Heimatschutz/Patrimoine 4-2017: Finestra

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HEIMATSCHUTZ PATRIMOINE

Finestra in lingua italiana

Tradizioni viventi

EDITORIALE

TEMI D’AT TUALITÀ

Dal Chalandamarz alle tradizioni urbane

IL COMMENTO

Con la festa del Chalandamarz, i bambini scacciano l’inverno a scampanate. Tradizione delle regioni di lingua romancia, a molti è nota grazie al racconto illustrato per bambini Una campana per Ursli di Selina Chönz e Alois Carigiet. Dal 2012, questa usanza documentata sin dagli inizi del XIX secolo è inventariata come «Pratica sociale» nella Lista delle tradizioni viventi in Svizzera dell’Ufficio federale della cultura. La Lista delle tradizioni viventi è stata aggiornata quest’estate e ora contempla 199 espressioni del patrimonio culturale immateriale svizzero. L’elenco è stato esteso prestando particolare attenzione alle tradizioni in ambito urbano, per esempio alle corse di casse di sapone a Berna, al giardinaggio urbano a Zurigo o alle sculture di neve alla Chaux-deFonds. Nelle seguenti pagine, potrete leggere interessanti contributi per meglio conoscere il patrimonio culturale immateriale e le tradizioni viventi. Il patrimonio culturale, immateriale e materiale sarà al centro della nostra attenzione anche l’anno prossimo: l’Heimatschutz Svizzera e le sue sezioni hanno previsto numerose iniziative e nuove pubblicazioni in occasione dell’Anno europeo del patrimonio culturale 2018. Nell’attesa, vi auguro un’interessante lettura di questo numero, buone feste e un felice anno nuovo. Peter Egli, Redattore

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I profondi mutamenti dovuti alla digitalizzazione Ho comprato il mio primo computer nel 1986. Era un Apple Macintosh privo di disco rigido, il cui sistema operativo andava caricato ogni volta con dischetti. Trent’anni dopo, i rivolgimenti sociali ed economici della digitalizzazione sono evidenti in tutto il pianeta, con tutti i rischi e le sfide che ciò comporta. Gli attacchi informatici minacciano costantemente le reti e i dati di autorità, aziende e organizzazioni non governative. I progressi dell’intelligenza artificiale rimettono in discussione valori che consideravamo inveterati. Con la forte pressione esercitata dalle reti di condivisione sulla carta stampata, assistiamo all’erosione dei canali di comunicazione tradizionali. In soli dieci anni, lo smartphone è diventato la cassetta degli attrezzi di cui ci serviamo per una quantità di operazioni quotidiane. Di questo oggetto che ci accompagna giorno e notte in qualsiasi luogo, l’anno scorso se ne sono venduti 1,4 miliardi di pezzi e il nuovissimo modello della Apple introduce ora nuovi parametri di riferimento. Anche l’Heimatschutz Svizzera deve fare i conti con la digitalizzazione. Per agire al passo coi tempi e attuare più rapidamente progetti di tutela del patrimonio architettonico e dei paesaggi antropici, espandiamo la nostra comunicazione su piattaforme quali Facebook, Twitter e Instagram. Desideriamo infatti trarre vantaggio da uno scambio continuo, diretto e in rete, anche con i nostri membri e donatori. È nostra intenzione rimanere un punto di riferimento e di contatto per l’opinione pubblica e i professionisti del settore. Il nostro successo futuro dipende dall’impegno che metteremo nello sviluppo di queste interazioni e dalla prontezza con la quale sapremo rispondere sui media sociali. Nel corso dell’anno corrente, ho quindi assunto per il Segretariato due nuovi collaboratori della generazione dei nativi digitali. Anche la di-


rezione del progetto per una nuova edizione della Lista rossa che vi presenteremo nel prossimo numero della rivista è in mano a menti giovani. Una cosa non esclude l’altra La digitalizzazione non ci impedirà certo di continuare a comunicare anche mediante le nostre pubblicazioni, la rivista «Heimatschutz/Patrimoine» con la finestra in italiano e i canali, ormai anch’essi tradizionali, del sito e della newsletter/infolettre. Non si tratta di affidarsi a una strategia a discapito di un’altra, ma di servirsi nel modo più opportuno dei mezzi digitali e di quelli analogici. In tal modo, le informazioni sulle numerose attività dell’Heimatschutz, delle sue sezioni cantonali, del Centro Heimatschutz di Villa Patumbah, della Fondazione Vacanze in edifici storici e del Tallero d’oro possono essere comunicate nel migliore e più efficace dei modi. Adrian Schmid, Segretario generale dell’Heimatschutz Svizzera

FORUM VIVERE IL PATRIMONIO CULTURALE IMMATERIALE  6

Condividere la cultura Nella politica culturale si manifesta la necessità di un miglior riconoscimento della portata socio-culturale della creazione culturale, al di là della creazione artistica di tipo professionistico. Concetti come «diversità culturale», «patrimonio culturale immateriale» e «partecipazione culturale» ne sono la testimonianza. Si aprono quindi nuove prospettive, per esempio nei settori dell’artigianato tradizionale e della produzione culturale amatoriale. Dott. Stefan Koslowski, Ufficio federale della cultura, Sezione Cultura e società

Nel Messaggio concernente il finanziamento delle attività culturali della Confederazione 2016–2020 (Messaggio sulla cultura), il Consiglio federale ha espressamente puntato sul coinvolgimento di un pubblico il più vasto possibile: «Quale elemento della politica sociale, la politica culturale deve suscitare l’interesse della popolazione nel suo insieme e in maniera coerente». Oltre a essere uno dei tre assi d’azione stabiliti dalla Confederazione in questo Messaggio, il rafforzamento della partecipazione culturale figura nell’articolo 9a della Legge federale sulla promozione della cultura (LPCu).

