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A NEWSPAPER ABOUT OUR WORK ON Design_Architecture_Exhibition_Light_Retail_Stories_Life_Attitude_Stuff_Suggestions
H O M E W W W.G RU PPOC14.COM VIA MORIMONDO 26 20143 MIL ANO T +39 02 4 8 958 49 4 F +39 02 89 078553
C L I E N T S L O V E U S ACBC SRL ACCADEMIA DEL PROFUMO ADP AEM - MILANO AMDL APRILIA ASTI SPUMANTE AUTOGRILL ASICS BALLANTYNE CASHMERE BANCA SELLA BARABAS B E AU T E P R E S T I G E I N T E R N AT I O N A L B E N E L L I - B E R E T TA BRUNI GLASS CANALI C APGEMINI ER NST-YOU NG CARMIGNAC GESTION LUXEMBOURG S.A. C AT E R P I L L A R CAUDALIE CIELO VENEZIA CITROEN CM COIMA COMUNE DI MILANO CO M U N I TÀ EU RO PE A CO N SO R ZI O VA LT EL L I N A COREPLA DA.FE. ARTE SRL DEDAR DELOITTE DEUTSCHE BANK D I BIZ CO DPR DUPONT ENEL ENIT ERONGEST SRL EXYTUS EYEPETIZER FABBRICA DEL DUOMO FEDERMOBILI FERRERO FINANZA E FUTURO FLAMINGO FRAU FRESCOBALDI G A Z ZE T TA D E L LO S P O RT GENERALI PROPERTIES GEOSPIRIT GILERA GRUPPO OBI GQ-CONDÈ NAST GUZZI HAIER HINES H3G-(TRE) HOTEL CHIAR AVALLE HOTELPLAN I L LY IMMOBIL CENTER I N A A SS I TA L I A INDA INFOSTRADA-IOL INTEL I TAC A IT’S COOL IULM JEAN PAUL GAUTIER JOB PILOT KITON
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ALEXANDER BELLMAN M AT T E O N O B I L I FLORIANA CESCON ELISA ARINI F E D E R I CO M O N TAG N A GIULIA CELSI K AT E M I TC H E L L C A M I L L A G UA I TA
W E P U B L I S H EDITOR IN CHIEF ALEXANDER BELLMAN MANAGING EDITOR ELISA ARINI GIULIA CELSI CONTRIBUTOR TO THE ISSUE FLORIANA CESCON COPY EDITOR C A M I L L A G UA I TA T R A N S L AT I O N K AT E M I TC H E L L GRAPHIC DESIGNERS ALEXANDER BELLMAN ELISA ARINI GIULIA CELSI PHOTOS BY ANDREA CORBETTA
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DI ALEXANDER BELLMAN “The Food Obsession and the Social Value” Io, personalmente, amo progettare posti in cui si mangia e si beve. Non so di preciso perché siano i miei preferiti, ma credo che la ragione principale sia legata all’importanza sociale di tali luoghi in quanto luoghi da frequentare fisicamente, decisamente in opposizione alla tendenza crescente del delivery e quindi dell’isolamento. Del resto l’atto della soddisfazione di uno dei principali bisogni della razza umana, quello di nutrirsi, è da sempre anche un evento sociale non trascurabile. Durante i pasti nella storia dell’uomo è successo di tutto, ma in generale si è diffusa conoscenza, come se lo stesso atto della condivisione del cibo fosse un acceleratore di un necessario processo di trasformazione, sia positivo che negativo. Nella pratica, potrei andare avanti per ore, ci si è uniti o divisi, ci si è uccisi ed avvelenati, litigato e tradito, imparato e dimenticato, ecc. Insomma uno si siede a tavola o ad un banco, beve un caffè o un bicchiere di vino, oppure fa un pasto completo e prova una specialità tradizionale orientale, ma comunque si guarda intorno, comunica ed apprende. Sia che parli con amici o sconosciuti o che stia zitto, fa un’esperienza reale dove il luogo è parte fondamentale e complementare. Certo, tutto il contrario di questo periodo Covid-19, che oltre ad aver inevitabilmente ritardato la pubblicazione di questo numero (problema forse di importanza relativa) ci ha costretto ad un atteggiamento decisamente opposto (problema forse di importanza assoluta). Vogliamo veramente dimenticarci o ignorare un momento di vita così importante? Il mio invito e quello di C14 è banale: ritorniamo a frequentare i luoghi del sociale e quindi anche quelli del mangiare, smettiamola di guardare ossessivamente Master Chef e tutti i suoi derivati, dove altri fanno valutazioni per noi di piatti che non possiamo neanche assaggiare e vivono al nostro posto. Ritorniamo al più presto ad essere protagonisti, a pensare con la nostra testa e a mangiare con la nostra bocca, e facciamolo insieme. Se poi i luoghi in cui andremo piaceranno anche a voi e vi trasmetteranno anche la cultura del cibo come risultato di innovazione e tradizione, uno dei temi di base di molti dei nostri progetti, ancora meglio. P.S. il tutto è stato scritto durante uno dei periodi più bui dell’epidemia Covid-19 A presto. Personally speaking, I love designing places where you can eat and drink. I don’t really know exactly why they are my favourites, but I think the main reason is linked to the social importance of such places, as they are places you go to physically, and are in direct contrast with the growing trend of home delivery and, consequently, isolation. After all, the act of satisfying one of the most basic of human needs - feeding oneself - has always been an important social event. If you look at the history of man, all sorts of things have happened during meals, but generally speaking knowledge has spread, as though the very act of sharing food accelerates a necessary process of transformation, both in positive and negative terms. In practice, I could go on for hours, it unites and divides, people have been murdered and poisoned, people have argued and betrayed, learnt and forgotten, etc... In short, someone sits down at a table or a bar, has a coffee or a glass of wine, or maybe a complete meal and tries a traditional Eastern delicacy, in any case they look around, they communicate and take it all in. Whether they talk to friends or strangers or sit in silence, they have a real experience in which the surroundings are fundamental and complementary. Of course, this is the exact opposite of the pandemic period, which as well as inevitably delaying the publication of this issue (possibly only of relative importance) forced us to behave in a completely different way (possibly of absolute importance). Do we really want to forget or ignore such an important moment in life? I, along with everyone here at C14, have a somewhat obvious suggestion: let’s start going to social places again, and so places where you can eat, let’s stop obsessively watching Master Chef and all the other spin-offs, where other people judge food for us, food that we can’t even try, and live for us. Let’s get back to living our lives first-hand, thinking for ourselves, and eating for ourselves, let’s do it together. If you also like these places that we go to and if you appreciate the culture of food as a result of innovation and tradition, (incidentally one of the fundamental concepts of many of our design projects), then, even better. P.S. all this was written during one of the darkest periods of the Covid-19 epidemic See you soon.
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C’era una volta...
ieri e oggi, fuori a cena Once upon a time... dining out, yesterday and today
C’era una volta il ristorante. Ci andavano solo coloro che potevano permetterselo. E infatti i ristoranti storici, quelli che oggi sono sopravvissuti, hanno un sapore nobile distintivo. Per gli altri c’erano al massimo le trattorie - il cui nome stesso rivela l’origine agricola, contadina e non cittadina, del luogo. Sembra passata un’era. Ma ancora negli anni ’70 del secolo scorso i ristoranti erano ristoranti e le osterie, osterie. Qualcuno si ricorderà quando ci fu la diffusione delle pizzerie, che rappresentarono la prima alternativa democratica al ristorante, soprattutto per i giovani. Pizza e birra potevano permettersele tutti, e uscire la sera non diventava più una questione capitale. Se esaminiamo il proliferare delle insegne di ristorazione a partire dagli anni Ottanta, con una forte accelerazione dopo il Duemila, ci viene da chiedere: ma prima dove andava tutta questa gente?
Once upon a time there was the restaurant. The only people who went to them were those who could afford it. In fact, historical restaurants, the ones which still survive today, have a distinctive noble air about them. Other people had to make do with the trattoria – which had decidedly more humble, rural origins. It feels like a lifetime ago now, but in the Seventies restaurants were restaurants and taverns were taverns. Some of you will remember the spread of pizzerie as the first democratic alternative to restaurants, especially for young people. Everyone could afford pizza and beer, going out in the evening no longer meant breaking the bank. If we look at the increase in the number of restaurants from the Eighties onwards, and the massive rise after the year 2000, we wonder: where did all these people go before?
