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HEIMATSCHUTZ PATRIMOINE
Finestra in lingua italiana
I musei svizzeri
EDITORIALE
TEMI D’AT TUALITÀ
Luoghi di storie e di saperi
IL COMMENTO
Nell’ultima pubblicazione della collana di guide tascabili intitolata Die schönsten Museen der Schweiz – Wissen und Geschichten/Les plus beaux musées – Savoirs et histoires l’Heimatschutz Svizzera presenta cinquanta musei che rappresentano un bell’esempio delle valorizzazioni reciproche che possono nascere tra museologia, allestimento e architettura. I musei presi in esame offrono approcci e prospettive interessanti, danno risalto al patrimonio del passato materiale e immateriale del nostro paese, contribuendo in tal modo alla sua salvaguardia e al suo sviluppo. Col sottotitolo Wissen und Geschichten/Savoirs et histoires, la guida propone una serie di istituzioni di carattere scientifico e sociale. La selezione effettuata riflette la grande varietà del paesaggio museale elvetico. L’opuscolo presenta infatti musei rinomati e altre istituzioni meno conosciute. Per conservare il loro ruolo, i musei devono costantemente adeguarsi al mutare delle esigenze. Gli spazi espositivi e il patrimonio conservato devono riuscire a mantenere un rapporto qualitativamente elevato con la realtà del momento. Per diventare un luogo di scambio e di confronto, occorre quindi conoscere le esigenze della popolazione e tenerne debito conto. Le pagine seguenti gettano uno sguardo sulle molte sfide che attendono questi luoghi di storie e saperi tanto preziosi quanto affascinanti.
La punta dell’iceberg
Peter Egli, redattore
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Il Gottardo: sorgenti del Ticino, del Reno, della Reuss e del Rodano. Ridotto nella seconda guerra mondiale. Asse di transito nord-sud. Tutte queste cose assieme ne fanno un riferimento per l’Europa. Nel mese di febbraio 2016, i cittadini dovranno esprimersi sulla costruzione di una seconda canna tra Göschenen e Airolo. Una decisione che mette in discussione il dettato costituzionale approvato dal popolo circa il trasferimento su rotaia del traffico transalpino. La nuova ferrovia transalpina (NFTA) sarà inaugurata nel giugno dell’anno prossimo. Si tratta di un’opera grandiosa, frutto del lavoro di ingegneri e lavoratori specializzati provenienti da diversi paesi. È su questo asse ferroviario, e non più su strada, che dovranno viaggiare le merci. Chi vive al di qua si sentirà più vicino a chi risiede al di là della catena alpina. L’Heimatschutz Svizzera, assieme a numerose altre organizzazioni operanti a tutela dell’ambiente, della natura e del paesaggio, ha seguito per vent’anni e con attenzione i lavori di costruzione del più lungo traforo di base al mondo. Dai primi progetti presentati nel settembre del 1994 in poi, Martin Furter ha controllato in veste di rappresentante dell’Heimatschutz Svizzera e di altre associazioni ambientaliste i cantieri, le deponìe e i tracciati. Facendo leva sul diritto di ricorso delle associazioni e stabilendo contatti costruttivi, è per esempio riuscito a salvare il ponte in acciaio a Erstfeld, un monumento militare, o la mulattiera dell’Oberalp a Sedrun, una via di comunicazione storica. Anche la fisionomia di Plauns è stata rispettata costruendo un villaggio temporaneo con baracche-contenitori. Si è pure rinunciato alla deponìa nelle gole del Piottino, che avrebbe cancellato le tracce dell’antica via del San Gottardo. Il paesaggio antropico ha potuto essere conservato con la cura di vecchi alberi di castagno. Per la Villa Negroni di Vezia, sono stati adottati provvedimenti di protezione per salvaguardare il monumento.