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Si tratta di un concetto che riflette sforzi analoghi di politica sociale per quanto riguarda la partecipazione politica, economica e sociale. La partecipazione in questi quattro ambiti mira a un maggiore coinvolgimento generale della popolazione, come pure all’inclusione e alla coesione sociale, per esempio mediante la riduzione di ostacoli strutturali o l’attivazione di gruppi mirati specifici. La partecipazione non è dunque una misura in sé, bensì l’obiettivo di un processo complesso, articolato e duraturo. Analogamente alla partecipazione politica, economica o sociale, la partecipazione culturale implica il coinvolgimento e la responsabilizzazione della popolazione nella vita pubblica. La partecipazione culturale aspira dunque alla creazione di un’attività propria e indipendente, all’autonomia e all’affermazione personale nel maggior numero di persone. Rafforzare insieme la partecipazione culturale Il Dialogo culturale nazionale, l’organo in seno al quale si incontrano gli enti federali, cantonali e comunali di promozione della cultura, ha a sua volta creato un gruppo di lavoro con l’obiettivo di rafforzare la partecipazione in questo ambito. Questo gruppo di lavoro ha pubblicato un valido documento strategico, nel quale mostra che l’obiettivo di rinforzare la partecipazione culturale per il più grande numero di persone possibile può essere raggiunto principalmente attraverso la stretta collaborazione tra gli enti pubblici stessi e con enti privati. In gennaio 2017, l’Ufficio federale della cultura ha quindi organizzato insieme alla Città di Berna, al Cantone e a SwissFoundations il convegno Promuovere la partecipazione culturale. Partecipare al patrimonio culturale immateriale Anche la Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e la Convenzione UNESCO sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali partono dal presupposto dell’equivalenza delle diverse forme di espressione culturale, a prescindere dal livello di professionalità delle persone coinvolte, e badando a non favorire forme espressive specifiche come, per esempio, la cultura popolare o la cosiddetta cultura alta. La Convenzione sul patrimonio culturale immateriale si rivela particolarmente efficace proprio per l’apertura con cui sono formulate le sue disposizioni. Per la necessità di interpretare e mettere in pratica tali disposizioni, la Convenzione dispiega il suo potenziale culturale e sociale. Le discussioni sulla nozione di patrimonio culturale immateriale, sulle forme di valorizzazione delle pratiche culturali e sulle interazioni tra patrimonio culturale immateriale, materiale e digitale offrono la possibilità di superare le percezioni tradizionali della «cultura» e di affinare ulteriormente il nostro senso e la nostra percezione delle pratiche culturali. Viene così aperta la porta a una discussione sui valori. La Convenzione fornisce anche un’altra indicazione degna di nota: all’articolo 15, essa dà risalto a una partecipazione più ampia possibile della comunità, dei gruppi e persino delle singole persone che creano, curano e trasmettono questo patrimonio. È quindi importante incoraggiare anche la percezione personale degli interessati, in quanto essi stessi sono portatori di patrimonio culturale immateriale. Vivere il patrimonio culturale immateriale deve dunque essere un’esperienza comune e condivisa.


La Lista delle tradizioni viventi in Svizzera Il fulcro della messa in opera della Convenzione è la stesura, seguita da un aggiornamento periodico, di un inventario del patrimonio culturale immateriale, il quale deve essere riconosciuto, valorizzato e tutelato. L’Ufficio federale della cultura ha pubblicato nel 2012 un primo elenco di 165 voci. Questa Lista delle tradizioni viventi in Svizzera mette in evidenza i rapporti che intercorrono tra passato, presente e futuro, nonché la natura dinamica delle manifestazioni di espressione culturale. Confederazione, cantoni ed esperti lavorano congiuntamente all’inventario, che non va visto né come esito definitivo di una scrupolosa ricerca scientifica né come un canone stabilito dallo Stato. Si tratta più che altro di una fotografia attuale nel quadro di un’ampia discussione sulla percezione (della realtà circostante e di sé) e sull’apprezzamento delle tradizioni viventi in seno alla società. L’aggiornamento effettuato nell’estate 2017 ha consentito di verificare e all’occorrenza modificare le voci che già si trovavano nella Lista e di aggiungerne di nuove. Per quest’ultima operazione, si è posto l’accento su tradizioni vissute in contesti cittadini, come le cooperative di costruzione di alloggi, la cultura tecno e il giardinaggio urbano a Zurigo, l’autogestione del centro sociale giovanile AJZ di Bienne, la corsa delle casse di sapone di Berna, il cabaret ginevrino Revue genevoise, le sculture e costruzioni di neve alla Chaux-de-Fonds o ancora la cultura dei festival openair in tutta la Svizzera. La Lista aggiornata contiene 199 voci e prende in considerazione anche proposte venute dalla popolazione. È ora in corso, a cura di professionisti incaricati dagli enti culturali cantonali, la stesura della documentazione relativa alle varie tradizioni, che nella primavera 2018 sarà messa a disposizione in rete sul sito aggiornato dell’inventario. Una pluralità di pratiche culturali Gli obiettivi della partecipazione culturale e l’attuazione della Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale sono l’accettazione e il rispetto della pluralità delle manifestazioni culturali. Questo significa che sarebbe necessario valorizzare tutte le espressioni culturali, siano esse di creativi professionisti o pratiche culturali amatoriali. Il 18 dicembre 2017, l’Ufficio federale della cultura UFC lancia un concorso d’idee, dando voce in capitolo a chiunque abbia quotidianamente a che fare con il patrimonio culturale in tutti i suoi aspetti. Che sia sul tragitto casa-lavoro, nella piazza di paese o durante un aperitivo nel centro storico cittadino, il patrimonio è infatti un tema che riguarda ognuno di noi. Quali nuove forme di appropriazione del patrimonio culturale si possono immaginare? Che contributo può dare il patrimonio alla coesione sociale? Come coinvolgere più persone nella presa di decisioni? Come rendere l’argomento interessante per tutti? Fino al 25 marzo 2018, sarà possibile inviare proposte, commentarle e sviluppare quelle già inviate. Per evitare di arenarsi sui buoni propositi, in maggio 2018 l’UFC pubblicherà un bando per un progetto da realizzare sulla base delle migliori idee. I vincitori di questo secondo concorso potranno concretizzare il loro progetto con il sostegno della Confederazione.

