Il linguaggio della danza

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BIBLIOTECA DELLE ARTI

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Flavia Pappacena

Il linguaggio della danza Guida all’interpretazione delle fonti iconografiche della danza classica


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Biblioteca delle Arti Sezione Danza diretta da Flavia Pappacena

Copertina: Patrizia Marrocco In copertina: Paloma Herrera nel ruolo di Kitri del Don Chisciotte (da La Danza dell’American Ballet Theatre, Gremese 2006) In IV di copertina: Figurini di Louis-René Boquet per i balletti di Noverre (1791) conservati presso la Biblioteca Nazionale Svedese. Galatea, Cerere, il Fuoco, Borea Fotocomposizione: Redigraf – Roma Stampa: La Moderna – Roma Copyright GREMESE 2010 © E.G.E. s.r.l. – Roma www.gremese.com Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore.

ISBN 978-88-8440-632-3


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a mia sorella Carla


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Sommario Premessa Dal ballet de cour all’affermazione della danza come forma d’arte autonoma I fondamenti del balletto classico Le basi della danza classica L’Académie Royale de Danse e i principi della danza classica La danza e il balletto nell’opera lirica e nell’opéra-ballet alla fine del Seicento Lo spazio della rappresentazione Maschile e femminile Caratteri e simbologia nel ballet de cour Il ruolo della scenografia

9 13 17 19 20 31 34 40 42 47

Balletto, moda, tradizione nel Settecento Il cambiamento del gusto Il gusto dominate negli anni Trenta e Quaranta del Settecento Il Minuetto esaltazione della morbidezza rococò Il teatro dell’Opéra-comique Danze paesane, danze grottesche e pantomima nella danza italiana del Settecento Pastori e pastorelle: dalla mitologia al mondo paesano

49 51 56 63 67

La ricerca di una nuova identità L’avanzamento tecnico nella metà del Settecento La nascita della pantomima nobile e del balletto d’azione

83 85 90

Tavole a colori

97

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Il balletto d’azione Lo spazio nel balletto d’azione Il balletto d’azione di Jean-Georges Noverre Tra giochi maliziosi e vezzi rococò: Les Petits riens di Noverre-Mozart L’interpretazione neoclassica dei costumi dei balletti di Noverre

113 115 116

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Dalla mitologia alla quotidianità alla fine dell’Ancien Régime L’amore per la danza dell’ultima regina di Francia

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Villaggi operosi e contadini gioiosi all’Opéra alle soglie della Rivoluzione

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L’arabesque emblema della danza moderna L’arabesque pittorica L’arabesque coreografica Attitude-arabesque: tra stravaganza e bello ideale L’anatema di Noverre contro l’arabesque Le innovazioni tecniche alla fine del Settecento Le contaminazioni tra danza e pantomima Il linguaggio universale della pantomima

143 145 147 149 150 152 157 158

Continuità, sviluppo, reinterpretazione della tradizione nell’Ottocento Le prime scarpette da punta Gli ultimi echi della moda nei balletti della prima metà dell’Ottocento Tra immaginazione e realtà, tradizione e nuova linea estetica in Giselle Dagli Zefiri alle fanciulle alate del balletto romantico Lo spazio nel balletto ottocentesco

161 163

171 177 182

L’eredità della tradizione italiana nel gran ballo di fine Ottocento Dalla verosimiglianza francese al realismo italiano Tra verosimiglianza e filologia: il quadro “storico” di Excelsior La danza italiana di carattere Dal palcoscenico alla cinepresa: l’Excelsior di Comerio