I paesaggi modellati dall’uomo che oggi tanto ci impressionano meritano di essere tutelati nella loro integrità. È un lavoro poco spettacolare, compiuto lontano dai riflettori della cronaca e poco percepito dal pubblico. Proprio come un iceberg, del quale si vede soltanto la punta che emerge dall’acqua. La rivista anche ai membri ticinesi Questa edizione di «Heimatschutz/Patrimoine» viene recapitata per la prima volta anche a tutti i membri della nostra sezione ticinese (STAN). Essa contiene una finestra che propone in italiano gli articoli più importanti. Così facendo, riusciamo a far conoscere pure in Ticino i valori generali per i quali ci battiamo e i temi che più ci occupano e preoccupano. La loro affermazione dipende dall’impegno che sanno esprimere tutti i nostri amici e sostenitori, al di qua e al di là delle Alpi. Adrian Schmid, Segretario generale Heimatschutz Svizzera
FORUM SCENOGRAFIA MUSEALE TRA PRAMMATISMO E APPREZZAMENTO CULTURALE 6
Trasformazioni in corso Ogni atto creativo è espressione di una disposizione intellettuale. Museologia, scenografia e architettura sono quindi strettamente associate e, nel caso ideale, si corroborano a vicenda. La crescita delle collezioni, la percezione dei valori che cambia nel tempo e le ristrutturazioni costringono i musei a reinterpretare e a valorizzare in modo diverso gli spazi a loro disposizione e i beni che gestiscono. Le trasformazioni del Museo di storia naturale di Basilea illustrano ottimamente questo processo. Françoise Krattinger, Heimatschutz Svizzera
La ricostruzione di una testa in grandezza naturale di un Tirannosauro Rex fronteggia minacciosa gli affreschi di Arnold Böcklin sulla scala centrale. Come reagirebbe Melchior Berri, l’architetto del primo museo svizzero finanziato da una città, immortalato nel busto nella magnifica scala in marmo e muto
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testimone dei cambiamenti e delle ristrutturazioni della sua opera? Aperto nel 1849, l’edificio, che sorge accanto alla cattedrale, doveva offrire all’Università di Basilea in una posizione centrale lo spazio necessario a ospitare le sue collezioni. La facciata in stile greco e i fregi in terracotta carichi di simbolismo esprimono l’ideale illuminista del sapere liberamente accessibile al cittadino emancipato. La collezione di dipinti ospitata sin dall’inaugurazione – che aveva valso al Museo la denominazione di «galleria nazionale segreta» – f u rimossa negli anni dell’ampliamento progettato dagli architetti Vischer & Söhne, tra il 1914 e il 1917. Il bisogno di spazi per le collezioni del Museo ha continuato a lievitare, ed esistono già piani per una nuova costruzione, ma nel frattempo il problema è stato risolto in modo prammatico. Nella galleria dove un tempo era esposta la collezione dei dipinti, campeggia ora il modello di un calamaro gigante preistorico, sotto il quale un esercito di formiche è all’opera in un terrario sistemato in tubi di plexiglas. Non c’è più nulla che ricordi l’esistenza della galleria del XIX secolo. ImpInterventi sulla collina della cattedrale Al Museo delle culture, a pochi passi dall’antica sede, fino al mese di febbraio 2016 sono esposte in un nuovo contesto le opere un tempo presenti al Museo, tra cui il Cristo morto di Hans Holbein il Giovane e altre tele di grande valore, che non sarebbe stato giusto chiudere in un deposito durante i lavori al Museo d’arte (mostra Holbein, Cranach, Grünewald. Capolavori del Museo d’arte di Basilea. Museo delle culture Basilea. Fino al 28.2.2016). Gli architetti Herzog & de Meuron hanno curato nel 2011 la trasformazione dell’ala costruita da Vischer & Söhne come sede dell’allora Museo svizzero delle tradizioni popolari, che, cambiando la propria denominazione in Museo delle culture, si riposiziona anche per quanto riguarda i contenuti. L’accurato intervento, benché non da tutti condiviso, arricchisce uno spazio urbano cresciuto nei secoli con una presenza particolare. Sia l’architettura sia la concezione museale tengono conto del contesto ambientale, degli spazi e degli oggetti in quanto testimonianze materiali dell’attività umana e di un’impostazione intellettuale, proponendo nuovi approcci che non hanno suscitato soltanto consensi. Le forme espositive storiche come bene culturale I musei devono costantemente trovare qualcosa di nuovo per rispondere alle esigenze che mutano col trascorrere del tempo e per mantenere la loro posizione. I nuovi parametri di conservazione, le evoluzioni tecniche e il crescente bisogno di spazio pongono le istituzioni di fronte a grandi sfide. Non deve quindi stupire che molti supporti espositivi di epoche passate non siano più considerati confacenti e vengano rimossi. I modi con cui presentare i beni culturali di un museo sono espressione dello sguardo che gettiamo sul mondo. Il timore di dare di sé un’immagine antiquata induce sovente i curatori a precipitosi e non sufficientemente ponderati interventi su forme espositive precedenti. Invece queste ultime possono documentare un momento storico e, se adeguatamente valorizzate, racchiudono un potenziale non indifferente. In tale contesto, è necessario agire con grande cautela, soprattutto in caso di interventi sugli edifici e sugli spazi interni.
