Con la collaborazione di Ale Giorgini, della Scuola Internazionale di Comics di Padova e di Valentina Mosè Intermediazione e rappresentanza Agenzia Letteraria Edelweiss Illustrazioni: Copertina: Fiorindo Ricci Disegni interni: allievi della Scuola Internazionale di Comics di Padova del corso di illustrazione a cura di Ale Giorgini ©
2017 Ianieri Edizioni Via E. De Amicis 1/5 - 65123 Pescara Tel. 085.4058245 - Fax 085.8962159 www.ianieriedizioni.it - info@ianieriedizioni.it
Prima ristampa ottobre 2017
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. ISBN: 978-88-88302-73-7
Prefazione di Darwin Pastorin Postfazione di Valerio Nardoni
Ianieri Edizioni
Ci sono due specie di critiche, l’una che s’ingegna più di scorgere i difetti, l’altra di rivelar le bellezze. A me piace più la seconda che nasce da amore, e vuol destare amore che è padre dell’arte; mentre l’altra mi pare che somigli a superbia, e sotto colore di cercare la verità distrugge tutto, e lascia l’anima sterile. Luigi Settembrini
Trovo che la televisione sia molto educativa. Ogni volta che qualcuno l’accende, vado in un’altra stanza a leggere un libro. Groucho Marx
Prefazione di Darwin Pastorin
La nostra vita è attraversata dai romanzi. Leggere, per molti di noi, significa resistere, sognare, è un antidoto alla malinconia, conforto, consolazione. Il libro è entrato nella mia esistenza attraverso la voce di mia madre che, a San Paolo del Brasile, mi leggeva Monteiro Lobato in portoghese ed Emilio Salgari, il «padre degli eroi», in italiano. Il primo volume letto da solo fu Le avventure di Tom Sawyer di Mark Twain e, pagina dopo pagina, diventavo io Tom e Huck Finn era il mio amico immaginario, che mai e poi mai mi avrebbe tradito. Mi addormentavo, da bambino, pensando di fare gol con la maglia della Juventus oppure di navigare lungo il Mississippi, perdutamente innamorato di Becky Thatcher. Da quel momento in avanti, da quella folgorante lettura, i libri hanno cominciato ad abitare non solo nelle librerie delle mie varie case, ma dentro di me. Nel mio profondo. Posso restare senza tivù, senza cena, senza carnevale ma non senza un romanzo, un saggio, una raccolta di poesie. Ho avuto la fortuna di conoscere molti scrittori, di apprezzare il loro “essere” oltre le loro opere. Il mio ricordo e il mio ringraziamento vanno a chi non c’è più: Giovanni Arpino, mio maestro di letteratura, ho appreso molto anche dai suoi silenzi quando andavo a trovarlo nella sua casa torinese al quartiere Crocetta, Osvaldo Soriano, Mario Soldati, Ugo Riccarelli, Antonio Tabucchi, Jorge Amado e il profes-
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sor Stefano Jacomuzzi che, ai tempi dell’università, facoltà di Lettere, mi consegnò la conoscenza di Guido Gozzano, il poeta crepuscolare delle «cose che potevano essere e non sono state». Un dono importante è questo volume che avete tra le mani. Maneggiatelo con cura e conservatelo come un bene prezioso. Parla di libri, della passione per i libri, della passione travolgente per i libri. A scriverlo è un intellettuale senza boria, un lettore senza pace, un divoratore di pagine. Ci racconta, con esemplare sintesi, i testi che hanno segnato il suo cammino letterario-esistenziale. E, alla fine, di ogni narrazione ci indica dove “vedere” quel libro al cinema o alla televisione. Ciak, si legge. Capolavori senza tempo raccontati a chi ha poco tempo rappresenta uno straordinario invito alla lettura. Pontuale coglie il senso di una storia con sapienza, con leggerezza, a volte con furore: e ci porta a correre in libreria o in biblioteca per prenderlo, quel volume. E farlo nostro, come un fratello ritrovato. Condivido tutte le sue scelte, sono anche le mie. A cominciare dal primo titolo, Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway: mio figlio si chiama Santiago per il «magro e scarno» pescatore. E, proseguendo, ecco i miei amati Stevenson e Fenoglio, Conrad e Svevo, Camus e Salinger. E l’immenso Cesare Pavese della Luna e i falò. Con quella frase che per me è un manifesto della nostra comune saudade: «Un paese ci vuole, non fosse altro per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta lì ad aspettarti».