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4 Lo sviluppo di locali food va di pari passo con l’evoluzione della società italiana. Vi contribuiscono fattori diversi. Il lavoro femminile, ad esempio, riduce drasticamente i tempi della “donna in cucina” di antica memoria. L’urbanizzazione porta in città masse di persone che vivevano nei paesi, se non proprio in campagna, dove l’esigenza di uscire era molto più ridotta. Lo sviluppo del terziario comporta una miriade di persone che si spostano nel centro della città dalla mattina alla sera. Migliaia di “colletti bianchi” - come si sarebbe detto per i lavoratori nelle fabbriche - che devono mangiare a pranzo, ma rimanendo fuori casa. Allo stesso tempo, proprio l’utilizzo più comune del ristorante e una maggior diffusione di conoscenze culinarie porta al nuovo piacere di cambiare cucina, di provare anche altri tipi di cibi. Iniziano i cinesi, negli anni Settanta, con una politica del low cost che attrae un po’ per la scelta esotica e un po’ perché non pesa sul portafogli. La cucina cinese arriva in Italia, e si può dire in Europa, spogliata in gran parte della sua ricchezza e della sua arte millenaria.
The development of eateries goes hand in hand with the evolution of Italian society. There are various contributing factors. Female employment, for example, drastically reduced the amount of time women spent in the kitchen, in the old-fashioned sense of the phrase. Widespread urbanisation brought masses of people into the cities from nearby towns, though not strictly the countryside, regardless, there was far less need to go out. The development of the services sector saw a myriad of people commuting to the city each day. Thousands of white collar workers needed to a place to eat at lunchtime as they couldn’t go home. At the same time, the regular use of restaurants and an increased knowledge of cuisine led to the pleasure of changing cuisines, of trying other types of food. It started with Chinese restaurants in the Seventies, their low-cost policy attracted consumers to the exotic dishes which didn’t leave them out of pocket. Chinese food arrived in Italy, and in most of Europe, largely stripped of its richness and centuries-old culinary art. It could be described as the prelude to fast food:
cucina asiatica
osterie
70’
ieri e oggi fuori a cena Diventa forse la prima cucina che prelude il fast food: possibilità di vivere un luogo accogliente, come un ristorante, ma con un cibo standard, di non troppe pretese ma di facile consumo. Poi è il turno della cucina giapponese. Che parte dai presupposti opposti di quella cinese. Il ristorante giapponese si posiziona subito in alto, e riproduce un’immagine raffinatissima della cultura nipponica. “Andare al giapponese” è, per molti anni, sinonimo di scelta di classe. Anche un po’ ardita. In un film di Fantozzi (ma non è certo l’unico) si trasforma in una sofisticata tortura, oltre che in una tragedia gastronomica. È la visione pop della prima globalizzazione del cibo. Ma non passa molto e nelle grandi città arrivano una dopo l’altra tante altre culture. La cucina etiope, quella vietnamita, quella coreana, poi quella cinese di alta fascia, e così via. Paradossalmente sembrano rimetterci le cucine europee. Pochissimi i ristoranti francesi, non molti quelli spagnoli, ancora meno quelli tedeschi. Gli americani, forti del loro immaginario dettato dal soft power, impongono l’hamburger, che diventa specialità. Il west, con la sua carne,
diners could enjoy a welcoming environment, like a restaurant, but with standard-quality, modest, reasonably-priced food. Then it was the turn of Japanese food, which is based on an entirely different set of assumptions. Japanese restaurants immediately positioned themselves at the the high-end of the market, and offer consumers an extremely refined view of the Japanese culture. “Going out for a Japanese” has, for many years now, been synonymous with cool. Even slightly daring. In a Fantozzi film (by no means the only one) eating in a Japanese restaurant turns into a sophisticated form of torture, not to mention a gastro-tragedy. A pop vision of the first example of the globalisation of food. It didn’t take long for lots of other different food cultures to arrive, one after the other - Ethiopian, Vietnamese, Korean, then high-level Chinese and so on. Ironically, European cuisine seems to be losing out. There are very few French restaurants about, not many Spanish ones and even less German eateries. Americans, emboldened by
fastfood americano
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le patate fritte, il ketchup e il sapore dei film di cowboy. Dall’America arriva anche il fast food. Che rappresenta una novità in sintonia con i tumultuosi anni Ottanta. Tutto si consuma veloce: si vive veloce, si mangia veloce. Ma quella che pare una rivoluzione presto diventa un’opzione economica, con focus centrale proprio sulla famiglia tradizionale con bambini piccoli, che amano il gusto facile di panino e milk shake. È una opzione possibile che non si afferma, se non per un brevissimo tempo, come una vera tendenza. Le catene alternative di fast food faticano a crescere. Anche perché l’impaginazione dei locali, tutto luce e colori, finisce presto fuori moda. Invece inizia a farsi strada una nuova cultura del mangiare. Se l’industrializzazione aveva portato a una standardizzazione degli alimenti, un cibo più conveniente (pensiamo al pollo) ma con una inevitabile perdita di qualità, poco a poco si recupera la memoria della natura, “del buon cibo di una volta”. È una svolta lenta ma epocale. Con la consapevolezza di ciò che si sta mangiando, cresce una nuova generazione di locali. Il luogo di consumo, che è anche luogo di ritrovo, si sviluppa seguendo direttrici sempre più articolate. Nasce una nuova attenzione alla cura formale ambientale, all’estetica del locale, alla sua conformazione, al rapporto tra cibo e spazio in cui lo si consuma. Negli anni Ottanta fa il suo debutto il locale “stile newyorkese”, come si usava dire, con i suoi bianchi e neri, gli spazi aperti e puliti, la luminosità ampia e diffusa. Ma non è l’unico stile a interessare. Anzi, fa sorridere che il suo sviluppo, piuttosto lento, arrivi in provincia, specie in alcune zone d’Italia, mentre in altre è oramai considerato del tutto out.
their soft power, pushed hamburgers and they became their speciality. The West, with its meat, French fries, ketchup and cowboy vibe. America also gave us fast food. This particular innovation was in perfect sync with the tumultuous Eighties. Everything was consumed quickly: live fast, eat fast. But what initially seemed to be revolutionary soon proved to be a cheap option, the main focus was on traditional families with small children who prefer the easy flavour of sandwiches and milkshakes. This option didn’t establish itself, at least not for very long, as a real trend. Alternative fast food chains struggled to flourish. This was also due to the interior design of the restaurants, all bright lights and primary colours, which soon went out of fashion. Instead, a new food culture is gaining ground. Industrialisation introduced the standardisation of food, cheaper food products (chicken for example) but this was accompanied by one step back in terms of quality, little by little that memory of nature is retrieved - “how good food used to taste”. This is a slow yet momentous shift. A growing awareness of what we eat came hand in hand with a new generation of eateries. The place where food is consumed, which is also a place to meet, developed according to increasingly articulated guidelines. There was a new focus on the environment, the aesthetics of restaurants, the layout and the relationship between food and the space in which it is consumed. The Eighties featured the debut of restaurants in the “New York style”, as it was referred to, with its black and white, clean, open spaces and bright lighting. But it wasn’t the only style to be popular at the time. Indeed, it’s funny now to think that the somewhat slow development of this style reached the provinces in some areas of Italy,
ieri e oggi fuori a cena
Diversificare l’aspetto estetico e percettivo. Rendere il più possibile unica l’esperienza sensoriale dell’ambiente diventa un must per chiunque voglia intraprendere con successo un’attività nel settore: a noi di C14 questo piace, diverte e appassiona. Diversifying the look and feel of a place, making the sensorial experience unique is a must for whoever wants to be successful in the restaurant business: we like this here at C14, it’s fun and we’re passionate about it.
