favorenti lo sviluppo e la diffusione dei patogeni. A tale proposito, occorre segnalare che le informazioni reperite sono spesso risultate vaghe, incomplete e, talvolta, contraddittorie; nei casi più controversi, è stata fatta una valutazione legata all’esperienza agronomica e fitopatologica del gruppo di lavoro

Fig.3 Esempio di funzionamento del software Agrimonitoring (by Rinnovando s.r.l.).

VIII


Fig.4 Grafico relativo all’incidenza dei diversi patogeni (score da 0 a 10) rilevata su ogni varietà di Rosa presente nel campo sperimentale. Per ogni patogeno esaminato viene evidenziata la varietà risultata maggiormente suscettibile e quella maggiormente tollerante alla malattia

Fig.5 Grafici dell’andamento degli attacchi di Oidio sulla varietà più suscettibile e su quella più tollerante alla malattia, rilevati nel periodo primaverile dei tre anni di prova (2011, 2012, 2013)

isolamenti in purezza dei patogeni non obbligati al fine di verificare l’effettiva presenza del patogeno.

bagnatura fogliare. Le spore germinano in condizioni di scarso irraggiamento solare (preferibilmente nelle ore notturne) ed il tempo necessario alle spore per germinare è di circa 8h.

Elaborazione dello strumento previsionale Il sistema previsionale è stato impostato partendo dall’identificazione delle condizioni meteorologiche maggiormente favorevoli allo sviluppo delle fitopatie in esame. Sono stati osservati gli andamenti di ciascuna malattia sulle diverse varietà in esame e sono state identificate, in base alla valutazione dell’incidenza campo, le varietà più suscettibili e più tolleranti per ogni patogeno (Fig.4). La correlazione clima-malattia è stata osservata concentrando l’attenzione sulle condizioni meteo verificatesi nel periodo precedente alla manifestazione della malattia (comparsa dei primi sintomi).

Protocollo di raccolta dati fitopatologici I rilievi fitopatologici sono stati effettuati a cadenza settimanale nel 2010 (messa a punto del sistema); dal 2011 al 2013 i dati raccolti nel corso dei rilievi sono stati inseriti all’interno del sistema previsionale. A ogni parcella veniva attribuito un punteggio da 1 a 10 relativamente alla crescente gravità dell’incidenza di ogni malattia in esame. Periodicamente, al rilievo visivo sono stati affiancati rilievi microscopici e

Risultati Sphaerotheca pannosa var. rosae Le osservazioni effettuate dal 2011 al 2013 su due varietà selezionate (‘Matthias Meilland’, sensibile, e ‘White Meidland’, tollerante, Fig.4) hanno permesso di determinare che la comparsa della malattia, coi primi sintomi visibili, è da ricondurre al periodo che intercorre tra l’ultima settimana di Aprile e la prima settimana di Maggio. Non è stato riscontrato un andamento costante e ripetuto nel corso del triennio in esame, pertanto sono state fatte delle

Fig.6 Condizioni meteorologiche (Temperatura, Umidità, Ventosità, Bagnatura fogliare) rilevate nei tre anni di prova (2011, 2012, 2013). IX


causare la colonizzazione dei tessuti, in condizioni ambientali favorevoli al patogeno. Infine, sarebbe bene evitare anche la raccolta dei fiori se si hanno condizioni favorevoli alla diffusione del patogeno. In presenza di varietà suscettibili a B. cinerea è necessario definire una strategia di lotta capace di prevenire gli attacchi. Fattori climatici limitanti Questi tre anni di osservazioni hanno permesso di determinare alcuni fattori climatici limitanti lo sviluppo e la diffusione dei patogeni, come ad esempio il rallentamento dell’evoluzione delle malattie in presenza di temperature costantemente superiori a 30°C, che hanno reso scarsamente o affatto influenti sulla diffusione dei patogeni anche condizioni prolungate di elevata umidità relativa dell’aria. L’assenza di piogge e la luminosità molto elevata risultano inoltre particolarmente influenti nell’abbattimento della diffusione di Botrite e Ticchiolatura.

Fig.7 Grafici dell’andamento degli attacchi di Ticchiolatura sulla varietà più suscettibile e su quella più tollerante alla malattia, rilevati nel periodo primaverile dei tre anni di prova (2011, 2012, 2013)

valutazioni relative agli andamenti della malattia in ciascun periodo osservato. In merito alle osservazioni effettuate nella primavera del 2011 e del 2012 (Fig.5), la presenza di una ventosità con velocità superiore a 2 m/s e una bagnatura fogliare mai superiore a 12 ore/giorno nell’arco dei 2-4 giorni precedenti la manifestazione dei sintomi sembrano essere i fattori critici. Nella primavera del 2013, invece, non si sono verificate le condizioni ottimali per la manifestazione della malattia e solo la varietà sensibile ‘Matthias Meilland’ ha mostrato alcuni leggeri sintomi in concomitanza con la mitigazione del clima e con il leggero innalzamento delle temperature a metà Maggio (Fig.5). Intorno alla fine di Aprile si era comunque rilevata la presenza di alcune bollosità su foglie giovani di ‘Matthias Meilland’, per cui si può ritenere che il fungo sia rimasto in fase di latenza per circa 15–20 gg prima di evadere. Diplocarpon rosae Il comportamento di tale patogeno riscontrato sulle due varietà selezionate (‘Rose d’Or’, sensibile, e ‘White Meilland’, tollerante, Fig.4) è risultato piuttosto constante nel corso dei tre periodi osservati (Figg.6-7) ed è stato possibile rilevare come condizioni prolungate di temperatura medio bassa e di elevata umidità relativa (medie superiori all’80%), associate a prolungata presenza di bagnatura fogliare (superiore a 12 ore/ giorno) nei 4 giorni precedenti il manifestarsi dei primi sintomi della malattia, sembrerebbero essere i fattori critici per la diffusione del patogeno. Botrytis cinerea Le condizioni ideali per lo sviluppo della Botrite si sono dimostrate sempre presenti nel campo, rendendo così complessa l’identificazione del fattore/i climatico/i scatenante/i . Dall’analisi dell’andamento della malattia nel tempo sulle varietà selezionate (‘Rosa bengala comune’, sensibile, e ‘Matthias Meilland’, tollerante, Fig.4), è stato possibile identificare nella varietà ‘R. bengala comune’ una pianta spia in grado di manifestare precocemente i sintomi della fitopatia. Sulla base di questa osservazione, risulta pertanto opportuno adottare alcune pratiche colturali atte a contenere il patogeno su rose come la varietà ‘bengala’ che, se coltivate in giardino, possono costituire un veicolo per la diffusione del patogeno nel roseto. Inoltre è consigliabile evitare interventi di potatura alla comparsa dei primi sintomi sui fiori in quanto il taglio può

Considerazioni finali L’attività svolta si inserisce in un percorso già indagato da molti ricercatori nel settore delle colture orticole e frutticole, ma l’approccio in floricoltura risulta particolarmente complesso sia per la notevole ricchezza di cultivar e selezioni di una determinata specie, sia per il fatto che le specie ornamentali sono numerosissime e sono state poco indagate nel passato, sia per il fatto che, su una coltura ornamentale, la soglia di percezione dell’alterazione come un danno per la coltura è prossima a zero. Questo tipo di indagine appare lunga e complessa, e questa attività sperimentale rappresenta comunque un approccio da approfondire con ulteriori studi. L’indagine è stata resa difficoltosa anche dal fatto che l’area geografica in cui è stata svolta la sperimentazione presenta condizioni climatiche estremamente favorevoli all’insorgenza di molte fitopatie, con ripetuti eventi di elevata umidità, persistente bagnatura fogliare e sbalzi termici repentini ed elevati. Nonostante ciò, si sono ottenuti risultati molto promettenti, in linea con le attese scaturite dall’analisi dei dati reperiti preventivamente in letteratura. Tuttavia, per la messa a punto e la validazione del metodo, si renderebbe necessario innanzitutto prolungare nel tempo la sperimentazione, al fine di avere una casistica statisticamente significativa, e poi prevedere l’allestimento di un campo di controllo in un’area climatica differente. Ringraziamenti Si ringraziano l’Ing. Giovanni Rosso, della ditta Rinnovando S.r.l., ed il Dr. Enrico Farina, del CRA-FSO di Sanremo, per la preziosa collaborazione nell’allestimento e messa a punto del sistema di monitoraggio, rilevamento, registrazione e trasmissione wireless dei dati meteorologici utilizzato nella prova. L’attività è stata svolta nell’ambito del Progetto FLORIS (finanziamento MiPAAF).

X


Valutazione dell’efficienza di sistemi a tecnologia avanzata ed altamente informatizzati per il controllo del micro-clima all’interno della serra Giovanni Gugliuzza, Pierantonio Maggiore, Ignazia Altobello e Giuseppe Talluto Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura - Unità di Ricerca per il Recupero e la Valorizzazione delle Specie Floricole Mediterranee (CRA SFM). Il sistema serra Una serra può essere considerata come un sistema per captare e trattenere il calore del sole. In altri termini, la serra non è solamente una protezione dal clima e dalle avversità atmosferiche per le piante in essa coltivate, ma un vero e proprio collettore solare che contribuisce ad ottimizzare gli apporti di luce e di calore. In questo senso, la capacità di utilizzare l’energia solare dipende innanzitutto dalle caratteristiche del luogo in cui la struttura viene realizzata (orientamento, pendenza del terreno, altezza sul livello del mare, presenza di difese naturali) e dalle caratteristiche climatiche (temperatura, ventosità, radiazione luminosa, ecc.). Tali aspetti devono essere considerati in funzione delle esigenze delle colture che si desidera effettuare e di considerazioni di ordine economico legate alla redditività di queste. Per tali motivi, non esiste una serra “tipo” ma, in funzione delle caratteristiche dell’area in cui si opera, potrà essere individuata la soluzione più adatta a soddisfare le esigenze delle colture compatibilmente con le prospettive di ritorno economico dell’investimento. Alcune coltivazioni hanno reso fino ad oggi economicamente conveniente un condizionamento climatico della serra legato non solo ai fattori naturali, ma anche a specifici impianti installati nella struttura. Oggi vi sono in commercio numerosi strumenti di monitoraggio dei parametri ambientali (sensori di temperatura, umidità, luce, etc.) e numerosi sistemi di condizionamento dell’ambiente all’interno della serra (riscaldamento, raffreddamento, etc.). La complessità del sistema serra dovuto all’interazione dei fattori climatici esterni, con i sistemi tecnologici interni e la coltura coltivata richiedono lo sviluppo di sistemi informatici di gestione sempre più sofisticati. Lo sviluppo delle reti wireless nel campo delle applicazioni di controllo e monitoraggio remoto di sensori, offre ulteriori prospettive di sviluppo dei sistemi di gestione del clima all’interno delle serre.

Figura 1.

viene quasi esclusivamente in serra. Le condizioni ottimali per la produzione di rose in serra sono temperature di 25-27 °C durante il giorno e 16-18 °C durante la notte ed umidità relativa del 60-70 %. Le basse temperature riducono la produzione di steli mentre le alte temperature peggiorano la qualità in termini di diametro stelo e di dimensione del bocciolo. La gestione della temperatura e dell’umidità risulta inoltre particolarmente importante per il controllo delle principali avversità che si registrano negli impianti di rose in serra. La serricoltura in Sicilia Le esigenze della serricoltura nelle aree mediterranee risultano del tutto diverse a quelle della serricoltura dei Paesi nordici. In Sicilia, infatti, il clima mite e l’elevata insolazione, rendono più semplice la coltivazione nei mesi invernali, mentre è quasi impossibile la coltivazione nei mesi estivi (Fig 1). In un ambiente così climaticamente caratterizzato si registrano notevoli problematiche quali: strutture obsolete; impianti di fertirrigazione artigianali; impianti di automazione, se presenti, poco utilizzati; carenza di”know how tecnologico” degli operatori.