I musei collezionano, curano, studiano, interpretano e presentano le testimonianze materiali come risultato dell’opera dell’uomo e della natura, il che stabilisce una relazione tra lavoro museale, salvaguardia del patrimonio e tutela dei monumenti storici. Anche l’edificio stesso sede del museo può essere considerato un grande e immobile pezzo d’esposizione. Architettura e dintorni Nella realtà museale sono coinvolti molti attori, non soltanto gli architetti di grido chiamati a disegnare progetti prestigiosi. Nel suo contributo scritto per il centocinquantenario del Museo di storia naturale, Nikolaus Meier, già Direttore della biblioteca del Museo d’arte, annotava come il coinvolgimento che suscita l’architettura sia riconoscibile solo se anche l’utilizzazione dell’edificio, l’allestimento degli spazi e la sua frequentazione lo suffragano. Nella «Basler Zeitschrift für Geschichte und Altertumskunde» del 2000, scriveva infatti che chi si occupa della storia di questo Museo, con la sua architettura, gli ornamenti architettonici, i beni esposti e del modo con cui sono presentati diventa cosciente che l’architettura è uno dei prodotti culturali più densi che ci sia. Esso contiene un’infinità di informazioni grazie al variegato processo di invenzioni, realizzazione e utilizzazione. Tutti – committenti, architetti, critici, studiosi – sono strettamente coinvolti, al punto che non si è più in presenza del lavoro individuale di un artista della costruzione, bensì di una creazione collettiva. Se qualcosa resta a lungo inutilizzato si copre di polvere. Ma la polvere si può spazzar via! Messe nella giusta luce, considerate in una prospettiva più fresca e rivalorizzate, le testimonianze culturali di rilievo tornano a far presa sulla nostra coscienza e gettano le basi per le conoscenze future. Molti musei elvetici fanno un lavoro eccellente in questo senso. → La guida tascabile bilingue tedesco-francese Die schönsten Museen der
Schweiz – Wissen und Geschichten/Les plus beaux musées de Suisse – Savoirs et histoires può essere ordinata all’indirizzo www.heimatschutz.ch o rispedendo il talloncino sul retro di questa pubblicazione. A fine 2016, uscirà il seguito intitolato: Die schönsten Museen der Schweiz – Orte der Kunst/Les plus beaux musées de Suisse – Les lieux de l’art.
A COLLOQUIO CON ISABELLE RABOUD-SCHÜLE 13
«Un museo è specchio della storia e della società» Il Museo della Gruyère di Bulle (FR) è uno dei musei più innovativi della Svizzera. La connotazione attuale è opera di Isabelle Raboud-Schüle, che ne ha preso il timone nel 2006. La Direttrice ci ha parlato delle sue origini, del suo lavoro e dei suoi progetti. Marco Guetg, giornalista, Zurigo
Allorché ha assunto la direzione del Museo della Gruyère di Bulle, Isabelle Raboud-Schüle, etnologa di formazione e figlia di genitori dialettologi (la mamma Rose-Claire Schüle è stata la prima donna Presidente dell’Heimatschutz Svizzera), ha subito avvertito l’importanza della sua funzione. Ha potuto usufruire del grande lavoro dei suoi predecessori che avevano raccolto collezioni di oggetti testimonianti numerosi ambiti della cultura popolare, con alcuni pezzi pregiati dell’economia alpestre, documenti iconografici e fotografie. A questo patrimonio, ha abbinato uno sguardo etnologico per mostrare le pratiche culturali della gente locale, la sua lingua, il suo abbigliamento, il suo modo di vivere nella realtà quotidiana. Per Isabelle Raboud-Schüle, il museo è uno specchio dove la gente può trovare gli strumenti per definire la propria identità e capire come il territorio nel quale vive è evoluto nel tempo. Ma oltre a essere uno specchio della storia e della società, un museo è anche un luogo di comunicazione e di animazione che riveste un ruolo di primo piano in una cittadina di 22 000 abitanti qual è Bulle. Il Museo della Gruyère ha solide radici, ma la signora Raboud-Schüle punta ad attirare più visitatori e a interessare i nuovi arrivati in città per far loro conoscere le tradizioni regionali. Tradizioni che non devono comunque rimanere ingessate, bensì evolvere. Le genti si spostano sin dal neolitico, osserva la nostra interlocutrice, e così facendo hanno allacciato relazioni e scoperto cose nuove. Le tradizioni sono la somma di tutte queste influenze. La Gruyère non si è mai rinchiusa entro le proprie frontiere, ha costantemente mantenuto relazioni con gli altri cantoni e con la Francia, cosicché c’è sempre stato un flusso migratorio in entrata e in uscita, che con la forte crescita demografica ha contribuito a forgiare l’identità, al pari dell’economia alpestre e del turismo. Questa identità, aggiunge Isabelle Raboud-Schüle, è una costruzione che evolve. Far capire questo processo è uno dei compiti più importanti e più difficili dell’istituzione. L’edificio che accoglie il museo è sorto nel 1975 su progetto dell’architetto Roland Charrière ed è stato ampliato nel 2002 dal figlio. Gran parte degli spazi sono sotterranei, una particolarità che consente di partire da zero per creare e rinnovare gli allestimenti. La vicinanza della biblioteca pubblica favorisce preziose sinergie, è un fattore d’animazione e dà un accesso privilegiato a una documentazione regionale in continua crescita. L’esposizione permanente è sempre accompagnata da una mostra temporanea. Quella attualmente in corso presenta 240 diapositive autochrome realizzate da fotografi di Bulle, francesi e svizzeri agli albori del XX secolo secondo la tecnica messa a punto dai fratelli Lumière. Altro esempio, l’esposizione Du cheveu au bijou, chiusa a fine agosto, che apriva una finestra su ornamenti e oggetti commemorativi conservati nelle collezioni del Museo e realizzati con capelli. La mostra, che ha attirato visitatori da tutta Europa, è stata curata da un’artista losannese che anch’essa lavora con i capelli. → www.musee-gruerien.ch
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I MUSEI OGGI 16
