Heimatschutz/Patrimoine 2-2016: Finestra

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HEIMATSCHUTZ PATRIMOINE

Finestra in lingua italiana

Destinazioni da proteggere

EDITORIALE

TEMI D’AT TUALITÀ

Usare, riconvertire, demolire

IL COMMENTO

Una della più belle sale cinematografiche della Svizzera sta per essere demolita. La lotta per salvare il cinema Le Plaza di Ginevra, opera significativa dell’architetto Marc J. Saugey realizzata negli anni Cinquanta, si è conclusa malamente con l’ultimo tentativo di ricorso. Il proprietario asserisce che l’utilizzazione come sala cinematografica non è redditizia e che una riconversione rispettosa della tutela dei beni culturali non è possibile. Una volta di più, la redditività finanziaria di un edificio prevale sul suo valore culturale. In questo numero, affrontiamo pure i problemi sollevati da un edificio costruito a suo tempo per uno scopo ben preciso – per esempio, una chiesa, una piscina coperta, un cinema – e dalla sua conservazione. Quando è ragionevole salvaguardare la sua destinazione originaria e quando no? Come agire affinché un edificio continui a essere usato senza tradire la sua essenza originaria? E ancora: è possibile assicurare giuridicamente la protezione delle utilizzazioni? Questo numero contiene pure il Rapporto annuale 2015 dell’Heimatschutz Svizzera. La sua lettura presenta in modo chiaro ed esauriente quanti siano i temi affrontati e i successi colti. Il nostro lavoro è comunque possibile solo grazie al sostegno che i numerosi membri e donatori ci accordano. A loro vadano i nostri più sentiti ringraziamenti. Vi raccomandiamo nuovamente le manifestazioni indette per l’Anno del giardino 2016, invitandovi a partecipare agli appuntamenti organizzati dalle sezioni cantonali per scoprire le bellezze dei nostri parchi e giardini.

Mutamenti sociali

Peter Egli, Redattore

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Il mondo cambia a grandissima velocità. Globalizzazione e digitalizzazione ne dettano il ritmo. I mutamenti colpiscono con forza iI mondo del lavoro, le relazioni personali, la cultura e la lingua, la mobilità esplode con pesanti ripercussioni sulla pianificazione del territorio e l’integrità dei paesaggi antropici. La nostra società è sollecitata a reagire a queste nuove sfide lanciate in campo sociale, economico ed ecologico. Occorre trovare nuove soluzioni alle varie esigenze che si manifestano in ambito abitativo e lavorativo. I luoghi di studio, di lavoro retribuito e domestico, dell’impegno liberamente scelto, riassumendo, i luoghi dove esplichiamo le nostre diverse attività, locali o globali che siano, cambiano in continuazione. L’Heimatschutz Svizzera cerca di dare le risposte del caso agli interrogativi che si pongono. Abbiamo ragionato sulla densificazione di qualità come soluzione alla prorompente attività edilizia. Attualmente, ci concentriamo su una campagna a largo raggio a difesa dei nostri parchi e giardini, preziosi spazi verdi e aperti minacciati. Altri spazi si aprono però mediante riconversioni o utilizzazioni temporanee di edifici e complessi industriali dismessi. Dinamica a Lucerna La Città di Lucerna, a vocazione turistica, non ha un passato industriale come Zurigo o Winterthur e, di conseguenza, ha meno edifici vuoti che attendono una nuova destinazione. È dunque confortante vedere nascere progetti come la Wohnwerk Luzern, la borsa dello spazio o il modo con cui viene utilizzata la vecchia piscina coperta. In questo stabilimento, destinato alla demolizione, è stato attuato un interessante progetto di utilizzazione temporanea. La piscina coperta Neubad, edificata nel 1969, ha chiuso i battenti nel 2012, dopo la costruzione di un nuovo stabilimento. Il collettivo Neubad, sorto nel 2013, ha stipulato con la Città di Lucerna un contratto per consentire un’utilizzazione tem-


poranea della costruzione fino al 2017. Con un investimento di CHF 500 000 franchi e 8000 ore di lavoro volontario, sono stati ricavati uno spazio di lavoro condiviso, laboratori e una sala per spettacoli e manifestazioni. Il tutto ha dato lavoro lo scorso anno a quaranta persone e ha generato un fatturato di CHF 1,9 milioni. È questa una risposta costruttiva e responsabile data dai giovani alle sfide del nostro tempo. Le autorità della Città di Lucerna sono ora chiamate a pronunciarsi sul destino della vecchia piscina dopo il 2017 e sul futuro di questa esperienza. Adrian Schmid, Segretario generale dell’Heimatschutz Svizzera

FORUM CONSERVAZIONE MONUMENTALE E RIUTILIZZAZIONI  6

Bisogna proteggere la funzione degli edifici storici? Che cosa sono un mulino storico che non macina più, un vecchio ufficio postale con lo sportello chiuso, una cascina alpestre senza formaggio in cantina? La cessazione senza clamori della funzione originaria di un edificio storico è ai giorni nostri avvertita come una triste realtà, il che ci porta a una nuova domanda: anche le funzioni vanno protette? Dott. Dieter Schnell, docente e direttore del MAS (Master of Advanced Studies) Denkmalpflege und Umnutzung alla SUP bernese

