Hystrio 2019 2 aprile-luglio

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biblioteca

a cura di Ilaria Angelone e Albarosa Camaldo

Oltre Stanislavskij ovvero l’“altro” metodo

Esprimersi ascoltando, il ruolo dello spettatore

Evgenij B. Vachtangov È l’inconscio che crea Roma, Dino Audino Editore, 2018, pagg. 238, euro 18,70

Marco De Marinis Ripensare il Novecento teatrale. Paesaggi e spaesamenti Roma, Bulzoni, 2018, pagg. 356, euro 22

Un libro prezioso. Alessio Bergamo (curatore e tradut tore con Francesca Gori e Monica Guerrini) ha ricostruito con ammirevole intelligenza, passione, competenza la breve carriera del regista Evgenij Vachtangov (18831922). Allievo di Stanislavskij nel Primo Studio, nato nel 1911, e poi creatore dello studio di via Mansurova, dove realizza i suoi spettacoli più famosi, come Il miracolo di Sant’Antonio e Turandot, che rivoluzionano i metodi di regia del Teatro d’Arte, scoprendo la teatralità in tutta la sua energia e spontaneità. Due linee vengono analizzate e sviluppate nel volume, attraverso l’esame non solo degli scritti di Vachtangov stesso, ma anche dei suoi attori e dei suoi commentatori più attenti: una linea è dedicata al suo lavoro con gli attori, dove affiorano una componente prima di tutto etica (lo Studio è una comunità basata sull’armonia e la reciproca accettazione, è importante essere uomini buoni prima di essere bravi attori), poi fortemente psicologica (come dice il titolo del volume, è l’inconscio che crea, il conscio non crea mai niente). Una seconda linea è dedicata al suo lavoro sugli spettacoli, dove vengono raccolti e commentati scritti, indicazioni registiche, consigli agli attori, stenogrammi di prove. Importanti anche le pagine dedicate alla reazione di Vachtangov di fronte alla Rivoluzione del 1917 e le considerazioni finali di estetica teatrale, dove prende le distanze dal sistema registico di Stanislavskij, ancora troppo legato al realismo, ma anche da quello di Mejerchol’d, troppo infatuato di modernismo e costruttivismo dei primi anni Venti. Le pagine più intense sono forse quelle dedicate alla Turandot, summa del lavoro di Vachtangov, perfetto esempio di magistrale rilettura di un classico come il testo di Gozzi nella prospettiva della Mosca bolscevica. Vachtangov muore pochi giorni dopo la prima di questo spettacolo, che commuove il suo maestro Stanislavskij ed entusiasma il pubblico rivoluzionario. Fausto Malcovati

«“Ci si può esprimere anche ascoltando”. Questa frase (di Leo De Berardinis, ndr) dovrebbe essere incisa a caratteri di fuoco in tutte le scuole di ogni ordine e grado del nostro Paese. Anche se ho paura che ormai non verrebbe capita». Così scrive Marco De Marinis nell’introduzione del suo ultimo libro, Ripensare il Novecento teatrale, in uno dei passaggi più incalzanti dedicati al ruolo dello spettatore. Oggi, sostiene De Marinis - e lo fa ripercorrendo più di trent’anni di suoi studi dedicati all’argomento -, è quanto mai urgente riabilitare la semplice funzione di chi assiste allo spettacolo restituendogli i fondamentali compiti che la percezione mette in campo: l’interpretazione critica, le reazioni fisiche, emotive e intellettuali. Tutto ciò è assolutamente indispensabile in un’epoca come la nostra in cui il fare, o il voler fare, teatro (viviamo nell’epoca dei mille laboratori) supera di gran lunga l’andare a teatro. Rimettere la chiesa al centro del villaggio: questo e molto altro il Novecento della scena suggerisce e insegna. Il volume - che completa un’ideale trilogia cominciata con Capire il teatro e proseguita con Il teatro dopo l’età dell’oro - racconta questo Novecento con chiarezza e passione, attraversando trasversalmente il secolo in compagnia dei suoi snodi più luminosi e, talvolta, dimenticati. Pierfrancesco Giannangeli

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Lepage, il teatro come arte totale Anna Maria Monteverdi Memoria, maschera e macchina nel teatro di Robert Lepage Milano, Meltemi (Linee, 34), 2018, pagg. 418, euro 28 Sono trascorsi quasi quindici anni dalla pubblicazione della prima monografia che Monteverdi ha dedicato al teatro di Robert Lepage, inscrivendolo a pieno titolo nella vague delle avanguardie di fine secolo. In questo periodo, non solo le ricerche sul regista e drammaturgo canadese sono state arricchite da una serie di incontri e di soggiorni nella sede di Ex

Machina, ma soprattutto sono nate alcune creazioni che hanno modificato lo stesso profilo artistico del regista e, tout court, delle arti performative contemporanee: la danza con Eonnagata, la lirica con il Ring wagneriano al Met di New York, basato sulla portentosa “macchina” scenica immaginata da Carl Fillion; fino alla tetralogia in progess di Jeux de cartes e al racconto autobiografico di 887. Ne scaturisce uno studio polifonico e stratificato - peraltro integrato da analisi, testimonianze e recensioni raccolte nell’antologia critica che chiude il volume - che condensa gli esiti più significativi della ricerca di Lepage: un’indagine che guarda al passato e al futuro e che trova il suo fulcro nel rinnovato concetto di macchina, mirabolante dispositivo integrato dall’uso delle più ardite tecnologie contemporanee ma che muove sempre dalla presenza dell’attore, elemento insostituibile dell’ingranaggio performativo. Sul filo della memoria, il percorso si snoda a partire dalle scritture del Théâtre Repère per approdare alle sfide degli ultimi spettacoli: il rinnovamento dell’opera d’arte totale wagneriana, le intersezioni con la tecnica narrativa cinematografica, la ricerca di nuovi spazi scenici sfruttati in senso circolare e verticale, oltre che frontale. Un progetto visionario, dunque, ma che non rinuncia alla “coscienza globale” dell’attore, motore primo di quella grande utopia che è il teatro. Giuseppe Montemagno

Suzuki Company of Toga, una cittadella di performing arts Tadashi Suzuki Il corpo è cultura Roma, Dino Audino Editore, 2017, pagg. 146, euro 18 La prossima volta che si ragiona sull’ennesima residenza artistica, forse varrà la pena prendere in considerazione il piccolo paesino di Toga Mura, sulle Alpi Giapponesi. Certo il viaggio potrebbe risultare oneroso. Ma una volta lì è probabile che la propria prospettiva teatrale venga rivoluzionata. Un po’ per la meraviglia di questo villaggio divenuto nel tempo un centro internazionale delle arti performative, con ben sette (sette!) palcoscenici. Un po’ per la disciplina assoluta di Tadashi Suzuki, la cui riflessione artistica è da sempre


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