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HEIMATSCHUTZ PATRIMOINE
Finestra in lingua italiana
Dentro e fuori dalle zone edificabili
EDITORIALE
TEMI D’AT TUALITÀ
Sono necessarie regole chiare
IL COMMENTO
A fine ottobre 2018, il Consiglio federale ha pubblicato il messaggio sulla revisione della Legge sulla pianificazione del territorio. Adesso inizierà il dibattito al Consiglio nazionale e agli Stati. Ai 590 000 edifici esistenti fuori delle zone edificabili se ne aggiungono sempre di nuovi. È una tendenza contro cui il Consiglio federale oppone una blanda resistenza. L’Heimatschutz Svizzera teme che l’approccio pianificatorio e compensatorio proposto possa portare alla demolizione di molti stabili di valore. Gli edifici agricoli tradizionali caratterizzano molti paesaggi. Abbiamo chiarito il nostro punto di vista in una recente presa di posizione e nelle pagine che seguono informiamo i lettori in proposito. L’articolo «Breve storia delle zone edificabili» illustra le radicali trasformazioni che ha subito il territorio, mentre con il contributo intitolato «Gli occhi del paesaggio» poniamo l’attenzione sulla ricchezza dei nostri paesaggi culturali. Ma questo non basta! Ora, solo un’iniziativa popolare a livello federale potrà porre un freno alla cementificazione delle zone non edificabili. Per questa ragione, il 21 marzo l’Heimatschutz Svizzera lancia insieme a una coalizione di organizzazioni ambientaliste e di protezione del paesaggio l’iniziativa popolare «Contro la distruzione del nostro paesaggio» e quella «Per il futuro della nostra natura e del nostro paesaggio». I fogli per la raccolta firme per entrambe saranno inviati a inizio primavera. Un grazie già da ora a tutti i lettori che daranno il loro contributo firmandole. Infine, care lettrici e cari lettori, poiché dopo dieci anni questo è il mio ultimo editoriale, con queste righe vi saluto e vi ringrazio per il vostro sostegno. Adrian Schmid, Segretario generale dell’Heimatschutz Svizzera
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Basta con gli insediamenti protetti! Sembra uno scherzo e invece due consiglieri nazionali vicini agli ambienti delle associazioni di proprietari di case vogliono veramente subordinare alle esigenze della «densificazione urbana» la Legge federale sulla protezione della natura e del paesaggio alla base dell’Inventario federale degli insediamenti svizzeri da proteggere d’importanza nazionale (ISOS). Non importa quanto siano brutti o sovradimensionati i progetti, dovranno poter essere realizzati comunque e ovunque. La Legge sulla protezione del paesaggio risale appena al 1973. Solo allora ci si rese conto della devastazione di quello stesso patrimonio architettonico che in altri paesi era stato seppellito dalle rovine dei bombardamenti. Fintanto che i nuovi edifici andavano a occupare le aree verdi, la protezione del paesaggio e l’ISOS non erano un gran problema per i costruttori. Da quando le aree edificabili hanno iniziato a scarseggiare si è però iniziato a costruire sempre più nei centri storici. Così, anche se solo il 20% degli insediamenti è al momento tutelato a livello nazionale, per qualcuno è già fin troppo. Mai come oggi la protezione degli insediamenti è stata tanto necessaria. Se gli interessi immobiliari privati dovessero davvero prendere il sopravvento rispetto alla protezione del paesaggio, le conseguenze sulla qualità della vita, sul turismo e sull’economia sarebbero disastrose. A prima vista, tutti sembrano preoccuparsi della bellezza del paesaggio elvetico. Perché mai allora le associazioni economiche e gli enti turistici restano muti di fronte a questo scempio? Salvaguardare l’attrattiva degli insediamenti Secondo una delle due proposte, le deroghe alla legge dovrebbero essere escluse «qualora l’opera di costruzione o l’insediamento inventariati abbiano una rilevanza storica o siano unici nel loro genere». Tuttavia, così la protezione si limiterebbe a
pochi siti di grande importanza già oggi minacciati dal turismo di massa, come le cascate sul Reno, Gruyère o i castelli più famosi. L’idea che invece andrebbe promossa è il valore in sé di tutti gli insediamenti, senza dovere forzatamente ridurre le nostre radici storiche a una manciata di monumenti. Diventa allora legittimo chiedersi se tutti quei proprietari che si godono la propria casa e il paesaggio circostante siano realmente ben rappresentati da chi in sede parlamentare sembra difendere solo gli interessi limitati dei grandi immobiliaristi. Nel 1992, un famoso slogan della sinistra affermava polemicamente che «la Svizzera non esiste». Oggi, proprio per mano di quei politici che con tanta veemenza raccolgono consensi appellandosi alla difesa delle tradizioni elvetiche, quella che all’epoca fu solo una provocazione sembra diventare una triste realtà. Martin Killias, Presidente dell’Heimatschutz Svizzera