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Leggere avvera i desideri e amplifica i sogni
Credo che la lettura sia epidemica, che non vi siano vaccini con cui curarla e credo, anzi spero, che nessuna casa farmaceutica ne stia sviluppando uno. La lettura ti investe quando hai l’età che può essere qualunque età, quella in cui si cerca se stessi dentro parole scritte secoli prima da persone che, a ben guardare, la pensano come te. La lettura ti assale alle spalle all’improvviso, quando sbatti contro un vecchio libro sullo scaffale di casa, oppure quando lo scovi in una libreria. La lettura, se ti prende, non ti lascia più; è come uno di quei cani da guardia che mordono al polpaccio e non mollano la presa. Iniziando a leggere, però, si diventa avidi, la sana cupidigia di chi, riga dopo riga, pagina dopo pagina, parola dopo parola riempie di libri i ripiani della propria mente. Finché una mattina ti svegli dando del tu a Proust, una pacca sulla spalla a Stevenson, un buongiorno a Joyce, un buffetto a Kafka. Amici di vecchia data con i quali condividi interessi, passioni, gusti, aspettando di ritrovarli in uno di quei pub fumosi, voglioso di scambiarci quattro chiacchiere, offrendogli, magari, una birra. Sei pronto a offrire la bevuta poiché hai un debito con loro, vuoi ricambiare quel che ti hanno trasmesso, l’inestimabile patrimonio ereditato senza diritti e per il quale qualunque avvocato ti trascinerebbe con forza in tribunale. Viceversa nessuno rivendica nulla. Allora incassi impunito
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un bel gruzzolo di storie, personaggi e… classici, soprattutto classici. Puoi solcare gli oceani su un galeone o sprofondare negli abissi della terra; vestirti da ussaro attraversando la steppa o pescare a mani nude un pesce gigantesco. Puoi svegliarti tramutato in insetto o incrociare le spade alla corte di Francia; scivolare sulle nevi a bordo di una slitta trainata da cani o aggirarti per la città seguendo il canto seduttore delle sirene. Puoi far tutto, volare restando a terra e girare il mondo seduto sulla tua poltrona. Scoprirai che i classici sono splendidi, ma saperne di più lo è doppiamente. Scoprirai titoli sconosciuti, autori ignoti, storie inimmaginate e ciò può accadere per sbaglio oppure per suggerimento. Scoprirai che gli amici a cui offrir da bere aumenteranno, bisognerà aggiungere delle sedie e ascoltare nuovi racconti, ma non sarà faticoso, tutt’altro. Scoprirai che leggere avvera i desideri e amplifica i sogni. Scoprirai l’universalità dei classici, la potenza con la quale valicano illesi il buio dei tempi e tu, volendo, potrai essere testimone oculare del più bel piacere degli ultimi millenni. Scoprirai leggendo.
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A chi ha scoperto con i libri la magia di poter imbrogliare il tempo.
A chi ha scoperto con la lettura un modo per ascoltare nuove storie.
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Ernest Hemingway (Oak Park, Illinois, 1899 - Sun Valley, Idaho, 1961) Romanziere tra i più celebri del Novecento, tema ricorrente di tutta la sua opera è la sfida alla morte, carattere distintivo anche di un percorso di vita singolare, conclusosi con il suicidio. In posizione polemica contro ogni abbandono emotivo, con i suoi laconici dialoghi e il tono verbale sempre un po’ al disotto della situazione, volontariamente implicante più di quanto non dica (understatement), Hemingway inaugurò quella narrativa sconcertante (hard-boiled) che ha avuto tanti seguaci e imitatori. Autore del più importante romanzo sulla Prima guerra mondiale, Addio alle armi (1929), tra le sue opere principali occorre citare anche Per chi suona la campana (1940) e Il vecchio e il mare (1952), vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1954.
Il dolore non deve avere importanza per un uomo.
