ENRICO PAVONELLO fotografo di attualità

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Progetto e coordinamento editoriale: Paolo Sacco Gestione dei contenuti: GUARNERIO SOC. COOP Stampa: Lithostampa, Pasian di Prato UD Iniziativa promossa da INTERAZIONI Ass. Culturale - UDINE Ó 2014 GUARNERIO EDITORE Via della Rosta 46 - 33100 UDINE Tel.+39.0432.519403 www.guarnerio.coop info@guarnerio.coop

Tutte le fotografie presentate fanno parte dell'Archivio Pavonello - Udine ove non qui di seguito specificamente menzionato. L'archivio ad oggi è conservato presso la GUARNERIO Soc. COOP in via della Rosta n.46 a Udine. A pag. 11 e 12: raccolta di Mario Blasoni. A pag. 13: raccolta di Alberto Tonsigh. Da pag. 76 a pag. 87: Archivio fotografico storico-istituzionale del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia, collocato presso la Biblioteca "Livio Paladin". Le immagini sono gentilmente concesse dalla Presidenza del Consiglio Regionale. Si ringrazia il Messaggero Veneto per aver gentilmente concesso la pubblicazione delle riproduzioni di alcune pagine storiche significative. (pagg. 51, 55,72>75,91). Le riproduzioni digitali delle pagine originali del Messaggero Veneto sono state realizzate dalla Biblioteca Civica Vincenzo Joppi di Udine che ne raccoglie la collezione, ad eccezione di quella a pag. 51 che proviene dalla pubblicazione Messaggero Veneto Prima Pagina (novembre 2008). Si ringrazia la famiglia Pavonello, Mario Blasoni, Ivano Benvenuti, Alberto Di Giusto, Rino Mattiussi, Paolo Medeossi, Luciano Provini, Alberto Tonsigh, Michele Viel, i "fotografi di Pavonello" e tutti quelli che direttamente o indirettamente hanno partecipato alla realizzazione di questa pubblicazione con ricordi, nomi e indicazioni utili alla redazione finale. Le fotografie riportano la data quando certa. Si è preferito evitare una datazione approssimativa o generica quando ritenuta non necessaria allo scopo del libro. Si ringrazia l'UNICREDIT di Udine e il VISIONARIO - Mediateca Mario Quargnolo per aver messo a disposizione gli spazi espositivi dove sarà presentata nel mese di ottobre 2014 una selezione delle fotografie presenti in questo libro.

In copertina: Foto Tino da Udine (Costantino Procaccioli, 1927-1996), Davanti al Bar Cotterli (UD) Enrico Pavonello e i fotografi accreditati attendono il passaggio del Giro d'Italia, 1954. Da stampa originale di proprietà della Famiglia Pavonello


ENRICO PAVONELLO fotografo di attualitĂ a cura di Paolo Sacco

testi di Mario Blasoni Paolo Medeossi Paolo Sacco

GUARNERIO EDITORE



Enrico Pavonello, fotografo di Attualità di Paolo Sacco Definire qual'è l’attività di fotografo non è mai operazione semplice. Come per le diverse discipline a cavallo tra professione, espressione ed arte è la parola professionista che discrimina chi esercita la fotografia per passione amatoriale o per sole esigenze espressive da chi la pratica per mestiere. Ma questa ambiguità non si esaurisce certo qui: in tutti i fotografi professionisti è evidente la commistione di queste diverse motivazioni in maniera più o meno forte, in dipendenza del mestiere pratico che ne garantisce la sopravvivenza.

prio qui -dove incontrò la sua futura moglie- che ebbe inizio la sua vicenda umana e professionale in Friuli. Quello che conosciamo di Enrico Pavonello fotografo, si rifà pienamente alla storia giornalistica del Friuli Venezia Giulia, regione allora di confine con l’Est e ancora

Per Enrico Pavonello che ha esercitato la sua attività dalla fine degli anni ‘40 ai primi anni ‘80 del 900, il mestiere della vita in cui si è riconosciuto e ha speso le sue energie è stato quello di Fotografo di Attualità. I primi passi di Enrico Pavonello nell’ambito della Fotografia sono ad oggi fissati nella memoria dei familiari. Nato a Roma il 14 aprile del 1920 fu all’istituto LUCE dove, a tredici anni, ebbe i primi contatti con la fotografia. Per questo ente ben conosciuto nella storia d'Italia -che si occupava allora principalmente di cinematografia e documentazione sotto controllo del regime fascista- contribuì a documentare le diverse manifestazioni a seguito del Duce e successivamente del breve periodo della Repubblica Sociale Italiana. Ad oggi non è stata ancora reperita traccia delle fotografie che realizzò in quegli anni. Restano a testimoniare dei suoi primi anni vissuti come fotografo i ricordi dei familiari. Ci raccontano anche come avventurosa la sua esperienza nel periodo bellico, dove non partecipò ad azioni di guerra se non come fotografo (tra gli altri i bombardamenti su Malta e la battaglia di Punta Stilo). Si ritrovò poi – sempre a seguito dell’esercito del regime - assieme ad un gruppo del quale facevano parte tra gli altri Vittorio Gassman e Alberto Sordi, rimasto quest’ultimo suo amico negli anni successivi; nei diversi set friulani di Addio alle Armi per la regia di Charles Vidor (1957) e del film di Mario Monicelli, La Grande Guerra (1959) lo seguì come fotografo della produzione. Anche di queste occasioni non sono ancora state reperite le fotografie che realizzò. Già verso la fine della 2^guerra mondiale si trovò quindi ad operare nel nord Italia, muovendosi dalla Lombardia al Veneto, fermandosi a lavorare a Venezia al seguito degli alleati e infine approdando a Lignano Sabbiadoro in convalescenza, dopo un incidente in motocicletta; fu pro-

Enrico Pavonello in relax.

poco sviluppata, in una nazione che cominciava a risollevarsi sempre più brillantemente dalla guerra. Dopo una prima breve esperienza a Basiliano, Pavonello trasferì la sua attività a Udine dove meglio poteva esercitare il suo mestiere di fotografo. A metà degli anni cinquanta aveva già la bottega in Viale Volontari della Libertà: nella seconda metà degli anni Sessanta avvenne il trasferimento definitivo nella Galleria Alpi di piazzale Osoppo, che divenne l'ultima e più conosciuta sede operativa della sua attività. Se guardiamo il retro delle stampe originali che Enrico Pavonello lasciava ai suoi clienti troviamo diverse diciture che vogliono descrivere la attività professionale che svolgeva. Nella maggior parte dei casi al primo posto c’è appunto la parola ATTUALITA’: ed è proprio questo sostantivo che meglio caratterizza l’attività di Pavonello e in fondo di buona parte dei fotografi della piccola provincia nel secondo dopoguerra. Gli acclamati e ben noti fotografi friulani Carlo Pignat (1898-1966 - il suo studio fu già del padre Luigi, 18641915), Attilio Brisighelli (1880-1966), Umberto Antonelli (1882-1949), e gli altri loro coetanei meno famosi e attivi

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tra le due guerre lasceranno più o meno gradualmente il posto a una nuova generazione di fotografi, più abituata a lavorare con le nuove fotocamere portatili, anche se il grande formato continuerà a essere usato principalmente per la fotografia industriale e pubblicitaria sino ai nostri giorni.