FORUM LEGGE SULLA PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO 6
Breve storia delle zone edificabili Nel 1969 il popolo svizzero inserì la pianificazione del territorio nella Costituzione. Con la Legge sulla pianificazione del territorio entrata in vigore nel 1980 le zone non edificabili sono state distinte da quelle edificabili. In seguito il testo è stato indebolito con numerose deroghe. Köbi Gantenbein, caporedattore della rivista «Hochparterre»
Da piccolo andavo volentieri a trovare mia nonna a Schiers nei Grigioni. Lì mi davo alla pesca. Mi sedevo lungo un canale vicino alla grande macelleria e con il mio bastoncino pescavo intestini di maiale, orecchie di montone e teste di vitello da quelle acque sanguinolente che scorrevano fino a Landquart per poi disperdersi in un torrente. Poi, un giorno, le budella sparirono. I cantoni cominciarono uno dopo l’altro a proteggere le risorse idriche e a smaltire le acque luride. La Legge federale contro l’inquinamento delle acque del 1971 imponeva che ogni casa fosse allacciata al sistema fognario. Fu il primo strumento nazionale
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effettivo di pianificazione territoriale: regolava dove si poteva o non poteva costruire e a quali condizioni. Schiers non dista molto da Davos. Durante l’inverno del 1968 ci furono molte valanghe, che distrussero sessantacinque edifici e costarono la vita a tredici persone. Tutta la saggezza degli anziani non è bastata a capire quali fossero le zone dove costruire. Così, oltre ai germi dell’acqua, anche le valanghe cominciarono a dettar legge sulla pianificazione del territorio, vietando gli edifici nelle zone a rischio. A questi due fattori si aggiunse la nostalgia. Tra il 1945 e il 1965 la popolazione del paese era cresciuta da 4,5 a 6,5 milioni di abitanti e molti svizzeri temettero di perdere l’amata patria. Benché amassero più di ogni altra cosa le proprie auto e villette monofamiliari, brontolavano che l’idillio elvetico stava scomparendo sotto il catrame e il cemento. Le canalizzazioni, i pericoli della natura e l’estetica convennero che la gente stava costruendo quello che le pareva, dove voleva, e così non si poteva più andare avanti. Bisognava delimitare le zone edificabili. 43 deroghe dal 1980 Nel 1969 il popolo svizzero inserì la pianificazione del territorio nella Costituzione. Vista la tenacia delle resistenze contro una legislazione vincolante, tre anni dopo il Consiglio federale dovette emanare un decreto federale urgente per imporre ai cantoni di designare le aree in cui costruire era ammesso e quelle in cui no. Nel frattempo i politici di destra si accanirono sul testo in consultazione finché nessuno osò più pronunciare parole come «gestione centralizzata», «espropriazione» o «prelievo del plusvalore». Ciononostante la Legge sulla pianificazione del territorio che entrò in vigore nel 1980 stabilì il principio della separazione tra zone edificabili e non edificabili. «Certo, tutto giusto, ma una piccola deroga in questo caso…» Non c’è legge in Svizzera che sia stata bistrattata come questa. Dal 1980 le due Camere federali hanno approvato 43 deroghe: dai «cambiamenti totali di destinazione» di edifici abitativi alla «tenuta di animali a scopo di hobby», passando per le «aziende accessorie non agricole». Nessuno mette in dubbio che le terre al di fuori di un insediamento sono lo spazio di produzione dei contadini che, volenti o nolenti, devono adeguare le loro strutture ai tempi. Comunque è impressionante quanto una categoria professionale, una comunità di persone così piccola possa modificare il paesaggio e trasformare la zona non edificabile – o zona agricola, come la chiamano i contadini – nel proprio regno esclusivo. E con che virtuosismo! La domenica i loro politici predicano la bellezza del paesaggio, magari mostrando stralci di film nostalgici sulla civiltà contadina, poi, lunedì, erigono stalle smisurate, allargano le strade per fare passare trattori sempre più imponenti e vendono le loro vecchie dimore a qualche cittadino desideroso di vita campagnola. E già che ci sono svendono anche un pezzo di terra fuori mano e da tempo non più coltivato: dalla revisione del 2014 è possibile alienare questi terreni anche a non contadini e demolire gli edifici che vi si trovano per far posto a qualcosa di più elegante, per quanto avulso dal territorio. Si tratta di una politica interessata, non coordinata e senza una visione d’insieme, che erode la legge un poco alla volta. E intanto le aziende agricole scompaiono: all’inizio del millennio erano ancora 68 784, nel 2017 ne sono rimaste 51 620. Ogni anno circa 1500 fattorie con tanto di abitazioni, stalle, fienili e rimesse vengono abbandonate e vanno in rovina o diventano oggetto di speculazione.
