I grandi perversi

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Instituzioni perverse e perversi storici

La chiesa, la strega e i diavoli U

na Chiesa è una setta che è riuscita ad imporsi, spesso attraverso la violenza, il fanatismo e l’intolleranza. L’ideologia delle Chiese cristiane, predicante l’amore per il prossimo, si è rivelata particolarmente efficace poiché i suoi servitori, grandi perversi della Storia, hanno saputo utilizzare brillantemente queste belle parole imponendole attraverso la forza della spada, e perseguitando tutti i dissidenti, divenuti anime dannate e stregoni o streghe diaboliche. La questione delle “Possedute di Loudun” offre un altro volto dell’intolleranza religiosa che ha segnato il Seicento in Europa. Due film dall’estetica molto differente hanno ricostruito questi eventi. In un convento cattolico della Polonia, le religiose guidate dalla madre superiora, Giovanna degli Angeli, sono possedute dal demonio, e nessun esorcismo riesce a venire a

capo della situazione (Madre Giovanna degli Angeli, Jerzy Kawalerowicz, 1961). La Chiesa manda loro un altro prete, padre Joseph Suryn, che ha come compito quello di scacciare il demonio. La prima volta che tenta un esorcismo, non ottiene altro che una scena di isteria collettiva. Si isola allora in un granaio assieme a Madre Giovanna, ma soccombe a sua volta al suo fascino malefico. Sceglie allora di attirare su di sé la maledizione uccidendo due innocenti, e fa dire a Madre Giovanna che si sacrifica per amore. Lo sceneggiatore, riprendendo il romanzo di Jarostan Iwaszkiewicz, ha sviluppato lo studio di un caso di isteria collettiva nella sua dimensione psichiatrica, rivelando il perverso sadomasochismo dei protagonisti. Lo stesso fatto di cronaca viene rappresentato con tutti suoi eccessi barocchi da Ken Russell ne I diavoli (1971). La sceneggiatura, appoggiandosi sul lavoro di Huxley e

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Madre Giovanna degli Angeli (Jerzy Kawalerowicz, 1961). La madre superiora in preda alla possessione isterica, viene esorcizzata dagli inviati della Chiesa che puntano verso di lei i loro crocifissi.


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John Whiting, reintroduce il caso delle possedute di Loudun nel suo contesto storico: la politica repressiva di Richelieu. Quest’ultimo vuole impossessarsi della città che resiste al suo potere. Richelieu utilizza machiavellicamente padre Grandier (Oliver Reed), di cui sa che esercita una forte attrazione sul convento delle suore orsoline e, soprattutto, su Giovanna degli Angeli. Quest’ultima si dichiara posseduta dal demonio e dal suo servo, Grandier. L’inviato di Richelieu, Laubardemont (Dudley Sutton), un grande perverso, come il suo padrone, capisce al volo il vantaggio che può trarre da questa situazione. Fa arrestare Grandier, lo fa torturare e bruciare vivo in quanto stregone. Può in seguito impossessarsi della città e portare a termine la missione affidatagli dallo spregiudicato Richelieu. Il processo di Grandier, con la testa rasata come la

Giovanna d’Arco di Dreyer, è una violenta denuncia dei processi politici truccati, di tutte le epoche e sotto tutti i regimi. Ne I diavoli, dallo stile delirante, isterico, le istituzioni religiose e politiche – in questo caso lo Stato monarchico e la Chiesa cattolica su cui fa leva – vengono vigorosamente additati come meccanismi perversi. Ken Russell demoltiplica i baccanali, le imprecazioni, gli esorcismi, le torture più sadiche. Vi si vedono dei protestanti vestiti con piume d’uccello massacrati, il Cristo che scende dalla sua croce per possedere Giovanna degli Angeli, Luigi XIII mentre balla una danza omosessuale. Quando il Diavolo ci mette lo zampino, ciò che era soltanto mortificazione diventa ben presto isterismo erotomane.

Quando il Diavolo ci mette lo zampino, la mortificazione si trasforma ben presto in isterismo erotomane

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I diavoli (Ken Russell, 1971). Padre Grandier (Oliver Reed), condannato al rogo, viene legato dal boia.