La coltivazione delle rose in serra Le rose, appartengono alla famiglia delle Rosaceae, è un genere che comprende circa 150 specie, numerose varietà con infiniti ibridi e cultivar, originarie dell’Europa e dell’Asia, di altezza variabile da 20 cm a diversi metri, comprende specie cespugliose, sarmentose, rampicanti, striscianti, arbusti e alberelli a fiore grande o piccolo, a mazzetti, pannocchie o solitari, semplici o doppi. La rosa come fiore reciso rappresenta la specie più commercializzata al mondo. La produzione di rose a fiore reciso av-

Obiettivo L’obiettivo della presente linea di ricerca è quello di valutare l’efficienza di funzionamento di un sistema wireless automatizzato di gestione per la regolazione del microclima in serra. La serra sperimentale La serra utilizzata per la sperimentazione è del tipo a padiglione con tetto semicircolare a doppia campata con larghezza della XI


Figura 2.

campata di 8 m, lunghezza 34 m, altezza di gronda 2,3 m e altezza di colmo 3,5 m orientata (asse longitudinale) nordovest sud-est (Fig. 2). La serra è dotata di due aperture laterali a ghigliottina e due aperture al colmo con sollevamento del semi arco superiore. Le aperture sono comandate da motori ed automatizzate. All’interno della serra è presente un sistema di nebulizzazione basale comandato da due elettrovalvole e da un sistema di sublimazione dello zolfo (Fig. 3). La serra dispone di un sistema di irrigazione localizzata collegato ad un fertirrigatore. All’interno della serra è stato realizzato un sistema di coltivazione in fuori suolo dell’Agrisystem monofilare: un sistema brevettato monofilare per il supporto dei sacchetti di coltivo Agripan costituito da: Supporti in EPS con fenditure per tubi di irrigazione e di riscaldamento; Ferri a “T” per il sostegno della canaletta Agrigutter e dei sacchetti Agripan; canaletta di sgrondo e di sostegno in polipropilene alveolare Agrigutter. Nell’aprile 2010 sono state impiantate le rose cv REDFRANCE© in sacchi di perlite (10 piante per sacco) per una densità di 3.5 piante/m2 (Fig. 4 e 5). Il Sistema di monitoraggio e gestione del microclima Una volta completata la serra e i sistemi di automazione si è proceduto all’istallazione del sistema di monitoraggio e controllo del microclima che è costituito dai seguenti elementi: Sistema centrale Agrimonitoring consente di: consultare i dati relativi ai parametri climatici dell’ambiente da monitorare; configurare le soglie di allarme ed i criteri di correlazione tra differenti misure; configurare le modalità di reazione ad ogni criterio di allarme (controllo di un impianto, invio di un SMS/ email, visualizzazione a video) (Fig. 6). Il sistema è collegato ad una rete dati LAN e collegamento

Figura 4.

Figura 3.

wireless, per la consultazione da postazioni remote, ed è dotato di un modem GSM/GPRS per l’accesso ai dati e il telecontrollo da cellulare. Infine, il sistema è consultabile da Internet. Unità di rice-trasmissione: collegata con l’unità centrale mediante tecnologia wireless e alle unità di monitoraggio e controllo via cavo. Unità remota di controllo: costituita da due schede, di cui ciascuna dotata di 8 relé ad alta potenza (230Vac 10A) in grado di pilotare da remoto degli impianti esterni. Le schede di controllo sono collegate tramite cavo Ethernet all’unità di ricetrasmissione dislocata presso la serra. Unità remote di monitoraggio: costituita da sensori di misura dei parametri climatici (temperatura aria, umidità relativa aria), schede di acquisizione dei dati (Fig. 7 ). All’interno della serra sono stati posizionati diversi sensori di temperatura ed umidità ed all’esterno della serra è stata posizionata una stazione meteo (temperatura, umidità, PAR, etc.). Le sonde di rilevamento dei parametri ambientali sono state posizionate in quattro punti della serra e per ciascun punto su 3 livelli 50, 120, 220 cm. Il primo livello in corrispondenza del polmone (50 cm) il secondo in corrispondenza degli steli

Figura 5. XII


Figura 7.

Figura 6.

(120 cm) ed i terzo livello all’altezza standard utilizzata in serra ( 220 cm) (Fig. 8). Risultati Il sistema è stato messo in funzione ed è iniziata l’attività di monitoraggio sulla funzionalità del sistema. In una prima fase è stata valutata la potenzialità di ricezione e trasmissione del sistema. Una volta messo a punto il sistema è stata avviata l’attività di monitoraggio dei parametri climatici interni ed esterni alla serra (Fig. 9 e 10). Dopo la prima fase di settaggio e taratura del sistema, sono state impostate le soglie di intervento in base ai parametri climatici monitorati ed in funzione delle esigenze delle piante coltivate. Definiti i criteri di allarme, sono state impostate le azioni di comando dei sistemi di automazione presenti in serra.

Figura 8.

Dopo una ulteriore analisi dei dati ambientali, è stata effettuata una verifica sui tempi di risposta della serra a seguito delle automazioni eseguite (apertura finestre, etc.). Le indagini sopra eseguite ha consentito di impostare un modello di funzionamento della serra (Fig. 11). Nel periodo estivo, si è proceduto all’applicazione di una vernice ombreggiante, che ha consentito di ridurre significativamente le temperature all’interno della serra (Fig. 12). Nei grafici vengono riportati i dati registrati durante l’anno 2012. Nel grafico 1 possiamo osservare le temperature medie mensili esterne ed interne alla serra; nel grafico 2 sono rappresentate le temperature medie mensili nelle tre fasce di

Figura 9.

Figura 10.

Figura 11 XIII


Grafico 1.

Figura 12.

altezza (50 -120 - 220 cm). Nel grafico 3 sono rappresentati i dati produttivi sia in termini di quantità di steli prodotti che di qualità degli steli. In Sicilia risulta piuttosto difficile nei mesi estivi mantenere temperatura e umidità a livelli ottimali per la rosa. Le temperature elevate e la basa percentuale di umidità determinano una minore qualità del prodotto. L’uso di sistemi di controllo del clima all’interno della serra, risulta indispensabile per l’ottenimento di produzioni di qualità e per un miglio controllo delle avversità biotiche all’interno della serra. L’adozione di sistemi automatici di monitoraggio e di controllo garantisce una migliore performance delle produzioni e aumenta la sostenibilità del sistema serra.

Grafico 2.

L’attività è stata svolta nell’ambito del Progetto FLORIS (finanziamento MiPAAF).

Figura 13.

Grafico 3. XIV


Tecnologie genetiche per la valorizzazione della calla (Zantedeschia aethiopica) Cristina Borghi, Laura De Benedetti, Marina Laura, Valentina Bobbio, Antonio Mercuri e Andrea Allavena Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA) Unità di ricerca per la Floricoltura e le Specie Ornamentali Introduzione La calla (Gen. Zantedeschia; Fam. Araceae) è una pianta tropicale originaria dell’Africa che viene coltivata come pianta da giardino, da fiore reciso e da vaso. La Zantedeschia aethiopica, comunemente nota come calla a fiore bianco, è una delle specie maggiormente commercializzate sul mercato olandese e i dati del mercato di Sanremo, il principale a livello nazionale, confermano che la specie ha un andamento di vendite crescente. La calla si caratterizza per una sostanziale scarsità di variabilità genetica a carico dei caratteri di rilevante importanza agronomica (sensibilità alle temperature elevate, suscettibilità alle malattie e in particolare all’Erwinia carotovora e alle virosi) ed estetica (colore del fiore). Sono tuttavia conosciute più di 20 varietà selezionate per la taglia della pianta, la capacità di rifioritura, la lunghezza e la dimensione dei fiori (1). Le varietà coltivate in Italia hanno spesso un’origine sconosciuta derivando sia da propagazione agamica sia da riproduzione incontrollata via seme. Il prodotto commerciale è venduto senza l’attribuzione del nome varietale con conseguente scarsa caratterizzazione e valorizzazione. La calla si adatta bene sia alla produzione di fiore reciso, sia alla produzione di vasi fioriti e le varietà per l’una o l’altra utilizzazione dovrebbero presentare caratteristiche distinte. L’attività di breeding effettuata in Italia è piuttosto limitata anche se almeno un ibridatore ha costituito delle varietà idonee alla coltivazione in vaso. L’attività di breeding si propone sostanzialmente di aumentare la variabilità genetica per creare nuovi colori dei fiori, differenziare la taglia della pianta, adattare la specie alle due principali tipologie di prodotto (vaso fiorito e fiore reciso), identificare ed introdurre tolleranze o resistenze alle malattie in particolare all’E. carotovora e alle virosi La variabilità genetica esistente nei materiali (accessioni) di specie vegetali può essere messa in evidenza, oltre che da analisi morfologiche, adoperando i marcatori molecolari per rilevare le differenze nella sequenza del DNA (polimorfismi). I marcatori molecolari possono essere utilizzati a vari fini: distinzione varietale, identificazione di “core collection” (insieme di genotipi che raggruppano la variabilità entro una data specie), costruzione di mappe genetiche e selezione in laboratorio per caratteri di rilevante importanza. I marcatori molecolari non sono influenzati dall’ambiente e presentano altre caratteristiche positive come ad esempio la loro distribuzione in tutto il genoma sia in sequenze trascritte (geni) che non trascritte. Quest’ultima caratteristica è di fondamentale importanza, permettendo

Fig. 1. Esempio di profilo AFLP ottenuto nei 22 genotipi di calla analizzati. M: marcatore di peso molecolare con le principali bande in paia di basi.

di rilevare differenze anche tra individui geneticamente e fenotipicamente simili. Nelle specie di cui non si conosce il genoma, come la calla, la tecnica AFLP (Amplified Fragment Lenght Polymorphism) (2) è tra le più affermate per l’identificazione di marcatori molecolari ed è stata scelta in questo lavoro perché fornisce un elevato livello di informazione, anche se si presenta piuttosto complessa. Tra le malattie della calla l’E. carotovora è la più devastante, poiché porta ad un disfacimento del rizoma e di conseguenza alla morte della pianta. Sebbene siano conosciute fonti di tolleranza nella cultivar Crowborough (3), gli ibridatori non hanno ancora preso seriamente in considerazione la possibilità di trasferire tale tolleranza in altri genotipi. Sono state messe a punto invece tecniche di coltivazione che garantiscono un sufficiente livello di controllo della malattia. La calla è ospite, inoltre, di vari virus che limitano la qualità e/o la quantità delle produzioni. Il problema è particolarmente sentito nelle coltivazioni da fiore reciso nelle quali si riutilizzano i rizomi per le successive coltivazioni. La calla è suscettibile principalmente ai potyvirus (4): Dasheen mosaic virus (DsMV), Zantedeschia mosaic virus (ZaMV) (che è stato recentemente classificato nella specie Konjak mosaic virus (KoMV)), Turnip mosaic virus (TuMV), Zantedeschia mild mosaic virus (ZaMMV), Bean yellow mosaic virus (BYMV), Potato virus x (PVX) e Calla lily latent virus (CLLV). I

XV


VIRUS

PIANTE ANALIZZATE Zn1 (1)

Zn2 (2)

Zn3 (3)

Zn4 (4)

Zn5 (5)

Zn6 (6)

C1 (7)

C2 (8)

C3 (9)

C4a (10)

C4b (11)

C5 (12)

CMV Cucumber mosaic virus CLLV Calla lily latent virus TuMV Turnip mosaic virus X

INSV Impatiens necrotic spot virus DsMV Dasheen mosaic virus

X

X

X

KoMV Konjac mosaic virus X

TSWV Tomato spotted wilt virus

X

X

BYMV Bean yellow mosaic virus ZaMMV Zantedeschia mild mosaic virus

X

PVX Potato virus X

X

X

X

X

X

X

X

X

LNV Lisianthus necrosis virus CarMV Carnation mottle virus

X

X

X

X

X

X

Tab.1. Patogeni virali individuati nelle piante di calla analizzate.

sintomi principali indotti da questi virus sono il mosaico, le striature gialle e le maculature verdi. Altri virus che infettano la Calla sono Cucumber mosaic virus (CMV), Tomato spotted wilt virus (TSWV), Carnation mottle virus (CarMV), Impatiens necrotic spot virus (INSV) e Lisianthus necrosis virus (LNV); in generale questi virus inducono sintomi più gravi (zone clorotiche, strie ed anelli necrotici e distorsione delle foglie) di quelli causati dai potyvirus (5). La diagnostica fitopatologica ha subito nel corso degli ultimi anni una rapida e continua evoluzione, infatti alle

Fig. 2. Dendrogramma ottenuto mediante metodo UPGMA. Codici DNA e corrispondenti campioni: Za1= “Clone 1”; Za2B= “Clone 1 fuori tipo”; ZA3T= “Clone baby”; ZA4 = “Michele”; ZA5= “Ferrari”; ZA6B= “Giovanni”; ZA8B= “Pink mist”; Za9= “Callare” (clone); ZA10= “Calla generica”; Za11= “Ascheri”; ZA13= “Rosa Brea”; ZA15T= “Green goddess”, ZA17= “Pescia”, ZA18= “ Valentino”; BL258B, BL359, BL425, BL685= individui della popolazione “Bianca di Latte”; ST905T, ST906, ST907, ST908= individui della popolazione “Franco Stalla”. Le varietà ed i cloni sono indicati rispettivamente con un ovale giallo ed un quadrato azzurro; asterisco rosso e asterisco verde distinguono rispettivamente gli individui da seme delle popolazioni “Bianca di Latte” e “Franco Stalla”.