La pianificazione territoriale serve due padroni Certo, se si costruisce così tanto ciò è in larga parte dovuto ai mutamenti nel settore agricolo, ma svolge un ruolo anche la crescente pressione esercitata da coloro che vogliono spostarsi dalle zone edificabili a quelle non edificabili, poiché più economiche, più verdi e più tranquille. C’è un’altra peculiarità: la pianificazione territoriale serve due padroni. In linea di principio è gestita dai cantoni, ma è la Confederazione a stabilire che cosa si può fare fuori delle zone edificabili. In pratica l’eccezione si estende a tutto il territorio nazionale. Siccome con ogni nuova deroga la situazione diventa sempre più complessa, i cantoni spingono per semplificare la pianificazione fuori delle zone edificabili. Una nuova norma è necessaria soprattutto perché negli ultimi trent’anni le deroghe hanno contribuito a fare ingrandire la parte abitata al di fuori delle zone edificabili di un’area corrispondente alle superfici delle città di Zurigo, Ginevra, Basilea e Berna. Si tratta di una tendenza che si sta inasprendo. Il Consiglio federale intende reagire con una revisione parziale della Legge sulla pianificazione del territorio, ma basta leggere il progetto per avere dubbi sulla sua efficacia. Non è prevista alcuna revoca delle deroghe, le nuove zone per l’allevamento intensivo richiederanno superfici ingenti e il principio della compensazione secondo cui basta demolire da una parte per costruire da un’altra diverrà un mostro legislativo che divorerà ancora di più il paesaggio. Se poi si seguono le consultazioni, ci si rende conto degli ostacoli che il progetto dovrà superare in Parlamento. Il Vallese e i Grigioni, per esempio, reclamano a forza di iniziative cantonali che tutti i maggenghi in disuso possano essere trasformati in comode residenze di vacanza. C’è infine da fare i conti con l’avversione nei confronti della pianificazione del territorio di molti politici dell’area borghese. Detto altrimenti, tutto va avanti come prima, se non peggio. Eppure, la formula per salvare il paesaggio è – o meglio sarebbe – semplice: nelle zone edificabili si costruisce, si urbanizza, si abita e si fabbrica, nelle zone non edificabili no. È evidente che i contadini hanno il diritto di tenere in sesto le loro fattorie, ma ciò non li rende monarchi assoluti della zona non edificabile. È d’altronde questa l’essenza dell’iniziativa «Contro la distruzione del nostro paesaggio», con la quale le organizzazioni ambientaliste accompagnano la revisione. Già qualche anno fa l’«Iniziativa per il paesaggio» aveva portato alla revisione della Legge sulla pianificazione del territorio del 2013, imponendo l’idea della densificazione. Ora, quando sarà evidente che il Parlamento non saprà migliorare il cattivo progetto del Consiglio federale, possiamo aspettarci un successo simile. Un gruppo sempre più folto di persone – dalle città e dalle campagne – desidera infatti che ci si prenda maggior cura del paesaggio e ha già messo a segno diverse vittorie alle urne a livello comunale, cantonale e federale. Queste persone si opporranno al deturpamento edilizio. Sono persone che intendono mantenere intatta tutta la bellezza del paesaggio.
A COLLOQUIO CON ADRIAN SCHMID 13
«Le persone devono sentirsi a loro agio nell’ambiente in cui vivono» Adrian Schmid è diventato Segretario generale dell’Heimatschutz Svizzera dieci anni or sono. Ora ha deciso di passare il testimone. L’abbiamo incontrato a Villa Patumbah per un bilancio su questi anni di attività e per parlare delle prospettive per il futuro. Marco Guetg, giornalista, Zurigo
Ricorda ancora come si era immaginato il suo lavoro al momento di assumere l’incarico di Segretario generale dell’Heimatschutz Svizzera dieci anni fa? Quando ero ancora responsabile della politica, della comunicazione e del marketing presso l’Associazione traffico e ambiente (ATA) avevo già collaborato su singoli progetti nazionali con il mio predecessore Philipp Maurer. Mi aveva colpito l’atmosfera di fermento che si respirava all’Heimatschutz, che non aveva mancato di suscitare il mio entusiasmo. Poi, all’improvviso si è trovato qui e la sua impressione è stata confermata? In poco tempo mi sono convinto ancora di più che la cultura architettonica deve essere orientata ai bisogni delle persone. Un buon esempio è la mostra Constructive Alps dedicata all’edilizia alpina, che abbiamo presentato al Centro Heimatschutz di Villa Patumbah nel 2016. Abbiamo esposto fotografie che mostravano il punto di vista degli architetti e quello di chi lavora o vive sul posto. La differenza era impressionante! Da una parte elevazione estetica, dall’altra immagini di vita reale? Esatto! Da un lato le impeccabili presentazioni degli architetti, in cui non c’è traccia di vita umana e la luce naturale è sempre perfetta, dall’altro foto che mostrano la vita senza fronzoli, in tutte le sue sfaccettature. Per me si è trattato di un esempio impressionante di come la cultura del costruito sia in grado di creare identità. Al contempo deve però soddisfare l’esigenza della vivibilità degli spazi. Vivibilità degli spazi? Ci può spiegare che cosa intende? Quello della vivibilità degli spazi (Raumgeborgenheit) è un concetto in cui mi sono imbattuto attraverso il Programma nazionale di ricerca 65 sulla nuova qualità urbana. Le persone devono potersi sentire a loro agio nell’ambiente in cui vivono, che si tratti del proprio appartamento, del quartiere o della Svizzera.
