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danza
Da Bolzano a Palermo corpi in movimento
Un viaggio tra le proposte di danza dell’estate, ci porta a Bassano del Grappa per B.Motion, in Trentino, per Bolzano Danza e Oriente Occidente, in Piemonte, con Vignale Monferrato Danza e a Palermo. Con un’incursione lirica al Festival della Valle d’Itria.
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SAVE THE LAST DANCE FOR ME, coreografia e regia di Alessandro Sciarroni. Con Gianmaria Borzillo, Giovanfrancesco Giannini. Prod. Santarcangelo Festival, Santarcangelo di Romagna (Rn) - Gender Bender e Danzaurbana, Bologna - Csc Operaestate Festival, Bassano Del Grappa (Vi). B.MOTION OPERAESTATE FESTIVAL VENETO, BASSANO DEL GRAPPA (Vi).
Nel monumentale Oratorio di Ca’ Erizzo a Bassano Del Grappa, dove è andato in scena Save the Last Dance for Me, Alessandro Sciarroni si è trovato nuovamente di fronte a un tema a lui caro, in un luogo che sembra rappresentarlo come una sineddoche: come può la contemporaneità mettersi al servizio della tradizione senza tradire se stessa? Dopo lo Schuhplattler, danza popolare tipica bavarese e tirolese portata dal 2012 su altri palcoscenici nel suo Folk-S-Will You Still Love Me Tomorrow?, il coreografo pluripremiato (Premio Hystrio Corpo a Corpo 2017, Leone d’Oro 2018), trasferisce in Save the Last Dance for Me un’altra forma di danza folkloristica: la polka chinata bologne-
se, ballo per soli uomini la cui interpretazione è qui affidata a Gianmaria Borzillo e a Giovanfrancesco Giannini. Se costumi e tappeto sonoro sono contemporanei, del ballo tradizionale, considerato pratica in via di estinzione, resta solo ciò che è necessario, i movimenti tipici, che vedono nelle ginocchia flesse, punto di contatto reciproco tra i due partner, il perno attorno al quale costruire una partitura condivisa di azioni. Nello spazio delimitato ai quattro lati dalla presenza degli spettatori, i due performer eseguono in loop una puntuale e straniante coreografia dai moduli regolari, eseguendo, tra pause, riprese e incalzamenti, una rapida e centrifuga rotazione, movimento già centrale nel precedente assolo firmato da Sciarroni, Chroma. In questo senso, Save the Last Dance for Me costituisce la sintesi di un percorso creativo che incrocia, con grande coerenza di visione, problematiche differenti: da un lato, l’esercizio di una sequenza strutturata di movimenti che si fa spettacolo, affrontata quasi in senso agonistico; dall’altro, il recupero di un patrimonio culturale condannato all’oblio dal tempo. La polka chinata può così continuare a esistere sotto lo stupore incatenato allo sguardo di nuovi spettatori e, come linfa, tornare a circolare nel nostro presente. Renata Savo
MUSEUM OF HUMAN E-MOTIONS, coreografia e danza di Clara Furey, Mélanie Demers, Margrét Bjarnadóttir, James Batchelor, Sara Jane Norman. Prod. Operaestate, Bassano Del Grappa (Vi). B.MOTION OPERAESTATE FESTIVAL VENETO, BASSANO DEL GRAPPA (Vi).