185 188 190 193 196

Riferimenti bibliografici

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Referenze iconografiche

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Ringraziamenti

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Premessa

Sin dal Settecento tutti gli autori di testi a carattere teorico o tecnico sulla danza sottolineano la centralità della componente visiva dello spettacolo coreografico e, più genericamente, del messaggio visivo contenuto nel movimento del danzatore. Molti di questi testi, segnatamente quelli a carattere didattico, presentano una dovizia di illustrazioni che, sebbene destinata a visualizzare le regole accademiche e a rendere incisivi i concetti, testimonia la funzione via via crescente che l’immagine viene ad acquistare non solo come veicolo di messaggi estetici o ideologici, ma anche come strumento altamente formativo. Tuttavia le illustrazioni dei manuali didattici non sono l’unica fonte iconografica con la quale deve confrontarsi colui che desidera avvicinarsi al gusto, alle tecniche e alle diverse forme comunicative della cultura coreografica del XVIII e del XIX secolo. Le pubblicazioni storiografiche sulla danza e le ricerche recentemente pubblicate in riviste scientifiche e in atti di convegni hanno restituito una serie di immagini (figurini di costumi, bozzetti scenografici, illustrazioni di eventi, ritratti) da cui emerge una considerevole quantità di elementi conoscitivi sulla danza del Settecento e dell’Ottocento. I disegni dei costumi, soprattutto quelli del Settecento, sono una fonte inestimabile di documentazione sul carattere del personaggio e, a volte, anche sul suo stile danzante che è ricostruibile attraverso la foggia e gli ornamenti, ma anche dall’atteggiamento stesso della figura, che in molti casi è riprodotto con grande accuratezza. Se consultati con attenzione, i figurini rivelano anche altre funzioni essenziali assegnate al costume tra cui la capacità di veicolare messaggi complessi utilizzando la simbologia di cui era impregnata la cultura visiva del tempo. Tra le fonti iconografiche non vanno inoltre dimenticati i manoscritti con trascrizioni coreografiche che, per la loro impostazione grafica fortemente orientata sulla ricezione visiva, trasmettono una serie di informazioni rivelatrici anch’esse di tecniche – esecutive e compositive – e di dinamiche relazionali tra pensiero estetico e produzione. Con il presente testo è nostra intenzione offrire una campionatura esemplificativa delle diverse fonti iconografiche accompagnandola con indicazioni che possano guidare il lettore in una corretta interpretazione dell’immagine e, attraverso di essa, ad un’analisi estetica e tecnica di base della danza. I limiti di spazio, e al contempo la necessità di non sacrificare il testo in una semplice schedatura organizzata cronologicamente, ci ha imposto una selezione delle immagini e il suo contenimento entro i termini convenzionalmente riconosciuti come la fase “storica” della danza classica: dal ballet de cour alla danza della fine dell’Ottocento.


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La campionatura tiene conto di fonti relative alla creazione, alla produzione, alla teoria, alla didattica, alla conservazione e alla cronologia del balletto e privilegia alcune tematiche centrali e ancora non sufficientemente analizzate o poco dibattute quali l’ispirazione all’iconologia classica, il condizionamento delle mode, la funzione della scenografia e del costume, lo spazio della rappresentazione. L’esigenza di spiegare anche visivamente il profondo radicamento della danza nella cultura dell’epoca e la molteplicità delle connessioni e dei raccordi con gli altri domini culturali ci ha indotto a giustapporre alle fonti coreutiche immagini di diversa appartenenza (arti figurative, arti applicate, costumi tradizionali) scegliendo quelle in cui risulta più chiara la condivisione di schemi iconografici o di messaggi simbolici tra la danza e la società.

Flavia Pappacena giugno 2010


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Dal ballet de cour all’affermazione della danza come forma d’arte autonoma

