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HEIMATSCHUTZ PATRIMOINE
Finestra in lingua italiana
Patrimonio culturale a rischio
EDITORIALE
TEMI D’AT TUALITÀ
Un bell’inizio per l’Anno del patrimonio culturale 2018
IL COMMENTO
Nel 2018, eccezionalmente l’Heimatschutz Svizzera ha assegnato l’ambito Premio Wakker non a un comune bensì alla Nova Fundaziun Origen, che dal 2006 organizza un rinomato e apprezzato festival culturale nel villaggio grigionese di Riom. Afflitta dal problema dello spopolamento, questa piccola località di montagna può così tornare a guardare con una certa fiducia al futuro. Giovanni Netzer, il direttore del festival, ci parla del suo progetto in un’intervista in cui spiega, fra le altre cose, come la fondazione Origen fa rivivere edifici da tempo abbandonati. Così, in un’appartata valle alpina il passato diventa la fonte da cui attingere soluzioni per il futuro. Si tratta di un segnale forte con cui cominciare l’Anno del patrimonio culturale, ma non è certo l’unico. Nelle pagine che seguono, presentiamo anche la versione aggiornata e rielaborata della nostra Lista rossa, uno strumento che sin dal 2003 ci aiuta a lottare contro la distruzione dei monumenti storici, come l’antica casa di legno di Steinen SZ, oggi a rischio. Da febbraio, sul sito della Lista rossa potrete sostenere attivamente la campagna per salvare questo edificio risalente all’epoca della battaglia di Morgarten. In allegato al presente numero trovate anche il programma delle attività previste per l’Anno del patrimonio culturale. Le nostre sezioni organizzano un’ottantina di eventi all’insegna del motto «Salvaguardia del patrimonio: perché e per chi?»: non mancate! Adrian Schmid, Segretario generale dell’Heimatschutz Svizzera
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Utilizzare per conservare Edifici trascurati nei centri storici, negozi deserti, stalle senza animali, chiese inutilizzate: non sono le opportunità a mancare. Ma per attirare gli investitori, alle vecchie strutture vanno trovate nuove destinazioni. La conservazione di tipo museale è da prendere in considerazione solo in casi eccezionali. La regola è un diverso impiego degli edifici. Da sempre le fortezze sono state trasformate in castelli, le stalle in abitazioni (e viceversa) e i conventi in stabili amministrativi o in alberghi. Per quanto riguarda le chiese, abbiamo ancora qualche scrupolo dettato da un senso di rispetto che, come nota con un monito Jacques Herzog nella NZZ, può essere a tutt’oggi giustificato. Più facile è invece il recupero di manufatti industriali e la loro trasformazione in spazi abitativi o culturali, l’insediamento di uffici in antiche residenze signorili o di attività alberghiere e di ristorazione in castelli o addirittura in vecchie prigioni. In questi casi diventa decisivo in che misura viene conservata la struttura storica dopo la riqualificazione. Prima di intraprendere cambiamenti di tipo strutturale, si dovrebbe sempre riflettere sulle conseguenze in termini di eredità culturale degli edifici. Si prenda l’esempio dell’accorpamento dei tribunali distrettuali dei Cantoni Vaud e Berna e del loro trasferimento in anonimi stabili amministrativi, che ha costretto a trasformare in musei o in case di vacanza quei castelli che sin dal tardo Medioevo erano stati sedi del potere giudiziario. Sovente le autorità, i proprietari e gli architetti insistono nel voler abbattere o sventrare edifici storici che si potrebbero invece rinnovare con interventi più lievi. Nei vecchi edifici è contenuta molta energia grigia. Sono spesso costruiti e isolati meglio rispetto a quelli del dopoguerra, quando l’energia per il riscaldamento costava poco e il risparmio energetico non era una preoccupazione. In questi casi la demolizione non è una soluzione in linea con la sostenibilità. Quando le stufe, le
travi, le pareti rivestite di legno e i pavimenti vecchi di secoli finiscono in una discarica e le antiche mura stentano a nascondere lo scempio racchiuso al loro interno, il risultato è una conservazione quasi museale di elementi casuali in cui si perde ogni valore di memoria. Certo, lavori quali il restauro artistico di affreschi originali – come quelli di recente scoperti in un edificio del Trecento nel centro storico di Aarau – spesso non sono alla portata dei proprietari. Si potrebbe però in questi casi coprirli con pannelli in cartongesso in modo da conservarli per le generazioni future. Compromessi di questo tipo sono molto meno dispendiosi rispetto a uno sventramento con successivi lavori di costruzione da zero. Molti centri storici faticano a sopravvivere proprio per via di pigioni eccessive dovute a un adeguamento esagerato a presunte «esigenze moderne». È chiaro che le spese devono rimanere entro limiti ragionevoli. Se una ristrutturazione come il recente restauro della Haus zum Rechberg – un palazzo di Zurigo che era di per sé già molto ben conservato – costa oltre 20 milioni, è evidente che poi altrove mancheranno i soldi. Salvare solo qualche gioiello architettonico e sacrificare poi il resto del nostro patrimonio non è certo la strada giusta. Anche in questo caso è necessario un cambio di mentalità! Martin Killias, Presidente dell’Heimatschutz Svizzera
FORUM GUARDARE E PARTECIPARE 6
Lanciata la nuova Lista rossa Dal 2003, l’Heimatschutz Svizzera si impegna online nella difesa di numerosi monumenti a rischio, inserendoli in una Lista rossa. Poco attiva negli ultimi anni, in occasione dell’Anno del patrimonio culturale 2018 la Lista rossa è stata rilanciata in una nuova veste, più fresca e moderna, con uno sguardo retrospettivo, rivolto all’esperienza finora accumulata, e uno al futuro, rivolto agli obiettivi e al suo nuovo funzionamento. Michèle Bless e Peter Egli, Heimatschutz Svizzera
All’insegna del motto «Sharing Heritage», l’Anno europeo del patrimonio culturale 2018 è un’iniziativa volta a promuovere la consapevolezza del nostro ricco patrimonio culturale, a contribuire alla sua tutela e a risvegliare l’interesse della società. In Svizzera, la campagna si chiama «#Patrimonio2018 – Guarda!»