Timbro per il riconoscimento della proprietà della foto.

La bottega/studio del fotografo diventò punto di partenza per un’attività che ruotava sempre di più attorno all’attuale, a ciò che succedeva ogni giorno nella società, dove andavano risolte le esigenze dei diversi clienti, fossero essi industrie, giornali, enti o semplici privati o attività tecniche di laboratorio. Era l’esigenza di una Italia dove tutto cresceva e si modificava con rapidità e il fotografo, soprattutto in provincia, era immerso in questo clima e doveva saperlo vivere e interpretare. Questo spirito “empatico” con il quotidiano era senz’altro tratto caratteristico di Enrico Pavonello che, come possiamo ben vedere dalle immagini conservate nel suo archivio, ha praticato quasi tutti gli ambiti della fotografia professionale rispondendo ad incarichi diversi ma conservando comunque quella predilezione per la cronaca che lo farà diventare nei suoi anni d’oro IL fotografo del Messaggero Veneto, quotidiano storico di Udine e provincia, primo quotidiano italiano ad essere stampato in offset (1968). E’ infatti il rapporto con quel che accade, con la cronaca nei suoi diversi aspetti e luoghi che fa da padrone e salta all’occhio guardando le decine di migliaia di fotografie da lui scattate, in buona parte ancora conservate come negativi nel suo archivio o presenti come stampe presso i suoi clienti. In esse, anche quando lavorò per l’industria, la sua predilezione rimane la cronaca ovvero la descrizione dei fatti che accadono piuttosto che la fotografia industriale tout-court che peraltro era ben capace di realizzare utilizzando l’indispensabile banco ottico. Nelle fotografie che lo ritraggono mentre lavora appare con una Rolleiflex biottica al collo, attento a fissare l’attimo di qualche accadimento.

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Nell’ Italia del secondo dopoguerra il fotogiornalismo vero, al di là di qualche eccezione, è ancora da venire -a

parte l’esperienza de La Domenica del Corriere e de La Tribuna Illustrata- e avrà la sua breve avventura con i settimanali popolari che, sulla scorta di ben più importanti e impegnati esempi del mondo anglosassone (Life magazine, nato nel 1939, ne è l’esempio più nobile), fiorirono dagli anni ‘950 tra i quali Oggi (Rusconi, 1939) ed Epoca (Mondadori, 1950) sono gli esempi di maggior successo, assieme a qualche quotidiano condotto da qualche direttore illuminato, anche in provincia. Il Messaggero Veneto con la direzione di Vittorino Melloni (1966>1992) fu uno di queste eccezioni. In quegli anni le paginate fotografiche del quotidiano furono una scelta frequente e comunque una caratteristica che ben lo distinse -con successo- in quel momento di crescita del giornalismo italiano: il fotografo di cronaca aveva quindi un ruolo specifico e determinante. Poi verranno i diversi settimanali d’informazione e il loro più brillante periodo (‘980-’990) ..... e il loro declino col diminuire delle risorse economiche: ma questa è un’altra storia. Ai giorni nostri nei quotidiani è impensabile fare a meno di un ricco corredo di immagini per dar risalto alle diverse notizie, oltre alla presenza dell'inevitabile versione internet, aggiornata in tempo reale, che è figlia giovane delle tecnologie di comunicazione contemporanee e che sempre di più sta diventando la fonte a cui noi tutti facciamo riferimento quotidiano. In questi anni (‘950>’970) Enrico Pavonello lavorò al Messaggero Veneto come fotografo si può dire ufficiale -seppur sempre in rapporto professionale di collaborazione- costantemente presente con le sue fotografie di cronaca firmate Foto Pavonello. Ma chi era soprattutto a quel tempo un fotografo di cronaca e di attualità come Pavonello si definisce autonomamente? Era un professionista attento, sempre presente e informato, ben inserito nella realtà sociale e nella quotidianità, con amicizie e relazioni significative, ovviamente sempre con la macchina fotografica al seguito e sempre pronto a catturare l’attimo, fissare la situazione, l’accadimento, il fatto, rappresentare un concetto. Erano comunque tempi dove il fotografo scattava con parsimonia, tornava la sera alla bottega con qualche rullino da sviluppare e non con centinaia o migliaia di scatti tra cui selezionarne qualche decina, come accade ai nostri giorni con il digitale. Accanto ad Enrico Pavonello ci furono i suoi ragazzi ovvero un gruppo di giovanissimi collaboratori che con lui iniziarono a crescere, seguendolo e aiutandolo a coprire al meglio i diversi avvenimenti di cronaca e nel tempo


rendendosi autonomi. Un gruppo affiatato che ancora oggi ricorda con affetto quei tempi anche se quasi tutti hanno poi seguito strade diverse. Molte delle foto dell’archivio, sono sicuramente da essi realizzate ma fanno parte a tutti gli effetti dell’attività di quell'attività che Pavonello seppe organizzare e mettere a frutto.

Enrico Pavonello (a sx) e il suo collaboratore Rino Mattiussi presso il Monumento alla Resistenza a Udine. 25 aprile 1969.

Fotografare la cronaca in quegli anni è voluto dire passare attraverso a fatti che rimangono fissi nella memoria collettiva: il disastro del Vajont (1963), la grande alluvione del 1966 (ma anche quella del 1965) a Latisana, il terremoto del 1976 ma anche più semplicemente la festa di Santa Caterina a Udine, le partite dell’Udinese al Campo Moretti, il passaggio del Giro d'Italia, le domeniche dell’Austerity (inverno 1973) assieme alle varie visite dei personaggi di rilievo pubblico, alle decine di fatti, eventi istituzionali e ricorrenze che costituiscono l’ossatura della cronaca di un quotidiano o che servono come strumento di documentazione dell'attività degli enti importanti o per memoria della quotidianità.

