Con la pelle ascolto di Cristina Mosca

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Forsythia narrativa


Illustrazione in copertina di Luca Verduchi ©

2018 Ianieri Edizioni Srls Via L. Da Vinci, 16 - 65124 Pescara Tel. 085.2192404 www.ianieriedizioni.it - info@ianieriedizioni.it

Questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistiti è puramente casuale. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro, senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. ISBN: 978-88-94890-32-7


Cristina Mosca

Con la pelle ascolto

Ianieri Edizioni narrativa



C’è il silenzio di un grande odio e il silenzio di un grande amore Edgar Lee Masters



A tutti i bambini non nati, a quelli che nasceranno



I

La cosa più difficile è centrare l’obiettivo. Sopra, sotto, un po’ a destra, un po’ a sinistra. Ecco. Alma fa scivolare il bastoncino del test di gravidanza sul ripiano verde chiaro del bidet, avendo cura di lasciare le finestrelle rivolte verso l’alto. Adesso deve solo aspettare.

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II

«Scendi... Sali... Più a destra... Più a sinistra... Ecco! Ingrandisci.» Nudi, Marco ed Elena sono distesi a letto, tra le lenzuola arrotolate e i cuscini scomposti. L’iPad poggia sulle gambe di lei, mentre lui le mostra come individuare su Google Maps il B&B, dove hanno intenzione di passare le vacanze. Poco prima erano così entusiasti di quello scorcio di mare che, parlandone, si sono riscaldati e amati. Ora, esaurito l’impulso, tornano a definire i dettagli dell’alloggio. Del B&B piace loro il nome e, guardando le immagini satellitari, anche la posizione. Sono su di giri per questa vacanza. Marco è galvanizzato già solo per il fatto che la stiano progettando insieme, perché sembrano essere d’accordo su ogni particolare senza neanche parlare. Vorrebbe sentirselo raccontare sempre, che lui ed Elena sono fatti l’uno per l’altra. Vorrebbe un’esclusività che parlasse solo di lui e di lei, senza alcun compromesso. Vorrebbe possederla interamente e renderla simile a lui, anche se per farlo ha bisogno di penetrare i suoi pensieri, apprenderne le reazioni, forzare i meccanismi psicologici. Elena, prima di incontrare Marco, amava dare un nome alle cose: lo trovava necessario per conoscerle, farle sue. Diventarne padrona, come il bambino quando ottiene il potere imparando a dire “mamma” e “papà”. Nella sua mente assegnava ruoli, definizioni, categorie; metteva in ordine ogni cosa in un immaginario catalogo che solo lei era autorizzata a consultare. 13


Quando Marco ancora non c’era, Elena diceva spesso “mio”. Presentava agli altri il suo amico e lasciava i compiti alla sua collaboratrice, senza usare un nome e un cognome; cercava i suoi – e non gli – occhiali da sole. Faceva scorte di informazioni, le registrava con piglio e costruiva il suo giudizio, pur sapendo che presto lo avrebbe smontato e rimontato da capo. Aveva fretta di chiudere le sue cose in un cassetto trasparente, in modo da sapere alla perfezione quale posto occupassero nella sua vita. All’inizio della loro frequentazione, Elena restò ipnotizzata per tre ore, seduta su una panchina di pietra, ad ascoltare le teorie di Marco sul mondo, sulle relazioni umane, sulla vita e sulla morte. L’umidità le stringeva le ossa e gli occhi le bruciavano per il freddo, mentre Corso Umberto I si svuotava intorno a loro. Eppure non riusciva a muoversi. Restava lì, con le gambe accavallate, ad attingere sicurezza dall’affascinante fonte di assiomi e idee in piedi davanti a lei. Dai brividi, le sembrava che Marco affidasse alla sua pelle i segreti delle dinamiche del mondo e che loro scivolassero come acqua di montagna tra le sue mani unite a conca. Da quella sera freddissima, Elena è come una lavagna vuota che, per lo stupore della logica delle formule matematiche, s’innamora delle dita che tengono il gesso. «Peccato non aver trovato un prezzo migliore per l’altro posto. Hai visto che piscina riscaldata?» dice, accoccolata sulla spalla di Marco che con l’indice fa scorrere le recensioni sull’iPad. «Vero, tenteremo la prossima volta. Iniziamo a mettere da parte i soldi, ok?» risponde Marco, incoraggiante, prima di baciarla sulla nuca. «Vicino c’è anche il bosco delle fate e in alcuni periodi dell’anno organizzano le rievocazioni. Dev’essere bellissi14