Ci vuole una torre medievale per dare spazi al futuro della danza. Paradossale, no? Eppure la trecentesca Torre delle Grazie, sulle mura di cinta di Bassano del Grappa, cinque livelli sovrapposti e alti scalini, è servita a manifestare, dentro il programma di B.Motion, un formato che lentamente si sta affermando nel vocabolario del contemporaneo, ma che pure ha accenti remoti. Con “creazione di durata” si intende una pratica che rinuncia al concetto di “opera” (che viene di solito messa a punto e fissata nella sua forma finale) e a ciò che intendiamo come “spettacolo” (a cui è opportuno assistere dall’inizio alla fine). L’aspetto che caratterizza questi lavori è al contrario una “durata”, che non è la stessa per l’artista e per chi lo guarda. Nei cinque spazi ricavati su altrettanti livelli della Torre delle Grazie, ciascuno dei danzatori internazionali che partecipa al progetto Museum of Human E-Motions performa per due ore il proprio assolo. Al pubblico, che sale e scende lungo le ripide scale, la scelta di fermarsi uno, cinque, dieci minuti, o magari di più. Per osservarli. Per stabilire un contatto con loro. Potendo intuire forse una sintonia tra quei gesti d’arte e il paesaggio di colline che si apre al di là di feritoie e finestre. A ogni artista, la formula di questo Museum chiede di concentrarsi su un’emozione umana e su un oggetto simbolico del proprio Paese. Canada, Islanda, Australia sono i luoghi di provenienza dei cinque. E un corpo disteso a terra (sotto un sudario luttuoso che man mano scivola via) o una sequenza wagneriana in loop (e il pellicciotto invernale comprato in un second hand store a Montreal) possono diventare brevi flash, per spettatori frettolosi. Oppure prendersi la libertà del tempo lungo, in cui performer e osservatore sviluppano sottili vie di comunicazione. Come succede nell’assolo dell’avventuroso australiano James Batchelor. Data anche la vicinanza, che può arrivare anche a pochi centimetri, se pure lo spettatore è avventuroso. Roberto Canziani
BODIES IN THE DARK, regia di Jinyeob Lee. Con Hyung sung Seo, Sun hee Park, Kijang Han. Suono di Jimmy Sert. Prod. Elephants Laugh, Jisun Park, Seul (Kr). B.MOTION OPERAESTATE FESTIVAL VENETO, BASSANO DEL GRAPPA (Vi).
Non avremmo mai pensato di trovare il coraggio di lasciarci accompagnare bendati da un estraneo dal volto coperto e superando i commenti dei passanti, mentre ci dirigiamo, passando dalla piazza cittadina nelle sue ore più affollate, verso un luogo che non sapremo mai qual è. Ancora meno, che a un certo punto avremmo avuto paura del buio e timore di invisibili altri come noi: in quanti saremmo stati dentro quella stanza non collocabile nello spazio e nel tempo? Quindici, dieci, forse molti di meno. Con Bodies in the Dark, del collettivo coreano Elephants Laugh, ci siamo ritrovati a vivere una sorta di allucinazione sensoriale, senza telefoni o
altri oggetti di uso quotidiano (orologi, bracciali, borse), lasciati all’esterno, con il disagio necessario a comprendere qualcosa in più di noi stessi, ma con la consapevolezza rassicurante di avere a disposizione la possibilità di uscire dalla performance in qualsiasi momento, battendo le mani. Siamo entrati fisicamente a contatto con ignoti nel buio più pesto, autorizzati a restare con tutti, una parte o nessun indumento addosso, osservando il nostro libero arbitrio e le istruzioni di una voce artificiale ascoltata in cuffia. Abbiamo sfiorato e ci siamo lasciati sfiorare dal collo alla vita la schiena nuda o seminuda, abbiamo danzato e ci siamo abbracciati spontaneamente, passandoci da corpo a corpo un segnale comune sdraiati in un ipotetico cerchio. Rivedendo la luce un’ora e mezza dopo, senza poter salutare il nostro Caronte che ci ha ritraghettato nell’inferno del mondo sociale, ci sentiamo come risvegliati da un sogno nel quale abbiamo toccato con mano - è proprio il caso di dirlo - il confine tra le nostre e le altrui barriere socioculturali. Una performance audace ma intelligente questo Bodies in the Dark. Un sogno indimenticabile di cui resta ancora, al risveglio, l’odore di uno sconosciuto sulla pelle. Renata Savo
MY HEART GOES BOOM, coreografia di Daniele Ninarello. Musiche di Rrose, Etapp Kyle, Pj Harvey. Con Cristina Peron, Luisa dalla Palma, Silvana Cucinato, Paola Agostini, Annì Scodro, Maria Rosa Martinello, Franca Baraldo, Mario Pomero, Giuseppina Cavallin, Giorgio Marchioro, Daniela Scotton, Eva Boarotto, Paola Bertoncello, Roberta Peron, Eleonora Nicolli, Anna Canonico, Vittoria Battistella. Prod. Codeduomo, Torino - B.MOTION OPERAESTATE FESTIVAL VENETO, BASSANO DEL GRAPPA (Vi).