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Cristianesimo e pedofilia P

er molti secoli la Chiesa cattolica si è fatta carico dell’educazione dei bambini. Sosteneva la divisione dei sessi. In seno ai collegi religiosi, i preti iniziavano al sapere, alla conoscenza e alla vita intere generazioni di ragazzi, spesso preadolescenti – il luogo ideale per sviluppare ogni sorta di “amicizie particolari”, per riprendere il titolo di un film e di un romanzo conosciuti. La mala educación (2004) di Pedro Almodóvar ne dà una rappresentazione complessa e assai sulfurea. All’inizio della storia un giovane attore, Ignacio, va a trovare un regista, Enrique Goded, che sta preparando una sceneggiatura ed è in cerca di idee. Sostiene di averlo conosciuto nel collegio religioso in cui erano andati entrambi da bambini. Ignacio lascia a Enrique il testo di una novella, La visita, che crede possa venir trasformato in una buona sceneggiatura. La visita è un racconto

autobiografico sugli amori infantili di Ignacio e Enrique. Quest’ultimo decide allora di farne il suo prossimo film. Un primo flashback mostra il collegio ai tempi dell’infanzia dei due amici, molto innamorati l’uno dell’altro. Ma Enrique è perseguitato da un prete pedofilo, padre Manolo (Daniel Giménez Cacho). Durante una passeggiata nei boschi, padre Manolo ha tentato di sedurre il ragazzo, che è scappato. Il prete era rimasto sconvolto dalla voce angelica del bambino che era venuto a cantare nel refettorio dei preti. Padre Manolo sorprende poi Ignacio e Enrique nascosti nei bagni della pensione del collegio, e fa espellere Enrique. Ignacio, ora adulto, è diventato una bellissima transessuale, Zahara, tornata con la sua troupe teatrale nella città della sua infanzia. Zahara rimorchia un giovane paesano e ne approfitta per fare l’amore con lui mentre è ubriaco...

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La mala educación (Pedro Almodóvar, 2004). Il tavolo dei preti del collegio religioso ascolta la voce divina del giovane Ignacio. Affascinati, applaudono il bambino. Padre Manolo accompagna Ignacio con la chitarra, durante una passeggiata in campagna che si trasformerà in una brutta esperienza per il bambino.


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Il racconto si sviluppa poi con diversi flashback concatenati tra loro, che permettono allo spettatore di scoprire che Ignacio è morto di overdose, che è stato suo fratello minore, Juan, ad andare a trovare Enrique all’inizio della storia, che padre Manolo ha lasciato la Chiesa per diventare un grande editore che si fa chiamare Berenguer. Ignacio ha ricattato Berenguer per procurarsi della cocaina. Quest’ultimo è diventato l’amante di Juan, il fratello di Ignacio. Almodóvar si diverte a sovrapporre sei livelli temporali e a incrociare le identità. Ma offre una notevole analisi della perversità dell’istituzione religiosa, in particolare del comportamento di padre Manolo e del suo complice

criminale, padre José (secondo le fantasticherie di Ignacio). Riprende una tematica tradizionale della letteratura spagnola, quella dell’opera nell’opera. Questo gli permette di passare dal racconto dell’adulto menzognero al vero racconto d’infanzia, al vero film basato su di una falsa realtà. Almodóvar fornisce delle sottili chiavi interpretative che permettono di afferrare l’immaginario omosessuale e il desiderio pedofilo. Il ritratto e il fascino della bella transessuale Zahara, la voce sublime del giovane Ignacio, la descrizione dei corpi maschili sono degli argomenti particolarmente convincenti nella dimostrazione e nella strategia estetica del cineasta spagnolo.

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L’Esercito, lo Stato il nazismo I

l regime hitleriano ha spinto la pulsione sadica fino ai suoi limiti estremi, praticando una politica di sterminio sistematico delle categorie giudicate impure, al fine di preservare la razza ariana. Abbiamo dovuto attendere gli anni Settanta perché il cinema sviluppasse la dimensione perversa dell’ideologia nazista (o fascista), a partire da film come La caduta degli dei (Luchino Visconti, 1969), Il portiere di notte (Liliana Cavani, 1974), e più ancora Salò o le 120 giornate di Sodoma (Pier Paolo Pasolini, 1976). La caduta degli dei, il cui titolo è un esplicito riferimento wagneriano, racconta la storia di una potente famiglia di industriali tedeschi, i von Essenbeck, la cui fortuna risiede sulla siderurgia. All’inizio del 1933, i membri della famiglia sono riuniti intorno al barone Joachim von Essenbeck. Alla cena partecipa anche il direttore delle

fabbriche, Bruckmann (Dirk Bogarde), sostenuto dal barone a scapito di Herbert Thalman (Umberto Orsini), un liberale ostile a Hitler. Si confrontano tutti con la crescita e la presa del potere dei nazisti. La cena viene interrotta dall’annuncio dell’incendio del Reichstag. Essenbeck viene assassinato durante la notte. Sospettato di simpatie antinaziste e accusato dell’assassinio del barone, il liberale Herbert Thalman è costretto a fuggire. Martin, il nipote (Helmut Berger), dominato da sua madre, Sophie (Ingrid Thulin), mette l’amante di quest’ultima, Friederich Bruckmann, a capo delle acciaierie. Un cugino, Aschenbach (Helmut Griem), ufficiale delle SS, incita Martin a eliminare il nipote Kostantin, membro delle SA, e a fabbricare armamenti a favore delle SS. Durante la “Notte dei lunghi coltelli”, le SS sopprimono le SA e tutto il loro stato maggiore.