Ma il mestiere di Pavonello è anche realizzare le immagini di una industria friulana in crescita, le prime foto con ambizioni pubblicitarie, i ritratti in studio, i matrimoni, in definitiva occuparsi dei ricordi delle persone. In mezzo alle decine di migliaia di scatti realizzati troviamo molto che ci aiuta a conoscerlo come professionista e come uomo da ricordare, ma scopriamo anche moltissimi scatti documentativi assieme a istantanee che ci forniscono spunti straordinari per interpretare visivamente come era la nostra società in quei giorni. Troviamo naturalmente molto di più di quello che è stato pubblicato e utilizzato dal Messaggero Veneto e dai diversi clienti, scopriamo molte immagini scattate per piacere di osservare la realtà, ma che comunque possiedono quella lucida freddezza giornalistica che fissa l’accadimento senza fronzoli, senza la necessità di servirsi di sovrastrutture estetiche se non quelle strettamente necessarie. Abbiamo l’occasione di vedere per la prima volta queste immagini senza la sovrapposizione del retino tipografico a bassa risoluzione usato dai giornali, ma con la ottima qualità che ci permette oggi la stampa fotografica e con la nitidezza del retino ad alta risoluzione che ci offre la tipografia di qualità. Esse sono anche libere dall’inevitabile intervento del redattore che, per ovvie necessità tecniche, spesso deve adattarle allo spazio disponibile sulla pagina finita, talvolta con la costernazione di chi le ha realizzate. Certamente è una nuova vita per molte fotografie rimaste per anni nel limbo del negativo fotografico; per quelle che conosciamo è una occasione per vederle per la prima volta al meglio della qualità possibile. Nell’ultimo periodo Enrico Pavonello condivise l’attività col figlio Riccardo, anche se nel tempo Enrico si occupò più della tutela e organizzazione del mestiere di fotografo come presidente dapprima regionale ed indi nazionale dell’Associazione Fotografi ed Artigiani d’Italia. Nel gennaio del 1984 a pochi mesi dalla sua morte, realizzò presso il Centro Friulano Arti Plastiche assieme al figlio Riccardo, la sua unica esposizione fotografica conosciuta che raccontava peraltro di una sua passione, ovvero dei suoi viaggi esotici in Argentina e in Africa, delle persone, degli animali, dei paesaggi vissuti. Ma la sua vera e più conosciuta esposizione fotografica è stata certamente quella quasi quotidiana sulle colonne del Messaggero Veneto! Con la presenza di Riccardo nell’attività, il negozio si trasformò in foto-ottica indirizzandosi nel tempo verso quella che poi diventerà la specializzazione e la professione di questo.

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La maggior parte delle fotografie ad oggi esistenti, derivate dall’attività di Enrico Pavonello e dei suoi ragazzi, sono raggruppate nel suo archivio che la famiglia ha concesso in deposito a Guarnerio Soc. Coop con l’intento di procedere al riordino e alla valorizzazione, di cui si sta concludendo la prima fase. Un nucleo consistente ed omogeneo (poco sotto il migliaio di scatti) è conservato presso l'Archivio fotografico storico-istituzionale del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia, collocato presso la Biblioteca "Livio Paladin" e riguarda la documentazione degli eventi (inaugurazioni, conferenze, incontri) relativi all’attività istituzionale della Regione. La mostra e il libro organizzati in occasione del 30° anniversario dalla sua morte vogliono ricreare un’atmosfera più che dettagliare dei contenuti. Molte delle fotografie selezionate non hanno data certa ma solo desumibile, molte richiedono un approfondimento storico per meglio valorizzarle, ma in questo momento di commemorazione sono particolarmente efficaci nel rivelarci un'atmosfera, nel dimostrare lo spirito con cui Pavonello lavorava. Il lavoro di riordino è certamente lungo e impegnativo e, oltre le attività prettamente tecniche, richiede competenze diversificate ma soprattutto il recupero di quella memoria storica che purtroppo sta dissolvendosi nel tempo, mano a mano che i coetanei del nostro fotografo son venuti e vengono a mancare e la memoria si dissolve con essi.

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La questione riguarda un po’ tutta la fotografia, dal secondo dopoguerra all’inizio del nuovo millennio. Pare infatti che l’avvento del digitale -straordinaria evoluzione tecnologica- abbia fatto da anestetico alla memoria. La soprapproduzione e la rapida obsolescenza dei contenuti e delle notizie ha abbassato la soglia di attenzione alla fotografia come documento fondamentale della nostra memoria, in particolare per quanto riguarda la storia recente. Scarsissime e confuse sono le iniziative intraprese dal pubblico su questo periodo e men che meno esiste un tentativo organico di costruire una memoria condivisa utilizzando i materiali prodotti dai numerosi fotografi che in forma diversa furono attivi. Negli ultimi anni, forse bombardati e assorbiti dai troppi contenuti del nuovo mondo digitale, abbiamo trascurato la memoria recente: sembra quasi vogliamo ripartire da capo! L’auspicio e l'intento è che dalle attività realizzate e che si realizzeranno attorno all’archivio di Enrico Pavonello possa svilupparsi un intelligente lavoro su questo periodo (e magari oltre ...), portando a compimento uno degli obbiettivi che lo stesso si era senz’altro posto alla fine della sua carriera, sia per la salvaguardia di quella professione che gli aveva dato da vivere, che per il ruolo che essa ha per la memoria della collettività.


Enrico Pavonello, una scuola di fotografi di Mario Blasoni Chi volesse raccontare una storia della fotografia a Udine e in Friuli nel secondo dopoguerra non potrebbe partire da quella che è stata una figura centrale del settore, Enrico Pavonello. Non fu un fotografo d'arte, se non occasionalmente, ma un fotoreporter, anzi, “il” fotoreporter. Il primo e il più importante del Messaggero Veneto che oggi, nel trentesimo della scomparsa intende ricordarlo e rendergli omaggio per il contributo - determinante - che ha dato con le immagini alla cronaca del giornale, ma anche per il lustro che con la sua opera ha dato alla categoria.

che De Gasperi – a quella del Tiepolo a Villa Manin nel '71). Dal Premio Moretti d'Oro negli anni '60 in castello al “Giardino degli spettacoli” della Mostra della Casa moderna dove si esibirono Mina, Alighiero Noschese, Caterina Caselli… E vi si affacciò anche Modugno, che però non potè cantare a causa un violento acquazzone!