Il ritornello di una vecchia canzone tedesca della prima guerra mondiale recitava che le vecchie strade c’erano ancora, le vecchie case anche, ma i vecchi amici no. Così si esprimeva la malinconia di un reduce, che avrebbe voluto ritrovare la vita di un tempo, ma constata amaramente che i suoi amici sono morti, della vita che lui amava è rimasto solo un involucro vuoto. E si dirige, affranto, verso il cimitero, dove tanti suoi amici riposano. Nell’ottica della conservazione monumentale, le cose stanno però in un modo diverso: non c’è nessuna perdita. Ciò che sta a

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cuore alla tutela dei beni storici – le vecchie strade e le vecchie case – è ancora qui. La conservazione monumentale si occupa forse di qualcosa di sbagliato? Non è possibile salvare i vecchi amici dalla morte, è evidente. Tuttavia, la conservazione monumentale ha concretamente poco da dire anche per quanto concerne la salvaguardia della funzione originaria di un edificio storico. Inoltre, non è chiaro se essa sia interessata a estendere la sua portata. In un passo dei Principi per la tutela dei monumenti storici in Svizzera, Zurigo 2007, 3.2, p. 67, sembrerebbe di sì: «La destinazione originale rappresenta un valore, che non dovrebbe essere abbandonato se non per motivi importanti». Ma sfogliando il primo capitolo della pubblicazione, dove si possono leggere le varie definizioni che interessano un monumento storico, solo al punto 1.4 troviamo l’utilizzazione storica brevemente menzionata come valenza conservativa. Continuando la citazione precedente, si legge che le nuove destinazioni devono essere conformi al monumento storico, ma manca una spiegazione di che cosa ciò significhi concretamente. Se si legge tra le righe dei Principi, si ricava l’impressione che l’utilizzazione originaria viene preferita, poiché di regola comporta il minor danno al monumento, e anche che una trasformazione viene in primo luogo giudicata per gli effetti che provoca sulla sostanza materiale e meno per la sua aderenza alla funzione originaria. È quanto si potrebbe per lo meno desumere dall’articolo 5 della Carta di Venezia: «La conservazione dei monumenti è sempre favorita dalla loro utilizzazione in funzioni utili alla società: una tale destinazione è augurabile, ma non deve alterare la distribuzione e l’aspetto dell’edificio». La conservazione monumentale sembra quindi considerare l’utilizzazione o la riconversione di un monumento un male necessario per ragioni economiche. La funzione viene reputata un fattore intercambiabile e non indissolubilmente legata al bene. La voglia di stupire La faccenda prende un’altra piega per i committenti, gli utenti e anche per gli architetti, soggetti per i quali l’utilizzazione rappresenta la preoccupazione primaria. Se ai tempi del funzionalismo architettonico le trasformazioni non erano viste di buon occhio, in quanto un oggetto trasformato non poteva «funzionare» bene quanto un nuovo manufatto costruito per lo scopo deputato, a partire dagli anni Ottanta è affiorata una nuova tendenza. Di colpo, il sorprendente, l’anticonvenzionale o, se si vuole, l’originalità del cambiamento di destinazione, erano diventati gli elementi qualitativi desiderati e perseguiti. All’inizio, affascinava il contrasto tra il vecchio e il nuovo, più tardi la patina dell’antico e ora la varietà dei materiali, dei colori e delle forme dell’architettura storica. Non è raro vedere oggi il ripristino e la destinazione a una nuova funzione di un vecchio edificio che la legge permetterebbe di abbattere per costruire al suo posto un nuovo fabbricato. Come detto, l’interesse per le trasformazioni sorprendenti e anticonvenzionali è relativamente recente. Non era solo il Movimento moderno e la sua pulsione verso il nuovo a disprezzare le trasformazioni, anche le epoche antecedenti lo consideravano tutt’al più interessante per ragioni economiche. L’architettura storicista – segnatamente quella del XVIII secolo – esprimeva nella progettazione del contenitore un rango, una posizione e un carattere confacenti al contenuto. Un teatro