Tra polivalenza e ambivalenza La Svizzera è un paese particolarmente ricco di musei. Il nostro paesaggio museale è caratterizzato da una sorprendente diversità di tipologie e di modalità di gestione. Tutti hanno però un compito comune da assolvere: interpretare correttamente la loro funzione in un contesto in continua evoluzione. Gianna A. Mina, Presidente Associazione dei musei svizzeri (AMS), Direttrice Museo Vincenzo Vela, Ligornetto, Ufficio federale della cultura
Di museo e di musei non si è mai parlato tanto quanto oggi. Non passa giorno che non si evochino nei media una o più istituzioni museali, siano esse note, storicizzate o neonate, o che si commentino rinnovate collezioni permanenti o mostre-evento di fresca inaugurazione. Volentieri e sovente ai commenti e alle analisi critiche si accompagnano le cifre che riguardano il numero di visitatori: nel migliore dei casi si sottolineano e acclamano presenze record, nel peggiore si prendono a prestito eventuali numeri modesti per mettere in dubbio l’esistenza del museo stesso. Della complessità e della poliedricità di questo prezioso tassello della nostra società invece si comunica poco, preferendo accentuarne gli aspetti più visibili e legati a una comunicazione più superficiale. La Svizzera è un paese particolarmente ricco di tali istituzioni – pubbliche e private, grandi e piccole, antiche e nuove, urbane e decentrate – ed è la nazione in cui si è consolidata una forte tradizione di collezionismo privato e di associazionismo pubblico, dai quali hanno preso avvio numerosi tra i più rinomati musei. Il nostro paesaggio museale è caratterizzato da una sorprendente diversità sia di tipologie – musei d’arte, di scienze naturali, della tecnica, di storia, musei regionali, etnografici, tematici, archeologici, universitari ecc. – che di modalità di gestione, demandata soprattutto alla cura delle comunità locali, dei Comuni, dei Cantoni, più raramente della Confederazione, di privati o di associazioni di cittadini. E pertanto, in virtù del fatto che la maggior parte di essi sono nati per espresso desiderio delle comunità di riferimento, i musei sono considerati elementi identitari importanti, difesi attivamente nel momento in cui i loro amministratori ne minacciano l’esistenza, come successo più volte in anni recenti. Difatti, l’esistenza di un luogo che conservi e trasmetta un
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patrimonio costruito nei decenni, per non dire nei secoli, è un’esigenza legittima dei cittadini, a cui questo patrimonio è stato tramandato; le raccolte di manufatti, opere d’arte, specimen e documenti di ogni genere sono elementi costitutivi e strumenti di decifrazione della nostra storia e della nostra società, utili e interessanti anche per coloro che giungono da noi per turismo, per lavoro o per necessità. Oggigiorno tuttavia questo aspetto «conservativo» non è più sufficiente a convalidare l’esistenza dei musei. Più ancora di altre istituzioni a carattere scientifico e culturale, i musei sono oggi sollecitati ad essere attivi in ambiti sempre più complessi e ad assumere atteggiamenti sempre più aggiornati alle ultime tendenze, per ottenere la soddisfazione del vasto pubblico e il sostegno della politica e degli amministratori. Alle loro funzioni «classiche», fondate sul Codice etico di ICOM (International Council of Museums) – raccogliere, conservare, studiare, trasmettere, offrire occasioni di diletto –, si sono aggiunti in tempi recenti nuovi compiti che derivano da una riflessione profonda e necessaria sul loro ruolo nella società. Nessun museo può esimersi oggi dall’interrogarsi seriamente sulla propria funzione in un contesto sociale in continuo mutamento; da esso ci si aspetta che agisca come agente di integrazione sociale, come garante di un’accessibilità offerta a tutti e come promotore di valori peculiari al nostro Paese quali il plurilinguismo, la difesa della diversità culturale, l’attenzione per le minoranze. Al contempo un museo esemplare è chiamato a promuovere la ricerca intorno alle proprie collezioni, a digitalizzarle e a pubblicarle, ad aumentare la conoscenza e il sapere, ad agire secondo standard di qualità e di rigore etico in ogni settore della sua poliedrica azione, sia essa rivolta al proprio interno, che indirizzata al pubblico e pertanto di portata «politica». Non da ultimo, per rimanere vivo e attrattivo, il museo non può negligere le tendenze globalizzate o alla moda, quali l’impiego di supporti multimediali o la produzione di eventi di intrattenimento momentaneo, che producano effetti di mediatizzazione e un’attenzione costante da parte dei media. Compiti in aumento, fondi e personale in diminuzione In breve, i compiti richiesti a un museo sono in continuo aumento, mentre diminuiscono, nella grande maggioranza dei casi, le risorse umane e finanziarie a sua disposizione. Una contraddizione di fondo, un paradosso, di cui i musei svizzeri sono ben coscienti, e sui quali essi riflettono non senza apprensione riguardo al futuro. Molti musei approfittano di queste molteplici sollecitazioni per cercare soluzioni innovative e creative, non solo attivandosi nella ricerca di sponsor e mecenati privati (un’attività soprattutto esercitata dalle istituzioni più grandi), ma aprendosi anche a collaborazioni transdisciplinari e a progetti condivisi. In questo ambito gioca un ruolo fondamentale la mediazione culturale, di cui dovrebbe far parte integrante l’attenzione per il plurilinguismo, un eccezionale patrimonio culturale svizzero. Da oltre vent’anni la mediazione culturale rappresenta uno degli strumenti più importanti in questo percorso di ridefinizione del ruolo del museo e del suo destino. Pochi sono i musei che non abbiano preso coscienza dell’importanza del coinvolgimento attivo e dinamico di ogni genere di pubblico, e numerose e sorprendenti sono le proposte formulate in questo settore nel nostro Paese.