→ Per maggiori informazioni e per iscriversi: www.bak.admin.ch/annodelpatrimonio

A COLLOQUIO CON YASEMIN TUTAV  13

«Le tradizioni viventi danno un senso d’identità e continuità» Nella Lista delle tradizioni viventi in Svizzera dell’Ufficio federale della cultura (UFC), dal 2008 viene inventariato il patrimonio culturale immateriale del nostro paese. Ne abbiamo parlato con Yasemin Tutav della fondazione Science et Cité, che ha diretto il progetto urban traditions. Marco Guetg, giornalista, Zurigo

Signora Tutav, ci spieghi che cosa si intende con patrimonio culturale immateriale. Partendo dalla Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, lo si può definire come l’insieme delle tradizioni e delle prassi trasmesse di generazione in generazione, che danno a un gruppo sociale un senso d’identità e di continuità. In concreto? Si tratta di tantissime cose! Feste, tecniche di artigianato, musica, sport, giochi: il patrimonio immateriale si esprime in mille modi che spaziano dall’A dell’allevamento di cavalli Franches-Montagnes nel Giura alla Z del Ziebelemärit, il mercato delle cipolle di Berna. Come mai a un certo punto l’UNESCO ha cominciato a dare così tanta importanza al patrimonio immateriale? Ci sono ragioni geografiche e postcoloniali. Il patrimonio materiale si trova principalmente in Europa. L’emisfero sud, ricco di tradizioni orali e di straordinarie forme d’espressione culturale e sociale, non si sentiva sufficientemente preso in considerazione. Se ne è discusso a lungo all’UNESCO e alla fine è stato deciso di dare maggiore rilievo al patrimonio immateriale. Chi decide quali espressioni culturali inserire nella Lista delle tradizioni viventi dell’UFC e su quali basi? La Confederazione e i cantoni lavorano insieme. La Confederazione, con l’aiuto della Scuola universitaria professionale di Lucerna, coordina il lavoro generale. I cantoni identificano, consultando anche la popolazione, le tradizioni viventi presenti sul loro territorio e ne propongono l’inserimento nella Lista. In seguito, un gruppo di progetto discute le proposte e decide in

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merito. Il gruppo è composto di rappresentanti della Confederazione, dei cantoni, delle città, della Commissione svizzera per l’UNESCO, della fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia e di ricercatori. Non si tratta di un’intrusione statale per fissare un canone, ma di un inventario delle tradizioni. Quali conseguenze ha per una tradizione il fatto di essere inventariata? Ne derivano diritti e doveri espliciti? Le tradizioni viventi si tutelano da sé proprio per il fatto che vengono vissute. Una convenzione è un accordo, non una legge. La scelta dell’espressione «tradizioni viventi» sottolinea che il patrimonio immateriale è un processo. Le tradizioni sono radicate nel qui e ora, per cui vanno vissute attivamente, evitando derive folcloristiche o museali. Per questo motivo, la Lista dell’UFC viene aggiornata ogni cinque anni. Non comporta obblighi o diritti, costituisce un atto di riconoscimento da parte della società. Che vantaggi trae la società dall’inventariazione delle sue tradizioni viventi? Lo scopo è quello di sensibilizzare sulla varietà culturale presente in Svizzera e di promuovere in tal modo la tolleranza. Gli Svizzeri non sono certo tutti nati con l’anima dello jodler o dell’alpinista: siamo un paese sfaccettato, eterogeneo e multiculturale. La Lista delle tradizioni viventi lo dimostra. Certo, ma a un Engadinese, per esempio, poco importa che il Chalandamarz sia una tradizione vivente ufficiale di cui lui è un rappresentante. Semplicemente replica usanze praticate dalla notte dei tempi. Non si tratta tanto di sapere che cosa pensa il tale individuo in Engadina, bensì di sensibilizzare la gente nel resto della Svizzera. Quando un’attività viene accolta nella Lista, entra anche nella coscienza collettiva e viene valorizzata a livello nazionale. Il concetto di «cultura immateriale» è oggetto di serie discussioni soltanto dalla fine del XX secolo, quando si è cominciato a studiare la cultura con un approccio scientifico… … ed è un concetto legato al cosiddetto cultural turn, un movimento accademico che ha avuto successo dapprima nei paesi anglosassoni. Si è così cominciato a interessarsi non più soltanto della cultura alta, ma anche di quella popolare, quotidiana, e ad analizzare scientificamente, da una «prospettiva esterna», un mondo divenuto globale, digitale, postindustriale e urbano. Rimane tuttavia il fatto che la cultura materiale e quella immateriale interagiscono, l’una dipende dall’altra. Lo sguardo esterno è un modo per risvegliare la consapevolezza sulla propria realtà? Sì, e al contempo ci permette di capire che la cultura non è qualcosa di statico e monolitico, ma viene modellata dalle persone attraverso processi individuali e collettivi. È inoltre affascinante osservare come la gente negozi la propria identità, per esempio quando non vive più nel suo paesino di origine. I parametri, infatti, cambiano con lo sradicamento prodotto dalla migrazione interna in un paese. È possibile identificare il momento in cui una determinata attività umana passa allo statuto di patrimonio culturale immateriale?