doveva apparire allegro e festoso, un posto di guardia solido e severo, un fienile funzionale e modesto, e uno stabile abitativo doveva riflettere nelle sue sembianze il rango sociale dei suoi occupanti. Con una simile concezione dell’architettura, qualsiasi trasformazione significa intorpidire un’espressione architettonica originariamente precisa e, di conseguenza, perdere una connotazione artistica ed estetica. Il nostro interesse alle trasformazioni ha molto a che vedere con lo spirito dei nostri tempi, che apprezza in grande misura tutto ciò che sa di originale e di creativo. La voglia di stupire ha però anche il suo rovescio: non dura a lungo. Chi si stupisce ancora dopo un po’ di vedere una biblioteca in una vecchia tinaia, un museo in un vecchio arsenale o un appartamento in una vecchia fabbrica? L’interesse per il sorprendente e l’anticonvenzionale è effimero, tende sempre a qualcosa di nuovo. Il calo dell’effetto sorpresa illanguidisce comunque anche le nostre aspettative. Non ci aspettiamo certo più di trovare il grano in un granaio, macchinari in un capannone dismesso, impianti di macinazione in un mulino ad acqua. Che negli edifici storici ci sia sempre più frequentemente il «falso», ossia non il contenuto originario, ha effetti sulle nostre «capacità di lettura dell’architettura». Sono sempre meno coloro che osservando la facciata storica sono in grado di risalire alla funzione originaria di un edificio, che scade in tal modo a contenitore decorato ma privo di significato. Viene così a porsi la domanda se le innumerevoli trasformazioni non stiano imbastardendo la nostra capacità di capire l’architettura. Accompagnare nel migliore dei modi i monumenti in un avvenire ignoto A questo punto, non sarebbe opportuno conservare, oltre ai beni culturali in quanto tali, anche la loro funzione? No, e per tre motivi. Primo, perché gli sforzi di conservazione non sarebbero in grado di sopportare le conseguenze di una tutela del genere. Secondo, perché una simile protezione andrebbe contro la nostra concezione di Stato. Terzo, perché la conservazione sarebbe malintesa se le si affidasse il compito di fermare il tempo. Né è suo dovere opporsi allo spirito del tempo. Essa dovrebbe limitarsi ad accompagnare nel migliore dei modi un monumento in un avvenire ignoto e scongiurarne la deturpazione in nome di qualche moda passeggera facendo opera di sensibilizzazione o minimizzando i danni. Il fatto che come regola generale la conservazione tenda a considerare la salvaguardia della funzione originaria un valore che non può essere abbandonato se non per validi motivi, come recitano i Principi, è giusto. Una protezione che la inglobasse come parte integrante esulerebbe però dalle sue specifiche competenze. È forse in tale contesto che si capisce perché tanto i Principi quanto la Carta rimangono molto sulle generali a proposito dell’utilizzazione di un monumento: essa è strettamente connessa con l’esistenza del monumento, ma proteggerla sconfina dalle possibilità di una protezione statale. La conservazione dei monumenti storici non lenisce il dolore che il reduce di guerra della canzone prova sulle tombe degli amici morti, ma può far diventare le vecchie strade e le vecchie case un luogo del ricordo. Più di così non è possibile.

A COLLOQUIO CON RUDOLF MUGGLI  11

«La forza degli argomenti» Rudolf Muggli è giurista e si occupa di problemi di pianificazione del territorio e patrimonio edilizio. Ha lavorato per il Canton Berna e per le Città di Berna e di Thun, poi dal 1989 come Direttore dell’Associazione svizzera per la pianificazione del territorio (ASPAN) e dal 2003 in qualità di consulente giuridico per l’Heimatschutz Svizzera. Marco Guetg, giornalista, Zurigo

Come altri giovani giuristi e urbanisti, Rudolf Muggli si è specializzato in pianificazione del territorio all’epoca dell’elaborazione della Legge federale del 1979 sulla pianificazione del territorio (LPT). La tradizione familiare avrebbe voluto che si impegnasse con i giovani liberali-radicali, ma per finire si è accasato con i socialisti, poiché la sezione di Thun offriva un’alternativa e si presentava come un luogo di discussione interessante. Da quando ha preso in mano le redini all’ASPAN, ha pure seduto in seno al Comitato centrale dell’Heimatschutz Svizzera in veste di rappresentante degli enti pubblici. Lasciata la direzione dell’ASPAN, ha assunto il ruolo di consulente delle sezioni cantonali e del Segretariato centrale dell’Heimatschutz Svizzera. Il suo compito è quello di valutare volta per volta quando è il caso di intervenire e quando no. La nostra organizzazione segue infatti la regola di adire le vie ricorsuali soltanto se vi è una concreta speranza di successo e se è in possesso di solidi argomenti a sostegno della propria tesi. Rudolf Muggli non redige i ricorsi, questo è un lavoro delegato agli avvocati locali. La sua posizione in merito al patrimonio edilizio è morbida, poiché pensa che un’interpretazione eccessivamente rigida delle leggi condurrebbe alla paralisi, e predilige le soluzioni prammatiche. Rudolf Muggli è d’accordo che occorra conservare talune costruzioni emblematiche degli anni Cinquanta e Sessanta, ma è dell’avviso che l’Heimtaschutz Svizzera debba opporsi sia a chi vuole buttar giù tutto sia a chi vorrebbe conservare tutto. La pianificazione del territorio è a suo parere un mezzo per favorire la cultura architettonica, visto che un territorio si sviluppa in un determinato contesto culturale e storico. Un territorio forma un insieme complesso e una visione troppo settoriale dei problemi può avere conseguenze pesanti. La svolta energetica, per esempio, non deve sfociare nella distru-

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zione del nostro patrimonio edilizio, ma rispettarlo. La LPT, revisionata nel 2012, ha permesso di fare importanti passi avanti nella lotta contro la dispersione urbana, ma occorre ora metterla in pratica. Rudolf Muggli sostiene l’introduzione del diritto di ricorso delle organizzazioni nel campo della pianificazione territoriale anche a livello cantonale. Attualmente, non è per esempio possibile ricorrere contro le zone edificabili sovraddimensionate. Un uso moderato del diritto di ricorso consentirebbe alle organizzazioni attive nel campo della pianificazione di vigilare sulla corretta applicazione delle leggi. Si parla sempre più spesso di proteggere anche l’utilizzazione di un bene protetto. È raro che ciò possa avvenire, mentre è più frequente il caso che il bene protetto trovi una nuova vita, diversa dalla prima. L’importante è mostrare al pubblico che la difesa dei nostri beni culturali è pagante, anche se ha un costo. Molte persone sono indifferenti al problema, apprezzano le cose belle quando vanno a visitare una città e i suoi monumenti, si comportano però da consumatori. L’impegno è un’altra cosa: se vogliamo che anche la nostra progenie possa disporre di luoghi con una valenza culturale e storica, dobbiamo assumere un atteggiamento attivo.