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Ma bisogna anche definire il destino di Sophie. Martin obbliga sua madre a sposare Bruckmann, e come regalo di nozze gli fa trovare due capsule di cianuro, che ingoiano. Questo grande affresco storico, dipinto da un Luchino Visconti all’apice della sua arte, riesce nell’intento di proporre un’analisi marxista dell’attitudine della grande borghesia industriale rispetto all’ideologia nazista e alla sua follia omicida, pur integrando la sua dimensione patologica e il suo sadomasochismo. Queste tematiche sono sviluppate in seno alle relazioni interne alla famiglia Essenbeck con i suoi giochi di potere, incrociati con i conflitti edipici e le pulsioni sadiche che animano i protagonisti – primo tra tutti il giovane Martin (un favoloso Helmut Berger, che interpreta un perverso di rara efficacia).

La caduta degli dei (Luchino Visconti, 1969). Martin (Helmut Berger) travestito da Lili Marleen, canta per sedurre i suoi spettatori nazisti.

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Il portiere di notte di Liliana Cavani raccoglie in parte l’eredità de La caduta degli dei. La dimensione perversa della pulsione sadica del nazismo e il masochismo di alcune delle sue vittime vengono affrontati in maniera diretta. A Vienna, nel 1957, dodici anni dopo la guerra, Max (Dirk Bogarde), ex ufficiale delle SS, è diventato portiere di notte all’hotel dell’Opera, in cui soggiornano anche altri nazisti, tra i quali lo strano Klaus (Philippe Leroy) e una contessa ninfomane di una certa età, Erika Stein (Isa Miranda). Un direttore d’orchestra americano, Atherton (Marino Mase), accompagnato dalla sua giovane moglie Lucia (Charlotte Rampling), viene a pernottare in questo albergo, vicino al teatro in cui deve dirigere un’opera di Mozart. Max riconosce immediatamente Lucia, una giovane deportata che aveva conosciuto in un campo di concentramento dove era incaricato degli interrogatori. L’aveva violentata, e ne aveva fatto la sua amante. Lucia, all’epoca quindicenne, aveva preso gusto a questi rapporti sessuali intrisi di brutalità e divenuti con il tempo dei veri e

propri rapporti sadomasochisti. Lucia trova un pretesto per rimanere a Vienna. È nuovamente attratta dal suo ex carnefice e ridiventa la sua amante. Max lascia il suo incarico di portiere per vivere una nuova relazione passionale con Lucia. Ma i nazisti che vivono nell’hotel, temendo di essere denunciati da Lucia, perseguitano i due amanti, che vengono entrambi abbattuti durante la fuga, nel momento in cui attraversano un ponte sul Danubio. Il portiere di notte provocò uno scandalo al momento della sua uscita nelle sale, nel 1974, e la regista fu accusata di compiacersi nel sadomasochismo e nell’abiezione, e peggio ancora di essere affascinata dall’ideologia nazista e dalla sua perversione criminale. La relazione tra Max e Lucia era considerata malsana, ripugnante, di un’aberrazione nauseabonda. Effettivamente, per Liliana Cavani, la tremenda efficacia del nazismo risiede nella capacità di sollecitare il masochismo presente in ognuno di noi, come illustra attraverso l’atteggiamento di Lucia. In Schindler’s List (1993), Steven Spielberg cala lo spettatore nel mezzo delle pratiche commerciali del terzo

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Il portiere di notte (Liliana Cavani, 1974). Il portiere di notte Max (Dirk Bogarde) ha rimesso la sua uniforme da SS per ricominciare i suoi giochi sadomasochistici con Lucia (Charlotte Rampling), l’ex deportata ebrea, che beve alla sua salute.