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No. Non si può individuare un confine preciso. Ci si rende conto della trasformazione soltanto con un’attenta osservazione. Prendiamo la consuetudine di nuotare nei fiumi. In molti paesi si sogna di farlo, ma per vari motivi ciò non avviene. Da noi, oggi i corsi d’acqua sono puliti e discendere a nuoto l’Aar, il Reno o la Limmat, per fare qualche esempio, è diventata una tradizione vivente. Una tradizione vivente non deve risalire al Medioevo. Molte usanze svizzere che consideriamo ancestrali in realtà sono nate appena cento o centocinquant’anni or sono, mentre quelle del mondo pop e giovanile magari sono presenti già da mezzo secolo. L’estate scorsa, l’UFC ha pubblicato una Lista aggiornata con 199 voci, ossia 34 più di prima. L’aumento è dovuto a questa visione allargata delle cose? In parte sì, ma è anche stata una reazione al primo inventario del 2012, che molti avevano criticato ritenendo che trasmettesse l’immagine di una Svizzera tutta jodel e vita alpestre. Mancavano gli altri aspetti della realtà elvetica, quella di una Svizzera moderna, multiculturale, urbana, caratterizzata da un’elevata mobilità e dai mutamenti demografici. È quindi stato lanciato il progetto urban traditions che ho diretto su mandato della fondazione Science et Cité. Pur essendo consapevoli che non è evidente tracciare un confine tra città e campagna, ci siamo sforzati di trovare esempi legati all’ambiente urbano. Quali erano gli obiettivi di questo progetto? Si è trattato innanzitutto di un progetto di sensibilizzazione e comunicazione. Abbiamo organizzato caffè scientifici in dieci città, invitando persone attive nella ricerca, nella politica e nelle organizzazioni locali a discutere con la popolazione. È stato un ottimo contenitore sia per trattare temi e questioni intorno al patrimonio immateriale importanti per gli abitanti del luogo sia per promuovere il valore di espressioni culturali alternative. In parallelo abbiamo preparato una postazione video mobile che ci ha permesso durante un anno di portare il messaggio in varie città della Svizzera. I filmati sono ora disponibili in linea sul sito dell’UFC. Poiché volevamo sapere che cosa ne pensasse la gente, abbiamo creato un pulsante che consente a ognuno di raccontare una tradizione vivente. Ai più timidi abbiamo proposto di inviarci una cartolina con le loro idee. Il progetto video è stato un successo: sulle reti di condivisione, abbiamo raggiunto 34 000 persone. Che cosa mostrano esattamente questi filmati? Si tratta di undici brevi ritratti di persone che promuovono tradizioni urbane di vario genere e che hanno risposto alle nostre domande sulla loro attività, ma anche su altre tradizioni della città in questione. Alcuni degli intervistati sono relativamente giovani, per esempio un atleta di parkour di Berna, altri si occupano di iniziative singolari, come delle panchine di lettura a Coira, ma ci sono anche profili più classici, come quello del presidente del Fan club HC Friburgo Gottéron oppure il promotore del mercato settimanale di Sion. Abbiamo poi interrogato due ricercatori che si dedicano all’argomento e raccolto l’opinione di un esperto dell’UFC. E com’è andata con le cartoline? Ne abbiamo create su tre temi: i cortei, la cultura balneare e il giardinaggio urbano. Con un centinaio di cartoline ritornateci, il riscontro della popolazione è stato piuttosto modesto. Ciò non toglie che queste manifestazioni culturali ora figurano nella Li-


sta. L’iniziativa delle cartoline ci ha inoltre consentito di osservare che sorgono sempre realtà nuove, che la cultura non è statica, ma in costante mutamento. La gente vive e agisce, e in questo modo le circostanze cambiano. L’attuale mercato di Sion prima del 2003 non esisteva, mentre a Berna l’atleta di parkour è attivo da diciassette anni, un periodo nel quale ha potuto trasmettere la sua pratica, le sue conoscenze e, di riflesso, anche determinati valori a giovani e meno giovani. Guardando alle tradizioni vissute, si può dire che la città è l’emblema di un’epoca che ha in buona parte relegato la ruralità al dimenticatoio? Lo spazio urbano è soprattutto diventato l’emblema del cambiamento e ci rende consapevoli del fatto che oggi dobbiamo adeguare il nostro orizzonte temporale quando ci interessiamo alla cultura. Una generazione non corrisponde più alla vita di una persona. Un oggetto fa la sua apparizione, viene usato, sparisce e lascia il campo libero al prossimo… Succede tutto molto più in fretta. Per finire, una piccola provocazione: quando la riflessione e la sensibilizzazione sulla cultura della Svizzera reale avranno raggiunto il loro obiettivo non avremo più bisogno di una lista delle tradizioni viventi... Non arriverei a questa conclusione. Potrei anzi rispondere con una domanda altrettanto provocatoria: se un giorno nessuno farà più del male, penseremmo forse ad abolire all’istante la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo?