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Nel mio lavoro ho sempre ritenuto importante non dimenticare questo aspetto. Per questo all’Heimatschutz ci siamo occupati sempre più di mediazione culturale e non solo di conservazione. Informare l’opinione pubblica – una volontà che è stata esplicitata già nel 2015, in occasione del nostro centenario – è diventato un punto chiave del nostro lavoro strategico. È qualcosa che, accanto alle attività giuridiche e politiche, è stato al centro dei miei interessi. A suo parere come si è evoluta la sensibilità del pubblico verso la protezione della natura e dei beni culturali? Negli anni Settanta, l’impressione di fronte alle conseguenze dell’intensa attività edilizia post-bellica ha fatto sì che il Parlamento federale approvasse all’unanimità la Legge sulla protezione della natura e del paesaggio (LPN). Guardando invece al contesto politico attuale devo constatare che la tutela della natura e dei beni culturali è costantemente sotto attacco. Più ci si avvicina a Palazzo federale, più forte è la tendenza da parte di chi decide a marginalizzare la cultura architettonica e il paesaggio. Ciò si traduce in attacchi contro la LPN, la Legge sulla pianificazione del territorio (LPT) e l’Inventario degli insediamenti svizzeri da proteggere d’importanza nazionale (ISOS). La lobby che difende la protezione della natura e dei beni culturali è forse troppo debole? No, i parlamentari ci ascoltano. Nell’ultimo decennio abbiamo incassato diverse sconfitte, ma anche molte vittorie. Il problema è che le vittorie alle urne sono sempre temporanee. Penso al caso della revisione della LPT, in cui potremmo vincere il referendum indetto dalle associazioni con una maggioranza di due terzi. Ogni volta bisogna ricominciare dall’inizio a difendere la propria posizione. Ciò significa che non possiamo fermarci un attimo, neanche dopo un esito positivo in votazione popolare. I movimenti sociali sono come un processo dialettico: bisogna sempre agire e reagire in modo mirato. Nel corso del suo mandato qual è stato il più grande successo dell’Heimatschutz? Quando l’anno scorso il Consiglio federale ha riconosciuto il valore delle case di legno di Steinen – che risalgono a 700 anni fa e che il Canton Svitto non ha nemmeno inventariato – e le ha poste sotto protezione in applicazione dell’articolo 16 della LPN. Non era mai successo prima! E quale sconfitta le ha fatto più male? Il fatto che non siamo riusciti a salvare la seggiovia storica del Weissenstein, nel Giura solettese. A volte si sente parlare di ostinazione e inflessibilità dell’Heimatschutz. Questo dipende dagli interessi economici e dalle posizioni difese da chi lo dice… La politica è sempre un gioco di interessi. L’Heimatschutz difende la cultura edilizia e il paesaggio, che ovviamente non possono esprimersi in nome proprio e spesso si scontrano con altri interessi. Noi però non cerchiamo lo scontro. Il nostro compito è di trovare un equilibrio tra la conservazione e la progettazione con soluzioni di qualità. Come si fa? Innanzitutto attraverso la mediazione, ma anche avvalendosi del diritto di ricorso delle organizzazioni, chiaramente ribadito nel 2008 dalla netta sconfitta dell’iniziativa del PLR. Ma la cosa più importante è sempre la comunicazione. Prima di eventualmente ricorrere alle vie legali, una buona comunicazione svolge un ruolo essenziale. In questo ambito l’Heimatschutz Svizzera può van-
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tarsi, oltre che delle sue pubblicazioni, di due strumenti straordinari: la Fondazione Vacanze in edifici storici e il Centro Heimatschutz. Con essi raggiungiamo anche un pubblico spesso giovane, che così sensibilizziamo ai valori del patrimonio edilizio. Passiamo a un paio di temi sui quali si impegna l’Heimatschutz Svizzera. Parliamo un po’ di densificazione. Occorre pensare alla qualità. Densificare un centro storico a tutti i costi può portare a distruggerlo. Credo che il maggior potenziale risieda nell’urbanizzazione degli agglomerati e delle zone nuove in cui si presta attenzione ai bisogni delle persone e alla vivibilità degli spazi. Urbanizzare fuori delle zone edificabili ha invece poco senso. L’Heimatschutz Svizzera si oppone con forza alla dispersione degli insediamenti nel paesaggio e sta per lanciare insieme ad altre organizzazioni ambientaliste due iniziative popolari. Non è possibile che d’un colpo si possa costruire su tutto il territorio dei maggenghi! Così mi suggerisce il secondo tema: i maggenghi. Quanto è flessibile l’Heimatschutz? Bisogna rendersi conto della portata del problema: dovremmo forse trasformare 200 000 maggenghi, rustici e chalet in case di vacanza di lusso? No di certo. Va poi considerato che bisognerebbe collegare tutte queste strutture alla rete stradale, alla canalizzazione, all’elettricità… Non da ultimo ci sono le conseguenze ecologiche. Nella sua recente presa di posizione, l’Heimatschutz Svizzera constata che ci sono edifici che per forza di cose cadono in rovina, altri, di un certo pregio storico-architettonico, possono essere utilizzati, ma solo in modo mirato e non ovunque. Terzo tema: i pesanti attacchi contro la LPN. Abbiamo preparato il referendum insieme a parecchie altre organizzazioni. Ora la Commissione dell’ambiente del Consiglio degli Stati ha ritirato la proposta di soppressione dell’articolo 6. Il Parlamento deciderà nella sessione primaverile. Quarto tema: l’ISOS. Negli ambienti della destra borghese si vorrebbe indebolire l’inventario. Come detto, la densificazione degli abitati deve essere di qualità. Ci vogliono spazi verdi, luoghi d’incontro, negozi, come anche un’offerta formativa e culturale. Quinto tema: la LPT. L’attuale progetto di revisione comporta un cosiddetto «principio di compensazione», che spalancherebbe le porte un’indiscriminata attività edilizia fuori delle zone edificabili. Ci opponiamo a questa idea con le due iniziative popolari di cui ho parlato. Quando a fine aprile lascerà Villa Patumbah lo farà con un sentimento di fiducia? Con molta fiducia! Lascerò il Segretariato generale a una squadra di collaboratori fantastici e competenti. Approfitto dell’occasione per ringraziarli ancora una volta di cuore per il loro lavoro. L’organizzazione dispone di una solida base finanziaria e sia la Fondazione Vacanze in edifici storici sia il Centro Heimatschutz di Villa Patumbah le garantiscono un’ottima visibilità. A fine marzo lei si candida al Gran Consiglio del Canton Lucerna. E sul piano professionale che cosa la attende? Mi occuperò di mandati operativi per la Fondazione svizzera per la democrazia (Schweizer Demokratie Stiftung), di cui sono il presidente. La fondazione promuove la democrazia in tutto il mondo, con particolare riguardo agli sviluppi di una democrazia diretta, partecipativa e orientata ai cittadini. Considero la cultura edilizia un prodotto del genio umano e la democrazia di-
retta è uno strumento per regolare la convivenza tra le persone. Continuerò a fare quello che ho già fatto in altri frangenti: uscire di tanto in tanto dall’orticello elvetico. I primi due progetti mi porteranno in Malaysia e a Taiwan. Sarà un inizio entusiasmante, ma anche un addio a un capitolo della mia vita e a un lavoro che ricorderò con grande affetto.