Al quarto anno di progettualità del B.Motion Operaestate Festival Veneto con danzatori affetti da morbo di Parkinson (Dance Well Dancers) è Daniele Ninarello il coreografo scelto per la nuova coproduzione. La difficoltà di queste performance risiede nella capacità di interpretare le singolari possibilità motorie di ciascun interprete, senza che alcune azioni risultino goffe o affettate, e i corpi diversamente abili dei fenomeni da baraccone. Riesce nell’impresa Ninarello, che in My Heart Goes Boom realizza un dispositivo scenico che esprime l’idea di un organo composto dalle sue cellule, un cuore che pulsa e incrementa i suoi battiti fi no a scoppiare. La performance, infatti, parte dalla simulazione di uno stadio larvale: danzatori di età molto diverse, in gran parte anziani e accomunati dal denominatore della malattia più o meno visibile o “latente”, si sdraiano a terra e compiono, per un tempo lunghissimo, dei micromovimenti con tutto il corpo, sempre più ampi. Il tronco e gli arti di quest’unico organismo dalle molteplici sfumature emotive che idealmente rappresentano crescono in altezza, con ritmo crescente. La lentezza di questo processo non si comprende da subito, e dopo un po’ arriva ad affaticare lo sguardo. Tuttavia, la tensione drammatica generata nell’attesa dell’“esplosione” giustifica poi la sua esistenza, configurandosi come preludio di libertà. Perché in fin dei conti, per loro come per noi che li osserviamo - e da cui ci sentiamo osservati - non può esserci liberazione senza prigionia. Renata Savo
DEUCES, coreografie di Eyal Dadon e Guy Weizman & Roni Haver. Musiche di Pérez Prado ed Elad Cohen Bonen. POWERHOUSE, coreografie di Cayetano Soto, Marco Goecke, Helena Waldmann, Eric Gauthier, Ohad Naharin. Musiche di La Lupe, Johnny Cash, Jayrope, Ludwig van Beethoven, Maxim Waratt. Con Gauthier Dance//Theaterhaus Stuttgart. Prod. Theaterhaus Stuttgart. BOLZANO DANZA.
Compagnia associata al Festival Bolzano Danza per il triennio 2018-2020, la Gauthier Dance//Theaterhaus Stuttgart ha presentato un doppio spettacolo ideato appositamente per l’occasione. Raccolta sotto il titolo di Deuces, la serie di otto creazioni originali ispirate al “passo a due” è stata qui rappresentata dalle suggestive coreografie di For D degli israeliani attivi in Olanda Guy Weizman & Roni Haver. Un sapiente gioco di luci e ombre, dove la tensione tra i due corpi maschili si stempera nella forza attrattiva del vortice proveniente dal fondo scena. Dalle piacevoli atmosfere di Gloria di Eyal Dadon si passa poi a Powerhouse. “Un nome che è tutto un programma”, si potrebbe dire, visto che il titolo fa da cappello a ben cinque miniature firmate da altrettanti coreografi. Si parte con Malasangre, affascinante omaggio dello spagnolo Cayetano Soto alla cantante cubana La Lupe in cui sette interpreti, attraverso movimenti ricchi di ardente passione, fanno agitare farfalle di stoffa nere posate sul palcoscenico. Dallo struggimento dei sentimenti a un’opera di raffinato cesello firmata dal tedesco Marco Goecke. È Äffi, plastico assolo sulle musiche di Johnny Cash in cui la coreografia, nei rapidi movimenti del torso e delle braccia, vibra regalando immagini di rara suggestione. Tonalità dark e gusto sadomaso per We Love Horses di Helena Waldmann, mordace riflessione sul rapporto vittima/carnefice con tanto di fruste e giochi di ruolo, mentre alla leggera ironia guarda Orchestra of Wolves dello stesso Eric Gauthier, parodia danzata del rapporto tra direttore e orchestrali, adatta agli spettatori più piccoli. In chiusura di serata ecco la forza tellurica e visionaria di Deca Dance, collage di estratti dal repertorio di Ohad Naharin in una nuova versione appositamente pensata per la Gauthier Dance, compagnia in grado di offrire in un’unica serata una pluralità di mondi, grazie ai suoi formidabili danzatori e a un progetto artistico accattivante. Carmelo A. Zapparrata
METAMORPHOSIS, coreografia e scene di Virgilio Sieni. Scene e costumi di Gregorio Zurla. Luci di Mattia Bagnoli. Musiche di Arvo Pärt. Con Marina Bertoni, Giulia Gilera, Maurizio Giunti, Andrea Palumbo, Sara Sguotti. Orchestra Haydn di Bolzano e Trento diretta da Chloé van Soeterstède. Prod. Compagnia Virgilio Sieni, Firenze - Bolzano Danza/Tanz Bozen - Amat & Civitanova Danza - Fondazione Haydn Stiftung, Bolzano. BOLZANO DANZA.