Quasi cinquant’anni or sono, ovvero nel 1966, i musei svizzeri si sono uniti in una rete denominata AMS (Associazione dei musei svizzeri), che incoraggia i propri membri ad accrescere la propria qualità istituzionale (l’AMS pubblica norme e standard), a curare lo scambio (AMS e ICOM Svizzera curano il sito e la rivista museums.ch e promuovono congressi annuali a tema), ad aprirsi alle tendenze internazionali (AMS e ICOM Svizzera promuovono scambi con associazioni omologhe estere), a curare una sensibilizzazione ed un lobbismo efficaci (ad es. partecipando alla Giornata internazionale dei musei). Il paesaggio museale svizzero gode del favore del pubblico e dell’attenzione dei media. Non va però dimenticato che le insidie – soprattutto derivanti da insostenibili tagli finanziari e da una controproducente mentalità di «concorrenza» – non vanno sottovalutate, e che una riflessione corale e condivisa sul futuro dei nostri musei potrà consolidare tutto il settore. Delle sfide che ci attendono in futuro tratterà il Congresso 2016 dell’AMS dal titolo I futuri dei musei. A noi la scelta a cui invito cordialmente tutte e tutti i colleghi attivi nel mondo dei musei.
IL PAESAGGIO MUSEALE ELVETICO 20
Il contenitore come oggetto d’esposizione In Svizzera, si contano oltre mille musei. Per la maggior parte, si tratta di piccoli musei regionali o locali, spesso alloggiati in edifici storici, il che non guasta. Tuttavia, i beni conservati, come pure gli stabili stessi, possono rappresentare un onere non indifferente. Beat Grossrieder, giornalista, Zurigo
Siamo seduti sulla panca del tavolone di legno della «cucina della nonna», nella quale fa bella mostra di sé anche una stufa economica di ghisa. La Direttrice del Museo di Küsnacht/ZH Elisabeth Abgottspon arriva col caffè. «C’è un’atmosfera di casa, ma c’è molta simulazione», afferma. E per dimostrare quanto dice, apre lo sportello del forno sul quale è attaccata una tavoletta con scritto che per motivi di sicurezza non è più possibile accendere la stufa. Delle quattro stufe in maiolica, nessuna è messa in funzione, sono state raccolte dal Museo come ricordo dei tempi andati. Lo
stesso può dirsi di altri oggetti e di altri musei: molti degli oltre mille presenti in Svizzera hanno una dimensione locale o regionale, e raccolgono, conservano, studiano ed espongono oggetti storici. Molte collezioni sono praticamente intercambiabili, quasi tutte presentano gli stessi oggetti tradizionali evocanti un mondo rurale ormai tramontato. Ma anche quelli più borghesi si assomigliano, con le loro cucine, sale, stanze da letto, stufe o camini. In molti casi, questi piccoli musei sono alloggiati in edifici storici, essi stessi beni in mostra. La signora Abgottspon sottolinea la correlazione esistente: «L’edificio e le collezioni si trovano in stretta interdipendenza. Una volta, c’è una collezione alla quale bisogna trovare una sistemazione, un’altra volta c’è invece un vecchio edificio vuoto al quale è necessario trovare una nuova destinazione». Poter far diventare un fabbricato storico sede museale è una buona soluzione per tutti. I beni di una collezione sono conservati in un luogo degno e per lo più posto sotto protezione locale, mentre numerosi manufatti antichi continuano a esistere soltanto perché trasformati in museo. La Abgottspon ci guida nel suo Museo e illustra come sia stato allestito con criteri prammatici. Si tratta dell’Obere Mühle, le cui fondamenta risalgono al XVI secolo e in parte prima ancora. Il «Küsnachter Jahrheft 1977» riporta che la cantina del mulino potrebbe datare del 1616, mentre alcune sue parti rimanderebbero al 1567. «In passato, era comune riutilizzare materiale proveniente da altri manufatti» e i millesimi 1587 e 1631 stanno a indicare «che al mulino si è costruito incessantemente». Il mulino era già stato rattoppato molte volte, ma con il risanamento del 1983, l’edificio è diventato un’abborracciatura completa, spiega la Abgottspon. La costruzione è stata sventrata, sono stati posati nuovi pavimenti, le pareti sono state ricostruite con uno schema deco-intelaiato o con tavoloni tardobarocchi recuperati da un vecchio birrificio di Schleitheim/SH. Persino l’elegante montante di legno di rovere della cantina è stato aperto per inserirvi un’anima di cemento. Successivamente, è poi stato realizzato per ragioni statiche un secondo montante, copiato dal primo. La signora Abgottspon ha ripreso il Museo nel 2007, lasciandolo in massima parte così com’era: la cucina, il negozietto, la statua di cavaliere in grandezza naturale con l’elmo che i bambini possono provare. Altre cose sono invece cambiate, in particolare la mostra permanente, le esposizioni temporanee e il programma d’attività. La sua intenzione è quella di offrire qualcosa di più che «un bel museo in un bell’edificio antico», segnatamente «un luogo di cultura e di incontro». Alla Abgottspon non disturba il fatto che nel suo Museo molte cose siano state anticate, questi interventi fanno parte della storia dell’edificio, «l’importante è renderli percepibili e non far credere che siano autentici», aggiunge. Sistemare una collezione in un vecchio edificio può anche comportare qualche difficoltà. Gli oggetti esposti in un cubo bianco sono in parte meglio valorizzati perché lo spazio è rettilineo. Anche l’infrastruttura e la dotazione tecnica sono ridotte al minimo: i pavimenti sono sconnessi, le finestre non sono isolate, manca il posto per una caffetteria ecc. L’ufficio della direttrice si trova in cantina, dove in estate non si superano i 18 gradi. «Un luogo ideale per una bottiglia di vino, ma non per me!», ironizza la signora Abgottspon.