Non è possibile accostarsi alle diverse forme espressive del balletto settecentesco o ottocentesco senza uno sguardo preliminare agli sfarzosi spettacoli e alle innovazioni nel teatro lirico voluti da Luigi XIV. Il ballet de cour, il cui primo esempio è il Ballet comique de la Royne (1581), è uno spettacolo grandioso concepito come ideale incontro tra le arti della poesia, della musica, della danza e della pittura per la solenne glorificazione del Sovrano. Nel balletto di corte – come fu chiamato in Italia – si avvicendano parti declamate, cantate, di musica strumentale e di danza, popolate da una variegata moltitudine di personaggi, parte delle quali è interpretata dai nobili della Corte tra cui il re e la famiglia reale. Questi personaggi appartengono agli ambiti più diversi: alla mitologia classica (divinità maggiori e minori, Ninfe, Fauni, ecc.), all’allegoria, sono figure fantastiche del teatro antico, ma sono anche personaggi reali rappresentanti mestieri o appartenenti a diverse nazionalità. Titoli quali Ballet des saisons (Balletto delle stagioni, 1661) e Le Triomphe de l’Amour (Il Trionfo dell’Amore, 1681) pongono in evidenza come il soggetto sia di fatto un pretesto per una magniloquente e sontuosa allegoria ricca di appariscenti effetti scenografici e di costumi pittoreschi sul gusto di Luigi XIV e assoggettata alle norme da questo imposte a tutte le arti. Nel novero dei grandi spettacoli vanno considerate anche le Feste che, protraendosi per diverse giornate, includevano vari tipi di intrattenimento e di rappresentazioni teatrali offrendo alla danza un’ulteriore occasione di visibilità e una prova tangibile della considerazione in cui essa era tenuta a corte e soprattutto dal Re Sole. L’importanza riconosciuta alla danza dalla cultura ufficiale francese tramite il modello codificato del ballet de cour influenza profondamente la riforma del teatro musicale al punto che, sia la nuova opera (tragédie lyrique) creata da Jean-Baptiste Lully nel 1673, sia la forma dell’opéra-ballet nata poco dopo (1695), hanno danze e balletti accademici distribuiti in tutta la rappresentazione (in tutti gli atti e dopo il Prologo) eseguiti da danzatori professionisti e, in numero via via crescente, anche da danzatrici. Tali balletti erano inseriti nel tessuto dell’opera e degli opéras-ballets come parte integrante, tuttavia i danzatori non ricoprivano alcun ruolo nello sviluppo drammatico dell’azione, in quanto figure secondarie e di riempimento (il seguito di divinità, cortigiani di un re, abitanti di località dove si svolge l’azione, ecc.) anche se a volte di importante supporto al contesto (vendemmiatori in una festa alla fine della vendemmia). Essi avevano infatti il volto coperto da vistose maschere e si muovevano


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utilizzando un’intricata tecnica terre-à-terre impiantata su rigorosi disegni geometrici. Le danze prevedevano la partecipazione di più danzatori, ma più spesso consistevano in pas de deux, pas de trois, assoli, ecc. di alta difficoltà tecnica. Tutte queste danze, unite allo splendore del costume e delle maschere, provocavano un effetto altamente spettacolare. La struttura del balletto all’interno delle opere e degli opéras-ballets, basata su disegni coreografici simmetrici ed eseguita da danzatori con maschere, rimane invariata quasi fino alla fine del regno di Luigi XV, ossia fino quasi agli inizi degli anni Settanta del Settecento. Sarà proprio questa immobilità a spingere il balletto accademico francese verso un virtuosismo tecnico sempre più appariscente ancorché contenuto nelle norme codificate dall’Académie Royale de Danse e dalle regole dettate dal gusto della classe dominante, l’aristocrazia. L’abolizione delle maschere e la decadenza dell’opéra-ballet e dei balletti accademici simmetrici è strettamente connessa con l’affermazione in tutta Europa della nuova forma del balletto a struttura narrativa chiamato ballet d’action o ballet pantomime. Se i balletti a struttura narrativa che fecero maggiormente scalpore risalgono al 1761 (di Jean-Georges Noverre a Stoccarda e di Gaspero Angiolini a Vienna), l’origine di questa forma è riconducibile alle sperimentazioni attuate da alcuni artisti in diverse città europee a partire dagli anni Quaranta del Settecento. Per quanto ascrivibili a linee estetiche diverse, tutte queste esperienze sono in qualche modo legate al movimento di restaurazione classicista che inizia a farsi strada come risposta agli eccessi del Rococò e sull’onda della “riscoperta” del teatro antico. In alcuni casi esse recano il segno di influenze e contaminazioni da parte del teatro drammatico francese, con gli attori eredi della Commedia dell’Arte o con gli acrobati della danza “grottesca” italiana, ma larga parte di esse presenta una forte attrazione verso la pittura considerata dal pensiero illuminista arte sorella della danza insieme alla poesia e alla musica. Come nel teatro classico, i balletti a struttura narrativa si svolgono sulla base della tripartizione canonica esposizione-intreccio-svolgimento e avvicendano movimenti scenici e pantomima in musica con brani di danza propriamente detta. In tutte le sue parti il balletto si avvale, secondo l’uso del teatro settecentesco, di complessi mezzi scenografici diventando uno spettacolo grandioso. I balletti di Jean-Georges Noverre, in particolare, sono concepiti come grandi e compositi affreschi in cui le parti danzate, peraltro molto ricorrenti, si intrecciano a movimenti di massa, creando un movimento tanto complesso spazialmente quanto strutturalmente unitario e stilisticamente omogeneo. Le parti danzate sono variamente inserite nel tessuto drammatico e concorrono a creare un sapiente equilibrio tra “piacere degli occhi” e profondo coinvolgimento emozionale del pubblico.


