Heimatschutz/Patrimoine 3/2020: Finestra

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HEIMATSCHUTZ PATRIMOINE

Finestra in lingua italiana

Società civile e volontariato

EDITORIALE

TEMI D’AT TUALITÀ

Insieme per la cultura architettonica

IL COMMENTO

Associazione degli amici del castello di Chillon, Associazione svizzera degli amici dei mulini, Associazione ProSaffa1958-Pavillon… La lista delle associazioni in Svizzera è lunga. Si stima che ne esistano circa 100 000 e il sostegno di molte di loro alla conservazione del patrimonio architettonico è incalcolabile. Ma che ne sarebbe delle associazioni e delle aziende attive in ambito culturale se non ci fossero i volontari? Quali sarebbero le prospettive per il futuro? Gabriela Gehrig spiega come già da oltre dieci anni i volontari forniscono un contributo prezioso ai siti storici del Museo d’Argovia: dalla cuoca che prepara ricette medievali al castello di Lenzburg, fino al ricercatore impegnato a decifrare i segreti dell’archivio della famiglia von Hallwyl. L’esempio argoviese mostra come il volontariato evolve nel corso del tempo. Serve agilità, anche da parte delle istituzioni. Si preferiscono di solito gli impieghi flessibili, quelli che non costringono a impegnarsi per anni. In quanto militante del mondo associativo e Segretario generale di Patrimonio svizzero, sono convinto che la società civile, e quindi il volontariato, assumeranno un’importanza crescente e sapranno sempre ridefinire il proprio ruolo. I volontari non sono semplice forza lavoro non retribuita. Sono un potenziale nel quale investire. E ne vale la pena. Patrimonio svizzero continuerà a fare la sua parte a favore della cultura architettonica e questo grazie all’impegno dei nostri membri, che ogni anno ci sostengono anche con migliaia di ore di volontariato. È un contributo cui va dato il giusto riconoscimento: grazie per tutto quello che fate! Stefan Kunz, Segretario generale di Patrimonio svizzero

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L’onere della proprietà Che la pubblica utilità dovrebbe precedere l’interesse particolare sembra ovvio, tuttavia, quando dall’astratto si passa al concreto, si rende evidente che la proprietà di determinati immobili implica anche degli oneri. Ma dove va tracciato il confine tra il vantaggio personale e il pubblico interesse? Stabilirlo non è sempre facile, ma esistono esempi grazie ai quali è possibile farsi un’idea. Il principio della «densificazione centripeta degli insediamenti», per quanto si tratti di qualcosa di desiderabile, ha anche condotto a un’esplosione senza precedenti dei prezzi degli immobili. Così, mantenere una dimora signorile, anche se è in buone condizioni, può diventare molto oneroso e quindi poco conveniente dal punto di vista economico. Inoltre, c’è sempre dietro l’angolo un investitore pronto a persuaderci con qualche progetto che si pretende «lungimirante». Come biasimare quei proprietari che cedono a simili proposte? Tuttavia, tali tentazioni sono controbilanciate se, oltre ai vantaggi immediati, si tiene conto degli interessi a lungo termine. È chiaro che vendendo al migliore offerente il proprio edificio tutelato come bene culturale (o, più precisamente, il terreno sul quale si trova) si può diventare ricchi da un giorno all’altro. Ma poi che si fa con quel denaro? Lo si investe in un’altra casa? Ha senso? Il pensiero che più assilla molti proprietari è allora quello di come trasmettere l’immobile alla generazione seguente o perlomeno assicurarsi che finisca in buone mani. Certo, non è affatto semplice quando i prezzi salgono alle stelle e nessuno dei successori dispone del reddito necessario per compensare gli altri eredi. In questi casi la messa sotto protezione dell’immobile è spesso d’aiuto, poiché in tal modo si garantisce che il suo valore non si discosti in modo eccessivo da quello di un utilizzo volto alla redditività. È un po’ come quello che si fa, per i medesimi motivi, nel diritto di successione relativo ai fondi agricoli. E quando non ci sono eredi? Molte volte la soluzione migliore è il trapasso di proprietà a un ente benefico per volontà testa-


mentaria. Dal punto di vista della protezione dei beni culturali, Patrimonio svizzero rappresenta in questi casi una scelta ideale. Qualora si voglia invece designare un’altra istituzione, è importante che il testamento non le imponga di vendere il bene «al migliore offerente». Tutte le organizzazioni senza scopo di lucro operano nell’interesse generale e bisogna quindi evitare che siano (o si trovino obbligate a essere) agenti involontari della distruzione di testimonianze architettoniche storiche. Evidentemente anche in questi casi la messa sotto protezione mentre i proprietari sono ancora in vita è un’ottima idea. Coloro a cui vengono affidati degli edifici storici sono perlopiù consapevoli delle proprie responsabilità. Si impegnano anima e corpo a mantenerli al meglio, il più delle volte senza aiuti pubblici, e non di rado si battono con successo contro gli scempi edilizi che minano le aree circostanti. Il presente numero della nostra rivista è dedicato all’impegno della società civile in questo campo ed è quindi l’occasione per ringraziare di cuore tutte queste persone. Martin Killias, Presidente di Patrimonio svizzero

FORUM A COLLOQUIO CON BARBARA BUSER  6

Una mediatrice con molte idee Primo: anziché costruire qualcosa di nuovo, prendere quello che esiste, ripensarlo e riconvertirlo. Secondo: se si costruisce qualcosa di nuovo, lo si faccia recuperando i materiali presenti o impiegando elementi prefabbricati in serie. È questa la filosofia dello studio basilese baubüro in situ, fondato 22 anni fa dagli architetti Barbara Buser ed Eric Honegger. Marco Guetg, giornalista, Zurigo