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8 Infatti, ed è questo il vero cambiamento, non esiste più uno stile unico, che si impone assoluto e che possa andare bene ovunque. Architetti e designer prendono sempre più per mano i gestori, arricchendo le possibilità di scelta. Si tiene conto innanzitutto dell’ambiente circostante. Un centro storico non può avere l’allestimento di un nuovo quartiere cresciuto intorno a un centro commerciale. Avanguardia vuol dire sempre di più anche riscoperta, studio meticoloso dei materiali, una volontà di recuperare i dati e i segni più interessanti dello spazio in cui ci si trova. Il luogo non diventa semplicemente uno spazio senza memoria, da arredare. Ma un luogo di cui si tiene presente la storia, lo sviluppo urbanistico dei dintorni, le diversificazioni prodotte dal tempo. Un segnale importante di questo cambiamento radicale di impostazione lo si può leggere proprio là dove meno penseremmo di trovarlo: i fast food, il regno del cibo postmoderno, perdono la loro livrea e la loro aura di “futuribilità” a favore della creazione di un’esperienza il più possibile in sintonia con l’ambiente e con la città che li ospita. E se è un centro storico, tanto meglio.
while in others it was already considered old hat. In fact, the real change is the fact that there no longer exists one single style that is imposed in an absolute fashion and suits anywhere. Architects and designers increasingly take restaurateurs by the hand and offer them a rich array of choices. First of all the surrounding environment is carefully considered. The old part of a town cannot house the same design as an area which developed around a shopping centre. More and more, avant-garde is also about rediscovery, meticulous attention to materials, the willingness to preserve the most interesting features and information within a space. The place doesn’t simply become a space devoid of memory, merely to be furnished, rather it is a place where the history is taken into consideration, along with the urban development around it and the diversification produced by the passage of time. An important sign of this radical change can be seen exactly where you would least expect to find it: fast food, the quintessential post-modern food, has shed its livery and aura of “feasibility” in favour of the creation of an experience in
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ieri e oggi fuori a cena Dopo la crisi del 2008, parallelamente al tramonto di molte attività commerciali - non si contano più i negozi che chiudono - c’è uno sviluppo impressionante dei locali per la ristorazione. Diversificare l’aspetto estetico e percettivo. Rendere il più possibile unica l’esperienza sensoriale dell’ambiente - e non solo degli alimenti consumati - diventa un must per chiunque voglia intraprendere con successo un’attività nel settore: a noi di C14 questo piace, diverte, appassiona. Negli anni ci siamo impegnati in una serie di progetti nel food che ci hanno permesso di acquisire una competenza solida a riguardo. Aldilà del gusto personale, per noi ogni nuovo locale è una grande sfida: Milano offre talmente tanto che è difficile disegnare qualcosa di veramente originale che abbia, però, una sua rotondità intrinseca. È difficile scovare un’idea interessante, capace di intercettare un’esigenza, di colmare un vuoto, di catturare con un’intuizione. È difficile trovare imprenditori che abbiano davvero qualcosa da dire con il loro locale. Fino a oggi siamo stati fortunati, e in questo numero vogliamo raccontarvi perché.
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harmony with the environment and the city in which it is housed. And if that place happens to be the old part of the town, then even better. After the economic crisis in 2008, the same time as many companies went out of business – and countless shops closed – there was an astounding boom in places to eat. Diversifying the look and feel of a place, making the sensorial experience unique – and not only the food consumed – is a must for whoever wants to be successful in the restaurant business: we like this here at C14, it’s fun and we’re passionate about it. Over the years we have been involved in a series of restaurant projects which have allowed us to acquire a solid skills-set. Personal taste side, we approach each new eatery as a great challenge: Milan offers so much that it’s hard to design something truly original which also has an intrinsic completeness. It’s hard to come up with an interesting idea which manages to satisfy requirements, fill a gap, capture the imagination. It’s hard to find entrepreneurs who truly have something to say with their establishment. So far we’ve been lucky, and in this issue we’d like to tell you why.
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Progettare per il food Design eateries
Prendere in un bar un bicchiere di prosecco non è solo la risposta a un bisogno primario, quello della sete. E nemmeno solamente la risposta a un piacere del gusto, del sentire del palato. È spesso un mix di fattori, la risultante di un desiderio profondo di gratificazione, di condivisione, di soddisfazione che passa anche per il palato. Che passa per la bocca come per gli altri sensi. È facile comprendere che non si può progettare un locale solo come luogo dove mangiare e bere, ma dove sentiamo che la vita è migliore, o perlomeno ci può regalare il suo lato migliore. Nel senso più ampio del termine. Si potrà dire che anche uno spazio nel moderno retail, oggi, assume sempre di più connotazioni valoriali: è espressione di emozioni, deve creare sensazioni prima ancora che vendere. Vero. Ma se questo è corretto, è proprio quando mangiamo o beviamo, cioè quando deponiamo le armi della battaglia quotidiana per rilassarci, per dare al nostro corpo e alla nostra mente un momento di pace e di gioia, che abbiamo più bisogno di trovarci emotivamente in sintonia con l’ambiente. Le sensazioni che percepiamo - cioè la creazione di emozioni che emergono da sotto la soglia del cosciente - diventano la chiave per interpretare l’architettura e il design di un luogo. Ecco, per tutto ciò passa la differenza tra progettare il retail e il food. Passa in qualche modo attraverso il terzo incomodo tra chi vende e chi progetta: il pubblico e le sue reazioni.
Having a glass of prosecco in a café is not just satisfying a primary need, quenching one’s thirst. Neither is it just a response to pleasing the palette. It is a combination of different factors, it is the result of a deep desire for gratification, for conviviality, for satisfaction which also touches the palette, which goes through the mouth just like other senses. It’s fairly obvious that you can’t design a place simply as a space where you eat and drink, it has to be somewhere where we feel that life is better, or at least where we can see the better side of life, in the broadest sense of the word. Similarly, modern retail spaces are increasingly associated with a set of values: it is the expression of emotions, it has to create a feeling even before selling anything. True. But if this is right, it is precisely when we eat or drink, when we lay down our weapons from our daily battles, and relax, to give our bodies and minds some peace and joy, that we need to be emotionally in tune with the environment. The sensations we perceive – the creation of emotions which emerge from below the surface of our consciousness – are key to interpreting the architecture and design of a place. There we have it, this is the difference between designing spaces for retail and restaurants. In some way the process involves a third wheel, between the person who sells and the person who designs: the patrons and their reactions.
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Se nel retail la personalità del venditore e della stessa merce possono vincere sulle emozioni - ed è comunque un sì dubitativo, spesso - nel food progettare senza pensare a chi entrerà nel locale, ai suoi sentimenti, alla sua disposizione d’animo è come, ci si perdoni il gioco, fare i conti senza l’oste. Questo non significa mettere il committente in secondo piano. In un progetto, al primo posto c’è sempre il cliente. E c’è sempre l’incontro tra imprenditore e progettista. Tra i desideri del primo e la capacità di tradurli in fatti del secondo. Il designer deve saper leggere tutte le esigenze, gli espressi desideri, gli obiettivi del proprietario per fare un buon lavoro. Deve coordinarsi con lui, essere una specie di levatrice che comprende cosa ha dentro e lo aiuta a dargli vita. Mettere a fuoco ciò che non c’è è il compito (arduo ma inesorabile) del progettista. Il primo passo è, quindi, la costruzione della brand identity del locale: ci sono casi in cui essa è ben chiara nella mente del committente e casi in cui, invece, il locale va pensato prima ancora che costruito. Cosa sta dietro quello spazio? Cosa si vuole che esso diventi? Sono queste le domande cui noi di C14 dobbiamo dare risposta. Una volta che, insieme al cliente, abbiamo capito cosa comunicare, va compreso come farlo. Il passo successivo è l’ideazione del logo. Il format deve prendere vita, va definito in tutte le sue angolazioni, va lavorato perché si presenti con un’identità piena e completa, con luci e ombre, con la sua capacità di rispondere a un’esigenza e, anche, con la sua incapacità di farlo. La comunicazione del locale deve divenire un tutt’uno con gli arredi, con i materiali, le finiture, i colori, le lavorazioni. La cura del dettaglio, anche il più piccolo, è fondamentale per la riuscita del progetto: noi siamo ossessionati dal dettaglio, perché sappiamo che è nella trascuratezza degli elementi minimi che si nasconde il rischio per l’imprenditore. La sfida del committente è anche la nostra.
