Hystrio 2019 4 ottobre-dicembre

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EXIT

Da Andrea Camilleri a Mattia Torre antidivi e divine escono di scena Una lunga lista di addii ha raggelato la nostra estate, costringendoci a salutare molti personaggi che hanno segnato, in modo assai diverso, parte della storia dello spettacolo del Novecento e dei primi anni del nuovo secolo. di Giuseppe Liotta, Fabrizio Sebastian Caleffi e Arianna Lomolino ta anche sentimentalmente: Strehler e Victor de Sabata. I teatrofili sempre assoceranno la figura della Cortese all’iconico Giorgio, eponimo di regia, con cui fu in Platonov e gli altri (1958), El nost Milan (’59), nel mitico Arlecchino (’63), I Giganti della montagna (’66), Santa Giovanna dei macelli (’70), ma fu diretta anche da Squarzina e Chéreau. Tante volte alla ribalta, la Cortese sempre sarà ricordata nel Giardino dei ciliegi al Piccolo di via Rovello. Fabrizio Sebastian Caleffi

Il teatrante di Porto Empedocle Con la scomparsa di Andrea Camilleri (1925) se ne è andato un visionario di quel palcoscenico immateriale, nutrito dei fantasmi di una fervida e, a suo modo cinica, immaginazione. «Da quando non vedo più, vedo meglio», disse Camilleri/Tiresia nell’ultima sua recita al Teatro Greco di Siracusa. E la frase sembrava subito andare oltre il suo significato letterale per ribadire la prevalenza dello sguardo interiore su quello fisico. Una condizione mentale e spirituale che, unita a un’immensa curiosità, hanno fatto dell’autore siciliano uno dei più prolifici scrittori della sua generazione. Regista radiofonico, teatrale, televisivo ha all’attivo una serie di adattamenti di suoi racconti per il teatro: Il birraio di Preston, Tropputrafficu, poi nenti, La cattura, Cannibardo e la Sicilia, La concessione del telefono, Il casellante, ma soprattutto Festa di famiglia, un mélange di temi e figure pirandelliane messe in relazione fra di loro attraverso il “metodo Camilleri”: un intreccio spasmodico e accattivante di eventi che si affermano in scena con semplicità. La teatralità, per Camilleri viene prima del teatro. Shakespeare, Pirandello, il Teatro dei Pupi, le Maschere della Commedia dell’Arte

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sono i suoi irrinunciabili miti personali che, insieme ad alcune metafore ossessive, ritroviamo nei suoi scritti di teatro e nella lingua che usa: quella parlata, dialettale, inventata come un Aristofane dei nostri giorni. Senza questa vampa di teatro invisibile non ci sarebbe il successo popolare dello “scrittore” Camilleri, dove l’oralità prende il sopravvento sulla scrittura. È, infatti, alla sua originaria e confessata passione per l’artigianato teatrale che Camilleri deve la ragione principale di una vita professionale intensa, pienamente vissuta fino alla fine. Giuseppe Liotta La divina Valentina Mi piace ricordarla percorrere la Gita al Faro di Portofino come un suo personale Sunset Boulevard. Indimenticabile, a parer mio, apparve la Diva Valentina Cortese (1923) come ben calzata Eleonora Torlato-Favrini, sorella di Rossano Brazzi, nel più bello dei brutti film della storia del cinema, The Barefoot Contessa di Mankievicz (1954). Ovvio che ogni cinefilo sceglierà come suo topos filmico la sequenza della Cortese/Séverine che cerca la porta-armadio in La Nuit americaine di Truffaut. Due top directors l’hanno accompagna-

Grazie, preferisco il comico! Televisione, molti film in ruoli secondari, qualcuno da protagonista, dieci anni di autoesilio a Santo Domingo e poi il ritorno in Italia col programma radiofonico Varietà Varietà, di Raffaele Pisu (1925) ci rimane la nostalgia, forse il rimpianto dell’attore che avrebbe potuto essere e non è stato per quegli accidenti della vita che ti portano dove non vorresti. Bolognese di nascita è nel 1948 fra i fondatori, insieme a Sandro Bolchi, Massimo Dursi ed Enzo Biagi, del teatro La Soffitta. Per due anni (1947-’49) lo troviamo in tournée con Memo Benassi, e subito dopo la scelta di dedicarsi quasi esclusivamente al teatro comico musicale, radiofonico e televisivo, con quella vena di comicità surreale e assurda di cui è stato l’interprete più intelligente e raffinato della sua generazione. Giuseppe Liotta L’illuminista impertinente Una sobria, elegante, arguta impertinenza ha contraddistinto la vita professionale di Ugo Gregoretti (1930) intellettuale-contro prestato alla scena, al piccolo e grande schermo, che ha attraversato con quell’inconfondibile spirito beffardo e tagliente esibito come un marchio di fabbrica. Un’intelligenza algida da illuminista riusciva ad andare a braccetto con la ferocia e la passione delle sue provocazioni, capaci di scoprire i problemi di una società, quella degli anni Cinquanta e Sessanta, in spericolato e convulso mutamento. Straordinarie e inimitabili le sue inchieste televisive. Per il cinema ha girato film interessanti come Le belle famiglie, volutamente anacronistico al suo tempo, mentre il teatro fu il terreno in


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