LE PIAZZE DELLA LANDSGEMEINDE  16

Quando il patrimonio culturale immateriale si fa visibile La Landsgemeinde è un forte simbolo della democrazia elvetica sin dal XIX secolo. Benché le competenze di queste assemblee variassero da un cantone all’altro, esse si sono sempre svolte in una cornice di celebrazione solenne, in giorni specifici e sempre sulla stessa piazza, la Landsgemeindeplatz per l’appunto. In quanto luogo della messinscena, essa è lo specchio architettonico dell’istituzione della Landsgemeinde. Ne abbiamo visitate due, a Nidvaldo e a Zugo. Dott.ssa Brigitte Moser, storica dell’arte e archeologa medievale, Zugo

Spesso vista come matrice della democrazia svizzera, la Landsgemeinde, l’assemblea degli aventi diritto di voto convocata localmente per eleggere i rappresentanti delle autorità e deliberare su questioni specifiche, è assurta a simbolo nazionale. Per lungo tempo, fu riservata ai cittadini di sesso maschile, in molti luoghi già dall’età di quattordici anni. I sudditi dei baliaggi, i dimoranti (Hintersassen) e le donne ne erano esclusi. A livello federale, il voto femminile è stato concesso nel 1971, ma sul piano cantonale in qualche caso si dovette aspettare altri vent’anni. Le Landsgemeinde sono sorte nel tardo Medioevo sui territori della vecchia Confederazione: nel XIV secolo a Uri, Svitto, Obvaldo e Nidvaldo, nel XV secolo a Zugo, Appenzello e Glarona. Con la fine di quel regime politico nel 1798, il sistema della Landsgemeinde fu temporaneamente sospeso, per essere reintrodotto nel 1803 con la Costituzione del periodo della Mediazione. Oggi, è ancora in vigore soltanto nei Cantoni Appenzello interno e Glarona, in qualche circolo dei Grigioni e in alcuni distretti svittesi. Testimone di un’epoca a Nidvaldo Le prime tracce della Landsgemeinde di Nidvaldo e del Landsgemeindering in cui essa si svolgeva risalgono al 1398. Già allora, la piazza doveva trovarsi nell’ubicazione attuale a Wil, Oberdorf. Conformemente alla tradizione giuridica del tempo, si suppone che fosse alberata di tigli e il landamano esercitava le sue prerogative politiche all’ombra di un tiglio piantato in mezzo allo spiazzo. Nel 1594, questo tiglio fu abbattuto per far posto a un tavolo per il landamano e gli scrutatori. Il landamano presiedeva l’assemblea stando in piedi, appoggiato alla spada della comunità. I consiglieri e i membri della comunità potevano sedersi su panche di legno mobili sistemate intorno al tavolo. L’arena era delimitata da una corda che fu sostituita da una recinzione in muratura soltanto nel 1705. Lo svolgimento della Landsgemeinde era caratterizzato da rituali fortemente simbolici. Alla preghiera comune, succedeva il discorso del landamano. Veniva quindi letta la carta fondamentale e prestato giuramento, promettendo che l’autorità e il popolo avrebbero lavorato di comune accordo e rendendo l’esercizio del potere visibile. Solo allora si passava all’ordine del giorno. La cinta e i tigli, simboli dell’antico ordine, furono eliminati nel 1798. Nel 1804, dopo la fine della Repubblica elvetica, la piazza fu riallestita piantando ippocastani, che avevano una crescita più rapida. Si ristabilì l’usanza di riservare il centro dello spiazzo al landamano e allo scrivano erigendo una pedana detta Härdplättli. Nel 1892, essa fu sostituita da una terrazza con il podio del Consiglio di Stato. In seguito all’incremento demografico, nel 1960 si predispose più spazio per far sedere i membri della comunità, si costruì un massiccio muro e si ingrandì il podio. L’introduzione del diritto di voto per le donne nel 1972-73 necessitò la messa a disposizione di tribune con posti in piedi. La piazza rimase così fino alla soppressione della Landsgemeinde nel 1996. Da allora, il luogo è rimasto pressoché inalterato e non viene quasi più usato. Simbolo della tradizione politica dello Stato nidvaldese, oggi ci ricorda i sei secoli durante i quali la Landsgemeinde ha esercitato i suoi poteri ed è quindi diventato il silente testimone di un’epoca tramontata. Un luogo dalla lunga tradizione a Zugo A Zugo, che fino alla fine del XIV secolo era ancora considerato un cantone urbano, le prime informazioni che abbiamo sulla