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Un lavoro erculeo Anche la collezione, non solo il suo contenitore, può rivelarsi un problema. Come nel caso del Dampfzentrum Winterthur. L’omonima associazione cerca da anni una sede adeguata ad accogliere le testimonianze legate al vapore. Pesano 650 tonnellate i vecchi macchinari, i rulli compressori a vapore e i vari pezzi ripresi dopo la chiusura del Vaporama di Thun. La collezione è classificata come Oggetto A nell’Inventario svizzero dei beni culturali d’importanza nazionale e contiene preziosi reperti, come ad esempio la macchina composta a tre cilindri della Sulzer, che assieme alla torre Eiffel fu la massima attrazione all’Esposizione universale di Parigi del 1889. La ricerca di un contenitore adatto per questi beni è un’autentica fatica di Ercole. Occorrono più di 1000 metri quadrati di superficie, preferibilmente in un vecchio stabile industriale. L’area Lagerplatz di Winterthur offre una sistemazione provvisoria, ma, si duole il Presidente dell’associazione Stephan Amacker, stiamo raggiungendo i limiti. Il padiglione sarebbe «l’ideale, nel centro di Winterthur, la più importante città industriale elvetica». Purtroppo «l’affitto di oltre 100 000 franchi l’anno è proibitivo». Inoltre, nell’area della Sulzer stanno insediandosi nuovi uffici che mal coesisterebbero con un Museo del vapore. Il signor Amacker sta infatti progettando «una fabbrica con macchine a vapore e un’officina dimostrativa con trasmissioni a cinghia». Il rumore e le vibrazioni potrebbero disturbare gli altri inquilini. «Non possiamo mettere in azione il grande maglio a vapore», continua Amacker, ma: «Un museo del vapore senza qualcosa in funzione non attira nessuno». La preparazione di un piano ha richiesto tre le 4000 e le 5000 ore di lavoro volontario. Tra i trecento membri attivi che conta l’associazione, quelli attivi hanno complessivamente fornito 12 000 ore di lavoro a titolo gratuito. La ricerca di una sede adatta non si è confinata a Winterthur, si è guardato anche nei dintorni, a Bauma, Elgg, fino a Sciaffusa, pur preferendo la città zurighese, culla dell’industria. «Tutti sono d’accordo nel giudicare la collezione di valore», continua Amacker, «ma non appena il discorso si sposta sui soldi l’entusiasmo fa presto a smorzarsi.» Berna è prudente Potrebbe intervenire lo Stato allora? Sono state inoltrate richieste sia alla Città sia al Cantone, ma risposte positive non ne sono arrivate. E la Confederazione? Il Messaggio sulla cultura 2016–2020 elenca i musei che intende promuovere, oltre a quelli che dipendono dalla Confederazione, come il Museo nazionale. Vi sono già oggi sovvenzioni federali che affluiscono a Winterthur – a istituzioni consolidate come la Fondazione svizzera per la fotografia e il Technorama. La Collezione Oskar Reinhart è totalmente finanziata da Berna in quanto istituzione propria. Per il resto, la Confederazione è molto restìa con il sostegno ad altri musei, poiché in Svizzera la loro densità è elevata – e oltre tutto la raccolta di oggetti continua a procedere spedita. Il che non è sempre negli auspici delle autorità, come specifica il Dipartimento dell’interno (DFI) nel suo rapporto sulla politica museale. Dal 1960, il numero dei musei è triplicato, superando i mille, ma, come puntualizza il DFI, l’ente pubblico ha raramente rivestito un ruolo attivo in questa
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evoluzione. Anzi, sarebbe lo Stato a essere regolarmente sollecitato da iniziative private. Berna vede la soluzione in una più ricorrente cooperazione tra i molti piccoli musei, che finora hanno sfruttato solo in minima parte le sinergie possibili. Una situazione che va migliorata al più presto. Anche Elisabeth Abgottspon pensa di concordare con altre istituzioni alcune tematiche specifiche sulle collezioni o di proporre mostre temporanee. In questo senso, aderisce all’associazione muse-um-zürich, nata nel 2006 e con un’ottantina di membri all’attivo, la maggioranza dei quali musei locali o delle tradizioni popolari alloggiati in edifici storici. L’associazione festeggia nel 2016 i suoi dieci anni di esistenza e per l’occasione produrrà un gioco di memoria con le foto di tutti gli edifici. La signora Abgottspon se ne compiace: «Potrebbe diventare un gioco impegnativo, visto che molti dei nostri musei si trovano in edifici a graticcio che si assomigliano molto».