IN TOURNÉE
Commissionata dalla kermesse altoatesina, la nuova creazione in prima assoluta Metamorphosis ha visto dialogare la Compagnia Virgilio Sieni con l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento. Diretta da Chloé van Soeterstède, l’orchestra è stata impegnata nell’esecuzione live delle musiche di Arvo Pärt, scelte da Sieni per questo suo nuovo lavoro ispirato al testo di Ovidio. Operazione senz’altro di pregio, poiché non si tratta della consueta riedizione di un titolo di repertorio ma di una nuova creazione, nata promuovendo l’interazione tra due ensemble, uno coreografico e l’altro musicale. Diversi velari disposti in successione suggeriscono vari gradi di trasformazione e mutamento, mentre una quarta parete isola il palcoscenico, offrendo dei corpi opachi allo sguardo della platea. Una sagoma di cervo primordiale si staglia sulla scena per cedere poi il posto a un gruppo di danzatori che, passando da un velario all’altro, raggiungono la ribalta gradualmente. Disarticolazioni continue, scale di movimento e leggeri lifts formano qui una scrittura coreografica diafana ed evanescente, accompagnata dal tempo sospeso e dilatato delle musiche di Pärt. L’ordito coreografi co consegnato da Sieni ai corpi di soli cinque danzatori assume un andamento di déjà-vu, poco incline a stuzzicare l’immaginazione sulle metamorfosi che legano uomo e natura. Forti, infatti, appaiono qui i rimandi ai già recensiti Chukrum e Petruška, dove la coreografia abdicava alla propria funzione in virtù di espedienti scenografici simili. Forse i continui progetti con amatori e non professionisti, portati avanti ormai da anni da Sieni, hanno distolto il coreografo fiorentino dall’alchimia teatrale di cui è stato riconosciuto maestro? Carmelo A. Zapparrata
SUMERU, coreografia di Liu Qi. Costumi di K@FingPop. Luci di Low Shee Hoe. Musiche di Kung Chi Shing e Tom Lee Pettersen. Con Guangdong Modern Dance Company. Prod. Guangdong Modern Dance Company, Guangzhou (Cina). ORIENTE OCCIDENTE FESTIVAL, ROVERETO (Tn).
Intessere legami tra culture è da sempre una delle prerogative di Oriente Occidente. Ispirata a “La nuova via della seta” questa 39a edizione ha accolto in esclusiva nazionale la più antica compagnia contemporanea della Cina continentale: la Guangdong Modern Dance Company. Nata sull’impostazione delle tecniche moderne americane come costola della Guangdong Dance Academy, l’ensemble ha visto succedersi tra le fi la dei suoi danzatori nomi di illustri coreografi. Si pensi a Shen Wei, ormai attivo a New York, e Sang Jija, discepolo di William Forsythe, per comprendere l’importanza di questa pionieristica realtà. Altro nome è quello di Liu Qi, firma di spicco della coreografia cinese e attuale direttrice artistica della Guangdong Modern Dance Company, che a Rovereto ha portato in scena il suo Sumeru. Evocando, grazie al titolo, l’omonimo monte posto al centro della cosmologia buddista, questo lavoro indaga la diversità dei rapporti umani attraverso la fluidità dei danzatori dall’altissimo livello tecnico e lo squisito disegno luci. Spesso ad andamento circolare, movimenti continui senza interruzioni apparenti animano così le linee lunghe di braccia e gambe che, definite da particolari disposizioni geometriche, esprimono un caleidoscopio di emozioni. Pur se la radice americana, col suo concetto di energia in continuo divenire, appare qui evidente, è nella sensibilità con cui Liu Qi plasma il fattore tempo che cogliamo tutta l’originalità di quest’opera. I contrasti emotivi sottolineati nel rapporto tra scene e controscene vengono, infatti, modulati attraverso cesure nette che sospendono l’azione, facendoci così pregustare, nell’attesa del passaggio successivo, quel filosofico nesso tra causa-effetto. Carmelo A. Zapparrata
HIVE-OUR HYDROLOGICAL NEED OF
COSMIC LINES, idea, coreografia e regia di Pietro Marullo. Costumi di Pietro Marullo e Diana Ciuffo. Luci di Ryoya Fudetani. Musiche di Jean Noel Boissé. ZOÉ/APPUNTI SULLA NUDA VITA, ideazione e coreografia di Luna Cenere. Luci di Gianni Staropoli. Musiche di Gerard Valverde Ros e Mika Vainio. WHO IS JOSEPH?, ideazione e coreografia di Davide Valrosso. Musiche di Ryoji Ikeda-Headphonics. Prod. Oriente Occidente Festival, Rovereto (Tn). ORIENTE OCCIDENTE FESTIVAL, ROVERETO (Tn).