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Reich. Il film mette a confronto Oskar Schindler (Liam Neeson), cinico uomo d’affari, provocatore e opportunista, che sfrutta i prigionieri ebrei per arricchirsi mettendo in piedi una fabbrica di materiale militare, e un ufficiale delle SS particolarmente sadico, Amon Goeth (Ralph Fiennes), responsabile del campo di concentramento in cui Schindler si rifornisce di mano d’opera a buon mercato. L’ufficiale SS uccide arbitrariamente i suoi prigionieri sparando loro come se fossero conigli, dall’alto della sua terrazza. Ma recluta tra loro una ragazza di cui fa la propria cameriera. La minaccia, l’umilia, ne fa la sua amante, pur continuando a perseguitarla con inaudita crudeltà. Lei subisce terrorizzata questo sadico rituale. Quando, nel 1943, Schindler assiste allo sterminio per mano dei nazisti nel ghetto di Cracovia, vicino al quale ha installato la sua fabbrica, cambia il suo atteggiamento e, aiutato dal suo contabile ebreo, Itzhak Stern (Ben Kingsley), decide di impiegare tutte le sue energie e i suoi guadagni per dirottare il più gran numero possibile di ebrei dalla via del campo di sterminio, negoziando con

gli ufficiali delle SS per impiegarli nella sua fabbrica e sottrarli così al genocidio. Anche se si ispira a un episodio realmente accaduto, il film di Spielberg gioca con un certo sadismo sulle attese dello spettatore, in particolare nella celebre sequenza delle docce, in cui ritarda di qualche minuto l’irruzione dell’acqua che esce dai tubi. Il regista concentra il suo film sulla miracolosa e molto hollywoodiana sopravvivenza dei 1100 ebrei di Schindler, restituiti in extremis alla vita, quando dall’altra parte ci sono 6 milioni di morti assassinati. Questo atteggiamento perverso è particolarmente evidente nel momento in cui la macchina da presa è puntata sulla fila di quanti entrano nel convoglio che li porterà alla fabbrica mentre, fuori campo, tutti gli altri prigionieri verranno sterminati. Allo stesso modo, la compiacenza morbosa con cui mette in scena i rapporti di dominazione sadica tra Amon Goeth e la giovane ebrea avvicina in un certo senso il suo percorso a quello di Liliana Cavani – quest’ultimo più politico, e quello di Spielberg più metafisico e personale. Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini

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(1976) porta al parossismo la rappresentazione della dimensione perversa del fascismo. Verso il 1944-45, nella Repubblica di Salò, quattro maggiorenti fascisti, un banchiere, un magistrato, un vescovo e un duca, che detengono tutto il potere di vita e di morte, decidono di mettere in scena Le 120 giornate di Sodoma, l’opera più radicale del marchese de Sade, per appagare i loro sogni erotici. Per prima cosa, fanno rapire un gruppo di ragazzi e ragazze che dovranno piegarsi ai loro voleri, organizzati in tre “gironi”, in riferimento all’Inferno di Dante: il girone delle passioni, quello della merda e quello del sangue. Tre narratrici li eccitano con i loro racconti. Questa messa in scena non nasconde niente delle molteplici violenze (stupri, torture, crimini) che commetteranno i padroni sulle vittime procurate loro da miliziani compiacenti. Il luogo di questi crimini è una villa mussoliniana di

un’estrema freddezza, molto differente dalla rappresentazione medievale dei gironi dell’Inferno dantesco. Ma sarà il quadro delle torture più crudeli, basate sullo sfruttamento sessuale dei corpi, la coprofagia, i supplizi più barbari e inumani, inflitti fino all’agonia delle vittime. Mai il cinema aveva raggiunto un tale limite di insostenibilità nella rappresentazione di atti di perversione criminali e sadici. Ma, per Pasolini, questa violenza estrema non è propria esclusivamente della storia del fascismo. Non appartiene al passato: «Non è tanto il ricordo di quel periodo che mi ha ispirato, quanto lo spettacolo del mondo attuale, la violenza senza precedenti che oggi si esercita sul corpo», scriveva Pasolini nel 1975. Fu assassinato pochi giorni avanti la prima proiezione del film, un evento che conferisce un aspetto fortemente premonitorio alle sue dichiarazioni dell’epoca.

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Schindler’s List (Steven Spielberg, 1993). Schindler negozia con Amon Goeth per ottenere la mano d’opera per la sua fabbrica.


Salò o le 120 giornate di Sodoma (Pier Paolo Pasolini, 1976). I notabili fascisti esaminano i corpi denudati delle loro giovani vittime, trattate come animali da macello.


Salò porta al parossismo la rappresentazione della dimensione perversa del fascismo

Un’altra scena di esame medico particolarmente perverso in un salone del palazzo, mentre vengono fatti sfilare i prigionieri. La biancheria abbassata è un ulteriore elemento di umiliazione.


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