Pavonello oggi è ricordato soprattutto per gli eventi sinistri della cronaca, dalla strage di Scodovacca nel 1949 (un uomo di 39 anni, Mario Gubero, ha ucciso quattro familiari tra cui la madre) alla “crocefissa di Masarolis” nel 1960 (“Una donna barbaramente assassinata appesa nuda a un albero”, titola il capocronista De Jeso sul Messaggero). E in mezzo, il 5 marzo 1955, “in una notte di neve e di sangue” l'assassinio di Antonio Zanella, il famoso Ors di Pani, in Carnia. Poi, negli anni '60 il Vajont e le due alluvioni di Latisana… Nella seconda alluvione (4 novembre 1966) ho avuto una esperienza diretta, anche se non completa, a proposito di Pavonello. Partimmo nel primo pomeriggio, io e il collega Pilotti, per Latisana: il cedimento degli argini del Tagliamento era dato per imminente. Là ci raggiunse Pavonello con la sua auto. Una macchina della polizia con megafono pattugliava il centro invitando la gente a rientrare nelle case e mettersi in salvo. Che fare a quel punto? “Tocca a me - dissi - che sono il più giovane, restare a vedere cosa succede”. Pavonello scattò foto impressionanti del Tagliamento che in più punti stava per rompere gli argini e, col collega Pilotti, ripartì appena in tempo, per Udine. Ma la mattina dopo era di nuovo in piazza Indipendenza. E fece una foto rimasta classica: il sottoscritto, con altre persone affacciate al terrazzino del municipio sulla piazza trasformata in lago e, sotto, il battello dei pompieri venuto a “salvarci". La lunga notte delle 24 persone (forze dell'ordine, politici, giornalisti, tra i quali l'inviato del Gazzettino Sergio Gervasutti) rimaste bloccate per 17 ore nel centro dell'alluvione, era finita. Ma Enrico ha rappresentato – e per più di trent'anni – anche la normalità. Le foto che la cooperativa Guarnerio ha raccolto e selezionato ce lo mostrano mentre segue le partite dell'Udinese, o riprende le grandi mostre (da quella dell'artigianato Friuli-Carinzia del 1950 – venne an-

L'inviato Mario Blasoni, con il Sindaco sul balcone presso il Municipio di Latisana, fotografato da Pavonello sul gommone dei VVFF. 1966.

Pavonello era sempre presente, anche se spesso mediante i suoi “ragazzi” tuttofare (dalla cronaca spicciola ai grandi eventi di nera). I più importanti della “covata” erano Alberto Tonsigh, udinese, classe 1943, e Rino Mattiussi, 1948, di Basiliano dove gestisce ancora, con con la moglie Rosella e i figli Raffaele e Roberta, un bel negozio di ottica. Alberto, che ha collaborato allo studio Pavonello dal '57 al '66, ha avuto una vita abbastanza movimentata. Ha seguito fatti di nera, tra cui il delitto di Masarolis nel '60 e altri avvenimenti importanti come quando andò, al seguito dell'inviato Arturo Manzano, all'inaugurazione, nel '61, della linea aerea (allora solo notturna) Ronchi-Roma. E' nel '63 si trovò addosso “a caldo” la sciagura del Vajont. Partimmo, De Jeso e io, la stessa notte del 10

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ottobre, sulla spider rossa del sottoscritto. Sul ridotto sedile posteriore c'era, rannicchiato, il fotografo Tonsigh (forse per dargli un po' di respiro - non faceva freddo - abbiamo viaggiato con l'auto scoperta!). Era quasi l'alba e la stretta strada della Valcellina era percorsa dai mezzi militari diretti a Longarone, mentre nel cielo si incrociavano gli elicotteri dei soccorsi. Sia Alberto che io ricordiamo lo stupore che ci colse quando vedemmo, a Erto, ergersi, intatta, la grande diga (il giornale era uscito col titolo, basato sulle prime notizie diffuse dalle Prefetture: “Crollata la diga del Vajont” )

codroipese Lodovico Noro, detto Vicki, in servizio dal 1972 fino agli ultimi anni di Enrico. Pavonello utilizzava molto i suoi ragazzi. Era come se lavorasse, nei casi più importanti, anche a quattro o a sei mani… C'era molta concorrenza, soprattutto col Gazzettino (Giorgo Conte e la Foto Afi e Cesco Laporta di Paderno, oltre all'onnipresente Tino). Ma i nomi dei giovani fotografi del Messaggero non comparivano mai: il prodot-

Il ragazzo di più lunga fedeltà a Pavonello dopo quasi un decennio ha lasciato il maestro passando per qualche anno nello studio di Tino da Udine. Poi ha cambiato completamente mestiere: ha fatto per 27 anni il magazziniere alla Ferrero. E' rimasto, invece, sempre nel settore (foto - ottica) l'altro principale collaboratore del fotoreporter del Messaggero, Rino Mattiussi, che frequentò lo studio di Galleria Alpi dal '65 alla fine del '70. Ha affrontato il periodo delle lotte studentesche (le “battaglie” del '68) e anche grossi fatti di nera come il pacco bomba dell'orefice Menchini a Tolmezzo, accanto al cronista Massimo Franz (“ma ho lavorato molto anche a Udine col compianto Paolo Schinko”). Bastano le dita di una mano per completare la rosa dei ragazzi di Pavonello. Oltre ai due più importanti di cui abbiamo parlato, ne vanno citati almeno altri tre. Paolo Pelà di Paderno, di cui ho un bel ricordo personale (il 4 giugno 1967 mi accompagnò a villa Carnera di Sequals, dove ci fu l'incontro tra il campione di allora, Nino Benvenuti, fresco titolo mondiale dei pesi medi, e il campione del passato, titolo mondiale dei massimi, tornato a casa gravemente malato: morirà 20 giorni dopo). E, penultimo della serie, Rodolfo Cozzi. Fotografo e giornalista, ha diviso il suo impegno tra Gazzettino e Messaggero Veneto (per il quale ha seguito, tra l'altro, nel 1972 il Congresso eucaristico nazionale e la visita del Papa Paolo VI), oltre che La Vita Cattolica e l'Agenzia Ansa. Quinto, infine, il

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Primo Carnera fotografato da Paolo Pelà. Appoggiato alla ringhiera un giovane Mario Blasoni. A destra Nino Benvenuti. 1967.

to unico che ne derivava, il marchio di fabbrica, era sempre lo stesso e il solo: “Foto Pavonello”. Infine, nel '76, arrivò la generazione del terremoto: altri giovani, altre storie…


