Hystrio 2019 2 aprile-luglio

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critiche Gassmann/Mayorga, il gioco della scrittura nell’ambiguo percorso verso l’età adulta

Il ragazzo dell’ultimo banco (foto: Masiar Pasquali)

Frammenti di autobiografia Fabre, il genio irrequieto

IL RAGAZZO DELL’ULTIMO BANCO, di Juan Mayorga. Traduzione di Antonella Caron. Regia di Jacopo Gassmann. Scene di Guido Buganza. Costumi di Giada Masi. Luci di Gianni Staropoli. Con Danilo Nigrelli, Mariángeles Torres, Fabrizio Falco, Alfonso De Vreese, Pierluigi Corallo, Pia Lanciotti. Prod. Piccolo Teatro di MILANO. Jacopo Gassmann si misura con un nuovo, potentissimo testo di Juan Mayorga. Claudio, Il ragazzo dell’ultimo banco, scrive per il professore di lettere un “tema”, raccontando come ha passato il week-end. Il suo esercizio di scrittura diventa motore di un avvicinamento - che presto oltrepassa il limite dell’intrusione - alla casa e alle vite degli Artola, Rafa e genitori, della media borghesia urbana. Il gioco della scrittura, che Claudio, genio matematico, esercita, cattura il professore, ne accende lo spirito maieutico. Ma si fa pericoloso. Qual è il limite tra osservazione e manipolazione degli altri? Cosa qualifica il rapporto educativo tra adolescente e adulto? La scrittura e la lettura sono strumenti di formazione o di affermazione di sé? Mayorga, matematico e filosofo, scrive un testo pieno di domande senza risposte, una struttura di senso a più piani che si intersecano, in una geometria non euclidea dove la direzione non è mai data in modo univoco. La scrittura asciutta dà forma a una drammaturgia perfetta, necessaria come un algoritmo. La storia procede per suggestioni successive, nelle quali vivono possibilità innumerevoli, plausibili finali diversi, sul li-

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mite mai definito della tragedia o del Bildungsroman, dove però la parola “fine” è sostituita a ogni capitolo da un più vitale “continua”. Conservando l’equilibrio tra la scrittura di Mayorga e la sua messa in vita, Gassmann si muove sicuro, trasformando anche lo spazio in oggetto significante. In un impianto molto rigoroso, un lungo tavolo entra in profondità nella scena. Il movimento degli attori accompagna le relazioni fra i personaggi, nei diversi luoghi (la scuola, la casa di Germán e Juana). Gli ambienti di casa Artola appaiono invece in stanze chiuse, delimitate da pareti mobili e trasparenti, sempre più permeabili ai personaggi, via via che le loro relazioni si intrecciano. Bellissime e significanti le immagini video. Perfette le luci, che guidano in ogni momento l’attenzione. Perfetti anche gli attori: Danilo Nigrelli (Germán), con i suoi entusiasmi d’insegnante disilluso e appassionato, indeciso tra i ruoli di maestro-demiurgo e di padre; Mariángeles Torres (Juana), sua moglie, la sua “coscienza critica”, incompresa nella sua dimensione d’intellettuale; Fabrizio Falco (Claudio), credibile nel ruolo di adolescente “all’ultimo banco” della scuola e della vita, alla costante ricerca del proprio sé futuro e poi Alfonso De Vreese, Pierluigi Corallo e Pia Lanciotti (la famiglia Artola), perfetti come famiglia modello. Menzione speciale per Pia Lanciotti, capace di rivelare da uno sguardo abissi d’inaudita profondità. Ilaria Angelone

THE NIGHT WRITER, lettura teatrale a cura di Jan Fabre. Musiche di Stef Kamil. Drammaturgia di Miet Martens. Con Lino Musella. Prod. Troubleyn, Antwerp (Be) - FOG/ Crt Teatro della Triennale, MILANO e altri 5 partner internazionali. IN TOURNÉE Se sapessimo cosa stiamo facendo, non la chiameremmo ricerca, no? Autobiografia sì, ma fino a un certo punto. Piuttosto uno zibaldone per frammenti che non ha nulla di lineare (e come potrebbe?) ma rivela in controluce la sismografia irrequieta di un processo creativo che per sua stessa natura non trova pace. The Night Writer, che ha aperto la seconda edizione del Festival Fog al Teatro dell’Arte in Triennale (anche coproduttore), è il primo spettacolo del fiammingo Jan Fabre in lingua italiana. Non solo, segna un incontro ravvicinato, ma in fondo non così imprevisto, con la dimensione della parola. Siamo, per capirci, molto lontani dalle monumentali (anche per durata) visioni di Mount Olympus o The Power of Theatrical Madness, dai grandi affreschi iconoclasti di The Belgian Rules, o dalla radicalità fisica di performance come The Criyng Body. In questo spettacolo, sostanzialmente immobile su una scena cosparsa di sale, un tavolo, una sedia, un riquadro di luce che riflette dall’alto ombre capovolte, a prendere il sopravvento è la temperatura, intima e incandescente, del pensiero, dell’intuizione, della confessione (anche ironica), a volte dell’aforisma. Lino Musella è davvero gigantesco per come doma e asseconda questo impasto insonne di parole che si affacciano sul mistero, alludono, provocano, giocano e si prendono gioco. Un Amleto che guarda Amleto. Chapeau. I materiali arrivano dai diari di Fabre (in Italia pubblicati da Cronopio con il titolo Giornale notturno), attraversano alcune delle sue opere (La reincarnazione di Dio, L’angelo della morte, Io sono sangue) e precipitano in una partitura che oscilla tra gli opposti del creare e del distruggere, dell’ebbrezza e della disciplina, della tensione erotica e della meditazione sublime. C’è un cuore messo a nudo, ma poi compare una marionetta con le sembianze di Fabre a cui cresce un naso da Pinocchio. Abbiamo bisogno delle parole di un artista, anche se sarebbe saggio diffidarne. Sara Chiappori


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