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e intende mettere in evidenza il valore del patrimonio culturale per i singoli, per la società e per l’influsso positivo che esso ha in molteplici ambiti. La nuova Lista rossa è uno dei principali progetti dell’Heimatschutz Svizzera per l’Anno del patrimonio culturale 2018 e si ispira alle campagne nazionale ed europea con il motto: guardare e partecipare! Questa nuova versione della Lista funge innanzitutto da punto di partenza e da bacino di raccolta per tutto ciò che avviene – oggi più che mai – sui media sociali. Negli ultimi mesi, l’Heimatschutz Svizzera ha quindi consolidato la sua presenza su Facebook e Twitter, gettando le basi per una nuova piattaforma di scambio. La nuova Lista rossa è già da ora consultabile allo stesso indirizzo di prima: www.listarossa.ch. Benché il sito sia ancora un po’ sguarnito, contiene varie informazioni utili sul progetto e consente di registrarsi come persone interessate o come sostenitori. Per essere sempre aggiornati sugli oggetti a rischio è possibile inoltre iscriversi alla newsletter e seguire l’Heimatschutz Svizzera su Facebook e Twitter. Un punto di riferimento Nel marzo 2003, l’Heimatschutz Svizzera aveva lanciato la Lista rossa degli edifici a rischio allo scopo di rendere manifesto l’urgente bisogno di un’azione rivolta alla cura e alla tutela dei monumenti. Nel corso degli anni, sono stati inseriti nell’elenco circa 170 oggetti, di cui una sessantina sono stati preservati. Circa quaranta sono stati invece demoliti. La Lista rossa dell’Heimatschutz Svizzera è diventata un punto di riferimento e ha mostrato in diversi ambiti la sua efficacia. Per esempio, richiamando l’attenzione sui casi d’attualità e fungendo da cassa di risonanza per appelli e messaggi. È stato così possibile sostenere campagne come quella per salvare la Kongresshaus di Zurigo (un successo) o, sempre a Zurigo, quella per lo scalo merci (una sconfitta) oppure quella per il cinema Plaza di Ginevra (tutt’ora in corso) e dimostrare in questo modo l’impegno dell’Heimatschutz. Diversi edifici d’importanza regionale, spesso oggetto di controversie locali, hanno guadagnato le pagine della stampa nazionale proprio perché inseriti nella Lista rossa. Un esempio è quello di Casa Demont a Vella GR, demolita illegalmente nel 2003, un altro la vittoriosa battaglia per salvare il marciapiede sopraelevato delle ferrovie del Rigi alla stazione di Arth-Goldau SZ. Grazie alla Lista rossa numerosi edifici hanno trovato nuovi proprietari. Alcuni casi sono stati presentati nella nostra rivista, per esempio il Castello di Thayngen SH (n. 2/2007) e le case gemelle di Riom-Parsonz GR (n. 1/2010). Questo elenco degli edifici a rischio in tutta la Svizzera è stato spesso utilizzato come fonte d’informazioni o di idee: per esempio da studenti alla ricerca di un tema per la tesi di laurea o da registi e fotografi a cui servivano luoghi particolari per scatti e riprese. L’ex sanatorio di Piotta TI ha suscitato un interesse particolare ed è stato al centro di diversi progetti artistici. Tutte queste attività innescate dalla Lista rossa hanno promosso l’idea che gli edifici storici sono un bene prezioso e una fonte d’ispirazione anche per molte persone non direttamente coinvolte nella tutela del patrimonio architettonico. La Lista rossa è inoltre stata il punto di partenza per diversi progetti dell’Heimatschutz Svizzera. Nel 2005, si è festeggiato il centenario del calzaturificio Hug di Dulliken SO, un oggetto della Lista oggi salvo. Altri edifici catalogati, come Casa Türali a
Valendas GR e le case di pescatori di Romanshorn TG, sono diventati residenze della Fondazione Vacanze in edifici storici dell’Heimatschutz. Ci sono poi parecchi oggetti segnalati di cui si sono occupate direttamente le sezioni cantonali dell’Heimatschutz che, attraverso trattative, opposizioni e aiuti, sono riuscite a trovare soluzioni adeguate, spesso senza che fosse necessario inserire i monumenti in questione nella Lista rossa. Dalla «vecchia» alla «nuova» Lista rossa Negli ultimi anni, il Segretariato generale ha dato priorità ai due grandi progetti della Fondazione Vacanze in edifici storici e del Centro Heimatschutz di Villa Patumbah. Per questa ragione la Lista rossa non è più stata gestita in modo attivo. D’altro canto, in questo periodo il mondo di internet e le modalità d’interazione sociale a esso legate hanno subito mutamenti radicali. Gli scambi su singoli casi che la Lista rossa incoraggiava si sono spesso tradotti in dialoghi che si svolgevano direttamente, via e-mail o attraverso la stampa. Era dunque molto difficile riagganciare opinioni di terzi, commenti e inviti a effettuare donazioni o a firmare petizioni ai casi in questione. Di qui l’esigenza di una nuova versione della Lista. La piattaforma continua a concentrarsi in prima linea sugli oggetti a rischio, siano essi singoli edifici, complessi o altre testimonianze del patrimonio architettonico meritevoli di conservazione. Tuttavia, ora le attività si svolgono innanzitutto sui media sociali. L’efficacia e la grande reattività di questo nuovo approccio sono notevoli. Lo mostra bene quanto è successo la scorsa primavera quando, con il sostegno dell’Heimatschutz Svizzera, l’Ufficio dei beni culturali vallesano ha promosso un ultimo tentativo per salvare uno stabile di oltre cinquecento anni a Mund, presso Naters VS. Stefan Höhn, uno specialista di costruzioni a incastro tradizionali, ne era stato allertato dalla