The Pill Magazine 39 IT

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Va’ Sentiero

Silence can be Loud

Wadden Sea

Va’ Sentiero percorre la prima parte del dimenticato Sentiero Italia, 7.000 km lungo tutte le montagne italiane.

Il racconto di un'avventura al limite, la spedizione di Simone Moro e Tamara Lunger nel selvaggio Gasherbrum invernale.

Le isole Frisone rischiano di diventare un paradiso perduto se portiamo avanti i nostri comportamenti attuali.

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EDITO BY

D AV I D E F I O R A S O

Voglio che questa emergenza porti ad una vera rivoluzione. Dentro e fuori di noi. Voglio imparare la lezione, senza lasciarmi sfuggire il benché minimo insegnamento. Voglio portarmi dentro queste emozioni, queste riflessioni, questi pensieri e farli sfociare in un cambiamento profondo. Voglio che ogni persona abbia la possibilità di sperimentare il tempo come lo stiamo vivendo ora. Lento, semplice, dilatato. Senza tutto questo, nessuno al mondo avrebbe potuto scoprirsi davvero, mettere in atto la propria creatività, dimostrare di cosa è capace.

Voglio che venga ristabilito il tempo, per adulti e bambini, tra padri e figli, senza spostamenti e costanti impegni quotidiani che ci privano delle nostre energie. Voglio che sia favorito, dove possibile, il lavoro da casa, conservando in questo modo risorse economiche, fisiche ed ecologiche. Voglio che sia considerata preziosa anche una semplice passeggiata nel quartiere; che i baci e gli abbracci siano donati con cura, per il valore che davvero rappresentano. Voglio che gli anziani ritornino ad avere il ruolo che da sempre gli appartiene, come custodi di storie, di memorie e di saggezza. Voglio che regni il rispetto, la solidarietà, la fratellanza. Ci serviva un’esperienza così forte, per accorgersi di cosa siamo veramente capaci. E di cosa abbiamo veramente bisogno. È ora che ognuno faccia la propria parte, per ricominciare in modo diverso. Più responsabile. Più consapevole. Più saggio. Più vero. Non voglio che tutto riprenda come prima.

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PHOTO LUIGI CHIURCHI

Voglio tornare a vivere dell’essenziale; a fare la spesa nel mio paese, a comprare solo ciò che serve davvero, ad utilizzare l’automobile il meno possibile. Voglio imparare a ritirarmi dal mondo ed ammirarlo senza il nostro disturbo, il nostro rumore, il nostro inquinamento.


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CREW THE PILL

EDITOR IN CHIEF Denis Piccolo | denis@hand-communication.com

SHOP MAGAZINE MAP www.thepillmagazine.com/magazine-finder

E D I T O R I A L C O O R D I N AT O R S Davide Fioraso, Silvia Galliani

C O M PA N Y E D ITO R Hand Communication Corso Francia 17, Torino hello@hand-communication.com

E D I T I N G & T R A N S L AT I O N S Silvia Galliani

COVER Faroe Islands by Pietro Ienca PRINT L'artistica Savigliano Savigliano - Cuneo - Italy lartisavi.it

THEPILLMAGAZINE .COM Camilla Pizzini | camilla@hand-communication.com PHOTOGRAPHERS & FILMERS Matteo Pavana, Thomas Monsorno, Andrea Schilirò, Denis Piccolo, Patte Schwienbacher, Achille Mauri, Federico Ravassard, Simone Mondino, Alice Russolo

DISTRIBUTION 25.000 copies distribuited in 1100 shops in Italy, Switzerland, Austria, Gemrany, France, Belgium, Spain, England & The Netherlands

C O L L A B O R AT O R S Sofia Parisi, Matteo Rossato, Fabrizio Bertone, Enrico Santillo, Dario Toso, Dario Marchini, Eva Bonk, Luca Albrisi, Antonio Isaja, Marta Manzoni, Luca Schiera, Giulia Boccola,Federico Mura, Tommaso Bernacchi

ADVERTISING hello@hand-communication.com | +39 333.7741506 The Pill rivista bimestrale registrata al tribunale di Milano il 29/02/2016 al numero 73

SHOP & SUBSCRIPTIONS www.thepillmagazine.com/shop

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PHOTO LUIGI CHIURCHI

ART DIRECTION George Boutall | george@evergreendesignhouse.com Francesca Pagliaro, Diego Marmi



ISSUE 39 CONTENTS

T H E D A I LY P I L L

P. 5 2

P. 1 2

DON'T WANT TO CHANGE PL ANET

P. 5 4

KILLER COLLAB

P. 1 6

WE LOVE OUR RUNNING SPOTS

P. 5 6

ECO SEVEN

P. 2 0

ASK FOR ADVENTURE

P. 6 2

GOOD READS

P. 2 4

CAUCASUS COOKING

P. 6 6

MOVING PICTURES

P. 2 6

NO PLANET B

P. 7 0

ARC'TERYX

P. 2 8

ANNA STÖHR

P. 74

DEUTER

P. 3 0

TH E R U N N I N G PASTO R

P. 7 8

P I C T U R E C L I M AT E C H A N G E

P. 3 2

FARO E IS L AN DS

P. 8 4

N O PL AC E TO FAR

P. 3 4

LHOTSE

P. 9 2

HEART OF THE DOLOMITES

P. 3 6

PATAG O N I A I N T O T H E U N K N O W N

P. 9 8

GIANT ROAD TO REVOLUTION

P. 3 8

VA SE NTI E RO

P. 1 0 4

FUTURELIGHT

P. 4 0

E L C H AT L E N

P. 11 2

VAU DE

P. 4 4

WADDEN TRIP

P. 1 2 0

ALBA OPTICS

P. 4 8

SILENCE CAN BE LOUD

P. 1 2 8

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PHOTO LUIGI CHIURCHI

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THE DAILY PILL BY DAV I D E F I O R AS O

N U OVO PRO PR I E TAR I O PE R O D LO Monte Rosa Sports Holding AG ha acquisito Odlo International da Herkules Fund III. Odlo, azienda svizzera con radici norvegesi, oggi conta circa 800 dipendenti ed è leader nella produzione di intimo tecnico. Monte Rosa è una holding di proprietà di Hugo Maurstad e Christian Casal. Maurstad ha seguito numerosi investimenti nel settore, mentre Casal è l'ex capo di McKinsey Switzerland con una vasta esperienza di corporate. “Abbiamo trovato similitudini con gli investimenti fatti in Rossignol e Helly Hansen” - spiega Hugo Maurstad - “L'azienda è riconosciuta globalmente. Riportando Odlo alle sue radici, risulterà fortificata la posizione di leader europeo nel settore".

MIZUNO TORINO: IL PRIMO STORE MONOMARCA EUROPEO Mizuno ha inaugurato il primo negozio monomarca in Europa a Torino. Il nuovo store, ispirato alla cultura giapponese con linee pulite e minimaliste, si trova nell'elegante contesto del centro storico del capoluogo piemontese. Il nuovo spazio avrà il compito simbolico di rafforzare la community di sportivi fedeli al marchio e incarnerà a pieno la filosofia aziendale. Il Presidente di Mizuno Italia, Oliver Strenghetto, ha commentato: “questo momento storico così delicato per l'Italia e per il resto del mondo ha messo in luce ancora di più l'importanza dello sport nella vita di tutti i giorni e probabilmente sarà anche uno dei settori trainanti della ripartenza”.

SCARPA SPONSORIZ Z A I RAG NI DI LECCO Scarpa ha annunciato la collaborazione con i Ragni della Grignetta (o Ragni di Lecco), una delle realtà più prestigiose del panorama alpinistico, con oltre 70 anni di scalate ai massimi livelli. La collaborazione, che prevede la fornitura di materiale tecnico, simboleggia la condivisione di valori comuni: spirito di libertà, passione per la montagna e legame con la tradizione. Le fondamenta sono state poste nel territorio di Cortina D’Ampezzo in una giornata trascorsa insieme al Gruppo Scoiattoli e alle Guide Alpine di Cortina. Un’occasione per scambiare idee e riflessioni su progetti futuri e volgere lo sguardo alle novità nel mondo dell’alpinismo.

THE NORTH FACE INTRODUCE FUTURELIGHT NEL FOOT WE AR The North Face porta la sua rivoluzionaria tecnologia traspirante e impermeabile nel segmento delle calzature. Futurelight offre un’eccezionale permeabilità all’aria, è adatta a condizioni ambientali e attività di ogni tipologia ed è stata rigorosamente testata per durare nel tempo. A conferma dell’impegno del brand per l’utilizzo sempre più frequente di materiali riciclati, le scarpe della collezione Futurelight sono caratterizzate da varie componenti sostenibili, come il plantare ibrido in Ortholite eco-friendly introdotto nella gamma Ultra Fastpack Futurelight e nei modelli Ultra Traction Futurelight e Activist Futurelight.

N A S C E AT K S P O R T S S R L Dalla fusione tra ATK Race e Gimec, già della famiglia Indulti, nasce ATK Sports. L’obiettivo è chiaro: quello di appagare l’ambizioso desiderio di espansione e al tempo stesso creare le condizioni per un progetto internazionale che supporti lo sviluppo, l’ingegnerizzazione e la produzione di prodotti, componenti e sistemi per il mondo dello sport. La fusione rappresenta altresì un’occasione per unire le ottimizzazioni tecniche, industriali e commerciali che erano già state avviate. Nel breve termine, ATK Bindings diventerà quindi il marchio principale controllato da ATK Sports, destinato a garantire prestazioni impareggiabili nel segmento del moderno scialpinismo e del freeride.

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THE DAILY PILL BY DAV I D E F I O R AS O

M AT TEO D E LL A B O R D E LL A N U OVO ATLE TA V I B RA M Vibram è felice di accogliere all’interno del proprio team l’alpinista e scalatore Matteo Della Bordella. Amante di un alpinismo non convenzionale, Matteo incarna lo spirito avventuriero tipico dei pionieri di un tempo. Tra le sue ultime avventure spiccano le spedizioni nell’Himalaya Indiano, in Pakistan e Patagonia, terra a cui è molto legato. Varesino classe 1984, Matteo è un grande conoscitore e utilizzatore di calzature con suola Vibram; dopo anni di collaborazione in qualità di tester, entra ufficialmente a far parte del team di atleti contribuendo nello studio di nuove soluzioni per l’alpinismo e l’outdoor in generale.

L’ A M B A S S A D O R F E R R I N O A L E K S A N D R A T A I S T R A P R O T A G O N I STA D E L FI LM G O R RO PU Lo scorso autunno la fortissima climber polacca ha fatto parlare di sé scalando in giornata la leggendaria via Hotel Supramonte (8B max/ 7C obbligato) nella Gola di Gorropu, in Sardegna. Aperta da Rolando Larcher e Roberto Vigiani nel lontano 1998 è una via multipitch spettacolare, un importante obiettivo nella carriera di un climber. Il film di Francesco Pierini “Gorropu - An inspirational climbing story” racconta la grande passione e determinazione di Aleksandra, mostrando come l'arrampicata possa diventare un trampolino di lancio verso la comprensione di se stessi. Il documentario sarà proiettato nelle più importanti città italiane.

M O N TA N E AC Q U I S I TA DA I N V E R L E I T H Inverleith LLP, società di investimento scozzese specializzata nei beni di consumo, si è assicurata la maggioranza di Montane, azienda britannica di abbigliamento e accessori per l’outodoor fondata nel 1993 ad Ashington e conosciuta a livello internazionale con il mantra Further. Faster. Questo investimento dovrebbe aiutare l’azienda a espandere la distribuzione globale, con una maggiore attenzione allo sviluppo dei prodotti. Dopo un periodo di transizione, l’amministratore delegato di Montane, Jake Doxat, assumerà un nuovo ruolo di ambasciatore globale del marchio. Rimarrà inoltre azionista di minoranza e amministratore del CDA.

ONLINE FERRINO TENTSET È ora attivo il configuratore che, in 6 semplici passaggi, permette di creare la tenda perfetta per qualsiasi condizione. Da oggi è possibile realizzare una prima configurazione in cui scegliere tipologia di tenda, camera interna, paleria e teli esterni a cui in seguito aggiungere accessori o elementi customizzati per realizzare la propria tenda o semplicemente per cambiarne l’utilizzo senza doverne acquistare una nuova. Una funzione che strizza l’occhio alla sostenibilità ambientale consentendo di combinare più tende in una, riducendo il consumo di risorse e lo spreco di materiale.

R O C K M A S T E R : L’ E V E N T O D I A R C O P O S T I C I P AT O A L 2 0 2 1 Per la prima volta in 35 anni si interrompe la storia di RockMaster. L’attuale situazione non consente di programmare un evento che raduna migliaia di appassionati, volontari, tecnici ed atleti provenienti da tutto il mondo. “Ci sembra un atto di responsabilità liberare risorse economiche che le amministrazioni pubbliche potranno destinare a politiche di risposta alle emergenze determinate dal Covid-19” - dichiara la società organizzatrice. RockMaster 2021 sarà un modello di rilancio del turismo outdoor ad Arco e nel Garda Trentino. Questo stop forzato servirà a definire nuove proposte, dai format di gara alla nuova veste del Climbing Stadium.

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Per la stagione invernale 20/21 Salewa presenta la nuova Sella Responsive Jacket, un versatile guscio da alpinismo e scialpinismo realizzato con l’innovativo Powertex Responsive, tessuto a tre strati con membrana impermeabile e traspirante. La fodera interna contiene una miscela esclusiva di minerali in grado di riciclare l’energia emessa dal corpo per un maggior comfort termico e migliori prestazioni durante l’attività.

Scarpa perfeziona ulteriormente un prodotto che ha rivoluzionato il mercato dell’alpinismo, cambiando le regole del gioco su come muoversi in montagna. Il nuovo Ribelle Tech 2.0 HD rimuove quello che poteva essere superfluo. Il risultato? Uno scarpone più efficiente, più forte e con un livello più alto di isolamento termico. Nuovo sistema overlapping asimmetrico integrato con la tomaia e nuova ghetta elastica in tecnologia Knit.

Yeti continua a lasciare il segno con i suoi prodotti best-in-class dedicati al mondo del campeggio e della vita all’aria aperta. È il

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Altissime prestazioni abbinate ad una comodità senza precedenti, grazie al brevetto BioLite 3D SlimFit. Con uno spessore anteriore di 9 mm e un peso di soli 69 grammi, la lampada frontale si posiziona ottimamente senza avvertire alcuna oscillazione o scivolamento. Il tessuto traspirante mantiene la pelle fresca e asciutta durante qualsiasi attività. 330 lumen, 40 ore di autonomia alla potenza minima e ricarica tramite Micro USB.

Due nuove varianti dello zaino Ascensionist Pack in casa Patagonia. Questa versione da 55L si ispira alle richieste dei propri ambassador, alla ricerca di uno zaino capiente per l'arrampicata e le spedizioni. Ottimizzato nei dettagli, è pensato per lunghi percorsi di avvicinamento, dove la leggerezza è un elemento chiave. I supporti in alluminio offrono sostegno ai carichi più pesanti, senza ostacolare la flessibilità nei movimenti.

Calzatura “door to trail” concepita per allenamenti e corse off-road. Un prodotto a vocazione athleisure con tomaia leggera e traspirante, realizzata con una combinazione unica di tessuto rip-stop, retina monobava e sandwich mesh. Battistrada in mescola FriXion Blu perfetto per utilizzi su terreni duri e rocciosi. L’intersuola in EVA con tecnologia MorphoDynamic garantisce l’elevata ammortizzazione tipica del modello Helios.

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caso della sedia Trailhead progettata per una durata leggendaria ed un comfort estremo. È realizzata in tessuto FlexGrid che elimina i punti di pressione, telaio packaway, larghi piedini GroundGrip per offrire maggior stabilità al terreno. Once you’ve conquered a killer trail, you’ve earned an even better break.



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Coltello multi-funzione che conserva la leggendaria ergonomia Opinel. Questa versione è dotata di una lama seghetta in acciaio inossidabile Sandvick spessa 2,5 mm (molto performante per tagliare corde naturali o sintetiche) e di uno smanigliatore per grilli da 4 a 10 mm. L'impugnatura, realizzata in poliammide rinforzata con fibra di vetro, ha un fischietto di sopravvivenza integrato e un anello a doppia sicurezza Virobloc.

Una corda da 9 mm dotata di ben tre certificazioni che ne estendono il range di utilizzo: singola, mezza corda o gemella. Un prodotto performante in falesia, che si adatta benissimo per un uso alpinistico o per arrampicate su ghiaccio. È dotata di trattamento Dry che garantisce impermeabilità alla calza e all'anima, mentre la fitta tramatura impedisce alla polvere di penetrare all'interno. Disponibile nelle versioni da 30-40-50-60 m.

Una vera innovazione nel mondo dell’arrampicata. Z4 è il nuovo friend realizzato con la preziosa collaborazione di atleti come

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La pluripremiata giacca per la pratica dello scialpinismo. Abbina una calda imbottitura in Swisswool (del peso di appena 60 g/m²) ad uno strato esterno in Pertex Quantum Diamond Fuse che protegge dall’abrasione e dal vento, pur rimanendo estremamente traspirante. Al suo interno infine un softshell Merino Naturetec Light che assicura un grande comfort e una temperatura ottimale del corpo. Inserti elastici su cappuccio e polsini.

Comfort di nuova generazione per vivere al meglio qualsiasi escursione. La tomaia in esclusivo tessuto Primeknit avvolge il piede per garantire flessibilità e stabilità, mentre l'intersuola Boost fornisce un ritorno di energia continuo. Membrana in GORE-TEX impermeabile e traspirante, rinforzi anti-abrasione e puntale con protezione sagomata. Suola in gomma Continental per un grip ottimale anche sul bagnato.

La tenda 2 posti costruita per resistere a condizioni avverse di alta quota. Caratteristica principale è la sua struttura geodetica che dona stabilità ed una eccezionale resistenza al vento. L’ingresso con abside anteriore è completamente avvolgibile; la porta camera con zanzariera esterna è riponibile in apposito taschino. Realizzata con tessuti Fire Retardant, cuciture nastrate e un doppio tetto idrorepellente in poliestere Ripstop 50D.

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Hazel Findlay, Carlo Traversi, Sam Elias e Babsi Zangerl. È formato da un unico stelo con tecnologia RigidFlex che gli consente di rimanere rigido quando è in tensione e di flettersi nuovamente quando è in posizione, muovendosi senza far camminare le camme. Disponibile in 7 differenti misure.


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La scarpa perfetta per lo spirito esplorativo del trail runner. La Wave Mujin 6 con suola in gomma Michelin, tecnologia XtaGrip e Mizuno Wave offre una perfetta aderenza su terreni irregolari. Seguici su MIZUNO ITALIA

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3 . DA N N E R X W EST E R L I N D : JAG THE TETON

È già sul mercato la prima partnership tra Carhartt WIP e W.L. Gore. Nella collezione primavera/estate 2020 una serie di giacche riproposte con tecnologia traspirante e anti-vento Gore-Tex Infinium. Capi sfoderabili dalle linee sportive realizzati in poliestere 50 denari intrecciato. Cappucci regolabili, costruzione ergonomica delle maniche e cuciture nastrate. Il Point Pullover in questione si distingue per la chiusura half zip.

Timex e Alpha Industries condividono un passato legato alla produzione di articoli per l'esercito USA. Il risultato di questa collaborazione è un orologio di ispirazione militare con una cassa in alluminio anodizzato e un robusto cinturino in tessuto intrecciato. Il quadrante, ripreso dal classico MK1, riporta i loghi di entrambi i marchi, mentre le lancette e gli indici luminosi ad alto contrasto rimarcano l'eredità di Timex nel design funzionale.

L'originale Danner Jag ha debuttato negli anni '80 come alternativa ai classici scarponi da trekking. 30 anni dopo la sua scomparsa, è stato reintrodotto in una nuova versione che incorpora materiali più leggeri e resistenti: barriera impermeabile al 100%, intersuola ammortizzante in EVA, suola waffle che si adatta a un'ampia varietà di terreni. Il risultato estetico è invece frutto della collaborazione con il retailer Westerlind.

4 . G O R E -T E X X PA L A C E : PA C L I T E V E N T PA N T

5 .C L A R KS O R I G I N A LS X NEIGHBORHOOD: DESERT TREK

6.MILESTONE X CLEF: BUCKET H AT + M S - G 1

Nel quarto drop primaverile il marchio streetwear londinese Palace Skateboards ha presentato una selezione di capi d’abbigliamento e accessori piuttosto accattivanti, in cui spicca il set marchiato Gore-Tex. Nello specifico questo pantalone con tecnologia Paclite che offre protezione impermeabile e anti-vento di lunga durata. Vita regolabile, logo Tri-Ferg in materiale riflettente, tasche laterali con chiusura a zip.

Dopo Atmos, Sophnet, Beams e Staple, il marchio inglese Clarks Originals sigla un’altra joint venture nel paese del Sol Levante, più precisamente con Neighborhood. La prima silhoutette scelta, la Desert Trek, si presenta in versione suede grigio chiaro, dove fa contrasto il logo “dentato” di Mr Takizawa posizionato sul puntale. Patch in pelle sul tallone con l’immagine di un hiker, suola Vibram, firma delle due label sulla soletta.

Milestone, lighting company con sede a Osaka, ha lanciato un’ampia collezione di copricapi in collaborazione con Clef, specialista nel settore dal lontano 2003. Questo classico bucket hat, vero must dei teenager anni ’90, incorpora la headlamp MS-G1 da 300 lumen, modello ricaricabile via USB estremamente leggero (solo 24 g) ma altrettanto potente e compatto. La tecnologia Coolever evita che il sudore vi scivoli in fronte.

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SENSE RIDE 3 EVERY DAY. EVERY TRAIL.


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7.THE NORTH FACE X KAZUKI KURAISHI: URBAN EXPLORATION COLLECTION

8 .W H I T E M O U N TA I N E E R I N G X A D I DAS O R I G I N A LS : L XC O N

9.NEW ERA X THE NORTH FAC E : 5 9 F I F T Y C A P

The North Face prosegue la sua collaborazione con Kazuki Kuraishi anche per la primavera/ estate 2020. Una capsule collection suddivisa in due release che include una gamma di ben 14 pezzi, tra cui le prime creazioni femminili del designer giapponese. La tecnicità si intrecciata con l’estetica streetwear grazie a cinghie, tasche e inserti trasformabili che rendono gli articoli versatili. I capi outerwear includono la nuova tecnologia Futurelight.

Il brand giapponese White Mountaineering porta in casa Adidas un look tecnico e temerario senza stravolgere le carte in tavola. Basato sulle scarpe da running Lexicon degli anni '90, questo pratico modello riprende l'appeal old-school della versione originale aggiornandolo con un esclusivo sistema di chiusura a fibbia. Tomaia in tessuto Primeknit con rivestimenti in TPU e logo WM che serpeggia lungo la parte posteriore.

New Era, pronta a festeggiare i suoi 100 anni, unisce il suo knowhow a quello di The North Face per un iconico pack di cappellini in onore di una delle più grandi imprese della storia: la scalata del monte Everest. Per valorizzare la collocazione tra le due nazioni, Nepal e Tibet, New Era ha sviluppato due patch esclusive, tradizionalmente utilizzate come souvenir, con i nomi tradizionali della montagna: Sagamartha e Chomolungma.

1 0 . M A A P X S U P L E S T: E D G E + R OA D P R O S H O E

1 1 . SO I L L X O N T H E R OA M : C H A L K BAG

1 2 .W TA P S X H E L LY H A N S E N : B OW JAC K E T

Nuova collaborazione tra Maap Cycling ed il brand svizzero Suplest. Edge+ Road Pro è la scarpa da velocità che presenta caratteristiche tecnologiche all'avanguardia. La tomaia in microfibra include due chiusure Boa IP1 per garantire una calzata perfetta, mentre la suola rigida in carbonio, combinata con la soletta Solestar, consente un efficiente trasferimento di potenza. Prestazioni e comfort, con un tocco di colore che catturerà ogni occhio.

Chalk Bag in TPU con fodera interna in pile, tasca posteriore con cerniera, cintura in vita regolabile. Include una chiusura a scatto per evitare la dispersione di magnesite quando non viene utilizzata. Fa parte dell’esclusiva collezione On The Roam nata dalla collaborazione tra So iLL e l’attore Jason Momoa, il Khal Drogo della serie Il Trono di Spade. Da cui il motivo dei richiami al Niho Mano, simbolo hawaiano a forme triangolari.