Signora Buser, il sogno di ogni studente di architettura è realizzare un giorno un grande progetto da zero. Era così anche per lei quando negli anni Settanta studiava al Politecnico di Zurigo? La mia ambizione non è mai stata quella di lasciare il segno dal punto di vista estetico. Fin dall’inizio ero più interessata ad altre cose. Una di queste era la cosiddetta vernacular architecture, ossia costruire in un luogo specifico con i materiali disponibili sul posto, per venire incontro alle esigenze locali e senza l’interven-

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to di un architetto. Un altro aspetto a cui mi sono interessata molto presto è la funzionalità degli elementi prefabbricati in serie. C’è stato qualcosa in particolare che l’ha condotta su questa strada? Più che altro c’è stato un consolidamento di convinzioni preesistenti. Durante gli studi visitavamo molti luoghi per ammirare i progetti degli architetti famosi. È però cresciuta in me la convinzione che a interessarmi erano molto di più gli insediamenti e le strutture urbane, il momento in cui, alla fondazione di una città, si stabilisce un piano generale con determinate regole, lasciando poi agli individui la facoltà di dare forma agli spazi particolari. Questo modo di pensare e di lavorare si è ulteriormente consolidato durante la sua esperienza nella cooperazione allo sviluppo in Africa? Eccome! In Africa ero a contatto diretto con l’architettura vernacolare. Ho visto e imparato che cosa significa lavorare con quello che si ha a disposizione, per esempio con fango e rami, poiché abbattere alberi è troppo complicato a causa della mancanza di attrezzature adatte. Dopo il suo ritorno a Basilea ha aperto uno studio di architettura che ha chiamato «in situ», un nome programmatico? Siamo dell’idea che quando si lavora sul posto si costruisce in modo diverso. Si vede la luce, si sente l’odore della pioggia, si soffrono il freddo e il caldo. Siccome ci occupiamo soprattutto di ristrutturazioni, abbiamo la possibilità di lavorare e fare riunioni direttamente sul cantiere. Tentiamo anche di agire il più possibile a chilometro zero. Si considera prima di tutto un’architetta, una pianificatrice territoriale o una mediatrice? Una mediatrice e una persona che contribuisce attraverso le sue idee, perché mi ritengo abbastanza brava a capire e valutare i desideri e le esigenze delle persone. Non progetto quasi mai. Se ne occupano i miei colleghi. Io guardo il risultato e poi ne discutiamo. Ristrutturare, trasformare, pensare in modo modulare e recuperare elementi costruttivi: Di che tipo di progetti vi occupate concretamente? I nostri mandati spaziano dal rifacimento del bagno di una casa monofamiliare alla trasformazione di interi comparti di 50 ettari e più. Le quattro attività presentate si collocano nelle tendenze attuali. Ricevete molte richieste? Nel corso di questi ventidue anni siamo cresciuti fino a impiegare più di sessanta collaboratori, ma continuo a considerare la nostra un’architettura di nicchia. Spesso sono lavori di piccolissima portata, che nascono da un’esigenza particolare, e la gente capisce che il nostro compito è aiutare a definire questa esigenza e soddisfarla. Che tipo di clientela avete? Soprattutto quella legata a uno stile di vita alternativo? È difficile da dire. Lavoriamo parecchio con varie fondazioni e casse pensioni, ma ci contattano anche molti conoscenti. Altre volte


sono semplicemente persone che si rivolgono a noi perché apprezzano la nostra filosofia e desiderano applicarla ai loro progetti. Quali sono i motivi che spingono questi clienti a rivolgersi a voi? Piuttosto ragioni economiche o ecologiche? O più che altro la ricerca di un diverso modo di abitare? C’è un po’ di tutto. Va detto che sempre più persone simpatizzano con il nostro approccio di riutilizzare per quanto possibile i materiali da costruzione già presenti in loco. Ci può spiegare per esempio come avete operato nel caso dell’immenso progetto di trasformazione della zona industriale Gundeldinger Feld a Basilea? Nel 1999 la Maschinenfabrik Sulzer Burckhardt AG ha deciso di vendere il comparto. Abbiamo contattato l’associazione di quartiere, organizzato una grande manifestazione, definito qual era il nostro sogno e invitato le persone a condividere idee. Abbiamo ricevuto intorno ai 400 fax (!) pieni di spunti. Al contempo abbiamo dovuto elaborare un piano, cercare investitori e definire l’utilizzo dell’area. Alla fine l’impegno finanziario degli investitori è stato di 12 milioni di franchi, con i quali, dopo aver costituito la società Kantensprung AG, abbiamo acquisito la zona industriale in diritto di superficie per 90 anni. Abbiamo lavorato a partire da quelle 400 proposte, invitato vari gruppi e ristoratori, e raccolto altre idee. I cinque fondatori della Kantensprung AG hanno poi effettuato una selezione in base ai criteri della rilevanza per il quartiere, dell’integrazione e dell’attenzione per l’ambiente. Per noi era importante accorciare gli iter decisionali, poiché dovevamo reagire in fretta a circostanze in continuo mutamento. Alcuni spazi potevano e dovevano essere occupati subito, in altri casi occorreva attendere che gli inquilini uscissero, per cui avevamo più tempo per riflettere su come usarli. Ci sono voluti sei anni per concludere tutto il lavoro, ma è chiaro che la nostra idea aveva colto nel segno: oggi festeggiamo il ventesimo anniversario! Vi proponete di riciclare materiali da costruzione usati. A tale scopo, nel 1996, lei ha fondato insieme a una collega un’apposita piattaforma di scambio. Ci racconti com’è andata. All’inizio volevamo inviare materiali da costruzione ancora utilizzabili dalla Svizzera in Africa. Per ragioni doganali non è stato possibile. Ci siamo quindi proposte di impiegarli nei cantieri svizzeri e così abbiamo creato la borsa dei materiali da costruzione. Abbiamo avuto la fortuna che proprio in quel momento erano stati lanciati dei programmi per i disoccupati. Grazie a questi programmi occupazionali abbiamo potuto sviluppare il progetto coprendo tutti i costi. A tutt’oggi circa 600 disoccupati trovano un’attività temporanea nelle borse, nei negozi e nei mercati di materiali da costruzione che abbiamo messo in piedi. Da allora migliaia di persone hanno fatto questa esperienza per poi ritrovare un impiego nel normale mercato del lavoro. Il suo progetto più recente è stato il recupero del padiglione Saffa, una struttura del 1958. Questo padiglione era del tutto sconosciuto. È stato scoperto perché era stata approvata una domanda di demolizione per la fine di marzo. Non potevamo permetterlo e così, insieme a otto donne, abbiamo costituito un’associazione per salvarlo. Siamo riuscite a ottenere una proroga della demolizione fino a fine mag-