PROTEZIONE DEL PAESAGGIO 16
Gli occhi del paesaggio Mentre i paesaggi diventano vieppiù eterogenei, si perdono le loro tipiche caratteristiche regionali. È ora che la politica prenda sul serio la tutela dei paesaggi e ne garantisca il futuro. Lanciamo un appello per una pianificazione territoriale non solo funzionale, ma attenta anche alla cultura del bello. Raimund Rodewald, Dott. h.c., direttore della Fondazione svizzera per la tutela del paesaggio (FP)
«Lungo questo cammino c’è tutto: saggezza, ricordi, malattie, amici. Ma non tutti riescono a vederlo in modo nitido. Alcuni impiegheranno un anno, altri cinquanta, altri non lo riconosceranno mai. Per questo dobbiamo tenere gli occhi bene aperti, in modo da vedere chiaramente il nostro cammino e poterlo preparare.» Per l’indio pellegrino del premiato film documentario del 2016 Los ojos del camino (regia di Rodrigo Otero Heraud) i paesaggi delle Ande peruviane non sono semplicemente qualcosa che ci si trova davanti né tantomeno la manifestazione di una natura ostile. No, le montagne, le pietre, i fiumi, la nebbia e la pioggia sono creature benigne che ci accompagnano lungo il nostro percorso di vita. Ci parlano in una lingua poetica fatta di immagini e ci mostrano il giusto cammino. Il paesaggio ci plasma Il modo di intendere il paesaggio del popolo quechua sembra molto lontano dal nostro. Anche se di certo la realtà alpina era in passato dura quanto quella dei contadini di montagna peruviani, da noi era l’inospitalità della natura a essere al centro delle preoccupazioni più che il suo valore estetico-poetico. Plinio Martini, di cui nel 2019 ricorre il quarantesimo dalla morte, conosceva bene l’estrema povertà che spinse gli uomini della Valle Bavona a emigrare lasciando a casa le mogli, ed è questa l’immagine della montagna che traspare da Il fondo del sacco (1970). Il sociologo Lucius Burckhardt (1925–2003), che era un uomo di città, volle invece esplorare il paesaggio attraverso i sensi e negli anni Ottanta fondò la «scienza del passeggiare», la
promenadologia. Partì alla ricerca di un idillio arcadico, ma quanto incontrò sul cammino lo lasciò parecchio disorientato. Burckhardt si chiese se la nostra percezione del paesaggio non fosse obsoleta al punto da non reggere il passo rispetto alle trasformazioni in atto sul territorio. Quando pensiamo a un agriturismo, non è certo l’immagine di un soggiorno insieme a 18 000 polli da ingrasso a essere evocata. Così, mentre il paesaggio odierno si riflette nella coscienza della società, al contempo anche noi ci riflettiamo nel paesaggio. Proprio come una persona che ci passa accanto sorridendo ci fa a nostra volta sorridere, attraversare un paesaggio desolato non suscita certo gioia di vivere. Ricerche recenti nel campo della neuroestetica hanno mostrato che quando osserviamo determinate azioni i neuroni specchio ci inducono a ripeterle. In questo modo viene ristabilita la risonanza tra noi e il mondo. Sottrarvisi è impossibile! Il paesaggio è lungi dall’essere una proiezione mentale, come spesso si dice, ma è al contrario qualcosa di esterno che plasma il nostro io. La formazione della personalità avviene non di rado mediante un’appropriazione sensoriale e metaforica dei luoghi. Attraverso l’esperienza estetica, la cura e l’amore per i paesaggi, essi diventano positivamente parte di noi stessi. Da un punto di vista neurobiologico, un bel paesaggio favorisce l’empatia, una facoltà di cui, a fronte delle tensioni sociali con cui siamo spesso confrontati, abbiamo davvero bisogno. È quindi bene aprire gli occhi e osservare. La perdita delle specificità regionali Che ci troviamo nella valle del Reno, della Limmat, della Reuss, dell’Aar, della Broye o del Rodano, è tutto solo Altipiano. Fatta eccezione per le oasi naturali protette e qualche nucleo storico, ovunque troviamo gli stessi spazi costruiti altamente funzionali, regolati e inespressivi. Mentre i paesaggi diventano vieppiù eterogenei, si perdono le loro tipiche caratteristiche regionali. Un esempio è Birmenstorf in Argovia, dove è prevista l’installazione di tredici ettari di serre sul lembo più settentrionale del paesaggio fluviale della Reuss, censito nell’IFP. La giustificazione è che tanto non c’è più nulla da conservare. Di che cosa può appropriarsi la mente in luoghi del genere, ormai privati di qualsiasi tratto caratteristico? Troviamo rifugio all’interno delle nostre case, nei boschi e nei paradisi turistici oppure nel mondo esteticamente saturo delle immagini virtuali. Se siamo fortunati ci capita di dedicarci ad attività che portano in luoghi nuovi e magnifici, come il parco delle Gole della Breggia dopo la riqualifica della zona in cui prima era attivo il cementificio Saceba. La questione della qualità del paesaggio Dal 2007 sono in corso i rilevamenti della Rete d’osservazione del paesaggio svizzero LABES. I risultati del 2017 mostrano che, per quanto riguarda la qualità dei paesaggi, la popolazione assegna ai comuni dell’area alpina un apprezzamento nettamente più favorevole rispetto a quelli dell’Altipiano e del Sud delle Alpi. I paesaggi suburbani e periurbani hanno ottenuto le valutazioni peggiori. Eppure sono proprio questi a estendersi sempre di più. I comuni urbani oggi coprono già il 41% della superficie del paese. Sull’Altipiano solo il 9,5% del territorio consiste di gioielli quali paesaggi protetti, monumenti naturali e zone palustri d’importanza nazionale. Secondo il rapporto dell’OCSE sulle performance ambientali della Svizzera del 2017, l’incessante sviluppo delle infrastrutture turistiche e di trasporto aggrava il