La label giapponese WTAPS si riunisce allo storico brand outdoor Helly Hansen per una capsule stagionale di capi e accessori tecnici che gravita attorno alla giacca in nylon G353. Sostanzialmente invariata dalla versione originale introdotta dal marchio norvegese negli anni '90, di cui ricalca la vestibilità oversize, viene ripresentata in una audace colorazione arancione con pannelli color-blocked nelle tasche e nella abbottonatura.

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“I like to keep it varied and exciting — climbing, mountaineering, trail running — otherwise I get bored. I want to train as a mountain and ski guide, to help other people also have amazing experiences in the mountains, in safety.” FINN KOCH, ASPIRANT MOUNTAIN GUIDE, WITH THE GUIDE LITE 30+. For FINN KOCH, variety is the spice of life — particularly when he has an ultralight mountain pack on his back, like the new Guide Lite.

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˜ SY M PAT E X R E VO L U T I O N H Y B R I D L A PRIMA GIACCA FUNZIONALE UPCYCLED Sympatex ha introdotto rEvolution Hybrid, novità altamente sostenibile che rappresenta il frutto della partnership wear2wear tra le industrie europee di settore, il cui obiettivo comune è quello di un ciclo chiuso. rEvolution Hybrid è un hardshell triplo strato ad alte prestazioni realizzato con il 30% di tessuti usati riciclati e il 70% di bottiglie in PET riciclate. “L’ultimo prodotto nato dalla partnership wear2wear sta rivoluzionando il mercato tessile funzionale ed è sinonimo di abbigliamento sostenibile e responsabile” ha dichiarato Rüdiger Fox, CEO di Sympatex Technologies. “Nessuno si era spinto così lontano nel nostro settore finora”.

S.CAFE - DAI FONDI DEL CAFFÈ IL TESSUTO SOSTENIBILE Enormi quantità di fondi vengono creati dal consumo quotidiano di caffè. Questi fondi possono essere utilizzati in modi diversi, come fertilizzanti vegetali o deodoranti per ambienti. La tecnologia sostenibile S.Café, brevettata dall’azienda taiwanese Singtex e sviluppata dopo quattro anni di ricerca e duro lavoro, li trasforma in un tessuto ecologico. Un processo brevettato combina i fondi lavorati con i granuli di polimero riciclato per ottenere un filato pronto alla tessitura. Il risultato finale è un tessuto performante che offre un eccellente controllo degli odori, protezione ai raggi UV e una rapida asciugatura.

S K I N S B E LT S - # R E - U S E I T D I F F E R E N T LY Il riutilizzo di oggetti della nostra quotidianità aiuterebbe a ridurre, se non limitare, l’enorme impatto sul pianeta. Il progetto Skins Belts nasce dall'idea di Marta Lotti: riciclare pelli di foca sintetiche per creare cinture, donando una seconda vita ad un prodotto che non può più essere utilizzato per il suo scopo. A far scoccare la scintilla fu la scoperta di una scatola di vecchie pelli risalenti agli anni ’80, ognuna diversa per colore, lunghezza e materiale. Le cinture, realizzate a mano, sono pezzi unici e irriproducibili. Nel suo piccolo, un’idea che può dare un impulso positivo nella società consumistica in cui viviamo.

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M I L L I K E N & C O M PA N Y A N N U N C I A L A PA R T N E R S H I P C O N N AT I O N A L G E O G R A P H I C Milliken, global company proprietaria di Polartec, ha annunciato la partnership con National Geographic al fine di “ispirare l’innovazione per la sostenibilità e il futuro di un’economia circolare”. La collaborazione si è inaugurata a Washington DC con la sponsorizzazione del National Geographic Circular Economy Forum. Milliken, manifattura tessile che ha acquisito Polartec nel 2019, continua a impegnarsi nella tutela del pianeta in favore delle generazioni future. I suoi obiettivi di sostenibilità includono la promessa di “convocare scienziati e leader di pensiero per promuovere l’obiettivo di una soluzione legata al fine vita delle materie plastiche”.

OSPREY ANNUNCIA IL PROPRIO PIANO D I S O ST E N I B I L I TÀ La primavera 2020 segna una nuova tappa nel viaggio di Osprey per diventare il brand outdoor più innovatore, trasparente e sostenibile al mondo. Dal contributo della chimica, con l’adozione e il lancio del rivestimento C0 DRW (e l’obiettivo di eliminare completamente i PFC entro il 2022) alla scelta di materiali riciclati, introdotti per la prima volta negli zaini delle nuove serie Archeon e Arcane. Ma anche la responsabilità sociale d’impresa e il Codice di condotta secondo gli standard stabiliti dalla Ethical Trading Initiative. Osprey continuerà inoltre a sostenere progetti ambientali finanziando campagne di sensibilizzazione e operazioni sul campo.

TERNUA E IL PROGETTO DI ECONOMIA C I R C O L A R E L AT X A A R T I L E Ci sono circa 1 milione di pecore Latxa nei Paesi Baschi. Tuttavia, la loro lana rappresenta un problema: non ha alcun valore commerciale e non può essere smaltita. Con il progetto Latxa Artile, Ternua ha trasformato questi rifiuti in un’opportunità di economia circolare unica nel suo genere. L’obiettivo è dimostrare il potenziale di questo prodotto e reintrodurlo sul mercato come isolante termico. Il progetto mira a fornire valore a questi allevamenti ovini e fornire uno sbocco stabile ai 2,5 milioni di kg di lana annualmente prodotti. La prima giacca con tecnologia Artileshell arriverà nella collezione autunno-inverno 2020-2021.

SAUCONY VERSO LA PRODUZIONE DI SCARPE BIODEGRADABILI Sperimentare materiali eco-compatibili e studiare il modo di creare scarpe che si decompongano a fine vita. Con questi due precisi obiettivi Saucony sta mettendo a punto una scarpa biodegradabile 100 %

plastic-free composta da materiali naturali (cotone organico, Tencel, lana, caucciù) e risorse rinnovabili. Punto di partenza è una scarpa casual della linea Originals, il cui processo di produzione sarà snellito e a ridotto consumo energetico. Senza l'uso di colle e filati derivati dal petrolio, questa scarpa seguirà gli stessi processi di legatura utilizzati nel settore calzaturiero alla fine del XIX secolo. Ulteriori novità si attendono a fine 2020.

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Your Life,

your Spirit.


GOOD READS BY DAV I D E F I O R AS O, M AT T EO PAVA N A , LU CA A L B R I S I & G I U L I A F I C I C C H I A

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1. IL SUONO DELLA SOLITUDINE

2 . L’A R T E D I F A R E L O Z A I N O

M I C H E L E M A R Z I A N I - E D I C I C LO E D I TO R E

A N D R E A M AT T E I - E D I C I C LO E D I TO R E

La solitudine può donare libertà, ma solitudine non è per tutti. “Il suono della solitudine”, a detta dell’autore, è un saggio che viaggia nella sua memoria, dalla sua infanzia sulle spiagge di Rimini fino alla scelta di trasferirsi in un piccolo paesino in Alta Valsesia. Una storia fatta di ricerca e consapevolezza, ma anche di accettazione dei propri limiti. Dopo questa lettura, che suono avrà per voi la solitudine?

Dimmi cosa metti nello zaino e ti dirò che viandante sei. Per Andrea Mattei, autore di questo piccolo libro impossibile da non divorare, è doveroso essere curiosi su come gli altri viaggiatori riempiono i loro zaini. Come dice il titolo, è un’arte che va studiata e allora torna indietro nel tempo per raccontarci le storie degli oggetti più usati, dal sapone di Marsiglia alla spilla da

4 . I N PATAG O N I A

5 . M O U N TA I N S O F T H E M I N D

6. OCEANO

B R U C E C H AT W I N - A D E L P H I E D I Z I O N I

R O B E R T M AC FA R L A N E - E I N A U D I E D I TO R E

F RA NCESCO VI D OT TO - M I NER VA ED I ZI O NI

La Patagonia di Chatwin diventa, per chiunque si appassioni a questo libro, un luogo che mancava alla propria geografia personale e di cui avvertiva segretamente il bisogno. Zaino in spalla, sorriso sulle labbra e curiosità in testa, Chatwin affronta un viaggio indimenticabile attraverso luoghi di grande fascino e bellezza. Colori, suoni, odori arrivano con immediatezza, tangibili e coinvolgenti come le storie dei personaggi che il protagonista incontra.

C’è stato un momento nella storia in cui le montagne sono passate dall’essere rilievi geologici poco apprezzati a suscitare la meraviglia di appassionati e non. Robert Macfarlane cerca quel passaggio ripercorrendo spedizioni alpinistiche, creazioni artistiche legate al mondo delle vette, scoperte scientifiche e molto altro. Nelle sue pagine dimostra come questi giganti di roccia siano rimasti immutati e come siamo invece noi esseri umani ad

Questa è la storia di un boscaiolo che non ha mai visto il mare. Oceano Giovanni Maria Del Favero nasce su un carretto tirato da due muli nemmeno tanto volenterosi mentre la sua famiglia scende dalle montagne per cercar fortuna in America. Ritorna tra le montagne, questa volta con il treno e vive un destino tutto al contrario, puntando i piedi e le mani sulla ghiaia di questo ghiaione che si chiama vita e che, per ogni passo in avanti, lo trascina indietro di dieci.

balia, dal coltellino svizzero al taccuino.

aver cambiato il nostro approccio a loro.

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3. LA LEGGENDA DEI MONTI N AV I G A N T I PA O L O R U M I Z - F E LT R I N E L L I

8000 kilometers through the mountain chains of Italy; the Alps first, then the Apennines. From Friuli to Calabria, a story that evokes marine metaphors as we were sailing in an immense emerged archipelago. A journey to discover a silent world that enhances an Italy made of altitude, little visible and little told, between legendary re-enactments, myths of our time (Bonatti and Rigoni Stern), musicians looking for roots (Guccini or Capossela).



MOVING PICTURES BY DAV I D E F I O R AS O, M AT T EO PAVA N A , LU CA A L B R I S I & G I U L I A F I C I C C H I A

NARCIS ELIAS ELHARDT

Nel sud del Kosovo, paese sconvolto da guerre e conflitti etnici, Elias Elhardt e Alex Tank vanno alla scoperta di Brezovica, la più importante e famosa stazione sciistica dell’intera regione. Un’enclave a maggioranza serba, nel Parco Nazionale dei Monti Šar, in cui il tempo sembra essersi fermato. A guidarlo tra impianti fatiscenti e hotel abbandonati è Hamdi, un locale appassionato di snowboard che vuole portare nuova vita in questo luogo, condividendo la passione per gli sport invernali con le nuove generazioni. Ma come si può costruire un futuro se il peso del passato è ancora così grande?

C A M E L F I N D S WAT E R TREVOR GORDON

Quello di Trevor Gordon è un video di 8 minuti e mezzo che vi farà subito pensare a Wes Anderson. La storia coinvolge direttamente il suo autore che un giorno trova lo scafo abbandonato di una vecchia barca da pesca e decide di ridarle vita, grazie a tanto olio di gomito e litri di vernici pastello. Il risultato è Camel, una nuova compagna di viaggi sull’acqua, un piccolo sogno che è diventato realtà. E come è giusto che sia, Trevor non ci sta troppo a pensare e la inaugura subito, portandola con sè in British Columbia, alla ricerca di onde e del brivido del surfare in acque fredde.

THE WOLF’S LAIR M O N TA N U S

Dopo Home Wild Home, Francesco D'Alessio e Giorgio Frattale (aka Montanus) tornano a mostrarci la loro terra come meglio sanno fare, sperimentando la natura selvaggia in modo lento. The Wolf’s Lair è un itinerario di bikepacking lungo 400 km che attraversa i Parchi Naturali del Gran Sasso, Sirente, Majella e Abruzzo. Tracciato inizialmente nel 2016, è stato aggiornato a distanza di tre anni e mezzo per esplorare luoghi ancora più sorprendenti, sostituendo l’asfalto con singletrack, gravel e doubletrack roads. Un viaggio tra castelli medievali, scenari alpini e antichi borghi dell'Appennino.

THE IMAGINARY LINE K Y L O R M E LT O N

Mentre l’America vive uno dei più lunghi lockdown mai vissuti, due team, uno messicano guidato da Jamie Maruffo e uno statunitense guidato da Corbin Kunst, decidono di dare vita a qualcosa di grande impatto: il progetto è quello di installare una slackline nel canyon di Santa Elena e collegare non solo le sue sponde, ma anche i due paesi a cui esse appartengono. Il video segue perciò le avventure dei due gruppi e ovviamente l’attraversamento degli slackliner, dimostrando come un semplice sport diventi un ponte tra due nazioni, ma soprattutto come i confini siano solo immaginari.

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RIDER: Stefano La Mastra STRATOS BLK VZUMâ„¢ ML LAVA albaoptics.cc


BY GIULIA BOCCOLA

Ritrovarsi nella Natura Questo lockdown forzato, che ha visto milioni di persone rinchiuse totalmente in casa, ha rallentato le nostre opportunità lavorative, la nostra mobilità e il nostro metabolismo, facendo nascere in noi sentimenti di frustrazione, preoccupazione e disagio. E proprio in questi mesi di vita indoor insieme a momenti di privazione, dovuti ad una costrizione forzata, la natura più vicina non è mai stata così importante e fondamentale. Nonostante questo periodo difficile globale, la natura con la sua bellezza e la sua quiete, offre grande gioia e speranza. Molti studi hanno dimostrato che vivere e sperimentare attivamente gli spazi verdi accelera i tempi di guarigione, riduce lo stress, migliora la salute fisi-

ca e porta benefici cognitivi e psicologici negli individui. Un altro beneficio, particolarmente rilevante ora, a parte l’esercizio fisico, è l’esposizione alla luce solare e agli elementi naturali della foresta che sono in grado di rafforzare il nostro sistema immunitario. Purtroppo, la crisi ha già reso evidente che molti quartieri cittadini non hanno abbastanza spazio verde nelle vicinanze; basti pensare che negli Stati Uniti 100 milioni di americani non vivono a 10 minuti a piedi da un parco. Stare all’aperto è un’affermazione di vita e di salute. La natura ha un intrinseco effetto speciale su ognuno di noi, ci rende più felici, più energici, più creativi e trascorrendo più tempo all’aria aperta, aumentiamo il nostro senso di appar-

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tenenza al mondo e sperimentiamo un legame più solido con la terra. Come dice Shane O'Mara, un neuroscienziato e autore di In Praise of Walking: “Prendi il vento in faccia; lascia che la luce del giorno e i lampioni della notte danzino sui tuoi occhi; senti la pioggia sul tuo viso; senti la terra sotto i tuoi piedi; percepisci i suoni; parla, anche solo con te stesso; rilassati al ritmo del camminare e lascia che la tua mente vaghi, deliberi, contempli; viaggia nel tuo passato, scava nei tuoi possibili futuri o non pensare proprio a nulla". Trovarsi tra esseri viventi non umani è un richiamo ai cicli della natura, alla resilienza della vita, alla spinta a vivere.


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Deuter Guide Lite BY GIULIA BOCCOLA

The backpack designed for mountain guides

Deuter, in collaborazione con VDBS, l’Associazione Tedesca delle Guide Alpine, ha realizzato un film che ripercorre il viaggio di due giovani appassionati di montagna che, affrontando diverse prove, stanno cercando di realizzare il loro sogno di diventare guide alpine. Una professione, una passione che non consiste solamente nel portare i clienti in ambienti di montagna divertendosi insieme, ma anche nell’essere sempre attenti ai pericoli, nel capire i limiti fisici delle persone che si hanno davanti, nel valutare tutti i possibili rischi e la reale fattibilità. Questo film ritrae gli sforzi fisici e i momenti più emotivi dei due ragazzi mentre progrediscono fino a diventare guide alpine a pieno titolo. I due personaggi principali, Bianca e Finn, stanno cercando di imparare il più possibile e di mettersi in gioco per vedere realizzato il loro obiettivo. Entrambi hanno intrapreso un lungo programma di formazione, ma il superamento delle selezioni non è sicuramente una passeggiata.

to con il suo nuovo prodotto Guide Lite. Con un design pulito e minimalista, è ancora più leggero e veloce da indossare. Presenta tutte le funzionalità necessarie per affrontare una giornata in montagna: una pratica chiusura a cordoncino sul vano principale consente di aprirlo con una sola mano e quando il tempo cambia un parapioggia incorporato, che funge anche da porta casco, ne protegge il contenuto. Si tratta di uno zaino compatto, versatile e leggero per agevolare il lavoro della guida alpina. Presenta una capacità di 24L e una versione SL di 22L progettata appositamente per adattarsi all’anatomia femminile. Il film sarà proiettato in anteprima ai

Si tratta di una storia umana, di una storia vera, dove viene raccontata anche in parte la storia della figura della guida di montagna e dove si guarda ad un imminente futuro, agli effetti che il cambiamento climatico avrà su tutti noi e sulla montagna stessa. Per un brand come Deuter, uno dei migliori produttori di zaini per l’outdoor, era inevitabile supportare questo proget-

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festival cinematografici nell’estate 2020 e sarà completato da quattro webisode, che verranno lanciati sui social media a partire da marzo. Il primo episodio, “It’s not a man’s world” guarda alla figura femminile della guida alpina e mostra un’intervista con Gudrun Weikert, prima donna tedesca guida, e con Lisi Steurer, unica donna austriaca istruttrice delle guide. Per festeggiare il lancio di questo nuovo ed emozionante film, Deuter ha inoltre istituito un programma di borse di studio del valore di 1000€ ciascuna, che darà a tre fortunati appassionati di montagna per aiutarli nel sostenere il costo del corso di guida alpina. Per saperne di più, trovate il programma completo su: www.becoming-guide.de.



B Y S I LV I A G A L L I A N I

Picture Organic Clothing: Climate Change

Durante la crisi finanziaria del 2008, una citazione dell'amministrazione Obama ha sottolineato l'importanza di considerare la terribile situazione che si stava vivendo vedendola invece come una vera opportunità, “Non permettere che una crisi vada sprecata.” Lo stesso proposito si potrebbe applicare al delicato momento che stiamo vivendo. L'attuale pandemia mondiale lascerà spazio ad un “dopo” mai sperimentato o immaginato che porterà con sé una grande dose incertezza. È importante iniziare sin da subito ad immaginare e plasmare il prossimo futuro. Diverse fonti scientifiche hanno messo in luce la connessione tra attività umana, pressione che esercitiamo sugli ecosistemi e l'emergere del coronavirus. Contro ogni aspettativa, il suo scoppio ha creato una massiccia riduzione temporanea delle emissioni di gas serra. Non ci deve sorprendere dal momento che quasi tutte le attività commerciali si sono fermate bruscamente. Il coronavirus ci ha anche insegnato che i governi hanno la possibilità di adottare misure radicali, senza precedenti e straordinarie per risolvere il problema. Questo dovrebbe ricordarci del ruolo centrale che svolgono e lo stesso potere decisionale dovrebbe essere

applicato nel tentativo di combattere i cambiamenti climatici. Ma c'è di più. Siamo noi stessi in quanto individui che dobbiamo iniziare a pensare al pianeta come ad una singola entità da preservare. Il clima è una preoccupazione di tutti e tutti dobbiamo agire. Picture Organic Clothing è di nuovo in ripresa, il personale è appena tornato negli uffici dopo 2 mesi di lavoro da casa, la produzione è ripresa ed i negozi hanno riaperto. La mission dell’azienda - combattere i cambiamenti climatici - non cambierà. Il suo slogan, “Using business as a force for good”, si adatta perfettamente alla sua visione imprenditoriale. Tutti questi elementi sono la somma della nuova linea, Climate Change, che vuole porre l’accento su quali siano i rischi che stiamo vivendo ora e cosa dovremmo fare per prevenire uno scenario ancora peggiore. Il design è semplice ma d’impatto. Magliette e felpe con stampa di alcune specie in via di estinzione sul pianeta (dalle foreste ai pinguini o agli orsi bianchi) o di impianti di produzione come promemoria su dove sarà necessario ricominciare ad agire una volta che l'attuale crisi sarà finita. Be responsible. Ma cosa si può fare esattamente?

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Per l'IPCC sono quattro le azioni principali per ridurre drasticamente le nostre emissioni aumentando la nostra capacità di stoccare la CO2: 1 Ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili a favore di fonti di energia rinnovabili o a basse emissioni di carbonio. 2 Cambiare il nostro comportamento, il ritmo della vita quotidiana, degli affari e le nostre abitudini di consumo e di viaggio. 3 Aumentare la nostra capacità di prelevare e stoccare naturalmente la CO2 presente nell'atmosfera. 4 Sviluppare tecnologie di stoccaggio del carbonio. Mentre c'è ancora molto lavoro da fare, la buona notizia è che queste azioni fanno già parte della nostra realtà quotidiana. E Picture stessa ha una tabella di marcia dettagliata per adempiere sempre di più alla sua missione di offrire prodotti sostenibili, etici ed eco-responsabili portando avanti al tempo stesso la fondamentale lotta ai cambiamenti climatici. Un ringraziamento particolare a tutti i negozi Italiani che hanno condiviso il tema Climate Change acquistando la capsule dedicata.


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BY CAMILLA PIZZINI E X P E R I E N C E BY S CA R PA

Nessun posto è troppo lontano. C O S A S U C C E D E Q UA N D O I R AG N I I N C O N T R A N O S C A R PA .

“La collaborazione è nata quasi per caso, direi in modo naturale. I Ragni di Lecco cercavano un brand che condividesse i loro stessi valori e che potesse soddisfare tutte le esigenze dei loro soci, dalle spedizioni fino all’arrampicata. È stato amore a prima vista.” LUCA PASSINI, VICEPRESIDENTE DEL GRUPPO SCARPA

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"Ormai non serve più soltanto il braccio e la forma fisica, ma è importantissimo anche il materiale"

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a sempre l’azienda di Asolo collabora con alpinisti esperti per proporre una linea di prodotti che sia performante nella sua totalità e dalle loro esperienze nascono sviluppi e modifiche per affinare anche solo i piccoli dettagli. Lo scopo è quello di migliorare, realizzando prodotti sempre più sostenibili, che durino e sappiano offrire l’esperienza perfetta a chiunque. Sono iniziati così i nostri due giorni di questa splendida avventura, non solo ricca di scoperte nell’ambito tecnico industriale, ma anche di magnesite ed arrampicate nella zona di Cortina, dove abbiamo compreso ancora di più le qualità ed i segreti dei materiali Scarpa. Abbiamo approfittato della splendida occasione per chiedere ad alcuni dei membri dei Ragni di Lecco come fosse stata la loro esperienza nel mondo dell’outdoor, quanto conti la qualità dei materiali e quanto si sentissero veramente in armonia con il payoff di Scarpa “No Place Too Far”. All’interno dei Ragni di Lecco troviamo figure di grande esperienza nel mondo dell’arrampicata e dell’alpinismo, ma anche dei giovani che, nonostante non siano ancora guide alpine, hanno un grande passione per la montagna. Alle domande: “Potresti riassumere in breve

la tua carriera da alpinista e guida alpina?” o “Qual è la cima che ti ha dato più soddisfazione salire?” non vengono fuori nomi di grandi vie o cime, ma racconti di memorabili esperienze che alcuni di loro hanno affrontato insieme. Mentre Matteo de Zaiacomo mi narra dell’avventura che lui, Luca Schiera e Matteo della Bordella hanno avuto in India al Bhagirathi IV parete ovest, interviene Paolo Marazzi e ci racconta che probabilmente il suo più bel ricordo è una delle prime vie che aprirono alcuni di loro insieme in Qualido in Val di Mello senza spit. Per quanto riguarda la qualità dei materiali sono tutti fermamente convinti del fatto che “Poter fare affidamento su qualcosa di buono è determinante” (Matteo de Zaiacomo) oppure “Ormai non serve più soltanto il braccio e la forma fisica, ma è importantissimo anche il materiale” (Stefano Carnati). Infatti, l’alpinista Simone Pedeferri alla domanda: “Quanto è importante un buon materiale in quello che fate?” ci spiega come nell’evoluzione dell’alpinismo i nuovi materiali siano stati fondamentali non solo per salire più agilmente, ma anche soltanto per permettere di valutare e affrontare una parete in tutte le sue possibili condizioni e variabili.

