Hystrio 2019 2 aprile-luglio

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la società teatrale

a cura di Roberto Rizzente

Teatri Nazionali: una rivoluzione annunciata? di Roberto Rizzente

C’

è aria di cambiamento nel teatro italiano. E non solo per l’improvvida scadenza, il 27 dicembre, della proroga concessa al Ministro dello Spettacolo per approvare i famosi Decreti Attuativi del Codice dello Spettacolo, senza i quali la Legge 175 è destinata a fare marcia indietro, confinata nel limbo delle buone intenzioni. Ma per una ridefinizione degli assetti che, di qui a un anno, andranno a mutare il volto e la politica dei teatroni di serie A, quelli che il Decreto del 2014 ha definito Nazionali. Se in bene o in male, è presto per dirlo: certo è che, sotto la quiete, ribolle la tempesta. E un mai sopito dibattito tra le ragioni dell’arte e di un’oculata gestione manageriale. Il caso più eclatante è Roma. Al Teatro Nazionale, il cambiamento è avvenuto da tempo: prima lo scorso settembre con Antonio Calbi, il direttore dei record, che improvvisamente ha deciso di andarsene in Sicilia, all’Inda. E poi, a febbraio, con la nomina del successore per il triennio 2019-21, Giorgio Barberio Corsetti. Un nome storico della ricerca e poi della lirica, romano, già alla guida della Biennale Teatro di Venezia e che mette d’accordo tutti, ma che a ben guardare va controcorrente rispetto alle scelte degli altri teatri che, da anni, hanno deciso di puntare su di una figura più manageriale (cui era ascrivibile lo stesso Calbi), in grado di soddisfare i parametri imposti dal Decreto del 2014, attenti, sì, alla qualità, ma più ancora ai numeri. Senza, tuttavia, che la scommessa su Corsetti venisse poi portata fino in fondo, se è vero che alla guida dell’India, proprio lo spazio più off del Nazionale - si mormora per le

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pressioni di Comune e Regione - è stato nominato un altro timoniere, Francesca Corona, già co-curatrice di Short Theatre. Come a dire: puntiamo pure sulla qualità artistica ma, in attesa di vedere come va, con dei paletti. Analoghe beghe sembrano coinvolgere il Mercadante di Napoli. Anche qui, c’è un direttore in uscita, sia pure non dimissionario come Calbi, ma in scadenza di contratto (a dicembre) e ben intenzionato a rimanere: Luca De Fusco. Un regista, ma anche un manager, se è vero che sotto la sua gestione, dal 2011 al 2017, il fatturato è aumentato del 73% (da 5.904.021 a 10.166.140), grazie anche al +220% nei finanziamenti Fus (da 386.305 a 1.239.368), gli ingaggi di personale artistico e tecnico del 281% e del 97% (+278% quanto ai dipendenti a tempo indeterminato), e il pubblico del 71,98%, con un aumento degli abbonati del 234,50%. Eppure, l’ostilità a De Fusco del sindaco De Magistris è evidente (si ricordino i sigilli al Teatro nel marzo 2017 per l’inadeguatezza del sistema anti-incendio), come pure, a sorpresa, del presidente della Regione, Vincenzo De Luca. Più difficile captarne il motivo: la parola d’ordine è rinnovamento. Ma non è dato sapere se dietro lo slogan si nasconda una strategia politica o, scorrendo i nomi degli altri candidati alla direzione dello Stabile - Mimmo Borrelli, Andrea De Rosa, Francesco Di Leva, Mario Martone, Alessandro Gassmann - l’intenzione di puntare, anche qui, all’eccellenza artistica, invece che ai numeri. Molto più sottile è infine l’altra questione, quella che riguarda il Piccolo Teatro di Milano. La lettera che i

lavoratori del Piccolo hanno inviato alle istituzioni, Comune, Regione, Mibac, Camera di Commercio, rivela il bubbone: a maggio scade il Cda. Il nuovo, che dovrà essere nominato, avrà l’incarico di designare il successore di Sergio Escobar, il cui mandato scade nel settembre 2020. La scelta che Roma e Napoli, con le dovute contraddizioni, starebbero vagheggiando - un direttore artistico - qui, non attecchisce. Sebbene la nomina a consulente di Stefano Massini non abbia mai convinto fino in fondo, i numeri portati da Sergio Escobar sono inopinabili: arrivato nel 1998, vanta la più lunga direzione nella storia del Piccolo, ha traghettato il teatro nella difficile era del dopo Strehler, con Ronconi, mantenuto i conti in ordine e conquistato l’autonomia gestionale. Indubitabili, poi i risultati di pubblic o: p o te z ian d o il s e t to r e mar k e t ing e comunicazione (il Piccolo Teatro resta un “caso” studiato anche all’estero) ha conseguito l’obiettivo di rinnovamento e ampliamento del pubblico, superando quota 25.000 abbonati nella stagione 2014-15, il 35% dei quali under 26. Senza contare il risparmio: pensionato, Escobar ha assolto al sesto mandato a costo zero. Un precedente inquietante che potrebbe essere emulato da altri illustri pensionati, alla faccia di un ben più sano ricambio generazionale. Potrebbe dunque, fare un settimo mandato se la Legge Madia sulla pubblica amministrazione facesse un’eccezione per il Piccolo. Di qui, l’appello alla responsabilità delle istituzioni da parte dei lavoratori nell’invito a nominare un Cda «di alto profilo culturale e di comprovata conoscenza del mondo teatrale». ★


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