tecniche immunologiche convenzionali (Enzyme-Linked ImmunosorbentAssay-ELISA e ImmunofluorescenceAssayIFA) si sono affiancate le metodologie biomolecolari basate principalmente sull’ibridazione e sulla PCR (Polymerase Chain Reaction) (6), che si sono ormai affermate per alcune tipologie di patogeni. Per quanto riguarda la diagnosi dei virus, la tecnica biomolecolare più usata è la PCR che consente di amplificare rapidamente sequenze specifiche di cDNA, derivate dalla retrotrascrizione dell’RNA virale. Con tale tecnica, la diagnosi risulta più semplice e rapida, permettendo l’individuazione e l’identificazione di patogeni anche da materiale asintomatico o con una bassissima carica di inoculo. L’attività sulla calla svolta nell’ambito del progetto FLORIS ha preso in considerazione i seguenti aspetti: la collezione e la caratterizzazione delle varietà, la costituzione varietale e la diagnostica. Materiali e metodi COLLEZIONE Sono state raccolte complessivamente 22 accessioni di calla, di cui 2 popolazioni da seme, 16 popolazioni da rizomi e 4 cloni. Le popolazioni da seme sono rappresentate dalle popolazioni “Bianca di Latte” (1000 piante) e “Franco Stalla” (400 piante). Le piante sono state allevate in vaso seguendo la normale tecnica colturale prevista nella piana di Albenga per la produzione di vasi fioriti. I materiali sono stati posti a dimora in autunno 2009 secondo il normale ciclo vegetativo della calla per vaso o fiore reciso. ANALISI AFLP PER LA CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DEL GERMOPLASMA

Il DNA genomico è stato estratto da 22 campioni di Zantedeschia aethiopica (10 varietà, 4 cloni e 8 individui appartenenti a 2 diverse popolazioni da seme), a partire da 100 mg di giovani foglie utilizzando un kit commerciale (DNeasy Plant Mini Kit, Qiagen). Il DNA è stato estratto in duplicato; la qualità e la quantità sono state saggiate tramite corsa su gel di agarosio all’ 1% e lettura allo

XVI


stati separati su gel denaturanti di poliacrilamide al 5%, e visualizzati tramite colorazione con nitrato d’argento (DNA silver-staining system, Promega). Dopo il fissaggio del colore, i gel sono stati acquisiti su computer tramite scanner e salvati come immagini JPEG. Ogni banda polimorfica, chiara e riproducibile, è stata considerata come un singolo marcatore e la presenza/assenza è stata conteggiata per tutti i campioni in esame. Per ogni marcatore, il valore 1 è stato attribuito in caso di presenza della banda, mentre il valore 0 nel caso di assenza. Con i dati ottenuti è stata prodotta una matrice binaria. Le elaborazioni successive sono state effettuate tramite il software di analisi statistica Treecon (7), che ha consentito il calcolo della similarità genetica esistente tra le accessioni utilizzando l’indice di Simple Matching. I valori di similarità sono compresi tra 0 (nessuna similarità) e 1 (completa similarità). La matrice è stata poi utilizzata per costruire, mediante il metodo UPGMA (Unweighted Pair Group Method using Arithmetic Average), un grafico ad albero (dendrogramma) che visualizza le relazioni genetiche fra i vari campioni e gruppi di campioni. Il programma Treecon ha successivamente permesso di effettuare un test “bootstrap” che stabilisce l’attendibilità dei raggruppamenti ottenuti: valori di bootstrap elevati (>70%) indicano una buona affidabilità dei raggruppamenti.

Fig. 3. Fiore con sfumatura rosa/vinata nella parte esterna della spata; questi fiori sono una novità ottenuta nell’ambito dell progetto FLORIS.

spettrofotometro “Nanodrop 2000” (Thermo Scientific). Il DNA genomico è stato poi “digerito”, cioè tagliato, con gli enzimi di restrizione EcoRI e Mse I ed ai frammenti di restrizione ottenuti sono stati uniti due diversi adattatori oligonucleotidici per creare siti di riconoscimento specifici per gli inneschi della reazione di amplificazione, i cosiddetti primers. I frammenti di restrizione sono stati quindi amplificati mediante una prima reazione di PCR (pre-amplificazione) con primers complementari alle sequenze dei siti degli adattatori, ciascuno addizionato di una base azotata selettiva. La seconda PCR (amplificazione selettiva) è stata effettuata con primers aventi ognuno 3 nucleotidi selettivi addizionali; i prodotti di quest’ultima reazione costituiscono i marcatori AFLP. Uno screening preliminare è stato condotto su 4 campioni di piante usando 16 combinazioni di primers al fine di individuare le combinazioni in grado di fornire un numero elevato di polimorfismi. Sette paia di primers sono state selezionate sulla base del numero di bande leggibili ed informative ed utilizzate per condurre l’analisi su tutti i campioni di piante di entrambe le repliche. I prodotti di amplificazione sono

REALIZZAZIONE DI INCROCI E VALUTAZIONE DELLE PROGENIE Trentanove combinazioni di incrocio sono state realizzate nelle primavere 2010 – 2012, dopo aver individuato i parentali sulla base delle caratteristiche morfologiche delle piante madri e/o dei marcatori molecolari. I semi ottenuti nel 2010 sono stati seminati nell’autunno dello stesso anno e le plantule derivate sono state trapiantate in vaso nell’autunno successivo. Sulle piante sono state rilevate le date di fioritura di ciascun fiore ed il numero dei fiori prodotti. Inoltre le piante sono state selezionate per idoneità alla coltivazione in vaso (piante di taglia ridotta e con fioritura precoce) o per la produzione di steli recisi. In modo analogo si è proceduto alla selezione delle piante delle popolazioni da seme. DIAGNOSTICA DELLE MALATTIE VIRALI MEDIANTE PCR Sulla base dei dati della letteratura è stato preparato un elenco dei virus patogeni per il genere Zantedeschia. Per ciascun virus, sulla base delle sequenze depositate nel database dell’NCBI, sono state disegnate coppie di primers specifiche, mediante il software primer-BLAST (http://www. ncbi.nlm.nih.gov/tools/primer-blast). Per alcuni virus è stato possibile utilizzare anche primers già presenti in letteratura. La specificità dei primers è stata testata su controlli positivi (piante test sicuramente infette da un solo virus) fornite dalla Dott.ssa Annamaria Vaira (CNR-IVV, Torino); oppure mediante sequenziamento del prodotto di amplificazione e confronto con le sequenze attese in banche dati. L’analisi è stata effettuata su un campione di 12 piante potenzialmente infette da virus, provenienti da diverse aziende. Dalle piante è stato estratto l’RNA totale, mediante l’uso di un Kit commerciale (RNeasy Plant Mini Kit Qiagen), da cui è stato poi retrotrascritto il cDNA che è servito da materiale di partenza per la reazione di PCR.

XVII


Risultati e discussione CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DEL GERMOPLASMA Le bande polimorfiche sono risultate 202 su un totale di 255 conteggiate (79,2%), con un numero minimo di 20 e un numero massimo di 32 per primers. I pesi molecolari corrispondenti sono compresi tra le 90 e le 800 paia di basi (Fig. 1). I risultati dell’analisi UPGMA sono mostrati nel dendrogramma di Fig. 2 che riporta la scala delle distanze genetiche e le percentuali di bootstrap superiori all’ 80%. La maggior parte dei genotipi analizzati è risultata distinta in base ai profili molecolari ad eccezione di due varietà (Za4 e Za17), che hanno presentato il più elevato coefficiente di similarità pari a 0,996. Nel dendrogramma si evidenzia come il campione Za15T sia il più distante geneticamente seguito poi da Za13. Il resto delle varietà, cloni e individui da seme sono inclusi in un grosso gruppo (A) a sua volta suddiviso in due sottogruppi ben distinti (bootstrap 94%). Il materiale da seme non si raggruppa completamente in base alle popolazioni di appartenenza, ma si mescola con il resto dei campioni. I valori bootstrap sono elevati per le principali ramificazioni e per alcune delle successive. I risultati ottenuti confermano l’efficacia della tecnica nel fornire un elevato numero di polimorfismi nei profili elettroforetici del DNA degli individui analizzati e quindi nel costituire un metodo idoneo a distinguere le varietà. Un’eventuale completamento o rafforzamento di questi dati potrebbe venire dall’utilizzo di ulteriori coppie di primers AFLP o da marcatori basati sui micro satelliti, cioè corte sequenze di DNA ripetute e disperse nel genoma. I polimorfismi sono dovuti a differenze nel numero di ripetizioni e vengono rilevati utilizzando la PCR con primers specifici, disegnati in modo da essere complementari alle regioni che fiancheggiano le sequenze ripetute. Questo presuppone la disponibilità delle sequenze corrispondenti alle regioni da analizzare e solo recentemente sono stati riportate in letteratura sequenze di primers per marcatori microsatelliti in Zantedeschia aethiopica (8). Un’analisi preliminare è stata quindi condotta su 3 dei nostri campioni utilizzando 15 coppie di primers microsatelliti. Tutte le coppie saggiate hanno generato prodotti di amplificazioni del peso atteso. Sono in corso le analisi sulle accessioni precedentemente analizzate con la tecnica AFLP. VALUTAZIONE DI PROGENIE. Sebbene non sia stata completata l’analisi agronomica delle progenie ottenute da incrocio (valutazione che richiede più anni e parcelle sperimentali di dimensioni crescenti ripetute in più ambienti), i dati rilevati hanno permesso di identificare piante ben differenziate e con caratteristiche interessanti per la forma dei fiori, la capacità di fioritura e l’altezza. Alcune piante derivate da un particolare incrocio hanno mostrato un’interessante sfumatura rosa/vinata della parte esterna della spata ed in alcune piante la spata rosa anche verso l’interno, in particolare nella parte più profonda del fiore (Fig. 3). Su alcune di queste piante sono state realizzate autofecondazioni per analizzare l’eredità del carattere nelle progenie e per verificare la possibilità di incrementare l’intensità e l’estensione dei caratteri trovati.

DIAGNOSTICA DELLE MALATTIE VIRALI La tecnica della PCR si è dimostrata molto valida nella diagnostica dei virus, permettendo l’identificazione dei patogeni in modo rapido e specifico. Nelle accessioni analizzate sono state individuate sei diverse specie di virus: DsMV, INSV, TSWV, ZaMMV, PVX, CarMV; solo un campione è risultato privo di contaminazione virale. Otto delle piante analizzate presentavano un’infezione mista (Tab1). I virus più presenti sono risultati essere PVX e CarMV (6 piante contaminate); seguono TSWV e ZaMMV (3 piante contaminate) e INSV e DsMV (2 piante contaminate). Le tecniche di analisi molecolare, note per la loro sensibilità (individuazione di minimi livelli d’inoculo del patogeno ben al di sotto dei livelli della diagnostica classica), specificità e ripetibilità, permettono una diagnosi precoce necessaria per predisporre le opportune misure di contenimento delle virosi. Tali tecniche sono ora disponibili oltre che per verificare la presenza di infezione sulle coltivazioni in atto, anche per indagare la sanità dei materiali destinati alla coltivazione; le malattie virali infatti, talvolta non conclamate, possono essere causa di perdita della qualità e quantità delle produzioni, erroneamente attribuite ad altre cause. La diagnostica preventiva sui materiali di propagazione può pertanto evitare costosi interventi colturali non necessari e non risolutivi. Ringraziamenti L’attività è stata svolta nell’ambito del progetto FLORIS finanziato dal MiPAAF Letteratura citata (1)Kuehny, J. S. (2000)-Crop reports: Calla history and culture. Hort Technology, 10: 267–274. (2) Vos P., Hogers R., Bleeker M., Reijans M., van de Lee T., Hornes M., Frijters A., Pot J., Peleman J., Kuiper M. (1995) AFLP: a new technique for DNA fingerprinting. Nucleic Acids Res, 23(21): 4407–4414. (3) Snijder R.C., van Tuyl J.M., (2002) - Evaluation of Tests to determine resistance of Zantedeschia spp. (Araceae) to soft rot caused by Erwinia carotovora subsp. carotovora. European Journal of Plant Pathology, 108(6): 565-571. (4) Huang C.H., Hu W.C., Yang T.C. and Chang Y.C. (2007)Zantedeschia mild mosaic virus, a new widespread virus in calla lily, detected by ELISA, dot-blot hybridization and ICRT-PCR. Plant Pathology, 56:183-189. (5)Chen C.C, Hsu H.T, Cheng Y.I., Huang C.H. , Liao J. Y., Tsai H.T., and Chang C.A.(2006)-Molecular and serological characterization of a distinct potyvirus causing latent infection in calla lilies. Botanical Studies, 47: 369-378. (6)Ward E., Foster S.J., Fraaije B.A., and McCarteney H.A. (2004)- Plant pathogen diagnostics: immunological and nucleic acid-based approaches. Annals applied Biology, 145:1-16. (7) Van de Peer Y., De Wachter R. (1994) - Treecon for Windows: a software package for the construction and drawing of evolutionary trees for the Microsoft Windows environment. Comput Appl Biosci, 10: 569–570. (8) Wei ZZ., Luo LB., Zhang HL., Xiong M. (2012) Identification and characterization of 43 novel polymorphic EST-SSR markers for arum lily, Zantedeschia aethiopica (Araceae). Am J Bot, 99(12):e493-e497.