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Indubbiamente ciò che accumuna tutti loro è l’insaziabile volontà di scalare, esplorare e non fermarsi: “Anche quando fai delle spedizioni, si incastra tutto e raggiungi un posto che sembrava irraggiungibile, niente è effettivamente così distante come pensavi” ci dice Simone Pedeferri. Paolo Marazzi aggiunge: “Il payoff è reale, ci sono tante persone un po’ fuori di testa che vanno a farsi km e km a piedi per scalare una singola parete, io stesso spesso cammino per giorni solo per andare a scalare proprio su quella montagna e quando ho scoperto questo aspetto di Scarpa sono stato felice perché c’era qualcuno che la pensava proprio come me”. Tra racconti, qualche commento sui materiali e un tiro e l’altro siamo arrivati a fine di questa splendida giornata. Il tutto si è rivelato essere una bellissima occasione per scoprire non solo una parte della storia dell’alpinismo italiano, ma anche tutta una serie di realtà, sviluppi e tecnologie che Scarpa sta implementando all’interno di questo mondo. Ed infine un emozionante momento per lasciarsi trasportare da quelle che sono le avventure che ancora oggi questi grandi atleti e guide alpine compiono ogni giorno con infinita passione e dedizione.


BY M A R TA M A N ZO N I E X P E R I E N C E BY S CA R PA

Nel cuore delle Dolomiti "Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Silenziosa luna? Forse s'avess'io l'ale Da volar su le nubi, E noverar le stelle ad una ad una, O come il tuono errar di giogo in giogo, Più felice sarei, candida luna."

Il vento tace. Metto le pelli e accendo la frontale. Sta per iniziare un’avventura eccezionale che non dimenticherò grazie al team di Scarpa che ha organizzato un’esperienza unica, per me e una selezionatissima crew di highlander. Inizia la salita e scopro presto che lo sci-alpinismo by night è forse ancora più affascinante di quello diurno. Sicuramente è altrettanto faticoso! Da dietro la montagna sbuca la luna, che sembra essere stata riservata apposta per noi: gigante, pienissima, come per magia illumina in un attimo il paesaggio incantato che ci circonda, un panorama surreale. Un sentiero nel bosco ci porta al Rifugio Scoiattoli, costruito nel 1969 dalla guida alpina Lorenzo Lorenzi e gestito ancora oggi dalla stessa famiglia. La mattina la sveglia suona molto presto. Guardo fuori dalla finestra: sono immersa nel cuore delle Dolomiti, che scintillano alla luce dell’alba. Dal nostro rifugio sembra di toccare le imponenti e magnifiche Cinque Torri. Tutto il mondo ci invidia lo spettacolo che ho il privilegio di ammirare mentre nasce il sole. La giornata è epica e fremo bramando di lanciarmi nel parco giochi bianco. Mi infilo gli scarponi, e capisco subito che non sono scarponi qualsiasi: li chiudo facilmente e sento che mi fasciano bene il piede. «L’F1 LT è uno degli scarponi da sci-alpinismo più leggeri e versatili che Scarpa abbia mai realizzato. Passare dalla camminata alla sciata è veloce e intuitivo» ci dice Massimo Pellizzer, Category Manager

E ST R AT TO DA L L A P O E S I A C A N T O N O T T U R N O D I U N PA S T O R E E R R A N T E D E L L’A S I A D I G I AC O M O L E O PA R D I .

di Scarpa, mentre saliamo con le pelli. «L’F1 LT è uno scarpone adatto a tutte le condizioni. Nella parte inferiore ha il Boa, in quella superiore la fascia in velcro con la leva integrata: in questo modo la personalizzazione in base alle proprie esigenze è garantita». Qui regna il silenzio. La natura è incontaminata e selvaggia. Ci sono solo le nostre tracce, che presto scompariranno, come fossero sulla sabbia. Ci accompagnano i mitici Scoiattoli di Cortina: gruppo fondato il primo luglio del 1939 da dieci giovani ampezzani che avevano in comune la passione per la montagna e per le arrampicate sportive. È impossibile non riconoscerli: il loro leggendario maglione rosso, con lo scoiattolo bianco ricamato sul braccio sinistro, è inconfondibile. Le loro imprese hanno fatto la storia dell’Alpinismo e sono famose in tutto il mondo: il loro logo, infatti, è indissolubilmente legato alla conquista del K2, avvenuta il 31 luglio 1954 da parte dello Scoiattolo Lino Lacedelli, che raggiunse per la prima volta la vetta insieme ad Achille Compagnoni. È anche grazie agli Scoiattoli se il K2 sarà ricordato per sempre come la “montagna italiana”. Centinaia sono le vie aperte dagli Scoiattoli, nei dintorni di Cortina d'Ampezzo e sulle montagne di tutto il mondo, in particolare

Qui regna il silenzio. La natura è incontaminata e selvaggia. Ci sono solo le nostre tracce, che presto scompariranno, come fossero sulla sabbia.

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in Groenlandia, sull'Atlante d'Africa e nelle cime andine o himralayane. Per la gita di oggi, gli Scoiattoli Luca Dapoz (Presidente delle Guide Alpine di Cortina), Franco Gaspari (Guida Alpina e storico), Walter Bachmann e Carlo Alverà, insieme alle Guide Alpine Alessandro Fiori e Simone Corte Pause, ci hanno preparato un itinerario splendido ed emozionante, che dal Rifugio Scoiattoli ci porta alla Croda Negra, per poi arrivare fino alla Cima Gallina, dove ci aspetta una sorpresa che sembra provenire da un altro tempo. Qui, infatti, conosciamo Franz Brunner: baionetta in spalla, fiero nella sua divisa da ufficiale austroungarico dei Kaiserschützen, lunghi baffi e ciaspole di corda ai piedi, guida storica che, tramandando ricordi provenienti da un’altra epoca, ci conduce in un viaggio nel passato, una rievocazione storica fatta di cannoni, trincee, polvere da sparo, mitragliatrici, e battaglie che sono avvenute su questi crinali. A guardarci, la cima del Lagazuoi: le creste innevate sulle quali ci troviamo furono lo sfondo della Prima Guerra Mondiale. Grazie alla preziosa testimonianza di Franz Brunner imparo l’origine dell’espressione “giramento di palle”, nata appunto durante la Grande Guerra e in seguito diffusa dai reduci in tutta Italia. La pratica di sfilare le pallottole (le “palle”) dai bossoli e reinserirle capovolte - per quanto vietata dalla convenzione di Ginevra - era comune negli eserciti italiano e austroungarico, che la utilizzavano per fare ancora più male quando erano particolarmente arrabbiati con il nemico. Si trattava di un metodo sbrigativo e “alternativo” per rendere più letale il munizionamento: i soldati, dopo aver estratto le palle, le reinserivano girate. In questo modo la pallottola, esponendo il fondello di piombo nudo, non incamiciato dal rame, si espandeva “a fungo” al momento dell’impatto, determinando così ferite estese e difficili da curare. Da un militare con le “palle girate”, quindi, era meglio stare alla larga. Franz Brunner impugna la baionetta e spara un colpo a salve. Al rumore dello sparo reagisco istintivamente chiudendo gli occhi. Mi sembra che ogni istante che sto vivendo, dalla pellata di ieri notte al chiaro di luna fino all’incredibile giornata di oggi, sia un sogno. Non posso fare altro che ringraziare per questi momenti meravigliosi.

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B Y S I LV I A G A L L I A N I

Verso la rivoluzione: la nuova Giant TCR 2021

“La nuova gamma TCR rappresenta alla perfezione l’intento del marchio di aiutare i ciclisti a scatenare al massimo il loro potenziale.La sua realizzazione è il risultato dei notevoli progressi effettuati nei nostri processi industriali, resi possibili grazie ad investimenti mirati nel campo delle tecnologie produttive. La precisione di guida e la cura dei dettagli nascono dalla collaborazione tra i nostri ingegneri, product designers, corridori professionisti ed esperti nel campo dell’aerodinamica.” AN LE, GLOBAL MARKETING DIRECTOR DI GIANT.

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Advanced SL, Advanced Pro and Advanced. Sono queste le tre versioni del nuovo telaio TCR che Giant ha da poco lanciato sul mercato. TCR è un modello storico del brand ma viene oggi rilanciato con nuove caratteristiche chiave che coincidono con un cambio di direzione del marchio stesso, a partire dalla sua stessa tagline: Ride Unleashed. Sviluppata in collaborazione con i corridori e lo staff tecnico del Team CCC, la squadra di corridori professionisti che partecipano al circuito WorldTour, la TCR 2021 simboleggia l’evoluzione di una bicicletta che da sempre si distingue nelle sue performance su strada. La nuova TCR Advanced SL rappresenta il raggiungimento di un obiettivo sulla carta quasi impossibile: rendere la TCR ancora più efficiente. Il team di sviluppo ne ha analizzato ogni aspetto e concepito nuove tecniche produttive per renderla più leggera, rigida e aerodinamica. Gli esiti dei test nella galleria del vento e

delle prove in gara hanno evidenziato come i modelli TCR 2021 abbiano una resistenza aerodinamica significativamente minore rispetto ad un più ampio spettro di angoli di incidenza del vento per consentire sprint e scatti in solitaria molto più rapidi. Il rapporto tra rigidità e peso rimane inalterato grazie all’impiego di materiali compositi all’avanguardia assieme a tecniche avanzate ed automatizzate di stratificazione del carbonio. Ne risulta una rigidità ottimale nello sterzo e nella pedalata ed un’accelerazione esplosiva unita ad un’efficienza in salita ancora migliore. Oltre alle novità introdotte sul fronte del telaio, la gamma TCR 2021 è dotata di altre nuove tecnologie, tra cui le nuove ruote Giant SLR ed è inoltre equipaggiata con le nuove selle Fleet e Approach, realizzate utilizzando la Particle Flow Technology che rende possibile distribuire meglio la pressione per un comfort ottimale. La collezione TCR 2021 è disponibile nelle versioni con i

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freni a disco o a pattino, per un totale di sei linee. Completano la gamma due telai nelle versioni SL con reggisella integrato e Advanced Pro.

Sviluppata in collaborazione con i corridori e lo staff tecnico del Team CCC, la squadra di corridori professionisti che partecipano al circuito WorldTour, la TCR 2021 simboleggia l’evoluzione di una bicicletta che da sempre si distingue nelle sue performance su strada.


BY DENIS PICCOLO

La mia prima volta con The North Face Futurelight Mettete insieme una location come Chamonix, paradiso per tutti gli appassionati di freeride, ed il lancio della nuova e innovativa tecnologia targata The North Face, ed il risultato non può che essere esplosivo. Si siamo stati invitati a provare in esclusiva e sul campo i prodotti della linea Futurelight. Futurelight è il nuovo materiale waterproof e traspirante del brand americano, che grazie ad un processo di nanospinning consente all’aria di passare attraverso il tessuto per una traspirazione impareggiabile, garantendo al tempo stesso grande porosità ed assoluta impermeabilità. Inoltre, a seconda delle specifiche esigenze di atleti e consumatori, si possono modificare ed adattare diversi parametri nella fase di sviluppo dei tessuti quali peso, traspirabilità, elasticità e struttura del capo a seconda del diverso tipo di attività e di condizioni ambientali. Una possibilità che non ha precedenti nel settore e che è stata sviluppata e testata nel corso di due anni grazie anche al prezioso contributo dei più noti alpinisti, scalatori, trail runner e snowboarder del team TNF in tutto il mondo, in ogni tipo di attività e in diversi climi e condizioni meteo, anche i più estremi. Insieme a noi ed al team TNF, a Chamonix era anche presente Xavier de Le Rue, indossati giacca e pantaloni ci siamo diretti verso la nostra prima destinazione, il comprensorio di Les Grands Montets, un luogo soleggiato circondato da colossi innevati. È bastato quel primo giorno per dimostrare a tutti le qualità di Futurelight.

Una delle caratteristiche subito messe in evidenza è stata l’estrema traspiranza dei prodotti, nemmeno dopo le discese più impegnative abbiamo sofferto il caldo eccessivo grazie sicuramente alla struttura in nanofibra che consente il passaggio dell’aria senza però rinunciare a impermeabilità e resistenza. Il secondo giorno ci ha visto invece alle prese con l’alta guglia dell’Aiguille du Midi che, dall’alto dei suoi 3.777m, offre una vista impareggiabile a 360° su tutte le Alpi francesi, svizzere e italiane. Anche in questa occasione i capi della Summit Series sono stati i nostri fedeli alleati grazie alla loro leggerezza e flessibilità. Ci hanno consentito di scalare e raggiungere la vetta senza restrizioni, permettendoci di concentrarci solo sull’impresa che stavamo affrontando. Possiamo infatti dire che uno dei pregi di questi nuovi capi TNF è adattarsi realmente alle esigenze di chi li indossa, senza dover scendere a compromessi tra comfort, traspirabilità e protezione impermeabile. Questa intensa due giorni si è conclusa fra risate e bevendo qualche birra insieme una volta scesi a valle, e certamente non potevamo lasciarci sfuggire l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con Xavier de la Rue per capire cosa ne pensa di questa tecnologia.

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"Futurelight è diverso, la cosa che personalmente mi ha stupito di più è stata la traspirabilità. Spesso in montagna hai bisogno di spogliarti, grazie a questa tecnologia invece non devi farlo così di frequente." Ciao Xavier, ci dici qualcosa riguardo al tuo presente e futuro prossimo? Quest’anno è nata la mia seconda figlia, Margot, c’era bisogno di una una stanza in più e mi sono ritrovato a cercare di finire di sistemare casa prima di Natale, quindi non sono uscito molto. A Verbier, dove vivo, c’è stata tanta neve ma purtroppo non sono riuscito a godermela. La mia stagione è iniziata per davvero poco tempo fa. Sono molto felice, esco tutti i giorni e vado a raidare linee davvero fantastiche, quindi posso dire che, anche se ho iniziato tardi, mi sono divertito molto. Il tuo approccio verso gli sport estremi è cambiato da quando sei padre? Non penso di essere cambiato totalmente da prima. È solo la mia prospettiva ad essere un po’ diversa: penso un po’ di più a tutto ciò che faccio, il che è una buona cosa in montagna! Sono un papà, se qualcosa di brutto dovesse accadermi la prima persona a venirmi in mente sarebbe mia figlia, la prospettiva di lasciarla sola è veramente difficile digerire. Inoltre credo che avere un figlio ti renda molto più occupato nella vita, trascorro meno tempo su una tavola o in montagna. Hai usato sin dall'inizio Futurelight ed altri prodotti The North Face, qual è la tua opinione? Ogni anno arrivano sul mercato nuove tecnologie, sempre presentate come rivoluzionarie. Succede così spesso che dopo un po’ quasi nessuno ci fa più caso. Ma Futurelight è diverso, la cosa che personalmente mi ha stupito di più è stata la traspirabilità. Spesso in montagna hai bisogno di spogliarti, grazie a questa tecnologia invece non devi farlo così di frequente. Sopratutto in estate mi sono reso conto che con solo una maglietta e uno shell stavo bene, non avevo bisogno di togliere niente. Per me è stato molto importante quanto TNF sia stata attenta alla tematica ambientale. Spesso queste tecnologie sono molto dannose per l'ambiente

invece il fatto di avere un prodotto del genere, completamente biodegradabile e fatto di materiali riciclati, è un grande passo avanti, soprattutto per gente come me che utilizza molta attrezzatura nel corso di una stagione. Il problema del riscaldamento globale è enorme e sta interessando tutti noi, pensi che ci saranno sempre meno possibilità di praticare freeriding? La tematica ambientale mi sta a cuore da molto tempo ma mi sono spesso sentito a disagio a parlarne. Negli ultimi anni, invece, ci sono stati dei gran cambiamenti soprattutto riguardo la mentalità delle persone. Ho partecipato ad un seminario sull’ambiente a Verbier. Le teorie esposte sono state davvero stimolanti, mi hanno fatto capire che nessuno potrà mai essere perfetto nei confronti della sostenibilità ma quello che possiamo fare è cercare di migliorare nelle piccole cose. Anche solo modificare alcune piccole abitudini potrebbe fare la differenza. Mi ha dato speranza, mi ha fatto cambiare il mio modo di pensare: cercare di migliorare anche solo alcuni aspetti della nostra vita quotidiana può già essere un grande passo avanti. Sto mettendo insieme un bel progetto con The North Face a proposito, un film che verrà filmato e uscirà nel settembre 2021, sarà un progetto davvero forte. Xavier nel futuro? Spero di avere le palle per prendere il mio telefono e lanciarlo da qualche parte! Sicuramente andrò in montagna, a fare surf, in bici o in parapendio da qualche parte. Sarò felice anche se non avrò più sponsor. Questa è una delle possibilità, oppure riterrò che ciò che faccio può essere ancora utile per ispirare i giovani ad amare e andare nella natura, questa potrebbe essere un'altra alternativa. Quindi vedremo, qualunque cosa farò sarà comunque legata alla natura perché è la più cosa importante nella vita.

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BY SABINA COMI

Vaude: the spirit of mountain sports

Sono passati quarantasei anni da quando l’acronimo di un nome è diventato uno dei brand più significativi del panorama outdoor. Era il 1974 e Albrecht von Dewitz fondò, a Tettnang nel Baden-Württemberg, a pochi chilometri del Lago di Costanza, l’azienda Vaude. Una storia che si lega a quella famigliare del suo fondatore, ma che trova la sua chiave di volta dieci anni fa quando a prendere in mano le redini è la figlia Antje von Dewitz che fin da subito decide di mettere al centro la responsabilità sociale e ambientale.

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Una conduzione che forse la stessa Antje non si aspettava di trovarsi tra le mani: il suo sogno era quello di lavorare per una ONG, influenzata anche dalla figura di una madre da sempre impegnata nell’attivismo ambientale e con la consapevolezza di volere un mondo migliore per i suoi quattro figli. Ma a volte il destino sa intrecciare così bene i suoi fili da far sembrare che esista davvero un senso tra tutte le cose. Così, l’attività business del padre diventa per lei un’occasione per trasmettere questi valori, per farsi pioniera di un cambiamento di mentalità che da lì a poco avrebbe coinvolto tutto il mondo outdoor e non solo. Come una visione futuristica di un mondo dove è possibile fare il proprio lavoro in armonia con la natura e con le altre persone. La prima cosa che fa Antje è quello di creare un parchetto per i bambini all’interno dell’azienda, una delle aree a oggi più apprezzate e condivise dai dipendenti come a voler subito sottolineare la centralità della persona, anche nel lavoro. “Vivere esperienze outdoor,

godendo della natura e della montagna: queste sono le cose di cui siamo sempre stati appassionati. Il nostro obiettivo è quello di sostenere un mondo in cui valga la pena vivere. Ci impegniamo ogni giorno per questo perché siamo convinti che una gestione coerente e sostenibile sia l'unico approccio ragionevole per il nostro futuro”. Il claim che accompagnava la produzione di Vaude allora non può descrivere meglio la mission che nell’ultima decade il brand sta promuovendo e la direzione verso cui sta andando. Dal 2001 infatti lavora con la rigorosa certificazione bluesign che controlla l'intera catena di produzione tessile e ne riconosce l’impegno etico e responsabile. Inoltre Vaude è stata la prima azienda outdoor a ricevere la certificazione Eco-Management and Audit Scheme (EMAS), ovvero lo strumento volontario creato dalla Comunità europea per valutare e migliorare le proprie prestazioni ambientali e fornire al pubblico e ad altri soggetti interessati informazioni sulla propria gestione ambientale. Come se non bastasse, la stessa Antje

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“Vivere esperienze outdoor, godendo della natura e della montagna: queste sono le cose di cui siamo sempre stati appassionati. Il nostro obiettivo è quello di sostenere un mondo in cui valga la pena vivere. Ci impegniamo ogni giorno per questo perché siamo convinti che una gestione coerente e sostenibile sia l'unico approccio ragionevole per il nostro futuro”.


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si è fatta promotrice di un programma che guarda al futuro con cui si promette di continuare a migliorare le prestazioni ambientali con l’obiettivo di trasformare gradualmente l'intera gamma di prodotti in modo che sia fabbricata secondo i più alti standard di compatibilità ambientale. Rendere il posto un mondo migliore dunque, è alla base della filosofia di Vaude che non ha mai smesso di credere nell’outdoor e nella mobilità sostenibile come mezzi per fare in modo che ciò sia possibile. Un impegno non solo dal punto di vista ambientale, ma anche sociale con un costante aggiornamento circa le condizioni di lavoro dei propri dipendenti e fornitori sia in Germania che negli impianti di produzione in tutto il mondo con cui l'azienda intrattiene rapporti commerciali cooperativi e responsabili. L'organizzazione indipendente Fair Wear Foundation rivede regolarmente tutte le strutture di produzione e garantisce che le condizioni di lavoro siano

monitorate e costantemente migliorate. Lavoro flessibile, home office, gestione della salute sul lavoro, lezioni di arrampicata e yoga, noleggio di attrezzi e molto altro sono alcune delle iniziative promosse dal brand per garantire valore sia alla vita lavorativa così come a quella privata dei propri dipendenti senza che la prima prevarichi la seconda. Ma ovviamente prima di tutto Vaude è un’azienda che produce attrezzature e abbigliamento tecnico per la montagna, l'escursionismo e il ciclismo sportivo e come tale sviluppa prodotti tecnici e all’avanguardia fornendosi di materiali di alta qualità, senza dimenticare l’origine e il fine, che in questo caso coincidono: le montagne e l’amore per esse. Avere un heritage che parte da qui vuol dire saper riconoscere nell’outdoor il proprio DNA e nei paesaggi naturali lo scenario della propria esistenza da salvaguardare. Ma vuol dire anche basarsi su standard elevati e chiaramente definiti e specializzati per i propri prodotti.

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Una volta precisato il punto di partenza è importante studiare il percorso. E qui Vaude sottolinea l’importanza dell’interazione con la natura e con le persone mettendo al centro lo "spirito di squadra”, come una cordata negli sport di montagna. Infine la direzione: andare avanti mettendo in discussione le convenzioni e i limiti di ciò che è possibile, a volte, ma con l’obiettivo di creare prodotti e soluzioni orientati al futuro. Una realtà dunque nelle cui vene pulsa sangue verde e nei cui pensieri c’è il disegno di un mondo migliore.

Andare avanti mettendo in discussione le convenzioni e i limiti di ciò che è possibile, a volte, ma con l’obiettivo di creare prodotti e soluzioni orientati al futuro.


ITW GIULIA BOCCOLA P H O T O S I LV I A G A L L I A N I

Alba Optics Doesn’t make you faster Giovani, simpatici e super dinamici. Abbiamo conosciuto Luca Gentile e Piergiorgio Catalano, i fondatori del marchio Alba Optics, una realtà italiana, che in un paio di anni è riuscita a farsi conoscere in tutto il mondo. Fieri del loro prodotto totalmente Made in Italy, puntano sulla qualità e l’attenzione per ogni piccolo dettaglio. Appassionati di ciclismo, di sport all’aria aperta e di natura, credono in un prodotto che parli sì di performance ma anche di qualità della vita. Creatività e voglia di fare sono alla base di questo loro progetto.

Chi sono i fondatori di Alba Optics? Siamo amici da sempre, un'unione nata 20 anni fa tra le mura di un negozio di surf milanese. Al tempo si pensava solo a vendere e ad aspettare il weekend per salire in montagna a sciare. Dopo gli studi ognuno di noi ha preso strade diverse, Piergiorgio come producer e Luca come designer, ma siamo sempre rimasti migliori compagni di merende.

e testato i vari prototipi fino alla versione finale, è nato il nostro primo modello: il Delta. Col tempo Alba Optics si è evoluta in un vero e proprio brand di occhiali con una collezione più articolata e completa.

Quando nasce l’idea di questo progetto? Circa 4 anni fa. Luca esponeva un suo progetto ad una fiera della zona dedicata alle due ruote e insieme notammo una bancarella che vendeva un vecchio stock di occhiali da ciclismo anni 80. Erano affascinanti esteticamente ma scarsi nei materiali. Così decidemmo di unire le nostre skills in un progetto legato ad un prodotto. Abbiamo lavorato di notte, nei weekend, sacrificato ore libere per un paio d'anni per poi dedicarci full time. Il 2019 è stato il nostro vero anno zero.