mo, dobbiamo scoprire quando e andarci! Giorgio dice che le fatine scendono pure dall’alto, le appendono sui rami. Pensa che alcune di loro sono delle bambine vere! Immagina la paura.» Si fa spazio un piccolo silenzio, il tempo per Marco di pesare il tono in modalità neutra. «Che c’entra Giorgio?» Un altro spazio. «Vi siete sentiti?» Il silenzio adesso occupa un posto intero fra lui e lei. Giorgio è il ragazzo che Elena ha amato alcuni anni fa. Per Marco è solo un rappresentante del mondo della sregolatezza che con la vita di Elena non ha più nulla a che spartire. Ne è lontano anni luce. Per Elena, Giorgio è un frammento del suo modo di essere a cui non vuole rinunciare. Si sentono ancora, anche se raramente, ma con piacere e divertimento. Giorgio è il tocco di leggerezza che alcune volte le allevia quegli strani pesi al centro del petto. E Marco non sopporta l’ipotesi che qualcun altro riesca a toccarla in posti dell’anima che lui non sa come raggiungere. «No, non l’ho sentito. Non di recente almeno» risponde Elena, cercando di controllare la voce che non deve spezzarsi, non deve tremare, non deve tradire soggezione. «Me l’ha raccontato una volta, non ricordo nemmeno quando, e mi è rimasto impresso...» «E tu vorresti portarmi in un posto che ti ricorda il tuo ex?» «No, amore. Non ci siamo mai stati insieme. Me l’ha raccontato perché l’ha scoperto con il lavoro. Sta ancora in quell’associazione che organizza le gite in montagna, l’ha...» «Non è che ci sei andata una di quelle domeniche in cui non ci sono stato?» la interrompe Marco. 15


Elena deve mantenere il controllo, restare tranquilla e non mostrare crepe. Altrimenti la sua indagine finirebbe per trovare inganni che non ci sono. «Ma che dici! Non mi ricordo neanche quand’è stata l’ultima volta che l’ho visto. Ho messo un like a una foto su Facebook e mi ha scritto in chat che quel posto mi sarebbe piaciuto.» «Voglio vedere la chat, voglio sapere come vi siete parlati.» Elena trattiene il fiato. Quella con Giorgio è stata una conversazione normalissima, forse addirittura tenera nella sua semplicità. Ma le fa mancare il respiro l’idea di dover aprire a Marco la porta di una piccola stanza in cui non è stato invitato. Adesso il silenzio occupa l’intero posto accanto a lei. Marco si è alzato dal letto con il viso scuro, per infilarsi sotto la doccia. Appoggiata sulla testata di pelle, Elena è semisdraiata, le mani strette alle lenzuola come fosse sul punto di sprofondare nel vuoto lasciato da lui. Sa che torneranno sull’argomento e che, se vorrà la pace, dovrà mostrargli quelle parole innocenti, senza colpa. Ma solo sue.

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III

Alma ha fatto irruzione nella sua vita senza paura delle conseguenze. Pur non avendo mai terminato di comporre il suo personale puzzle di certezze e posizioni insincere, ne ha iniziato un altro con lui. Per nascondersi, poi, ha alzato polvere di simpatia e disincanto. Ma il potere dell’attrazione vince su quello della gravità: non appena la polvere si è posata in terra, i loro sguardi si sono calamitati con uno schiocco e hanno costretto le labbra a muovere frasi ironiche di malcelato desiderio. Il silenzio avrebbe disperso il battito del loro cuore; avrebbe fatto evaporare quello che avrebbero voluto dirsi davvero perché il solo pronunciarlo li avrebbe fatti coincidere; perciò hanno finito per riempirlo a tutti i costi, questo silenzio nemico del controllo, costruendo discorsi con poco senso. O pieni di significato. «Sei inarrivabile, Alma. Quale numero sono io?» «Niente fila per chi passa dal retro.» E dal retro lui ci è passato per davvero, quasi per caso, scardinando una barriera arrugginita fatta di metafore e di vergogne. È arrivato in questo modo nella mente di Alma, senza quasi che lei se ne accorgesse, eppure senza farla sentire in pericolo, assediata. Si è accomodato e non ne è più uscito. E lei se l’è trovato seduto in ogni suo pensiero senza averlo programmato. Alma definisce chimica questo effetto boomerang che 17


parte dal suo diaframma, le attraversa gli occhi e va a colpire il posto più segreto della persona che ha davanti, per poi rimbalzare indietro e accelerarle il battito. Come un raggio che colpisce un punto doloroso innescando una serie di ricordi, aspettative ed energie da cui si lascia sopraffare. Altre volte invece è semplice fascinazione: funziona come un labirinto in cui più ci si addentra, meno ci si ritrova. Anche allora, per il breve istante in cui l’aria tra lei e lui si è fatta elettrica, Alma si è domandata come chiamare quell’emozione impellente. Ma subito si è arresa. Ci sono tante cose da nascondere, in dodici anni di differenza. Schemi da rompere e pregiudizi da non ascoltare. Meraviglie, croci, qualche disperazione. Ci si sente un animale che resiste alla natura, quando si è innamorate di un ragazzo molto più giovane. La condivisione incondizionata di sincerità, avventura, pazienza; della voglia perenne di fermarsi o di perennemente ripartire: fa tutto parte della stessa, grande scommessa. Che mette paura. Non si irrompe nella vita di qualcuno mentre si è ancora impegnati a stringere quel filo sottile che mantiene insieme il proprio mosaico personale. Le parole rendono amanti solo se, quando finiscono, cedono spazio ai gesti. Stanotte Alma lo ha sognato e si è svegliata di soprassalto alle tre. Nella mente ha ancora immagini fumose e danzanti. Lui nella sua compostezza silente, lui con un sorriso abbozzato, lui di profilo o in azione. Infine, lui che la fissa come fosse un foglio bianco pronto per essere disegnato. Un piano sequenza talmente lungo da costringerla ad aprire gli occhi, per chiedere al buio di liberarla. Il vuoto fisico che ha provato lì, in corrispondenza del centro dello stomaco, non si è dissolto con il venire del giorno. Alma si gira e rigira nel letto anche stamattina e segue l’orologio con l’ansia di chi guarda la sacca ricolma di 18