Racconto in bianco e nero fra cronaca e storia di Paolo Medeossi Enrico Pavonello era un simpatico e abile “paparazzo” trapiantato dalla sua Roma nel remoto e periferico Friuli dove esercitò un'attività resa mitica nel mondo da Federico Fellini con il film “La dolce vita”. E' strano e curioso che uno dei personaggi storici più famosi a Udine nel campo del fotogiornalismo sia arrivato dalle nostre parti proprio da Roma, attraverso quei misteriosi circuiti che le circostanze sanno sempre architettare, soprattutto nei momenti convulsi di un dopo-guerra. E' noto il fatto che “paparazzo” è uno dei pochi neologismi donati dall'Italia all'idioma universale che un po' tutti accomuna in epoca moderna. E nella celebre opera di Fellini tale nome era riservato appunto ai fotografi che, scatenati e impavidi, stazionavano negli anni Cinquanta in via Veneto per catturare le immagini dei divi americani, calati come cavallette nella nuova fantastica Mecca del cinema. Ancora oscura l'origine del nome anche perché attorno a essa Fellini ci ha giocato da impenitente marpione, senza svelare mai i significati. Potrebbe trattarsi di un personaggio (Coriolano Paparazzo) tratto da un romanzo di George Gissing, “Sulle rive dello Jonio”, che il regista stava leggendo in quel periodo, ma qualcuno sostiene un'altra teoria: nel gruppo di fotografi attivi a Roma c'era un padre di famiglia, quindi soggetto a precipitosi ritorni a casa quando necessario, appunto si trattava di un “papà razzo”. E' bello ricordare questa goccia di dolce vita, che in qualche modo lasciava arrivare le sue folate nella piccola Udine che, pur nella marginalità geografica, trovandosi a due passi dalla cortina di ferro rappresentata dalla frontiera con la Jugoslavia, condivideva con sommo piacere un'atmosfera densa di umori e sogni. C'erano le piste da ballo, le prime scampagnate in auto, la corsa nelle sere d'estate verso la rotonda sul mare, ingenue distrazioni che al giorno d'oggi sembrano forse banalità e che invece allora scandivano i tempi di un'esistenza semplice e piena di speranza. Aneddoti e ricordi resi più suggestivi dalla lontananza di anni comunque complicati, appartenenti al proverbiale filone alla “poveri, ma belli”. Per capire quel clima, quei momenti, restano in particolare le immagini pubblicate sui giornali quotidiani, che ne costituiscono forse il racconto più sincero e intenso, nonostante la qualità sia spesso precaria, peggiorata ulteriormente dalla pagina ingiallita in ammuffiti archivi pericolosamente a rischio e dimenticati in qualche cantina. Materiale prezioso, ma considerato quasi irrilevante nonostante l'alto contenuto storico. L'attenzione spasmodi-

ca e spesso sterile verso il presente, scandagliato attimo dopo attimo attraverso le nuove forme tecnologiche di comunicazione, non dà spazio certo alla curiosità di capire invece tali aspetti della cronaca remota, ai quali risalire per saperne di più su come si è formata la realtà odierna, sorprendente e indecifrabile nelle sue strampalate conclusioni. In un libro pubblicato da Chiandetti nel 1979, nel quale il professor Italo Zannier narrava il romanzo della fotografia in Friuli a partire dal 1970, c'è scritto tra l'altro: “Il giornalismo conta su alcuni reporter, che da anni si applicano umilmente alla fotografia d'attualità, collaborando in modo insostituibile alla documentazione e alla diffusione delle notizie e degli avvenimenti, che rappresentano non solo la cronaca, ma la storia della regione… Il catalogo visivo che questi fotografi stanno realizzando costituirà certamente nel prossimo futuro un archivio eccezionale per chi vorrà comprendere meglio la storia della regione friulana, che le vicende di ogni giorno arricchiscono e precisano nel loro costante, inarrestabile moto. Enti e associazioni dovrebbero, senza attendere che lo spessore del tempo stimoli un facile revival, programmare sin d'ora un archivio pubblico, che tenga conto anche di queste immagini, sollecitate dalle esigenze quotidiane dell'informazione visiva al di fuori di ogni estetismo e pretenziosità artistica, ma secondo la funzione originale della fotografia”. Parole precise, lapidarie, importanti, scritte appunto da Zannier quale accorato auspicio e mai accolte nel loro senso più ampio, come appunto potrebbe essere una convinta difesa di archivi straordinari per consentire una maggiore e intelligente conoscenza. Del resto, questo è stato un po' il continuo destino di tale attività in Italia rispetto a quanto accade per esempio negli Stati Uniti dove il mestiere indicato ufficialmente come photojournalism gode di ampia considerazione e di un'adeguata preparazione, grazie anche a scuole storiche, il cui primo nucleo nacque nell'università del Missouri già al termine della seconda guerra mondiale. Lo scarso interesse per la fotografia nel nostro paese è invece il risultato della diffidenza con cui è stata vista fin dal momento della sua nascita, più di 150 anni fa: attività artigianale, ritenuta sempre potenzialmente pericolosa per la sua capacità di testimonianza, su di essa (come spiega Neri Fadigati nel libro “Il mestiere di vedere”) pesano ancora molti pregiudizi tanto che fino al 1990 per

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dedicarsi al mestiere era necessaria una licenza di polizia che autorizzava “a esercitare l'attività fotografica in forma ambulante”, in accordo a quanto stabilito da un regio decreto promulgato addirittura nel 1931, in piena epoca fascista. Una riscoperta convinta e capillare dei vecchi archivi, quelli non riservati alla produzione artistica, come appunto nel caso del fotogiornalismo o degli album familiari, sarebbe invece utile per migliorare anche l'approccio con l'educazione visiva, così sottovalutata nelle

Tra i fotografi ad una partita dell'Udinese, al centro in piedi Enrico Pavonello con la sua Rolleiflex.

nostre scuole, nonostante la società contemporanea si basi in gran parte su tale tipo di comunicazione. Basta pensare all'enorme massa di selfie e di foto scattate con i telefonini in ogni istante, soprattutto da ragazzi e ragazze. La conseguenza è che si resta indifesi, sottoposti a un bombardamento di stimoli visuali senza avere poi gli strumenti per elaborarli e conservarli. Solo l'analisi delle immagini (sostiene sempre Fadigati) può metterci in grado di decodificarle, ma anche di apprezzarle in pieno, cogliendo fino in fondo la loro capacità di emozionare. Pavonello apparteneva all'epoca in cui una sola fotografia narrava un mondo. C'era quello scatto e basta a disposizione, eseguito in un attimo nel quale improvvisazione, colpo d'occhio, abilità tecnica, fortuna si combinavano magicamente per creare un documento unico e irripetibile. Questo era il bello e il difficile di una professione nella quale il fotoreporter si esibiva come l'acrobata sul filo, avendo a disposizione pochi minuti, anzi pochi secondi.