gio, il che ci ha consentito di smontare il padiglione senza distruggerlo. Ora i materiali si trovano in un deposito a Pratteln in attesa di trovare un luogo in cui rimontarlo. Sarà un luogo pubblico? Senza dubbio! A meno che non si trovi proprio un’altra soluzione, vogliamo evitare di destinarlo a un uso privato. Uno studio con oltre sessanta collaboratori, innumerevoli progetti, sia in Svizzera sia all’estero, e ora anche l’impegno nel «volontariato» per il padiglione Saffa. Non è troppo a 66 anni? Mi dicono in molti che dovrei ridurre un po’ il ritmo, ma finché non mi abbandonano la salute e l’energia, continuo… …anche come traghettatrice sul Reno? Sì. La navigazione mi rilassa. Durante il servizio devo concentrarmi solo su quello, senza pensare alle altre cose. → Barbara Buser ha conseguito il diploma di architettura al Politecnico di Zurigo

e una specializzazione in campo energetico. Ha una figlia e vive a Basilea. Dopo gli studi ha lavorato per circa un decennio nella cooperazione allo sviluppo nell’odierno Sud Sudan e in Tanzania. Tornata a Basilea, nel 1995 ha fondato un’associazione per il recupero di materiali da costruzione e nel 1998, con Eric Honegger, uno studio che ha trasformato l’ex sede della Banca popolare svizzera in un progetto sociale ed economico. Lo studio ha poi preso il nome di baubüro in situ e oggi conta una sessantina di collaboratori. Barbara Buser è anche comproprietaria della denkstatt sàrl, un think tank per progetti di sviluppo urbano ed extraurbano. Per il suo impegno a favore dello sviluppo sostenibile, nel 2018 è stata insignita del Prix Cültür e del Basler Bebbi-Bryys, e nel 2020, insieme a Eric Honegger, del Gran Premio svizzero d’arte / Prix Meret Oppenheim dell’Ufficio federale della cultura.

MUSEO D’ARGOVIA  10

Impegnarsi nel volontariato in un museo Con il suo programma di volontariato partecipativo, il Museo d’Argovia ha fatto da apripista nel campo della cultura. Da oltre dieci anni, i volontari forniscono un prezioso contributo ai siti storici del museo e lavorano dietro le quinte. Le richieste sono molte, ma anche il potenziale. Gabriela Gehrig, direttrice del programma di volontariato del Museo d’Argovia

Quando si sente la parola «volontariato», si pensa spesso al mondo del sociale e della beneficenza, dove gode di una lunga tradizione. Basti pensare al precetto cristiano dell’amore per il prossimo, la caritas, che da duemila anni esorta all’aiuto dei bisognosi. Meno spesso, si pensa al volontariato nel campo della cultura. Eppure, anch’esso ha radici lontane e contribuisce enormemente alla vita culturale e alla valorizzazione del patrimonio! Nel XVIII secolo, erano le società letterarie e i gabinetti di lettura a promuovere la cultura. Le associazioni culturali come le conosciamo oggi risalgono invece all’Ottocento. Sebbene due

