VETRINA
L'eredità di Thomas Bernhard, un "grande combustibile" per attore A trent’anni dalla scomparsa dello scrittore austriaco, Sandro Lombardi parla dei suoi seguaci. Fra drammaturghi contemporanei e grandi interpreti che si sono nutriti e ancora si nutrono dei suoi testi e del suo spirito corrosivo. di Gherardo Vitali Rosati
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er tutta la mia esistenza non ho fatto altro che disturbare. Io ho sempre disturbato e ho sempre irritato. Tutto quello che scrivo, tutto quello che faccio, è disturbo e irritazione». Quando si raccontava – ne La cantina, uno dei suoi cinque romanzi autobiografici – Thomas Bernhard non nascondeva la sua naturale inclinazione per una scrittura graffiante e corrosiva. E anche in punto di morte – avvenuta il 12 febbraio del 1989 – non si dimostrò più indulgente. Nel suo testamento vietava ogni forma di pubblicazione o rappresentazione nella “sua” Austria per tutta la durata dei diritti d’autore. Estremamente prolifico, sia in letteratura che in teatro, Bernhard ha lasciato un fiume di testi da rileggere e mettere in scena, fonte vitale per registi e attori ma anche per i tanti drammaturghi che si sono ispirati, più o meno consapevolmente, alle sue opere. Per fare un punto sulla sua eredità, nel trentesimo
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anniversario della scomparsa dell’autore, ne abbiamo parlato con Sandro Lombardi, che di Bernhard ha interpretato Il riformatore del mondo e L’apparenza inganna, ispirandosi alla sua lingua anche per la drammaturgia de La signorina Else, lo spettacolo tratto dal racconto di Arthur Schnitzler e messo in scena da Federico Tiezzi. Qual è la stata la prima scintilla che l’ha portata a interessarsi a Thomas Bernhard? Fin dagli anni Ottanta sia io che Federico Tiezzi ammiravamo moltissimo Thomas Bernhard: già il nostro Ritratto dell’attore da giovane era costruito sulla scia dei suoi lavori. Di lui, ci ha sempre colpito il coraggio di affrontare il disastro della vita contemporanea senza nessun tipo di consolazione, e quei suoi testi pieni di acredine e di corrosività tanto da diventare quasi comici. È uno degli autori più centrali del mio percorso, insieme a Testori: anche se affrontano argomenti profondamen-
te diversi, entrambi scrivono per degli attori in carne e ossa. Bernhard addirittura usa nel titolo di alcune sue pièces i cognomi degli attori per cui le ha pensate, è il caso di Minetti (per Bernhard Minetti) e di Ritter, Dene Voss (per Ilse Ritter, Kirsten Dene e Gert Voss). Allo stesso modo, Testori scriveva per Franco Parenti, per Franca Valeri, e così via. Se anche l’attore che va a indossare queste parole non è più quello per cui sono state scritte, percepisce un rapporto diretto con l’autore. Mentre, per esempio, Cechov parla con il regista, e dà delle indicazioni su come mettere in scena i suoi testi, Bernhard si rivolge direttamente all’attore, alla sua carnalità e al suo pensiero. Chi sono per lei i drammaturghi che possono dirsi eredi di Bernhard? Sicuramente Bonn Park, tedesco, classe 1987, che scrive dei testi bellissimi, spesso in chiave autobiografica. Ha ereditato la corrosività, l’acidità, la crudezza e il grande