XVIII


Hibiscus x rosa sinensis (ibisco ornamentale): una risorsa da valorizzare Antonio Mercuri1, Cesare Bianchini1, Laura De Benedetti1, Luca Braglia2, Marco Ballardini1 1

Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura – Unità di Ricerca per la Floricoltura e le Specie Ornamentali. Corso Degli Inglesi 508, 18038 Sanremo (IM) 2 CNR- Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria. Via Bassini 15/a, 20133 Milano

Introduzione Hibiscus è il genere più numeroso della famiglia delle Malvaceae, una famiglia comprendente 116 generi alcuni dei quali di notevole importanza economica (es: Gossypium hirsutum - cotone). Alcune specie del genere sono utilizzate come piante ornamentali in tutto il mondo per scopi diversi tra cui: giardino, arredo urbano, piante da paesaggio, bordure erbacee. Tra loro, le più popolari ed apprezzate risulatno essere: H syriacus, H. arnottianus, H. cameronii, H. coccineus, H. moscheutos, H. mutabilis, H. schizopetalus e H. tiliaceus. Tra tutte le specie del genere che presentano un utilizzo ornamentale, quella che mostra la maggiore variabilità genetica è Hibiscus x rosa sinensis. Queste piante hanno moltissime variazioni sia nella forma delle foglie che nel colore e nella forma dei fiori singoli e doppi. Alcuni autori (Sharma and Sharma, 1962) hanno individuato fino a 75 forme diverse (Fig. 1). Questa incredibile variabilità genetica va sicuramente ricercata nell’origine che viene ipotizzata da vari autori. L’ipotesi più accreditata è quella di Singh e Khoshoo (1989). Essi indicano che H. x rosa sinensis non è in effetti una specie ma un complesso di individui prodotto dall’ibridazione di due principali gruppi di specie. Uno di questi gruppi è nativo delle coste dell’Africa dell’est (H. schizopetalus) e delle isole del sud dell’oceano Indiano: in particolare le isole Mauritius e Rodriguez (H. liliiflorus) e le isole Reunion (H. fragilis e H. boryanus). L’altro gruppo di specie è nativo delle isole dell’oceano Pacifico: isole Hawaii (H. arnottianus e H. kokio), e isole Fiji (H. storckii e H. denisonii). Queste specie sono tutte pienamente intercompatibili e producono ibridi senza riguardo del numero cromosomico dei genitori. Le cultivars sono altamente polimorfiche ed altamente eterozigoti ed hanno un ampio range di abiti di crescita, vigore, forma e colore dei fiori. Questa storia evolutiva indicata dai due autori ha trovato piena conferma nelle analisi molecolari effettuate dal nostro gruppo (Bruna S. et al., 2008; 2010) nell’ambito di un precedente progetto di ricerca. Attualmente il mercato mondiale di Hibiscus x rosa sinensis richiede varietà da giardino, varietà adatte all’arredo urbano e varietà da vaso (con applicazione dei ritardanti di crescita). La popolarità di Hibiscus x rosa sinensis sta aumentando in Europa (comunemente usato come pianta da vaso per interno nei paesi del nord), U.S.A. ed altre zone temperate del mondo dove la temperatura non scende al di sotto dei 12°C. Dal momento che nei caldi climi tropicali raramente si ottengono semi, la maggior parte dell’attività di breeding è stata svolta negli ultimi 50 anni da una moltitudine di ibridatori amatoriali soprattutto nelle zone sub-tropicali come Mauritius, Hawaii, India, California

Figura 1: Differenti forme del fiore e delle foglie.

e Florida. La maggior parte delle cultivar sono state sviluppate per un uso esterno e non sono adatte alla coltivazione in vaso (il lavoro di miglioramento genetico ha privilegiato principalmente le dimensioni, il colore e l’architettura del fiore). E’ inoltre vero che le poche varietà da vaso oggi presenti sul mercato sono state semplicemente importate da paesi tropicali o sub-tropicali e non hanno subito ulteriori cicli di breeding. È nostra convinzione che un’azione sistematica di breeding e selezione volta allo sviluppo di genotipi adatti alla coltivazione in vaso e di genotipi adatti ai giardini ed all’arredo urbano nelle condizioni ambientali mediterranee, sia giustificata dalle seguenti motivazioni: • attualmente tutte le cultivar sul mercato commercializzate in vaso sono ottenute tramite l’applicazione di ritardanti di crescita, per cui in un paio d’anni perderanno le caratteristiche di compattezza e accestimento necessarie in un prodotto di detta tipologia • il range di colori e tipo dei fiori nelle piante da vaso è limitato se paragonato a quello presente nelle cultivars da giardino • come già detto, quasi tutte le cultivars sul mercato sono state selezionate e sono quindi adattate ad ambienti tropicali e/o subtropicali per cui spesso nei nostri climi la risposta in termini di propagazione, crescita e fioritura è scarsa • la domanda di mercato che frequentemente richiede l’introduzione

XIX


Figura 2: Una parte della collezione di H. rosa sinensis presso il CRA-FSO

Figura 3: Alcuni incroci effettuati presso il nostro istituto.

di novità • la forte crescita che sta avendo in Italia il mercato dell’ibisco ornamentale Da queste considerazioni scaturiscono una serie di obbiettivi che sono stati perseguiti durante lo svolgimento dell’attività nel progetto: • Conservazione ed ampliamento della collezione di germoplasma che attualmente comprende 106 varietà commerciali e 12 specie botaniche • Miglioramento genetico mirato all’ottenimento di forme compatte, adatte alla tipologia da vaso fiorito e di nuove cultivar adatte all’ambiente mediterraneo per giardino ed arredo urbano • Incroci intra ed interspecifici e selezione nelle progenie dei seguenti caratteri: • Abito compatto con crescita rapida, adeguato accestimento, abbondante fioritura • Fiori medio-grandi di tipo singolo a tinte pastello con petali che si sovrappongono e peduncolo fiorale robusto non troppo lungo • Foglie grandi lucide, di colore verde intenso a cuore o lobate. • Valutazione agronomica commerciale del nuovo materiale ottenuto • Applicazione di tecniche agronomiche per ottimizzare la coltivazione in vaso • Distribuzione dei nuovi genotipi alle ditte interessate mediante stipula di apposita convenzione

di incrocio (Columbine, Helene, General Corteges, Casanova White, Casanova Apricot, Le Rhône e Frivole), in particolare Columbine, General Corteges, Helene, Le Rhône e Frivole hanno originato capsule con più di 30 semi in 22, 16, 12, 8 e 8 differenti combinazioni di incrocio rispettivamente. La priorità è stata data agli incroci tra piante con buone caratteristiche di crescita (crescita veloce, adeguata ramificazione, abbondante fioritura) e quelle con desiderabili caratteri del fiore (fiori grandi con petali sovrapposti, colore rosso scuro, giallo e arancio con peduncoli fiorali robusti e non troppo lunghi). Un giorno prima dell’antesi, la corolla fuoriesce dal calice per circa due terzi della sua lunghezza ed i petali risultano leggermente aperti. In questo stadio bisogna intervenire per emasculare i fiori. Usando delle pinzette, i petali venivano aperti cercando di arrecare il minor danno possibile e le antere venivano rimosse dalla colonna staminale. Alcuni lavori hanno dimostrato che i fiori di ibisco sono estremamente sensibili al danneggiamento e che quando vengono rimossi petali ed antere, l’incrocio non ha successo. Per queste ragioni solo le antere sono state rimosse. Per quanto concerne il genitore maschile, il giorno dell’antesi, non appena il fiore si apriva, il polline veniva raccolto e spolverato con un pennellino sullo stigma del fiore emasculato che fungeva da genitore femminile. E’ molto importante fare l’incrocio nelle prime ore del mattino nel giorno dell’antesi specialmente se il fiore emasculato che riceverà il polline non è stato coperto con un sacchetto. Si eviterà in tal modo l’azione degli insetti impollinatori che come si sa sono attratti dai colori brillanti e dai grandi fiori. Le condizioni climatiche sono risultate di fondamentale importanza per il successo degli incroci. In generale, quando la temperatura variava dai 16 ai 27°C e il punto di rugiada era compreso tra i 10 ai 16°C si è avuta la più alta percentuale di successo negli incroci. Anche l’alta umidità e l’ombreggiamento del fiore hanno influenzato positivamente l’esito degli incroci (Fig. 3). Seguendo tutte queste indicazioni, Gli incroci sono stati eseguiti in un primo periodo primaverile-estivo ed in un secondo periodo autunno-invernale. I migliori risultati sono stati ottenuti nei mesi di giugno e ottobre. In totale sono stati effettuati oltre 3000 incroci ed il 21% ha originato capsule per un totale di circa 4000 semi. I semi germinati sono risultati circa il 30% del totale e la germinazione è risultata distribuita in un periodo di tre mesi.

Materiali e metodi Il primo passo fondamentale in ogni programma di miglioramento genetico è quello di allestire una collezione di germoplasma il più ampio possibile compatibilmente con le risorse finanziarie e con lo spazio a disposizione. Attualmente presso l’Istituto sono presenti 12 specie botaniche e 106 varietà di H. x rosa-sinensis reperite presso ibridatori amatoriali e presso ditte italiane ed estere per un totale di oltre 2000 piante (fig. 2). Il materiale è stato allevato in vaso e posto in serra riscaldata durante i mesi invernali. Il programma di breeding è iniziato nel 2008 utilizzando un disegno di incroci diallelico parziale (reciproci senza autofecondazioni) per saggiare l’abilità combinatoria del materiale in collezione. Molte cultivars sono risultate sterili e quindi eliminate dal programma di incrocio. Soltanto un limitato numero di varietà combinava nelle progenie caratteri desiderabili con un ragionevole grado di fertilità e potevano quindi essere usate come genitori nel programma di breeding. E’ stato individuato un gruppo di ottimi genitori femminili capaci di fornire semi in tutte le combinazioni

XX


Risultati INCROCI E SELEZIONE Il maggiore problema incontrato durante lo svolgimento del programma di incrocio è stato il tempo necessario alla produzione del primo fiore da parte delle progenie. La maggior parte delle piante rimane nella fase giovanile per 2-3 anni e questo ovviamente è risultato un severo limite al completo svolgimento dell’attività prevista. Una parziale soluzione del problema è risultata quella del taleaggio delle progenie quando le piantine raggiungevano un’altezza di circa 30 cm. Questa procedura ha consentito l’anticipo della fioritura da parte delle tale di circa 9-10 mesi rispetto alle piante madri, ha mantenuto le piante con una dimensione più contenuta ed ha consentito una valutazione in una forma più comparabile con le varietà commerciali. Sino ad oggi sono stati selezionati oltre 120 genotipi (Fig. 4). Particolarmente interessante è risultata una prova effettuata presso la ditta Stalla di Albenga (SV) dove alcuni cloni selezionati sono stati coltivati con le tecniche normalmente in uso presso i floricoltori e valutati per caratteristiche agronomiche e commerciali. Da questa prova è emerso che 2 cloni presentavano fiori molto belli del diametro medio di 17-18 cm e con durata media di 5 giorni (normalmente la durata nell’ibisco è di 1,5 – 2 giorni), altri cloni avevano fiori di durata ridotta ma con fioritura abbondante e continua per cui la pianta risultava sempre provvista di fiori, mentre alcuni cloni hanno resistito in serra non riscaldata durante i mesi invernali con temperatura minima registrata di 2°C. Ovviamente altri cloni non presentavano caratteristiche ornamentali degne di nota e/o non resistevano alle basse temperature mentre alcuni sono seccati in seguito ad attacchi fungini. Queste osservazioni hanno consentito di effettuare una ulteriore selezione eliminando tutti quei genotipi che per le ragioni sopra indicate non soddisfano i requisiti richiesti per una loro futura ed auspicabile introduzione nel mercato floricolo. Nel complesso questi risultati sono soddisfacenti ed incoraggiano a proseguire nel lavoro intrapreso a patto che il materiale vegetale ottenuto possa essere concesso in prova alle ditte interessate prima della definizione dell’iter relativo ai diritti di sfruttamento commerciale. ANALISI DI GENI CANDIDATI Parallelamente all’attività di breeding si è proceduto con un lavoro di tipo molecolare per cercare di studiare il meccanismo che sta alla base del carattere “habitus compatto” che porta alla formazione di piante con dimensione ridotta e maggior accestimento laterale, aspetto questo, fondamentale per selezionare genotipi adatti alla produzione di vaso fiorito. In Arabidopsis è noto che i prodotti genici codificati dei geni MAX [More Axillary Branching] manifestano un movimento acropeto controllando e/o reprimendo lo sviluppo dei meristemi secondari, già preformati (Schmitz and Theres, 1999). I mutanti mostrano una precoce ed abbondante emissione di germogli laterali con riduzione della taglia e qualche modesto effetto pleiotropico. I geni MAX sono 4 ed agiscono in modo sinergico. In particolare, MAX2 codifica una proteina nucleare denominata F-Box con ripetizioni amminoacidiche ricche in leucina (LRR), (Xu et al., 2009). Senza scendere nei dettagli, l’analisi di geni candidati (sequenze MAX2 di diverse specie vegetali) tramite una serie di tecniche molecolari e di bio-informatica ha permesso di isolare in Hibiscus x rosa sinensis un frammento di 350 bp da noi denominato

Figura 4: Alcuni dei nuovi genotipi selezionati.