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secoli fa non si usasse il termine «volontariato», l’impegno volontario, ossia il lavoro non retribuito dei membri, era il presupposto al funzionamento di società e associazioni. Nel Canton Argovia, la Società storica, fondata nel 1859, si distinse per la sua attività di acquisizione. Questa collezione è servita a metà del XX secolo da base per la nascita del museo storico argoviese e dell’Ufficio cantonale di archeologia. In origine, lo stesso Ufficio cantonale era in parte gestito attraverso il volontariato: verso la fine del XIX secolo, cominciarono infatti a interessarsi all’archeologia società e associazioni private. Reinhold Bosch, il primo archeologo cantonale, lavorava come volontario quando negli anni Venti iniziò a occuparsi dei siti storici argoviesi. Nel 1943 fu nominato archeologo cantonale, incarico che esercitò in un primo tempo a titolo accessorio. Solo allora l’archeologia nel Canton Argovia fu istituzionalizzata. Quello argoviese fu il primo ufficio cantonale di archeologia nella Svizzera tedesca. Nel mondo dei musei, molte istituzioni di piccole e medie dimensioni possono esistere solo grazie al contributo volontario delle diverse associazioni museali. Una storia di successo Anche il programma di volontariato del Museo d’Argovia ha già alle spalle una breve storia: da oltre dieci anni infatti, i volontari forniscono un prezioso contributo ai siti storici del museo e lavorano dietro le quinte. Dal 2009, la popolazione argoviese è invitata a partecipare al «suo» museo, collaborando e contribuendo con nuove idee. Nel mondo anglosassone, il volontariato nei grandi musei statali è una pratica radicata da tempo e fa quasi parte del bon ton. Da noi, dieci anni fa l’idea non era ancora così diffusa. Durante il primo anno, il Museo d’Argovia ha coinvolto circa venticinque volontari. Oggi sono già oltre cento e diventano sempre più numerosi! Hanno tra i 25 e i 90 anni, per un’età media, al momento, di cinquantacinque anni. È un gruppo assai diversificato: dagli studenti di storia agli ingeneri in pensione. Gli ambiti di impiego sono altrettanto eterogenei quanto le persone coinvolte: dalla cuoca che prepara ricette medievali nel cortile del castello di Lenzburg, fino ai volontari impegnati a decifrare i segreti dell’archivio della famiglia von Hallwyl, passando per le persone che fanno da guida ai visitatori in occasione di manifestazioni. I volontari sostengono il museo in diversi modi e forniscono un contributo inestimabile. Grazie a loro, la storia e le storie possono essere trasmesse in maniera vivace. Buona parte del lavoro di volontariato viene svolto di domenica. In questo modo i visitatori trovano sempre luoghi pieni di vita: possono assaggiare una ricetta storica al castello di Lenzburg o lungo il sentiero del legionario di Vindonissa, oppure cimentarsi con il tiro con l’arco al castello di Hallwyl. I volontari lavorano però anche dietro le quinte: aiutano nella gestione della biblioteca e conducono le interviste per i progetti di storia orale. Nel progetto archivio, i volontari interessati trascrivono documenti originali redatti in diverse lingue, che provengono non solo dai nostri archivi, ma anche da Berna o dalla Scozia. Il programma del Museo d’Argovia è gestito, coordinato e sviluppato da un gruppo che comprende direzione e assistenza. Costituisce la base amministrativa e funge da interfaccia tra i volontari e il museo, vigilando che siano rispettati determinati principi e standard, come quelli di Benevol, il centro di compe-

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tenza per il volontariato, e assicurandosi che il lavoro retribuito e quello volontario non siano in concorrenza. Nuove idee, nuove opportunità Dall’anno scorso, hanno seguito l’esempio del Museo d’Argovia anche altre istituzioni cantonali. L’ufficio cantonale di archeologia, la biblioteca cantonale e il Museo di Belle Arti hanno quindi aperto le loro porte ai volontari. Anche altri musei e istituzioni hanno capito il valore del volontariato e hanno deciso di avvalersi di questa preziosa risorsa. I volontari però non vanno considerati semplice forza lavoro non retribuita. Sono un potenziale nel quale investire. E ne vale la pena. Va dato loro il riconoscimento che meritano. A tal fine, Benevol offre la propria consulenza alle istituzioni che intendono lavorare con i volontari. Nel 2018, l’Istituto Gottlieb Duttweiler ha pubblicato uno studio intitolato I nuovi volontari, in cui si mostra, tra le altre cose, che oggi i volontari non vogliono più lavorare solo con le mani, ma anche con la testa. Desiderano collaborare attivamente e partecipare in maniera creativa. Questo vale anche e soprattutto per il settore della cultura. Il lavoro deve essere stimolante e dare la possibilità di imparare qualcosa. L’immagine del volontario che si sacrifica altruisticamente fa ormai parte del passato. Il volontariato può e deve essere anche divertente! Serve flessibilità, anche da parte delle istituzioni. Gli impieghi flessibili, che non costringono a impegnarsi per anni, sono in generale quelli che vengono preferiti. È questo il caso anche al Museo d’Argovia. I volontari possono pianificare il proprio lavoro in base alle disponibilità. Inoltre, il museo consente loro di realizzare i propri progetti. Molti progetti e attività nascono dall’iniziativa dei volontari e vengono poi sviluppati in collaborazione con il museo. È ad esempio nato così un progetto per il quale di domenica alcuni volontari spiegano come si svolgeva storicamente la pesca al castello di Hallwyl. I visitatori possono quindi vivere direttamente la storia: si cuoce il pesce sul fuoco all’aperto e ci si può cimentare nella tessitura delle reti da pesca. Le domande di collaborazione come volontari sono molte e per alcuni progetti si è nel frattempo persino creata una lista d’attesa. Il volontariato ha in serbo ancora molto per il futuro. I progetti di community outreach e community building, per esempio, hanno un grande potenziale, come ha dimostrato il Centro Paul Klee di Berna. Una cosa è certa: il volontariato è in grado di aprire nuove strade, tanto per i volontari quanto per le istituzioni.

AREAL BACH, SAN GALLO  14

Un parco cittadino diverso dagli altri A San Gallo, grazie alla partecipazione dei cittadini, una zona abbandonata si sta trasformando in uno spazio aperto a disposizione degli abitanti e in cui può prosperare la natura. Si chiama Areal Bach e si


trova vicino alla stazione ferroviaria di St. Fiden, nella parte orientale della città: quasi 20 000 metri quadrati con prati, alberi, attività per bambini, giardini e ristoranti. Karin Salm, giornalista culturale, Winterthur