A cosa vi ispirate quando progettate un occhiale? Ascoltiamo i bisogni di ogni atleta con cui parliamo, di ogni genere ed età. Li elaboriamo e pensiamo ad un prodotto che possa soddisfarli. La nostra collezione segue un preciso ventaglio di offerte e tipologie. Abbiamo pochi modelli ma specifici per l'uso a cui sono pensati. Ci piace prendere ispirazione dal mondo dell'arte e del design, dalle tendenze del passato, adoriamo rovistare tra le memorabilie della storia italiana di sport e ciclismo. Spesso seguiamo i nostri istinti e ci piace mischiare le carte sul tavolo pur mantenendo una certa identità d'immagine. Siamo come un ristorante stellato, pochi piatti, un solo chef.

Qual è la vostra identità aziendale? Inizialmente fu quella di ispirarci ad un modello del passato e riproporlo in chiave moderna. Così dopo qualche ricerca, trovammo un produttore locale che riesumò uno stampo originale degli anni 80 oramai dimenticato. Dopo aver disegnato la lente

I vostri valori? La passione e la ricerca, la cura per ogni dettaglio e l'attenzione alla qualità dei prodotti e di come vengono realizzati. Nulla è lasciato al caso, ogni pezzo viene pensato, progettato e realizzato esattamente come vogliamo che sia. Abbiamo rimandato diverse uscite solo perchè

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Ci piace prendere ispirazione dal mondo dell'arte e del design, dalle tendenze del passato, adoriamo rovistare tra le memorabilie della storia italiana di sport e ciclismo. Spesso seguiamo i nostri istinti e ci piace mischiare le carte sul tavolo pur mantenendo una certa identità d'immagine. Siamo come un ristorante stellato, pochi piatti, un solo chef.

il risultato finale non ci convinceva. Non vogliamo avere rimpianti o pensare che si poteva fare di meglio. Togliamo tutto il superfluo per far funzionare al meglio quello che resta e ogni parte del prodotto o scelta stilistica deve avere una sua motivazione. Il nostro motto si riassume in una frase di Ludwig Mies van der Rohe punto di riferimento di molti architetti e designer: Less is more. A chi è dedicato Alba Optics. Allo sportivo che non vuole per forza arrivare primo, ma raggiungere qualsiasi obiettivo si voglia, in qualsiasi condizione. La frase nata per gioco “Alba Optics dosen’t make you faster” riassume un po’ tutta la nostra filosofia di approccio. Il modello che più ci rappresenta è sicuramente il Delta, la nostra Stratocaster. E’ il primo, il più trasversale e iconico della collezione. Che cosa vuol dire per voi la parola Outdoor? Vent'anni fa la divisione era tra freestyle e freeride, l'outdoor di oggi è per noi la fusione di questi due termini. Cosa ha significato per voi questo periodo di lockdown forzato? All'inizio è stato uno shock. Vivere nella zona più colpita d'Europa e trovarsi da un giorno all'altro con una chiusura forzata e un nemico invisibile da combattere non è stato per niente facile. La stagione estiva non era ancora iniziata e per una piccola azienda come la nostra, ci sono stati diversi momenti di ansia e sconforto. Ma dopo un primo momento di disagio, ci siamo rimboccati le maniche e premuto ancora di più sull'acceleratore. Abbiamo creato dei giri virtuali con i nostri migliori atleti coinvolgendo varie comunità. Lanciato dei nuovi prodotti che erano già a calendario, senza paura, confermando le produzioni. Ci siamo concentrati solo sull'essenziale, sui bisogni necessari. Questo è ciò che serve per sopravvivere. Tutto il superfluo e il dannoso va eliminato, ci fa solo perdere tempo.

Quali strategie state attuando per affrontare questo difficile momento? Abbiamo potenziato la vendita e la piattaforma online ma anche cercato di far uscire nuovi modelli in linea con le tempistiche dei nostri retailers, anticipandogli talvolta i colori e i modelli. Vogliamo che i nostri rivenditori si sentano tutelati dalla nostra azienda e considerati come parte fondamentale del nostro progetto. Per questo motivo non troverete mai i nostri prodotti in grosse catene di vendita online. Nuovi progetti per il futuro per quanto riguarda tecnologie e sostenibilità? Sostenibilità non sempre va a braccetto con una buona user experience. Mi spiego. Il nostro occhiale potrebbe essere venduto dentro ad una sacchetta di cotone organico e spedito così com'è. Impatto al minimo ma a discapito di un'esperienza insoddisfacente da parte dell'utente, che per l'aspettativa che ha sui nostri prodotti, resterebbe probabilmente molto amareggiato. Cerchiamo di mantenere un certo equilibrio, offrendo il meglio in termini di design e ricerca ma stando attenti a ridurre al minimo gli scarti, l'uso della plastica e altri materiali inquinanti non necessari. Produciamo tutto in Italia e di questo ne andiamo fieri. Preferiamo mantenere una certa artigianalità e controllo del prodotto, piuttosto che un' industrializzazione asiatica che ne comprometterebbe indubbiamente la qualità. Ci potete svelare una curiosità su un nuovo prodotto? Il ghiaccio e la polvere saranno due elementi su cui lavoreremo per i prossimi mesi. Il vostro viaggio in bicicletta che proprio non scorderete mai? L'anno scorso siamo riusciti a concederci due giorni per fare Milano/Chiavari. Breve ma intenso, un ottimo ricordo. Viaggiare in bicicletta, portarsi dietro l'essenziale e liberare la mente per qualche giorno dalle preoccupazioni quotidiane è una pratica molto gratificante.

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Un cammino verso il nulla

BY LU CA F O N TA N A

E N V I R O N M E N TA L AWA R E N E S S T H R O U G H S K I M O U N TA I N E E R I N G

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l cambiamento climatico è una realtà causata dall’attività umana. La mia vita è stata stravolta da questa verità. Il mio essere fotografo ed esploratore è cambiato: da traveller mi sono radicato sul territorio, ma è un’inezia paragonata agli interessi mossi dall’economia e dalla politica. Giovanni Montagnani, amico di infanzia con cui condivido interessi ed ideali, durante un’uscita mi dice: “Lucone, dobbiamo fare la differenza. Sappiamo andare in montagna, facciamolo al meglio.” Apprendiamo del World Economic Forum,

in cui ogni anno i potenti si trovano a Davos, in Svizzera, a decidere i nostri destini. Gio esplode: “Parleranno di sostenibilità ma venendo a Davos in jet privato. È una presa per i fondelli, facciamo qualcosa, andiamo a Davos ma con gli sci!”. Partenza da Chiesa di Val Malenco passando per l’Engadina e la Valle di Preda. 100km e 6000m di dislivello positivo da percorrere in 3 giorni. Rispettiamo la nostra filosofia: arriveremo a Chiesa coi mezzi pubblici, ci portiamo il nostro cibo, dormiremo nei bivacchi. Alla Stazione Centrale di Milano siamo ov-

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Il cambiamento climatico è una realtà causata dall’attività umana. La mia vita è stata stravolta da questa verità.


viamente gli unici con sci alla mano, destinazione Sondrio. A Chiesa incontriamo Don Roberto, che ci mette a disposizione la casa del signore di Chiareggio. Sveglia alle 6, ci aspettano 40km con 10kg di zaino. La neve è ghiacciata. Star dietro agli altri è difficile. Devo fare foto e video. Scendiamo in Engadina, i miei compagni attraverso i laghi, io mi affido al trasporto pubblico, mi ricongiungo con loro a Silvaplana. Ore 16. Mancano ancora 1500m di dislivello e fa un discreto freddo. Gio ci contagia col suo ottimismo, abbiamo le frontali, ripartiamo. Le successive 8 ore sono durissime: la Forcla Suvretta non arriva mai. Poi una discesa al buio su terreno ignoto. Un’ultima salita ed eccoci alla Capanna Jenash dove accendiamo la stufa del locale invernale. Niente colazione: vogliamo raggiungere Davos entro serata. Saliamo verso il Piz Laviner. A 3100m il vento ha spazzato la poca neve caduta. Fa caldo, sicuramente sopra lo 0. Scendiamo per valli spettacolari fatte di rocce ancora chiare. A Bergund ci ritroviamo a risalire un pendio a sud senza neve. In cima, al tramonto, il panorama è bellissimo. Giovanni si butta in un bosco, scovando l’unica linea di discesa possibile. Il sole cala definitivamente. Il papà di Gio ci aspetta a Davos con la pastasciutta. Avanti!

Risaliamo una valle nettuniana fino al Colle Duncan. Da qui è discesa. È un momento magico. Esausti, felici, siamo in una piccola frazione poco sopra Davos. Un local, infastidito dal nostro vociare alle 10 di sera, ci grida “State zitti, stupidi!”. Non proprio il benvenuto che ci aspettavamo. Proviamo a dormire qualche ora e al mattino mi infilo in un alimentari a mangiare pane e formaggio. È stata un’esperienza totalizzante, resa ancora più interessante dai limiti che ci siamo imposti, dall’autosufficienza, dall’aver vissuto completamente la montagna. Una domanda emerge dentro di noi: per raggiungere Davos, abbiamo fatto al meglio ciò che sappiamo fare meglio, muoverci in montagna. Ma le persone che di mestiere amministrano i nostri destini, stanno agendo al meglio per il futuro dell’umanità?

“Parleranno di sostenibilità ma venendo a Davos in jet privato. È una presa per i fondelli, facciamo qualcosa, andiamo a Davos ma con gli sci!”

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BY M A R TA M A N ZO N I

5 buone ragioni per vedere "non voglio cambiare pianeta” di Lorenzo Jovanotti. Ho visto le sedici puntate di Non voglio cambiare Pianeta tutte d’un fiato: sono straordinarie. Lorenzo Jovanotti racconta in un docu-trip, disponibile su RaiPlay, del suo viaggio in bicicletta, in solitaria, tra Cile e Argentina attraverso 4.000 km. Non voglio cambiare pianeta è un inno alla vita, una fonte d’ispirazione continua, piena di fantasia, paesaggi spettacolari, espressioni artistiche, incontri multiculturali ed esperienze spirituali. È un mix fusion di 5 elementi: viaggio, outdoor & sostenibilità, cultura, musica e felicità. Un progetto importante proprio perché raggiunge un pubblico mainstream, superando il target di appassionati.

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Il Viaggio

"Dopo ogni cosa importante che mi succede nella vita mi viene voglia di fare un viaggio perché ho bisogno di stare da solo e farmi risuonare dentro quello che mi è successo” racconta il musicista. Un viaggio che il cantante inizia a immaginare durante il Jova Beach Party dell’estate 2019: “Sono partito per prendere le distanze da tutti, riflettere e per prepararmi al futuro. Sono tornato che dovevo stare distante dagli altri per legge e impreparato a questo presente” continua. “Ho voluto condividere questa esperienza durante il lockdown perché c’è la fatica del giorno per giorno, ci sono le vette apparentemente irraggiungibili, le strade senza fine ma

che si possono affrontare, una pedalata alla volta, per arrivare ovunque”. Il “filmino”, come lo chiama lui, prende il titolo da un verso dalla poesia Il pigro di Pablo Neruda, che introduce la prospettiva di Lorenzo Cherubini: “non voglio cambiare pianeta, perché ci sto bene. È spettacolare, mi piace, lui non va cambiato. Sta a noi cambiare, per poterlo vivere”. Tante le riflessioni sull’interpretazione del concetto di viaggio: “bisogna distinguere il turismo dal viaggio. Non mi interessano i viaggi organizzati, mi piace quando non so cosa troverò. Non mi informo mai tanto e pianifico solo lo stretto indispensabile".

Outdoor, sostenibilità e cicloturismo

Il cantautore è attento a sensibilizzare l’opinione pubblica per un minore impatto ambientale, anche attraverso il suo impegno personale, come accaduto con la partnership con il WWF. L’artista esprime il suo pensiero sulla sostenibilità, aldilà di ogni credo religioso. “Forse morire è proprio così: essere completamente fuso e parte degli elementi” ipotizza. Istintivo di natura, si definisce un animale perché con gli altri esseri viventi sente sempre di

avere uno scambio. “Di solito i momenti che ti ricordi dei viaggi sono quelli conquistati con fatica”, la bicicletta è la compagna perfetta per sudarsi ogni traguardo, soddisfare la voglia di scoprire e la ricerca della bellezza. In sella si coglie il potere positivo di questo mezzo: tanti sono i cicloturisti solitari incontrati dal cantautore, provenienti da ogni angolo del globo, alcuni pedalano da mesi, altri da anni.

Cultura

Non voglio cambiare pianeta è la celebrazione del sapere e dell’intelletto: Jovanotti ha una cultura pazzesca ed è un maestro nel trasmetterla. Tanti gli omaggi ad artisti e sportivi, del presente e del passato, tra questi: Pantani, Evita, Che Guevara, Primo Levi, Mariangela Gualtieri, Erri De Luca, Pablo Neruda, Jorge Carrera Andrade, Antonio Machado e Julio

Cortázar, scrittore de Il gioco del mondo (Rayuela). E poi Tiziano Terzani: lui, che tra compagna, moglie e coniuge, preferiva la parola con-sorte, perché si riferisce alla persona con la quale condividiamo la nostra sorte. “La poesia è la mia grande amica di questi giorni di lockdown, per questo ogni micro episodio – ognuno dura circa 15 minuti – si chiude con una poesia”.

Musica

Cultura significa anche musica: Jovanotti ha curato la colonna sonora di Non voglio cambiare pianeta al ritorno, chitarra alla mano, componendo testi inediti e arrangiando grandi classici, reinterpretati con un tocco di Sudamerica. “Una musica che commenta delle immagini ti libera dalla struttura precisa di una canzone, ti consente di fare errori e lascia spazio all'energia del mo-

mento. È molto divertente!”. Tra le tante testimonianze artistiche, Jovanotti ci accompagna nella visita della casa di Carlos Gardel, musicista argentino, famoso per il tango. “La musica e la bicicletta sono così simili: più ci sei dentro e più ti vedi da fuori, più ti concentri e più la testa prende direzioni inattese”.

La Felicità

“Non smetteremo mai di cercare la felicità attraverso la musica, e, soprattutto, attraverso l’amore. La felicità è una condizione di movimento, è la percezione che si può fiorire. È un’emozione breve, che dura un attimo. Non è una cosa statica: è quella sensazione in cui ti senti in divenire verso qualcosa di migliore, è una promessa che si realizza in un momento dentro di te, nella forma di una forte meraviglia”. Il docu-trip musical-avventuroso è

un manifesto alla gioia di vivere. Eccezionali le digressioni rocambolesche e folcloristiche dell’artista, all’apice dell’immaginazione. Un ottimismo contagioso, energia folle e geniale, l’incarnazione pura del suo “Io penso positivo”. Non voglio cambiare Pianeta si conclude con una citazione di Luis Sepùlveda, tratta dal libro Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare: “Vola solo chi osa farlo”.

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TEXT & PHOTOS DENIS PICCOLO R U N N E R S L U C A B E LT R A M E & M I C H E L A TA L L O N E POWERED BY NIKE

Valvaraita: My favorite trails. Il suo simbolo è il maestoso Monviso che, per gli amanti dell’outdoor, costituisce una fonte inesauribile di emozioni e adrenalina. Non mancano i rifugi e i bivacchi, essenziali per chi pratica l’alpinismo e l’escursionismo di alta quota. I numerosi laghi montani, le borgate, le piste da sci e il Bosco dell’Alevè condiscono la vallata di ricche possibilità di scelta per amare la natura e scoprire quanta bellezza esista non appena si muove il primo passo su di un sentiero. È in questi luoghi meravigliosi che due runner, dopo settimane di lockdown causa Covid, scelgono di ritrovare la libertà mentale allentando lo stress quotidiano del lavoro da casa, correndo in percorsi diversi e con caratteristiche differenti. Due runner e due modelli Nike, Air Zoom Pegasus 36 Trail Gore-Tex per Michela che non può rinunciare a una scarpa reattiva e Wildhorse 6 per Luca che vuole sentirsi sicuro e saldo al terreno ad ogni appoggio. Per entrambi invece l’app Nike Run Club che permette di monitorare le proprie corse, fornendo informazioni utili come andatura, posizione, distanza, dislivello, frequenza cardiaca, registrare i propri progressi e che è fonte di consigli utili e personalizzati. Un prezioso alleato per permettere agli atleti di rimanere attivi, in salute e motivati. “Vengo qui da quando sono bambina, ho percorso tutti questi sentieri camminando, correndo, pedalando con la MTB, con le ciaspole e con ogni condizione atmosferica. Questo è il mio posto nel mondo.” Michela Tallone è laureanda in Scienze della Formazione Primaria e attualmente lavora come

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istruttrice di nuoto. Ama tutto ciò che è movimento, sudore, fatica, adrenalina. Ci racconta della sua montagna preferita, il Monte San Bernardo, e di quei sentieri sui quali i piedi corrono veloci come se fosse ciò per cui sono stati creati. Esso si erge sullo spartiacque che divide la Valle Varaita e la Valle Maira ed è quindi accessibile da diversi punti. La vetta infatti unisce i tre comuni di Valmala, Busca e Villa San Costanzo che convergono in un’unica grande croce metallica eretta nel 1994. La veduta a 360 gradi che si gode dalla cima spazia dalle Langhe a Torino, dalle Alpi Liguri al Monte Bianco, fino ad arrivare al Monte Rosa e al Cervino. “Ho sempre corso in montagna. Amo vedere il sentiero stringersi sotto di me, buttare un occhio verso il dirupo, sentire l’aria profumata di pioggia e di resina di pino. Mi concentro, lascio libera la mente, per un istante mi sbilancio e istintivamente riprendo l’equilibrio. Continuo a correre.” I pensieri degli sportivi molto spesso sono poesia, il contatto con la natura riporta ad uno stadio primordiale di sensazione e fisicità che quotidianamente vengono repressi in favore delle priorità lavorative o dello studio. L’appuntamento fisso con il mondo


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dell’outdoor consente di non dimenticare quel benessere interiore che può illuminare e arricchire la vita in tutti i suoi aspetti. Come lei Luca Beltrame, geometra libero professionista e titolare di due società che operano nel settore immobiliare, ci racconta delle sue passioni off road. “Pratico trail running e MTB sulle colline vicino a casa. Ho sempre frequentato la valle Varaita fin da piccolo ed è la meta preferita per le mie escursioni correndo a piedi o in bici.” C’è un sentiero in particolare che ama percorrere dopo le lunghe giornate lavorative o nei weekend: il Colle del Prete. Si raggiunge con un’agevole stradina sterrata dall’abitato di Becetto. Superando parti fresche e boschive alternate con tratti più aperti si apre un ampio panorama sulla valle. Si possono vedere Becetto, Rore, Campolongo e le piste di Sampeyre. È da qui che la prima domenica d’estate si ripropone ogni anno la corsa regina del Valle Varaita Trail in tutta la sua bellezza. 36 km e un dislivello positivo di 2000m, pieni di co-

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lori ed emozioni nella stagione più bella dell’anno, su di un percorso che a partire dal vertical fino alla chiesetta di S. Michele si sviluppa in cresta, al confine con la Valle Po. Il Monviso è l’indiscusso protagonista del viaggio, si erge con il suo splendore nel palcoscenico naturale costituito dalle Alpi del nord-ovest e dalla Valle Varaita. Si svolge infatti interamente nel Vallone di Gilba, comune di Brossasco. Le vite dei due runner si intrecciano prima nella piscina di Piasco e poi in un gruppo affiatato, quello della Podistica Valle Varaita. Raccontano di aver trovato i consigli professionali che cercavano per migliorare le proprie prestazioni e acquisire la tecnica necessaria per affrontare al meglio le competizioni. Ma questo non è tutto. Nello sguardo attento dell’allenatore, nell’incoraggiamento del gruppo di allenamento, nella pacca sulla spalla dopo lo stretching che significa “ben fatto”, negli occhi lucidi dopo quella gara tanto attesa, tanto sofferta, tanto amata, loro hanno trovato l’amicizia. Lo sport è semplicità, è condivisione, è vincere già solo per essersi alzati dalla panchina e aver mosso il primo passo. Loro ci credono.


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NIKE A I R ZO O M P EG A S U S 3 6 T R A I L G O R E -T E X La calzatura perfetta per le giornate umide e i terreni accidentati. La tomaia in Gore-Tex infatti assicura piedi sempre asciutti. Le unità Zoom Air su tallone e avampiede assicurano una sensazione di elasticità per un ritorno di energia ideale e la giusta ammortizzazione a ogni passo, mentre il battistrada aggressivo con alette assicura la massima stabilità su qualsiasi percorso.

N I K E WILDHORSE 6 Scarpa da trail running che garantisce stabilità, sicurezza e leggerezza sullo sterrato. Il mesh sull'avampiede dona traspirabilità ed in combinazione con i materiali sulla punta previene le abrasioni. La suola interamente in gomma presenta materiali resistenti alle abrasioni ed assicura la trazione necessaria, mentre l'intersuola in schiuma Nike React garantisce la massima ammortizzazione durante la corsa ed un’un'andatura morbida e fluida e una spinta in più ad ogni passo.

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Non cercare certezze, ma avventure. BY PAT R I C K D E LO R E N Z I

Il cuore che accelera, il suono dei piedi che toccano il pavimento, il respiro si fa più profondo e la mente gradualmente abbandona ogni pensiero e si focalizza solo ed esclusivamente sul presente. Degli attimi di pura essenza, di connessione totale fra la nostra mente e il corpo, questo è il dono che ci offre il running nelle nostre vite stracolme di pensieri, obblighi, lavori, aspettative, stress. Da qualche anno a questa parte, la mia ambizione è stata quella di semplificare la mia vita, avvicinandola alle emozioni che provo mentre corro.

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vevo una vita molto fortunata, piena, ricca di divertimenti, lavori, faccende da sbrigare, conversazioni, cene. Ogni giorno mi svegliavo e mi confrontavo con un sacco di scelte: che scarpe mettere, dove andare a pranzo, che strada fare in bici, lavoro lavoro lavoro, decidere che cover per il cellulare comprare su amazon, ancora lavoro, spesso fino a tardi. Sempre in compagnia, ero il “gasato”, quello che diceva sempre sì e in ogni situazione trovava soluzioni per divertire tutti e compiacere. E non mi arrendevo mai. Ogni occasione di lavoro la prendevo, mai dire di no; gli orari diventano sempre più lunghi, dovevo fatturare, fare di più, chi si ferma è perduto! Correvo per sfogare lo stress, infilando le corse in minuti contati fra un pranzo e altro lavoro.

bello: non ci sono cure, solo palliativi. Tutto ciò che avevo costruito in 28 anni andava rivisto e modificato. In questo momento di profonda crisi “immotivata”, dove tutto mi era “stato tolto”, ho iniziato a questionare tutte le scelte che avessi mai fatto. Ma ancora di più delle scelte, mi chiedevo il perché di tantissime cose e fondamentalmente se tutto ciò che noi prendiamo per buono, che pensiamo ci arricchisca e migliori la vita fosse vero nel mio caso. Se tutto quello che pensavo essere un valore aggiunto non stesse in realtà togliendo valore dall’essenza della mia vita. “Breakthrough - Time to take action” Ho cambiato radicalmente la mia dieta, rimuovendo tutto ciò che fosse processato o di origine animale e ho iniziato ad avere miglioramenti incredibili, che sulla carta per i dottori non potevano esistere. Avevo bisogno di qualche forma di movimento, i dolori erano ancora troppi per correre e per andare in bici. Ho imparato a nuotare. Uno sport che odiavo, da sempre per me noioso e faticoso ma in un mese è diventato il mio miglior alleato ed ho iniziato ad amarlo e non poterne più fare a meno. Passavano le settimane, e piano piano ho ripreso a spostarmi in città in bici. E ancora mi ricordo, dopo qualche settimana, il momento in cui ho provato a correre il primo chilometro: un’emozione incredibile. Ho provato una profondissima gratitudine per quel chilometro, per come mi ha fatto sentire e per gli effetti che ha avuto sulla mia vita. La speranza era tornata.