pagina Facebook dell’Heimatschutz. Era un giovedì. Il sabato seguente, era già in Vallese con la compagna per acquistare l’edificio, che è quindi stato salvato. Un nuovo inizio La nuova Lista rossa è stata attivata a metà febbraio. Le possibilità di partecipazione per tutte le persone interessate sono numerose: condividere, recensire, commentare, sostenere. Ampio spazio è dato anche alle singole sezioni dell’Heimatschutz, che contribuiscono portando all’attenzione generale casi specifici, o il lavoro dei gruppi locali impegnati nel salvataggio di un determinato oggetto. Per lanciare al meglio la nuova Lista rossa, abbiamo presentato una situazione che ha fatto parlare di sé in tutta la Svizzera: la casa di legno di Steinen SZ, vecchia settecento anni e a rischio di distruzione. In autunno, il governo del Cantone Svitto ha deciso di ignorare una perizia della Commissione federale dei monumenti storici (CFMS) e di concedere il permesso di demolizione per una casa risalente all’epoca della battaglia di Morgarten (1315). L’Heimatschutz Svizzera e la sua sezione svittese si sono opposti a tale decisione presso il tribunale amministrativo cantonale, che ha fatto momentaneamente sospendere i lavori di demolizione. Un verdetto decisivo è previsto entro breve. Sulla Lista rossa è possibile seguire la vicenda. È evidente che la gestione della Lista rossa ha i suoi costi. L’Heimatschutz Svizzera ha la grande fortuna di poter contare sul
sostegno di una famiglia estremamente generosa del Cantone Zurigo. Ciononostante, abbiamo sempre bisogno dell’aiuto del settore pubblico, delle fondazioni e dell’impegno dei singoli. Stiamo facendo di tutto per garantire il finanziamento di questo progetto. Il nostro Segretario generale Adrian Schmid è a disposizione per ogni domanda. Sul nostro sito trovate informazioni su tutte le possibilità per sostenere la Lista rossa: attraverso contributi mirati per i singoli casi, donazioni per il progetto nel suo complesso o con un’adesione all’Heimatschutz Svizzera, che nell’Anno del patrimonio culturale 2018 rimane il modo più efficace per dimostrare il proprio desiderio di «guardare e partecipare».
A COLLOQUIO CON GIOVANNI NETZER 10
Dare al villaggio una prospettiva per il futuro All’inizio c’era solo il castello, poi si sono aggiunte una villa, una stalla, una scuola: dal 2006, a Riom GR il Festival Origen fa rivivere spazi abbandonati. Per questo alla Nova Fundaziun Origen è stato conferito il Premio Wakker 2018. Il direttore del festival Giovanni Netzer è la forza trainante di queste importanti iniziative. Marco Guetg, giornalista, Zurigo
Signor Netzer, può svelarci qual è stata la sua reazione quando ha saputo che la Nova Fundaziun Origen avrebbe ricevuto il Premio Wakker? Ero felicemente stupito. Guardando ai vincitori degli anni passati, mi sono chiesto se davvero meritassimo un riconoscimento tanto prestigioso. E una volta passata l’iniziale meraviglia, ha trovato risposta ai suoi dubbi? Ho interpretato questo riconoscimento in occasione dell’Anno del patrimonio culturale 2018 come un incoraggiamento, un segno che siamo sulla buona strada e uno stimolo ad andare avanti. Vorremmo però approfittare del fatto di avere gli occhi puntati su di noi per mettere in pratica i nostri valori e per attirare l’attenzione sui progetti futuri che la fondazione ha previsto per Riom. Quali sono? Casa Frisch, sulla piazza del paese, per esempio. È un edificio concepito in grande stile, fatto costruire dalla famiglia Frisch
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dopo l’incendio che ha devastato il villaggio nel 1864. Da allora non ha quasi subito modifiche e oggi è in vendita. Vorremmo procedere con una leggera ristrutturazione per mettere a disposizione dei collaboratori della fondazione tre appartamenti. Abbiamo piani anche per la vecchia scuola e per l’ex casa comunale, che si trovano anch’esse sulla piazza. La nostra idea è di fare della piazza un punto di accoglienza, con un centro informazioni e un ufficio per lo sviluppo, che sarà il nostro «laboratorio». A Riom, la fondazione affitta anche alcune case di vacanza. Il festival offre ventidue posti di lavoro a tempo pieno. Di questi, una dozzina sono occupati tutto l’anno, gli altri sono impieghi temporanei per gli artisti. È per queste persone che abbiamo preso in affitto quindici residenze secondarie. Vogliamo che gli artisti e i collaboratori abitino insieme alla gente del posto, perché in tal modo si crea un’atmosfera gradevole e si incoraggiano scambi stimolanti. Origen usa il castello di Riom come teatro dal 2006. L’idea è nata dalla voglia di fare teatro in questa regione o perché la stuzzicava usare il castello come teatro? Perché volevo usare il castello come teatro! Sono cresciuto a Savognin e da piccolo vedevo il castello dalla finestra della mia stanza. Ma la prima volta che vi ho messo piede sono rimasto deluso. Nella mia immaginazione le dimore dei cavalieri avevano tutto un altro aspetto. Lavorando in ambito teatrale ho però sempre ritenuto questo luogo molto affascinante. C’è poi una ragione del tutto pratica: il castello aveva un tetto. Ho disegnato i piani per un palcoscenico e li ho presentati all’ufficio cantonale dei beni culturali, che mi ha dato il via libera. Marcel Liesch, l’architetto, ha realizzato una struttura in legno che si può montare dentro al castello come un mobile. Anche Peter Zumthor si è occupato del castello di Riom. Esiste un interessante schizzo di Zumthor, che propone un