«Abbiamo tutti bisogno di un po’ di natura», dice Mathias Inhelder, condirettore dello studio di architettura gsi Architekten AG di San Gallo e membro dell’associazione di quartiere Nordost-Heiligenkreuz. Aveva notato subito che nel suo quartiere, una zona residenziale dove vivono persone provenienti da novanta paesi, mancava un ampio spazio verde. Quando pensava alla parte ovest della città, con il suo bel parco e il laghetto, gli era sembrata una vera ingiustizia. Il suo occhio attento di architetto gli ha permesso di individuare questa lingua di terra accanto alla stazione di St. Fiden. L’area è adibita a parcheggio durante l’Olma, la fiera agricola di San Gallo, e quando arriva il circo Knie, vengono sistemati qui i carrozzoni. Ci sono poi gli operai delle FFS impegnati nei propri lavori, i merli e codirossi che cercano un posto dove fare il nido e un po’ di vegetazione spontanea che avanza qua e là. «Questa zona ha un potenziale» si è detto Inhelder all’inizio del 2019. L’area potrebbe contribuire alla valorizzazione della zona di St. Fiden, in testa alla classifica dei «quartieri problematici» dell’Ufficio federale di statistica, e del quartiere residenziale di Nordost-Heiligenkreuz. Potrebbe diventare un luogo bello da vivere, uno spazio aperto, accogliente per le persone, la flora e la fauna. È nata così l’idea di creare un luogo temporaneo d’incontro che fosse anche un’area verde. Più biodiversità e vera partecipazione All’associazione di quartiere Nordost-Heiligenkreuz l’idea è piaciuta subito, ricorda Inhelder. Il suo studio gsi Architekten AG è stato così incaricato di elaborare un progetto di massima. Al contempo, l’associazione ha iniziato un dialogo con la municipale Maria Pappa, responsabile del dicastero del territorio. L’associazione ha voluto fugare ogni dubbio sul fatto che la trasformazione temporanea dell’area sarebbe convenuta davvero e che non si trattava di castelli in aria. Risultato: Maria Pappa si è mostrata entusiasta. Il progetto rispecchiava infatti alla perfezione alcuni obiettivi di legislatura del governo sangallese, intenzionato a promuovere un rapporto equilibrato tra natura e spazio urbano, più biodiversità e una partecipazione popolare effettiva. Le prospettive erano vantaggiose per tutti. È stata così ottenuta subito una dichiarazione d’intenti per un utilizzo temporaneo dell’area. Trasformare una zona degradata in un’isola verde Inhelder si è allora dato da fare per elaborare un progetto preciso e un piano dei costi. Come responsabile per l’attuazione del progetto è stata istituita l’associazione Areal Bach. Vi pren-

dono parte, tra gli altri, i rappresentati dell’associazione di quartiere e due politici del PLR e dell’UDC. Anche Melanie Diem, nota promotrice di interventi urbani, è stata accolta a bordo e da quel momento ha preso saldamente in mano le redini del progetto. «Trasformare questa zona degradata in un’isola verde è una grande opportunità. Tanto più che si tratta di un quartiere piuttosto rumoroso. L’area potrà così servire da terrazza per chi vive in appartamenti senza balcone, punto d’incontro, parco giochi, giardino per gli anziani e altro ancora», spiega Diem. «Qui possiamo sperimentare nuove idee e strategie di adattamento climatico.» Diem è così diventata la madrina del progetto Areal Bach. Dall’estate del 2019 si è adoperata col massimo impegno, ha parlato con la gente, ha sondato idee e bisogni, ed è riuscita a ottenere la partecipazione di Migros, varie fondazioni, Bioterra, Pro Senectute, Patrimonio svizzero e, non da ultimo, della Città di San Gallo. Anche sul fronte dei finanziamenti Diem sa bene come muoversi: con un’iniziativa di crowdfunding è riuscita a raccogliere in tempo record 615 000 franchi, sia in contanti sia sotto forma di prestazioni di lavoro e forniture di materiali da parte di piccole e medie imprese locali. La Città prevede di stanziare 250 000 franchi. Con la sua partecipazione, i costi totali, pari a 930 000 franchi, saranno quasi completamente coperti. Compromessi necessari Diem e Inhelder hanno reso noto il piano a medio termine. Esso prevede che nei prossimi cinque anni nell’area cresca e prosperi la vegetazione. Sul lato occidentale prevarrà la natura con una zona umida. Su quello orientale rimarranno invece i vecchi capannoni ed è assai probabile che la baracca con il vecchio campo di bocce diventerà un’osteria. Nel mezzo troveranno spazio piazzette, giardini, un muro con graffiti e un parco giochi a tema per bambini. Un ampio prato ghiaioso permetterà ancora al circo Knie di parcheggiare i carrozzoni d’inverno e consentirà all’Olma di mettere qui il proprio checkpoint. Anche i parcheggi della Migros saranno mantenuti. Alcuni compromessi con la vecchia utenza sono stati necessari, poiché per le casse dell’associazione i redditi da locazione costituiscono un introito importante. Naturalmente l’area ospiterà anche degli alberi, che sono il miglior riparo contro la canicola estiva. Il vivaio Roth di Kesswil ha donato duecento piante, tra cui alcuni magnifici esemplari di sei metri d’altezza. «Questi alberi sono già stati trapiantati cinque volte, in questo modo le radici sono preparate per adattarsi al nuovo terreno» spiega Inhelder. Una parte degli alberi e degli arbusti potrà essere trapiantata in altre aree urbane o in giardini privati dopo questo uso temporaneo. L’associazione ha infatti sottoscritto anche una clausola di ripristino allo stato precedente. Diem non si preoccupa al pensiero di quando si concretizzeranno i nuovi piani di sviluppo e le scavatrici dovranno smantellare il parco? Sorride smaliziata: «E chi dice che il futuro progetto di sviluppo non possa comprendere anch’esso un’area verde? Le conoscenze che trarremo e i bisogni che verranno alla luce grazie a questo utilizzo temporaneo avranno di certo un impatto sullo sviluppo futuro. Il nostro impegno come società civile sarà stato in ogni caso utile». → www.areal-bach.ch

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CASERMA VIKTORIA A BERNA  18

I pompieri cedono il posto a una cooperativa Nel 2015, nel mezzo di un vivace quartiere della zona nord di Berna, una vecchia caserma dei vigili del fuoco parzialmente protetta come bene culturale ha trovato una nuova destinazione transitoria. Grazie all’entusiasmo dei volontari locali, ospita oggi una trentina di progetti di quartiere. Da luglio 2018 la cooperativa Feuerwehr Viktoria gestisce lo sviluppo del comparto in modo partecipativo e sostenibile. Fra le varie proposte sono previsti anche alloggi e una scuola.

