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AURORA MAGNI

The concept, in the fashion industry as well as in other fields, has been widely embraced, even abused at times. That is why the word “sustainability” needs to be further explained, “metabolized” and understood to its full extent. We asked for the help of Aurora Magni, President of Blumine srl, a research and consulting firm started in 2010 to help textile and clothing companies define and develop more sustainable business models. She also teaches at the LIUC Engineering School and is an author of studies on the fashion industry. Do you remember the first time you heard about “sustainability” in the textile industry? I remember the first time I heard about sustainable development and “limits to growth”: in the eighties, at a philosophy of science lecture by Professor Giulio Giorello, who recently passed away. The Seveso disaster was a recent memory and the Chernobyl accident was about to happen. Instead, I had to wait a bit longer to hear the word applied to the textile industry. Having worked for years in the textile publishing and training field, I believe I can say, without appearing immodest, that I was among the first who tackled the subject, although a bit naively. Indeed, 2009 was a momentous year, the year devoted by the United Nations to natural textile fibers. Materials started to be evaluated in terms of their environmental impact and workers’ living conditions. Then, with the first eco-friendly campaigns, the focus shifted to chemical safety with the achievement of great results: the fashion industry is now environmentally conscious and operates in compliance with rigorous protocols. We have grown a lot over the past ten years. Is it easier to support sustainability through Blumine or by teaching people at the university? Sustainability is a uphill climb with no shortcuts. I welcome any experimental attempt, but it is easy to get carried away by a recycled PET capsule collection or by a new biopolymer. It is much harder to ensure high performance of materials, industrial reproducibility, respect for standards and, above all, to evaluate the concrete benefits to the environment brought about by innovative developments. The companies that turn to Blumine for advice expect to be helped in evaluating their action and defining new strategies with regard to drivers of sustainable innovation. And in not making false moves, such as greenwashing, for instance. We do our best to meet the companies’ requests, but we are also constantly looking to pick up innovation trends and, whenever possible, to suggest a holistic approach to sustainability. We have seen young people rallying in the streets for the environment and they show enthusiastic interest in class. They are aware that their future living conditions and those of their children depend on the choices made today. At LIUC, we

Il concetto, nella moda come in molti altri settori, è “sdoganato”, talvolta addirittura abusato. Anche per questo la parola “sostenibilità” ha ancora bisogno di essere spiegata, metabolizzata, capita fino in fondo. Ci aiuta a farlo Aurora Magni, presidente di Blumine srl, società di ricerca e consulenza nata nel 2010 per supportare le imprese tessili e della moda a definire e sperimentare modelli di business più sostenibili. Ma anche docente presso la Scuola di ingegneria della LIUC e autrice di studi sull’industria della moda. Ricorda la prima volta che ha sentito parlare di sostenibilità nel mondo del tessile? Ricordo la prima volta in cui ho sentito parlare di sviluppo sostenibile e di ‘Limiti della crescita’: durante una lezione di filosofia della scienza del professor Giulio Giorello, che ci ha lasciato di recente. Erano gli anni 80, Seveso era un ricordo recente e presto avremmo dovuto fare i conti con Chernobyl. Ho invece dovuto attendere più a lungo per sentirla nell’industria tessile e avendo lavorato per anni anche nell’editoria del settore "In un’economia e nella formazione credo senza sembrare immodesta, di essere tra quelli che l’argomento talmente l’hanno introdotto, seppur con qualche ingenuità. Il 2009 è stato un anno importante, globalizzata è difficile dire dedicato dall’ONU alle fibre tessili naturali; fu l’occasione per leggere i materiali pensando all’impatto ambientale delle coltivazioni e delle chi sia più lavorazioni e alle condizioni di vita dei lavo ratori. Poi con le campagne ambientaliste l’at rispettoso tenzione si è focalizzata sulla sicurezza chimica con risultati importanti: oggi la moda ha dell’ambiente" maturato consapevolezza e protocolli rigorosi. Siamo cresciuti molto negli ultimi 10 anni. E' più semplice fare qualcosa per la sostenibilità con Blumine o insegnando ai giovani all'università? La sostenibilità è una strada in salita e senza scorciatoie. Ben vengano le sperimentazioni ma è facile entusiasmarsi per una capsule in pet riciclato o per un nuovo biopolimero ma per essere davvero efficaci bisogna garantire le performance dei materiali, la riproducibilità industriale, il rispetto degli standard e soprattutto misurare i reali vantaggi ambientali delle innovazioni introdotte. Le imprese che si rivolgono a Blumine si aspettano un supporto per valutare le proprie azioni e definire nuove strategie in relazione ai driver di innovazione sostenibile. Ed evitando passi falsi, scivolando nel greenwashing ad esempio. Ci piace rispondere alle richieste delle aziende ma anche alzare il punto di osservazione per intercettare i trend di innovazione, e, dove possibile, proporre un approccio olistico della sostenibilità. I ragazzi li abbiamo visti scendere in piazza per l’ambiente e in aula mostrano un interesse entusiasmante. Al di là della retorica sanno che le condizioni in cui vivranno loro e i loro figli dipendono dalle scelte di oggi. In Liuc cerchiamo di sviluppare soprattutto il pensiero