“HibMAX2” che mostrava una notevole similarità con il gene MAX2 di Arabidopsis (65% nucleotide sequence identity) (Fig. 5). Anche la sequenza aminoacidica dedotta sempre utilizzando strumenti di bio-informatica, ha mostrato un alto grado di omologia con le proteine F-box di altre specie. A questo punto è stato testato il DNA di 19 varietà e 13 differenti specie botaniche presenti nella nostra collezione di Hibiscus spp.. Frammenti nucleotidici “HibMAX2” sono stati amplificati in tutti i campioni eccetto H. cannabinus; il loro sequenziamento e la successiva analisi clustering hanno permesso di evidenziare numerosi polimorfismi e di costruire un albero filogenetico. Nell’albero ottenuto si evidenzia un gruppo principale “A”, che include tutte le cultivar analizzate e le specie appartenenti alla Sezione Lilibiscus (H. arnottianus, H. boryanus, H. denisonii, H. genevii, H. kokio, H. schizopetalus e H. storckii) e sessualmente compatibili con H. x rosa sinensis. Le rimanenti specie botaniche analizzate (H. calyphyllus, H. moscheutos, H. panduriformis, H. syriacus e H. tiliaceus), appartenenti ad altri gruppi tassonomici, hanno invece mostrato più bassi valori di similarità, separandosi nettamente da

XXI


Figura 5: Gel di acrylamide. La freccia indica il frammento di 350 bp di “HibMAX2” isolato in vari genotipi della collezione. “A” (Fig. 6). Per quanto riguarda H. cannabinus (Sezione Furcaria), questo potrebbe non possedere il gene “HibMAX2”, o possedere un elemento molto diverso non amplificabile con le condizioni utilizzate, al contrario delle specie sopra elencate. Questi risultati sono in accordo con i dati riportati in letteratura derivanti sia da uno studio citogenetico (Singh e Khoshoo, 1989) che da analisi di sequenze cloroplastiche (Pfeil e Crisp, 2005).

Conclusioni I risultati ottenuti in seguito all’ampia mole di lavoro svolto nel progetto, dimostrano che la grande variabilità genetica presente in Hibiscus x rosa sinensis rappresenta un enorme potenziale per lo sfruttamento e la valorizzazione di questa ornamentale. Sino ad ora, la scarsa domanda di mercato ha fortemente limitato la ricerca e l’attività di breeding, però, l’interesse per questa specie sta fortemente aumentando soprattutto per la continua richiesta di novità da parte dei mercati floricoli nazionali. Una indagine della letteratura internazionale sulla caratterizzazione e sul breeding di Hibiscus x rosa sinensis mostra chiaramente quanto poco questa specie sia stata investigata, mentre numerosi studi sono stati condotti sulle sue proprietà farmacologiche (più di 60 lavori riportati da PubMed). Pochi lavori sono stati indirizzati all’introduzione di nuove cultivars ed alle tecniche di propagazione vegetativa, qualche lavoro ha analizzato l’ereditabilità di alcuni caratteri fiorali e più recentemente il recupero del profumo e lo sviluppo di varietà nane. Per quanto concerne le varie attività da noi svolte va sottolineato che: a) Tutte le esperienze relative alle ibridazioni manuali (tecniche utilizzate negli incroci, condizioni ambientali adatte, accorgimenti particolari e nuovi genotipi ottenuti) sono state presentate in occasione di vari convegni e porte aperte organizzate presso il nostro istituto. In queste occasioni le aziende florovivaistiche STALLA di Albenga, DIEM di Latina, SARTORE di Sanremo e BINDI di Pescia hanno mostrato un forte interesse verso i nostri ibridi tanto è vero che assolti i lunghi iter burocratici (stipula di apposite convenzioni tra CRA e Ditte) saggeranno e valuteranno nelle proprie serre i nuovi genotipi con l’intento di lanciarli successivamente sul mercato floricolo nazionale ed internazionale. Questo fatto non può che farci piacere e ci stimola a proseguire sulla strada intrapresa consentendo di raggiungere uno degli obiettivi fondamentali del progetto e cioè quello di avere dei prodotti sfruttabili dal mondo operativo. b) Tutto il difficile lavoro svolto sulle analisi molecolari, oltre ad ampliare le conoscenze sul genoma di questa specie rappresenta la

Figura 6: Albero filogenetico per la sequenza nucleotidica “HibMAX2” tra 18 cultivars di H. x rosa sinensis e 10 specie botaniche di Hibiscus.

prima fase per l’isolamento dell’intero elemento MAX2 specifico per Hibiscus, tuttavia il frammento clonato potrebbe già essere valutato per la sua associazione con il fenotipo “Habitus Compatto”. In definitiva con questa ricerca si è voluto prospettare la produzione di materiale di coltivazione italiano e quindi promuovere lo sviluppo di una filiera florovivaistica per l’Ibisco, specie dotata di grande interesse ornamentale. Grazie anche alle condizioni climatiche della Riviera ligure e delle regioni del sud Italia questa tipologia produttiva potrà creare nel settore vivaistico un mercato competitivo rispetto ad altre realtà produttive. Ringraziamenti L’attività è stata svolta nell’ambito del progetto FLORIS finanziato dal MiPAAF Bibliografia Bruna S., Braglia L., Casabianca V., Mercuri A., De Benedetti L. &Schiva T., 2008 - Hibiscus rosa sinensis L.: AFLP Markers for Genetic Improvement. Acta Horticulturae 788: 97-102. Bruna S., Braglia L., Lanteri S., Mercuri A. & Portis E., 2010 - An AFLP-based assessment of the genetic diversity within Hibiscus rosa sinensis and the place of the species within the genus Hibiscus. Scientia Horticulturae 123: 372-378. Pfeil B.E. & Crisp M.D., 2005 - What to do with Hibiscus? A proposed nomenclatural resolution for a large and well known genus of Malvaceae and comments on paraphyly. Australian Systematic Botany 18(1): 49-60. Schmitz G. & Theres K., 1999 - Genetic control of branching in Arabidopsis and tomato. Curr Opin Plant Biol 2(1): 51-58. Sharma A.K. & Sharma A., 1962 - Polyploidy and chromosome evolution of Hibiscus. La Cellule 62: 281–300. Singh F. & Khoshoo T.N., 1989 - Cytogenetic basis of evolution in garden Hibiscus. The Nucleus 32: 62–67. Xu G., Ma H., Nei M. & Kong H., 2009 - Evolution of F-box genes in plants: different modes of sequence divergence and their relationships with functional diversification. Proc. Natl. Acad. Sci. 106: 835–840.

XXII


Realizzazione di protocolli di propagazione di piante ornamentali in ambiente mediterraneo per il “verde d’arredo” (micrarredo) Giovino A., Saia S., Airò M., Scibetta S. Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura - Unità di Ricerca per il Recupero e la Valorizzazione delle Specie Floricole Mediterranee (CRA SFM). Introduzione Chamaerops humilis L. Le risorse genetiche vegetali (PGR o Plant Genetic Resources) sono la componente più importate della agro-biodiversità. Le PGR includono le risorse genetiche conservate in situ ed exsitu, le forme più primitive di specie coltivate, le popolazioni locali (landraces), le cultivar antiche e moderne, le linee inbred e le linee in corso di selezione (1). Per la loro diversità, molte risorse genetiche sono una potenziale fonte di composti nutraceutici e farmaceutici non ancora conosciuti. Per via dell’erosione genetica cui sono sottoposte e del loro valore intrinseco, le PGR sono tenute in forte considerazione dalla politica e dalla comunità scientifica in quanto - contribuiscono alla sicurezza alimentare, all’alleviamento della povertà, alla protezione ambientale e allo sviluppo sostenibile. Negli ultimi anni, le banche del germoplasma internazionali hanno raccolto più di sei milioni di accessioni (2), tuttavia, il germoplasma conservato ex-situ non soggiace a fenomeni di evoluzione in quanto alienato dal contesto nel quale si è differenziato ed evoluto, per cui la necessità di una conservazione in-situ (nello stesso luogo in cui le accessioni genetiche si sono differenziate) è via via divenuta crescente al fine di consentire alle PGR di continuare ad evolversi e quindi fornire variabilità. In particolare, le Arecacee, comunemente chiamate palme, sono una tra le più antiche famiglie di monocotiledoni e comprendono più di 200 generi e più di 2500 specie perlopiù evolute nell’area ecologica delle grandi latifoglie tropicali. Poche specie di palme si sono adattate ai climi freddi, tra cui la palma nana (Chamaerops humilis L.), tipica della macchia mediterranea e diffusa nella costa sud-occidentale dell’Europa (particolarmente in Sicilia e Sardegna). La palma nana è una specie a portamento cespuglioso, con ramificazioni basali. Raggiunge generalmente l’altezza di 1.5-2.0 m sebbene alcuni esemplari superino i 10 metri. Il fusto è generalmente contorto, ramificato, talvolta strisciante e ricoperto dai residui delle foglie morte. Alla sommità dei fusti sono presenti diversi foglie composte da un lungo picciolo, generalmente spinescente, e da un numero variabile di 5-15 foglioline lanceolate, colorate dal verde intenso al grigio, incise sulla foglia principale e all’ascella delle quali si localizzano delle ghiandole capaci di sintetizzare ed emettere sostanze, generalmente terpeni, attrattive per alcuni insetti pronubi. Le infiorescenze sono un panicolo e i frutti sono drupe giallo-rossicce (3). La Sicilia e la Sardegna rappresentano le regioni mediterranee in cui il maggior numero di popolazioni naturali, ciascuna formata da un elevato numero di individui, è presente. Ad ogni modo, l’areale della specie si spinge fino al promontorio di Portofino, nella costa ligure, e a