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Sono queste peculiarità, insieme alla pubblicazione teorica Lettres sur la danse et sur les ballets del 1760, che fecero di Noverre la figura più rappresentativa di quel processo di rifondazione del teatro di danza che interessa l’Europa tra la metà del secolo e gli anni Sessanta-Settanta. Osservando la situazione europea a cavallo della metà del Settecento nella sua globalità, si nota una notevole varietà di soggetti. Questi sono ispirati sia al teatro tragico antico che alla letteratura teatrale seicentesca, soprattutto francese. Da Molière Gaspero Angiolini trasse il Dom Juan ou le Festin de pierre; Hilverding si ispirò al Britannicus di Racine, Noverre creò Medea, Le Danaidi e tradusse in balletto gesta eroiche dell’Eneide e della trilogia dell’Orestea. Non mancano “fiabe” tratte dalla mitologia (Orfeo e Euridice di vari autori tra cui Noverre) e soggetti comici (Don Chisciotte di Noverre). Il soggetto comico di ambientazione contadina, presente ma minoritario nei primi balletti, diventa di tendenza nei pochi anni del regno di Luigi XVI (1775-1789). Storie di smaliziate fanciulle che ingannano la madre, immerse in cornici paesane tipiche delle gioiose commedie date all’Opéra comique offrono il pretesto a talentuosi coreografi quali Maximilien Gardel (La Chercheuse d’esprit, Ninette à la cour, Opéra 1778) o Dauberval (La Fille mal gardée, Bordeaux 1789). Ma anche il filone “spagnolo” attira i coreografi. Jean-Baptiste Blache e Dauberval mettono in scena balletti ispirati al Barbiere di Siviglia e alle Nozze di Figaro di Beaumarchais. Tuttavia è la moda alla greca scatenata dagli scavi di Ercolano e Pompei (1738, 1748) a stimolare le maggiori innovazioni tecniche e a costituire il filone principale dei balletti a cavallo dei due secoli. Mentre all’Opéra Pierre Gardel metteva in scena i balletti Psyché, Télémaque dans l’île de Calypso e Le Jugement de Pâris – ispirati a profondi temi morali –, la visione dionisiaca del mondo antico riscoperta con gli scavi archeologici innesca un processo di rigenerazione delle basi stesse della danza accademica che non intacca l’impianto normativo dell’Académie, ma le contrappone provocatorie trasgressioni nello stile e nella tecnica. Tali trasgressioni, che Noverre definisce con tono sprezzante arabesques, traggono spunto dalla stravaganza e dalla irrealtà tipica delle grottesche di tradizione raffaellesca nelle quali si identifica il concetto stesso di arabesque in pittura e in danza. Siamo di fronte ad un’affascinante contraddizione tra la negazione del fondamento delle arti imitative – il principio dell’imitazione della natura – e l’esaltazione del “bello ideale” rivisitato con una sensibilità moderna. Ma le contaminazioni sono più numerose e profondamente legate ai mutamenti estetici e ai rivolgimenti politici e sociali. Anche il costume, come la tecnica e il rapporto tra danza femminile e maschile, viene sovvertito: la Rivoluzione francese e il passaggio del secolo aprono definitivamente le porte ad una nuova sensibilità e, con essa, ad un nuovo modo di danzare. Nella prima metà del secolo XIX sul balletto si riversano le numerose