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Landsgemeinde sono del 1412. In quell’epoca, spesso la si teneva fuori città, in località Egg presso Allenwinden. Nel corso del XV secolo, la città riuscì a spostarla nel suo territorio. La Landsgemeindeplatz fu realizzata nel 1487 come parte del piano di ingrandimento urbano avviato nel 1478. Situata in riva del lago, tra le vecchie mura cittadine e quelle nuove, fu anche la prima piazza che Zugo conobbe e come tale figura per la prima volta in una fonte scritta datata 1488. Era più piccola di come la conosciamo oggi, poiché metà della superficie odierna era ancora sommersa. Solo con le operazioni di abbassamento artificiale del lago nel 1592 e nel 1630 le sue sponde assunsero la forma che conosciamo. Nella più antica rappresentazione della città di Zugo del 1547, è ben visibile la piazza nel suo assetto originario. L’area ripuale serviva al trasbordo delle merci trasportate sul lago. La piazza, che si trovava appena sopra, era circondata da una murata eretta nel 1487 e vi furono piantati alberi, perlopiù tigli, a cui veniva data una forma particolare affinché potessero sostenere una piattaforma di legno. Questi alberi (zerlegte Bäume) avevano una funzione rappresentativa: qui avvenivano ricevimenti pubblici e, in occasioni speciali, vi si svolgevano conviti, feste e danze. In origine, la piazza non era quindi destinata soltanto alla Landsgemeinde, ma fungeva anche da importante luogo di incontro per feste e riunioni di vario genere. Nel 1794, il muro fu demolito e nel 1847 si tenne l’ultima Landsgemeinde. Da allora, la piazza ha subìto pochi mutamenti. Per un certo periodo, è stata aperta al traffico veicolare e dotata di posteggi. Oggi, è di nuovo uno spazio pedonale con una pavimentazione in selciato. È rimasta la piazza principale della città e vi si svolgono regolarmente feste ed eventi di natura culturale o commerciale. Il patrimonio culturale immateriale si fa visibile Le piazze della Landsgemeinde si trovano in posizione centrale. Quando vi si tenevano ancora le assemblee, erano spazi con una funzione legale chiaramente delimitati, luoghi in cui si svolgeva lo spettacolo del potere. Con il passare del tempo, sono stati modificati in funzione delle esigenze. Se la piazza di Nidvaldo fu sempre riservata unicamente alla Landsgemeinde, quella di Zugo era invece più polivalente. Questa differenza si riflette nell’allestimento: a Nidvaldo si tratta di un luogo prettamente funzionale, mentre a Zugo aveva anche uno scopo di rappresentanza. Se la prima è stata quasi del tutto abbandonata dopo l’abolizione della Landsgemeinde, la seconda continua a essere usata in parecchie occasioni. Si può immaginare che anche le altre piazze della Landsgemeinde abbiano conosciuto un destino particolare. La Landsgemeinde come istituzione politica decisionale è parte di un patrimonio culturale immateriale che si riflette nel luogo fisico delle piazze in cui si svolge o svolgeva. Da una ricerca storica che consideri gli elementi culturali materiali e immateriali che si incontrano su queste piazze, potrebbero certamente scaturire interessanti scoperte in àmbito politico, culturale o architettonico.

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UN’ERA NUOVA PER GLI ARCHIVI  20

Archivi digitali come patrimonio culturale immateriale La digitalizzazione avanzante interessa da tempo anche il mondo degli archivi, in cui cominciano ad apparire i primi fondi completamente numerici. Si tratta di un grande cambiamento non solo per gli archivi stessi, ma anche per l’utenza. Ancora non sappiamo dove ci condurrà questa svolta. In ogni caso, dovremo ripensare il nostro modo di intendere la completezza, l’autenticità, la disponibilità e quindi il valore reale delle informazioni. Le nostre concezioni correnti risalgono all’era analogica. Thomas Glauser, lic. phil., storico e archivista di Stato del Cantone Zugo

Prendiamo l’esempio del Patto confederale del 1291, uno dei documenti storici più conosciuti del paese.1 Ora, immaginiamo di poter prenderlo in mano per osservarlo da vicino. Saremmo subito colpiti dall’odore particolare, vagamente amarognolo, della pergamena, dalla sua superficie ruvida, dalla densità dell’inchiostro e dall’incredibile precisione dei tratti. Ci meraviglierebbero la regolarità e la bellezza della calligrafia. Saremmo stupiti del fatto che un documento scritto oltre settecento anni or sono sia ancora così leggibile. Non avremmo il minimo dubbio sulla necessità di classificarlo come patrimonio culturale da conservare. E avremmo ragione, poiché questa è anche l’interpretazione ufficiale: i documenti d’archivio – e quindi il Patto confederale – sono beni culturali. I documenti che consideriamo degni di essere tramandati per l’eternità appartengono al nostro retaggio. Fin qui siamo d’accordo. Si pone però la questione del valore intrinseco dei materiali d’archivio. Rimanendo sull’esempio summenzionato, che cosa rende questo oggetto tanto prezioso al di là del fatto di essere, per i nostri parametri, così antico? È forse il materiale membranaceo con i suoi sigilli o, usando un termine contemporaneo, il supporto dati? Oppure le informazioni ivi contenute? Saremmo dapprima tentati a rispondere «entrambi», per poi renderci conto che le informazioni possono essere conservate anche altrove, mentre la bellezza del supporto originale non è replicabile. Gli archivisti hanno da tempo fornito una risposta indiretta a questa domanda, facendo realizzare copie di sicurezza di materiali d’archivio particolarmente importanti. Trasponendolo ai giorni nostri, il dilemma è risolvibile molto più facilmente. Un qualsiasi ufficio di un’amministrazione pubblica fornisce all’archivio competente la sua documentazione degli anni Novanta, fra cui un dischetto da 3,5 pollici contenente materiale fotografico. Daremo la priorità al supporto dati o all’informazione? E se ci avviciniamo ancora di più al presente, ci verrebbe fornita una documentazione interamente digitale nativa, salvata sul server dell’ufficio in questione. In una situazione del genere, del supporto non dobbiamo più preoccuparci: conta solo ancora l’informazione, che consiste in un lungo codice binario.