If in retail the personality of the vendor and the goods can triumph over emotions – and this is still rather dubious, often – with restaurants designing a place without considering who will come in, their feelings, their mindset, is like, and pardon the food pun here, counting your chickens before they hatch. This doesn’t mean that the client takes a back seat. In a project, the client always comes first. There is always a meeting of minds between the entrepreneur and the designer. The dreams of the former and the latter’s ability to turn them into reality. The designer needs to know how to read all these needs, expressed desires, the owner’s objectives, in order to work successfully. He has to work alongside the owner, co-ordinate with him, be a sort of midwife who understands what he has inside and help him breathe life into it. Focusing on what is not apparent is the (arduous but relentless) job of the designer. Therefore, the first step is to establish the brand identity of the place: in some cases this is very clear in the client’s mind, while in others the place has to be thought of before it is built. What lies behind this space? What is it supposed to become? These are the questions we have to answer here at C14. Once we have sat down with the client and fully understood what we want to communicate, we need to understand how to do it. The next step is creating the logo. The format has to come to life, it has to be defined from every possible angle, it has to be worked on so the identity is well-rounded and complete, with light and shadow, with its ability to answer a need, and simultaneously, its inability to do so. This communication has to be entirely at one with the furnishings, the materials, the finishes, the colours and techniques. Attention to detail, even the most minute details, is crucial to the design’s success: we are obsessed with detail, because we know that it conceals a risk of failure for entrepreneurs. The client’s risk is also ours.
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Lo spazio è espressione di emozioni; deve creare sensazioni prima ancora che vendere The space is the expression of emotions; it has to create a feeling even before selling anything.
Ogni elemento viene studiato e pensato per quello specifico contesto: gran parte degli arredi sono bespoke, disegnati da noi e prodotti in tiratura limitata dai nostri artigiani. I pattern sono personalizzati e diventano parte integrante del brand. C14 lavora così: ci mettiamo al servizio di un’idea e solo di quella, cesellandola come maestri orafi perché sia unica e perfetta, ma vogliamo che il cliente possa riprodurla all’infinito, se ne ha necessità. Vogliamo agevolare, aiutare, sostenere perché il successo di un format diventi esponenzialmente sempre più grande. Il designer deve naturalmente saper comprendere anche le esigenze dei flussi: come
Every single element is studied and designed for that specific context: most of the furniture is bespoke, designed by us and produced as a limited edition by our craftsmen. The patterns are personalised and become an integral part of the brand. That’s how C14 works: we are always at the service of an idea, and that alone, chiselling away at it like artisans, until it is unique and flawless, but we want the client to be able to replicate it infinitely, if needed. We want to facilitate, help, support, so that the success of a format can grow exponentially bigger. Naturally, a designer has to understand traffic flow requirements: how people move around within an eatery, which is very different to how
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people move around in a food store for example. Some want a high level of intimacy, while some want a more convivial atmosphere, some want a view, others prefer a more secluded place where talking is easier. Then there are the needs of the waiting staff (where fast service also means quality service), people’s need to stand up and sit down with relative ease, the needs of adults and of children. The space doesn’t just follow a path, there have to be niches and open spaces, this means creating movement and often covering changes in level. Then, as mentioned above, the space has to allow for the to and fro of staff, without creating obstructions and bottlenecks. Facilitate free movement for the workers but without overdoing the amount of empty, unused spaces.
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ci si muove in un locale, che è cosa molto diversa da come ci si muove in un negozio di alimentari, ad esempio. C’è chi vuole la massima intimità e chi la convivialità, chi ama la vista e chi preferisce un luogo appartato dove poter parlare. E poi ci sono le necessità dei camerieri (i cui tempi di servizio significano anche qualità del servizio), le necessità delle persone che devono potersi alzare e sedere con relativa facilità, i bisogni degli adulti e dei bambini. Lo spazio non segue solo dei percorsi, deve creare nicchie e luoghi aperti, significare un movimento, coprire spesso dislivelli. E poi, come detto, permettere l’andata e il ritorno del personale senza creare intasamenti. Concedere la facile manovrabilità a chi deve lavorare senza mai eccedere in spazi vuoti, non utilizzati.
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L’ultimo ostacolo, sottile e subdolo, è il sentimento dei tempi: sentire nell’aria una nuova musica e, e, semplicemente, trascriverla. La musica che la gente, senza saperlo, vorrebbe sentire. Ecco, questo è il sentimento dei tempi. Progettare un locale secondo il sentimento dei tempi è un’operazione difficile e, direi, anche rischiosa. Al tempo stesso, però, è fondamentale per il successo del locale. Sia detto chiaramente: sentimento dei tempi non vuol dire moda. Non c’è nulla di più scivoloso della moda, che viene e va e invecchia in un attimo. Il sentimento dei tempi è capire come vorrebbe stare la gente e come ancora non sta, come ancora non sa che vorrebbe stare. E capirlo prima che diventi abituale, che ne sia assuefatta.
The last obstacle is subtle and devious, it is the feeling of the times: hearing a new music in the air and, simply, transcribing it. Music that people want to hear, but without realising they do. There, that’s the feeling of the times. Designing a place according to the feeling of the times is a tricky operation, I would even say it’s risky. Although, at the same time it is crucial to the place’s success. Let it be perfectly clear: the feeling of the times doesn’t mean fashion. Nothing is more slippery than fashion, that appears and ages in a flash. The feeling of the times is understanding how people would like to be, how they aren’t yet and how they still aren’t aware of how they would like to be. And understand all this before it turns into a habit and people become satiated.
Un esempio: il pubblico ama condividere sui social le proprie esperienze, raccontare una sensazione, un gusto, narrare le suggestioni che il locale ispira. Ed è utile che il luogo stesso offra alcuni elementi in grado di alimentare la fantasia degli ospiti e aggiungano valore all’esperienza. È impossibile, oggi, ignorare un’esigenza come questa, anche perché comunicare la bellezza di uno spazio aiuta a farlo conoscere, a veicolare un’idea e un format che, se sono vincenti, è bello che spicchino il volo.
For example: people love sharing their personal experiences on social media, describing a feeling, a flavour, narrating what a place inspires. It’s useful when the place itself offers certain elements which can feed people’s imagination and add value to the experience. Today, it’s impossible to ignore such a requirement, also because communicating the beauty of a place helps to advertise it and create a vehicle for an idea and a format which, providing they are winners, can take flight.
Poi, naturalmente, ogni tempo ha il suo mood. Ci sono periodi in cui le linee sono più curve, altri in cui si ama lo spigolo. C’è un tempo per il ferro e uno per la pelle, o addirittura per la plastica, uno per il marmo, uno per la sintonia e uno per la distonia dei materiali. Saper cogliere questo non in maniera meccanica, copiando ciò che c’è già, ma in maniera creativa, ascoltando e interpretando, è uno dei compiti del progettista. Il già visto è sicuro segno di qualcosa che sta perdendo di valore, ma il non visto assoluto può sconcertare, se il target non è già nella disposizione d’animo di volerlo comprendere. È quindi un lavoro sospeso nel vuoto, tra tradizione e novità. Tra quello che era fino al giorno prima e quello che ancora domani non ci sarà.
Then, of course, every time has its own mood. There are periods during which lines are curved, other times they are all sharp angles. There’s a time for iron and another for leather, or even plastic, one for marble, one for harmony and contrast between materials. Knowing how to grasp this, not mechanically, not copying what already exists, but instead creatively, listening and interpreting, is one of the tasks of designers. The already seen is certainly a sign that something is losing value, but the absolutely never seen can be perplexing, if the target consumer is not in the right frame of mind to want to understand it. And so, this task is suspended , hanging in the air somewhere between tradition and novelty. Between what it was up until yesterday and what it still won’t be tomorrow.
progettare per il food
È un lavoro sospeso nel vuoto, tra tradizione e novità. Tra quello che era fino al giorno prima e quello che ancora domani non ci sarà. This task is susended, hanging in the air between tradition and novelty. Between what it was up until yesterday and what it still won’t be tomorrow.
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Health and the city L’orto urbano come spazio contemp
poraneo
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Il verde in città! The Green in the city!
ORTO URBANO
Sognavamo di realizzare qualcosa che ci avvicinasse alla natura. Una natura nella quale gli alimenti vengono coltivati e protetti. In altri termini, un locale che in un contesto attuale capace di restituire il clima e la socialità della grande metropoli - conservasse nel profondo la passione per gli odori, i sapori, i sentimenti della campagna. C’era la difficoltà di tradurre tutto questo in chiave contemporanea, in un locale che, a Milano, fosse in grado di ricordare e di trasmettere al pubblico le sensazioni dell’antica arte del coltivare la terra. Ecco, da questo affastellarsi di idee e ispirazioni nasce il concept di Orto urbano.
We dreamed about creating something which resembled nature. The kind of nature where food is grown and protected. In other words, an eatery in a contemporary context – that could bring back the atmosphere and conviviality of a bustling city, whilst preserving a passion for aromas and flavours – rural sentiments. The difficulty lay in translating all this into a contemporary setting, into a restaurant in Milan which could express the feeling of ancient farming traditions. So here we are, from out of this bundle of ideas and inspirations came the concept for Orto Urbano.