APPUNTI SULLA DEMOLIZIONE DEL CINEMA LE PLAZA  14

Un doloroso fiasco giuridico Il Canton Ginevra ha accordato in data 2 ottobre 2015 un permesso di demolizione per il cinema Le Plaza, opera dell’architetto Marc J. Saugey. Gli ultimi ricorsi, tra cui quelli della sezione ginevrina della FAS, sono stati respinti. Non ci resta quindi altro da fare se non tirare le conseguenze di questo clamoroso insuccesso indice del profondo fossato che si è scavato tra la conservazione dei beni architettonici e gli ambienti dell’economia e della politica. Dott. Catherine Dumont d’Ayot, architetto, Zurigo

Il cinema Le Plaza sarà abbattuto. Questa decisione, al di là della scomparsa di una delle più belle sale cinematografiche degli anni Cinquanta in Svizzera, crea, con gli argomenti sviluppati nelle varie procedure, un precedente giuridico pericoloso e ri-

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mette in questione le basi per il riconoscimento del patrimonio architettonico e della sua tutela. Quest’ultimo atto sancisce la fine di un lungo processo che ha preso avvio nel 2002 con la richiesta di iscrivere nell’inventario ginevrino tutto il complesso del Mont-Blanc Centre, classificazione avvenuta nel marzo 2004. Si sono poi succeduti i ricorsi inoltrati dai proprietari fin davanti al Tribunale federale, che ha disposto di rinviare la decisione al Canton Ginevra. In questa sede, è stato decretato di espungere il cinema dall’inventario, ma di conservare il resto del centro, quantunque la sala cinematografica ne sia l’elemento centrale. Il complesso formato dal Mont-Blanc Centre e dal cinema è riconosciuto unanimemente come un monumento dell’architettura degli anni Cinquanta, una testimonianza rara e riuscita dell’architettura multifunzionale commerciale in centro città. Gli articoli pubblicati nella stampa specializzata internazionale sia al momento dell’edificazione sia recentemente, la candidatura di Marc Saugey per questo lavoro al rinomato Premio americano Reynolds nel 1957 e la grande mobilitazione di numerosi specialisti internazionali nel 2002 all’epoca dell’iscrizione nell’inventario (oltre 458 firme) ne sono la prova. Esempi da seguire Quali sono stati gli argomenti avanzati per giustificare l’annullamento dell’iscrizione nell’inventario e la concessione del permesso di demolizione? L’impossibilità, per il proprietario, di trovare una destinazione redditizia per la sala cinematografica. Questa affermazione è stata espressa sulla base di una perizia commissionata dal proprietario stesso alla quale nessuno ha pensato fosse il caso di presentare una controperizia indipendente. Gli esempi di reimpiego di sale cinematografiche storiche, a volte dopo chiusure durate a lungo, e che mostrano come operazioni del genere siano possibili, sono numerosi e non limitati agli ambiti associativi. Alcune sale hanno ritrovato la loro funzione di partenza, come il Plaza a Zurigo o Le Capitole a Losanna. Negli ultimi dieci anni, si è sviluppato con successo un nuovo tipo di cinema per i centri città, come il Riff-Raff a Zurigo. Successo che ha giustificato la ripresa del modello per le sale del Riff-Raff 2 e, più recentemente, per il complesso Houdini. Questi esempi mostrano come una costellazione comprendente sale cinematografiche, ristoranti e bar produca una sinergia vantaggiosa per le varie attività, creando luoghi ben frequentati e pieni di vita. Questa strategia ricalca i principî applicati dall’architetto Saugey nella progettazione della sala del Plaza con, a pianterreno e al primo piano, un ristorante, un bar e una gelateria disposti attorno al cinema. Un lavoro di diploma al Poli di Losanna (Jennifer Huynh e Tchaya Bloesch sotto la direzione del professor Franz Graf ) ha dimostrato la fondatezza programmatica di una scelta del genere, di cui bisognerebbe a ogni modo verificare la fattibilità economica. Altri casi presentano invece la possibilità di riconvertire le sale conservandone le qualità architettoniche e urbanistiche, come il teatro Ateneo Grand Splendid a Buenos Aires, trasformato nel 2007 in grande libreria, e che riscuote un grande successo popolare. Una delle sale più importanti del XX secolo, il cinema De Unie a Rotterdam, opera del 1925 di J.J.P. Oud, ospita ora un caffè. Nel Regno