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La storia di ogni fotografo d'attualità diventa leggenda nel narrare dettagli quasi incomprensibili al giorno d'oggi. C'è un'immagine in cui si vede Enrico Pavonello,

con proverbiale basco in testa, mentre assieme a un gruppo di colleghi è all'opera in una situazione un po' movimentata, da emergenza di cronaca. Lì doveva dare il massimo della sua arte: solo l'istinto poteva aiutare nel momento fatidico e complicato, quando era necessario far tornare i conti e consegnare al giornale il prodotto migliore, capace di battere la concorrenza e colpire l'attenzione del lettore. Vicende rimaste nell'anonimato, sconosciute a tutti, che non fanno passare alla storia del giornalismo, ma che in un istante permettono di capire se il cronista o il fotoreporter sono davvero personaggi di razza. Ed è giusto, onesto, ricordare attraverso Pavonello un po' tutta la categoria, di ieri e di oggi, che svolge certo un lavoro (come accade a ciascuno nel proprio ambito), ma lo fa perlustrando zone della tecnica e del talento molto specifiche e legate a una professione speciale, chiamata a illustrare un fatto reale attraverso un clic. Così è sempre stato fin dal 1842 quando ad Amburgo, in Germania, due personaggi di nome Biow e Stelzner realizzarono la prima foto di cronaca, dopo un incendio che aveva distrutto una vasta area della città. Il punto di forza era la capacità di mostrare senza inganni. E da allora non è cambiato concettualmente nulla, mentre - come è ovvio - si sono evoluti in maniera portentosa gli strumenti. Pavonello operò in tempi dominati dal flash e resi celebri da macchine eccezionali quali la Leica o la Rolleiflex. Si lavorava sulla pellicola in bianco e nero con la necessità di sviluppare bene e in fretta il negativo affinché la pagina sul piombo potesse essere pronta in tempi adeguati, comunque ben oltre la mezzanotte, per essere stampata. Lavorando come fotoreporter di punta e collaboratore del Messaggero Veneto, Pavonello visse la fase dell'innovazione affrontata dal quotidiano diretto da Vittorino Meloni quando, nello stabilimento inaugurato in viale Palmanova nel 1968, si diede avvio a una rivoluzione, aprendo l'era dell'offset, ovvero della stampa a freddo rispetto alla vecchia linotype: tanti gli effetti pratici e positivi, fra pagine più leggibili e fotografie molto nitide, capaci di integrare e illustrare ulteriormente il testo. E soprattutto il Messaggero potè avviare l'uso del colore con risultati di notevole qualità, vicini ai risultati raggiunti dai rotocalchi settimanali. Non a caso Vittorino Meloni, con intuito e coraggio, decise di trasformare totalmente la prima pagina dando spazio solo al racconto fotografico, che richiedeva una cura ancora maggiore nella ricerca delle immagini. Erano quelli gli anni del terremoto e della ricostruzione in Friuli, del ritorno in serie A dell'Udinese con l'avvento di campioni dalla fama planetaria tipo Zico, di tanti eventi di cronaca bianca (il millenario di Udine, a esempio) o nera, che rappresentavano il sale quotidiano di una cronaca incalzante, capace di far crescere le copie vendute.


In seguito il Messaggero Veneto si dotò di un reparto di fotografi interni che hanno continuato a lavorare secondo canoni analoghi, sviluppando e stampando le foto in bianco e nero o a colori, inserite poi nel megascanner che sfornava le lastre delle pagine da inviare alla rotativa. Nel frattempo in redazione erano arrivati i computer fin dall'inizio degli anni Ottanta per la produzione diretta dei testi da parte dei giornalisti. Molto cambiò a fine anni Novanta quando i fotografi cominciarono a usare le macchine digitali, arrivando gradualmente alla fase attuale in cui il lavoro avviene solo al computer, con l'invio alla redazione delle immagini che vengono inserite direttamente dai cronisti con la videoimpaginazione: un processo arrivato a compimento nel febbraio del 2011 quando il Messaggero Veneto ha adottato una nuova grafica con il formato tabloid e il full color. E' dunque sparito il bianco e nero nelle foto di attualità, con eccezioni solo per documentare certi momenti del passato. Intanto il lavoro del fotoreporter è destinato anche al sito internet del quotidiano mediante un ampio utilizzo di video. Questo accade mentre la cattura delle immagini si è fatta più ampia e pure “democratica” in quanto tutti, usando i cellulari, sono in grado di riprendere ciò che accade e di inviare alla redazione in tempo reale il materiale raccolto. Questo, se ha valore come testimonianza immediata, non esclude però che occorrano un'adeguata capacità tecnica e un preciso codice deontologico nello svolgere abitualmente tale attività. L'improvvisazione può causare i danni che un professionista corretto, nel fornire un prodotto efficace in tempi concitati e con un'idea di privacy molto flebile, sa evitare, per garantire la foto giusta e scattata secondo i crismi necessari. Ecco allora che la storia e la lezione dei vecchi fotoreporter, con gli aggiustamenti moderni del caso, torna utile, anche se sembrano capitoli di un romanzo dimenticato. La figura del fotoreporter era un tempo molto popolare, carismatica quasi, in città e in regione, come accadeva del resto ai cronisti. Non è leggenda, ma una verità facilmente accertabile. Il mestiere di chi era chiamato a raccontare frammenti della realtà quotidiana avveniva dentro la vita stessa, nel contatto con le persone e gli eventi, mentre adesso molto avviene attraverso i social network, dove cercare vicende, dettagli e volti. Basta pensare ai tristi casi della cronaca nera: in passato era neces-

sario avvicinare direttamente i protagonisti per poter poi riferirne con rispetto e dati di fatto. Ora spesso fa testo quanto si raccoglie su Facebook. Cose remote e inaudite per gente come Enrico Pavonello che consumò scarpe (e stivali) per percorrere il Friuli palmo a palmo, con quel suo simpatico accento romanesco e con il flash tempestivo e vigile, pronto a tuffarsi nell'avventura umana e professionale, come in una sera del gennaio 1960 quando salì a Masarolis per la donna assassinata e crocefissa o

Alberto Tonsigh, uno dei "ragazzi di Pavonello", obbligato in costume per fotografare la Quintana in Piazza I° Maggio a Udine.

come quando finì tra le strade sommerse d'acqua a Latisana nel novembre del 1966. Lì nessuno dava una mano. La foto simbolica ed essenziale poteva fornirla solo uno. Ed Enrico c'era.

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Vigile urbano all'inizio di piazza LibertĂ a Udine.


Intervista in piazza San Giacomo del giovane cronista emilianio Gianpaolo Nobili, che diventerĂ vicedirettore del Messaggero Veneto.

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ATTUALITĂ€

/ udine


Spazzino comunale intervistato in piazza San Giacomo da Gianpaolo Nobili.

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Operaio presso un cantiere in Piazzale Osoppo.

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ATTUALITĂ€

/ udine


Postino al lavoro.

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Ascensore per raggiungere i diversi livelli della miniera di Cave del Predil.

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CRONACA


Minatore scampato ad un incidente in miniera presso Cave del Predil. 6 marzo 1967.

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Pompieri intervengono presso un cantiere edile.

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CRONACA


Operazione di polizia.

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Incidente a un mezzo militare.

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CRONACA


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Capotamento di auto in una scarpata.

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CRONACA


Autocarro precipitato da un viadotto.

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Viglii del fuoco intervengono con gli idranti.

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CRONACA


Vigile del fuoco esegue la bonifica dopo un incendio.

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Intervento dei vigili del fuoco con autoscala in Via del Carbone a Udine.

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CRONACA


Manifestazione sindacale passa per piazza LibertĂ a Udine.