tetto di vetro e ridefinisce la struttura esterna. Il suo progetto avrebbe permesso di usare il castello come teatro anche oltre i mesi estivi. Non abbiamo seguito la sua idea perché con l’apertura della sede invernale a Villa Carisch e la trasformazione della stalla annessa in teatro, potevamo già soddisfare buona parte delle nostre esigenze. Parlando di Villa Carisch, già casa di vacanze per le monache di Menzingen, come viene usata oggi? La casa, ristrutturata con lavori poco invasivi, ospita un caffè su due piani. È un cambiamento di destinazione che ammicca alla sua storia, poiché Lurintg Carisch era pasticcere. Emigrato a Parigi nel XIX secolo, si era arricchito per poi tornare in patria, dove fece erigere questa elegante dimora con stalla annessa. Oggi, Villa Carisch è il luogo centrale del festival con il guardaroba, il foyer e uno spazio d’incontro. Passando invece alla stalla-teatro, non avete soltanto realizzato un sogno, ma anche un’opera esteticamente riuscita: il progetto di Carmen Gasser e Remo Derungs è stato insignito della Distinzione architettura 2017. Innanzitutto, va sottolineato l’aspetto pratico: questa stalla è diventata un teatro utilizzabile tutto l’anno. Ma è chiaro che il progetto è stato realizzato anche sulla base di considerazioni di
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ordine estetico, acustico, tecnico e pensando all’atmosfera che si voleva creare. La domanda fondamentale era capire se una stalla potesse davvero trasformarsi in una sala per spettacoli. Le reazioni che suscita il risultato dimostrano che è stata una scelta azzeccata. Gli uffici del festival non sono a Villa Carisch bensì nel vicino edificio scolastico. Come mai? Nella villa non c’era abbastanza spazio. Inoltre, gli uffici avrebbero guastato l’atmosfera calma del luogo. La nostra intenzione era di creare un’oasi per il pubblico del festival, un punto d’incontro per tutti quelli che vi partecipano, uno spazio tranquillo che magari invogli a leggere mentre si gusta un macaron fatto in casa. La sala polivalente di Monica Brügger data degli anni Sessanta, mentre la scuola progettata da Pablo Horvath è stata inaugurata nel 2006. Entrambe sono esempi di architettura di qualità, ma erano rimaste a lungo vuote. Un segno dei tempi? Certo, ma anche un segno del fatto che fino a non molto tempo fa a Riom si era convinti che il paese sarebbe ancora cresciuto. Lei si occupa di teatro. Dove cerca consiglio per le questioni di cultura architettonica? Origen dispone di un’ampia squadra di validi consulenti che contribuiscono con le loro idee personali e i loro pareri tecnici. Collabora con le autorità preposte ai beni culturali? Sì, anche se la maggior parte degli oggetti non è protetta, per cui non saremmo tenuti a consultarci con loro. Io però apprezzo gli scambi con i professionisti. Come funziona la collaborazione con la sezione grigionese dell’Heimatschutz? Siamo costantemente in contatto con la direttrice, Ludmilla Seifert. Teniamo molto a questo dialogo. La nostra è un’istituzione culturale i cui spettacoli sono reinterpretazioni di materiale preesistente, rappresentati in spazi storici che per noi assumono funzioni nuove. Non siamo alla ricerca di rotture bensì di evoluzioni. Lavorando in questo modo ci capita di fare qualcosa di completamente inedito, il che è anche un segno della nostra fiducia nel futuro! Ciò è importante da un punto di vista psicologico: chi trascorre un po’ di tempo in un paesello delle Alpi si rende conto che in questi villaggi aleggia una sorta di sentimento di costante depressione. Origen ha collaborato con la sezione grigionese dell’Heimatschutz per l’allestimento di una mostra su Riom. Qual era il suo scopo? Abbiamo voluto riflettere insieme agli abitanti sugli edifici e sul futuro di Riom, e chiederci se il festival sia in grado di dare prospettive per l’avvenire del villaggio. Oltre alle questioni relative alle opportunità di lavoro, si sono approfondite quelle riguardanti le competenze sociali e la cultura architettonica. In sintesi, ci siamo domandati se saremo in grado di integrare persone perlopiù provenienti da fuori in modo che la loro presenza possa portare beneficio a tutto il villaggio. Sono domande che bisogna porsi, se si desidera contribuire davvero allo sviluppo del paese.
L’impegno di Origen a Riom e nella regione va quindi visto anche come un messaggio politico? Politico e sociale! Dopo tutto stiamo parlando dello sviluppo della regione. Limitarsi a pensare a come conservare l’aspetto romantico dei villaggi senza fornire alcuna garanzia economica non funziona. In realtà, non sono nemmeno sicuro che la cultura possa essere una soluzione a lungo termine. Sono tuttavia certo che questi paesini hanno bisogno di nuova linfa vitale, che l’agricoltura non è più in grado di fornire. Si costruisce fuori dagli abitati, mentre le case e le stalle in paese vengono abbandonate. Ecco perché siamo decisi a mettere radici a Riom e ad assicurare le risorse finanziarie del festival in modo da poter reagire anche a cambiamenti strutturali futuri. Le idee e le visioni sono una cosa, le finanze un’altra. Dove trovate i fondi per tutti questi investimenti? Attraverso le quote sociali dei nostri membri, le donazioni, il sostegno di mecenati e i contributi pubblici. Il governo grigionese ha appena deciso di considerare Origen un’iniziativa di rilevanza sistemica per la regione e di mettere a disposizione mezzi importanti per gli investimenti infrastrutturali futuri.