Unito, è stata creata un’associazione, The Cinema Theatre Association, per affiancare i committenti a trovare soluzioni adatte. Un mutamento di destinazione non è la via più auspicabile, ma non può essere esclusa dal novero degli strumenti a disposizione dei proprietari e dei conservatori. Redditività a forza tutta La legittimazione dell’attuale decisione che poggia sulla non redditività economica del cinema pone un primo interrogativo a proposito del progetto di alloggi per studenti che dovrebbe sorgere al posto della sala. La geometria del sedime, il volume di grandi dimensioni già costruito sulla rue du Cendrier dall’arch. Saugey – che da buon promotore delle sue iniziative non aveva da imparare da nessuno come ottimizzare i corpi costruiti – le servitù e i diritti di vista da rispettare imporranno una configurazione assai particolare all’edificio previsto per ospitare una sessantina di alloggi per studenti. La redditività dell’operazione è lungi dall’essere acquisita, a meno di supporre che i finanziamenti saranno indirettamente assicurati dagli utili conseguiti dalla parte commerciale del progetto. Non avendo il proprietario l’obbligo di conservare uno stabile considerato non redditizio, come potrebbe avere quello di costruire un fabbricato che a sua volta non offrirebbe un guadagno sufficiente? La catastrofe per il patrimonio e la cultura rappresentata dalla distruzione del cinema Le Plaza avrà altre conseguenze: la sentenza e le motivazioni che l’accompagnano hanno ormai valore di giurisprudenza. La sala del Plaza non costituisce un corpo distinto dal resto del complesso del Mont-Blanc Centre, ne è parte integrante sia nell’ottica della progettazione sia in quella della sua costruzione. Si è dunque declassato selettivamente una parte di un complesso storico sulla base di criteri eminentemente finanziari. Se la valenza di complesso architettonico può essere rimessa in discussione su una base del genere, qualsiasi proprietario potrà d’ora in poi esigere che tutte le componenti di un bene siano redditizie, anche sugli oggetti classificati. Potrebbe capitare qualcosa del genere con un giardino di un albergo, per esempio. Siccome è sempre possibile ottimizzare i volumi costruiti in passato e che è parimenti quasi sempre possibile trovare una destinazione che offra una migliore redditività, questa giurisprudenza può di fatto condurre alla nullità di qualsiasi procedura di classificazione dei beni di proprietà privata, lasciando ai proprietari stessi la facoltà di decidere se e come conservare il loro bene. Il patrimonio del XX secolo, che conta parecchi immobili con uffici, appartamenti, commerci o stabili di reddito sarà molto colpito da questa misura. La sezione ginevrina della Federazione degli architetti svizzeri (FAS), scesa in campo per difendere con l’ultimo ricorso una realizzazione importante di uno dei suoi passati presidenti, si è vista respingere l’istanza come se non avesse facoltà d’agire. Occorre aprire urgentemente un dibattito sulle modalità della conservazione dell’architettura del XX secolo tra le istanze professionali, affinché si diano i mezzi necessari per influenzare le decisioni. La distruzione di opere di peso significa rimettere in discussione il riconoscimento delle opere architettoniche stesse come bene culturale comune.

PROBLEMI SULLA RICONVERSIONE DEL PATRIMONIO RELIGIOSO  18

Cambiamento di destinazione degli edifici sacri Pensando alla conservazione e a una nuova destinazione degli edifici sacri, bisogna tener conto della loro diversità rispetto agli altri monumenti architettonici. Se la nuova utilizzazione ha una connotazione profana, occorre tener conto di alcune particolarità determinate dall’importanza sociale, dal significato simbolico e del valore storico-culturale che questi edifici hanno. Dott. Eva Schäfer, architetto e conservatrice, Frauenfeld

Oggigiorno, si è spesso portati a pensare che una nuova destinazione sia la salvezza di edifici storici abbandonati. In realtà, si tratta di uno strumento a doppio taglio, poiché questa manovra può causare l’alterazione del patrimonio edilizio, dato che cassa il legame tra architettura e destinazione originaria. Il problema si pone con tutta evidenza nel caso di edifici sacri, delle chiese in particolare. Lo studio di alcuni esempi di trasformazione avvenuti in questi ultimi sessant’anni all’estero consente di ricavare qualche insegnamento fondamentale che qualsiasi autore di un progetto di riutilizzazione dovrebbe conoscere. A tale fine, presentiamo cinque momenti ipotetici di riconversione di luoghi di culto, mettendo l’accento sulle difficoltà che hanno dovuto affrontare le parrocchie, i consigli parrocchiali e i comuni. • L’iniziativa di proporre una cessione parte generalmente dalla parrocchia, che cerca di raccogliere discretamente le informazioni necessarie. Si tratta di un’impostazione corretta, poiché la conoscenza delle caratteristiche architettoniche e dei principî della conservazione del patrimonio, come pure la ricerca di idee valide di riconversione, esige il suo tempo. • Credendo di accelerare le operazioni, la parrocchia inoltra una domanda di demolizione, che di regola viene respinta. Si è già perso parecchio tempo e non c’è alcuna soluzione in vista. La parrocchia si unisce a un’altra vicina e abbandona al suo destino l’edificio, che incomincia a deperire. • I proprietari dell’edificio sacro optano per la vendita del bene. La ricerca di un acquirente si prolunga per parecchi anni, in quanto la vendita deve risultare vantaggiosa e le

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destinazioni poco redditizie hanno scarse probabilità di risultare appetibili sul mercato. Alla compatibilità tra nuova destinazione e struttura e al significato dell’edificio non viene accordata soverchia attenzione. • Non appena trovato un acquirente, la parrocchia si affretta ad alienare il bene, anche se il piano di utilizzazione e il quadro finanziario non sono ancora pronti. La parrocchia è alle prese con svariate difficoltà e non ha un grande sostegno. A volte, subentrano altri problemi, giacché le possibilità di influenzare le trasformazioni o il piano di utilizzazione (previsti nel contratto) sono minime. Una nuova vendita o un nuovo cambiamento di destinazione può comportare nuove trasformazioni. • Il progetto di costruzione è approvato e va in attuazione. In passato, le costrizioni finanziarie e politiche, l’adattamento ai canoni estetici e ai parametri d’uso e di comodità odierni hanno fortemente influenzato i progetti di riconversione. L’assegnazione di una nuova destinazione a un edificio sacro è sovente percepita come un processo lungo e complesso. A prescindere dalla natura del nuovo occupante, per portare a termine i lavori di restauro e di riconversione bisogna contare una decina d’anni. In Svizzera, sarebbe utile istituire un’organizzazione ecclesiastica sul modello britannico del Churches Conservation Trust incaricata di rilevare le chiese vuote oppure creare fondazioni regionali che, come nei Paesi Bassi, hanno il compito di assicurare la conservazione e l’utilizzazione dei luoghi di culto. Nonostante tutte le difficoltà evocate, la riconversione permette di salvaguardare i monumenti religiosi, ma bisogna operare con cautela se si vuole rispettare il significato storico-culturale di questo tipo di architettura e assicurarne la conservazione a lungo termine.