L’idea dell’orto urbano si sviluppa come elemento di discontinuità nel tessuto cittadino tradizionale, come possibilità di ritorno alle origini, pur in un contesto urbanizzato e caotico. Un recupero della dimensione umana e sociale tra cemento e asfalto, con un contatto autentico e diretto con la terra.
The idea of Orto Urbano developed like a discontinuous element in the traditional urban fabric, a chance to return to one’s origins whilst remaining within an urbanised chaotic space. A way of reconnecting with humanity amongst the concrete and tarmac by means of authentic, direct contact with the land.
Il gusto dei sapori naturali si deve sposare alla qualità del vivere più aggiornata, a un preciso mood estetico, qualità del servizio, rapporto sociale che è anche social.
The taste of natural flavours must combine smoothly with today’s quality of life, with a precise aesthetic mood, high-quality service, social relations and social media.
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22 Healthy food rigorosamente a vista. Strictly visible healthy food.
Sì, perché un concept poi deve essere in grado di attrarre e racchiudere elementi diversi, anche opposti. E essere iconico, stilizzato e stilizzabile in ogni elemento: dalle pareti all’arredo, dalla struttura alle tovagliette, ai vassoi, alle business card. In quest’ottica e con questo obiettivo abbiamo studiato il logo. Orto urbano si presenta quindi come un luogo dove la genuinità diventa healthy food, la sostenibilità anche delivery, la socialità unione e convivialità (perché no) facilmente instagrammabile.
Yes, because a concept has to be able to attract and encapsulate different elements, even opposing ones. Each element has to be iconic and stylised: from the walls to the furnishings, from the structure to the napkins, the trays and the business cards. This was the approach and the goal when we set about designing the logo. So, Orto Urbano is a place where authenticity becomes healthy food, sustainability and delivery, socialisation, union and conviviality, and the concept is (why not) instagram-friendly .
Il concept si sviluppa riprendendo gli elementi materici e visivi dell’orto tradizionale e reinterpretandoli in chiave contemporanea. Il colore? Rosa. Lo trovate sulle lamiere satinate, sulle griglie che sorreggono i tavoli. Ma questo rosa si sposa con l’industrial, trova forza nel rapporto con materiali duri come il ferro.
The concept develops around the material and visual elements of a traditional vegetable garden and reinterprets them from a contemporary viewpoints. The colour? Pink. It can be found on the satin-finish metal sheets, on the grilles supporting the tables. However, this pink also suits more industrial elements and finds
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ORTO URBANO
La finitura in resina del pavimento si spinge sul bancone, sul quale i dettagli rosa dei giunti riprendono il percorso a terra. Per gli espositori abbiamo pensato di utilizzare vetrate e cassetti realizzati in rete metallica rosa. Dietro il bancone, piastrelle Iris Ceramiche nella collezione Diesel, cannettata sui toni del grigio. Al centro, il logo Orto urbano.
strength in hard materials such as iron. The resin floor continues up to the counter where pink detailing references the floor. As for the display furniture we used cases and drawers made of pink metallic mesh. Behind the counter we used Iris Ceramiche tiles from the Diesel collection, in shades of grey. The Orto urbano logo is positioned in the centre.
La linea guida di Orto urbano è una rivisitazione in chiave attuale dell’idea di orto. Abbiamo scelto la lamiera rosa, che ricorda i vecchi capanni degli attrezzi, e l’abbiamo accostata alla finitura cementizia di Oikos. Il vetro trasparente si sposa con i materiali della tradizione, esaltandone la luminosità. Per quanto riguarda gli arredi, abbiamo disegnato i tavoli con una struttura in griglia
The central idea of the design at Orto Urbano is a modern-day revisitation of the idea of a vegetable garden. We chose pink metal sheeting which is reminiscent of old tool sheds, we combined this with Oikos cement. The clear glass sits harmoniously alongside traditional materials and enhances the light and airy atmosphere. As for the furniture, we designed tables with a pink brushed metal grille base topped with oak
Materiali industriali e tonalità iconiche. Industrial finishes and iconic hues.
24 Illuminazione atmosferica e avvolgente a sospensione. Suspended atmospheric and enveloping lighting.
metallica rosa satinata e un top in legno di rovere che scaldasse l’ambiente. Le sedie Aero di Emu aggiungono leggerezza. Poi, lampade come lanterne per illuminare la notte. Abbiamo fornitori d’eccezione: Artemide con la sua Gople e le lampade lineari Folgore di Dabu. Ma abbiamo anche pensato a un’illuminazione generale realizzata con un sistema reticolare di spotlight a binario che scorrono sul soffitto.
to add warmth. The Aero chairs by Emu add lightness. The lights look like night lanterns. They come from an exceptional supplier: Artemide’s Gople lights and linear Folgore lights by Dabu. But we also created general lighting in the shape of a network of spotlights running along tracks on the ceiling. collezione Diesel. Sopra il piano in ferro grezzo, ancora torna la scelta cromatica del metallo rosa per il lavabo.
Le parole chiave del locale le trovate verniciate a terra, sulle alzate dei gradini della scala che, dal piano terra, portano alle toilette: sono le parole della pink way che raccontano il tema del rosa, descritto anche sulla parete di fondo. I pavimenti in resina entrano nei bagni, per i rivestimenti dei quali sono state riprese le piastrelle della
Key words are painted on the floor, and on the rises of the stairs leading from the ground floor up to the bathroom: these words come from the pink way which describes the pink theme, featured on the far wall. The resin flooring continues into the bathroom which is tiled with the same tiles from the Diesel
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collezione Diesel. Sopra il piano in ferro grezzo, ancora torna la scelta cromatica del metallo rosa per il lavabo.
collection. On top of a raw iron surface sits a pink metal washbasin.
All’esterno del locale, alcuni tavolini che le grandi vetrate su strada pongono in continuità rispetto all’ambiente interno: lì, è piacevole mangiare osservando l’architettura del locale, la lamiera rosa delle pareti, la struttura della scala e dell’ampio soppalco. E i caratteri luminosi che campeggiano sulla parete principale: Health and the city, recitano. Rappresentano il nocciolo del nostro progetto: portare a Milano un angolo di naturalità, di cibo nutriente ma sano, pensato per noi e per il nostro benessere.
Outside the restaurant, some tables are placed on the pavement in front of the big windows. It is pleasant to eat there and observe the internal architecture, the pink metal-sheeting on the walls, the structure of the stairs and generous mezzanine area. Luminous letters on the main wall spell out Health and the city. This is the essence of our design project: to create a corner of nature in Milan, with tasty, healthy food for us and for our well-being.
Benvenuti a Milano, benvenuti a Orto urbano.
Welcome to Milan, welcome to Orto Urbano.
Un’atmosfera accattivante e social. Un tuffo nel rosa! An eye-catching and social atmosphere. A dip in the pink!
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A Milano
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il Giappone si morde: C14 disegna Matanè
28 Una Tokyo pop, veloce, divertente e divertita. La Tokyo dei giovani, eredi della tradizione ma saldamente ancorati ai tempi di oggi. Una metropoli che non si ferma, fatta di vetro e di acciaio ma orgogliosa del suo passato in legno dipinto. A partire dal logo, sul quale ci siamo permessi di scherzare immaginandolo come una rivisitazione alla nostra maniera dell’iconografia classica dei manga. Questo, in sintesi, il concept di un interessante spazio che abbiamo contribuito ad aprire a Milano: un nuovo progetto e una proposta di grande impatto, in cui la tradizione culinaria giapponese diventa protagonista anche nella sua versione street food, sino a ora poco conosciuta dal pubblico italiano. La cucina nipponica è sicuramente di tendenza, ma Matané la interpreta a suo modo riportando il concetto nella progettazione degli interni, che risulta vincente per l’accurato accostamento di materiali, pattern e forme.
A fun take on Tokyo – pop, fast, amused and amusing. The Tokyo that belongs to the younger generation, the heirs of tradition, but with their feet firmly in the present day. A city that never stops, made of glass and steel yet proud of its past of painted wood. We started with the logo, and rather playfully we imagined it as a reworking of the classic manga iconography. This, in a nutshell, is the concept of a new, interesting space we contributed to in Milan: a new project and a high-impact design, where traditional Japanese cuisine is presented in its street food version, so far rather unfamiliar to most Italians. There’s no denying that Japanese food is a trend, but Matané offers an original interpretation, this is also reflected in the interior design, whose success lies in the skillful juxtaposition of materials, shapes and patterns.