Dalla colazione al bicchiere della staffa Oggi, tra progetti e attività commerciali, alla caserma Viktoria viene organizzato un migliaio di eventi pubblici l’anno (anche se la crisi pandemica ha ora compromesso la situazione) per un afflusso di circa 15 500 persone. L’accogliente cortile interno è apprezzato da bambini, ragazzi e adulti, ai quali viene proposto un ampio ventaglio di attività: l’officina in cui realizzare oggetti in legno e metallo, il ristorante Löscher in cui fare colazione, aperitivo, pranzo o cena, il «repair café» dove fare aggiustare apparecchi difettosi, il negozio di lampade heicho, l’attrezzoteca, la bottega delle biciclette, le feste di quartiere, i mercatini, gli orti rialzati comunitari. Insomma, quello che prima era un luogo abbandonato ora freme di vita. La riqualificazione transitoria dell’ex caserma dei vigili del fuoco ha arricchito Berna di un nuovo punto d’incontro unico e amatissimo.

Chi abita qui da un certo tempo o conosce bene il quartiere di Breitenrain sa che la zona intorno all’ex caserma dei pompieri presso Viktoriaplatz era in passato molto tranquilla. Così tranquilla che quando nel 2015 si è cominciato a usare gli spazi per altri scopi sono giunte non poche lamentele. Se prima l’unico rumore era quello delle autocisterne, ora l’area pullula di vita. Su iniziativa dell’associazione di quartiere Dialog Nord e grazie all’abilità e all’impegno dei volontari del posto, sono nati un ostello per rifugiati, un ristorante, una scuola di boxe, un’officina, una torrefazione, un negozio di biciclette, un’azienda di produzione di cibi crudi, un negozio di lampade, un liquorificio, vari atelier, corsi di ballo e di sport, orti urbani e molti altri progetti che hanno potuto beneficiare di condizioni di favore.

78 spazi, 5 piani, 4100 metri quadrati La caserma Viktoria non solo ha avuto un notevole impatto sulla vita del quartiere, ma ha anche creato impieghi e opportunità economiche. Vi si sono insediate attività che poi sono cresciute fino al punto da dovere trasferirsi altrove per mancanza di spazio, com’è successo al liquorificio Ingwerer. Gli affitti convenienti hanno consentito ad altre imprese, per esempio all’allevamento di insetti commestibili Kreislauf Bio, di lanciare in breve tempo la produzione e acquisire esperienza. Complessivamente, nel corso degli ultimi anni le aziende della caserma Viktoria hanno creato 21 impieghi a tempo pieno e 54 a tempo parziale. La nuova cooperativa Feuerwehr Viktoria ha sostituito nel 2018 la precedente associazione e ora dà lavoro a una direttrice con un tasso di occupazione del 50%, che si occupa dei numerosi compiti di gestione della caserma. Il comitato generale è invece formato da volontari. La commissione aziendale e il comitato aziendale sono composti dai rappresentanti dei progetti che affittano gli spazi. La cooperativa ha inoltre incaricato una commissione edilizia dello sviluppo delle strutture architettoniche in collaborazione con i proprietari. Ci sono poi una commissione finanziaria, un gruppo di lavoro addetto alla comunicazione e uno responsabile delle future abitazioni. In totale oltre 230 persone sono in vari modi impegnate a titolo volontario. E il successo della caserma Viktoria è dovuto proprio all’insieme di individui, progetti, aziende e inquilini che la vivono giorno dopo giorno.

Tutti insieme per la caserma dei pompieri Che cambiare così radicalmente un luogo del genere conduce sempre a qualche attrito è già stato dimostrato da diversi casi analoghi, sia a Berna che in altre città. Nel caso della caserma Viktoria, durante i primi mesi l’organizzazione era ancora un po’ carente, tuttavia non mancavano l’entusiasmo e l’impegno di un gran numero di volontari, fra cui il comitato, i membri dell’associazione e i responsabili dei progetti. Un regolamento per gli utenti, una buona intesa tra le parti e incontri regolari tra il comitato e il vicinato hanno fatto sì che nel corso degli ultimi anni le acque si siano calmate. Allo sviluppo dell’aera della caserma hanno contribuito diverse discussioni, sia interne sia con interlocutori esterni, come pure le innumerevoli riunioni, gli scambi di opinioni e la formazione di gruppi che hanno posto le basi per una collaborazione fruttuosa nel tempo.

Sostenibilità a tutti i livelli La caserma Viktoria è gestita sulla base dei tre pilastri della sostenibilità: sociale, economica ed ecologica. Si tenta di mantenere un equilibrio tra i tre aspetti, che contribuiscono a uno sviluppo armonico complessivo del luogo e di tutto il quartiere. Quanto praticato qui mostra che cosa accade quando viene sospesa la distribuzione di ricchezza dal basso verso l’alto sotto forma di affitti elevati a favore dei proprietari di case e di chi detiene il capitale. I risultati raggiunti finora parlano da soli e la caserma è diventata un luogo di grande diversità sociale. Ma le innumerevoli ore di lavoro prestato gratuitamente in seno ai vari organi della cooperativa, l’immenso impegno dei volontari per concretizzare uno sviluppo equo e sostenibile – dall’inverdimento del cortile interno all’accoglienza dei migranti – è solo un primo passo verso qualcosa di più grande: l’organizzazione del