Cap Taillat, nella costa azzurra tra Nizza e Marsiglia. In Italia, popolazioni relitte sono inoltre presenti nel Parco Naturale della Maremma (Grosseto) e nel Parco Nazionale del Circeo (Latina). In Sicilia e Sardegna, la palma nana entra a far parte della macchia mediterranea e, grazie alla sua spiccata tolleranza allo stress idrico, è particolarmente rappresentata nelle garighe semi-aride costali (ad. esempio la Riserva Naturale Orientata dello Zingaro, Trapani). Tuttavia, negli ultimi 20 anni, a causa dei continui incendi ricorrenti nelle aree in cui è presente come endemismo, dell’erosione del suolo e della sottrazione del territorio a fini edilizi, le stazioni e le superfici in cui è possibile rinvenirla si sono ridotte drasticamente al punto che, secondo la L.R 56/2000, la specie è attualmente ritenuta in forte rischio di erosione genetica. Nell’ambito del profetto FLO.RIS “Risorse tecniche e genetiche per il florovivaismo” sono dunque state avviate diverse ricerche mirate alla caratterizzazione in situ della specie, con finalità conservazionistica, alla descrizione dei tratti botanici salienti, allo studio dei parametri fisiologici che determinato il successo riproduttivo della stessa e alla caratterizzazione biochimica del seme. Materiale e metodi La caratterizzazione morfologica ha essenzialmente avuto l’obiettivo di delineare i tratti morfologici salienti, ossia quelli non influenzati dall’ambiente, della specie e delle varie popolazioni nell’ambito del variabile germoplasma siciliano; la caratterizzazione ecofisiologica e biochimica ha invece avuto l’obiettivo primario di individuare le migliori strategie d’uso per la specie, sia in ambito florovivaistico, sia nelle industrie alimentare, cosmetica e farmaceutica. In particolare, tre diverse prove sono state impiantate finalizzate rispettivamente alla caratterizzazione morfologica in situ di 12 genotipi siciliani di palma nana con marcatori morfologici desunti dai descrittori ufficiali dell’IPGRI per palme filogeneticamente affini, allo studio della dinamica di germinazione del seme e alla caratterizzazione degli acidi grassi del seme. Per la caratterizzazione morfologica in situ, i seguenti descrittori sono stati presi in considerazione: altezza dello stipite, diametro della chioma, lunghezza del picciolo, lunghezza delle pinne interessata biforcazioni (espressa in percentuale sulla lunghezza della pinna centrale), lunghezza delle spine terminali, numero, lunghezza e larghezza delle infiorescenze maschili e femminili e il relativo numero di branche dei racemi e la lunghezza del racemo stesso. Per la caratterizzazione del frutto, sono stati rilevati i seguenti caratteri: la lunghezza e la larghezza del frutto, il peso del seme e della polpa e lo spessore di quest’ultima, le dimensioni del seme, il contenuto in oli e

XXIII


Figura 1 - dendrogramma secondo il metodo di raggruppamento di WARD utilizzando i dati morfologici rilevati nelle 12 stazioni siciliane: Capo Rama (CR); Capo Gallo (CG); Kolymbetra (K); Monte Cofano (MC); Marsala Sciare (MS); Raffarosso (BR); Vendicari (V); Torre Salsa (TS); Zingaro accessione 1 e 2 (Z_1 e Z_2); Favignana (F); Lipari (L).

la relativa caratterizzazione in acidi grassi a seguito di transesterificazione e analisi mediante GC-MS equipaggiato con colonna WAX. Di ogni stazione, sono stati rilevati i seguenti caratteri: temperatura, durata stagione secca, piovosità, vento prevalente, latitudine, longitudine, elevazione, esposizione, pH del suolo, matrice del terreno, densità di popolazione, vegetazione prevalente, clima. I dati ottenuti dalle accessioni e dalle stazioni sono quindi stati analizzati secondo la procedura della principal component analysis per evidenziare l’importanza dei diversi caratteri nello spiegare le differenze tra le accessioni. In seguito, con i dati misurati e calcolati è stata eseguita una cluster analysis al fine di evidenziare gruppi di accessioni con elevato grado di similarità. Per lo studio della dinamica di germinazione del seme, un lotto diseme omogeneo per peso e dimensioni proveniente da una pianta di riferimento è stato prelevato e la polpa è stata rimossa manualmente. Quindi sono stati studiati gli effetti di diversi trattamenti di scarificazione (meccanica, chimica e immersione in acqua) e di diversi tempi di conservazione del seme (fresco e vecchio di 4, 6 o 8 mesi) sulla dinamica di germinazione in bancale riscaldato a 25°C e umidità relativa costante. I dati ottenuti sono stati analizzati statisticamente in accordo ai dispositivi sperimentali adottati. Risultati e discussioni I risultati di queste prove hanno mostrato che le dodici popolazioni di palma nana siciliana si raggruppano essenzialmente secondo tre diversi clusters (Figura 1) delle quali uno rappresentato dalla sola accessione Zingaro 1. Risultati analoghi sono stati evidenziati dall’analisi morfologica del seme (Figura 2). Secondo l’analisi biochimica, gli acidi più rappresentati sono

Figura 2 - dendrogramma secondo il metodo di raggruppamento di WARD utilizzando i dati morfologici del seme raccolto in 9 stazioni siciliane.

l’oleico (C18:1; 47,8%), il linoleico (C18:2; 23,0%), il laurico (C12:0; 12,6%), il palmitico (C16:0; 10,6%) il myristico (C14:0; 4,7%) e, sebbene in misura contenuta (1,0% circa), lo stearico (C18:0) che assieme rappresentano il 99.7% degli acidi grassi presenti. In media, la palma nana ha mostrato un contenuto in olio di 5.48%±0.32%, con notevoli variazioni tra le accessioni in prova. Notevoli variazioni sono state inoltre riscontrate per il rapporto tra acidi grassi insaturi e saturi (I:S) degli oli delle accessioni in studio (Figura 3). Le accessioni in studio si sono ampiamente differenziate per il contenuto in diversi acidi grassi (Tabella 1). Utilizzando i dati riguardanti il rapporto tra acidi grassi insaturi e saturi e la composizione media in acidi grassi del seme, è stata calcolata la matrice di correlazione tra i parametri rilevati

Figura 3 – Rapporto tra acidi grassi insaturi e saturi nelle accessioni in studio. Le barre verticali indicano l’errore standard. Le differenze tra le accessioni sono significative a P<0.0001. L’HSD0.05 è 0.3573 (corrispondente all’unità di misura in ordinata). In bianco è segnata l’accessione di riferimento (Villa Cattolica), in nero l’accessione prelevata dal giardino storico della Kolymbetra.

XXIV


Hexanoic C6:0

Caprilic C8:0

Capric C10:0

Undecanoic C11:0

Lauric C12:0

Myristic C14:0

Palmitic C16:0

Heptadecanoic C17:0

Stearic C18:0

Oleic C18:1

Linoleic C18:2

Capo Gallo

0,24

0,00

0,03

0,01

7,64

4,91

13,95

0,03

1,14

47,73

24,32

Capo Rama

0,29

0,03

0,06

0,04

11,08

3,69

9,85

0,00

0,64

49,79

24,53 21,47

Monte Cofano

0,04

0,06

0,13

0,00

14,28

4,73

10,41

0,00

1,05

47,83

Villa Cattolica

0,11

0,04

0,06

0,00

12,28

4,92

11,13

0,00

0,85

45,88

24,73

Zingaro 1

0,08

0,18

0,10

0,01

13,85

4,68

9,70

0,00

0,85

47,33

23,22

Zingaro 2

0,23

0,05

0,09

0,02

14,94

5,39

10,37

0,00

0,70

45,68

22,53

Marsala

0,02

0,02

0,05

0,00

10,70

3,92

9,97

0,00

0,68

53,00

21,65

Kolymbetra

0,03

0,28

0,47

0,00

15,19

6,02

10,83

0,02

2,35

45,26

19,57

Raffarosso

0,14

0,07

0,08

0,03

14,36

4,55

9,67

0,00

0,76

46,89

23,44

Vendicari

0,24

0,02

0,05

0,02

11,54

4,54

10,47

0,00

0,84

48,17

24,12

P>F

0,50

0,10

0,38

0,05

<0.001

<0.001

<0.001

0,54

0,001

<0.001

<0.0001

ns

ns

ns

0,04

2,61

1,31

0,74

ns

1,07

4,21

1,69

LSD0.05

Tabella 1 – Percentuale di ciascun acido grasso sul totale degli oli rinvenuto nel seme delle accessioni di palma nana siciliana.

e quindi effettuata l’analisi delle componenti principali e la cluster analysis (figura 4), secondo la quale è stato possibile evidenziare 4 diversi cluster. Anche in questo caso, la popolazione Zingaro 1 si è distinta in un cluster a sé. Dallo studio della dinamica di germinazione del seme è stato possibile evidenziare che il seme di palma nana segue un pattern di germinazione di tipo logistico/sigmoidale descritto dalla seguente equazione y=β+α/(1+exp(-(x-μ)/s))), nella quale β è l’intercetta; α è proporzionale alla percentuale di germinazione finale; x è il tempo; μ è la media di germinazione e s è un parametro inversamente proporzionale alla sincronia di germinazione del seme. Gli effetti della conservazione e della scarificazione sono stati studiati indipendentemente l’uno dall’altro e già pubblicati presso il “Symposium on horticulture in Europe – SHE 2012. Angers (France), 2-4 Luglio 2012”. Dai risultati ottenuti è possibile evincere che dopo un breve periodo di conservazione, il seme di palma nana acquista vigore germinativo (come indicato dalla maggiore pendenza delle curve di germinazione del seme invecchiato rispetto a quella del seme fresco in figura 5) e quindi incrementa la propria germinazione finale. Ad analoghi risultati si è arrivato a seguito della scarificatura

Figura 4 – dendrogramma secondo il metodo di raggruppamento di WARD utilizzando i dati dell’analisi biochimica del seme raccolto in 9 stazioni siciliane.

del seme con diversi trattamenti (figura 6). Ciò è probabilmente dipeso dalla rimozione artificiale (a opera dei trattamenti di scarificatura) degli inibitori meccanici e biochimici della germinazione. Propagazione in vitro di un endemismo siciliano: Cistus crispus Cistus spp. Introduzione Cistus crispus è una specie endemica esclusiva della provincia di Messina. Viene rinvenuta solamente in poche località nell’area dello Stretto. Questa specie mediterranea, tipica della fascia collinare, è solitamente rinvenibile dove la vegetazione è costituita da macchia bassa o gariga. Gli ambiente in cui cresce sono sottoposti a forte pressione antropica, dovuta soprattutto al pascolo, e al verificarsi di incendi. Ciononostante, grazie alla sua natura “pirofita”, la specie si giova del surriscaldamento del terreno che favorisce la germinazione dei semi. A causa della sua limitata distribuzione, il C. crispus è stato inserito nella Lista Rossa della flora italiana a rischio, con lo status di “Vulnerabile” (V). Il presente studio nasce dall’esigenza della salvaguardia della suddetta specie, mediante la realizzazione di un protocollo in vitro che possa essere d’ausilio in eventuali programmi di ripopolamento (reinforcing) degli individui, all’interno del proprio areale di distribuzione.

Figura 5 – pattern di germinazione di seme di palma nana siciliana. Il seme era fresco (fresh seed) o conservato per 4, 6 e 8 mesi rispettivamente (4M aged, 6M aged e 8M aged rispettivamente). Le curve rappresentano le equazioni fittate per ogni pattern.

XXV


Figura 6 – pattern di germinazione di seme di palma nana siciliana. Il seme è stato non trattato (untreated) o trattato con acqua calda (hot water), con acido solforico (sulfuric acid) o scarificatura meccanica (mechanical scarification). Le curve rappresentano le equazioni fittate per ogni pattern.

Materiali e metodi Espianti (talee di punta e nodali) prelevati in situ da una popolazione di piante, sono stati trattatati con una soluzione di ipoclorito di sodio per l’introduzione in vitro. Per l’ottenimento di un numero adeguato di piante in vitro è stato necessario sottoporre gli espianti a due cicli di sterilizzazione a causa della presenza di un’elevata carica fungina. Una volta stabilizzata la coltura, si è proceduto al saggio delle più opportune concentrazioni di ormoni esogeni, citochininici e auxinici, per l’ottenimento di piante sane e vigorose da destinare all’ambientamento. Per la prova di moltiplicazione gli espianti sono stati allevati su substrato agarizzato di Murashige e Skoog (MS, 1962) in presenza di differenti ormoni di crescita (BA, Kin, 2ip) a concentrazioni crescenti (0,3 – 0,6 – 1,2 mg l-1), confrontate con un testimone non trattato. Le piante moltiplicate sono state successivamente poste sullo stesso substrato di coltura descritto precedentemente (MS additivato di macro e microelementi), in presenza o meno di diverse concentrazioni (0,5 – 1,0 – 2,0 mg l-1) di auxine IAA o IBA. Risultati Le plantule hanno mostrato un buon tasso di moltiplicazione su substrato arricchito di Kin alla concentrazione di 0,6 mg l-1, fornendo circa 5,5 germogli per espianto dopo 4 settimane in coltura. Le piante, successivamente radicate su IAA alla concentrazione di 1,0 mg l-1, hanno emesso circa 4 radici per pianta in poco più di 3 settimane e hanno fornito percentuali di attecchimento ex vitro superiori all’80%. La possibilità di coltivare e mantenere in vitro il C. crispus, prescindendo dalla disponibilità di materiale in situ, fornisce importanti conferme sulle potenzialità della tecnica della micropropagazione, già largamente impiegata per la propagazione di specie a rischio, da utilizzare in programmi di ripopolamento di areali ove la presenza delle stesse va via via riducendosi drasticamente. Genista spp. Introduzione Nei riguardi delle specie di Genista spp, in considerazione del gradevole effetto estetico (habitus compatto e abbondanti fioriture) e del carattere pioniero delle specie indagate, si ritiene che alcune potrebbero già essere utilizzate per scopi ornamentali, mentre altre richiedono ulteriori approfondimenti per meglio valutare l’ utilizzo più idoneo (ornamentale e/o per