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Una Tokyo pop, veloce, divertente e divertita. A fun take on Tokyo – pop, fast, amused and amusing.
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Ci siamo occupati, inoltre, dello studio della brand identity, costruita per incontrare il gusto della Milano contemporanea e di porsi come punto di riferimento per la cena o per un pranzo di lavoro. La proposta di cucina prevede ingredienti freschissimi, presentati e accostati in un mix di colori, consistenze, abbinamenti che tracciano un itinerario tra le mode e i modi giapponesi. Imperdibile l’Onigirazu, una sorta di sandwich/ sushi comodo da gustare mentre si passeggia per la bellissima zona Garibaldi. Il piccolo locale, di circa 50 mq cui si aggiunge il dehors, presenta un pavimento in resina color mattone di raffinata semplicità, utilizzato anche per la pittura delle pareti esterne. Racconta le tonalità della terra, accoglie il visitatore facendolo sentire subito a casa.
We also took care of brand identity, which was designed to satisfy contemporary Milan and become a go-to place for dinner as well as a business lunch. The menu offers a range of ultra-fresh ingredients, colours, consistencies and juxtapositions combine to create a culinary journey through Japanese trends and customs. One such example is Onigirazu, a sort of sushi sandwich, perfect for eating whilst strolling around the beautiful Garibaldi district in Milan. This small eatery, covering around 50 m2, includes an outside eating area, and boasts brick-colour resin flooring which is both simple and refined. This material has also been used on the outside walls. This shade references the colour of soil and immediately makes diners feel at home.
Finiture e cromie tipicamente italiane. Rigore e minimalismo asiatico. Traditional italian finishes and colour shades. Asian precision and minimalism.
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Colori pastello, carta da parati personalizzata, installazione “verde”: un nuovo social spot a Milano! Pastel colours, custom-made wallpaper, “green” installation: a new social spot in Milan!
Lo sguardo si alza alle pareti, i cui rivestimenti sono arricchiti da tavole in legno decorate (utilizzate anche per il menù), mentre le maschere giapponesi Okame, tradizionalissime ma opportunamente ripensate, replicano il logo del locale declinandolo in diverse espressioni facciali. L’ampio bancone, con top in marmo, presenta un fronte in Fenix verde scuro con dettagli in ottone. Come in altre occasioni, abbiamo scelto di realizzare una serie di cassette in rete per fare risaltare i prodotti, macchie di vita che interrompono la continuità cromatica ingolosendo gli ospiti appena entrati.
Moving onto the walls, they are enriched by decorated wooden boards (also used as menus), while Japanese Okame masks, extremely traditional but reworked with style, feature the logo in different facial expressions. The generous marble-topped counter boasts a dark green Fenix front with brass details. Just like on other occasions, we decided to add a series of wire baskets to highlight the products, accents of life which punctuate the colour continuity and whet people’s appetite the second they set foot in the restaurant.
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32 Originali tende noren tipiche del Giappone arricchite da decori che richiamano il logo. Original Noren curtain panels, typical in Japan, with decorations which echo the logo.
L’illuminazione del bancone è ottenuta tramite l’utilizzo di lampade Marset in terracotta, che riprendono i colori caldi della pavimentazione mentre i tavolini, tutti custom made, sono realizzati con base e gambe in ottone. Per il dehors, l’obiettivo era di creare un ampliamento ideale dello spazio interno consentendo di differenziare l’offerta di ospitalità aumentando, anche, il numero di posti a sedere. Il nostro progetto riprende gli elementi chiave del concept: il calore del terracotta, il folclore delle maschere, il verde a soffitto che ancor più raccoglie l’ambiente, le originali tende noren tipiche del Giappone arricchite da decori che richiamano il logo. Un’idea semplice, un successo sicuro: Matané accompagna l’ospite in Giappone e, a noi di C14, questo viaggio è piaciuto moltissimo.
The lighting for the counter comes in the shape of terracotta Marset lights, which echo the warm hues of the flooring, while the custom-made tables are made of brass. The idea for the outside eating area was to create an extension of the interior, in order to be able to offer more to diners, as well as increase the seating capacity. Our design repeats the key elements of the original concept: the warmth of terracotta, the folklore of the masks, the green ceiling which pulls the whole interior together, the original Noren curtain panels, typical in Japan, with decorations which echo the logo. A simple idea, a guaranteed success: Matané takes diners on a tour of Japan and, here at C14, we enjoyed this trip a lot.
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Mila Il Mercato C a
ano riparte da qui. Centrale e U Barba aprono in Stazione
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Tra i segni di speranza e della volontà di ripartire si segnala, l’inaugurazione del Mercato della Stazione Centrale, un progetto che segue quelli già realizzati con successo a Firenze, Roma, Torino con l’obiettivo di rilanciare grandi spazi delle stazioni ferroviarie non più utilizzate per le ragioni originarie per le quali erano state concepite. Da diversi anni è in atto un’opera di poderoso rilancio, che ha interessato prima le parti più frequentate, con la creazione di veri e propri scintillanti mall, con negozi e servizi. Poi il recupero ha riguardato le aree meno legate al viaggio in senso stretto. Nel caso della Stazione Centrale di Milano si tratta di un unico ambiente dal sapore postindustriale, pavimenti in ferro brunito, soffitto con rete metallica e canaline a vista: l’idea portante è stata quella di sfruttare l’esistente, esaltandone il fascino, per renderlo contenitore di una serie di luoghi dove poter scegliere di mangiare, e più precisamente di diversi corner di ristorazione. La caratteristica che li accomuna, pur nelle differenze specifiche, è quella di una ricerca dell’eccellenza gastronomica, sia dal punto di vista delle materie prime, sia sotto il profilo della loro lavorazione. Una serie di angoli del gusto che permettano a ciascun visitatore di trovare quanto più gli piace, in un’atmosfera affascinante, di allegra convivialità e di informale condivisione. In questo contesto si inserisce il corner di U Barba, osteria genovese che, a Milano, gode da anni del favore del pubblico.
Signs of optimism and willingness to bounce back can be seen all over, one such glimmer of hope comes launch of the Mercato della Stazione Centrale (Central Station Market), a project which has already been successfully completed in Florence, Rome and Turin. The aim is to redevelop vast spaces within railway stations which are no longer used for the original purpose they were designed for. A large-scale redevelopment of the station in Milan has been going on for several years now, mainly in the areas which are used the most. Bright shiny shopping malls have been created with shops and services. Then the redevelopment shifted to areas less concerned with travel. For Milan’s Central Station this means a single post-industrial space, burnished iron floors, metal mesh ceilings and exposed conduits: the main idea was to take advantage of the existing structure, enhance its appeal, and make it a space that could house a series of places for people to eat, or to be more specific various restaurant corners. The characteristic they all have in common, though they are all different, is that all the eateries are in pursuit of culinary excellence, both in terms of raw materials and the way they are prepared. A series of food corners where diners can find something they like, within an appealing environment, relax and enjoy the atmosphere with like-minded people. Within this context is housed the U Barba corner, a Genovese tavern which has been popular with diners for years in Milan.
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Marco Bruni, il suo ideatore, ne ha curato personalmente gli interni: ricerche, viaggi, passione e istinto per raccogliere una serie di pezzi vintage che, ben mixati fra loro, potessero rappresentare lo spirito che egli voleva si respirasse nel suo locale. Il passaggio dallo spazio ampio del ristorante a quello, inevitabilmente più ristretto, del corner non è stato privo di difficoltà: Bruni, d’accordo con il suo socio Antonio Conti, ha scelto C14 per l’amicizia che da anni lo lega a Alexander Bellman, nata dalla stima professionale e cresciuta poi in un rapporto anche personale. A noi il compito, quindi, di racchiudere in un solo elemento - il bancone del corner - la complessità di elementi e di concetti presenti nella sede storica di U Barba: le atmosfere autentiche, eleganti con semplicità, il calore antico, la ruvida accoglienza gentile.
Its creator, Marco Bruni, personally curated the interior: research, travels, passion and an eye for interesting vintage items, artfully combined to create a specific mood and atmosphere within his eatery. The transition from large area of a restaurant to the inevitably smaller confines of a corner was not without its challenges: Bruni, together with his business partner Antonio Conti, chose C14 in the name of a long-standing friendship with Alexander Bellman, which started out as mutual professional respect and developed into a more personal relationship. So, we were entrusted with the job of encapsulating all the elements and concepts contained in the original U Barba restaurant in a single element – the counter. We had to express the authentic atmosphere, simple elegance, old-fashioned warmth and genuine hospitality in one piece of furniture.