Rea Wittwer, rappresentante della cooperativa Feuerwehr Viktoria, Berna

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futuro definitivo della caserma dei pompieri. Tra l’estate 2019 e la primavera 2020 si è svolto un processo partecipativo in cui sono stati coinvolti tutti i membri della cooperativa e che è sfociato nell’elaborazione del programma per un bando architettonico. Nei prossimi anni verranno costruiti alloggi e una scuola a orario continuato, affinché la caserma possa in futuro accogliere ancora più persone e progetti condivisi. → www.feuerwehrviktoria.ch

PATRIMONIO SVIZZERO E LA CONVENZIONE DI FARO  22

Partecipare al patrimonio culturale Dal 1° marzo 2020 in Svizzera è entrata in vigore la Convenzione di Faro. La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa invita la società civile a partecipare a tutte le iniziative culturali pubbliche incentrate sul patrimonio culturale. Questa partecipazione democratica è un caposaldo dell’attività di Patrimonio svizzero e delle sue sezioni, e il volontariato ne costituisce un aspetto fondamentale. Peter Egli, redattore

L’Anno del patrimonio culturale, nel 2018, è stato un’iniziativa promossa dall’UE e dal Consiglio d’Europa. Anche la Svizzera vi ha preso parte. L’obiettivo della campagna era mettere in risalto il potenziale del patrimonio culturale in termini di identificazione con i luoghi, le persone e le tradizioni, ma soprattutto incoraggiare la partecipazione della collettività. Numerose istituzioni, associazioni e persone hanno organizzato oltre 1500 manifestazioni, attività e progetti. In prima fila c’erano Patrimonio svizzero e le sue sezioni cantonali, con un ricco programma intitolato «patrimonio culturale: perché e per chi?», a cui ha contribuito un gran numero di volontari di tutte le regioni del paese. Attivare il potenziale del patrimonio culturale È stata una campagna di successo, coordinata dall’Associazione garante Anno del patrimonio culturale 2018, una coalizione di più di trenta organizzazioni a rappresentanza di quei segmenti della società civile che si dedicano alla salvaguardia e al futuro del patrimonio culturale svizzero. L’esperienza si è basata in buona parte sulle nozioni contenute nella Convenzione quadro del Consiglio d’Europa del 2005 sul valore del patrimonio cultura-

le per la società (Convenzione di Faro). Il testo costituisce una guida su come rendere il patrimonio culturale fruibile da parte di tutti i settori della popolazione. Il concetto di patrimonio culturale a cui fa riferimento comprende forme di cultura materiale, immateriale e anche digitale. Gli Stati firmatari esprimono la loro la volontà «di esaltare il potenziale del patrimonio culturale, di creare nuovi approcci e di permettere forme innovative di acquisizione». Per quanto riguarda la Svizzera, il trattato è entrato in vigore il 1° marzo 2020, dopo l’approvazione da parte dell’Assemblea federale il 21 giugno 2019. La Convenzione di Faro non si limita a definire come il patrimonio culturale vada tutelato in modo sostenibile, ma anche come le generazioni future potranno modificarlo e trasformarlo per garantirne la conservazione nel tempo. Devono contribuire all’attuazione del testo anche quei settori della politica che esercitano un influsso sulla partecipazione culturale, per esempio la politica dell’istruzione, quella delle minoranze, quella sociale e quella occupazionale. Una responsabilità di tutti Anche la società civile è chiamata a contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Convenzione di Faro. È importante che essa partecipi a tutte le iniziative legate al patrimonio culturale e che accompagni in tal modo l’attuazione del trattato. La Convenzione sottolinea fortemente il diritto di tutte le persone alla partecipazione alla vita culturale, all’accesso illimitato al patrimonio culturale e alla possibilità di trarre giovamento da esso. Tutti i gruppi della popolazione devono essere coinvolti nelle attività pubbliche riguardanti la salvaguardia del patrimonio culturale, affinché possano riconoscerne il valore. A questo scopo, vanno forniti impulsi volti a incoraggiare tanto gli scambi quanto l’elaborazione di iniziative e strategie per la tutela del patrimonio. In tal modo, persone di ogni età possono rendersi conto che la protezione del patrimonio culturale in quanto tesoro di conoscenze e preziosa risorsa è una responsabilità di tutti. Esso non rappresenta solo un valore aggiunto per la società, ma veicola un senso di appartenenza a una determinata comunità. Parte del DNA di Patrimonio svizzero La partecipazione democratica alla cultura descritta nella Convenzione di Faro viene praticata da Patrimonio svizzero e dalle sue sezioni da oltre un secolo. Parecchi punti importanti della Convenzione già sono parte del DNA della nostra organizzazione, che li mette in pratica attraverso le attività di mediazione, la consulenza edilizia, l’accompagnamento a progetti di costruzione, il lavoro politico e i costanti scambi a livello personale. Grazie alla sua fitta rete di contatti, alle buone relazioni coltivate in tanti anni con i responsabili della cultura e dei beni culturali, come pure al suo ampio raggio d’azione, Patrimonio svizzero svolge in modo autorevole anche il ruolo di moltiplicatore e catalizzatore dei processi partecipativi. Il lavoro dei volontari attivi nelle sezioni cantonali e nei gruppi regionali di Patrimonio svizzero è molto variato e difficile da descrivere in modo dettagliato. Esso comprende riunioni di comitato, incontri con i politici locali, presenza nei media, discussioni con i proprietari di edifici storici, sensibilizzazione continua nel campo dei beni culturali, contatti individuali con i propri membri, partecipazione a iniziative e campagne coordinate dall’organizzazione mantello e molte altre forme di impegno.