Da sempre attento alla scena nazionale, il Festival Oriente Occidente quest’anno ha coprodotto e presentato in prima assoluta tre nuovi lavori, firmati da altrettanti giovani artisti italiani. Si tratta del napoletano Pietro Marullo, della campana Luna Cenere e del pugliese Davide Valrosso. Pietro Marullo in Hive-Our Hydrological Need of Cosmic Lines plasma un universo suggestivo ispirandosi al celebre Tondo Doni di Michelangelo. Oltre però al soggetto centrale della Sacra Famiglia, Marullo volge il proprio sguardo verso gli ignudi dello sfondo e la plasticità dei corpi che caratterizza il dipinto. Volutamente presentati in questo lavoro come «angeli, animali e metafore», sei danzatori abitano un palcoscenico vivifi -
cato da fragori repentini, fonti luminose in continuo divenire e figure geometriche dal carattere simbolico. Rivelata attraverso sapienti giochi di luce, la nudità dei danzatori dialoga con le forme perfette di un cubo, trasformatosi poi in un triangolo rovesciato dal sapore anti-trinitario. Il corpo umano calato in geometrie euclidee cede quindi posto a drappi che evocano l’armonia cromatica del creato. Affascinante e misterioso, il titolo di Marullo evidenzia la capacità dell’autore di giocare con la materia scenica. Altra concezione del nudo possiede, invece, Luna Cenere che, con Zoé/Appunti sulla nuda vita, ha presentato il primo studio del più ampio progetto Genealogia, su cui sarà impegnata sino alla prossima edizione del festival. In scena cinque danzatori, autrice compresa, che attraverso movimenti lenti e cadenzati scoprono i diversi anfratti dei loro corpi nudi, ridisegnandoli in forme di fine gusto estetico. Più che a un passaggio di energia tra un corpo e l’altro, però, questo primo studio si caratterizza per l’estrema concentrazione che ogni interprete impiega nell’ascoltare il proprio corpo e mutare forma. Lungo assolo di cui Davide Valrosso è al contempo autore e interprete, Who Is Joseph? pone all’interno di uno spazio bianco una figura vestita di nero, forse un’ombra. Forte dell’alto livello tecnico di cui è dotato, Valrosso, a ritmo sostenuto, sviluppa qui variazioni di energia e cambi vettoriali senza però raggiungere una compiutezza drammaturgia tale da animare l’intero ordito. Carmelo A. Zapparrata 360°, coreografia e direzione artistica di Rami Be’er. Costumi di Maor Tzabar. Suono di Alex Claude. Con i danzatori della Kdcc2. Prod. Kibbutz Contemporary Dance Company, Ashrat Kibbutz Ga’aton (Il). TOML. Time of My Life, coreografia e direzione artistica di Eyal Dadon. Costumi di Michal Lorie. Luci di Qi Yujie, Shay Yehudai. Con Shay Partush, Moran Muller, Ori Ofri, Roni Ben Simon, Nadav Gal, Evyatar Omessy, Madison Hoke. Prod. Sol Dance Company, House of Dance, Beer Sheva (Il). VIGNALE MONFERRATO DANZA (Al).
Sono stati i quattordici danzatori della Kdcc2 - appendice “giovane” della celebre Kibbutz Contemporary Dance Company - i protagonisti della prima serata del Vignale Monferrato Festival, con 360°, uno spettacolo che ha visto anche la partecipazione attiva del pubblico, invitato sul palcoscenico ovvero coinvolto in semplici coreografie da eseguire sul posto. I danzatori, camicia bianca e bermuda neri, si esibiscono in sipari vigorosi e vitali, dando prova del proprio entusiasmo e della propria giovanile energia. La coreografia, disegnata dal direttore artistico di entrambe le compagnie Kibbutz, Remi Be’er, risulta nondimeno piuttosto fragile: non esiste, infatti, un filo rosso, un disegno organico e ben individuabile a dare coerenza e coesione a uno spettacolo certo vivo e contraddistinto dalle indubbie qualità tecniche dei giovani ballerini, eppure privo di un’intenzionalità esplicita e definita. Il lavoro, dunque, si riduce a una semplice successione di numeri coreografici fra di loro non connessi, quasi un saggio di fine anno. Maggiore solidità nella costruzione palesa Toml, proposto da un’altra compa-