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rischio di un’ulteriore frammentazione del paesaggio e della distruzione degli habitat. Nel suo rapporto sull’ambiente del 2018, anche il Consiglio federale constata una perdita sempre maggiore della qualità dei paesaggi, in particolare sull’Altipiano. Altri pericoli osservati sono l’uniformazione paesaggistica al Sud delle Alpi e la pressione dell’industria del turismo nell’area alpina. In linea di principio in Svizzera abbiamo almeno 39 tipi di paesaggio antropico: da quello urbano a quello dei prati da fieno selvatico. Undici di questi sono particolarmente meritevoli di protezione, poiché esistono soltanto a livello regionale su superfici ridotte e sono a grave rischio di scomparsa. Altri quattordici andrebbero protetti, perché coprono superfici di una certa entità a livello regionale, ma sono comunque seriamente minacciati. La conclusione del Consiglio federale è che l’evoluzione demografica e le sempre maggiori esigenze in termini di spazio abitativo e di mobilità accentueranno la pressione sul paesaggio, ma al contempo crescerà il desiderio di godere di paesaggi belli. È dunque ora che la politica prenda sul serio la loro tutela e ne garantisca il futuro! Urge lanciare un appello per una pianificazione territoriale non solo funzionale, ma anche attenta alla cultura del bello, affinché si possa reagire con vigore alle minacce che pesano sui nostri paesaggi.
PRESA DI POSIZIONE DELL’HEIMATSCHUTZ SVIZZERA 20
Preservare il patrimonio edilizio fuori delle zone edificabili Migliaia di stalle, fienili e altri edifici agricoli tradizionali oggi non hanno più una funzione. Il Consiglio federale ha perso l’occasione di garantire un futuro dignitoso al patrimonio edilizio fuori delle zone edificabili attraverso la prossima revisione della Legge sulla pianificazione del territorio. L’Heimatschutz Svizzera ha pubblicato una nuova presa di posizione per stimolare la riflessione e una svolta nel modo di pensare. Patrick Schoeck-Ritschard, Heimatschutz Svizzera
I paesaggi svizzeri sono stati modellati nel corso dei secoli dall’attività umana e dalla presenza degli animali da allevamento. Allo scopo di evitare percorsi malagevoli e per facilitare i trasporti, la società contadina realizzò, sparse sul territorio, strutture sempli-
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ci destinate al pernottamento, ad alloggiare il bestiame, a immagazzinare il fieno o a conservare gli attrezzi da lavoro. Con l’arrivo della meccanizzazione e dell’industrializzazione, buona parte di queste costruzioni tradizionali ha perso la sua funzione originaria e di conseguenza la sua utilità diretta per gli agricoltori. Oggi i veicoli a motore attraversano con facilità quei sentieri che un tempo si percorrevano faticosamente a piedi, mentre il criterio dell’efficienza impone l’uso di grandi macchinari, serre enormi e voluminosi capannoni per l’allevamento. La protezione dei paesaggi come pretesto per il profitto Se non viene preservato, un edificio inutilizzato va lentamente in rovina. È il caso in particolare di migliaia di stalle, fienili e altre semplici costruzioni contadine del Giura e dell’arco alpino e prealpino, che hanno perso la loro funzione e attendono di essere salvate. Senza provvedimenti adeguati, è ragionevole prevedere che nel tempo di una generazione buona parte di questi edifici sarà in rovina o perlomeno gravemente danneggiata. Negli ultimi anni le Camere federali si sono occupate in più occasioni della complessa questione del mantenimento dei beni architettonici situati fuori delle zone edificabili. Le decisioni prese e gli argomenti esposti sono stati purtroppo assai banali e a senso unico. Per dirla senza mezzi termini: la protezione del paesaggio e del patrimonio edilizio è stata usata come pretesto per agevolare lo sfruttamento economico degli edifici esistenti. Nessuno augura ai contadini e ai loro animali la dura vita di privazioni come nei racconti di Jeremias Gotthelf o nei dipinti di Albert Anker. E nessuno può biasimare gli agricoltori o i loro discendenti se non se la sentono di investire denaro in un edificio di cui non hanno più bisogno. Ciò non toglie che non c’è alcun valido motivo per trasformare semplici stalle in casette di vacanza con tanto di parcheggio asfaltato, pergola di glicine e stagno per le anatre. Altrettanto discutibile è servirsi dell’argomento della protezione del paesaggio per sostituire case contadine storiche situate in posizione panoramica con ville di lusso, il tutto in modo perfettamente legale. L’occasione persa dal Consiglio federale Alla fine del 2018, il Consiglio federale ha presentato un’ampia revisione della Legge federale sulla pianificazione del territorio, che riguarda soprattutto l’attività edilizia fuori delle zone edificabili. Sarebbe stata un’opportunità per vincolare definitivamente i generosi sussidi e i numerosi provvedimenti amministrativi per la promozione della qualità dei paesaggi a obiettivi di cultura architettonica e di pianificazione territoriale che garantiscano un futuro dignitoso al patrimonio architettonico a rischio. Il Consiglio federale ha perso una grande occasione. Anzi, proponendo il cosiddetto «principio di compensazione» mette ancora più a repentaglio il patrimonio architettonico rurale tradizionale. In concreto, grazie al «principio di compensazione» diventa possibile costruire edifici nuovi fuori delle zone edificabili se in cambio si demolisce una quantità equiparabile di stabili esistenti. Ciò può essere giustificato nel caso di strutture per l’allevamento di maiali da ingrasso che non corrispondono più alle esigenze attuali, ma ha senso costruire immensi capannoni per l’allevamento di pollame compensando con la demolizione di stalle ultracentenarie? L’Heimatschutz Svizzera si oppone a questa ottica economica unilaterale applicata all’architettura rurale tradizionale. Con la
sua recente presa di posizione vuole stimolare un dibattito serio sul potenziale delle costruzioni site al di fuori delle zone edificabili che caratterizzano il paesaggio e hanno un indubbio valore sia sociale sia storico-culturale. È inevitabile che in futuro quegli edifici che non troveranno alcun utilizzo ragionevole scompariranno. Le strutture che invece hanno una lunga storia alle spalle o che contribuiscono in modo sostanziale a formare l’identità del paesaggio antropico meritano una conservazione dignitosa. A tale scopo è però necessario innanzitutto che le autorità prendano coscienza del problema, in secondo luogo che si provveda a una catalogazione completa del patrimonio architettonico fuori delle zone edificabili e infine che si assicurino i mezzi finanziari e le risorse per attuare i provvedimenti strutturali necessari al suo mantenimento.