La mia fidanzata ha iniziato a dirmi di lavorare di meno, stavo spesso in ufficio più di 12 ore, e io cosa ho fatto? Ho comprato un portatile per poter lavorare da casa! Ogni giorno un’avventura, sempre diversa, high stress, high risk, sempre di più, più cose, più eventi, più conversazioni. Ho passato anni così. “In every crisis lies a breakthrough” Poi tutto è cambiato. Da un giorno all’altro mi sono ritrovato in preda a dolori pazzeschi in tutto il corpo, non riuscivo neppure più a camminare né a lavorare, figuriamoci andare in bici o correre! 12 mesi sdraiato, in solitaria, confinato in casa, mi è stata diagnosticata una sindrome neurologica chiamata fibromialgia. E la cura? Qua viene il

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Sono riuscito a sconfiggere e mettere in remissione questa sindrome interamente con le mie forze, cambiando alimentazione, muovendomi tutti i giorni ed eliminando totalmente gli stress esterni che agivano sulla mia vita. Fare queste cose semplici, con costanza, ha risolto una sindrome che secondo la comunità medica non ha nessuna cura. Nella crisi mi ero guardato negli occhi e mi ero confrontato esattamente con il me della mia vita precedente. Avevo avuto un attimo di respiro dalla frenesia, e avevo assaporato una vita senza stress esterni.

Libertà perché quando siamo liberi, possiamo focalizzarci davvero su ciò che ci fa stare bene, senza scendere a compromessi. Autenticità perché è qua che si cela ciò che è più prezioso per la nostra vita, per il nostro miglioramento personale. Se noi siamo autentici, possiamo dare inizio a una vita autentica. Molto spesso ciò che ci accade nella vita non ci appartiene per davvero, è frutto di una concatenazione di cause che non dipendono al 100% da noi. Ho iniziato a provare un profondo senso di gratitudine verso le persone che mi erano state vicine durante questa crisi. La mia fidanzata, che ogni giorno mi vedeva in preda a dolori indescrivibili e ingestibili, ma che non si è mai arresa. Ho reso la mia priorità trascorrere molto più tempo con lei. Attraversare questa cosa insieme ci ha reso incredibilmente più forti e intimi. Corsa dopo corsa, una cosa mi appariva sempre più chiara: lei è la donna della mia vita, dovevo chiederle di sposarmi. Ma prima di chiederglielo, volevo darle un segnale chiaro che non saremmo mai tornati al punto di partenza, che il passato cupo era definitivamente sparito. Per questo motivo, senza dirle niente, mi sono iscritto ad un Ironman 70.3, con l’idea di chiederle la mano al traguardo. Un segnale chiaro che non solo ero guarito, ma ero diventato molto più di quanto lei avessi mai potuto immaginare.

Nella fase di guarigione, continuavo a ripetermi che non volevo tornare alla mia vita precedente. Se avessi potuto progettare la mia vita, fino all'ultimo dettaglio, come sarebbe stata? Quali sono i miei sogni? Nel mio mondo ideale, come sarebbe il mio risveglio la mattina? Con chi interagirei durante il giorno? Quali sarebbero i miei obiettivi? La risposta per me, dopo questa crisi, era chiara: salute, libertà e autenticità. La salute è balzata subito al primo posto in assoluto. Senza la nostra salute non abbiamo nulla. Ho iniziato a vivere in funzione di questo, mettendo sempre al primo posto i cibi che sceglievo di mangiare, mantenendo attivo e vitale il corpo con sport e allenamento. La salute non si può comprare. E ci rendiamo conto di quanto sia importante, solo quando non ce l’abbiamo più.

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Provavo lo stesso senso di gratitudine verso cose incredibilmente semplici che prima passavano inosservate, sepolte dalla frenesia della vita. I raggi caldi del sole, il silenzio che possiedono le strade presto la mattina. Solo il fatto di poter camminare senza dolori per me era sufficiente a provocarmi una gratitudine che non avevo mai provato prima. Ho dato priorità ai gesti di self love che mi apportavano beneficio. Ho iniziato a praticare con costanza gli allenamenti, a dedicare tempo a me stesso, in particolare alla corsa visto il nuovo obiettivo in vista. Ho deciso di dedicare sempre più tempo ed energie nel coltivare questa connessione fra mente, corpo e intenzioni che trovavo nella corsa. Nel running mi liberavo ad ogni falcata, con ogni battito accelerato del cuore, di un passato che non mi apparteneva più. Con ogni chilometro lasciavo indietro ciò che non era essenziale per il futuro, rivelando nuovi lati e particolarità della mia persona, spesso che non avevo mai conosciuto in 28 anni. Con ogni passo scoprivo nuovo potenziale, sepolto negli anni nel conformismo e nelle narrative sociali. Nuove ambizioni, nuove risposte. E in mezzo a tutto ciò, si faceva sempre più forte una voce dentro di me che mi continuava a ripetere: “se lo vuoi davvero, puoi fare quello che vuoi”. “The more things you own, the more they own you” Semplice, non processato, autentico. Come il cibo, lo stile di vita. E tutte le sue componenti. me cambiamento, di cosa la corsa e l’esplorazione possano creare, e nel contempo ringraziarla per tutto ciò che aveva fatto per me nel momento in cui avevo più bisogno. Posso felicemente dire che ora è mia moglie.

Ho iniziato a viaggiare solo con uno zaino, con dentro tutti gli essenziali e niente di più. Ogni viaggio riducevo il suo contenuto, fino a rendermi conto che anche a casa vivevo utilizzando le stesse 5/10 cose. Non avevo bisogno di nulla di più di quanto fosse contenuto in quello zaino. Ho iniziato a ragionare in termini di ore lavorative: non applicavo più un prezzo alle cose da comprare, bensì un costo in ore di vita: “quanto devo lavorare per permettermi questo? Ne vale la pena? È essenziale per la mia vita?” Non esistevano più mezze misure: la risposta era semplicemente o sì o no. Ho fatto una lista con le cose cardinali che mi servivano in varie aree della mia vita e ho realizzato una cosa. Mi serviva più tempo, non soldi.

Più si diventa grandi, più sono le responsabilità, ma perché? In tutto questo percorso, mi sono chiesto davvero cosa mi servisse per rendere ricca la mia vita. La mia risposta è stata che l’unica cosa che serve davvero è mantenere il benessere fisico e mentale come lifestyle quotidiano. Il nostro corpo e la nostra mente formano insieme una macchina formidabile, da riconoscere e non dare per scontato neanche per un secondo. Questo è un dono che ci viene dato, per cui provo una incredibile gratitudine. È nostro dovere onorarla e mantenerla, permettendole di raggiungere il suo massimo potenziale possibile.

Ho venduto il 90% di ciò che possedevo, sono passato da avere più di 30 paia di scarpe ad averne 3, e idem per tutto il resto. Dedicavo il tempo necessario al lavoro, cercando di scegliere progetti interessanti e motivanti, ma non lasciavo che il lavoro prendesse il sopravvento. Ero spinto da un desiderio di autonomia.

La salute è balzata subito al primo posto in assoluto. Senza la nostra salute non abbiamo nulla. [..] La salute non si può comprare. E ci rendiamo conto di quanto sia importante, solo quando non ce l’abbiamo più.

Queste foto sono importanti perché rappresentano gli allenamenti fatti fino a 30 giorni prima del debutto Ironman. Ho condiviso la preparazione intensa con la mia fidanzata, esplorando insieme Bali e Lombok, dedicandomi a questo enorme obiettivo in segreto, senza che lei lo sapesse. Ci siamo persi nelle risaie, abbiamo condiviso momenti in posti incredibili. Volevo renderla partecipe di questo enor-

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Caucasus

Erbe selvatiche, cani randagi e montagne incontaminate. TEXT BY KIERAN CREEVY P H OTO S BY L I SA PA A RV I O

Lisa Paarvio e Kieran Creevy sono rispettivamente una fotografa professionista e uno chef e istruttore di montagna. Lavorando come un team creativo,hanno viaggiato attraverso ambienti montani in tre continenti; a piedi, su racchette da neve e sci. L'amore per i luoghi selvaggi, l'esplorazione e la narrazione sono gli elementiche li uniscono. I loro viaggi in montagna e nella natura selvaggia combinano storia e cultura, sport d'azione, avventura e cibo locale. 67


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n cima al Caucaso nella regione del Kazbegi, Lisa e io abbiamo gli zaini carichi di cibo, attrezzatura fotografica e da montagna, pronti per una ciaspolata di più giorni e un'avventura selvaggia in tenda. Qualche giorno prima, abbiamo incontrato per caso Vasil, il nostro autista. Uno di quegli incontri inaspettati che amplia le tue conoscenze e altera la tua visione del mondo. Grazie a lui abbiamo avuto un'anteprima dettagliata di decenni di informazioni locali conquistate duramente. Nozioni importanti come quale negozio di alimentari scegliere per fare scorta dei migliori sottaceti, verdure fresche, yogurt greco e specialità georgiane locali come prugne secche e noci. Uno di questi ci rimane impresso; dall'esterno, la facciata sgangherata e sbiadita rimanda l’immagine di un negozio ben lontano dal suo periodo di massimo splendore. Tuttavia, l'interno poco illuminato rivela una miriade di meraviglie; frutta dalla buccia aspra, formaggi piccanti, un mix di erbe selvatiche, barbabietole delicate e cipolle di un’accesa tonalità verde/bianca. Quella sera stessa ha inizio il rituale della sistemazione dei materiali. Abbastanza abbigliamento per tenerci caldi e asciutti, con pezzi di ricambio per quei momenti “metti caso che". I sacchi a pelo invernali vengono srotolati in casa per essere poi riposti in sacche stagne. Lisa si arrovella su quali obiettivi mettere in valigia e se avremo la possibilità di vedere la Via Lattea. In questo viaggio non mangeremo pasti liofilizzati, solo cene, pranzi e colazioni di ispirazione georgiana. La mattina arriva troppo presto. Mettiamo brevemente in discussione le nostre rispettive scelte lavorative, ma l'attrazione magnetica di nuove montagne è tutto l'incentivo di cui abbiamo bisogno per uscire. Dopo un breve percorso selvaggio su una tortuosa strada di montagna siamo soli! Fasci dorati spezzano l'orizzonte e ci fermiamo per il tè del mattino accompagnandolo con del pane fresco. Scendiamo più a valle sulle colline, seguendo sentieri logori battuti dalle sole capre selvatiche. Le nostre racchette da

neve e le piccozze sono ancora impacchettate. Siamo quasi a quota 3.000 metri e il termometro segna -20 gradi ma la neve è scarsa e irregolare, con degli accumuli su alcuni pendii settentrionali. Incontriamo i primi segni di vita in questo angolo selvaggio della Georgia. Un santuario in rovina con le sue pietre consumate e lisce da secoli di abbandono. A fine giornata, ci imbattiamo nel posto perfetto per il nostro primo stop. Nel bel mezzo della preparazione del campo base il mio stomaco si fa sentire, è ora di preparare la cena. La nostra avventura invernale su queste montagne trascorre fin troppo velocemente. I giorni passano in un caleidoscopio di meraviglie sensoriali; l'odore della neve al vento, la luce della luna che fa brillare frammenti di ghiaccio come se il terreno fosse ricoperto di diamanti, una fitta foresta che nasconde una fortezza di pietra, una zuppa speziata calda e la gioia di viaggiare attraverso la natura selvaggia con un compagno di avventure fidato. Alla fine, torniamo in prossimità del punto di partenza, il fianco della collina mostra piccoli segni di traffico mentre il sentiero si allarga leggermente. Tuttavia, non vogliamo rompere l'incantesimo di queste terre selvagge e tornare immediatamente alla civiltà. Il nostro ultimo pranzo in montagna viene

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improvvisamente interrotto da un cane selvatico. Non sappiamo se se sia stato attratto profumo del nostro pasto o se sia in cerca di compagnia. Si avvicina al campo, rilassato ed a proprio agio. Si sdraia, sembra contento ma con l'aria di uno che spera in un po’ di cibo. Dopo pranzo, come se non volesse lasciarci fuggire dal suo incantesimo, il Caucaso ci lancia un'ultima sfida. Il sentiero su cui stavamo camminando scompare senza preavviso. Molto più avanti possiamo vedere la strada proseguire e, ad un chilometro di distanza, la nostra meta. Tra di noi c'è un largo fiume. Guadarlo ci richiederà alcune ore. Decidiamo di esplorare la riva, sperando in trampolini di lancio o in uno stretto tratto su cui poter saltare. Niente di tutto ciò. Appena ci rassegniamo a tornare indietro, Lisa individua un possibile guado. Valutiamo la velocità del flusso e la profondità dell’acqua, siamo fortunati. É sicuro. Ci facciamo strada e quasi immediatamente gli orli dei nostri pantaloni si congelano dal freddo. L'ultimo chilometro scorre veloce sotto i nostri stivali fradici. Anche se stanchi e infreddoliti l'incantesimo permane in noi a lungo. Portiamo nel cuore questo magnifico paesaggio e la sua gente. Grazie Georgia.


LO B I O C O N M C H A D I ( ST U FATO D I FAG I O L I R O SS I , P E P E , C I P O L L A E D E R B E C O N PA N E D I FA R I N A D I M A I S) INGREDIENTS: SERVES 2 LOBIO

400 gr circa di fagioli rossi secchi, immersi in acqua durante la notte 1 cipolla bianca affettata finemente 1 peperone verde tagliato a dadini 25 gr circa di prezzemolo tritato grossolanamente 1 cubetto di brodo vegetale sbriciolato 1 cucchiaino di pepe bianco 1/2 cucchiaino di polvere di finocchio essiccato 1/2 cucchiaino di cumino nero in polvere 1/2 cucchiaino di coriandolo in polvere Acqua Sale - a piacere 1 cucchiaio di burro o burro chiarificato. MCHADI:

Farina di mais macinata finemente 2 uova 2 cucchiaini di sale marino 1 cucchiaino di peperoncino tritato 100 gr circa di formaggio bianco a pasta dura tagliato a cubetti 2 cucchiai di olio di colza o olio d'oliva. Acqua Farina di mais extra per spolverare LOBIO METHOD:

Mescolare la farina di mais, le spezie, il sale, le uova e l'olio. Quindi aggiungere il formaggio e un po’ d'acqua alla volta. Impastare fino ad ottenere un impasto liscio. Posizionare la padella sul fornello con fuoco medio/alto. Rompere una massa di pasta di dimensioni di una pallina da golf, arrotolarla tra le mani fino a renderla liscia e piatta. Spolverare con un po’ di farina di mais e metterla in padella. Nella padella c'è spazio per 2-4 pani, a seconda delle dimensioni. Cuocere per alcuni minuti su entrambi i lati fino a cottura ultimata quando il formaggio inizierà a sciogliersi. MCHADI METHOD:

Accendere la stufa. Scaldare il burro a fuoco lento e, quando sfrigola delicatamente, aggiungere la cipolla, il pepe e le spezie. Cuocere per 2-3 minuti. Aggiungere il mix di fagioli, mescolare bene e coprire completamente con l’acqua. Aumentare il calore al massimo, mettere il coperchio e portare ad ebollizione. Cuocere per 20 minuti a fuoco medio o fino a quando i fagioli saranno morbidi, aggiungendo più acqua se necessario. Servire lo stufato di fagioli in un contenitore con del pane.

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Non esiste un pianeta B BY FILIPPO TOMMASINI

Sono poche le persone che non si emozionano in mezzo alla natura, sono tante quelle che si scandalizzano quando vedono la natura morire e purtroppo sono ancora poche quelle che decidono di fare qualcosa di concreto per aiutare l’ambiente.

sente di lasciare fuori tutte le tensioni ed i problemi della vita. Quando si parla di danni dell’uomo all’ambiente “banalmente” si pensa all’isola di plastica in mezzo all’oceano, alle discariche a cielo aperto, agli incendi dolosi.

L’inquinamento è un problema che deve essere affrontato a livello globale, e sono i governi di tutti gli stati che in primis devono intervenire per poter cambiare questa situazione.

Ci sono anche danni spesso più profondi, legati a cose meno eclatanti, quasi invisibili, che però causano la rottura dell’equilibrio dell’ecosistema e che a loro volta innescano effetti dannosi e irreversibili.

Penso, tuttavia, che ognuno di noi possa comunque dare il proprio contributo al pianeta.

Recentemente ho deciso di scavare più in profondità sulle varie questioni legate alla sostenibilità ambientale, all’inquinamento e al surriscaldamento globale. Mi sono così soffermato sul rapporto tra l’uomo e la natura, quindi sulle conseguenze dei danni causati dall’uomo ad essa.

Penso a semplici riflessioni che ognuno di noi dovrebbe fare di fronte alla distruzione della natura da parte di noi stessi umani. Bisogna “convertire” chi non si è ancora reso conto del problema, bisogna sensibilizzare, bisogna informare e divulgare il problema nel modo migliore. Io, personalmente, oltre ad avere un approccio green alla vita, cercando di portare rispetto verso la natura anche nei piccoli gesti quotidiani, pratico una di quelle che ho definito “azioni fisiche”, ovvero mi ritrovo spesso con gli amici per raccogliere i rifiuti gettati nei boschi dei nostri Appennini.

Ero alla ricerca di un caso da raccontare che potesse far capire qual è la forza di Madre Natura: tanto bella, tanto forte e tanto in grado di ribellarsi se non viene rispettata. Volevo trovare un esempio di “dimensione Uomo/Natura”, un qualcosa che potesse dimostrare quanto in realtà appariamo piccoli e impotenti di fronte alla forza della natura.

Ho un legame profondo con la natura, fin da bambino trovo in essa qualcosa di magico, qualcosa che mi coinvolge e che mi provoca sensazioni, emozioni positive, è un qualcosa che mi purifica e che per un attimo mi fa calare in un’altra dimensione e che mi con-

Le epidemie di abeti in diverse parti d’Europa, soprattutto in Italia, hanno catturato la mia attenzione. Ho indagato sulla morte di questi alberi ed ho scoperto un ennesimo danno causato alla natura, indirettamente, da noi umani.

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Quello che ho scoperto è che a causa del mutamento dell’ecosistema dovuto al surriscaldamento globale, un piccolo insetto è diventato in grado di distruggere un’intera foresta. L’aumento dell’inquinamento, il conseguente surriscaldamento globale e la maggior frequenza di cambiamenti climatici hanno provocato importanti danni all’ecosistema.

ni, e la sua presenza è permanente e tale sarà anche in futuro fintanto che l’abete rosso farà parte sia dei nostri boschi montani che quelli dell’Europa settentrionale. Al momento della colonizzazione degli alberi, i maschi penetrano nella corteccia scavando delle gallerie che impediscono alla linfa di salire verso i rami della pianta, causandone così la morte. L'andamento di queste gallerie può seguire disegni molto elaborati, che vengono messi alla luce quando la corteccia disseccata si stacca dal tronco: da ciò deriva il nome insetto tipografo.

Uno di questi è appunto la riproduzione spropositata dell’insetto chiamato bostrico tipografo o bostrico dell'abete rosso, in grado di attaccare l’abete rosso indebolito dai frequenti cambiamenti climatici. Il piccolo insetto in realtà non è il diretto colpevole del fenomeno, è la conseguenza di danni causati da attività umane.

Il maschio del bostrico accoglie le femmine all'interno di una piccola cavità scavata nel tronco dell'abete dopo averle richiamate con un particolare feromone (l'odore riproduttivo dell'animale). Le caratteristiche delle gallerie sono due o tre ramificazioni principali secondo il numero di femmine inserite nella camera nuziale del maschio.

Quelle macchie grigie nei boschi di abete rosso si possono vedere anche da lontano. Sono formate da centinaia di abeti rossi morti, drammaticamente visibili tra gli altri alberi, ancora verdi e in salute, che rivestono i pendii di Appennini e Alpi. Molti degli escursionisti che passano da queste parti credono che il danno sia causato da un incendio, ma in realtà quegli abeti scheletrici sono vittima di un piccolo insetto poco visibile.

Giornali, siti, interviste: tutto oggi parla di ambiente e di ecosostenibilità. Ci stiamo dimenticando di noi stessi e di ciò che ci circonda, trascurando anche le più piccole attenzioni nei confronti della natura. Amo la natura in tutte le sue forme, in particolar modo la montagna e il modo in cui mi fa sentire. La natura in montagna ti tira per la manica, ti chiede di guardarla, di studiarla, di essere presente.

In un ecosistema naturale, caratterizzato da una certa complessità strutturale e fisiologica, la presenza di quest’insetto può considerarsi un fattore di equilibrio e biodiversità. Questo insetto dell’ordine dei coleotteri non si è mai allontanato dai boschi e delle foreste di abete, essendo un ospite stanziale da diversi millen-

E noi dobbiamo essere presenti, perché non c’è davvero nessun pianeta B.

Le epidemie di abeti in diverse parti d’Europa, soprattutto in Italia, hanno catturato la mia attenzione. Ho indagato sulla morte di questi alberi ed ho scoperto un ennesimo danno causato alla natura, indirettamente, da noi umani. Quello che ho scoperto è che a causa del mutamento dell’ecosistema dovuto al surriscaldamento globale, un piccolo insetto è diventato in grado di distruggere un’intera foresta.

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L'evoluzione di Anna Stöhr. Mai arrendersi. Una mentalità come stile di vita. INTERVIEW BY MARTA MANZONI POWERED BY SALEWA

Anna Stöhr nasce il 25 aprile del 1988 a Innsbruck, in Austria. Inizia ad arrampicare da bambina insieme a sua sorella e ai genitori, entrambi alpinisti. A otto anni le cose si fanno più serie e inizia a partecipare alle competizioni. Da allora ha compiuto numerose prime ascensioni femminili nel bouldering in ogni parte del pianeta. Nel 2007 ha vinto la medaglia d'oro nel boulder al Campionato del Mondo e nel 2008 la Coppa del Mondo sempre nella stessa categoria. Nel 2011 si è aggiudicata i due titoli principali in palio nel boulder, vincendo la medaglia d'oro sia al Campionato del Mondo che durante la Coppa del Mondo. Nella stagione 2012 ha vinto la sua terza Coppa del Mondo, e nel 2013 arriva anche la quarta. Nel 2017 smette di gareggiare nel circuito di Coppa del Mondo. Ora vuole innalzare i propri limiti sulla roccia vera, esplorando l’arrampicata in ogni sua forma.

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Sei stata una campionessa internazionale di bouldering, poi sei passata all'arrampicata con corda su singoli tiri e infine all'arrampicata multi-pitch. Sembri la personificazione del concetto di evoluzione. Come interpreti questo concetto? Credo che evoluzione significhi non essere rigidi, essere curiosi, aperti mentalmente a nuove possibilità e disponibili ad andare avanti. Come si è sviluppato il tuo "viaggio" come atleta tra questi estremi? Cosa ti ha spinta verso queste scelte? Sono cambiate le tue motivazioni? Ho fatto parte della nazionale austriaca per quattordici anni, e questo in qualche modo mi ha definita come persona. È stato molto difficile decidere di fare un passo indietro quando ho capito che non sarei più stata in grado di competere nel bouldering al livello che avevo avuto fino a quel momento. È stata una scelta dura, ma credo che l’arrampicata sia uno sport unico anche perché offre infinite possibilità: bouldering, vie di più tiri, arrampicata su ghiaccio, indoor, outdoor. Mi è bastato allargare la visuale, cambiare prospettiva, per scoprire questa nuova dimensione del mio sport. Sei passata da una disciplina sportiva nella quale le gare sono importanti a un'attività in montagna nella quale non esistono competizioni. Quali sfide hai dovuto vincere? Quali sono le differenze tra le capacità tecniche che servono per il bouldering e per l'arrampicata su roccia? È cambiato il tuo modo di allenarti? Intanto ho dovuto allenare la resistenza, che per le vie di più tiri è fondamentale, visto che puoi rimanere in parete anche dieci ore. C’è un solo modo per migliorare sulla roccia: scalare, scalare e scalare! Nel bouldering, invece, devi essere esplosivo per pochi secondi, e quindi conta di più la forza. Ormai vado pochissimo in palestra. Poi ho dovuto superare la paura: sono passata da scalare con pochi metri sotto di me a enormi pareti alte decine e decine di metri. Qual è la strategia che hai adottato durante il tuo percorso? Andare avanti e non arrendersi mai. Se davvero vuoi qualcosa vallo a prendere!