EDIFICI DI VALORE DEGLI ANNI CINQUANTA NEL FUTURO BÜRGENSTOCK RESORT  21

Fascino hollywoodiano sotto tutela Tra gli alberghi del Bürgenstock NW, nel Waldpark Ost, un singolare parco risalente agli anni Cinquanta, si trovano una piscina reniforme con bar subacqueo e alcune piccole costruzioni. Attualmente, gli alberghi del Bürgenstock sono sottoposti a un processo di rinnovamento generale. Per conservarsi, il complesso va dapprima restaurato e poi gli va assicurata un’adeguata manutenzione. La premessa affinché ciò avvenga è che sia inglobato nel nuovo resort e possa da questi essere adeguatamente utilizzato. Meret Speiser, architetto/storica dell’arte, Lucerna

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Situato tra gli alberghi in cima alla collina del Bürgenstock, il Waldpark Ost è un parco segnato dal vento, dagli elementi naturali e dal tempo. Ciò nonostante, l’attrazione esercitata da questo luogo, che ha visto transitare illustri personalità da tutto il mondo, percepita ancora al giorno d’oggi. Quando Friedrich Frey-Fürst morì nel 1953, tutto il complesso alberghiero creato un’ottantina di anni prima passò al figlio Fritz. I vari esercizi conobbero in seguito parecchi rinnovamenti e nuove realizzazioni, tra le quali va citato anche il menzionato Waldpark Ost, con al centro la piscina reniforme. La progettazione è opera dello stesso Fritz Frey, appena rientrato da un viaggio in America al momento di rilevare le strutture alberghiere. E in effetti, i modelli stilistici della piscina sono mutuati da quelli in auge oltreoceano. L’immagine del sogno americano di una vita agiata e nell’abbondanza veicolata da Hollywood si stava propagando, e la piscina all’aperto, senz’altra funzione se non quella di appagare un puro piacere, ne era il simbolo perfetto. Il bar subacqueo è parte integrante della piscina, come pure la vasca per i bambini, il trampolino, le aiuole, la doccia e tre pennoni. Il bar si trova un piano sotto e permette di osservare attraverso tre oblò il mondo subacqueo della vasca rivestita con un mosaico color turchese. Anche lo spogliatoio rotondo e un padiglione a forma di tempietto nel punto più alto, entrambi opera dell’architetto lucernese Otto Dreyer, caratterizzano il parco tuttora in buono stato. Negli anni Ottanta, il padiglione ha dovuto cedere il posto a una nuova costruzione. Tutti gli edifici sono immersi in un ambiente connotato da composizioni rocciose create ad arte e da piante esotiche evocanti le regioni secche della California, in netto contrasto con il mondo alpino che circonda il Bürgenstock. Una sessantina di anni dopo, gli storici alberghi del Bürgenstock, con investimenti arabi alle spalle, sono sottoposti a un rinnovamento generale, comprendente trasformazioni totali o aggiunte, ampliamenti e sostituzioni con nuovi edifici. I lavori di progettazione sono stati affidati a studi di architettura locali, come Rüssli Architekten e Lüscher Bucher Theiler Architekten, e all’architetto italiano Matteo Thun. Il luogo si chiamerà in futuro Bürgenstock Resort e andrà annoverato tra gli alberghi internazionali di gran lusso. Si punterà anche sui valori storici, sebbene non sempre essi coincidano con i criteri europei di tutela dei beni culturali. A ogni modo, è stata una fortuna che il servizio dei beni culturali cantonale sia riuscito nel 2012 a mettere sotto protezione parecchie delle piccole costruzioni che caratterizzano la fisionomia del luogo. Tra di esse vi sono anche i piccoli edifici del Waldpark Ost, che con la loro commistione architettonica hollywoodiana-anni Cinquanta hanno conferito al parco un aspetto unico. Per conservarlo, occorre però ripristinarlo e garantirgli un’adeguata manutenzione. La premessa affinché ciò avvenga è che sia inglobato nel nuovo resort e possa da questi essere adeguatamente utilizzato.