Non che questo faciliti il compito agli archivi, anzi. Il problema più evidente è quello di garantire che i documenti digitali siano conservati e resi accessibili in modo permanente, per l’eternità. Per risolverlo si è imposto un modello di riferimento comune a livello globale detto Open Archival Information System (OAIS). Semplificando, funziona così: i documenti digitali, qualora fosse necessario, vengono trasformati in file con un formato predefinito e utilizzabile da qualsiasi fabbricante. Ne esiste appena una manciata (PDF/A, TIFF, TXT e MPEG4 sono tra quelli più noti). Infine, il tutto viene compresso in un file ZIP e caricato sul server dell’archivio, dove ci si accerta che questi dati rimangano intatti, immodificabili e accessibili in modo permanente. Con questo tipo di acquisizioni, negli archivi si creano fondi digitali che, essendo costituiti da informazione pura, sono per definizione immateriali. Questi fondi d’archivio immateriali diventano quindi beni culturali immateriali, che vanno distinti dal patrimonio culturale immateriale inteso come l’insieme delle tradizioni e delle forme espressive culturali. Per gli archivi e i loro utenti, è iniziata una nuova era e non siamo ancora in grado di prevedere che cosa ci riserverà. L’archiviazione digitale a lungo termine fa infatti sorgere nuove domande, per esempio intorno al documento originale o ai documenti d’archivio come pezzi unici. Nell’universo analogico a cui appartiene il Patto confederale, questi dubbi non si pongono: ne abbiamo un solo esemplare, che si trova nel Museo dei Patti federali a Svitto. Come stanno invece le cose per quanto riguarda i documenti digitali? Certo, esistono provvedimenti che consentono di attribuirli inequivocabilmente a un autore e di proteggerli da manipolazioni involontarie o deliberate. Non si tratta però più di pezzi unici. Un file in formato PDF provvisto di firme e timbri digitali può essere copiato in quantità illimitata e, in linea di principio, ogni copia corrisponde all’originale, poiché è perfettamente identica a esso. Nel caso del Patto confederale, non è così. Potremmo riprodurlo quanto vogliamo, con tutta la perizia possibile e immaginabile, ma nessuna copia sarebbe uguale all’originale. Bisogna quindi arrendersi al fatto che la nostra idea di un documento originale, unico, irripetibile e distinguibile da eventuali copie vale soltanto nell’universo analogico. Nella realtà digitale, questa distinzione è ormai obsoleta. Che fare con i documenti digitali nativi? Che cosa comporta l’esistenza di materiale digitale nativo per gli archivi e per i loro utenti? Per gli archivi, il primo ostacolo da superare è come gestire l’accesso ai fondi digitali, per esempio come comportarsi con una cartina stradale del 2017 che esiste solo in formato digitale. Al più tardi dopo la scadenza del periodo di protezione e di eventuali altre limitazioni legali, diverrà di libero accesso. In teoria, non vi sarebbe alcun inconveniente nel renderla accessibile in rete con il summenzionato metodo OAIS. Per l’utenza sarebbe una manna, il cui prezzo consisterebbe tutt’al più nella perdita dell’esperienza aptica e più generalmente sensoriale, giacché i supporti digitali sono intangibili e privi di odore. Per gli archivi non sarà tutto rose e fiori, ma non sarà nemmeno una maledizione. Bisognerà tuttavia abituarsi all’idea che, tornando al nostro esempio, una cartina stradale del 2017 potrà esistere in un numero potenzialmente infinito di originali in funzione di quante volte verrà scaricata. E siccome gli utenti potranno riutilizzare il documento scaricato a piacimento, il materiale digitale a libero accesso potrà essere replicato e diffuso

in modo incontrollato fuori dall’archivio. Non che ciò sia per forza negativo. Una diffusione selvaggia ma più grande della documentazione d’archivio digitale a libero accesso potrebbe far sì che venga meglio recepita. E se questo contribuisse a rendere la società più consapevole del ruolo degli archivi come memorie collettive a lungo termine, sarebbe già tutto di guadagnato. 1 Che questo patto di alleanza tra Uri, Svitto e Untervaldo sia un documento retrodatato risalente a una data intorno al 1309 poco importa in questa sede. Si tratta di una testimonianza scritta dal valore culturale incontestato che qui si presta bene come esempio.

HEIMATSCHUTZ SVIZZERA REVISIONE TOTALE DEGLI STATUTI  32

Forma giuridica, valori, priorità strategiche Quest’estate, l’Heimatschutz Svizzera ha approvato i suoi nuovi statuti. Insieme al Profilo e al programma pluriennale, essi formano la base sulla quale lavoriamo. Le quote sociali sono state adeguate e abbinate a nuove allettanti offerte per i membri. Adrian Schmid, Segretario generale Heimatschutz Svizzera

All’Assemblea dei delegati di giugno 2017, la revisione degli statuti è stata approvata all’unanimità con un bell’applauso. Dopo quasi quarant’anni, l’Heimatschutz Svizzera si dota di un regolamento completamente rivisto e aggiornato. Abbiamo precisato lo scopo, i compiti e le attività della nostra organizzazione, come pure le disposizioni relative alle sezioni e ai membri, e adattato il nostro modo di operare alle esigenze odierne. Il Comitato direttivo si chiama ora semplicemente Comitato, mentre quello che era il Comitato centrale è diventato la Conferenza dei o delle Presidenti. Le fondamenta dell’Heimatschutz Svizzera sono costituite dagli statuti (che regolano la forma giuridica), dal Profilo (che definisce i nostri valori) e dal programma pluriennale, compreso il piano di finanziamento (per fissare la nostra strategia). L’anno prossimo preciseremo la strategia da seguire tra il 2019 e il 2022, che sarà sottoposta alle sezioni. Il programma pluriennale è incentrato sul ruolo dell’Heimatschutz come costruttore di ponti tra lo ieri, l’oggi e il domani, per preservare il patrimonio culturale, trasmettere conoscenze sull’architettura storica e contemporanea, e indicare possibili soluzioni per il futuro della cultura architettonica. In altre parole, ci impegniamo a seguire una linea improntata sull’apertura e sul desiderio di conoscere. Il patrimonio come noi lo consideriamo contribuisce a rispondere agli interrogativi di ogni essere umano sulla propria provenienza, sul senso della propria esistenza e sulla sua appartenenza.