help our students develop critical thinking skills, because sustainability requires science rather than slogans and, from this point of view, engineers make things easier. For years, Northern-European countries have been said to be more sensitive to certain issues than Mediterranean countries. Have we bridged the gap? In our globalized economy, with increasing delocalization of production to Asia, it is hard to tell who is more respectful of the environment: are we sure about where the products we consume come from and how impactful on the environment they really are? But we do have more detailed information about Italy. According to Fondazione Symbola, which every year releases the Green Italy Report, Italian industry is a cut above the European average, as shown by the growth of companies investing in RES and in green economy. In the chapter devoted to the textile and fashion industry, we give visibility to companies which are committed to documented sustainability initiatives and the number of pages increases edition by edition. Not to mention the increase of products with sustainable content displayed at trade shows. But we still have a lot to do. What priorities do fashion companies put at the forefront of their strategies? By analyzing the sustainability reports of the major fashion brands, we noticed that the focus is on reduction of emissions and energy and raw material use which cause the impact of a product or processing stage on the environment, the so-called Green House Gas (GHG), but also on circular economy. Textile companies add recycled fibers to their collections and worry about end-of-life management of products, production waste is recycled and the retail business (physical and digital) contributes to putting second-hand clothing and accessories back into circulation. Hearing fashion brands say that clothes should last longer than a season and can be mended and repaired is a true revolution! Aurora Magni

critico perché la sostenibilità ha bisogno più di scienza che di slogan e da questo punto di vista gli ingegneri facilitano le cose. Per anni si è detto che il nord Europa è più sensibile a certi temi rispetto ai Paesi mediterranei. Abbiamo recuperato il gap? In un’economia globalizzata che ormai da anni ha spostato le produzioni in Asia è difficile dire chi sia più rispettoso dell’ambiente: siamo sicuri di sapere da dove arrivano i prodotti che consumiamo e quale sia il loro impatto ambientale? Qualche riflessione la possiamo però fare sull’Italia. Secondo Fondazione Symbola che ogni anno pubblica tra i vari studi il Rapporto Green Italy, l’industria italiana ha per alcuni aspetti una marcia in più della media europea come dimostra la crescita delle imprese che investono in ReS e in green economy. Nel capitolo su industria tessile e moda diamo visibilità a imprese che si sono impegnate in iniziative di documentata sostenibilità e le pagine aumentano ad ogni edizione. Senza dimenticare la crescente presenza di prodotti dal contenuto di sostenibilità nelle fiere di settore. C’è però ancora tanto da fare. Quali le priorità che le imprese della moda pongono al centro delle proprie strategie? Analizzando i bilanci di sostenibilità dei principali marchi della moda si nota come l’attenzione sia rivolta alla riduzione delle emissioni e dei consumi di energia e materia prima che determinano il carico ambientale di un processo o di un prodotto, inteso come Green House Gas (GHG) ma è l’economia circolare a focalizzare l’attenzione. Le fibre riciclate entrano nelle collezioni e ci si preoccupa di gestire il fine vita dei prodotti, si recuperano e riciclano gli sfridi di produzione e il retail (fisico e digitale) scende in campo per rimettere in circolo abiti e accessori usati. E’ una novità sentire i brand dichiarare che i capi devono durare di più e che possono essere rammendati, è una rivoluzione!

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