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Atmosfere autentiche, eleganti, con semplicità, il calore antico, la ruvida accoglienza gentile. Authentic atmosphere, simple elegance, old-fashioned warmth and genuine hospitality.
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Il concept nautico riprende quello del locale, declinandosi tuttavia in forme più sfumate che ben si armonizzano con il contenitore del Mercato. Abbiamo disegnato un bancone di forma smussata che richiama il mondo della navigazione, operando scelte che, anche nei materiali, fossero ad esso attinenti. Il top e il fronte, in ardesia a spacco, sono impreziositi da profili con dettagli in noce nazionale, che richiamano la nautica come lo zoccolino in ottone e la mensola scorri-vassoio in noce. Il retrobanco con mensole in noce è arricchito da corde marinaresche fissate a soffitto, cui fa da contrappunto il carter in ferro corten con
The nautical concept echoes the original restaurant but is more subtle which can co-exist harmoniously with its surroundings. We designed a rounded counter which references the sailing world, we remained consistent with this inspiration down to the choice of materials. The top and front are fashioned from split slate and embellished with walnut detailing on the edges. Additional sailing inspiration can be seen in the brass skirting board and walnut tray-shelf. Walnut shelving behind the counter features sailing rope attached to the ceiling, a counterpoint is provided by the base made of weathering steel for the vintage industrial lights.
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lampade industriali vintage. Oltre la zona bancone, ci siamo occupati degli spazi della cucina, pensando alle necessità di chi, lì, deve lavorare: superfici ampie e ariose, materiali facili da pulire, funzionalità progettata in ogni dettaglio. Il rapporto tra C14 e U Barba è un’amicizia che viene da lontano, è relazione consolidata tra due realtà con gli stessi valori, è un’intesa che - spesso - non ha nemmeno bisogno di parole: è stato un grande piacere lavorare a questo piccolo corner di grande personalità. Che dobbiate prendere un treno o solo mangiare un boccone, vi consigliamo di fare un giro al Mercato Centrale. E se passate da U Barba, dite che vi mandiamo noi.
As well as the counter we also designed the kitchen space, we carefully considered the needs of the staff: generous, spacious work surfaces, easy-to-clean materials, practical design for even the smallest of details. The relationship between C14 and is based on a friendship which goes way back, it is based on two environments with the same values, a mutual understanding which – often – does not even require words: it was an immense pleasure for us to work on this small space with a big personality. Whether you have to catch a train or just get a bite to eat, we think it’s well worth having a look round Mercato Centrale. And if you go to U Barba, tell them we sent you.
Un concept nautico in un ambiente postindustriale. A nautical concept in a post-industrial space.
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Caffè Napoli entra in Autogrill largo la foppa. 1
MILANO foro buonaparte. 53
via marghera. 39 corso magenta. 29
via gaetano giardino. 1 corso di porta ticinese. 14 via santa croce. 4
viale coni zugna. 63
via vigevano. 1
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via pola. 15
piazza alvar aalto
via giovanni battista pirelli. 11 via vitruvio. 38
via filippo turati. 40
largo augusto. 8 corso di porta vittoria. 40
viale monte nero. 71
corso di porta vigentina. 2
sedi anche a Bergamo, Roma, Torino, Londra
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Caffè Napoli, Milano, Stazione Centrale.
CAFFÈ NAPOLI
Era il 2015 quando, con la società Exytus, inaugurammo il primo Caffè Napoli. A Milano, in largo La Foppa. Un’idea semplice - portare nel capoluogo meneghino il vero caffè partenopeo e subito un grande successo. Nel 2019 Caffè Napoli avvia una partnership con Autogrill, multinazionale italiana che opera nei servizi della ristorazione per chi viaggia. Autogrill decide di investire sul progetto perché il format è vincente e il suo seguito lo dimostra. Viene inaugurato, quindi, alla fine di ottobre 2019 Caffè Napoli all’Oriocenter Shopping Center di Bergamo.
It was back in 2015 when, along with the Exytus company, the first Caffè Napoli was unveiled. It was in Milan, in Largo La Foppa. The idea was simple – introduce genuine Neapolitan coffee to the northern Italian city – it was an immediate success. In 2019 Caffè Napoli entered into a partnership with Autogrill, the Italian multi-national which caters in restaurants for travellers. Autogrill decided to invest in the project based on the fact that the format is a winner, this was proved by the solid success which followed. And so, at the end of October 2019 Caffè Napoli opened in Bergamo’s Oriocenter Shopping Center.
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Dopo il lockdown, lo scorso luglio, apre invece il primo spazio nella Capitale, al centro commerciale Porta di Roma. Due punti vendita importanti, che segnano l’ingresso del marchio nei grandi mall. Una crescita straordinaria, se si pensa che il debutto in largo La Foppa risale ad appena cinque anni fa.
When lockdown ended last July, the first Caffè Napoli opened in the capital, at the Porta di Roma Shopping Centre. Two important locations which mark the brand’s entry into large-scale shopping centres. The brand’s growth has been extraordinary if we consider that its debut in Largo La Foppa was only five years ago.
Il format, fortemente caratterizzato e semplice da replicare, è stato studiato nel dettaglio: “L’emozione più bella è stata quando ci avete mostrato il rendering del locale: lì ho capito che avevamo davvero fatto centro”, racconta Mauro Compagnoni, uno dei soci. Non è solo il prodotto (seppur eccellente) che attira il pubblico, ma l’idea nel suo complesso.
The format, extremely characteristic and easy to replicate, was studied in minute detail: “The most exciting part was when you showed us the rendering of the café: it was then that I realised that we’d really nailed it”, says Mauro Compagnoni, one of the partners. It’s not just a product (albeit an excellent one) that draws customers, but the overall idea.
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Sotto il profilo gestionale, noi di C14 siamo riusciti a tenere il passo dell’azienda garantendo l’apertura contemporanea di diversi punti vendita. Oggi, la collaborazione prosegue senza intoppi, anche in virtù del lungo rodaggio effettuato. Caffè Napoli e C14 continuano a mietere successi: ad maiora!
From a management point of view, here at C14 we managed to keep up with the company and guarantee the simultaneous opening of different cafés. Today, our professional collaboration continues smoothly, also thanks to the long breaking-in period already completed. Caffè Napoli and C14 continue to reap success: onwards and upwards!
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Milano. Gli anni Settanta sono serviti Milan. The Seventies are served Milano è una città aperta, cui piace convivere, creare una convergenza di culture e stili diversi. Senza scandalizzarsi. Con questo spirito ha accolto la mia famiglia, tornata in Italia dopo lunghi anni trascorsi in Etiopia, dove mia mamma era nata. Quando io ero piccola, la nebbia sembrava parte di Milano. Era come un manto misterioso, che si stendeva sulla città impedendole di vedere il cielo. Le sagome non rivelavano i volti. Ma chiunque, senza distinzione, poteva far parte di quel mondo: chiusi nei loro cappotti, col bavero alzato, tutti erano attori di uno spettacolo che raccontava come nel lavoro si trovi riscatto. Io ero abituata, l’infanzia dei milanesi una volta era così. Fumosa. Gli odori, però, si sentivano benissimo. E negli anni Settanta, alle otto di mattina le case profumavano di cibo. Non avevo ancora lavato i denti che già mia nonna aveva messo su i suoi manicaretti. La portinaia di via Lodovico il Moro era famosa per la cassouela, che davvero del maiale non butta via niente. Ma non la voleva troppo grassa - “se no ha tutto lo stesso sapore”, diceva così che la bollitura lì in guardiola durava un secolo. La sartina di fronte era d’accordo: “La gàta fresùsa à l’à fàcc i minì orp” sentenziava, con l’aria di chi la sa lunga davvero. La latteria del centro serviva sformati e mundeghili per il pranzo dei lavoratori: pochi tavolacci di formica azzurra, panche dure e scomode, il calore delle chiacchiere che accompagnano il momento di riposo. La domenica, l’arrosto al latte della trattoria fuori porta celebrava invece il rito laico del pranzo con i parenti. Ma a casa mia, il piatto della festa era lo Zighinì, cucinato in dosi abbondanti per la nostra affollata tribù: eravamo in quattordici in casa, abituati a mangiare tutti insieme a pranzo e a cena le deliziose pietanze di nonna. Lo Zighinì è uno spezzatino di carne con uova che viene servito su dischi di pane detti injera, usati anche come cucchiaio.