OPPORSI O PARTECIPARE? 14
L’Heimatschutz e l’energia idroelettrica durante la Seconda guerra mondiale I piani per l’economia di guerra prevedevano la realizzazione di immensi progetti idroelettrici, che avrebbero sommerso intere valli e località alpine. Non immune dalla pressione del movimento della cosiddetta Difesa spirituale, l’Heimatschutz Svizzera fece fatica a prendere una chiara posizione in merito. L’ombra delle discussioni di allora si allunga fino al dibattito odierno sulla Strategia energetica 2050. Patrick Schoeck-Ritschard, Heimatschutz Svizzera
Qual è il valore aggiunto di Origen per la regione? Non c’è ancora stato uno studio serio in questo senso. Posso solo dire che nel 2017 Origen ha speso cinque milioni di franchi tra stipendi e investimenti, e che abbiamo accolto circa 27 000 visitatori. Sappiamo quanti ospiti soggiornano nella valle e quanti soldi portano, per cui il valore aggiunto dal punto di vista del turismo si situa intorni ai due milioni di franchi. Castello, villa, stalla, scuola... Non sarebbe stato più semplice costruire dal nulla un «gran teatro» in mezzo a un prato inutilizzato? No, anche se i grandi progetti architettonici hanno il loro fascino. Abbiamo fatto teatro in grotte, gallerie ferroviarie, capannoni industriali, magazzini e chiese. La nostra esperienza ci ha insegnato che il tratto distintivo di un’istituzione culturale dell’arco alpino può essere proprio un approccio alternativo rispetto a quanto si vede in contesti più classici. Insomma, si fa di necessità virtù… …e in tal modo ci si accorge che le carenze costituiscono anche opportunità per la creazione di atmosfere particolari nei vari spazi disponibili. Abbiamo quindi capito che nelle Alpi non è necessario costruire infrastrutture come quelle dei centri urbani. È anzi più interessante includere nel proprio lavoro teatrale elementi preesistenti in origine destinate ad altri scopi. Giovanni Netzer è cresciuto a Savognin. Ha studiato teologia a Coira e dal 1989 a Monaco di Baviera, laureandosi allo stesso tempo in scienze del teatro e storia dell’arte. Nel 2001 ha conseguito il dottorato presso la Ludwig-Maximilian-Universität con una tesi sul dramma barocco retoromancio del XVIII secolo. Dal 1992 ha allestito vari progetti teatrali e operistici. La sua notorietà oltre i confini del Canton Grigioni è dovuta al suo impegno in qualità di direttore del Festival Origen, iniziato nel 2006 con uno spettacolo nel castello di Riom. Da allora, la manifestazione, con i suoi allestimenti nell’ambito del teatro musicale, ha destato interesse in tutto il cantone e all’estero. Nel 2007, è stata costituita la Nova Fundaziun Origen. Giovanni Netzer è stato insignito di numerosi riconoscimenti, tra cui l’Hans-Reinhart-Ring 2007 e il Premio grigionese per la cultura 2012. → www.origen.ch
La Strategia energetica 2050 mira a una riduzione dei consumi energetici della Svizzera e a un sostanziale incremento delle energie rinnovabili. Con un 58 per cento di sì, il popolo si è espresso nettamente a favore di tali obiettivi. Anche l’Heimatschutz Svizzera, insieme a un’ampia coalizione di organizzazioni ambientaliste, è favorevole a questa idea, ma allo stesso tempo tiene a precisare che la strategia energetica non dovrà essere in contraddizione con la salvaguardia del patrimonio culturale. Era infatti chiaro sin dall’inizio che da questo momento in avanti l’Heimatschutz dovrà confrontarsi con progetti sovradimensionati in contrasto con i principi di sostenibilità a lungo termine, che per questo suscitano accesi dibattiti nell’opinione pubblica. Ridurre o rafforzare il nostro coinvolgimento? Durante la Seconda guerra mondiale, l’Heimatschutz Svizzera si trovava in una situazione per certi versi simile a quella odierna. All’epoca sostenne lo sfruttamento dell’energia idroelettrica per compensare la riduzione delle scorte di petrolio e carbone. Al contempo, si vide confrontata con progetti di dighe che avrebbero sommerso ampie superfici di paesaggio antropico e interi insediamenti. La questione fondamentale era se fosse opportuno partecipare in maniera costruttiva a questi piani allo scopo di impedire almeno le conseguenze peggiori o se invece fosse necessario opporsi con forza a progetti sovradimensionati. La situazione di partenza era senza dubbio delicata: l’Heimatschutz Svizzera poté presentare il suo punto di vista all’Esposizione nazionale del 1939, la famosa «Landi», dove fu una voce importante nel coro dei sostenitori della cosiddetta Difesa spirituale. D’altro
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canto, i progetti idroelettrici sostenuti dalla Confederazione, di dimensioni inaudite per l’epoca, minacciavano proprio quei valori culturali per i quali l’Heimatschutz Svizzera si batteva. Un acceso dibattito Due grandi progetti provocarono in seno all’Heimatschutz un dibattito fondamentale nel 1941: bisognava sì o no, e in quale misura, opporsi a tali progetti a prescindere dalla consapevolezza delle necessità propugnate dalla Difesa spirituale? I piani per i Cantoni Uri e Grigioni erano spettacolari quanto radicali. Le dighe previste avrebbero sommerso tutta la Valle di Orsera, compresi Andermatt, Hospental e Realp, così come la Valle del Reno superiore (Rheinwald) con il villaggio di Splügen. Lo scontro tra le diverse fazioni fu particolarmente duro. Da un lato si schierarono personalità quali Hans Hofmann, professore al Politecnico di Zurigo e