4 | 2017  Finestra in lingua italiana  7


Interessare nuovi e giovani membri Nel 2016, l’Heimatschutz Svizzera ha incaricato un istituto di ricerca di condurre un sondaggio rappresentativo e ha interrogato 370 nostri membri nella Svizzera tedesca e francese. Ne risulta che il lavoro svolto centralmente e dalle sezioni viene molto apprezzato, ma che i nostri fedeli membri hanno un’età media piuttosto elevata, per cui dobbiamo sforzarci di attirare le giovani generazioni. All’Assemblea dei delegati si è deciso di aumentare lievemente le quote sociali per membri individuali, coppie e famiglie, una scelta che le sezioni dovranno comunicare nel modo più adeguato ai loro membri e fare approvare dalle loro assemblee generali. Frattanto, il nostro Segretariato ha intrapreso cambiamenti nella gestione dei membri e nell’acquisizione di nuovi sostenitori. L’Heimatschutz Svizzera e le sue sezioni hanno un grande bisogno di linfa fresca. Da gennaio 2018, la nuova tessera di membro consentirà di beneficiare di una serie di sconti, per esempio sulla visita al Centro Heimatschutz di Villa Patumbah, sull’acquisto delle nostre pubblicazioni (a metà prezzo) o – per la primissima volta – sull’entrata al Museo svizzero all’aperto del Ballenberg (33 per cento di riduzione). → Dal sito www.heimatschutz.ch, è possibile scaricare od ordinare i nuovi statuti e il Profilo.

CAMPAGNA NAZIONALE  36

Anno del patrimonio culturale 2018 Come in molti altri paesi europei, anche in Svizzera il 2018 sarà un anno dedicato al patrimonio culturale. L’Heimatschutz Svizzera e le sue sezioni parteciperanno alla campagna con un ricco programma. Patrick Schoeck-Ritschard dell’Heimatschutz Svizzera è Presidente dell’Associazione garante Anno del patrimonio culturale 2018.

Il 18 dicembre, il Consigliere federale Alain Berset inaugurerà l’Anno del patrimonio culturale 2018 in Svizzera. All’inaugurazione di questa campagna nazionale volta a sensibilizzare sul valore e sull’importanza del patrimonio culturale per la nostra società, saranno invitati anche i Presidenti delle sezioni

IMPRESSUM I testi in italiano sono curati, adattati e a volte ridotti da Fabio Chierichetti 4/2017: 112mo anno Editore: Heimatschutz Svizzera (redazione: Peter Egli) Stampa: Stämpfli AG, 3001 Berna Grafica: Stillhart Konzept und Gestaltung, 8003 Zurigo Appare: a scadenza trimestrale Indirizzo: Redazione «Heimatschutz/Patrimoine» Villa Patumbah, Zollikerstrasse 128, 8008 Zurigo T. 044 254 57 00, redaktion@heimatschutz.ch ISSN 0017-9817

dell’Heimatschutz. L’Anno europeo del patrimonio culturale 2018 viene celebrato con obiettivi simili in molti paesi. In Svizzera, una trentina di organizzazioni nazionali si sono riunite in un’associazione garante dotata di un suo segretariato. Il progetto beneficia del massiccio sostegno dell’Ufficio federale della cultura e della collaborazione di numerose organizzazioni che partecipano con i loro progetti. Un’iniziativa che giunge nel momento giusto L’Anno del patrimonio si svolge nel 2018 e la tempistica non è certo inopportuna. Negli ultimi anni, la pressione sul patrimonio architettonico si è fatta sempre più intensa. Urge trovare nuove risposte a fenomeni quali la digitalizzazione o la globalizzazione e a questioni come quelle della densificazione e dell’efficienza energetica. Ci vogliono nuovi canali e mezzi per attirare l’attenzione della società e convincerla a sostenerci nelle nostre cause. Più concretamente, dobbiamo intensificare e migliorare i nostri sforzi di sensibilizzazione. A poco servono i prospetti di carta patinata: c’è soprattutto bisogno di tanta forza di volontà per spiegare il nostro punto di vista con passione e costanza, e del coraggio di partecipare attivamente ai dibattiti. «Guarda!» L’obiettivo principale è quello di invogliare la gente a osservare il patrimonio culturale svizzero, giacché si è più inclini ad apprezzare e a voler tutelare quello che si conosce. Con il suo invito «Guarda!», la campagna dà visibilità alle numerose manifestazioni previste sin da ora dalle organizzazioni membro per motivare il pubblico a scoprire il valore di un dato contesto. Si spera di andare anche oltre: che da una semplice visita guidata nasca uno scambio ricco e proficuo. «Salvaguardia del patrimonio: perché e per chi?» In collaborazione con le sezioni, l’Heimatschutz Svizzera ha preparato un suo programma nazionale per l’Anno del patrimonio culturale. Gli eventi organizzati dalle sezioni riflettono la diversità del nostro paese e mostrano che in ogni luogo ci sono questioni d’attualità specifiche. Quello che accomuna tutte le proposte è la riflessione sul senso e sullo scopo dell’operato dell’Heimatschutz come attore della società civile. Il prossimo numero della nostra rivista includerà il programma nazionale comune delle manifestazioni. → Maggiori informazioni al sito www.patrimonio2018.ch


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