una flebo. L’immagine di lui le batte in testa: santo, salvatore e diavolo. Le fantasie e i pudori lottano nella luce dell’alba, si inseguono in dissolvenza, poi si ritrovano all’incrocio tra un sogno e un’allucinazione, scavalcano anche l’ultimo vorrei. Alma non sa più da quanti giorni tenta di riprendere la sua strada, perché non vuole restare intrappolata nello schema di una convenzione che inibisca i rapporti. Com’è arrivata fin qui? Ama profondamente il modo in cui lui afferra la vita e ogni cosa gli appare possibile. Dalla sua età lontana ha saputo parlare con gentilezza alla ragazza che è ancora dentro di lei. L’ha tenuta sveglia, incuriosita e le ha posto domande. Ha anche lasciato qualche sogno a sgocciolare nel portaombrelli, distrattamente, perché lui ne ha a quintali e li dimentica in giro. Il loro amore vorrebbe essere un semplice tenersi allacciati per un dito, come quando si fa la pace. Il mondo però è in imbarazzo di fronte ai dodici anni che li separano. Il mondo che stenta a capire si è insinuato nella mente di lei e ne ha arrestato lo slancio. Il mondo minimizza, crede fatua, temporanea e scandalosa una coppia come questa. I trentacinque anni di Alma sono troppi, hanno obiettivi e parametri diversi da chi si sente immortale; si muovono su altri ordini di grandezza. Per lui la neve è un evviva, per lei un problema di traffico; lui ama riposare, lei conta le ore di luce. Eppure, quando uniscono gli occhi, imparano colori nuovi e sfumature che non hanno mai visto prima e che da soli non vedranno mai più. Alma vorrebbe essere sorda e cieca per non conoscere il giudizio degli altri. Vorrebbe riempirsi solo di quelle nuvole che si accumulavano sulle montagne lontane, nel paesaggio basso e mite che la accompagnava in vacanza dai nonni. 19


Sorda come nonna Ada, lontana come nonno Alberto; colmabile come i dieci anni di età che li separavano. Allacciata tra le lenzuola e la trapunta leggera, Alma cerca nella memoria il sapore del piatto di pasta al forno della nonna e il miagolio del gatto a cui tirava qualche dispetto. Ma soprattutto la voce del nonno che le chiedeva se andasse bene a scuola, certo della risposta positiva. La voce del nonno quando ancora poteva parlare. Un tumore alla laringe, emerso in fase troppo avanzata, si è portato via prima le sue parole e poi il suo corpo. Al suo mutismo si era aggiunta la sordità della nonna, che ormai comunicava con il marito a gesti; così in casa si sentiva solo il rumore degli oggetti spostati. Il silenzio è arrivato così, come terzo incomodo: un ospite che non è più andato via. Gli angoli della casa oggi sono velati di muffa, la polvere si accumula sui mobili, i fornelli lavorano due giorni a settimana: il resto è solo un pasto rimediato. La solitudine non aiuta la cura. «Non dovresti vivere da sola, nonna» le dice sempre Alma. «Non vivo da sola» si fa capire la nonna. «Ci sono i miei fantasmi.» Dai corridoi vuoti dei nonni, che ricorderà sempre, Alma torna col pensiero alla casa di lui, che invece deve dimenticare. Si figura di nuovo il contatto irrinunciabile, si perde a inventare le mute richieste a cui saprebbe rispondere solo sì. Nella penombra della sua stanza quegli occhi continuano a fissarla come fosse un foglio bianco. Anche oggi ha freddo, un freddo che sa provenire da dentro. Anche oggi l’abbraccio di chi le vuole bene la scalderà e la farà sentire amata; la illuderà di completezza, la distrarrà dalla sua ossessione. Sotto lo scroscio della doccia, la immagina scivolare via dalla sua pelle e sparire nello 20


scarico, tra mille bollicine bianche, profumate al sandalo. Il cuore è chiuso male, lasciato a intercettare senza volontà gli spifferi, i profumi, l’aria spostata da un gesto semplice come quello di alzare una mano. Il cuore batte a sorpresa, assordante, finché un silenzio improvviso non arriva ad attirare l’attenzione. Ma – lei lo sa – ogni cosa passa.

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