il recupero ambientale). Alcune delle specie in studio (ottenute da propagazione in vitro e ottimamente acclimatate), sono state utilizzate in piccole aiuole come verde urbano e periurbano (Figura 7), come previsto dal progetto di ricerca. Gli studi di propagazione in vitro e successiva acclimatazione sono stati effettuati al fine incrementare le informazioni circa le possibilità di conservazione del germoplasma di tre geniste siciliane differenti: Genista aspalathoides Lam, G. tyrrhena Valsecchi, Retama raetam subsp. gussonei. Semi delle tre specie sono state raccolte in situ e trasferite in vitro. Piantine di ciascuna specie sono state clonate separatamente, quindi trasferite su un substrato solidificato Murashige e Skoog (MS), sali e vitamine ulteriormente arricchito con 30 g l-1 di saccarosio e BA alla concentrazione di 1,33 pM. I germogli sono stati quindi trasferiti su un mezzo MS contenente concentrazioni crescenti di due differenti auxine (IAA o IBA) e diminuendo la concentrazione di saccarosio, fino a radicazione. Le piantine completamente formate sono state trasferite alla serra di acclimatazione, per poi essere piantumate in piccole aiuole. Molte delle plantule di genista, palma nana, Cistus ed elicriso ottenute con le diverse prove di moltiplicazione in vivo e in vitro sono state utilizzate in aiuole sperimentali al fine di poter in seguito valutare il loro effettivo valore ornamentale e le loro esigenze eco-fisiologiche. Ringraziamenti L’attività è stata svolta nell’ambito del progetto FLORIS finanziato dal MiPAAF. Letteratura citata (1) IPGRI. 1993. Diversity for development. Rome, Italy: International Plant Genetic Resources Institute. (2) FAO. 1998. The state of ex situ conservation. Page 90 in The state of world’s plant genetic resources for food and agriculture. Rome, Italy: Food and Agriculture Organization of the United Nations. (3) Gilman E.F. 2011. Document FPS123, Environmental Horticulture, Florida Cooperative Extension Service, Institute of Food and Agricultural Sciences, University of Florida. Permalink at http://edis.ifas.ufl.edu.

Figura 7 – Genista in bordo stradale.

XXVI


Metodologie di diagnostica molecolare per le principali fitopatie da vivaio Messa a punto di una tecnica diagnostica basata su Macroarray Anita Haegi1, Domenico Rizzo2, Luciana Stefani2, Manuela Paoli2, Gianluca Burchi3, Luca Riccioni1, Alessandra Belisario1 Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, Centro di ricerca per la patologia vegetale (CRA-PAV), Via C.G. Bertero 22, 00156 Roma, Italia; 2 Servizio Fitosanitario Regione Toscana, c/o CE.SPE.VI, Via Ciliegiole 99, 51100, Pistoia (PT) - Italia. 3 Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, Unità di Ricerca per il Vivaismo e la Gestione del Verde Ambientale ed Ornamentale (CRA-VIV), Via dei Fiori 8, 51012 - Pescia (PT) - Italia. E-mail: anita.haegi@entecra.it 1

Introduzione Il florovivaismo è un settore caratterizzato da estrema dinamicità, sia per quanto concerne il numero e la tipologia delle specie coltivate, sia per le tecniche di coltivazione utilizzate. La globalizzazione dei mercati per la ricerca e lo sfruttamento di specie nuove per il mercato europeo e nazionale ha determinato in Italia una maggiore introduzione di specie esotiche e di nuove cultivar di specie già diffuse. La diffusione è facilitata dalla maggiore rapidità ed efficienza dei trasporti. Ciò comporta una maggiore esposizione delle piante in vivaio a nuovi agenti patogeni o a malattie emergenti causate da patogeni tradizionali resi virulenti da nuove condizioni ambientali e colturali. Diversi fattori contribuiscono al mutamento dei principali quadri fitopatologici delle colture ornamentali, tra questi l’ampliamento della base genetica del germoplasma di essenze ornamentali spesso non dotate di resistenze genetiche nei confronti delle principali malattie, la diffusione di insetti vettori, particolarmente per fitoplasmi e virus, l’intensificazione colturale e l’avvicendamento di specie suscettibili allo stesso patogeno, nonché l’introduzione di nuove tecniche colturali (come il fuori suolo) (1). Le malattie delle specie florovivaistiche sono importanti per una serie di fattori di ordine economico-produttivo e ambientale. Tra i primi, si annoverano le perdite economiche, dovute al mancato reddito in seguito a morte delle piante o, più frequentemente, al loro deprezzamento ed impossibile commercializzazione in seguito all’infezione. I costi dei trattamenti fitosanitari costituiscono una voce importante nella composizione del prezzo finale del prodotto, sia per il costo del principio attivo, sia per i costi di esecuzione. L’utilizzo massiccio ed irrazionale dei trattamenti fitosanitari, spesso inutili o di scarsa efficacia comportano un rischio ambientale di inquinamento atmosferico e della falda acquifera oltre che un rischio per la salute umana, evidenziato con l’aumentata incidenza di alcune patologie sull’uomo nelle zone a elevata concentrazione vivaistica. In questo contesto, il ruolo di una corretta e rapida diagnosi del/i agenti patogeni causali è di primaria importanza. La disponibilità di metodi diagnostici rapidi ed affidabili e che consentano di razionalizzare l’utilizzo dei fitofarmaci, costituisce un requisito importante per lo sviluppo del comparto florovivaistico. Accanto ai metodi diagnostici più tradizionali basati sull’osservazione macroscopica e microscopica dei sintomi e sul

riconoscimento su base morfologica o biochimica dell’agente/i causali si è di recente assistito allo sviluppo di tecniche diagnostiche molecolari, che mirano cioè all’individuazione ed identificazione di alcuni componenti biochimici dei patogeni stessi, quali gli acidi nucleici, i componenti proteici e quelli lipidici. Tali tecniche, che si affiancano ed in parte sostituiscono quelle più tradizionali, sono spesso più veloci, più affidabili e praticabili. In particolare sono stati messi a punto diversi metodi basati sul riconoscimento degli acidi nucleici (RNA e DNA) dei patogeni delle piante ornamentali. I principali metodi per una diagnosi molecolare attraverso l’analisi degli acidi nucleici utilizzano l’amplificazione genica, che si basa sulla reazione a catena dell’enzima polimerasi (Polymerase Chain Reaction – PCR) e l’ibridazione molecolare. In questo lavoro l’attenzione è stata posta su un problema molto diffuso nei vivai: i marciumi radicali e del colletto causati da funghi/oomiceti. Gli agenti eziologici più comuni nei marciumi radicali sono oomiceti del genere Phytophthora, o funghi dei generi Cylindrocarpon, Armillaria e Fusarium in particolare F. oxysporum, funghi spesso tracheomicotici che, partendo dall’apparato radicale si diffondono in tutta la pianta per mezzo della linfa. Anche il genere Verticillium spp., con le specie V. dahliae e V. albo-atrum è noto nel causare tracheomicosi su diverse piante tra le quali si annoverano specie ornamentali legnose. Questa patologia può essere causata non solo da funghi/oomiceti, ma anche da batteri e talvolta da nematodi. Gli agenti patogeni che causano i marciumi radicali sono per lo più polifagi, cioè attaccano numerosi generi di piante, e possono causare la malattia da soli od in sinergia con altri organismi. In seguito all’attacco si ha la compromissione degli organi della pianta deputati all’assorbimento delle sostanze nutritive e la pianta va incontro a deperimento più o meno generalizzato, manifestando, pertanto, sintomi generici e aspecifici. Tutto ciò rende difficile l’individuazione dell’agente eziologico, e la diagnosi può risultare talvolta complicata. Non solo la diagnosi tradizionale, attraverso l’osservazione dei sintomi e l’isolamento e l’identificazione dell’agente causale, è difficile, ma è un problema anche la diagnostica molecolare poiché è necessaria una individuazione separata degli acidi nucleici dei singoli patogeni. In questo lavoro, svolto nell’ambito del progetto FLORIS, viene descritta la messa a punto di una diagnostica innovativa basata sul

XXVII


MACROARRAY, in grado di individuare ed identificare in un’unica analisi più organismi patogeni presenti nella stessa matrice vegetale. Materiali e metodi CAMPIONAMENTI IN VIVAIO Al fine di mettere a punto la tecnica diagnostica in studio è stato necessario eseguire una serie di campionamenti di piante ornamentali affette da marciumi radicali/ tracheomicosi in vivaio con lo scopo di: - identificare gli agenti eziologici coinvolti in queste malattie; - ottenere colonie pure dei ceppi patogeni da utilizzare per la validazione del metodo diagnostico; - avere il materiale vegetale su cui mettere a punto la tecnica di estrazione del DNA fungino; - ottenere materiale vegetale naturalmente infetto da un numero più alto possibile di specie di piante ornamentali diverse per testare il metodo macroarray. I sopralluoghi sono stati effettuati nelle stagioni primaverili e autunnali degli anni 2009-2011 in diversi vivai in provincia di Pistoia. Sono stati presi in considerazione sintomi di marciume radicale e/o tracheomicosi presenti essenzialmente su arbusti o giovani alberi (conifere e latifoglie legnose, di età compresa fra 1 e 5 anni). Il materiale vegetale sintomatico è stato quindi prelevato per le successive analisi di laboratorio. ANALISI MICOLOGICHE Gli isolamenti di patogeni fungini od oomiceti dai campioni vegetali sono stati effettuati trasferendo piccole porzioni di tessuto infetto (radici/colletto/fusti), previa disinfezione superficiale con ipoclorito di sodio al 3% per 5 minuti, su substrato agarizzato (patata destrosio agar, PDA). L’identificazione tassonomica degli isolati che si sono sviluppati è stata eseguita in base alle caratteristiche morfologiche (morfologia della colonia, micelio, conidi) delle colonie pure. Le stesse colonie pure sono state parallelamente identificate con analisi molecolari. ANALISI MOLECOLARI Il DNA genomico è stato estratto dai funghi in cultura pura con il metodo descritto da Cenis (2), e dai tessuti vegetali (radici/colletto/ fusti) sintomatici con una versione migliorata di un metodo basato sul CTAB (3). Il DNA genomico ottenuto è stato quindi amplificato con i primers universali ITS5-ITS4 per l’identificazione dei funghi, e ITS6-ITS4 per l’identificazione degli oomiceti (4). Gli amplificati ottenuti sono stati utilizzati per la messa a punto del sistema di identificazione Macroarray, la cui procedura viene descritta nei risultati. L’identificazione molecolare degli isolati del genere Phytophthora è stata eseguita anche con l’utilizzo del protocollo messo a punto da Schena et al. (5). Risultati e discussione CAMPIONAMENTI IN VIVAIO In tabella 1 sono elencati i generi delle piante ornamentali campionate. Nelle figure 1 e 2 sono illustrati alcuni esempi dei sintomi manifestati dalle piante malate campionate, la figura 3 mostra l’aspetto di radici colpite da marciume. Di 41 generi di latifoglie e 14 generi di conifere monitorate, 10 generi di latifoglie (Acer, Arbutus, Berberis, Buxus, Choisya, Laurus, Pistacia, Pittosporum, Prunus, Viburnum) e 8 di conifere (Cedrus, Cephalotaxus, Chamaecyparis, Cupressus, Pinus,

Generi campionati

n. campioni 2009

n. campioni 2010

n. campioni 2011

Abies sp

8

0

0

Cedrus sp

4

1

0

Cephalotaxus sp

0

4

0

Chamaecyparis sp

2

8

0

Cryptomeria japonica

2

0

0

Cupressocyparis sp

2

1

0

Cupressus sp

29

20

9

Juniperus sp

22

0

2

Pinus sp

14

2

2

Sciadopitys sp.