deluse, sono oggi entrate nel novero dei classici della letteratura ticinese. Da febbraio a novembre 2019 si tengono numerose manifestazioni in onore dello scrittore: escursioni, rappresentazioni teatrali e conferenze (vedi www.pliniomartini.ch). → 13 maggio 2019 ore 18.30, Centro Heimatschutz, Villa Patumbah, Zurigo:
relazione e presentazione in italiano della nuova edizione del romanzo Il fondo del sacco. Posti limitati, consigliata l’iscrizione scrivendo a info@ heimatschutzzentrum.ch
Volontariato Partecipate al mantenimento dei nostri preziosi paesaggi antropici! Ripetendo l’esperienza degli anni scorsi, la Fondazione Valle Bavona e il Comune di Cevio organizzano un volontariato in Valle Bavona sabato 25 maggio 2019. → Domande e iscrizioni entro il 17 maggio per e-mail a fondazione@bavona.ch
Gli argomenti in sintesi 1 Preservare efficacemente i preziosi paesaggi culturali Nel corso degli ultimi decenni, la meccanizzazione e l’industrializzazione dell’agricoltura hanno modificato in modo massiccio molti paesaggi svizzeri. Le testimonianze architettoniche ancora presenti legate all’agricoltura tradizionale sono oggi minacciate. Per contrastare la rapida scomparsa del patrimonio culturale sono ora necessarie nuove soluzioni. 2 Considerare i paesaggi antropici come un insieme coerente I preziosi paesaggi antropici possono essere salvati soltanto adottando una visione d’insieme. I provvedimenti devono mirare alla loro conservazione e alla loro cura. Le modifiche apportate al costruito devono contribuire in modo positivo al raggiungimento di questo obiettivo. 3 Nessuna zona edificabile ottenuta per vie traverse Il popolo svizzero si è espresso a più riprese in favore di una chiara separazione tra zone edificabili e non edificabili. L’attività edilizia condotta al di fuori delle zone edificabili va quindi limitata allo stretto necessario, ossia, soprattutto, a costruzioni per la gestione del territorio e per la salvaguardia del paesaggio culturale. 4 Invece di nuove eccezioni, una reale tutela della sostanza edilizia storica La legislazione vigente consente già di continuare a usare o di riattare numerosi edifici rurali tradizionali che si trovano al di fuori delle zone edificabili. In questo modo è possibile conservare e fare rivivere i beni culturali e paesaggistici di valore. Non servono altre eccezioni, bensì una migliore tutela della sostanza edilizia storica che mira alla salvaguardia dei preziosi paesaggi culturali. 5 I cambiamenti di destinazione devono tutelare il patrimonio paesaggistico e architettonico L’autorizzazione per una riconversione non deve essere considerata come una licenza per un’attività edilizia selvaggia. I cambiamenti di destinazione devono rispettare le condizioni quadro fissate nelle leggi per la protezione del paesaggio, della natura e dei beni culturali, così come gli obiettivi prioritari della pianificazione del territorio. 6 Una politica per la tutela dei paesaggi culturali e delle costruzioni rurali tradizionali La protezione dei paesaggi antropici e dell’architettura che li caratterizza è d’interesse pubblico. Bisogna dunque trovare nuovi modi per motivare gli attori privati e pubblici a impegnarsi nella tutela di questo prezioso patrimonio culturale.