Il fatto è che gli interessi di una struttura di lusso e quelli della conservazione monumentale non sempre coincidono quando si tratta di por mano al restauro di un bene. Su un versante milita l’esigenza di offrire i parametri di prestigio, sicurezza e igiene oggi pretesi, e di lesinare sui costi d’investimento e di manutenzione. È chiaro che per un resort del genere occorra un centro benessere dotato di tutte le comodità che gli ospiti possono desiderare. Sul versante opposto, la priorità suprema è la salvaguardia della sostanza originale, la conservazione dell’autenticità del bene. Come conciliare queste posizioni divergenti? Concezione di restauro della commissione dei beni culturali Nel caso del Waldpark Ost, è stata appositamente creata una commissione dei beni culturali nella quale siedono rappresentanti del ramo, della politica, della committenza ed esperti federali, che ha studiato una concezione di restauro esposta in un’esauriente documentazione comprendente descrizioni particolareggiate, fotografie e piani. In una seconda parte e appoggiandosi sui Principi per la tutela dei monumenti storici in Svizzera, sono stati definiti e motivati gli obiettivi per un restauro. Durante questa operazione, sono stati tenuti in debito conto gli adeguamenti e le concessioni indispensabili per la prosecuzione dell’esercizio. Per gli obiettivi, come pure per i conseguenti provvedimenti, sono stati fissati diversi stadi di priorità. I provvedimenti della priorità 1 riguardano la conservazione e l’autenticità del bene. Nel caso della piscina, si tratta di rimettere in buono stato la vasca, la bordura con lastre di pietra calcarea, gli oblò, il mosaico delle pareti, i canaletti originali, così da ripristinarne l’aspetto. I provvedimenti della priorità 2 prendono in considerazione i cambiamenti esatti dalle nuove norme e dai nuovi parametri. In concreto, per la piscina occorre ridurre la profondità della vasca, costruire un accesso in più, montare una nuova illuminazione subacquea, smantellare il trampolino e rinnovare gli impianti tecnici. In una terza fase, verranno esposte e motivate le raccomandazioni del servizio dei beni culturali, nonché tutte le conseguenze che si avrebbero qualora non ci si attenesse alle misure consigliate che comporterebbero inevitabilmente la perdita di caratteristiche importanti e, di conseguenza, anche del valore del bene. La concezione di restauro commissionata dal servizio dei beni culturali cantonali e dall’investitore funge da base per le decisioni contestuali ai lavori di restauro. Non è al momento possibile stabilire se riuscirà un restauro gradito alle attese dei committenti senza causare inconvenienti maggiori dal punto di vista della conservazione monumentale. Solo quando verrà inaugurato il complesso si saprà se i futuri ospiti potranno immergersi nella piscina reniforme e in quell’atmosfera che in passato era stata apprezzata anche da Audrey Hepburn, Sophia Loren e Jimmy Carter.

HEIMATSCHUTZ SVIZZERA PREMIO SCHULTHESS PER I GIARDINI 2016  30

Distinzione per il Parco Bally Il Parco Bally di Schönenwerd è un bene monumentale industriale e culturale, e un prezioso spazio libero in mezzo all’Altopiano, che sorge accanto al tronco autostradale Aarau - Olten. L’Heimatschutz Svizzera onora con l’assegnazione del Premio Schulthess per i giardini 2016 l’impegno profuso dai tre comuni solettesi a tutela di questo parco unico nel suo genere. Patrick Schoeck-Ritschard, Heimatschutz Svizzera

Il nome Bally evoca in primo luogo le eleganti scarpe di ottima fattura uscite per oltre un secolo dagli stabilimenti di Schönenwerd, che hanno scritto la storia del design svizzero. Attorno alle fabbriche della Bally, a metà del XIX secolo si è sviluppato un paesaggio industriale, che oggi fa parte dell’identità e dell’immagine della regione. Un elemento centrale di questo ragguardevole complesso è il Parco Bally, gradualmente creato dalla famiglia sulle rive dell’Aar a partire dal 1860 col concorso di rinomati progettisti di giardini che hanno trasformato in un rigoglioso parco un paesaggio originariamente caratterizzato dai canali industriali. Salvataggio e responsabilità Le ripetute alienazioni e il lento tramonto della Bally hanno dissolto il legame tra la società, gli immobili e il parco. A cavallo dell’inizio di questo secolo, era addirittura stata prospettata la vendita del complesso, il che lo avrebbe esposto a molte incertezze. Per finire, nel 2001 i comuni e i patriziati di Gretzenbach, Niedergösgen e Schönenwerd hanno rilevato il parco, lo hanno posto sotto protezione e si sono impegnati ad assicurarne la manutenzione e la cura. Il finanziamento di quest’ultimo impegno è reso possibile dal lavoro di molti volontari e da un progetto occupazionale che all’utilità sociale abbina un basso costo. Ma anche l’approvazione dei cittadini dei comuni proprietari a sostenere investimenti importanti e onerosi interventi di riparazione testimonia la comprensione del valore del complesso, percepito come parte della propria storia e prezioso spazio libero nella regione del Niederamt. Col Premio Schulthess per i giardini 2016, l’Heimatschutz Svizzera non si limita ad attribuire un riconoscimento a un giardino storico, ma premia lo stretto legame che unisce la popolazione al parco, premessa fondamentale per la sua conservazione a lungo termine. → L’Heimatschutz Svizzera assegna dal 1998 il Premio Schulthess a chi ha fornito prestazioni di prim’ordine nel campo della cultura paesaggistica. Il Premio è dotato di CHF 25 000.–. I munifici patrocinatori del Premio sono i coniugi Georg e Marianne von Schulthess-Schweizer di Rheinfelden.