4

1

2

Sequoia sp

2

0

0

Sequoiadendron sp

3

0

0

Taxus sp

6

5

0

Thuja sp

4

3

10

Acer sp

13

9

25

Arbutus sp

4

0

2

Berberis sp

0

0

1

Buxus sp

6

2

0

Camelia sp

2

0

2

Catalpa sp

7

0

0

Cercis sp

4

0

0

Chamaerops humilis

4

0

0

Choisya sp

0

4

0

Cleyera sp

0

0

1

Cordyline sp

0

0

3

Cornus sp

6

0

1

Cotoneaster sp

4

0

0

Elaeagnus sp

0

0

1

Eucalyptus sp

0

0

3

Euonymus europaeus

2

0

0

Ficus sp

0

0

3

Fraxinus sp

0

0

1

Hedera sp

3

0

1

Hydrangea sp

4

0

0

Koelreuteria sp

4

0

0

Citrus japonica

4

0

0

Laburnum sp

1

0

0

Lagerstroemia sp

4

0

3

Laurus sp

0

0

1

Limonium sp

1

0

1

Lisianthus spp

1

0

0

Magnolia sp

0

0

1

Malus spp

0

0

5

Nerium sp

0

0

1

Philadelphus sp

1

0

0

Photinia sp

0

0

4

Phyllirea sp

0

0

1

Pistacia sp

0

0

1

Pittosporum sp

0

2

1

Prunus sp

5

5

9

Quercus sp

7

0

0

Rhododendron sp

2

0

0

Spirea sp

5

0

0

Syringa sp

2

0

0

Viburnum sp

8

22

13

CONIFERE

LATIFOGLIE

Tabella 1: Generi/specie di piante ornamentali campionate negli anni 2009-2011 nei vivai della provincia di Pistoia.

XXVIII


Figura 2: Piante in vivaio affette da marciume radicale

Figura 1: Sintomi di marciume radicale su Cupressus sp.

Sciadopitys, Taxus, Thuja) sono risultate infette da Phytophthora spp. In particolare, le specie P. cambivora e P. cinnamomi sono risultate le più frequenti. Cionondimeno, il genere Viburnum è risultato affetto dalla sola P. cactorum/P. hedraiandra. Tra i funghi il genere più rappresentato è il Cylindrocarpon, che nei tre anni di monitoraggio è stato riscontrato su nove generi di conifere (Cedrus, Cephalotaxus, Chamaecyparis, Cupressus, Cupressocyparis, Pinus, Sciadopitys, Taxus, Thuja) e su tre generi di latifoglie quali Buxus, Choisya, e Viburnum. Funghi del genere Fusarium sono risultati presenti su Juniperus per le conifere e su Chaemerops, Hedera, Citrus e Eustoma. Questi campionamenti hanno permesso di verificare il quadro degli agenti patogeni maggiormente associati a marciumi radicali/ tracheomicosi di piante ornamentali legnose allevate in vivaio; sulla base di questi dati e dei dati presenti in letteratura (6) è stata redatta una lista dei patogeni da inserire nel test diagnostico macroarray. (Tabella 2). Il quadro che si evince dai risultati precedentemente esposti rende chiaro che il sistema diagnostico per il tipo di malattie preso in esame, debba poter riconoscere più patogeni contemporaneamente (avere un elevato multiplexing) ed essere un sistema aperto, cioè un sistema in cui in qualsiasi momento si possono aggiungere (o togliere) i marker diagnostici per un determinato patogeno, caratteristiche possedute proprio dal sistema Macroarray. MESSA A PUNTO DI UN SISTEMA DIAGNOSTICO IN MULTIPLEX SU MACROARRAY La procedura del sistema diagnostico messo a punto su Macroarray segue il diagramma di flusso illustrato nella Fig. 4 (7).

Figura 3: Radice affetta da marciume radicale

ASPETTI GENERALI In questa tecnica vengono utilizzate corte sequenze di DNA, chiamate sonde oligonucleotidiche, specifiche per ogni patogeno che si vuole individuare. Per la preparazione delle membrane queste sonde vengono legate alla membrana di nylon con un pin replicator (Fig. 5) secondo uno schema predefinito (Fig.6). Dal campione vegetale in studio viene estratto il DNA che viene successivamente amplificato con la reazione a catena della polimerasi (PCR) e marcato con un enzima che dà la possibilità di individuare il segnale, che nel nostro caso è per chemiluminescenza. Una volta eseguita la procedura di amplificazione e marcatura, il DNA campione viene messo a contatto con la membrana. Se il DNA appartiene a un patogeno considerato nell’analisi, questo si legherà alla sonda oligonucleotidica specifica presente su membrana (ibridazione) e darà un segnale (dot=macchia sulla membrana) per quel patogeno. Questo avverrà contemporaneamente per tutti i patogeni eventualmente presenti le cui sonde oligonucleotidiche sono state preventivamente fissate sul-

XXIX


Taxa

Sonde oligonucleotidiche

Oomiceti

Oomg3T

Phytophthora spp.

DimPhyG/DimPhyA

P. cinnamomi

PcinFO1/PcinRO

P. cactorum

cact15/cact8

P. hedraiandra

hedra15/hedra8

Pythium ultimum

Pul1T

Controllo positivo

ITS4aT

Fusarium spp.

Fgn1T/Fgn2T

F. oxysporum

Fox2

Rhizoctonia solani

Rs3/4, Rso

Botrytis cinerea/Sclerotinia sclerotiorum

Botr2T

Cylindrocarpon spp

DimCylor,Cy1,Cy3

Armillaria spp.

AR1a/AR2f

Armillaria mellea

Am1/Am2T

Verticillium spp.

Vgn1T/ Vgn2T

Sphaeropsis sapinea

Sps1

Pestalotiopsis funerea

Pf2

Tabella 2: Generi e specie patogene inserite nella piattaforma macroarray e corrispondenti sonde oligonucleotidiche.

la membrana. Questa metodica del macroarray ottimizza le potenzialità dell’analisi molecolare poiché sfrutta sia i principi di amplificazione genica che di ibridazione molecolare. Preparazione della membrana Nella fase di messa a punto, la maggior parte del lavoro è dedicato al disegno delle 31 sonde oligonucleotidiche della piattaforma macroarray. Per ogni singolo patogeno si è cercato di ottenere una sonda oligonucleotidica per il genere (es. Phytophthora) e due sonde per ciascuna specie (es. P. cactorum) per una doppia conferma del risultato (8). Per ogni singolo patogeno considerato viene dapprima eseguita un’analisi bibliografica per verificare la disponibilità in letteratura di sonde o primer che possono essere adattati al macroarray. Se non esiste nulla o se gli oligo individuati non dovessero risultare adatti, è necessario disegnare delle sonde ex

Figura 5: Strumento chiamato Pin Replicator necessario per la deposizione ordinata delle sonde oligonucleotidiche sulla membrana di nylon (figura tratta dal catalogo V&P Scientific on-line).

Figura 4: Diagramma di flusso della procedura Macroarray.

novo. Ogni oligo, disegnato sulla regione ITS (spaziatore interno trascritto del DNA ribosomale), viene controllato in silico per le sue caratteristiche biochimiche. In ogni caso la risposta di ogni sonda oligonucleotidica deve essere controllata empiricamente su macroarray. A questo scopo le sonde per ogni singolo patogeno vengono validate utilizzando DNA da cultura pura del fungo/ oomicete corrispondente. Le sonde oligonucleotidiche che sono state messe a punto in questo lavoro sono elencate in Tabella 2, in

Figura 6: Schema definito della posizione delle sonde oligonucleotidiche all’interno di una piastra ELISA a 96 pozzetti. In colore i principali gruppi di patogeni: in giallo Phytophthora, in arancione Fusarium, in verde Cylindrocarpon, in azzurro Armillaria. Per la definizione delle sigle delle sonde vedi la Tabella 2, SB = Spotting Buffer, controllo negativo.

XXX


Figura 8: Risultati della diagnostica Macroarray su un campione di Malus domestica (a sinistra) e Viburnum tinus (a destra). Figura 7: Gel di elettroforesi per la separazione e la visualizzazione dei prodotti della PCR ITS5-ITS4 di 38 campioni vegetali. M= Marker DNA

corrispondenza del patogeno a cui si riferiscono. ANALISI DEI CAMPIONI La prima fase dell’analisi dei campioni consiste nell’estrazione del DNA genomico. Questa rappresenta una fase importante della metodica poiché la qualità del DNA iniziale si è rilevata di importanza fondamentale per la risoluzione (potere diagnostico) del macroarray. Particolare cura è stata quindi dedicata nella esecuzione di questa fase (metodica pubblicata in (3). Il DNA genomico è stato quindi amplificato con i primers universali ITS5-ITS4 per i funghi (Fig.7) e ITS6-ITS4 per gli oomiceti per ottenere,appunto, una amplificazione del segnale. I prodotti della PCR sono stati sottoposti a marcatura diretta ovvero a legame diretto della fosfatasi alcalina con il DNA (AlkPhos Direct Labelling and Detection System, GE Healthcare, UK). Il DNA campione cosi preparato viene messo a contatto con la membrana (fase di ibridazione). Se il DNA corrisponde ai patogeni le cui sonde oligonucleotidiche sono state legate alla membrana, questo si lega alla membrana stessa generando un segnale chemiluminescente . Questo segnale viene acquisito in seguito ad aggiunta di CDP-Star da un Analizzatore di Immagini (ChemiDoc, Bio-Rad). Questo procedimento diagnostico è stato validato, inizialmente, su funghi patogeni noti in coltura pura. Successivamente è stato validato su campioni vegetali con sintomi di marciumi radicali e/o tracheomicosi prelevati in vivaio nel corso del presente lavoro. Nella figura 8 vengono mostrati alcuni risultati ottenuti con il macroarray. La Fig.8a rappresenta il risultato di un campione di Malus domestica var. ‘Melrose’ che risulta positivo a Fusarium spp. e in particolare F. oxysporum e a Cylindrocarpon spp. La Fig.8b rappresenta il risultato di una pianta di Viburnum tinus che risulta positivo per oomiceti, per Phytophthora e più in particolare per P. hedraiandra. Conclusioni In questo lavoro è stato messo a punto un sistema basato sulla tecnica macroarray per la diagnosi di 5 generi e 10 specie patogene, tra cui Phytophthora spp., Fusarium spp., Cylindrocarpon spp., coinvolte nei marciumi radicali/tracheomicosi di piante ornamentali. Il macroarray ha dimostrato una grande potenzialità in campo diagnostico in quanto permette la diagnosi contemporanea di più patogeni da un singolo campione, ideale per malattie a eziologia complessa, malattie con sintomatologie comuni ma diversi

patogeni coinvolti (per esempio i marciumi radicali), e per nuove individuazioni e programmi di monitoraggio. In aggiunta, può essere utilissimo nella diagnosi preventiva e proprio a tale scopo si intende adattare la sua applicazione anche per l’analisi di campioni di suolo al fine di diagnosticare la presenza di eventuali patogeni nel terreno ed escludere così la coltivazione di colture sensibili al patogeno stesso. La diagnosi precoce in vivaio ha come ritorno la possibilità di approntare metodi di difesa efficaci, per la certificazione e la commercializzazione, per la razionalizzazione nell’impiego di agrofarmaci, auspicabile per una riduzione dei costi e dell’impatto ambientale sugli operatori e sull’ambiente. Bibliografia 1) Infantino A., Faggioli F., Ferretti L., Loreti S., Tomassoli L., Haegi A.( 2010) ‘Tecniche di diagnosi innovative per i principali patogeni delle specie ornamentali Italus Hortus 17(4): 57-70. 2) Cenis J.L.(1992). Rapid extraction of fungal DNA for PCR amplification. Nucleic Acid Research 20(9):2380; 3) Lochman J., Sery O., Mikes V. (2004). The rapid identification of European Armillaria species from soil samples by nested PCR. FEMS 237:105-110. 4) White T.J., Bruns T., Lee S. and Taylor J. (1990). Amplification and direct sequencing of fungal ribosomal RNA genes for phylogenetics. Pages 315-322 in PCR Protocols: A guide to methods and applications. Innis, Gelfand, Sninsky and White, eds. Academic Press, San Diego, CA. 5) Schena L., Duncan J.M., Cooke D.E.L. (2008). Development and application of a PCR-based ‘molecular tool box’for the identification of Phytophthora species damaging forests and natural ecosystems. Plant Pathology 57:64-75. 6) Ferrari M., Menta A., Marcon E., Montermini A. (1999). In “Malattie e parassiti delle piante da fiore, ornamentali e forestali”. Edagricole-Edizione Agricole della Calderini – Bologna. 7) Rizzo D., Stefani lL., Paoli M., Grassotti A., Haegi A. (2011). Molecular analysis of root rot pathogens in ornamental plants. Journal of Plant Pathology 93:S4.54. 8) Haegi A., Vitale S., Belisario A.. 2012. Detection of Phytophthora cactorum by DNA array. Proceedings of the 2nd International Symposium on Woody Ornamentals of the Temperate Zone, 1-4 luglio 2012, Ghent, Belgium. Ringraziamenti L’attività è stata svolta nell’ambito del progetto FLORIS finanziato dal MiPAAF.

XXXI



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.