architetto a capo dell’Esposizione nazionale, ed Ernst Laur, il quale dirigeva contemporaneamente l’Heimatschutz, la Federazione dei costumi e la cooperativa artigianale Heimatwerk. Al gruppo appartenevano tutti quelli che sostenevano gli ideali della Difesa spirituale, difendendoli con tenacia. Dall’altro lato c’era chi riteneva che gli obiettivi a breve termine della produzione idroelettrica non potessero giustificare la perdita definitiva delle bellezze culturali e naturali del paese. Gli archivi federali conservano i verbali delle sedute infuocate del 1941. Vi si legge, per esempio, che Hans Hofmann tentò di persuadere il Comitato centrale del pregio estetico dei laghi alpini artificiali: «Il lago nella valle della Sihl impreziosirà il paesaggio; avremo anche ad Andermatt un magnifico laghetto di montagna1». La posizione di Hofmann era che, poiché le pressioni del Consiglio federale erano talmente forti da rendere inevitabile la costruzione della diga, il vero problema stava nella qualità architettonica dell’opera da realizzare. Dalla parte opposta, l’ispettore forestale del Canton Uri Max Oechslin argomentava che «l’ossequio per l’eredità dei nostri padri, della natura immacolata delle montagne e il rispetto del diritto alla propria terra dei vallerani ci vietano di acconsentire a interventi così brutali2». Sacrificare i villaggi e sradicarne gli abitanti sarebbe insomma stato un prezzo troppo alto, anche perché un progetto di tale portata non sarebbe comunque potuto essere completato prima della fine della guerra. Verso la resistenza Nel novembre del 1941, il Comitato centrale invitò un rappresentante comunale, uno della Lega svizzera per la protezione della natura e il presidente del Club Alpino a uno scambio di opinioni. La loro manifesta opposizione alla centrale elettrica del Rheinwald convinse una netta maggioranza dei membri. Benché ormai dalla parte degli sconfitti, Hans Hofmann, Ernst Laur e il Presidente dell’Heimatschutz Gerhard Boerlin non vollero lasciare la commissione speciale che cercava di accompagnare il progetto in modo consensuale. Il rapporto timidamente favorevole varato nel febbraio del 1942 dalla commissione capeggiata da Hans Hofmann fu la goccia che fece traboccare il vaso. L’idea di sommergere il fiero villaggio walser di Splügen e di trapiantarne la popolazione suscitò un’ampia ondata di sdegno e di opposizione, anche fuori dai confini grigionesi. La posizione assunta dalle varie organizzazioni alleate era altrettanto chiara. I vertici dell’Heimatschutz
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dovettero riconoscere che non era più possibile attenersi a una politica basata esclusivamente sul consenso. Dopo oltre un anno di accesi dibattiti, si giunse alla decisione definitiva: il Comitato centrale sostenne con risolutezza la causa degli abitanti di Splügen decidendo all’unanimità a favore di un’aperta opposizione al progetto del Rheinwald. L’epilogo A pochi mesi da quella disfatta, Hans Hofmann informò il Comitato centrale del suo mandato in seno al progetto idroelettrico della Valle di Orsera. Senza particolare entusiasmo e senza troppe discussioni, il Comitato ne prese atto, ma chiarì anche che «la partecipazione ai lavori preparativi non significa l’approvazione a priori del progetto. Al contrario, l’Heimatschutz si riserva la piena libertà, a tempo debito, di pronunciarsi per o contro l’opera prevista; a tale scopo, è tuttavia necessaria innanzitutto la presentazione di un progetto3». La fine della guerra e il parere contrario dell’opinione pubblica determinarono infine l’affossamento del progetto. Alla fine, sia nei Grigioni sia nella Valle di Orsera, furono realizzati progetti alternativi, più costosi, ma che hanno consentito di preservare il paesaggio e gli insediamenti storici. Oggi, in Svizzera non sarebbe più pensabile costruire dighe dalle conseguenze così devastatrici come quelle che vengono progettate in Medio Oriente o in Cina. Ciononostante, la Strategia energetica 2050 ha tutto il potenziale per compromettere il patrimonio culturale e paesaggistico del territorio. Per questo anche oggi l’Heimatschutz Svizzera ha l’obbligo di restare vigile e prendere posizione per tempo quando si tratterà di decidere se sostenere o combattere i progetti. 1 2 3
Libera traduzione dal verbale: Schweiz. Vereinigung für Heimatschutz. ZV, Prot. Nr. 1/1941, Libera traduzione dal verbale: Schweizer Heimatschutz. Prot. DV, 6. 9. 1941 Libera traduzione dal verbale: Schweiz. Vereinigung für Heimatschutz. Prot. Vorstandssitzung, No. 4/1942
LE FUNIVIE STORICHE STANNO SCOMPARENDO 20
Nessuna inversione di tendenza in vista Le funivie sono un elemento imprescindibile del patrimonio culturale svizzero. Eppure, ogni anno vengono smantellati diversi impianti storici. Urge più che mai una discussione seria su come mantenere in funzione queste meraviglie della tecnica e della nostra storia. Karin Artho, Direttrice Centro Heimatschutz