HEIMATSCHUTZ SVIZZERA PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO 30
Premio Wakker 2019 alla Città di Langenthal (BE) L’Heimatschutz Svizzera conferisce il Premio Wakker 2019 alla Città di Langenthal (BE). Dopo anni di crisi economica, questa cittadina ubicata nella regione bernese dell’Alta Argovia, vive una nuova crescita edilizia contraddistinta da una sapiente salvaguardia del patrimonio industriale, unita a una pianificazione all’insegna della qualità e del dialogo. Sabrina Németh, Heimatschutz Svizzera
→ www.heimatschutz.ch/politica
PROMEMORIA VALLE BAVONA 26 Quarantesimo della morte di Plinio Martini Originario di Cavergno, Plinio Martini ha eretto un monumento in forma letteraria alla sua amata Valle Bavona. Le sue pagine, che raccontano di un mondo di povertà, emigrazione e speranze
Anni or sono, il fallimento della celebre fabbrica di porcellana di Langenthal aveva fortemente scosso la cittadina. Inoltre, durante il passaggio al nuovo millennio, oltre mille posti di lavoro erano stati soppressi a causa dell’indebolimento di altri importanti pilastri industriali. La Città di Langenthal è stata però in grado di superare la crisi grazie, non da ultimo, a una profonda riflessione sulle qualità intrinseche del luogo e al coraggio di abbracciare innovazioni e cambiamenti. Ciò si è reso manifesto soprattutto nell’approccio scelto per gestire il prezioso patrimonio costruito lasciato in eredità dall’era industriale: sedimi di vecchie fabbriche, quar-
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tieri operai, edifici pubblici e ville storiche sono stati oggetto di una sistematica inventariazione e fissati quali punti di ancoraggio per il futuro sviluppo urbano e territoriale. Dialogo e competenze per un futuro all’insegna della qualità L’approccio scelto è mirabile. Ne è la conferma la pianificazione test che le autorità realizzano, di comune accordo, per l’area dell’antica fabbrica di porcellana. Agli investitori si chiedono senso di responsabilità e una visione d’insieme nello sviluppo di nuovi valori. In cambio, la Città si dice pronta a far confluire le competenze specialistiche e i necessari mezzi finanziari, in un processo teso a garantire qualità e durabilità. Langenthal punta su una visione avveniristica e sulla comunicazione, anche per quanto concerne la densificazione edilizia nei quartieri più significativi. In quest’ottica, si opta innanzitutto per il dialogo, capovolgendo gli iter abituali. La Città decide infatti di riunire gli esperti di urbanistica e conservazione dei monumenti storici attorno a un tavolo insieme agli architetti e ai committenti. Invece di valutare il progetto nel momento in cui viene presentata la domanda di costruzione, gli esperti sono coinvolti in tutte le fasi della progettazione: dalla ricerca dell’idea all’inoltro del progetto. Questa procedura, relativamente economica, si concentra su una durata di 60 giorni e permette di chiarire tempestivamente gli interessi e i fabbisogni in gioco, generando un plusvalore sia per i proprietari sia per la collettività. Regione rurale con un centro dinamico e vivace In questi ultimi anni, Langenthal ha investito molto sulla valorizzazione degli spazi pubblici del centro urbano e sugli assi principali. La Città ha tenuto fede a questo stesso approccio anche per quanto concerne il risanamento e la rimessa a nuovo di varie opere, tra cui il teatro municipale e numerosi edifici per l’istruzione. Alla luce degli interventi fatti, Langenthal esprime a chiare lettere la volontà di profilarsi come centro urbano, dinamico e vivace, nel cuore di un’ampia regione dal carattere rurale. → La consegna ufficiale del Premio si terrà il 29 giugno 2019 nell’ambito di una cerimonia pubblica che avrà luogo a Langenthal.
IMPRESSUM I testi in italiano sono curati, adattati e a volte ridotti da Sándor Marazza 1/2019 114mo anno Editore: Heimatschutz Svizzera (redazione: Peter Egli) Stampa: Stämpfli AG, 3001 Berna Grafica: Stillhart Konzept und Gestaltung, 8003 Zurigo Appare: a scadenza trimestrale Indirizzo: Redazione «Heimatschutz/Patrimoine» Villa Patumbah, Zollikerstrasse 128, 8008 Zurigo T. 044 254 57 00, redaktion@heimatschutz.ch ISSN 0017-9817
SPAZI NON EDIFICATI NEI VILLAGGI 34
Insediamenti e paesaggio come un tutto Spazi non edificati come i vecchi frutteti, gli orti o le piazzette con le loro fontane sono elementi che caratterizzano l’aspetto dei nostri villaggi tradizionali. Il processo di densificazione rischia però di distruggere e banalizzare questi insediamenti storici. «Edition Heimatschutz/Série Patrimoine» ha approfondito l’argomento. Patrick Schoeck-Ritschard, Heimatschutz Svizzera
La densificazione urbana non riguarda soltanto le città e gli agglomerati. L’esigenza di un uso efficiente delle zone edificabili esistenti mette sotto pressione anche gli insediamenti delle zone rurali. A farne le spese sono soprattutto gli spazi non edificati che si sono conservati per secoli nei nostri villaggi. Nella serie «Edition Heimatschutz/Série Patrimoine» è apparso un nuovo opuscolo bilingue tedesco/francese che affronta la questione di uno sviluppo coscienzioso di questi nuclei storici e dell’importanza della loro qualità paesaggistica. La Convenzione europea del paesaggio ratificata dalla Confederazione nel 2013 offre spunti interessanti, poiché esige una comprensione globale del paesaggio, anche all’interno degli insediamenti. Con questo opuscolo l’Heimatschutz Svizzera attira l’attenzione sull’impegno preso dalla Svizzera ed esorta a una collaborazione più intensa tra sviluppo territoriale, protezione della natura e tutela degli insediamenti tradizionali. La pubblicazione ha beneficiato del sostegno dell’Ufficio federale della cultura. → Un’introduzione alla pubblicazione «Edition Heimatschutz/Série Patrimoine» sugli spazi non edificati all’interno degli insediamenti: Insediamenti e paesaggio come un tutto (PDF scaricabile su www.heimatschutz.ch/pressroom)