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innovazioni apportate gradatamente alla scenografia e alla scenotecnica. Dopo la mobilità conquistata dal sipario, con cui sono eliminate le mutazioni sceniche a vista, viene introdotta l’illuminazione a gas (1822) che, sostituendo i lampadari pendenti dall’alto, favorisce un uso più articolato e funzionale della luce. La scenografia modifica gradatamente anche la sua impostazione spaziale sostituendo con elementi architettonici e di arredo le quinte dipinte. Sempre importanti, sebbene con diversa destinazione, sono i “praticabili” e i congegni meccanici che consentono apparizioni dal sottopalco o miracolosi innalzamenti e abbassamenti. Non si tratta più di Plutone e Proserpina o di Mercurio messaggero delle divinità olimpiche o, ancora, del carro di Medea trainato da mostri, ma degli Zefiri, degli Elfi e delle Silfidi volanti del nuovo balletto romantico. Il passaggio del secolo è caratterizzato da una eterogeneità di scelte tematiche e da sperimentazioni in diversi ambiti. Mentre il progresso nelle scienze e nella medicina suggerisce nuove prospettive di analisi del corpo e di esplorazione del movimento, la nascente educazione fisica impone alla danza di adeguare la sua missione educativa ampliando il programma formativo per amatori. Operazioni di revisione e di sistematizzazione delle metodiche didattiche seguono di pari passo lo sviluppo tecnico che, scrollatosi di dosso condizionamenti e pregiudizi, si affaccia ad orizzonti più ampi e liberi. La danza femminile guadagna uno spazio maggiormente visibile sul piano tecnico riuscendo a specializzarsi in modo innovativo nella forma terre-à-terre: la tecnica della salita sulla punta è ormai conquistata anche se l’assenza di rinforzi nella scarpetta ne sacrificherà lo sviluppo fino quasi alla fine del secolo. L’istituzione delle scuole di ballo del Teatro alla Scala e del Teatro San Carlo, inizialmente gestite da artisti dell’Opéra di Parigi, riconducono in patria artisti quali Carlo Blasis che, formatosi in Francia, porterà la scuola scaligera ai vertici della notorietà internazionale. Casi analoghi si avranno in altri paesi come la Danimarca che nel 1829 vedrà di ritorno da un perfezionamento a Parigi August Bournonville. Con la prima metà dell’Ottocento le due scuole – francese e italiana – si fronteggiano in una competizione che non vedrà mai la fine ma che, a seconda dei periodi, delle tendenze del gusto e degli esiti delle scuole stesse, farà emergere di volta in volta l’una o l’altra. Nel primo ventennio del secolo la circuitazione internazionale degli artisti, già consolidata nella seconda metà del Settecento, concorre a divulgare metodi, a diffondere tecniche e a innescare continui processi di assimilazione e contaminazione. Il caso di Salvatore Viganò, allievo del padre Onorato ma anche discepolo di Dauberval, è uno dei casi più significativi. Lo stesso può dirsi per Carlo Blasis o per Salvatore Taglioni i quali, sebbene in misura diversa, porteranno la loro formazione francese in Italia assorbendo al contempo anch’essi prassi e metodi. Tuttavia tra Francia e Italia permane, in misura meno evidente ma