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ACCOMPAGNAMENTO DEL PROGET TA NFTA  38

Cantiere del secolo in armonia con il paesaggio antropico L’impegno dell’Heimatschutz Svizzera e di altre organizzazioni ambientaliste è stato pagante: ha salvato numerosi beni culturali durante la realizzazione della Nuova ferrovia transalpina (NFTA). Daniel Bütler, giornalista, Zurigo

A inizio giugno, verrà aperta la nuova galleria di base del San Gottardo, e la Svizzera ufficiale si sdilinquirà nelle lodi agli aspetti ingegneristici che hanno permesso di realizzare questa gigantesca opera. L’Heimatschutz Svizzera mette invece in luce un altro aspetto. Il «cantiere del secolo» nei suoi ventidue anni d’esistenza ha messo in pericolo numerosi edifici meritevoli di protezione o vie di comunicazione storiche, per la cui salvezza l’Heimatschutz Svizzera si è spesa con ardore. Su mandato dell’Heimatschutz Svizzera e di altre sei organizzazioni di tutela dell’ambiente e della natura (Pro Natura, Aqua Viva, FSP, ASPU/BirdLife Svizzera, ATA e WWF), il geografo e biologo Martin Furter ha seguito da vicino sin dal 1994 l’andamento dei lavori. La sua determinazione e i solidi argomenti avanzati in modo più costruttivo che polemico hanno permesso di ottenere buoni risultati per le organizzazioni mandatarie. Il signor Furter ha molto apprezzato che i responsabili della committenza lo abbiano sempre informato correttamente e lo abbiano coinvolto sin dalle prime battute nei vari progetti, consentendogli di suggerire le correzioni del caso. Quand’era necessario, sono state inoltrate opposizioni, «tutte, almeno in parte, con esito positivo». Una volta di più, è emerso chiaramente come il diritto di ricorso delle organizzazioni sia uno strumento importante per difendere con successo le posizioni dell’ambiente naturale e costruito. Vie di comunicazione storiche Da molti secoli, la regione del San Gottardo, ricca di storie e di miti, è una via di comunicazione centrale sull’asse nord-sud. Delle numerose mulattiere, per esempio quelle per superare le gole del Piottino, rimangono tratti e ponti che ne testimoniano

IMPRESSUM I testi in italiano sono curati, adattati e a volte ridotti da Fabio Chierichetti 2/2016: 111mo anno Editore: Heimatschutz Svizzera (redazione: Peter Egli) Stampa: Stämpfli AG, 3001 Berna Grafica: Stillhart Konzept und Gestaltung, 8003 Zurigo Appare: a scadenza trimestrale Indirizzo: Redazione «Heimatschutz/Patrimoine» Villa Patumbah, Zollikerstrasse 128, 8008 Zurigo T. 044 254 57 00, redaktion@heimatschutz.ch ISSN 0017-9817

l’importanza. Ebbene, proprio nelle gole del Piottino si voleva scaricare il materiale di scavo della galleria estratto nei pressi di Faido. «L’allora Segretario generale dell’Heimatschutz Svizzera, Hans Gattiker, si era recato personalmente sul posto per scongiurare l’operazione», ricorda Martin Furter, «riuscendo a convincere i responsabili.» Per convogliare il materiale di scavo fino alla deponìa già esistente, fu costruito un nastro trasportatore lungo sei chilometri, e le gole del Piottino non furono deturpate. Anche nel caso dell’attacco intermedio di Amsteg è stato possibile salvare e ripristinare una mulattiera ancora percorsa. Per quanto concerne la mulattiera dell’Oberalp a Bugnei, un oggetto IVS d’importanza nazionale, è stato ottenuto l’impegno a ripristinarne lo stato originario. Villa Negroni a Vezia Villa Negroni a Vezia, una delle dimore signorili più significative della regione, era già tenuta, per gli aspetti architettonici che presenta, sotto osservazione dall’Heimatschutz Svizzera. Le scosse provocate dai lavori al portale sud della galleria del Ceneri mettevano in pericolo le vecchie mura. Furter è riuscito in questo caso a far proteggere il prezioso monumento architettonico del XVIII secolo da qualsiasi danno imputabile ai lavori. Un’altra opera di rilievo è lo Stüssi-Brücke a Erstfeld, un esempio di arte ingegneristica della seconda guerra mondiale. Secondo i piani, questo ponte in acciaio sarebbe dovuto sparire; invece, viene ora utilizzato come sentiero pedonale e pista ciclabile. Avvegnaché molte opposizioni inoltrate da Martin Furter per conto dell’Heimatschutz Svizzera abbiano sortito un esito positivo, bisogna prendere atto anche di alcuni insuccessi che hanno sancito la perdita di singoli tratti di sentieri storici. A titolo di compensazione, si sono avuti interventi, quali il ripristino di un sentiero invaso dalla vegetazione in un castagneto presso Biasca. Questo bosco inselvatichito, un tempo selva fornitrice di castagne, è ora nuovamente percorribile e riportato a nuova vita, a tutto vantaggio del paesaggio colturale. Nonostante i successi incasellati, Adrian Schmid, Segretario generale dell’Heimatschutz Svizzera, constata: «Tutto sommato, la costruzione della NFTA rappresenta un carico enorme per l’ambiente. Dozzine di ettari di buon terreno sono state ridotte a deponìe del materiale estratto dalle gallerie, boschi e paesaggi ecologicamente importanti sono stati irrimediabilmente distrutti. Non bisogna dimenticare tutto questo in giugno quando scorreranno sugli schermi le immagini dei festeggiamenti per l’apertura della galleria». E continua, «la tutela dei paesaggi rurali tradizionali va proseguita anche durante l’appena decisa realizzazione del secondo tubo autostradale».


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