Prima il tuo focus erano le competizioni sulla plastica mentre ora sei entrata in una nuova prospettiva, più vicina alla natura e al suo ritmo, quale dimensione senti più vicina? Ho sempre scalato outdoor e la natura è sempre stata una fonte di motivazione per me, proprio perché le competizioni erano indoor ho sempre avvertito il desiderio di arrampicare sulla vera roccia. Prima, a volte, dovevo allenarmi in palestra anche durante giornate di sole splendido, ora per fortuna non accade più! Adesso ho la possibilità di apprezzare di più la capacità dell’attività all’aria aperta di mettermi di buon umore. L'arrampicata su vie di più tiri è molto più vicina all’alpinismo, ti affascina l'alta quota? L'alpinismo esplorativo? Non vedo me stessa come un’alpinista, inoltre sono consapevole di non avere le competenze. Di certo non salirò mai su un ottomila! Le vie che scelgo sono tutte protette molto bene, per me è importante sentirmi al sicuro. Hai mai pensato di fare free solo? No! Assolutamente. Per me il rischio è troppo alto e non ho questo desiderio. Cosa pensi di chi lo pratica? Ognuno fa quello che crede, posso solo parlare per me stessa. Hai scalato tanto sulle Alpi e in giro per il mondo, quali sono le differenze? Tu dove preferisci scalare? Forse la cosa più bella di essere un’atleta è avere la possibilità di viaggiare per il mondo e conoscere persone in ogni parte del globo. Ero felice di incontrare culture diverse. Ora però sono altrettanto contenta di arrampicare sulle montagne di casa: mi sono resa conto che non mi sono mai presa del tempo per apprezzare i luoghi qui vicino, dove ci sono tante vie meravigliose. Sei la protagonista della campagna primavera estate di Salewa. Sì, è un vero onore per me far parte del team! Mi sento vicina ai valori del brand, penso per esempio all’impegno per la tutela dell’ambiente ma anche alla scelta intrapresa durante la pandemia, quando sono state importate mascherine e sono stati realizzati camici per il personale sanitario. Inoltre l’headquarter dell’a-

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zienda, a Bolzano, è vicino a Innsbruck e quindi è facile avere relazioni personali con il resto del team. Le Olimpiadi di Tokyo 2020 sono state rimandate al 2021. Dovremo attendere ancora un anno per vedere il debutto dell'arrampicata come disciplina olimpica. Qual è la tua opinione? Rimandare era l’unica scelta possibile. Il lato negativo del debutto dell’arrampicata credo sia la decisione di unire, in un’unica medaglia d’oro, discipline differenti tra loro, come bouldering, lead e speed, per le quali sono necessarie capacità fisiche e tecniche diverse, e giustamente gli atleti non sono entusiasti di questa scelta. Per ora è stato un compromesso, la speranza è che in futuro ci possano essere tre o quattro diverse medaglie d’oro per ogni diversa disciplina. Credo che il debutto sia positivo per lo sport, perché avrà più visibilità e quindi più persone potranno appassionarsene. Bisognerebbe però accompagnare la risonanza mediatica con l’educazione, spiegando che l’arrampicata indoor e outdoor sono differenti, e che la natura ha delle regole che dobbiamo rispettare. Qual è stata la via più difficile che hai scalato? Alibaba, 8b+, una delle vie più difficili della Francia. Ho visto alcune fotografie tanto tempo prima e me ne sono innamorata subito. La roccia è di una qualità stupenda! Qual è il tuo prossimo progetto? Vorrei vivere di più il qui e ora e continuare a esplorare l’arrampicata in tutte le sue forme. Poi mi piacerebbe scalare in Marocco, in un posto magico, “Taghia Gorge”.

"Quando ero giovane spesso ero l’unica donna in palestra, mentre ora siamo il 50%. È vero al momento sulle vie di più tiri le donne sono di meno, ma credo che questa situazione cambierà"


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The Running Pastor BY SABINA COMI POWERED BY MERREL

Pastore di una comunità religiosa e runner appassionato. Non si tratta di due persone distinte e agli antipodi, ma di due aspetti che convivono nello stesso corpo. The Running Pastor ci racconta la corsa in modo insolito, uno strumento per dirimere i propri conflitti personali, ma anche per alleggerirsi di quelli degli altri. Essere pastore nelle isole delle pecore sembra quasi un destino già scritto. Eppure, esistono diversi tipi di guide che dedicano la loro vita a cercare la direzione per condurre al meglio il proprio gregge e, in questo percorso, trovano anche loro stessi, insieme alla propria forza. Il protagonista di The Running Pastor, uno dei dieci nuovi film presentati dal Banff Centre Mountain Film Festival World Tour, è Sverri Steinholm, pastore luterano di una piccola comunità situata nelle remote isole Faroe. Fær in lingua norrena significa "pecore", mentre Øer sarebbe una forma plurale di ø, "isola" e lui è la guida spirituale di coloro che vivono nel villaggio di una delle diciotto isole che formano l’arcipelago situato in un tratto di oceano compreso tra l’Islanda e la Norvegia. Luoghi selvaggi, aspri e bellissimi, dove il numero degli ovini supera quello degli abitanti e dove la natura entra da protagonista nella vite semplici, scandendole. Sverri ricorda la sua infanzia da figlio di pe-

coraio, quando si trovava a correre sui declivi per riprendere gli agnelli appena nati e ricostituire il branco. Deve essere nata lì la sua vocazione, anzi le sue vocazioni. Perché questo pastore evangelico è anche un runner appassionato che non può fare a meno della corsa, essa rappresenta per lui l’insieme di quei momenti che si ritaglia per potersi alleggerire dei problemi degli altri, di cui spesso si fa carico e riguardo ai quali è costretto a mantenere il segreto. Perché “la gente ha bisogno di parlare con qualcuno che sappia tacere”, dice nel film. E allora lui prende le sue scarpe da running e comincia a correre, meglio se quel giorno il clima è un po’ avverso, meglio se le condizioni sono rigide, perché è in quei momenti che sente la forza stagliarsi addosso e riesce meglio a focalizzarsi su quello che in fondo ha sempre saputo. “Siamo piccoli esseri che si muovono su una terra che può fare di noi quello che vuole” e le immagini che si alternano dell’isola vo-

“La gente ha bisogno di parlare con qualcuno che sappia tacere”

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“Siamo piccoli esseri che si muovono su una terra che può fare di noi quello che vuole”

gliono proprio ricordarci questo, portandoci su e giù per le aspre pendici esposte delle Isole Faroe. Correndo Sverri Steinholm trova conforto e rifugio spirituale dai conflitti personali e dagli oneri del sacerdozio, ma trova al contempo la pace che solo la natura riesce a trasmettere.

porta addosso esattamente come veste gli abiti da funzione e le sue Merrell da corsa, le due vesti di una medesima persona. La stessa che ascolta e immagazzina quando è di fronte alla sua gente, lascia andare in sfogo, risa, pianto quando è di fronte alla natura. Quaranta chilometri andata e ritorno, in un isola nel mezzo del profondo nord.

E allora corre e affronta salite; la sua corsa è compulsiva, non riesce a farne a meno, come un nutrimento per corpo, anima e mente, dice. Diventa una sorta di gara e ogni volta che lo fa è assalito dai dubbi: “Perché sono così stupido da fare questo?”. E come tutti i runner si ripete: “Non lo farò mai più”. Poi ovviamente questa cosa non succede: si allaccia nuovamente le scarpe e lo fa ancora. E ancora. Un bisogno, un nutrimento per corpo e anima, un desiderio prepotente che torna a bussare ogni volta che la testa si mette in mezzo, come istinto ad andare verso l’alto. Quando guarda a questo bisogno con razionalità, chiama la corsa “hobby”, divertimento e, ancora, un modo per restare in forma, ma sa bene che non è solo quello. Allo stesso modo in cui Sverri Steinholm non è solo sé stesso, non è solo un uomo, ma diventa guida, pastore, punto di riferimento in ospedale, in prigione, diventa il confessore, colui a cui si affidano i segreti, le sofferenze, i pensieri più reconditi. Un duo indissolubile che lui

Avere tutto pur non avendo molto, in una vita semplice dove il ritmo è scandito da dai passi che si alternano a ogni uscita e dove la felicità non costa cara, è a portata di tutti se ci si sa accontentare. E allora, come ogni felicità richiede, anche Sverri canta mentre corre. Cosa? Salmi. “Ora li fanno anche in versione Black Metal”, dice. E intona una canzone dei Hamferð, “Harra Guð, títt dýra navn og æra”, che in inglese si traduce in “God the Lord, Your Precious Name and Honour”, la stessa che ha nei pensieri mentre percorre le creste di quell’altopiano che è ciò che resta dell’erosione di tempesta e mare. Dove il vento batte forte e la nebbia è la compagna costante di ogni giornata. Dove il cielo è quasi sempre coperto e il sole è un lusso di poche ore all’anno. Dove si sente la forza della natura che può prenderti da un momento all’altro e dove si deve accettare di fare parte di questo gioco per capire realmente chi si è.

"Dove il vento batte forte e la nebbia è la compagna costante di ogni giornata. Dove il cielo è quasi sempre coperto e il sole è un lusso di poche ore all’anno. Dove si sente la forza della natura che può prenderti da un momento all’altro e dove si deve accettare di fare parte di questo gioco per capire realmente chi si è."

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Faroe Islands TEXT BY PIETRO IENCA PHOTOS BY LUIGI CHIURCHI TRIP IN YOUR SHOES

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L’arcipelago delle Faroe è un territorio autonomo danese, con una popolazione di circa 50.000 abitanti. Lo potremmo anche definire “terra di pastori e paesaggi mozzafiato”. L’arcipelago delle Faroe è un territorio autonomo danese, con una popolazione di circa 50.000 abitanti. Lo potremmo anche definire “terra di pastori e paesaggi mozzafiato”. Approcciare le sue isole significa entrare in contatto con un mondo a sé. I paesaggi, le persone, l’ecosistema, convivono in un equilibrio stupefacente che rende queste terre un esempio unico nel suo genere. Tripinyourshoes è un’organizzazione volta alla promozione di un nuovo e innovativo tipo di turismo lento, che non si limiti alla semplice visita di un territorio, ma ad una vera e propria scoperta e comprensione di questo. Per fare ciò ci siamo specializzati nella produzione di materiale video e fotografico di altissima qualità allo scopo di far trapelare al meglio le emozioni che ogni singolo territorio può trasmettere, nella speranza di diffondere una maggiore consapevolezza di quanto sia importante preservare determinati luoghi. Le isole Faroe sono famose per i loro paesaggi mozzafiato, ma tra quelle montagne a strapiombo sul mare, vivono delle persone a stretto contatto con i sistemi endemici dell’isola ed è interessante studiare come nei secoli abbiano stabilito delle relazioni vincolanti con questi al fine di sopravvivere. È emozionante poter osservare antiche tradizioni e nuove usanze entrare in contatto in così poco spazio, anche se le conseguenze non sono sempre positive. Questi luoghi, come tanti altri nel mondo, sono diventati delle attrazioni turistiche, soprattutto grazie a queste caratteristiche di natura incontaminata. Questo aspetto cela purtroppo anche molti punti negativi, soprattutto dal momento in cui il turismo

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si concentra in maniera massiccia durante determinati periodi dell’anno andando a creare degli squilibri importanti. Proprio per questo abbiamo deciso di osservare le isole Faroe nella loro forma più autentica e “selvaggia”, cioè fuori dalla stagione turistica, con l’intenzione di riportare quale sia il vero potenziale di questo territorio. L’influenza della globalizzazione ha toccato anche le coste di questo arcipelago, determinando un importante cambiamento nei ritmi naturali degli abitanti: gli isolani hanno basato sostentamento ed economia su allevamenti e produzione di prodotti di origine animale, in particolare nell’ambito ittico. Oggigiorno ovviamente la dieta di questi abitanti è cambiata, influenzata da quelli che sono i ritmi globali. La maggior parte dei prodotti consumati dai faroesi provengono da mercarti internazionali e ciò ha causato l’abbandono di alcune tradizioni e usanze legate ai territori. Ma non è tutto perduto: in risposta a questo “sgretolamento”, una comunità legata al mondo di Slow Food si è impegnata nella salvaguardia e preservazione dei prodotti delle isole. In concomitanza, gli abitanti stanno testando alcuni metodi agricoli innovativi, seguiti da un progetto, chiamato Veltan Project, che potrebbero garantire un’importante passo avanti per gli abitanti di queste isole, forse fino ad un’indipendenza e ad un ritorno di alcuni antichi equilibri. Sunduroy è l’isola più a sud tra le 18 terre che compongono l’arcipelago. È probabilmente l’isola che ci ha colpito di più: presenta un clima più “mite” grazie alla posizione e una ricchezza maggiore, soprattuttoper quanto riguarda la cultura gastronomica. A Sunduroy abbiamo avuto modo di percorre un sentiero che attraversa l’isola da nord a sud che ci ha dato la possibilità di apprezzarla in tutta la sua bellezza. Nelle isole a nord il clima diventa più rigido ed è caratterizzato da forti venti freddi che possono causare improvvisi cambi cli-

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"[...] gli abitanti stanno testando alcuni metodi agricoli innovativi, seguiti da un progetto, chiamato Veltan Project, che potrebbero garantire un’importante passo avanti per gli abitanti di queste isole, forse fino ad un’indipendenza e ad un ritorno di alcuni antichi equilibri."


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matici a cui bisogna stare molto attenti, soprattutto nel caso in cui si stesse camminando su dei sentieri. In questa zona abbiamo esplorato Slaeteranditur, la montagna più alta dell’arcipelago, con 900m di dislivello, da cui abbiamo avvistato i tipici paesaggi nordici di queste zone che nascondono sempre una certa magia, soprattutto da questa prospettiva. Sempre in quest’area ci siamo inerpicati su un’altra montagna, Tjornuvik-Saksun 500-600m; qui abbiamo visitato uno dei rari rustici e antichi paesini di queste isole. In questa zona, siamo stati seguiti da una guida locale, Johannush di Vagar, un ragazzo di 30 anni impegnato nello sviluppo turistico delle isole Faroe. Con lui abbiamo intrapreso un viaggio attraverso le usanze del luogo, a partire dai famosi greggi di pecore faroesi. Questi ovini sono sfruttati principalmente per la loro carne e la lana. Durante le nostre escursioni, abbiamo avuto modo di aiutare nel recupero di un montone che era stato liberato per il periodo della riproduzione, spingendolo con il nostro drone a tornare a valle e con il resto del gregge, evitando quindi che si perdesse e morisse di freddo. Un’altra importante usanza, ormai meno praticata, è la cattura del Fulgur, un tipo di uccello della famiglia degli albatros che nidifica sulle coste delle isole. Questa particolare tecnica prevede l’utilizzo di un grosso retino, una particolare velocità e una certa abilità nello stare in equilibrio. Le coste faroesi, così come l’entroterra, ospitano una grande quantità di specie di uccelli, rendendo le isole un’ottima meta per gli appassionati di ornitologia. Non ci stancheremo mai di dire, quanto sia stupefacente la ricchezza che un così limitato spazio può contenere. Le emozioni e le esperienze vissute sulle isole Faroe sono uniche nel loro genere, anche grazie agli abitanti, che nonostante all’inizio possano sembrare un po’ freddi, con il tempo svelano un forte spirito conviviale alimentato da un grande amore per la terra su cui abitano.

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"In questa zona, siamo stati seguiti da una guida locale, Johannush di Vagar, un ragazzo di 30 anni impegnato nello sviluppo turistico delle isole Faroe. Con lui abbiamo intrapreso un viaggio attraverso le usanze del luogo, a partire dai famosi greggi di pecore faroesi."


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Down the Lhotse Couloir TEXT BY GIAN LUCA GASCA PHOTOS BY NICO KALISZ POWERED BY BANFF

Se dovessimo trovargli un’etichetta, il 2018 potrebbe essere ricordato come l’anno dello sci in altissima quota grazie a due imprese uniche nel loro genere.

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••• Il 22 luglio la prima discesa del K2 a opera del polacco Andrzej Bargiel, una sfida ritenuta quasi impossibile. Il 30 settembre, poi, la prima discesa integrale del Lhotse (8516m, Himalaya), la quarta montagna della terra, da parte degli americani Hilaree Nelson e Jim Morrison.

possono vantare diverse vette di ottomila metri nel loro curriculum. Tra questi spicca Tashi Sherpa che, per ben 9 volte, ha raggiunto gli 8848 metri dell’Everest. La prima parte della spedizione passa quindi veloce tra preparazione della montagna e rotazioni di acclimatazione in quota. Dopo circa un mese è finalmente tempo di tentare la salita. “È una montagna di cui ho letto fin da piccolo e che ho sognato per anni” commenta Morrison ricordando quei momenti. Il giorno di vetta il cielo è sereno e il vento praticamente nullo. Salgono tranquilli fino a circa 8300 metri dove scelgono di indossare le maschere e utilizzare le bombole d’ossigeno. Mancano ancora circa duecento metri alla cima, che raggiungono in pieno giorno. Ma non è finita, anzi: è appena iniziata.

Sono scesi dalla cima seguendo il Lhotse Couloir (lungo circa 800 metri), che divide perfettamente la parete in due, per poi proseguire lungo la montagna fino a raggiungere il campo base. Diversi sciatori estremi hanno tentato il Couloir nel corso degli anni, tra cui anche la stessa Nelson nel 2012, ma nessuno prima era mai riuscito nell’impresa. Hilaree Nelson e Jim Morrison. Due forti e determinati alpinisti compagni non solo dove l’aria si fa rarefatta ma anche nella vita. Alle spalle hanno la salita di diversi Ottomila e linee estreme, anche in altissima quota. Scelgono di partire in settembre, subito dopo la fine del monsone, per godere dell’ottimo innevamento prima che i freddi venti dell’inverno spazzino via tutta la neve dalla montagna. Una decisione presa con criterio, ma complessa.

Dopo le congratulazioni e un breve riposo è tempo di calzare gli sci e iniziare la discesa, la parte più delicata di tutta la spedizione. I due partono, iniziano a tracciare le prime curve saltando tra crosta e neve inconsistente, sono esausti. L’alta quota ti consuma energie e lucidità, ma sanno che non possono perdere il controllo. Continuano a scendere lungo il Couloir, sempre più stretto e pendente, l’emozione è tanta: sono nel posto giusto al momento giusto.

In autunno infatti sono poche le spedizioni che si muovo su Lhotse e sul vicino Everest, con cui la montagna condivide il campo base e una parte della via di salita. C’è quindi una maggiore tranquillità e libertà di movimento, ma questo significa anche dover lavorare maggiormente per preparare la via di salita. Non ci sono infatti gli icefall doctors ad attrezzare con scalette e corde la difficile seraccata che separa il campo base dal primo campo. Dalla loro parte hanno però un’eccezionale squadra di sherpa che li supporta e li aiuta nella preparazione della salita: ragazzi che

“Non avrò mai più un’opportunità simile e voglio godermi il momento” pensa Morrison, una curva dopo l’altra su quella neve così perfetta come raramente la si incontra in Himalaya. La discesa impegna i due per 17 ore dalla vetta fino al campo 2 (6400 m). “Cosa abbiamo fatto?” Chiede Hilaree. “Abbiamo sciato il Couloir e la parete del Lhotse” risponde Jim. “Un sogno a cui ho lavorato tutta la vita”. “Il momento migliore della mia carriera sci alpinistica” per Hilaree.

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Patagonia. Into the unknown. BY LUCA SCHIERA

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Esiste un equilibrio nel mondo: ogni azione produce una conseguenza per ristabilirlo. Newton lo aveva spiegato con i suoi principi della dinamica ma credo che questo concetto si possa estendere molto di più: quello che dai, prima o poi lo ricevi.

R

iassumendo si può dire che dopo un po’ che le cose ti vanno bene, i colpi di fortuna finiscono. È un modo di ragionare molto semplice e fatalista, ma anche pianificando tutto nei minimi dettagli non si potrà prevedere tutto quello che accadrà. Sfruttare a proprio vantaggio gli imprevisti, spesso, è la chiave giusta.

nici di neve e un grande fungo di ghiaccio: era sicuramente lei. Il rischio era che fino a quando non fossimo stati sul posto non avremmo potuto sapere se tutto il progetto sarebbe stato fattibile o no, ma standocene a casa sicuramente non lo avremmo mai scoperto. Con poche certezze e tanta speranza decidiamo di provarci. Dobbiamo capire da dove accedere al ghiacciaio, sembrano esserci varie opzioni ma alla fine l’unica possibilità fattibile pare essere partire in barca da Caleta Tortel, l’ultimo paese abitato, entrare nel fiordo giusto, risalire il fiume con un canotto a motore e farci lasciare a pochi chilometri dal ghiacciaio Steffen.

Questa volta la parte delle incognite era molto più grande di quella del conosciuto, è per questo motivo che, quando tutto stava andando esattamente secondo i piani, iniziavo a insospettirmi: stava andando tutto troppo bene. Il 17 febbraio insieme a Paolo Marazzi e Giacomo Mauri partiamo dall'Italia verso la Patagonia. Negli anni ho passato lunghe ore al computer a scansionare decine di chilometri quadrati delle immagini satellitari di quella zona. Cercavo delle montagne belle da scalare, non sempre si trovavano buone immagini ma a volte bastava un’ombra o un’irregolarità per intuire la presenza di una parete. Un giorno, con grande stupore, mi sono imbattuto in quella che sembrava una torre di granito alta 800 metri sullo Hielo Norte, in una zona completamento inesplorata e poco accessibile.

Ci immaginiamo vari scenari possibili e che tipo di terreno incontreremo, non possiamo avere altre informazioni se non quelle date dalle nostre supposizioni. Infine ci troviamo di fronte al primo vero ostacolo: non abbiamo idea di chi potrebbe accompagnarci. Mi viene in aiuto un amico “virtuale”, Camilo, che conosce molto bene lo Hielo ed essendo cileno ha contatti in zona. Mi gira il numero di un tale Paulo che vive a Tortel ed organizza giri in barca. Paulo viene a prenderci in aeroporto, facciamo la spesa per un mese e partiamo. Appena arriviamo a Tortel carichiamo la barca.

Per qualche tempo l'idea era rimasta lì, nella lunga lista dei progetti. Non compariva sulle mappe, non avevo fotografie o notizie di qualcuno mai passato da quelle zone.

Sta andando tutto davvero bene, è il 18 marzo e una rara finestra di bel tempo dovrebbe iniziare domani e durare tre giorni. Sarà una tirata ma più tutto fila liscio più una vocina dentro mi dice che la fortuna finirà presto. Dopo un paio d’ore saliamo sui gommoni e arriviamo in un lago con qualche iceberg che indica l’inizio del ghiacciaio poco oltre. Paulo ci saluta e rimaniamo soli nella valle.

Poi è saltata fuori una foto risalente alla spedizione inglese guidata da Eric Shipton nel 1964. Per puro caso, sullo sfondo di un’immagine scattata durante la traversata del ghiacciaio, si vedeva una bellissima torre di granito con in cima delle cor-

Questa volta la parte delle incognite era molto più grande di quella del conosciuto, è per questo motivo che, quando tutto stava andando esattamente secondo i piani, iniziavo a insospettirmi: stava andando tutto troppo bene.

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Mi sento ancora frastornato dal viaggio, solo poco tempo fa ero a casa in Italia e ora siamo da soli in mezzo a una valle disabitata senza avere avuto il tempo di adattarci alla nuova situazione; facciamo qualche battuta sul fatto che magari Paulo non ci verrà più a riprendere e dovremmo sopravvivere all’inverno, poi andiamo a fare un giro per vedere il posto. Dopo due ore e poca distanza percorsa torniamo indietro, andiamo a dormire un po’ sconfortati ma contenti di poter finalmente sdraiarci.

Il primo giorno dovremo raggiungere il punto che la volta prima ce ne aveva richiesti due, da lì proseguire sul ghiacciaio evitando le zone più insidiose fino alla montagna, il terzo giorno scalare e poi pensare al ritorno in base a cosa ci sembrerà meglio. Il giorno 1 va bene, il ghiacciaio è molto impegnativo ma dopo 10 ore arriviamo su un’isola rocciosa ottima per bivaccare. Il secondo giorno non va così bene, legati in cordata incontriamo difficoltà sempre crescenti. I crepacci sono nascosti sotto la neve e iniziamo a fare dei lunghi percorsi a zig zag per cercare le parti di ghiaccio meno visibili ed evitare i ponti di neve più lunghi. Dopo alcune ore con visibilità sempre più scarsa davanti a noi compare una semplice zona piatta bianca e ci fermiamo.

Ci svegliamo con il bel tempo. Con molta fatica raggiungiamo l’inizio del ghiacciaio ed arriviamo nel pomeriggio all’ultima piana di terra prima di salire sul ghiaccio. A fine giornata, consultando la mappa capiamo che in un giorno intero abbiamo percorso solo otto dei quaranta chilometri in linea d’aria che ci separano dalla parete. Se abbiamo ancora due giorni di bel tempo vuol dire che domani dovremo scalare e dopodomani tornare indietro: impossibile, dobbiamo rinunciare. Decidiamo di sfruttare questi due giorni rimanenti per capire l’accesso alla montagna, sarà fondamentale anche questo giro preventivo.