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D’altronde finora non si sono mai raccolti dati esaustivi su tutte le ore di volontariato che queste persone svolgono giorno dopo giorno e anno dopo anno. Una cosa però è certa: il loro impegno individuale è stato, è e continuerà a essere importantissimo per la salvaguardia del nostro patrimonio culturale. → Il testo della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa del 2005 sul valore del patrimonio culturale per la società (Convenzione di Faro) è disponibile sul sito dell’Ufficio federale della cultura alla rubrica «Convenzioni sul patrimonio culturale»: www.bak.admin.ch

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Casa Portico a Moghegno Casa Portico è una piccola dimora costruita nel XVIII secolo sulle fondamenta di un edificio medievale in pietra. Si trova in mezzo al nucleo storico di Moghegno e prende il nome dal portico che la collega agli edifici adiacenti. Come in molte case delle valli ticinesi, i muri sono a secco, in gneiss della regione, un materiale all’epoca poco costoso perché presente in abbondanza. I precedenti abitanti dell’edificio, adibito ad alloggio e a magazzino, avevano predisposto una cantina interrata nel cortile interno. Coltivavano mais e altri cereali nei campi circostanti, ma praticavano anche l’allevamento, la viticoltura e la lavorazione delle castagne. La popolazione locale si dedicava inoltre all’estrazione della pietra e all’artigianato tradizionale, attività che costituivano fonti importanti di reddito. D’estate i contadini salivano agli alpeggi. Durante quei mesi Casa Portico serviva soprattutto come magazzino. Spesso le donne rimanevano in paese e lavoravano le materie prime. Caratteristica per questo tipo di costruzioni è la struttura involuta dei vani, che si incastrano gli uni negli altri su più piani. Quando il numero degli abitanti cresceva, le case venivano ingrandite aggiungendo un locale alla volta. Per questo Casa Portico, come molte costruzioni di questo genere in Ticino, non ha un vano scale centrale. I vari locali si raggiungono attraverso una loggia coperta e le scale di sasso costruite sulla parete esterna dell’edificio. Poteva persino accadere che attraverso l’aggiunta di nuovi piani, case che prima si trovavano su lati opposti di un vicolo venissero unite tra loro. È quanto è accaduto alla stradina che correva lungo la facciata nordorientale di Casa Portico e che si insinuava

tra gli edifici: nel corso del tempo divenne un passaggio a volta incorporato nella casa. Nel 2015 per Casa Portico è cominciata una nuova vita. La STAN, sezione ticinese di Patrimonio svizzero, ha attirato l’attenzione della Fondazione Vacanze in edifici storici sull’edificio. Rimasto abbandonato per decenni, si trovava in uno stato di grande incuria che ne metteva a repentaglio la stabilità strutturale. Poiché i suoi tre piani sono incastrati con quelli degli edifici attigui, un crollo avrebbe rischiato di pregiudicare anch’essi. Grazie al rapido intervento della Fondazione Vacanze in edifici storici, dei proprietari, dell’Ufficio cantonale dei beni culturali e del Comune di Maggia, è stato possibile procedere alle misure di stabilizzazione più urgenti. L’edificio è stato acquisito in diritto di superficie da Vacanze in edifici storici e dopo cinque anni di ricerca di finanziamenti e di lavori di recupero, il monumento storico è stato infine salvato. All’inizio del 2020 lo studio di architettura Pisoni ha realizzato un progetto di restauro volto a mantenerne al massimo le caratteristiche originali. Antonio Pisoni, il quale è stato per anni Presidente della STAN, ha potuto fare capo a un vasto bagaglio di conoscenze sulla cultura architettonica regionale. Il progetto ha beneficiato del sostegno finanziario di vari enti, fra cui l’Aiuto svizzero alla montagna, che in collaborazione con la Fondazione Vacanze in edifici storici mira a ridare vita ai nuclei storici, valorizzandoli come luoghi d’incontro per la popolazione locale e i visitatori, e favorendo un turismo sensibile nei confronti della natura e della cultura. Da aprile 2020 Casa Portico mette a disposizione dei visitatori un soggiorno, una cucina abitabile e una camera doppia. La struttura è in grado di accogliere fino a due persone. Dall’ampia loggia al secondo piano si gode di una magnifica vista sulle montagne circostanti. L’edificio è stato dotato di cucina e impianti sanitari moderni per il comfort degli ospiti. Non è invece stato installato un riscaldamento centrale, in quanto avrebbe compromesso la conservazione della sostanza architettonica originale. La casa è quindi abitabile solo da aprile a ottobre. Affinché ci si senta a proprio agio anche nelle giornate più fresche, è stata installata una stufa a legna nel soggiorno. Il nucleo di Moghegno è inserito nell’Inventario federale degli insediamenti da proteggere d’importanza nazionale (ISOS). Dal paese sono facilmente raggiungibili numerose mete escursionistiche e turistiche del Ticino. Le rive del fiume Maggia sono contornate da incantevoli spiaggette dove rilassarsi, mentre i numerosi grotti invitano ad abbandonarsi ai piaceri del palato. → www.ferienimbaudenkmal.ch/casa-portico

IMPRESSUM I testi in italiano sono curati, adattati e a volte ridotti da Sándor Marazza 3/2020: 115mo anno Editore: Patrimonio svizzero (redazione: Peter Egli) Stampa: Stämpfli AG, 3001 Berna Grafica: Stillhart Konzept und Gestaltung, 8003 Zurigo Appare: a scadenza trimestrale Indirizzo: Redazione «Heimatschutz/Patrimoine» Villa Patumbah, Zollikerstrasse 128, 8008 Zurigo T. 044 254 57 00, redaktion@heimatschutz.ch ISSN 0017-9817

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