Hystrio 2019 4 ottobre-dicembre

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VETRINA

Musical e teatri d'opera, la lunga strada verso il West End Una delle grandi novità delle ultime stagioni italiane è l’arrivo dei musical, con un successo tale da risvegliare anche l’interesse degli enti lirici. A Ravenna, Trieste, Torino e Bologna ci raccontano come funziona, tra hit internazionali e produzioni autoctone. di Sandro Avanzo

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ioletta Valery ed Eliza Doolittle, Billy Elliot e Radames. Tutti insieme appassionatamente a farsi applaudire sul medesimo palcoscenico. I più blasonati teatri lirici italiani si aprono alle note del musical. Da qualche anno, ed è un vero fenomeno. Esperimento? Nuovo indirizzo? Moda? Scelta commerciale? Cerchiamo di fare il punto della situazione attuale, tra storia e prospettive, anche attraverso le parole degli artefici della nuova innegabile tendenza. Qualche titolo “spurio” aveva già fatto capolino nei decenni passati nei paludati cartelloni dei grandi teatri classici, come West Side Story due volte alla Scala dal 2000, come Irma la dolce allo Stabile di Trieste nel 1997, o Kiss Me Kate al Regio di Torino nel 2001 (ripreso un paio di anni dopo anche all’Auditorium di Milano), e perfino gli scandalosi nudi di Hair avevano già fatto la loro immobile comparsa nella Sala del Bibiena, quando il Comunale di Bologna aveva aperto il proprio sipario di velluto rosso all’epico tour europeo 2003-2004 del musical hippy. Sem-

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pre titoli sporadici, difficilmente ripetuti con una frequenza costante e coerente. Apripista, quasi un caso a parte ma sempre in argomento, universalmente considerato un ibrido tra la lirica e il musical, va considerato Porgy and Bess di George Gershwin che, dalla prima scaligera del 1961 in poi, ha visto svariati allestimenti in molti teatri lirici lungo tutta la penisola. Gershwin e Porter, i più cool In senso più ampio è interessante notare come per anni agli enti lirici sia stato più facile proporre produzioni di musical acquisite dall’estero. Si contano alcuni lodevoli casi, come il già citato Kiss Me Kate di Torino o Lady in the Dark di Kurt Weill, coproduzione del 2001 tra il Teatro Massimo di Palermo e il Teatro dell’Opera di Roma (questo teatro ha allestito nel 2007 anche Marie Galante, sempre di Weill), ma si trattava quasi di circostanze eccezionali e relative ad autori come Weill, Porter, Bernstein o Gershwin da sempre valutati punti di intersezione tra il sacro della lirica e il profano del teatro leggero.

Oppure si dà il caso del Teatro Carlo Felice di Genova che, quando nella stagione 20182019 ha prodotto in proprio West Side Story e An American in Paris, si è però appoggiato a una struttura privata come la Wec di Milano (il medesimo allestimento è stato inserito anche nel cartellone 2018 del Maggio Fiorentino). Resta il fatto che sui nostri palcoscenici rimangono quasi dei perfetti sconosciuti non solo i massimi musicisti contemporanei del genere, Lin-Manuel Miranda o Lippa o Brown, perfino Schönberg o Lloyd Webber, ma addirittura Stephen Sondheim – regolarmente eseguito dalla New York Philarmonic e dal Royal National Theatre di Londra – è praticamente ignoto in Italia. Un notevole lavoro di alfabetizzazione al musical “d’autore” va riconosciuto al Ravenna Festival che, dal 2005, importa dall’estero lavori di altissima qualità. Il primo fu One Touch of Venus, l’ultimo nel 2018 Kiss Me Kate, in mezzo anche Cats, Rocky Horror e Mamma Mia!. «Per noi è stato più facile che per un ente lirico – afferma Franco Masotti, il direttore artistico ravennate – in quanto un


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