Alcuni buchi e qualche leggera ondulazione sulla superficie ci fanno notare dei crepacci enormi. Facciamo qualche timido tentativo ma in tutte le direzioni i ponti di neve cedono sotto il nostro peso, da qui in poi dovremo andare completamente alla cieca con il rischio di cadere insieme nello stesso crepaccio. Ci fermiamo a ragionare. Non vediamo nessuna alternativa possibile, abbiamo già investito molte energie per arrivare fino a qua e siamo ormai prossimi alla parete, non sappiamo se avremo un’altra occasione di ritornare ma il rischio è davvero incalcolabile. Alla fine decidiamo di tornare indietro, a facilitare la decisione il fatto che sta iniziando a nevicare. La sera del giorno dopo siamo di nuovo alla capanna. Non abbiamo alternative, chiamiamo Paulo per farci venire a prendere e passiamo buona parte del giorno successivo con le orecchie pronte a percepire il ronzio della barca che non arriva mai, si è dimenticato.

Saliamo su una lunga cresta rocciosa che si eleva per alcune centinaia di metri proprio sopra lo Hielo per avere un’ottima visuale aerea su tutto il percorso che dovremo seguire. Solo dopo avere superato l’ultima gobba riusciamo a vedere per la prima volta la parete, è davvero bella anche se non scorgiamo il lato più alto. Sembra fattibile ma serviranno cinque giorni di bel tempo per poter pensare di andare, scalare e tornare. I giorni successivi li dedichiamo a sistemare una grande capanna in legno in cui dormiamo, fare legna per il fuoco e allenarci un po’. Non passa molto tempo che arriva quella che potrebbe essere la nostra occasione. Fino all’ultimo siamo incerti, ancora una volta prendere decisioni non è semplice, ma alla fine decidiamo di provare, se funziona abbiamo fatto la scelta giusta, se non va dovremo tornare indietro il prima possibile perché poi non avremmo più cibo.

Il giorno successivo tutto va come previsto e ci rimettiamo in viaggio verso il sud della Patagonia, fino a quando l’epidemia raggiunge anche il Sudamerica. Il lato positivo di tutta la storia è che se fossimo rimasti nella valle ancora per le due settimane che avevamo previsto saremmo davvero dovuti ritornare a piedi, Paulo è stato messo in quarantena.

La sera del giorno dopo siamo di nuovo alla capanna. Non abbiamo alternative, chiamiamo Paulo per farci venire a prendere e passiamo buona parte del giorno successivo con le orecchie pronte a percepire il ronzio della barca che non arriva mai, si è dimenticato.

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Va’ Sentiero TEXT BY YURI BASILICÒ PHOTOS BY SARA FURLANETTO

Dal Friuli-Venezia Giulia alle Marche per scoprire il trekking più lungo del mondo: il racconto dei primi 3.548 km per montagne della spedizione Va’ Sentiero.

LA SPEDIZIONE RIPRENDERÀ PRESTO IL SUO CAMMINO, DALLE MARCHE ALLA SARDEGNA. PER MAGGIORI INFORMAZIONI SUL PROGETTO E SULLE TAPPE , VISITA IL SITO VASENTIERO.ORG .

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Avevo sentito parlare del GR20, un trekking di 15 giorni che percorre la dorsale montuosa della Corsica. Era un periodo denso di dubbi e preoccupazioni, quel sentiero mi sembrò sufficientemente impegnativo per saziare la mia fame di avventura e rapirmi dai pensieri. A fine settembre 2016 sbarcavo a Bastia. Dopo qualche giorno di cammino, mentre attraversavo un vasto altopiano poco a nord del Monte Cinto, fui sorpreso da una fitta nebbia improvvisa e mi persi completamente. Vagando a casaccio per cercare la traccia, mi imbattei in un un trio di ragazzi svedesi. Stavano percorrendo il GR in direzione opposta e si erano persi, come me. Ritrovammo il sentiero. Prima di lasciarci mangiammo un boccone assieme e mi chiesero: “tu che sei italiano, lo conosci il Sentiero Italia?”. Era la prima volta che lo sentivo nominare. Qualche mese dopo, in una fredda serata di pianura, mi tornò alla mente l’episodio e andai a cercare “Sentiero Italia” su Google. Trovai poche informazioni ma era comunque abbastanza: un sentiero di 7.000 km lungo tutte le montagne italiane, da anni ormai dimenticato. Mi ci volle poco per iniziare a fantasticare di una spedizione alla scoperta del grande sentiero misterioso. Ancora non lo sapevo, ma quella sera si apriva un nuovo capitolo della mia vita.

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15 MAGGIO 2019. GEMONA DEL FRIULI. 232 KM

Oggi è il mio compleanno. Fuori sta facendo buio e ha ripreso a piovere. Sono al Pronto Soccorso di Gemona, un piccolo paesino ai piedi delle Prealpi Giulie che conoscevo solo di nome per il terremoto del ‘76. Oggi pomeriggio, mentre scendevo tra i pascoli verso il borgo di Prossenicco, una zecca ha pensato di farmi festa e mi si è infilata nel polpaccio: sono riuscito a estrarla intera, ma ho una grossa infezione e abbiamo pensato fosse il caso di farsi vedere. Abbiamo: io e i ragazzi. Siamo partiti due settimane fa da Muggia, sul Golfo di Trieste, il punto di partenza del Sentiero Italia. Siamo in cinque: una fotografa, un videomaker, un responsabile logistico, un cambusiere ed io, che guido il gruppo. Va’ Sentiero: si chiama così, la spedizione. Ci siamo messi in cammino il Primo Maggio, verso nord, lungo il confine con la Slovenia. I primi giorni abbiamo attraversato i boschi del Carso, purtroppo il sole ci ha abbandonati quasi subito ed è tornata la pioggia. Finalmente, quasi con un senso di liberazione, abbiamo iniziato a prendere quota tra le Valli del Natisone. Fa freddo e ha preso a nevicare copiosamente sopra i 1.500 m: esattamente dove siamo diretti. Insieme al maltempo sono spuntate le prime tendiniti, i primi acciacchi di rodaggio: non siamo ancora molto allenati. E sciami di zecche. Certo è ancora presto perché il morale declini, ma qualche malumore c’è e ogni tanto affiora.

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18 LUGLIO 2019. VA LT E L L I N A , A LTA L O M B A R D I A . 1 . 2 7 2 K M

Sentiero Roma, il percorso semi-alpinistico che dalla Valmalenco si dirige verso l’estremità nord del Lago di Como sorvolando tutta la Val Masino. Probabilmente il tratto più difficile di tutto il Sentiero Italia, con ben 8 passi d’alta quota in rapida successione.

Finalmente è arrivata l’estate. Dopo i primi mesi difficili, tra i metri di neve marcia in quota e le foreste distrutte nel Triveneto, le cose stanno procedendo sul binario giusto. Nelle ultime settimane le montagne sembrano aver cambiato all’improvviso proporzioni: l’Adamello, il Gran Zebrù, L’Ortles. Le Dolomiti mi sembrano montagne così minute in confronto. Dopo aver aggirato il Bernina ci siamo diretti verso il Disgrazia. Abbiamo fatto tappa ai piedi dell’immensa parete orientale, al Rifugio Ventina. Il primo gestore del rifugio, Oreste Lenatti, nel 1956 accompagnò per un pezzo Bonatti durante la mitica traversata invernale delle Alpi.

Ieri, scendendo dalla Bocchetta Roma, abbiamo quasi rischiato di perdere Sara, la nostra fotografa. Una pietra che si è staccata dalla parete e le è rimbalzata verso la faccia mentre si stava calando da una corda fissa, sospesa su uno salto di almeno 20 metri. Ha schivata il sasso di riflesso, ci siamo spaventati parecchio. Alla base della parete c’era un nevaio in pessime condizioni e non avendo con noi i ramponi ci abbiamo messo più di due ore per percorrere il chilometro che ci separava dal Bivacco Kima. Fortuna che nel bivacco abbiamo trovato delle carte da gioco per smaltire la tensione.

Dopo una gran mangiata, mi sono sdraiato sulla riva del torrente che scorre rumoroso dalla Vedretta; la scena ricalcava le immagini che creavo nella mia testa quando da piccolo leggevo Il richiamo della foresta. Due giorni fa abbiamo attaccato il

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1 SETTEMBRE 2019. C O U R M AY E U R , VA L L E D ’A O S TA . 2 . 0 4 4 K M

Ieri mattina abbiamo svalicato la fessura del Col del Malatrà e ci siamo trovati di fronte la muraglia delle Grandes Jorasses. Siamo saliti sulla Testa Bernarda, un balcone perfetto su tutto il massiccio del Monte Bianco, proprio davanti alla piramide di Punta Walker. Con noi c’era un amico e aveva con sé un binocolo con delle lenti eccezionali; abbiamo passato un sacco di tempo a studiare tutti i picchi, le creste, i ghiacciai, le guglie. Ovunque guardassi, ritrovavo le vie aperte dai più grandi: Cassin, Whymper, Gervasutti. E Bonatti, ovviamente. Mentre cercavo il Pilone Centrale del Freney, quello della tragedia del ‘61, ho notato delle piccole macchie scure nel campo visivo del binocolo. All’inizio pensavo fosse la mia retina, per l’abbagliante riflesso dei ghiacciai circostanti; poi mi sono reso conto che erano invece delle ali in movimento e che si stavano avvicinando. Ho chiamato a gran voce gli altri e, senza nemmeno il tempo di rendercene conto, avevamo ben dodici rapaci che volteggiavano in cerchio sopra le nostre teste. Erano grifoni, assolutamente inusuali per la zona: il corpo corto e tozzo, il collo lungo e sottile, da avvoltoio. Sembravano non muovere quasi mai le enormi ali tese, solo la punta per aggiustare appena la traiettoria, come degli equilibristi su un filo invisibile.

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5 OTTOBRE 2019. MONGIOIE REFUGE, BASSO PIEMONTE. 2.595 KM

Ieri mi sono staccato dagli altri e ho fatto una lunga deviazione, avevo voglia di sgambare un po’ da solo. Mi sono perso diverse volte, con leggerezza, mi mancava farlo. Guardando la cartina ho scoperto di essere ai piedi di un tale Monte Jurin e, chiamandomi Yuri, non ho potuto che salire in vetta. Si vedeva tutto l’arco alpino occidentale. Non c’è da stupirsi che i Romani ritenessero il Monviso il più alto delle Alpi: è in assoluto la montagna che più svetta sulle altre. Più tardi, mentre mi avvicinavo al Rifugio Garelli, ho sentito i raggi del sole sulla nuca e mi sono accorto che il sole stava tramontando alle mie spalle. All’improvviso ho realizzato che la spedizione aveva cambiato direzione: dopo aver camminato verso nord dal Golfo di Trieste a Tarvisio, poi verso ovest fino al Monte Bianco, quindi verso sud fino alle Alpi Marittime, ora avevamo virato a est. L’ultima direzione che mancava dalla collezione Va’ Sentiero. Stamattina siamo partiti dal Garelli prima che sorgesse il sole, un vento freddo spazzava l’aria e rendeva tutto nitidissimo. Per lo stretto Canale dei Torinesi abbiamo risalito la parete nord del Marguareis, il più alto dei Monti Liguri. Dalla vetta, per la prima volta dalla partenza e dopo 5 mesi di montagne, abbiamo rivisto il mare. Ho provato una strana sensazione, come tornare a casa. Non so perché.

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11 NOVEMBRE 2019. EREMO DEI TOSCHI, TOSCANA. 3.240 KM

La favola dell’autunno bucolico è finita presto e abbiamo dovuto fare i conti con temperature in picchiata e forti venti da nord: nella sola ultima settimana ci sono state due allerte meteo. I nostri volti iniziano a tradire la stanchezza. Qualche giorno fa, sulla cresta verso il Lago Scaffaiolo ci siamo trovati in una bufera di neve con raffiche di tramontana che frustavano tanto forte da spostarci di peso. A distanza di un metro non si vedeva nulla e abbiamo dovuto metterci gli occhiali da sole per riuscire a tenere gli occhi aperti. Ho avuto un po’ di paura, non avevo mai sperimentato il whiteout (nebbia di neve e vento gelido fortissimo) e non mi sarei mai aspettato di farlo in Appennino, è stata la situazione più estrema che abbiamo affrontato finora. Con noi c’era una giovane ragazza che si era unita al gruppo da pochi giorni; non avevo idea di che esperienza avesse e ho temuto perdesse la testa, in casi del genere non è difficile. Invece è rimasta sempre sul pezzo, concentrata, eseguendo con lucidità quello che le dicevamo; la cosa mi ha colpito. Alla sera mi sembrava di conoscerla da una vita.

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1 DICEMBRE 2019. FINE PRIMO TEMPO.

Visso è un piccolo borgo incuneato ai piedi dei Sibillini. Oltre che essere a metà del Sentiero Italia (3.548 km su circa 7.000), è stata devastato dal terremoto del 2016: quasi tutti gli edifici sono inagibili, specialmente nel centro storico. Per questo abbiamo scelto di interrompere a Visso la prima parte della spedizione: ci sembrava bello arrivare qui e da qui ripartire con la primavera, simbolicamente.

aver camminato per 7 mesi; mi sono accorto che non avevo affatto avuto il tempo o l’accortezza di prepararmi a quel momento. Poi siamo giunti tra le prime case semidistrutte, puntellate, sembrava di essere in un paese bombardato. Durante la spedizione ne abbiamo visti parecchi di vecchi borghi crollati o in preda all’abbandono ma qui era diverso: le case sembravano abitate fino a un attimo prima. Sulla parete di una cameretta si intravedeva un poster di Bob Marley.

Il nostro arrivo, a modo suo, è stato un evento. L’ultimo giorno è magicamente tornato il sole, come a premiarci: un cielo pulito, senza compromessi, come alla partenza. C’erano tantissime persone venute a camminare con noi in quella tappa, una gigantesca carovana. Una ragazza mi ha chiesto cosa provassi all’idea di essere quasi arrivato a quel primo obiettivo dopo

Abbiamo iniziato a sentire la banda del paese che attaccava a suonare in nostro onore, la gente in lontananza che vociava allegra; mi è sembrato surreale, ma è stato solo un attimo.

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El Chatèn, where respect for the mountains comes first.

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TEXT AND PHOTOS BY ROMINA MANASSERO E SIMONE MONDINO

La sognavamo da tantissimi anni e dopo oltre venti ore di volo e tre scali eccoci qui, appena atterrati ad El Calafate, nel cuore della Patagonia del nord.

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on appena si aprono le porte dell’aeroporto veniamo ributtati dentro da un vento pazzesco. Ci guardiamo stupiti da questo “benvenuto” un po’ inusuale, saliamo in macchina e si parte per El Chaltèn, una località definita negli ultimi anni come la "Capitale Nazionale del Trekking in Argentina”.

montagna che sorseggiano una birra e che dialogano di imprese fatte o escursioni da fare. Una grande famiglia di arrampicatori, escursionisti o semplici appassionati outdoor. Le speranze di un netto miglioramento cessano dopo pochi minuti perché il cielo si fa sempre più cupo ma la voglia di scoprire è tanta, così ci spostiamo in macchina verso la zona di El Pilar. Più ci addentriamo e più i rovesci di neve si avvicinano a noi fino a raggiungerci. Con immenso stupore ci ritroviamo in pochi secondi sotto una bufera di neve.

Attraversiamo lentamente il lato più orientale del Lago Argentino, con i suoi colori assurdi ed entriamo velocemente in simbiosi con il paesaggio circostante fatto di assenza totale di piante, di animali e case ma di una bellezza da lasciare senza fiato.

L’appuntamento con Fitz Roy e Cerro Torre è da rimandare ma dato che le previsioni prevedono un repentino miglioramento del tempo verso le due di notte decidiamo di puntare la sveglia alle quattro per provare ad immortalare un’alba mozzafiato.

Il tempo scorre inesorabilmente, il sole inizia a scendere mentre guidiamo lungo la famosa Route 40. Le previsioni danno neve in serata e il cielo si copre velocemente portando con sé timidi rovesci di neve. Verso sera arriviamo ad El Chaltèn e come previsto Fitz Roy e Cerro Torre sono completamente avvolti dalle nuvole.

Suona la sveglia e dopo dieci minuti siamo già fuori casa, zaino e macchina fotografiche pronte, ci spostiamo verso il confine del parco per godere di una visione a dir poco unica dell’intero gruppo di montagne. Non c’è anima viva in giro e la temperatura è scesa sotto lo zero. Il silenzio che si respira è qualcosa di formidabile quanto il nostro stupore nel constatare che non vi sono nuvole.

È novembre inoltrato e le ore di luce sono tantissime così ne approfittiamo subito per visitare il paese. Meno di duemila abitanti, case coloratissime e alcune costruzioni ancora da finire. Qui si incontrano veri appassionati di

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Il Cerro Torre ed il Fitz Roy sono lì, immobili, unici, da mozzare il fiato. Ed il silenzio che regna in questi istanti è un qualcosa di magico e surreale.

chilometro intravediamo tante piccole formiche in lontananza che avanzano allo stesso passo. Ci guardiamo e sorridiamo. Ecco il tanto atteso muro finale.

Dopo una serie infinita di scatti decidiamo di rientrare a casa per preparare il resto dell’attrezzatura ed incamminarci per la nostra prima escursione che ci avvicinerà al Cerro Torre.

Arriviamo in alto e di fronte a noi si presenta un mare bianco di neve: la laguna è ancora ghiacciata e le recenti nevicate rendono il paesaggio decisamente più invernale mentre alle nostre spalle, nella vallata, è già primavera.

Il trekking verso la Laguna Torre è semplice ma molto affollato. La camminata inizia con un bello strappo verticale che poi spiana. Dopo alcuni chilometri, l’unico vero protagonista della scena rimane il Cerro Torre. Siamo letteralmente meravigliati dalla bellezza che abbiamo davanti. Di fronte a tanta maestosità ci sentiamo così piccoli ed insignificanti e capiamo ulteriormente l’importanza nel rispettare la natura ogni giorno.

Scegliamo un posto un po’ appartato e ci sistemiamo per godere il panorama nel silenzio assoluto. Ancora una volta non possiamo a fare meno di osservare quanto siamo piccoli nei confronti di madre natura e questa cosa ci fa riflettere sempre di più. Il mattino seguente il tempo è ancora molto uggioso, perlustriamo la zona e nel tardo pomeriggio decidiamo di percorrere un vecchio sentiero non

Dopo un paio d’ore in paradiso torniamo verso valle e come da previsione ritorna il vento e si ricopre il cielo. Niente da fare, stanotte pioverà.

Arriviamo in alto e di fronte a noi si presenta un mare bianco di neve: la laguna è ancora ghiacciata e le recenti nevicate rendono il paesaggio decisamente più invernale mentre alle nostre spalle, nella vallata, è già primavera.

Il risveglio è buono, il cielo è ancora parzialmente nuvoloso ma durante il giorno sono attese ampie schiarite. Ci incamminiamo verso la Laguna de Los Tres, un trekking semplice per i primi dieci chilometri di percorso ma che vede nell’ultima parte uno strappo di quattrocento metri. L’escursione inizia attraversando il fiume, la vegetazione, salendo di quota, si dirada e anche le nuvole lasciano spazio ad un timido sole che inizia ad illuminare il Fitz Roy e il ghiacciaio Piedras Blancas. Il percorso è un “finto pianoro” e mentre ci apprestiamo a raggiungere il decimo

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L’intensa nevicata cessa improvvisamente, si alza la nebbia ed appare la Laguna Torre proprio sotto di noi, le nuvole corrono via velocemente e sbucano alcune vette tra cui il Fitz Roy. È un’emozione indescrivibile.

turistico che ci porta proprio sulla verticale dell’abitato di El Chaltèn. Una volta in vetta ritroviamo di fronte a noi il Fitz Roy ed il Cerro Torre. Osserviamo il paese visto dall’alto: c’è gente che cammina per le strade, alcuni seduti al bar sorseggiano una birra, i ristoranti cominciano a riempirsi. E noi? Noi siamo quassù, nel regno del silenzio e della meraviglia. Il cielo completamente azzurro purtroppo non resiste molto e tutto si ricopre all’istante. Non ci facciamo condizionare dalla negatività e decidiamo di rimane anche solo per goderci il panorama dall’alto. Attendiamo a lungo fiduciosi ed ecco, come un fulmine a ciel sereno, spuntare ad ovest un timido raggio di sole che va ad infiammare per un breve istante le nuvole strappandoci un sorriso.

un’emozione indescrivibile. La sensazione di freddo è tanta ma la meraviglia che abbiamo di fronte ci costringe a fermarci ancora un po’. Raggiungiamo la macchina, un check all’attrezzatura e siamo pronti a ripartire: il nostro viaggio continuerà verso El Calafate, il Perito Moreno spingendoci poi fino in Cile nel parco Torres del Paine e terminerà nell’estremo sud, ad Ushuaia.

Il giorno seguente ci svegliamo con un vento fortissimo e rovesci di neve. Nonostante le condizioni meteo non perfette, ci incamminiamo lungo il sentiero che porta al Loma del Pliegue Tumbado. Mentre saliamo inizia a nevicare, il meteo continua a peggiorare e l’idea di raggiungere la vetta tramonta velocemente. Decidiamo di proseguire per qualche metro per raggiungere almeno il belvedere.

Ci voltiamo un’ultima volta verso l’abitato di El Chaltèn. La malinconia è tanta. Una nostalgia romantica. Qui ci siamo veramente sentiti a casa. L’atmosfera che si respira qui è unica al mondo e mentre accendiamo il motore della macchina, ci guardiamo e promettiamo: sarà un arrivederci e non un addio.

L’intensa nevicata cessa improvvisamente, si alza la nebbia ed appare la Laguna Torre proprio sotto di noi, le nuvole corrono via velocemente e sbucano alcune vette tra cui il Fitz Roy. È

"SARÀ UN ARRIVEDERCI E NON UN ADDIO."

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Wadden Sea Paradise Lost T E X T B Y L I A N VA N L E E U W E N @ S H I F T C YC L I N G C U LT U R E AND PHOTOS BY JELLE MUL

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Ci sarebbe molto da dire a proposito del tipo divertimento conosciuto come type 2 fun. Ma non stiamo parlando di questo ora. Ci siamo invece goduti tre piacevoli giorni girando in bicicletta da isola a isola, ad un ritmo determinato esclusivamente dall’orario di partenza dei traghetti e dei mezzi di trasporto marino alternativi che ci hanno condotti al successivo posto in paradiso. Le nostre giornate sono state piene di semplici giri in bici su sterrato, barbecue sulla spiaggia, birre locali e innumerevoli immersioni nelle dolci acque del mare. Che ci crediate o no, le isole Frisone, nel nord dei Paesi Bassi, offrono fra le migliori spiagge che potete trovare al mondo. Infinite, vuote, indisturbate. Bianche come le parti del corpo non toccate dall’abbronzatura. Nessun viale con palazzi imponenti pieni di banali negozi turistici, niente code frenetiche, nessun labirinto di teli da mare tra cui farsi strada. Solo infiniti tratti della sabbia più fine, segnati dai verdi sbiaditi delle canne delle dune e, nel nostro caso, perfetti cieli dipinti. Immagino sia una benedizione che il nostro tempo faccia schifo circa 315 giorni all'anno. L'idea era quella di esplorare la parte settentrionale dei Paesi Bassi, in un cerchio che partisse dalla terraferma passando per tre delle isole Frisone fino a tornare al punto di partenza. Il primo giorno è iniziato come dovrebbe iniziare qualsiasi avventura in bici. Uno di noi ha quasi perso il primo traghetto ma è stato ammesso a bordo due minuti dopo l'orario di partenza da un simpatico barcaiolo e da una folla solidale di passeggeri. Abbiamo festeggiato con una birra. Il resto dei giorni non sono altro che un ricordo confuso di un’estate senza fine. Scarpe piene di sabbia e schizzi dal mare che hanno segnato le nostre borse da bici con macchie di sale mentre viaggiavamo da un'isola all'altra con l’ennesimo traghetto improvvisato. Sciocche battute hanno unito il gruppo come se fosse un corpo solo. E poi quel caldo. Che ti rallenta in modo meraviglioso. Tanto quanto un’infinità birre e hamburger locali. Non avremmo potuto chiedere di meglio.

