Hystrio 2019 4 ottobre-dicembre

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CRITICHE/DANZA-LIRICA

gnia israeliana, la Sol Dance Company. Il coreografo Eyal Dadon sceglie quale filo conduttore una nota canzone pop, Time of My Life, e un oggetto, una sorta di dispenser che conterrebbe un bagnoschiuma, per riflettere sulla diffusa concentrazione sul proprio aspetto esteriore e sul conseguente complicarsi delle relazioni interpersonali. In giacca e pantaloni bianchi, eleganti e suadenti nell’aspet to così come nei movimenti, i bravi danzatori si esibiscono in assoli e sipari corali, cantano a cappella e ammiccano divertiti al pubblico. Uno spettacolo lieve come un soffio di vento. Laura Bevione LA GIARA, di Alfredo Casella. Regia, coreografia, scene e luci di Roberto Zappalà. Drammaturgia di Nello Calabrò. Costumi di Veronica Cornacchini e Roberto Zappalà. Con Adriano Coletta, Filippo Domini, Rubén García Arabit, Alberto Gnola, Marco Mantovani, Gaetano Montecasino, David Pallant, Junghwi Park, Adriano Popolo Rubbio, Dario Rigaglia, Erik Zarcone, Marco Berti (tenore). Orchestra del Teatro Regio di Torino, direttore Andrea Battistoni. Prod. Scenario Pubblico/ Compagnia Zappalà Danza, PALERMO - Teatro Regio, TORINO. Nel 1924 al compositore Alfredo Casella venne richiesto, attraverso la mediazione di Erik Satie, di scrivere per i Ballets Suédois un balletto tipicamente “italiano”. Nacque così La giara, tratta dall’omonima novella di Pirandello, commedia coreografica dove la danza è alternata alla pantomima. Roberto Zappalà, pur fedele allo spartito di Casella che sa debitamente valorizzare, ignora il libretto e crea una coreografia coerente, in cui c’è spazio unicamente per la danza, non più spezzata e intramezzata da altri linguaggi. Sul palco è ricostruita la “bocca” del recipiente, all’interno del quale paiono danzare gli undici ballerini, fasciati in tute dai disegni e dai colori delle ceramiche di Caltagirone. A differenza di quanto avveniva nell’originale, non si balla attorno alla giara bensì dentro di essa, trasformando quell’ampio recipiente in una sorta di ventre materno, accogliente e sicuro. Uno spazio all’interno del quale l’affiatato e precisissimo ensemble si muove ora in numeri corali, formando schiere di ironica e coordinata simmetria, ora realizzando nu-

meri simultanei che ricreano, stilizzandolo e reinterpretandolo, il mondo contadino ritratto da Pirandello, di cui Zappalà, scegliendo un cast di soli danzatori, evidenzia la natura prettamente maschile. L’ambientazione siciliana, invece, è suggerita certo dai costumi sgargianti, ma pure da certe atmosfere chiaroscurali così come dalla comparsa di un inatteso ogget-

to di scena, un lungo e stretto corno che è copricapo ma pure naso da Pinocchio, rimandando a una certa predisposizione alla mistificazione della realtà a scopi prettamente materiali. Una coreografia che sa tradire fedelmente l’originale, evitando l’anacronistico recupero filologico così come il quadretto di maniera, scegliendo, invece, una vivificante traduzione nel

linguaggio della contemporaneità. Laura Bevione In apertura, Save the Last Dance For Me; a pagina 93, Orchestra of Wolves (foto: Regina Brocke); nella pagina precedente, in alto, Toml (foto: Pini Snir); in basso, Zoé/Appunti sulla nuda vita (foto: Sarah Melchiori); nel box, Il matrimonio segreto.

LIRICA

Commedia e tragedia convivono sul palcoscenico di Martina Franca IL MATRIMONIO SEGRETO, di Domenico Cimarosa. Regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi. Luci di Massimo Gasparon. Con Marco Filippo Romano, Maria Laura Iacobellis, Benedetta Torre, Victoria Pitts, Robinson Vittorio Prato, Paolino Alasdair Kent. Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari, direttore Michele Spotti. Prod. Festival della Valle D’Itria, Martinafranca (Ta). ECUBA, di Nicola Antonio Manfroce. Regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi. Luci di Massimo Gasparon. Con Norman Reinhardt, Mert Süngü, Lidia Fridman/Carmela Remigio, Roberta Mantegna, Martina Gresia, Lorenzo Izzo, Nile Senatore. Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari, direttore Sesto Quatrini. Coro del Teatro Municipale di Piacenza, Maestro del Coro Corrado Casati. Prod. Festival della Valle D’Itria, Martinafranca (Ta). FESTIVAL DELLA VALLE D’ITRIA, MARTINA FRANCA (Ta). Protagonisti dell’opera Il matrimonio segreto, capolavoro di Domenico Cimarosa, opera fra le più rappresentative del nostro Settecento musicale, sono Paolino e Carolina, figlia di Don Geronio, sposati in segreto, e che, fra ansie ed espedienti, si amano senza potersi appartenere fino all’atteso lieto fine. Attualizzando l’opera in modo giocoso e convincente, Pier Luigi Pizzi riesce a rendere tutto l’inganno degli affetti in modo naturale e mai parodistico: si ride spesso e di gusto, attraverso un gioco teatrale sempre frizzante e coerente. La casa di Don Geronio, dove si svolge la vicenda, è uno spazio aperto dalle cui porte entrano ed escono tutti i personaggi. Le molte opere di Burri e Fontana e i mobili di raffinato design che la corredano ci suggeriscono che il padrone di casa Geronio sia un mercante d’arte, alle cui dipendenze lavora Paolino, sposo segreto della figlia Carolina, che fa il suo ingresso in slip dopo una doccia rinfrescante. Una bella edizione, dunque, composta tutta da giovani, convincenti interpreti. Michele Spotti imprime all’orchestra un ritmo fluidamente sostenuto e coinvolgente. Una delle perle del Festival è stata un’opera di rarissima esecuzione, Ecuba, tragedia per musica in tre atti del compositore napoletano Nicola Antonio Manfroce, morto a soli ventidue anni nel 1813. Opera discontinua, Ecuba è colma di molti momenti di grande effetto, dove la musica diventa emotivamente protagonista, come nel bellissimo finale, che vede la furia autodistruttiva di Ecuba, davanti alla sua città in fiamme. Ecuba, per non cedere ai ricatti del marito Priamo che vuole fare pace con i nemici Achei, si vendica di Achille, che le ha appena ucciso il figlio Ettore, facendolo abbattere dalle sue guardie. La scena, costruita dal regista Pier Luigi Pizzi, è composta da tre grandi cubi bianchi. Ai lati due gradinate dove è posto il coro, gli uomini a sinistra e le donne a destra, agghindati in modo generico come sacerdoti. Al centro domina una specie di altare dove all’inizio, con ottima scelta visiva e teatrale che richiama il Cristo di Holbein, viene posto il corpo di Ettore, ai cui piedi verrà simbolicamente ucciso Achille. Tutte le azioni sono rese con semplicità, senza particolari invenzioni, lasciando gli interpreti liberi di muoversi spesso in maniera casuale e dando rilievo al canto. Sesto Quatrini, che ha sostituito in corsa il direttore Fabio Luisi alla guida dell’orchestra del Petruzzelli di Bari, d’accordo con Pizzi, racchiude l’opera in un atto solo, dando giusto piglio a tutta l’orchestra, coadiuvato da una grande Carmela Remigio che dà smalto e spessore tragico alla regina di Troia. Mario Bianchi

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