HEIMATSCHUTZ SVIZZERA ESPOSIZIONE AL CENTRO HEIMATSCHUTZ 30
Valle Bavona – una valle ticinese senza uguali La prima mostra organizzata dall’Heimatschutz Svizzera nell’omonimo Centro presenta un paesaggio alpino eccezionale, quello della Valle Bavona, le persone che l’hanno modellato e vi hanno vissuto, i cambiamenti avvenuti e in atto, e getta uno sguardo sul futuro. L’esposizione bilingue (italiano/tedesco) rimarrà aperta nei locali del piano giardino di Villa Patumbah fino al 29 maggio 2016. Karin Artho, Direttrice Centro Heimatschutz
La Valle Bavona è caratterizzata da pareti rocciose a strapiombo e ciclopici massi che hanno costretto gli abitanti a sforzi immani per rendere vivibile un luogo inospitale e trarre quel poco che una terra avara poteva dare. A tale scopo, hanno realizzato costruzioni sottoroccia, selve castanili, alpeggi e disseminato nel fondovalle dodici nuclei, oggi ancora abitati nei mesi estivi. Il paesaggio modellato dalle varie attività rappresenta una testimonianza unica nel suo genere che rischia di scomparire.
«Molte persone che vivono oggi in una realtà urbana non hanno praticamente più alcun rapporto con l’economia alpestre tradizionale. Apprezzano il paesaggio che scoprono durante un’escursione, ma pochi sanno immaginare come sia stato creato e che cosa sia necessario fare per conservarlo», spiega Karin Artho, Direttrice del Centro Heimatschutz e co-curatrice della mostra. «Qui noi forniamo elementi per conoscere una realtà del passato e poniamo alcuni interrogativi sulla conservazione e sul futuro dei paesaggi alpini.» L’allestimento si ispira al paesaggio rude della Valle Bavona. Le rocce in cartone sono distribuite nei locali come se fossero precipitate in seguito a una frana, fungendo al tempo stesso da supporto informativo e da elementi di definizione spaziale. I visitatori sono costantemente invitati a interagire – anche in una postazione fotografica dove possono farsi ritrarre abbigliati come i Bavonesi di un tempo. Oltre a un ricco programma quadro previsto a Zurigo soltanto in lingua tedesca, sono proposti due interventi volontari di manutenzione e cura del paesaggio assieme alla popolazione locale. → La Fondazione Valle Bavona è stata costituita nel 1990 allo scopo di garanti-
re un approccio rispettoso agli edifici tradizionali e alla cura del paesaggio culturale. Essa si impegna pure a sostegno delle esigenze della popolazione indigena. L’Heimatschutz Svizzera sostiene la Fondazione dal 1995. Finora, sono stati stanziati circa due milioni di franchi per la conservazione del paesaggio antropico e le campagne di sensibilizzazione. Questi contributi sono possibili solo grazie a un importante legato disposto da Hans Rosbaud, già direttore dell’orchestra della Tonhalle di Zurigo, e dalla moglie Edeltraud.