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Il lato oscuro di questo fine settimana stupendo in sella a una bici si è insinuato in seguito. Le isole Frisone sono un gioiello. Non siamo solo noi a pensarla così. Il mare dei Wadden, un'area che si estende attraverso i Paesi Bassi, la Danimarca e la Germania, è nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell'UNESCO. È la più grande piana di marea del mondo, dove vari processi naturali avvengono indisturbati in tutta l'area, ospitando una ricca biodiversità di specie acquatiche e terrestri. Le isole Frisone possono vantare una combo unica di patrimonio culturale e naturale e alcune sono riconosciute come area ufficiale di “cielo scuro” (un'area che limita l'inquinamento luminoso artificiale). Probabilmente spariranno tra meno di 100 anni. Noi come nazione ci siamo fatti un nome per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche e la protezione della terra dall'innalzamento del livello del mare. Ma ecco uno spoiler: il nostro orgoglio olandese, il “Piano Delta”, è costruito per proteggerci da un rialzo massimo di 45 cm. Con le attuali emissioni globali di CO2, si prevede che i livelli dei mari olandesi aumenteranno da 2 a 3 metri nei prossimi 100 anni. Potremmo essere in grado di far fronte a questa minaccia quando si tratta di proteggere la terraferma. Ma le aree più vulnerabili come quelle del Wadden non saranno altrettanto fortunate. L'UNESCO riconosce le isole Frisone per “l'eccezionale valore universale dell'area e i progressi compiuti nella protezione e nella gestione per più di una generazione”. Se portiamo avanti i nostri comportamenti attuali, questa generazione potrebbe essere l'ultima a godersi questo piccolo paradiso, così come tanti altri luoghi simili. Quei tre giorni di estate senza fine si sono rivelati parte di una delle ondate di calore più estreme mai vissute in Europa, con temperature che hanno raggiunto i 45,9°C in Francia. Il giorno più caldo di giugno mai registrato. Sono questi numeri che dovrebbero farci tremare e spingerci ad agire. Sì, cambiando il nostro comportamento. Ma ancor di più orientando le nostre azioni verso le 100 aziende del mondo che sono responsabili del 70% delle nostre emissioni globali. E verso i governi che le facilitano. Abbiamo esplorato il paradiso per tre giorni fantastici. Ma questo potrebbe andare perso anche nel corso della nostra generazione se non interveniamo ora. Se amiamo questi luoghi, agiamo di conseguenza.

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È nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell'UNESCO. È la più grande piana di marea del mondo, dove vari processi naturali avvengono indisturbati in tutta l'area, ospitando una ricca biodiversità di specie acquatiche e terrestri.


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Silence can be loud ITW BY LUCA ALBRISI PICS BY MAT TEO PAVANA MOUNTAINEERS SIMONE MORO, TAMARA LUNGER

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Chi mastica un po’ di montagna, fotografia e segue The Pill sicuramente si sarà già imbattuto nel nome di Matteo Pavana, fotografo conosciuto soprattutto per i suoi lavori dedicati al mondo dell’arrampicata sportiva che da molto tempo collabora con la nostra testata.

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Ma Matte ama uscire dai propri schemi e, soprattutto, ama l’avventura nelle sue più diverse forme. Per questo quando ha avuto l’occasione di prendere parte all’ultima spedizione invernale di Simone Moro e Tamara Lunger ha subito colto l’occasione per vivere e raccontare un’avventura che non solo lo ha portato a confrontarsi con ambienti straordinari ma anche a mettersi di fronte a se stesso. Ciao Matte, come prima cosa mi piacerebbe ci raccontassi un po’ come è nata l’opportunità di questa avventura e che ci spiegassi nel dettaglio quale era l’obiettivo della spedizione. Le opportunità dicono che nascono nei momenti di difficoltà e per me è stato lo stesso. Se è comune dire “voltare pagina”, io ho voluto cambiare direttamente il titolo del libro. Ho sognato di prendere parte a una spedizione da quando ho iniziato a fotografare in montagna, ma non ci sono mai riuscito per vari motivi. Alle fine dell’anno scorso possibilità e disponibilità si sono allineate. Mesi prima della partenza conoscevo la destinazione e l’intento alpinistico: la salita invernale al Gasherbrum I e l’eventuale concatenamento al Gasherbrum II in Karakorum, Pakistan. Fino al giorno prima del volo, invece, non sapevo l’orario e l’aeroporto da cui saremmo partiti. Figo, no?! Quando ti è stato chiesto di partecipare quali sono state le prime sensazioni che sono scaturite in te? Ero esaltato. Ho iniziato subito a informarmi sulle montagne che avrei visto durante il trekking di avvicinamento, ma soprattutto sull’attrezzatura fotografica e alpinistica che avrei dovuto portare con me. Piano piano però le sensazioni sono cambiate e l’eccitazione iniziale ha lasciato spazio all’ansia da prestazione. La mia aspettativa, e quella che pensa-

vo potessero avere Simone e Tamara nei miei confronti, mi ha destabilizzato parecchio. Non mi vergogno ad ammettere che i giorni prima della partenza ero terrorizzato di non essere all’altezza, ma soprattutto, ero terrorizzato dell’ignoto. Ormai non sapevo più distinguere tra quello che si era creato nella mia testa e quello che realmente mi avrebbe atteso per i seguenti 45 giorni. La sensazione è cambiata nuovamente non appena Tamara è passata a prendermi a Trento: non esiste sensazione migliore di quando la paura si scioglie in viva esperienza. Nel momento in cui ho realizzato che il viaggio stava iniziando mi sono sentito al posto giusto e al momento giusto. Cosa si prova a pensare di essere uno dei pochi uomini a prendere parte a un’avventura del genere? Forse ti confondi con i cosmonauti dell’Apollo 13, hahaha... Scherzi a parte, poter documentare direttamente un ambizioso progetto alpinistico per me è stata la realizzazione di un sogno che inseguivo da tempo. La nostra non era certo l’unica spedizione invernale e di fatto c’è stato un numero considerevole di spedizioni sulle grandi montagne del pianeta nei mesi scorsi. Quello che posso dire però in tutta onestà è che vivere in un ambiente così vasto e selvaggio nella sua stagione meno affollata è stata una bellissima sfida personale e un grandis-

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simo privilegio. Inoltre il progetto di Simone e Tamara era davvero ambizioso. Non solo la salita al GI sarebbe stata la prima salita nell’inverno meteorologico - quello che per capirci Urubko identifica come il “vero inverno himalayano” (con inizio l’1 dicembre e fine il 28 febbraio) - ma l’eventuale concatenamento al GII sarebbe stato il primo concatenamento invernale di due Ottomila. Quale è stato nel dettaglio il tuo ruolo? E come ti sei inserito nelle dinamiche di gruppo con gli altri membri della spedizione? A documentare la spedizione eravamo Matteo Zanga ed io. Lui si occupava della parte video mentre io di quella fotografica (ovviamente nessuno vietava all’altro di filmare o viceversa). Con Matteo ho lavorato molto bene e lo scambio professionale in tal senso a me ha aiutato molto. Nei confronti di Simone e Tamara invece si sono instaurate delle dinamiche differenti. Se con Tamara ho avuto fin da subito un buon feeling, nei confronti di Simone nutrivo invece una forte suggestione. Ero intimorito dalla sua fama. Ho piacevolmente scoperto una persona preparata, sempre disposta a sacrificarsi per primo e, cosa non da tutti, a insegnare. Simone , Tamara e Matteo erano un team già rodato, mentre io ero l’outsider del gruppo (a me piaceva considerarmi il bocia anche se, come dici tu, non sono più proprio uno sbarbatello). Ho cercato di avere un ruolo


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s attivo e propositivo, insomma ho cercato di inserirmi come avrei fatto in qualsiasi altro gruppo. Avevo nella testa il messaggio che Simone mi aveva mandato prima di partire “in spedizione non esistono diritti ma solo doveri; i diritti arrivano in automatico una volta che vengono svolti i doveri.” Quindi, detto in poche parole, ho cercato di adempiere ai miei doveri al meglio delle mie possibilità. È facile immaginare come, soprattutto in quelle condizioni, l’armonia del gruppo sia appesa a un filo e scandita da delicati meccanismi che, se si inceppano, sfociano in conflitti che possono trasformare l’intera esperienza in un inferno. Ma così non è stato, a conferma di una spedizione che ha lavorato bene dall’inizio alla fine. Come spesso succede con questo genere di spedizioni gli “intoppi” sono all’ordine del giorno e abbiamo visto che anche la prima parte del vostro viaggio ne è stato caratterizzato. In che modo? Il Pakistan ha tutti i difetti di un paese in via di sviluppo. Dal punto di vista dei trasporti non siamo stati proprio fortunati: il volo che da Islamabad ci avrebbe portati a Skardu è stato cancellato due o tre volte consecutive. Stufi della perdita inutile di tempo, siamo saliti a bordo di un pulmino e in due giorni abbiamo percorso la Karakorum Highway fino a Skardu. Un viaggio di quasi 700 km su strada perlopiù sterrata. Ricordo malvolentieri il mal di schiena e i crampi alle gambe che non sono mai riuscito a distendere. La scomodità del viaggio però è stata direttamente proporzionale alla bellezza selvaggia dell’ambiente in cui eravamo ospiti, in questo caso uno dei pregi di un paese in via di sviluppo. Ricordo in particolare il massiccio del Nanga Parbat, di cui in lontananza riuscivamo a vedere, senza percepirli, gli oltre 6000m di dislivello. Chiunque si interessi, almeno in parte, di tematiche Himalayane e

soprattutto di spedizioni invernali sa che l’attesa e la permanenza in “isolamento” al campo base è probabilmente uno degli aspetti che maggiormente caratterizza questo genere di imprese. Tu come lo hai vissuto? L’isolamento e la pazienza sono stati i principali motivi per cui ho sempre voluto andare in spedizione. Non sono mai stato un ragazzo paziente e volevo “redimermi”, anche se temporaneamente, dal mio stile di vita occidentale. Volevo imparare qualcosa di nuovo su me stesso, qualcosa che non sapevo fare o che non conoscevo. Prima della partenza pensavo che avrei trascorso tutte le notti a piangere in tenda per il freddo. È successo che piangessi, ma per la felicità di vivere quell’esperienza in quel luogo. Lo ripeto: mi sentivo al posto giusto al momento giusto, mi sentivo me stesso. La verità è che la vera problematica in questo tipo di spedizioni è il freddo costante, notte o giorno che sia. La domanda che mi hanno fatto in tanti amici e conoscenti una volta tornato è stato: “Ma quanto era freddo?”. Ci sono state due o tre notti in particolare in cui non ho chiuso occhio per un secondo al Campo Base. Erano quelle giornate di cielo terso che portavano la temperatura tra i -30°C e il -40°C (questo a 5000m di altitudine). Nelle giornate invece di cielo coperto la temperatura poteva oscillare tra i -10°C e i -20°C e a quelle temperature dormivo come un pupo. È incredibile come il corpo si abitui all’altitudine, ma trovo ancora più straordinario come contemporaneamente si abitui a certe temperature. Il freddo era e rimane la componente più cruda dell’intera spedizione, un ricordo indelebile. Raccontaci la tua “routine” tipo giornaliera. Siamo giunti al campo base dopo 8 giorni e 120 km di campo mobile che ogni sera allestivamo e che smontavamo il giorno successivo. Al campo base non era il sole a svegliarmi,

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ma il freddo. Il sacco a pelo era sempre coperto di brina e capitava mi alzassi senza sentire la punta delle dita dei piedi. Potevo indossare anche due paia di calzini e le scarpette degli scarponi e comunque il freddo mi mordeva i piedi ogni mattina. Uscivo dalla tenda e mi rifugiavo nella saletta della colazione, mi scaldavo subito con l’heater a gas e bevevo qualcosa di caldo. Va precisato che inizialmente Matteo ed io speravamo di arrivare almeno al Campo I per documentare la salita, ma nel momento in cui abbiamo visto l’icefall che separava il Campo Base dal Campo I, ci sono venuti dei seri dubbi a riguardo: un labirinto di crepacci coperti e seracchi pericolanti. Un giorno sono andato con Simone e Tamara per tracciare e fare fotografie, ma non mi sentivo per niente a mio agio. La presenza della natura era talmente forte

L’isolamento e la pazienza sono stati i principali motivi per cui ho sempre voluto andare in spedizione. Non sono mai stato un ragazzo paziente e volevo “redimermi”, anche se temporaneamente, dal mio stile di vita occidentale. Volevo imparare qualcosa di nuovo su me stesso.


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Un giorno sono andato con Simone e Tamara per tracciare e fare fotografie, ma non mi sentivo per niente a mio agio. La presenza della natura era talmente forte e potente che ho capito subito che lĂŹ ci si lasciava le penne sul serio. Dopo quel giorno ho deciso che io, al Campo I, non ci sarei mai andato. Un ambiente troppo imprevedibile e pericoloso a cui non riuscivo a dare una misura.

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e potente che ho capito subito che lì ci si lasciava le penne sul serio. Dopo quel giorno ho deciso che io, al Campo I, non ci sarei mai andato. Un ambiente troppo imprevedibile e pericoloso a cui non riuscivo a dare una misura. Per questo motivo i giorni seguenti Matteo ed io documentavamo a distanza, io con il teleobiettivo e Matteo con il drone. Sono stati giorni in cui stavamo appostati anche quattro o cinque ore su una collina all’entrata dell’icefall (foto) mentre Simone e Tamara cercavano il percorso più sicuro per arrivare al Campo I. In sette o otto ore di lavoro Simone e Tamara salivano solamente poche centinaia di metri lineari. Quando il freddo diventava insopportabile Matteo ed io tornavamo in tenda a ricaricare le batterie per il giorno dopo e a visionare il materiale della giornata per gli aggiornamenti in tempo reale. Nel frattempo Simone e Tamara tornavano e cenavamo tutti insieme. Giusto il tempo di fare una partita a carte e bere un sorso di genepì ed era già ora di andare a dormire. Sintetizzata in questo modo la giornata poteva sembrare una gran rottura di coglioni, ma in realtà ci siamo divertiti durante tutta la spedizione. Ti va di descriverci il giorno dell’incidente e il modo in cui ha “rotto” gli schemi che caratterizzavano la vostra vita da quel momento in avanti? Mi ricordo che era una bellissima giornata di alta pressione. Saranno stati -25gradi a mezzogiorno, un freddo che difficilmente dimentichi. Ero appena rientrato con Matteo al campo base. Cercavamo di recuperare la sensibilità ai piedi persa nelle ore di appostamento per le riprese e le fotografie a distanza. La finestra di bel tempo poteva permettere a Simone e Tamara di allestire Campo I il giorno stesso e forse addirittura arrivare a Campo II in quelli successivi. Eravamo d’accordo con loro che ci saremmo sentiti via radio la mattina seguente. L’incidente è stato questione di un attimo. Simone ci ha chiamato spaventato per dirci che era caduto in un crepaccio.

Insieme a Matteo, il cuoco, l’aiuto cuoco, l’ufficiale di collegamento e il responsabile dell’agenzia abbiamo aspettato Simone e Tamara all’entrata dell’icefall fino a sera inoltrata, al buio, durante una leggera nevicata. Neanche il tempo di rendermene conto e il giorno dopo ci stavano estraendo in elicottero a Skardu: fine della spedizione. È stato il momento più strano di tutto il viaggio, davvero surreale. Lo stacco netto che sancisce il passaggio dallo svolgimento alla fine della spedizione è stato un aspetto che non mi ero mai figurato nella mia testa. Mi è dispiaciuto che il sogno di questa esperienza si sia interrotto improvvisamente ma, devo ammettere, che la doccia calda che ne è seguita è stato un sogno d’intensità quasi pari alla spedizione stessa. D’altronde, cosa vuoi che ti dica, il freddo al campo base si faceva sentire per davvero. Dopo un mese e mezzo di spedizione sei rientrato a casa ma, poco dopo il tuo rientro, ti sei ritrovato - come tutti noi - in una nuova situazione di isolamento. Quali sono secondo te le differenze tra le due tipologie di solitudine che hai vissuto e stai vivendo? L’isolamento in Pakistan era voluto ed era in una delle catene montuose più belle del pianeta, mentre l’isolamento che sto vivendo ora mentre rispondo a queste domande non è voluto direttamente da me e, soprattutto, è circoscritto tra le mura del mio piccolo appartamento. In Pakistan eravamo isolati, ma non mi sono mai sentito solo. Tra queste quattro mura mi sono sentito molto più solo che in una tenda di notte a -35°C in Karakorum. Sto vivendo questa nuova esperienza come se fosse una vera e propria spedizione, un processo di ricerca interiore anziché sulla cima delle montagne. Complessivamente cosa ti sei portato a casa da questa esperienza per il tuo futuro umano e professionale? Se mi chiedessero: “rifaresti un’esperienza simile?”, la mia risposta sarebbe “dipende”. Sarei disposto nuovamente a seguire una spedizione in un luogo remoto nella sua stagione più fredda, ma non sono sicuro che l’alpinismo himalaya-

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L’incidente è stato questione di un attimo. Simone ci ha chiamato spaventato per dirci che era caduto in un crepaccio. Abbiamo aspettato Simone e Tamara all’entrata dell’icefall fino a sera inoltrata, al buio, durante una leggera nevicata. no sugli Ottomila rifletta pienamente la mia ricerca di avventura. So di essere un alpinista ma non un himalayista. La componente di rischio che ho percepito nel corso di questa esperienza era troppo alta per me. Però posso dire che nel trekking di avvicinamento ho potuto ammirare una distesa di cime inviolate in cui, a mio modesto parere, il mix tra la componente oggettiva di rischio e la mia capacità soggettiva di percepirlo, era accettabile. Posso dire quindi che in futuro cercherò di partecipare ad altre spedizioni internazionali, ma non so se saranno spedizioni simili a questa appena conclusa. La spedizione si è rivelata utile perché ho avuto anche il tempo di pensare a quello che vorrei fare in futuro: intraprendere un cambio di rotta su alcuni aspetti della mia vita professionale e personale. Per quanto riguarda la mia professione vorrei concentrarmi su progetti più a lungo termine che mi permettano di vivere un’esperienza piena e non il solito “mordi e fuggi” che sono solito vivere tra un progetto e l’altro. Desidero migliorare il mio stile di fotografia, regia e scrittura e indirizzarli verso progetti documentaristici. Vorrei allargare i miei orizzonti e dare al mio lavoro un valore ancora maggiore, ancora più umano.


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152. 153. 154. 155. 156. 157. 158. 159. 160. 161. 162. 163. 164. 165. 166. 167. 168. 169. 170. 171. 172. 173. 174. 175. 176. 177. 178. 179. 180. 181. 182. 183. 184. 185. 186. 187. 188. 189. 190. 191. 192. 193. 194. 195. 196. 197. 198. 199. 200. 201. 202. 203. 204. 205. 206. 207. 208. 209. 210. 211. 212. 213. 214. 215. 216. 217. 218. 219. 220. 221. 222. 223. 224. 225. 226. 227. 228. 229. 230. 231. 232. 233. 234. 235. 236. 237. 238. 239. 240. 241. 242. 243. 244. 245. 246. 247. 248. 249. 250. 251. 252. 253. 254. 255. 256. 257. 258. 259. 260. 261. 262. 263. 264. 265. 266. 267. 268. 269. 270. 271. 272. 273. 274. 275. 276. 277. 278. 279. 280. 281. 282. 283. 284. 285. 286. 287. 288. 289. 290. 291. 292. 293. 294. 295. 296. 297. 298. 299. 300. 301. 302. 303. 304. 305. 306. 307. 308.

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309. 310. 311. 312. 313. 314. 315. 316. 317. 318. 319. 320. 321. 322. 323. 324. 325. 326. 327. 328. 329. 330. 331. 332. 333. 334. 335. 336. 337. 338. 339. 340. 341. 342. 343. 344. 345. 346. 347. 348. 349. 350. 351. 352. 353. 354. 355. 356. 357. 358. 359. 360. 361. 362. 363. 364. 365. 366. 367. 368. 369. 370. 371. 372. 373. 374. 375. 376. 377. 378. 379. 380. 381. 382. 383. 384. 385. 386. 387. 388. 389. 390. 391. 392. 393. 394. 395. 396. 397. 398. 399. 400. 401. 402. 403. 404. 405. 406. 407. 408. 409. 410. 411. 412. 413. 414. 415. 416. 417. 418. 419. 420. 421. 422. 423. 424. 425. 426. 427. 428. 429. 430. 431. 432. 433. 434. 435. 436. 437. 438. 439. 440. 441. 442. 443. 444. 445. 446. 447. 448. 449. 450. 451. 452. 453. 454. 455. 456. 457. 458. 459. 460. 461. 462. 463. 464. 465.

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466. 467. 468. 469. 470. 471. 472. 473. 474. 475. 476. 477. 478. 479. 480. 481. 482.

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583. 584. 585. 586. 587. 588. 589. 590.

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Switzerland 612. 613. 614. 615. 616. 617. 618. 619. 620. 621. 622. 623. 624. 625. 626. 627. 628. 629.

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Spain 682. 683. 684. 685. 686. 687. 688. 689. 690. 691. 692. 693. 694. 695. 696. 697. 698. 699. 700. 701. 702. 703. 704. 705. 706. 707.

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708. 709. 710. 711. 712. 713. 714. 715. 716. 717. 718. 719. 720. 721. 722. 723. 724. 725. 726. 727. 728. 729. 730. 731. 732. 733. 734. 735. 736. 737. 738. 739. 740. 741. 742.

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743. 744. 745. 746. 747. 748. 749. 750. 751. 752. 753. 754. 755. 756. 757. 758. 759. 760. 761. 762. 763. 764. 765. 766. 767. 768. 769. 770. 771. 772. 773. 774. 775. 776. 777. 778. 779. 780.

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England UK 781. 782. 783. 784. 785. 786. 787. 788. 789. 790. 791. 792. 793. 794. 795. 796. 797. 798. 799. 800. 801. 802. 803. 804. 805. 806. 807. 808. 809. 810. 811. 812. 813.

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LAST WORD BY

D AV I D E F I O R A S O

“Penso che non riuscirei a mantenermi in buona salute, sia nel corpo che nello spirito, se non trascorressi almeno quattro ore al giorno vagabondando per i boschi, per le colline e per i campi, totalmente libero da ogni preoccupazione terrena”

aver commesso un peccato che devo espiare, e confesso che mi stupisce sempre la grande capacità di resistenza, l’insensibilità morale dei miei vicini, tutto il giorno reclusi, per settimane, per mesi e per anni”…

Oggi, che camminiamo perché possiamo, rinasce tutta la nostra umanità.

“Io, che non riesco a rimanere nella mia stanza neppure un giorno senza ricoprirmi di ruggine, quando mi accade di poter predisporre la mia passeggiata soltanto alle undici, o alle quattro del pomeriggio […] sento di

“Mi sorprende che a quest’ora […] non si avverta per le strade un’esplosione generale che disperda ai quattro venti, per una boccata d’aria, una moltitudine di idee stantie e di fantasie coltivate tra quattro mura.”

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P H OTO BY M AT T EO PAVA N A

Oggi più che mai, a distanza di oltre un secolo e mezzo da queste parole, ci siamo ritrovati a sperimentare sulla nostra pelle la condizione di reclusi. Senza che la natura potesse entrare nella nostra routine, abbiamo riscoperto il contatto intimo con i suoi aspetti più semplici e banali. Ciò che colpisce sempre di Thoreau è la sua attualità. Non solo perché propone temi che oggi sono diventati urgenti, ma perché lo fa lontano da semplificazioni e ingenuità, con una precisa idea, radicalmente diversa dalle distorsioni naïf di tanta ecologia moderna.

Per Henry David Thoreau la soluzione più semplice e immediata per mettere in atto le lezioni ecologiste di Emerson era una sola: camminare. Camminare non in senso metaforico, ma reale. Allontanarsi fisicamente dal villaggio, dalla gente, dagli affari. Lasciarsi alle spalle i campi coltivati ed entrare nel mondo incontaminato delle foreste, scomparire tra alberi e rocce come un lupo solitario. Camminare, per Thoreau, significava aprire gli occhi, rendersi conto del pericolo a cui il genere umano stava andando incontro nel nome dello sviluppo e del progresso.


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