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In primo piano un'auto distrutta tra le macerie di San Martino. Sullo sfondo Erto.

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VAJONT

/ 9 ottobre 1963


Vista del Monte Toc e della zona di distacco della frana dietro all'invaso del Vajont.

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Trasporto di una salma verso Erto.

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VAJONT

/ 9 ottobre 1963


Spostamento dei superstiti con l'elicottero militare.

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I resti dell'osteria presso San Martino di Erto.

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VAJONT

/ 9 ottobre 1963



Sebastiano Filippin, unico superstite della sua famiglia.

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VAJONT

/ 9 ottobre 1963



Abbattimento di una casa lesionata.

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VAJONT

/ 9 ottobre 1963


Situazione della linea ferroviaria dopo il disastro, nei pressi di Longarone.

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Sulla strada verso Erto.

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VAJONT

/ 9 ottobre 1963


Breve sosta nel cammino verso Erto.

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Sosta davanti alla frana.

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VAJONT

/ 9 ottobre 1963


Case superstiti di Patat, frazione di Erto.

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Funerale ad Erto. 12 ottobre 1963.

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VAJONT

/ 9 ottobre 1963


Funerale ad Erto, nei pressi della chiesa. 12 ottobre 1963.

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Funerale ad Erto. 12 ottobre 1963.

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VAJONT

/ 9 ottobre 1963


All'esterno della chiesa di Erto, in occasione dei funerali. 12 ottobre 1963.

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Soccorsi a Latisana. 1965.

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ALLUVIONE / 4 settembre 1965



Intervento dei Vigili del fuoco assieme ai giornalisti.

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ALLUVIONE / 4 settembre 1965


A Latisanotta, danni dell'alluvione.

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Distributore prima del ponte sul Tagliamento a Latisana.

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ALLUVIONE

/ 4 novembre 1966



Dopo l'alluvione.

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ALLUVIONE

/ 4 novembre 1966


Manifestazione degli alluvionati davanti alla Prefettura di Udine.

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Ponte di Dogna crollato dopo il nubifragio del 16 settembre 1968.

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CRONACA


Ponte di Dogna. Operai al lavoro dopo il crollo del 16 settembre 1968.

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Vista aerea del centro di Gemona.

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TERREMOTO

/ 6 maggio 1976


Via Caneva a Gemona. A sx i ruderi della chiesa Madonna delle Grazie, al centro quelli della biblioteca e Pro loco.

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A Gemona si scava tra le macerie in via XX Settembre.

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TERREMOTO

/ 6 maggio 1976


Piazza Municipio a Gemona, sulla destra il Municipio lesionato ma ancora stabile.

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Tra i ruderi della propria casa in una frazione di Tarcento.

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TERREMOTO

/ 6 maggio 1976


Trasferimento con l'elicottero.

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Distribuzione generi alimentari nel gemonese.

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TERREMOTO

/ 6 maggio 1976


Pelouche per un bimbo in un campo provvisorio.

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Il segretario DC Benigno Zaccagnini (al centro) in visita a Gemona accompagnato dal sindaco Ivano Benvenuti (a sx).

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TERREMOTO

/ 6 maggio 1976


Il ministro dell'Interno Francesco Cossiga in visita ai feriti.

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Il Presidente della Repubblica Giovanni Leone in visita ai feriti. 7 maggio 1976.

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TERREMOTO

/ 6 maggio 1976


A Udine in Piazza Patriarcato il vicepresidente degli USA Nelson Rockefeller assieme alla moglie Happy accompagnato dal Ministro degli Esteri, Mariano Rumor (a dx) e al commissario straordinario per il terremoto, Giuseppe Zamberletti (a sx). 13 maggio 1976.

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Visita di Giulio Andreotti nelle zone terremotate accompagnato dal presidente della giunta Antonio Comelli, 3 e 4 settembre 1976.

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TERREMOTO

/ Regione FVG


Consegna degli alloggi a Montenars, riconoscimento al rappresentante austriaco consegnato dal sindaco Elio Dusefante in presenza del presidente della regione FVG Antonio Comelli (al centro). 1976.

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Visita del Presidente della Giunta Regionale del Lazio Maurizio Ferrara alle zone colpite dal terremoto. 30 settembre 1976.

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TERREMOTO

/ Regione FVG


Commiato dei militari tedeschi intervenuti in occasione del terremoto. 28 giugno 1976.

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Consegna di prefabbricati (ditta Della Valentina) presso Moggio Udinese. Dicembre 1976.

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TERREMOTO

/ Regione FVG


Prefabbricati per le attivitĂ artigianali a Gemona in localitĂ Campagnola. Maggio 1977.

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Consegna delle chiavi di un prefabbricato a Colloredo di Montalbano. Dicembre 1976.

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TERREMOTO

/ Regione FVG


Il Sindaco di Gemona Ivano Benvenuti assieme all'assessore alla ricostruzione Salvatore Varisco accompagnano il Ministro per gli Affari Regionali Roberto Mazzotta in un sopralluogo in via Bini a Gemona. 29 aprile 1981.

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Il Presidente della Regione FVG Alfredo Berzanti e l'assessore al turismo Enzo Moro in visita al terreno per l'edificazione del Centro Turistico Sociale di Forni di Sotto. 24 luglio 1971.

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DOCUMENTAZIONE

/ Regione FVG


Il presidente della Giunta regionale Antonio Comelli, l'assessore ai lavori pubblici Adriano Biasutti e il sindaco Ermes Battilana alla consegna degli alloggi popolari a Palmanova. 29 gennaio 1983.

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Laboratorio di calzolaio in prefabbricato in zona terremoto. Gennaio 1977.

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DOCUMENTAZIONE

/ Regione FVG


Documentazione del lavoro di persone diversamente abili. Gennaio 1981.

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Cerimonia in Piazza I째 Maggio per la visita del Papa Paolo VI a Udine. 16 settembre 1972.

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VISITE


Cerimonia in Piazza I째 Maggio per la visita del Papa Paolo VI a Udine. 16 settembre 1972.

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Papa Paolo VI a Udine con il Sindaco Bruno Cadetto. 16 settembre 1972.

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VISITE



Il Cardinale Eduardo Francisco Pironio assieme al Cardinale Stefan Wiszynsky.

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VISITE


Gruppo di ecclesiastici in trasferimento aereo.

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All'esterno del Tempio Ossario ad Udine.

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ACCADE IN CITTĂ€


Vendita di funghi in piazza XX Settembre a Udine.

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Udine. Vigile utilizza un autovelox.

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ACCADE IN CITTĂ€


All'esterno della sede udinese del Messaggero Veneto in Via Carducci.

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Verduraio in Piazzale XXVI Luglio a Udine.