Milan is an open city, where people like to co-exist, a place where different cultures and lifestyles converge, without fuss. This is the environment that embraced my family on their return to Italy after spending years in Ethiopia, where my mother was born. When I was a little girl, fog seemed like a part of Milan. A mysterious cloak which shrouded the city and blocked out the sky. People were faceless silhouttes. But anyone, without distinction, could be part of that world if they wanted: wrapped up in their overcoats, with their lapels pulled up against the chill, they were all actors in a play about how work offers redemption. I was used to it, that’s what being a child in Milan was like. Foggy. The smells, on the other hand, were very clear. And in the Seventies, people’s houses smelled of food at 8.00 in the morning. I still hadn’t cleaned my teeth but my grandmother was already at work in the kitchen. The concierge in via Lodovico il Moro was famous for her cassouela – it’s true that no part of a pig is wasted. But she didn’t like it to be too fatty - “otherwise it all tastes the same”, she used to say – and so it sat there simmering for an age. The seamstress across the street agreed: “A hasty cat gives birth to blind kittens” she declared ominously, with a look that said that she knew about such things. The local eatery served casseroles and meatballs for workers on their lunch break: a scattering of blueformica topped tables, hard, uncomfortable benches, lively chatter animated the break from work. On Sundays, a joint of meat cooked in milk at a tavern marked the ritual of the family lunch. But at my house, Sunday lunch consisted of Zighinì, industrial amounts for our family tribe: there were fourteen of us and we all usually had lunch and dinner together, and ate the delicious food my grandmother cooked. Zighinì is a meat stew containing eggs served on discs of bread called injera, which are also used as spoons.
* Il Berberé è l’ingrediente indispensabile per la preparazione ed è composto da una miscela di spezie piccanti. La sua composizione è data da molte spezie diverse: peperoncino, zenzero, chiodi di garofano, coriandolo, pimento, cardamomo, ruta, ajowan, pepe nero , (talvolta) pepe lungo ma ci sono preparazione molto differenti di questa polvere piccante. Il berberè è molto utilizzato nella cucina eritrea e etiope. In Italia lo si trova nei negozi di vendita specializzati per prodotti eritrei o etiopi.
* Berberé is an essential ingredient in this recipe, it is a rich blend of many different hot spices: chili pepper, ginger, cloves, coriander, pimento, cardamom, rue, ajwain, black pepper, (sometimes)Indian long pepper But there are lots of different variations of this spicy blend. Berberè is very common in Eritrean and Ethiopian cuisine. In Italy you can find it in specialist food shops.
Zighinì 1 2 3 4
Zighinì 1 2 3
Tritare le cipolle e farle rosolare con dell’olio. Aggiungere il berberè, mescolare bene. Aggiungere la carne di manzo tagliata a cubetti, poi le cosce di pollo, i pomodori pelati. Far cuocere lentamente e, infine, unire l’uovo sodo.
Chop the onions and brown them in the oil. Add the berberè, mix well. Add the diced meat, then the chicken thighs and tomatoes. 4 Cook slowly, at the end add the boiled egg.
manzo
olio q.b.
berberè
cosce di pollo
cipolle
salsa di pomodoro
Injera
uova
acqua
sale fino q.b.
Injera
1
Sciogli il lievito (madre o di birra) nell’acqua in una capiente ciotola, e aggiungi la farina a pioggia. Mescola energicamente con una frusta fino a ottenere una pastella morbida e omogenea.
1
2
Copri con una pellicola e fai fermentare a temperatura ambiente per 24 ore. Riprendi la ciotola e aggiungi acqua molto calda e un pizzico di bicarbonato.
2
4
Mescola ancora un po’, copri nuovamente con la pellicola e metti a riposare circa un’altra ora fino a che il composto avrà una consistenza piuttosto fluida e sarà pieno di bolle.
4
Mix again, recover with clingfilm and leave for another hour until the batter is liquid and full of bubbles.
5
Scalda il fondo di una padella antiaderente (va benissimo quella per crepes) e versa un mestolo di composto per volta. Fai attenzione: a differenza delle crepes, l’injera non va girata, deve cuocere soltanto da una parte così da rimanere, in superficie, morbido e poroso.
5
Heat a non-stick frying pan or skillet and cook a ladle of the batter at a time. Be careful: unlike pancakes you mustn’t flip injeras, they must only cook on one side so that the surface is soft and porous.
3
acqua frizzante
Dissolve the yeast in a large bowl of water, sift in the flour. Whisk vigorously until you have an even, runny batter.
Cover with clingfilm and leave to rise at room temperature for 24 hours. 3 Add very hot water and a pinch of bicarbonate.
bicarbonato sale e zucchero
Sono passati tanti anni ma Milano è rimasta, in fondo, la stessa. E i milanesi veri - di nascita o d’adozione - la amano per questo. Nelle loro case gli odori sono quelli di quando ero piccola io. Profumi di cibi semplici, di preparazioni insegnate con l’esempio e l’amore, di una sapienza antica che affonda le sue radici nel ricordo e prende forma nei gesti delle mani. Mi piace invecchiare e ritrovare intorno a me il filo che lega la bimba d’un tempo alla donna di oggi. Floriana Cescon
farina 00 lievito
That was many years ago but Milan is still essentially the same. The true Milanese people – by birth or by choice – love it for this very reason. Their homes are filled with the same smells I was used to as a child. The aroma of unpretentious food, recipes learned by example and through love, an ancient skill rooted in memory and manifested through manual gestures. I like getting older and finding that link between my childhood self and the woman I am today.
l’ i nter v i s t a A NOI
RISPONDE L’ARCHITETTO VANESSA GIACONIA
A 13 anni cosa voleva fare? Conquistare il mondo.
È mai andato da uno psicanalista? No, ma probabilmente ho sbagliato.
Il suo rapporto con droghe, psicofarmaci, alcol? Sono in ottimi rapporti con l’alcol, con gli altri non abbiamo ancora fatto conoscenza.
Ha il potere assoluto per un giorno, che cosa fa? Fermo il tempo.
Cosa la tiene sveglio la notte? Il russare del mio compagno.
Quanto conta il sesso nella vita? Più di quanto dovrebbe.
Se la sua vita fosse un film chi sarebbe il regista? Stanley Kubrick.
Si reincarna in un uomo, la prima cosa che sperimenta? La libertà in molti ambiti e non dover fare la contorsionista nei bagni pubblici.
Un bambino le chiede: “Perché si muore?”. Cosa gli risponde? Perché bisogna pur riposarsi, prima o poi.
La sua casa brucia, cosa salva? La borsa di turno, c’è sempre tutto ciò che mi serve.
Il senso più importante? La vista…e nel nostro ambito deve essere iper potenziata.
Cosa non indosserebbe mai? Righe e pois insieme e il rosa confetto.
Il vero lusso è? Godersi la vita.
Di cosa ha paura? Dal mio metro e sessantatré tutto sembra pauroso ed insormontabile; ma sono una brava scalatrice
Nel migliore dei mondi possibili dovrebbe essere abolita la parola... Banale.
What did you want to be when you were 13? Conquer the world.
Have you ever been to a psychoanalyst? No, but it was probably a mistake not to.
What is your relationship with drugs and alcohol? I have an excellent relationship with alcohol, I haven’t been introduced to the other two as yet.
What would you do if you had absolute power for just one day? Freeze time.
What keeps you awake at night? My partner’s snoring.
How important is sex in your life? More important than it ought to be.
If your life were a movie, who would the director be? Stanley Kubrick.
If you were reincarneted as a man, what would you try first? Freedom in numerous environments, and not having to e a contortionist in public toilets.
A child asks you: “Why do we die?”. What do you answer? Because sooner or later, we need to rest.
Your house is on fire, what do you save? My current bag, everything I need is in there.
The most important sense? Sight…in our field it’s super-powerful.
What would you never wear? Stripes and dots together and baby pink.
What is real luxury? Enjoying life.
What are you afraid of? From my height of 1.63cm everything seems scary and unsurmountable, luckily I’m good at climbing.
In an ideal world, which word should be abolished? Banal.
cover by C14 “Hospitality: Food & Beverage” C14 Journal
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