Ammirare dall’alto prati, boschi e villaggi pittoreschi durante una lenta risalita su una funivia storica evoca sogni e ricordi. È un’esperienza emotiva simile a quelle suscitate da viaggi su vecchi treni o su battelli a vapore. Eppure, il potenziale turistico di questi impianti storici manca spesso del dovuto riconoscimento. Sebbene il senso di autenticità e la lentezza siano oggi molto apprezzati, ogni anno sparisce qualcuno di questi impianti. È strano che ciò avvenga proprio in Svizzera, il paese delle funivie per eccellenza, che sin dagli inizi ha dato un contribuito decisivo, a livello mondiale, allo sviluppo di questo mezzo di trasporto. L’Heimatschutz Svizzera si impegna da tempo per il riconoscimento del valore di beni culturali delle funivie e per la loro salvaguardia in qualità di monumenti storici. Nel 2005, quando è stata chiusa la più antica funivia ancora in funzione in Svizzera, la Gumenbahn di Braunwald, l’Heimatschutz Svizzera ha presentato uno studio in cui per la prima volta si poneva l’accento sul valore culturale delle funivie. È seguita un’intensa campagna per salvare l’impianto del Weissenstein, in funzione dal 1950, l’ultimo dotato del sistema VR1010 (Von Roll) con le sue spettacolari seggiole trasversali ad ammorsamento automatico. In tal modo, la questione della conservazione delle funivie storiche è salita agli onori della cronaca nazionale. Ma i tempi non erano ancora maturi e i responsabili, non riconoscendo il potenziale turistico dell’impianto originale, l’hanno sostituito con una più moderna ed efficiente cabinovia. L’impresa pionieristica di un inventario svizzero Convinto dell’urgenza di catalogare le funivie storiche esistenti, nel dicembre del 2010 l’Ufficio federale della cultura ha dato avvio all’Inventario svizzero degli impianti a fune. Si è trattato di un’impresa pionieristica, poiché in nessun altro paese esisteva un catalogo che documentasse l’importanza per la storia della tecnica di questo tipo di impianti. Benché non sia vincolante sul piano giuridico, può tuttavia essere d’aiuto quando si tratta di decidere in merito al futuro di una determinata funivia. Purtroppo, questo strumento non è finora stato in grado di impedire la scomparsa delle linee storiche. Considerata la necessità di una sensibilizzazione al tema, il Centro Heimatschutz, la Gelbe Haus Flims e il Salzmagazin del Nidwaldner Museum di Stans hanno deciso di allestire la trilogia espositiva – Funi – via – pronti e via! –, visitabile in questo periodo. L’inventario della Confederazione è un elemento importante e viene trattato in tutte e tre le sedi in cui si tiene la mostra. Studiando l’inventario, ci si rende tristemente conto che in appena sette anni più di un terzo dei sessantacinque impianti registrati è stato smantellato o rischia di esserlo. Per esempio la leggendaria linea Les Diablerets-Isenau, con le sue caratteristiche cabine Giovanola rosse, è già ferma. La più lunga linea a fune unica portante-traente, quella che collega Grindelwald a Männlichen, è invece alla sua ultima stagione. Dopo che la funivia di Plan-Francey sul Moléson è stata smantellata, si è deciso di rinunciare anche a un’altra testimonianza storica: l’impianto di Cassons presso Flims. La spada di Damocle del termine della concessione Oltre alla necessità di aumentare la capacità di trasporto e la redditività economica, ciò che spesso motiva lo smantellamento è un’imposizione da parte delle autorità. Quando scade la
concessione, gli impianti sono spesso destinati a chiudere. Eppure, secondo gli esperti non mancherebbero le soluzioni tecniche per consentire alle linee storiche di continuare a funzionare in modo sicuro ed economicamente redditizio. Le autorità e i gestori degli impianti dovrebbero però essere determinati a perseguire questo obiettivo di comune accordo. La sostituzione dei vecchi impianti è spesso inevitabile e a prima vista mantenerli in funzione può sembrare alquanto difficile. Tuttavia, le funivie sono beni straordinariamente dinamici e la costante evoluzione tecnica è parte della loro natura. Non si può certo fermare il tempo, ma mantenere un impianto storico attraverso oculati interventi tecnici moderni è in molti casi sicuramente possibile. Osservando quanto si è riusciti a fare per esempio con la Predigtstuhlbahn di Bad Reichenhall in Germania o con la seggiovia di Krupka nella Repubblica Ceca è chiaro che in Svizzera c’è ancora molta strada da compiere. C’è però anche un barlume di speranza. Nella mostra – Funi – via – pronti e via! – sono presentati alcuni cimeli tutt’ora in esercizio, come la Palfriesbahn presso Sargans o la Wissifluh-Bahn a Vitznau. Questi esempi dimostrano che con un po’ di risolutezza, una visione chiara e una certa sensibilità per il patrimonio culturale, le soluzioni si possono trovare. Per fortuna, la mentalità sta cominciando a cambiare e questi progetti pioneristici possono fungere da modelli da seguire. In fondo, anche gli alberghi della Belle époque fino alla metà degli anni Ottanta venivano demoliti senza farsi troppi scrupoli, mentre oggi sono considerati perle architettoniche. Al momento però, non è ancora detto che sarà così anche per le funivie. Quattro principi