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ACCADE IN CITTĂ€


Angurie al mercato all'ingrosso di Via Volturno a Udine.

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Restauratore (Gianpaolo Rampini) al lavoro su una pala d'altare.

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ACCADE IN CITTĂ€


Gruppo di addetti FFSS.

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Festa di Santa Caterina a Udine.

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ACCADE IN CITTĂ€


Festa di Santa Caterina a Udine.

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Educazione artistica in strada, Largo Ospedale Vecchio a Udine.

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ACCADE IN CITTĂ€


Parco giochi.

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Allagamento di Piazzale Osoppo a Udine.

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ACCADE IN CITTĂ€


Viale Volontari della LibertĂ sotto la pioggia.

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Il sindaco Angelo Candolini con la madre ai funerali del padre Agostino. Chiesa della Beata Vergine delle Grazie a Udine. 1972.

108

ACCADE IN CITTĂ€


Benedizione simbolica della targa 100.000.

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Austerity. Si gioca a carte in Piazzale Chiavris a Udine. 2 dicembre 1973.

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ACCADE IN CITTĂ€


Austerity. Carburante per cavalli al distributore all'inizio di Viale Tricesimo a Udine. 2 dicembre 1973.

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L'Architetto Gino Valle col Sindaco Bruno Cadetto presso il Monumento alla Resistenza in Piazzale XXVI Luglio a Udine. 1967.

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ACCADE IN CITTĂ€


Monumento alla Resistenza in Piazzale XXVI Luglio a Udine. Stato dei Lavori.

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Villaggio metallico (esuli istriani) a Paderno.

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ACCADE IN CITTĂ€


Costruzione del condominio Ricasoli nell'omonima via a Udine.

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Enzo Tortora alla Sagra degli Osei a Sacile. 1961.

PERSONE E PERSONAGGI


Brindisi in casa Carnera a Sequals. 1967.

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Amici.

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GENTE COMUNE


Ciclista improbabile in viale Volontari della LibertĂ a Udine.

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Matrimonio.

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GENTE COMUNE


Al fogolar.

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Legnaia.

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GENTE COMUNE


Preparazione dei vimini.

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Ritratti in studio.

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IN STUDIO


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Negozio di alimentari.

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ATTIVITĂ€

/ commercio


Negozio di tessuti.

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Officine Bertoli a Udine.

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ATTIVITĂ€

/ manifattura


Officine Bertoli a Udine.

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Officine Bertoli a Udine. I Bertoli accompagnano un ospite in visita.

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ATTIVITĂ€

/ manifattura


In attesa della spedizione.

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La fabbrica dells SNIA a Torviscosa.

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ATTIVITĂ€

/ manifattura


Montaggio display da aeroporto presso la Solari di Udine.

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Lavori in cava nel cividalese presso Torreano.

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ATTIVITĂ€

/ manifattura


Lavoro di finitura con bocciardatura della pietra di Torreano.

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Promozione natalizia in piazza Libertà a Udine.

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PUBBLICITÀ


Studio per pubblicitĂ .

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Studio per immagine promozionale della Birra Moretti.

138

PUBBLICITĂ€


La produzione in bottiglia della Birra Moretti.

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Vetrina di un negozio di elettrodomestici.

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PUBBLICITĂ€


8째 Referendum della Moda.

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Palazzo Antonini, sede della Banca d'Italia a Udine.

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ARCHITETTURA


Piazza della Vittoria e il castello di Gorizia.

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Udinese - Inter.

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SPORT


Intervento del portiere sull'udinese Lorenzo Bettini. Campionato 1954/55.

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Grado, in occasione del torneo "Emilio de Martino". Dall'alto da sinistra: Paolo Ritella, Remo Barbiani, Vasco Tagliavini, Luigi Comuzzi (allenatore), Luis Pentrelli, Remigio Cadò, Zuccolo, Mario Tosolini. Seduti da sinistra: Franco De Cecco, Dino Zoff. 1959(?).

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SPORT


Gli spalti affollati del Campo Moretti di Udine.

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Partita della Nazionale d'Italia under 21 - Romania al Campo Moretti di Udine (1-0). 10 giugno 1971.

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SPORT


Gli amici di Rino Mattiussi -fotografo di Pavonello- al campo Moretti di Udine.

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Al Campo Moretti di Udine, la panchina dell'Udinese. Al centro il Presidente Dino Bruseschi tra il massaggiatore Narciso Scolaro (dx) e l'allenatore Luigi Bonizzoni. Stagione 1961/1962.

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SPORT


Formazione dell'Udinese. campionato di serie C, stagione 1968/69.Ramusani, Zampa, Caporale, de Cecco, Pontel, Bernard // Galeone, Blasig, Mantellato Maiani, Franzot.

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Arrivo del Giro d'Italia in PIazza I째 Maggo. 7 giugno 1967.

152

SPORT


Folla all'arrivo del Giro d'Italia in Piazza I째 Maggo. 7 giugno 1967.

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La maglia rosa Silvano Schiavon all'arrivo a Udine. 7 giugno 1967.

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SPORT


Processo alla tappa. Da destra Sergio Zavoli, il vincitore di tappa Dino Zandeg첫, la maglia rosa Silvano Schiavon. 7 giugno 1967.

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I piloti delle Frecce tricolori.

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SPORT


Trionfo di Nino Benvenuti del 4 marzo 1968.

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Finito di stampare nel mese di settembre 2014 da Lithostampa s.r.l , Pasian di Prato (UD)


Enrico Pavonello (1920-1984), romano d'origine e friulano d'adozione, fu nel secondo dopoguerra e fino agli anni Ottanta del secolo scorso una importante figura nel panorama dei fotografi friulani. Egli fu forse il rappresentante più eclettico e conosciuto di quelli che a quel tempo si autodefinivano fotografi di attualità. Fu ben conosciuto e apprezzato come fotografo di cronaca e dalle colonne del Messaggero Veneto, dove quasi quotidianamente le sue foto vennero pubblicate, ebbe riconoscimento e celebrità. Accanto a lui si formò un gruppo di collaboratori che venne riconosciuto come I fotografi di Pavonello e che si occupavano di coprire quotidianamente i diversi avvenimenti di cronaca. Ma essere fotografo a quel tempo voleva anche dire dover affrontare tutti i campi del mestiere, dalla documentazione industriale alle prime immagini di pubblicità, dai ritratti delle persone comuni alle diverse manifestazioni, occasioni e ricorrenze civili e personali che scandivano la costruzione della nuova società del dopoguerra. L'obbiettivo di questo libro è quello di ricordarlo, ricostruendo tramite le sue fotografie l'atmosfera attraverso la quale ha realizzato il suo mestiere, è vissuto e ha scelto di tramandarci i suoi racconti, parlandoci attraverso i diversi aspetti del suo lavoro quotidiano.

€ 25



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