la società teatrale
a cura di Roberto Rizzente
Mistero buffo: mezzo secolo e non sentirlo di Simone Soriani
I
l primo ottobre di cinquant’anni fa, a Sestri Levante, Dario Fo debuttava ufficialmente con Mistero buffo: lo spettacolo più rappresentativo, e al contempo discusso, dell’intera produzione dell’autore-attore sangianese. Negli anni successivi, Fo ha ripreso e allestito il suo capolavoro in un numero imprecisabile di versioni, tanto che si calcola che lo spettacolo sia stato rappresentato circa 5.000 volte e che abbiano assistito alla pièce circa tre milioni di spettatori. Senza dimenticare gli oltre dieci milioni di telespettatori che, nel 1977, hanno seguito sulla Rai la messa in onda dello show: proprio la trasmissione televisiva ha alimentato aspre polemiche e numerose accuse all’autore-attore, soprattutto per la satira anti-ecclesiastica che anima numerosi passi del monologo. All’indomani della messa in onda, infatti, il Vaticano condannò la performance di Fo dalle colonne dell’Osservatore Romano e, addirittura, un cardinale inviò un telegramma all’allora Primo Ministro Giulio Andreotti per esprimere «dolore e protesta» per la trasmissione (senza dimenticare le numerose denunce e querele ricevute da Fo per aver offeso la religione cattolica e il sentimento religioso degli italiani). Da un punto di vista storico, Mistero buffo nasce dalla rielaborazione (talora dalla riscrittura radicale) di testi letterari e drammaturgici, perlopiù di origine medievale, che Fo era andato scoprendo nel corso degli anni Sessanta e che monta all’interno di un as-
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solo affabulativo. In scena, Fo introduce ciascun recitativo per mezzo di un prologo che gli permette di conversare con il pubblico in sala e di attualizzare i messaggi veicolati dai vari testi “medievaleggianti”. I personaggi del monologo, infatti, sono gli sfruttati e angariati di allora - contadini, eretici, giullari - che l’autore-attore interpreta e presenta come metafora storica, trans-temporale, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In quanto strumento di denuncia dell’ingiustizia sociale, Mistero buffo si afferma come un grande classico del teatro di protesta e contestazione del Novecento: non a caso, Fo riceverà il Premio Nobel per la Letteratura nel 1997 proprio per aver «fustigato il potere e riabilitato la dignità degli umiliati». In quanto avvertita come sempre attuale perché sempre attuali sono le sperequazioni sociali, nonostante il tramonto dell’utopia sessantottina che aveva alimentato la creazione originaria di Fo - la pièce è stata allestita da numerose compagnie, in Italia e all’estero: tra queste, la messinscena alla Comédie Française e la versione di Paolo Rossi di una decina di anni fa, fino alle recentissime interpretazioni di Ugo Dighero, Lucia Vasini ed Elisa Pistis (entrambe reinterpretano il monologo in chiave femminile), Mario Pirovano e Matthias Martelli che, per la regia di Eugenio Allegri, sta portando lo spettacolo di Fo nei teatri italiani proprio in questi mesi. In quanto monologo di affabulazione, Mistero buffo costituisce una trasgressione radicale rispetto al
tradizionale codice drammatico - cui, in qualche modo, Fo si era attenuto nella precedente produzione commediografica - e, pertanto, si colloca nell’alveo di tutto quel “nuovo teatro” (italiano e non solo) che nella seconda metà del Novecento cerca di ripensare forme e funzioni dello spettacolo dal vivo. La distanza di Fo dalla coeva ricerca e sperimentazione, però, risiede nella volontà dell’autore-attore di elaborare e mettere in scena un teatro fondato sull’impegno politico e sociale e, proprio in conseguenza di questo, basato sulla comunicazione e relazione con il pubblico in sala. Mistero buffo, infatti, si presenta come un modello di teatro non mimetico e non rappresentativo, incentrato piuttosto sul racconto di un attore che, senza trucco né costumi, interagisce con un pubblico compartecipe e coinvolto. È un modello cui in qualche modo guarderanno generazioni successive di performer, sia che si tratti di solisti della comicità come Paolo Rossi o Roberto Benigni, sia che si tratti di tutti quei narratori che negli ultimi trent’anni hanno invaso le scene italiane (si pensi almeno a Marco Paolini e Ascanio Celestini). Non è un caso che, in occasione della trasmissione televisiva del Racconto del Vajont nel 1997, Paolini abbia deciso di celebrare Fo che, proprio in quello stesso giorno, era stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura, riconoscendo come con la trasmissione televisiva del Mistero Buffo sia «cominciata forse per tanti di noi, anche per me, in qualche modo l’avventura del teatro». ★