Per la mostra – Funi – via – pronti e via! –, Reto Canale, ingegnere diplomato del Politecnico di Zurigo ed esperto di impianti a fune, ha condensato in quattro punti i principali elementi da considerare per la salvaguardia e il mantenimento in esercizio delle funivie storiche. • La funivia come bene culturale e la tutela del paesaggio. Allo scopo di migliorare la velocità e la capacità delle funivie, nelle regioni turistiche di una certa importanza possono essere necessari nuovi impianti. Solitamente, le autorità esigono che la linea vecchia venga smantellata prima di realizzarne una nuova. Sarebbe in questi casi opportuno ponderare meglio i pro e i contro del mantenimento delle linee storiche tenendo conto della tutela del paesaggio. • Attrattività delle funivie storiche. Le vecchie funivie necessitano spesso di più personale e non è sempre facile trovare i pezzi di ricambio. Tuttavia, sfruttando appieno il loro potenziale turistico e collaborando con tutte le persone interessate – per esempio creando una cooperativa di gestione dell’impianto –, è possibile trovare soluzioni interessanti per garantire la continuità dell’esercizio. • Le funivie storiche sono sicure. Essendo in funzione da molti anni, gli impianti più vecchi hanno il vantaggio che conosciamo meglio i rischi come pure la frequenza con cui si possono presentare eventuali problemi. Questa esperienza costituisce un bagaglio di conoscenze utili a garantire un livello di sicurezza estremamente elevato anche negli impianti datati. • Tutela europea anche per le funivie svizzere. In Europa la possibilità di mantenere in esercizio linee storiche e di salvaguardarle come beni culturali è stata riconosciuta e sancita dal regolamento dell’UE sugli impianti a fune, a cui dal 1° gennaio 2018 fa riferimento anche l’ordinanza sugli impianti a fune svizzera. Si tratta ora di utilizzare queste disposizioni per sostenere in modo efficace il futuro delle funivie storiche. → Centro Heimatschutz, Zurigo: Tra cimeli e innovazione, 17 novembre 2017 - 28 ottobre 2018 → Das Gelbe Haus Flims: Gondelträume und Aussichten, 24 dicembre 2017 - 8 aprile 2018 / 23 giugno 2018 - 28 ottobre 2018 → Nidwaldner Museum, Salzmagazin: Kleinseilbahnen und Transportschiffchen, 24 marzo 2018 - 28 ottobre 2018
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HEIMATSCHUTZ SVIZZERA PREMIO WAKKER 30
Premio Wakker 2018 alla Nova Fundaziun Origen di Riom Nell’Anno del patrimonio culturale 2018, l’Heimatschutz Svizzera assegna il Premio Wakker alla Nova Fundaziun Origen di Riom GR. Questa Fondazione e il suo festival culturale ridanno vita alla sostanza architettonica e a tutto il villaggio di Riom. Grazie a Origen, il patrimonio culturale locale si fa conoscere ben oltre i confini regionali. Sabrina Németh, Heimatschutz Svizzera
Dal 1972, l’Heimatschutz Svizzera conferisce ogni anno il Premio Wakker a un comune diverso. In occasione dell’Anno del patrimonio culturale, nel 2018 l’ambìto riconoscimento va invece a un’organizzazione della società civile. Costituita nel 2006, la Nova Fundaziun Origen e l’omonimo festival culturale sono strettamente legati a Riom, un villaggio montano sul territorio di Surses, nei Grigioni. Come molte località periferiche in Svizzera, anche Riom è confrontato con problemi quali i cambiamenti strutturali, lo spopolamento e quindi l’abbandono di numerosi edifici. Che fare di questo patrimonio edilizio è una questione determinante su cui si interrogano molte località in situazioni analoghe.
IMPRESSUM I testi in italiano sono curati, adattati e a volte ridotti da Sándor Marazza 1/2018: 113mo anno Editore: Heimatschutz Svizzera (redazione: Peter Egli) Stampa: Stämpfli AG, 3001 Berna Grafica: Stillhart Konzept und Gestaltung, 8003 Zurigo Appare: a scadenza trimestrale Indirizzo: Redazione «Heimatschutz/Patrimoine» Villa Patumbah, Zollikerstrasse 128, 8008 Zurigo T. 044 254 57 00, redaktion@heimatschutz.ch ISSN 0017-9817
Un futuro a partire dal proprio patrimonio culturale La Fondazione Origen ha riconosciuto un potenziale nei pregiati edifici in disuso sparsi per il villaggio. Invece di progettare un nuovo grande teatro in cui accogliere il suo festival sempre più apprezzato, ha deciso di destinare a tale uso stabili esistenti, pur senza intaccarne le caratteristiche architettoniche fondamentali. Il patrimonio edilizio di Riom funge così da cassa di risonanza e da luogo di scambi e di produzione artistica in cui viene rielaborata in chiave nuova la ricca tradizione di canti e racconti della regione. La Fondazione non vuole che il villaggio sia una mera scenografia per il festival, ma si impegna ad attivare in vario modo le risorse disponibili in loco. Nuove prospettive per il turismo di montagna A partire dal proprio patrimonio culturale, Origen è riuscita a generare un’aura di prestigio che si spinge ben oltre i confini della valle. L’eco di quanto viene creato a Riom si diffonde in tutto il cantone, in Svizzera e persino all’estero. Con il suo mirabile lavoro, la Fondazione prova che nelle regioni di montagna è possibile attivare un potenziale economico al di là del turismo di massa. Un patrimonio edilizio rivitalizzato Sin dal principio, Origen ha cercato soluzioni pragmatiche e responsabili per poter servirsi dei manufatti esistenti. Il simbolo di Riom, un castello maestoso ma da decenni abbandonato, si è trasformato in sala estiva in cui mettere in scena spettacoli con qualsiasi tempo. Allo scopo di garantire un’attività continua nel corso dell’anno, la Fondazione ha dato nuova vita anche alla proprietà, da tempo disabitata, della famiglia di imprenditori-pasticceri Carisch. Il fienile è diventato teatro, mentre la villa funge da foyer e da spazio d’incontro. La scuola, in disuso, accoglie un locale per le prove e gli uffici della produzione. Ora, sono previsti altri passi, che saranno intrapresi prossimamente. → È disponibile anche una pratica pubblicazione ricca di illustrazioni che, nelle
sue 52 pagine redatte in tedesco, francese e romancio, presenta ampie informazioni sul Premio Wakker 2018.
→ La consegna ufficiale del Premio Wakker si terrà il 18 agosto 2018 nell’ambito di una cerimonia pubblica.