critiche L’umanità in viaggio passa per le Colline Torinesi Migrazioni di massa, fughe individuali, partenze per Marte, tra drammi reali e fantasmi dell’inconscio. È l’attualità la grande protagonista degli spettacoli presenti al festival torinese, che inaugura quest’anno una collaborazione con la Fondazione Tpe.
ne riprende i volti in primissimo piano proiettandoli su un grande schermo, mentre sono seduti in un tinello iperrealistico, quel che resta di un edificio semi-distrutto. Confezione ineccepibile e stilemi ricorrenti nel lavoro dell’artista svizzero (taglio documentaristico, proiezioni, cortocircuito tra forma “fredda” e contenuto “caldo”) per un teatro politico, di cui oggi c’è bisogno più che mai. Rimane, però, la sensazione di fondo di una certa furbizia compositiva, a partire dalla scelta di quattro protagonisti che più ricchi di glamour non si può. Claudia Cannella CAUSA DI BEATIFICAZIONE, di Massimo Sgorbani. Adattamento e regia di Michele Di Mauro. Scene e luci di Lucio Diana. Con Matilde Vigna. Prod. Festival delle Colline Torinesi-Fondazione Tpe, Torino. FESTIVAL DELLE COLLINE TORINESI, TORINO.
EMPIRE, ideazione, testo e regia di Milo Rau. Testo e interpretazione di Ramo Ali, Akillas Karazissis, Rami Khalaf, Maia Morgenstern. Scene e costumi di Anton Lukas. Musiche di Eleni Karaindrou. Prod. International Institute of Political Murder, Berlino-Colonia-Zurigo. FESTIVAL DELLE COLLINE TORINESI, TORINO. Il Tigri e il Danubio. Due fiumi, culle di civiltà e confini naturali, accomunano i destini di quattro profughi, due europei e due mediorientali, in fuga da persecuzioni politiche e razziali, dalla guerra e dalle conseguenti devastazioni, umane ed economiche. Hanno in comune anche la professione: sono attori. Volti belli e intensi, notevoli doti affabulatorie nel raccontare, con un avvincente mix di pathos e di distacco, le rocambolesche vicissitudini esistenziali che li hanno condotti lontano dalla patria e dalle famiglie. Ramo Ali, siriano di etnia curda, ha assaggiato la prigione a Palmira prima di approdare in Germania. Anche Rami Khalaf è siriano, ma arabo: nel suo esilio francese passa le notti su un sito che raccoglie migliaia di foto di prigionieri torturati e
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uccisi nella speranza (o forse no) di trovare il fratello scomparso. Con le famiglie pochi contatti, brevi telefonate che annunciano la morte di un padre o di una madre, troppo lontani per un estremo saluto. Akillas Karazissis, greco con famiglia originaria di Odessa, ha lasciato il suo Paese durante la dittatura dei colonnelli. Maia Morgenstern, figlia di ebrei tedeschi comunisti fuggiti dalla Germania, ha vissuto sotto il regime di Ceausescu: l’esilio per lei è questione di razza, ma anche di lontananze lavorative come gli interminabili periodi trascorsi sul set con Anghelopulos (Lo sguardo di Ulisse) con sensi di colpa verso l’anziano padre e i figli, mentre il marito si consola con un’altra. Su queste quattro persone Milo Rau ha costruito Empire che, dopo un passaggio a Contemporanea di Prato nel 2017, è stato lo spettacolo clou della 23a edizione del Festival delle Colline Torinesi. La condizione di profughi dei protagonisti copre gli ultimi cinquant’anni di storia europea e mediorientale in forma di struggente confessione a quattro voci davanti a una telecamera, che
Tre monologhi incarnati in altrettante figure femminili, compongono lo spettacolo che Michele Di Mauro ha immaginato come contemporanea partitura musicale e visiva. Le tre donne - una prostituta-ragazzina nel Kosovo, una donna-kamikaze palestinese e una suora mistica - sono ispirate a figure realmente esistite, le cui biografie sono state alterate da Massimo Sgorbani per trarne altrettanti ritratti esemplari di femminilità ribelle e violata, ovvero di maternità non ortodossa. La scrittura armonica e metaforica del drammaturgo viene tradotta in un apparato scenico composito, in cui il video dialoga con la musica, gli oggetti - scarpe, bambolotti, una pelliccia, un abito da sposa - e la presenza fisica dell’eclettica e mirabile Matilde Vigna e di Giulio Maria Cavallini, “servo di scena” ma anche incarnazione di quel maschile invocato e nondimeno privato della parola. E sulla presenza/assenza in scena dell’interprete gioca la regia, che - in particolare nel secondo canto, incentrato sulla kamikaze palestinese - assegna gran parte del monologo al volto pesantemente truccato di Matilde, in primo piano sullo schermo nella parte alta della scatola scenica. Si crea così una dinamica percettiva che mira ad avvicinare, e poi repentinamente allontanare, lo spettatore dalle vicende umane messe in