Dalla carta alla pellicola… Titolo: Il vecchio e il mare Anno: 1958 Durata: 86 minuti Colore: Colore Paese di produzione: Usa Regia: John Sturges Interpreti: Spencer Tracy, Harry Bellaver, Felipe Pazos
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Il vecchio e il mare
«Era un vecchio che pescava solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva pesce». Il nome di quel vecchio: Santiago. Il titolo del libro: Il vecchio e il mare. L’autore, superfluo dirlo, Ernest Hemingway. Romanzo uscito su «Life» nel 1952, premiato con il Pulitzer, anticipazione per il Nobel del 1954. La trama è semplice, per metà riassunta nell’incipit. Caraibi, fine anni Trenta. Il vecchio Santiago ormeggia per l’ottantaquattresimo giorno senza aver pescato nulla. Senza famiglia né affetti, vive miseramente in una capanna accanto al porto. Il suo giovane aiutante, Manolin, lo ha lasciato perché costretto dai genitori a far pratica su imbarcazioni più fortunate. Il ragazzo, tuttavia, affezionatosi all’anziano, lo accudisce trascorrendo giornate a parlare di baseball e pesca. All’alba dell’ottantacinquesimo giorno il vecchio prende il mare in solitudine: alza la vela, giunge a largo, getta in profondità le esche e attende. Qui comincia l’essenza del libro. Hemingway descrive così Santiago: Magro e scarno, aveva rughe profonde alla nuca. Sulle guance aveva le chiazze del cancro della pelle provocato dai riflessi del sole sul mare tropicale e le mani avevano cicatrici profonde. Lo immaginiamo, allora, sperso sulla spianata blu a bordo di una barchetta, con le esche penzolanti nell’oceano, acce14
cato dall’alba e parlottante con se stesso. D’improvviso uno strattone, un altro, poi un terzo, il più violento, quello decisivo. Qualcosa nel buio degli abissi sembra abbia abboccato. Santiago afferra la fune provando a far emergere la preda; impossibile, il peso dell’animale risulta eccessivo. Non demorde. Da pescatore esperto attende, asseconda i movimenti del pesce, non tende il filo per non spezzarlo. Il pesce braccato nuota negli abissi trainando la barca distante dalla costa, mentre il vecchio resta con le mani strette alla fune. Si incoraggia sotto voce, cambia posizione per non stremarsi, disinfetta i tagli nell’acqua salata, prova a scongiurare i crampi. Cala la notte con i due ancora legati in quello scontro logorante tanto da far mormorare a Santiago: «Da come ha preso l’esca sembra un maschio, non c’è panico nella sua lotta. Chissà se ha un piano o se è disperato come me?». Nonostante le lunghe ore trascorse, i duellanti non si sono mai visti, separati dalle profondità dei mari, poi un pensiero come un lampo: «Al di là di tutta la gente del mondo. Ora siamo legati l’uno all’altro e lo siamo da mezzogiorno e nessuno dei due ha qualcuno ad aiutarlo». È una frase sintomatica, quanto quella pronunciata poco dopo: «Grazie a Dio le prede non sono intelligenti come noi che le uccidiamo, anche se sono più nobili e più capaci». È un attestato di merito, un’ammissione di lealtà verso il rivale. Sebbene la lotta trascinerà fatalmente uno dei due alla morte, non sarà per una questione personale, ma soltanto perché ogni sfida esige un vincitore, lo sanno entrambi: «Tutti uccidono tutti, in un modo o nell’altro». Santiago rimane stretto alla lenza. Centellina la poca acqua restante, esercita una mano paralizzata dai crampi, non molla neppure quando il pesce compie un salto spaventoso. È un gigantesco e possente marlin, un pescespada di oltre cinque metri con striature violacee, che ricade in un tonfo 15