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altrettanto profonda, la differenza nelle tendenze del gusto, nelle linee poetiche e drammatiche e nel sistema produttivo, che aveva già caratterizzato la seconda metà del Settecento. Ciò dipende dall’influenza esercitata sugli artisti dalla temperie artistica e culturale e dalle logiche impresariali. Mentre i discepoli di Gaspero Angiolini, dei Viganò o di Giovanni Galzerani propendono per una formula di balletto con parti mimiche preponderanti e una presenza minoritaria della danza, in Francia il balletto tende a concedere sempre maggiore spazio alla danza accademica sviluppandone in una direzione decisamente espressiva il vocabolario tecnico e sublimando in un messaggio poetico la leggerezza, l’eleganza e la leggiadria sancite dall’Académie. Gesti e movimenti si fondono in un’infinità di sfumature rendendo la danza inafferrabile quasi quanto le creature del filone favolistico del balletto romantico. Alla verosimiglianza ricercata dagli italiani, il balletto romantico francese di soggetto fantastico contrappone un’approssimazione che è il segno più evidente del rifiuto da parte degli artisti romantici francesi di una verità inalterabile e oggettiva. In Francia, dopo l’affermazione del soggetto contadino tanto apprezzato da Maximilien Gardel e da Dauberval, e a seguire i balletti di stile spagnoleggiante più o meno fedeli alle commedie di Beaumarchais, compaiono soggetti orientali spinti dalle ultime tendenze della letteratura e delle arti figurative, come trova anche spazio il revival gotico e rinascimentale e la riscoperta della fiaba. Si giunge così all’esplosione del balletto romantico che porta con sé l’irrequietezza tipica della produzione letteraria, teatrale e musicale di analogo segno. Il panorama ballettistico degli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento è estremamente vario come lo sarà quello della seconda metà del secolo. L’elemento fantastico, dominante nella produzione romantica, divide l’interesse del pubblico con il romanzo avventuroso e con le danze di “carattere nazionale” per le quali vengono introdotti nuovi ritmi musicali: dallo “svizzero” valzer alla polka, alla mazurca e alla polonaise. Nel balletto francese la struttura coreografica è quella indicata da Noverre – una miscela di pantomima e di danza –, anche se la necessità di ampliare l’aspetto comunicativo del balletto induce i coreografi francesi a tentare di superare i limiti storici della pantomima francese appropriandosi di alcune locuzioni del linguaggio mimico italiano per creare una sorta di linguaggio universale. Nell’ambito musicale, si abbandona la prassi in auge nel periodo a cavallo dei due secoli di collazionare estratti di opere note e si istituzionalizza definitivamente la figura del compositore di musica per balletto precedentemente ricoperta dai direttori d’orchestra (si pensi a Deller, Rudolph o Aspelmayr per Noverre), dagli stessi musicisti d’opera (ad esempio Gluck per Angiolini) o dai coreografi. Si tratta di un’autonomia conquistata gradatamente e che trova giustificazione sia nella maggiore


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durata del balletto sia nell’originalità dei soggetti. Differentemente da quanto accadeva nel Settecento, in cui era premura del coreografo aderire al testo drammaturgico, ora il testo letterario costituisce a volte anche solo un pretesto, come Trilby o il folletto d’Argail di Charles Nodier per La Sylphide di Filippo Taglioni, il cui tema della tentazione e del sogno proibito dà vita ad un delizioso duetto d’amore colorato di tutte le astuzie femminili e di tutti gli strumenti tecnici per rendere l’inafferrabilità del personaggio fantastico. È, questo, insieme al plagio, uno degli aspetti che avevano reso indispensabile già nel Settecento la redazione di Programmi dei balletti. Tuttavia, per difendersi dal problema della contraffazione e dell’appropriazione indebita, si dovrà attendere la legge sul diritto d’autore ossia la costituzione della Société des auteurs, compositeurs, et éditeurs de Musique (1851) e, in Ialia, l’equivalente Società degli autori (1882).


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I fondamenti del balletto classico


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Le basi della danza classica

Luigi XIV ebbe un ruolo determinante nella nascita e nella regolamentazione tecnica e stilistica della danza accademica francese. Sua cura fu garantirle spazi all’interno delle rappresentazioni teatrali e assicurare la qualità tecnica e stilistica dei balletti attraverso l’istituzione di un apparato normativo logico e conforme alle norme estetiche dettate dall’arte classica. Tali norme furono sperimentate da lui stesso nei balli dati a corte e nei ballets de cour cui prese parte interpretando diversi ruoli.

Questa immagine ritrae Luigi XIV non ancora quindicenne nel ruolo di Apollo nel Ballet Royal de la Nuit, il ballet de cour del 1653 che gli guadagnò l’appellativo di Re Sole. Il costume, come anche il copricapo, è coperto di splendenti raggi dorati, evidente simbolo dell’interpretazione di Apollo come dio del Sole. L’iconografia verrà conservata nel Settecento, come è documentato dai bozzetti di Louis-René Boquet per il balletto Admète et Alceste, riportato alla pag. 106.

Luigi XIV ritratto da Hyacinthe Rigaud all’età di 63 anni (1701). L’atteggiamento del corpo e la posizione delle gambe sono un chiaro segno dell’eleganza del portamento e dei modi squisiti che avevano reso famoso il Re Sole presso tutte le corti europee. Luigi XIV, appassionato ammiratore della danza, fino al 1670 partecipò in prima persona agli spettacoli della corte ricoprendo vari ruoli. Nel 1681, in Le Triomphe de l’Amour (reggia di Saint-Germain-en-Laye), apparve nel ruolo del dio Comus.


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