→ www.bavona.ch
UOMINI E CASE LUDOVICA MOLO E VILL A SAROLI A LUGANO 44
Un nuovo luogo di dialogo Ludovica Molo è architetto, insegna alla Scuola superiore di Lucerna e dirige l’i2a - istituto internazionale di architettura, da poco trasferito da Vico Morcote in centro città a Lugano – un trasloco giustificato da considerazioni strategiche. Marco Guetg, giornalista, Zurigo
Conclusi i festeggiamenti per l’inaugurazione della nuova sede dell’istituto internazionale di architettura, Ludovica Molo e i suoi collaboratori hanno organizzato a Villa Saroli due esposizioni che propongono nuove prospettive. Nella Limonaia, la mostra Glatt! Manifesto per una città in divenire curata dal collettivo di architetti Krokodil assume un carattere programmatico e illustra come anche a Lugano occorrerà in futuro riflettere più intensamente sull’evoluzione della città. La seconda, al pianterreno della villa, ha per titolo Swiss made
in Russia e non intende rendere unicamente omaggio a un luogo lontano, bensì sottolineare il potenziale creativo che scaturisce dallo scambio culturale. Nell’ambito dell’omonimo programma sostenuto da Pro Helvetia, la mostra presenta infatti una serie di progetti disegnati da studenti delle Università di Mosca e di Lucerna per una scuola alla periferia della capitale russa. È qui, a Villa Saroli, in centro a Lugano che si trova la nuova sede dell’i2a – istituto internazionale di architettura, creato nel 1983 come antenna del Southern California Institute of Architecture e unico forum di architettura a sud delle Alpi. Qui hanno insegnato anche i grandi nomi dell’architettura ticinese – Mario Botta, Aurelio Galfetti, Livio Vacchini, Luigi Snozzi… Da qui, sono partiti importanti impulsi al Cantone e al mondo. Le tracce del recente trasloco sono ancora visibili, soprattutto nel piano interrato, dove si trovano la biblioteca, la documentazione, un laboratorio e le sale di conferenza. Il locale più piccolo a pianterreno è destinato alla direzione, ed è lì che sfogliamo una cartelletta contenente alcune schede informative sull’istituto e un foglio con una serie di domande rivolte alla direttrice Ludovica Molo, madre di tre figli. Per esempio: «Lei è titolare di uno studio di architettura, insegna un giorno all’Uni Lucerna, dirige l’istituto… come organizza il suo tempo?». «Per il momento, i miei pensieri sono quasi tutti concentrati sull’istituto», risponde sorridendo. L’arch. Molo è entusiasta della nuova sistemazione. «Se la Città ci ha concesso in affitto i locali, significa che crede nel nostro lavoro», osserva. Una cosa importante secondo lei, visto che al momento imperversa a Lugano una tendenza «Monte-Carlo», ossia una febbre del mattone che distrugge la storia della città. Ma di questo non si parla. Ludovica Molo avverte una spaccatura tra popolazione e architetti; d’altro canto vi è sempre più gente «che vorrebbe mettere un freno allo scempio in corso, ma reagisce con un atteggiamento di chiusura». Il che non facilita il compito dell’architettura contemporanea di qualità. Colmare questo fossato, continua, è uno dei compiti principali dell’istituto. Come fare? Informando, coinvolgendo nella discussione «i poteri decisionali, i committenti, gli architetti, i politici». È fiduciosa, ha già raccolto alcuni indizi positivi di politici e semplici cittadini che cercano il dialogo. Il Dicastero Pianificazione Ambiente ha già proposto una serie di conferenze sullo sviluppo urbano organizzate dall’istituto ... tutti segnali di un processo nel quale con il suo sapere l’istituto può fungere da piattaforma comunicativa. Spulciando i fogli della cartelletta, il visitatore apprende che Villa Salori è un edificio storico sorto nel 1904 su progetto di Giuseppe Pagani. All’interno, si notano elementi decorativi pittorici, a stucco e in vetro. All’esterno, si possono osservare
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elementi di epoche precedenti, una torre d’angolo e decorazioni in stile floreale. Continuando a leggere la scheda informativa, si viene a sapere che la villa, originariamente di proprietà privata, fu acquistata dalla Città nel 1961. Per trent’anni, si pensò a un museo d’impronta storica e archeologica, che però non si concretizzò mai. Gli spazi furono occupati da uffici dell’amministrazione comunale. Il parco divenne invece un’importante e apprezzata area di pubblico svago. Villa Saroli, un faro culturale? Al momento, Ludovica Molo si adegua alle risorse finanziarie e umane di cui dispone. L’accademia estiva già organizzata a Vico Morcote continuerà a svolgersi qui, con un programma allargato, comprendente
IMPRESSUM I testi in italiano sono curati, adattati e a volte ridotti da Fabio Chierichetti 4/2015: 110mo anno Editore: Heimatschutz Svizzera (redazione: Peter Egli) Stampa: Stämpfli AG, 3001 Berna Grafica: Stillhart Konzept und Gestaltung, 8003 Zurigo Appare: a scadenza trimestrale Indirizzo: Redazione «Heimatschutz/Patrimoine» Villa Patumbah, Zollikerstrasse 128, 8008 Zurigo T. 044 254 57 00, redaktion@heimatschutz.ch ISSN 0017-9817
temi urbanistici fondamentali per Lugano. Nel parco, saranno esposte installazioni che mettono in prospettiva lo spazio pubblico. L’allestimento è affidato a una curatrice che sceglierà gli architetti paesaggisti e seguirà la rassegna, il cui inizio è fissato per la primavera dell’anno prossimo. Sempre in primavera del 2016, l’istituto indice a Lugano un simposio che si chinerà su questioni riguardanti l’identità e il divenire urbano. Ludovica Molo spera che i temi trattati dal simposio attirino l’interesse anche a nord delle Alpi. Sviluppare una città in un bel contesto paesaggistico senza distruggerne la bellezza è un tema che non riguarda soltanto il Ticino. → www.i2a.ch