fragoroso. Al terzo giorno di lotta, stremato come un pugile all’ultimo round, il vecchio affonda mortalmente la fiocina nel corpo della bestia, àncora la carcassa alla barca e si affretta a remare verso terra, affinché la scia di sangue non richiami i pescecani. I combattimenti, però, non sono ancora conclusi. Il proseguo è da leggere tutto di un fiato, scoprire la tempra umana nella difficoltà è la maggiore eredità lasciata dallo scrittore statunitense. Restare al fianco del vecchio, farsi rinfrancare dalle sue parole e dalla punta della fiocina sono un modo splendido per consumare le ultime pagine e raccogliere quanto di saggio seminato. Critica e lettori acclamarono immediatamente Il vecchio e il mare; ne furono vendute cinquecentomila copie in sole quarantotto ore e Hollywood ne acquistò i diritti per un film con Spencer Tracy. Con tale successo, difficile restare insoddisfatti, tranne per quel caratteraccio di Hemingway. L’autore mal tollerò i commenti che segnalavano nel romanzo tracce di simbolismo e allegoria, poiché di ritrarre la malvagità della natura a lui non importava, gli interessava, semmai, suscitare emozione dall’azione, catapultare il lettore nel testo. Infatti, a tirare la fune insieme a Santiago, a non allentare la presa, ci siamo anche noi. La scrittura di Hemingway è secca, non sbava mai, resta con i piedi a terra e, nella trama, si attiene al succo delle cose, quasi fosse un verbale. I suoi personaggi si identificano in ciò che fanno, in gesti eseguiti con sapienza e provata capacità. Nelle loro azioni c’è la volontà di essere all’altezza dei compiti proposti, all’altezza di un’esistenza basata sulla realizzazione di queste prove restando in un perfetto equilibrio con il mondo. Se catturano un pescespada, accendono un fuoco, cacciano un leone o vengono rincorsi da un toro, non importa; in loro c’è un preciso comportamento etico, un codice morale da rispettare, un regolamento da non infrangere. 16
Una gara, dunque, un confronto che esige un vincitore e, necessariamente, un vinto. Un vinto che, seppur battuto, merita rispetto nella sconfitta, rispetto per la fatica impiegata nel contrastare il destino. Hemingway, pertanto, misura la virtù umana in relazione al coraggio mostrato nella lotta, non l’esito di questa, perché è una lotta contro la brutalità della vita. Il senso ultimo è, allora, riassunto nella frase forse più celebre del libro: «L’uomo può essere ucciso, ma non sconfitto». Questo è il sicuro punto di partenza e di arrivo. Il vecchio affronta lo scontro come una prova, una partita apparentemente vinta, poi persa, ben sapendo, tuttavia, che né le vittorie né le sconfitte sono assolute. A Hemingway, come uomo, accade lo stesso, cerca la propria consolazione nella sconfitta dei vinti, ben sapendo che ognuno viene piegato da una forza superiore e insindacabile. Una pesante cappa, infatti, grava su ogni suo romanzo, così pesante da diventare angosciosa, stringente, asfissiante. Hemingway, come i suoi personaggi, come Santiago, e in fondo come tutti noi, combatte da solo contro la morte.
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Indice
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Prefazione di Darwin Pastorin Leggere avvera i desideri e amplifica i sogni
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Libro I Libro II Libro III Libro IV Libro V Libro VI Libro VII Libro VIII Libro IX Libro X Libro XI Libro XII Libro XIII Libro XIV Libro XV Libro XVI Libro XVII Libro XVIII Libro IXX Libro XX Libro XXI Libro XXII
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Ciak, si legge di Valerio Nardoni Ringraziamenti Autori delle illustrazioni
Ernest Hemingway – Il vecchio e il mare Emilio Salgari – Le tigri di Mompracem Herman Melville – Moby Dick Cesare Pavese – La luna e i falò George Orwell – 1984 Dino Buzzati – Il deserto dei Tartari Robert Louis Stevenson – L’isola del tesoro Beppe Fenoglio – Una questione privata Charles Bukowski – Factotum Vasco Pratolini – Cronaca familiare Joseph Conrad – La linea d’ombra Italo Svevo – La coscienza di Zeno Jerome Klapka Jerome – Tre uomini in barca Luciano Bianciardi – La vita agra Albert Camus – Lo straniero Mario Rigoni Stern – Il sergente nella neve Gustave Flaubert – Bouvard e Pécuchet Jerome David Salinger – Il giovane Holden Émile Zola – Roma Natalia Ginzburg – Lessico famigliare Lev Tolstoj – Guerra e pace Harper Lee – Il buio oltre la siepe