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Indice
I miti della Creazione • La nascita di Afrodite • Dioniso nato due volte • Il vaso di Pandora • Il “ratto” di Persefone I miti degli Eroi • Orfeo agli Inferi • Dedalo e Icaro o Il labirinto del Minotauro • Le fatiche di Eracle o La cintura delle Amazzoni • Giasone e gli Argonauti Il teatro greco • Il ciclo dell’Orestea Video-presentazione del DigiMITO
in copertina: Raffaello Sanzio, Scuola di Atene (1509-1511). Roma, Musei Vaticani – Stanza della Segnatura.
E-book realizzato dagli studenti delle classi 1^E, 1^G e 1^H dell’IC “De Filis” di Terni.
I miti della Creazione
I miti della Creazione comprendono e Cosmogonici (sulla nascita del Cosmo e dei Pianeti), Teogonici (sulla nascita degli Dei) e Antropogonici (sulla nascita del genere umano). Tali miti sono spesso costruiti secondo l’alternanza di Caos e Ordine. Storicamente, possono essere ricondotti alla nascita delle prime Comunità rette da leggi.
Il Concilio degli Dei Giulio Romano, Sala dei Giganti – Palazzo Tè (Mantova), 1534
La nascita di Afrodite di Agata Troiano 1^H
La Nascita di Afrodite viene raccontata nel poema cosmogonico di Esiodo “Teogonia”. Nel poema, Esiodo, ispirato dalle Muse che gli donano uno scettro d'alloro, simbolo di sapienza e dell'investitura divina del poeta, descrive l’origine del cosmo. Egli narra che al principio dell'universo ci fosse Caos e da lui nacquero Gea, Tartaro ed Eros. Da Gea mediante la partenogenesi (nascita senza fecondazione) nacquero Urano e tutti gli altri elementi, mentre dagli stessi Gea e Urano nacquero i Titani (Oceano, Rea, Mnemosine e Crono), i Ciclopi e i Centimani. Quando Urano, covando odio e rancore, ricacciò tutti i suoi figli nel ventre materno, Gea escogitò un inganno e aiutata dal figlio Crono, che evirò il padre gettandone in mare i genitali, riuscì a ristabilire l'ordine tra le divinità. Dalle gocce di sangue dei genitali nacquero le Erinni, i Giganti e le Ninfe, mentre dalla spuma del mare, che aveva inghiottito i genitali del dio, nacque Afrodite. Successivamente dall’unione di Crono e la sorella Il nome e il culto Rea nacquetro gli dei della seconda generazione, Il nome Afrodite non ha un’origine certa, anche detti olimpici, ma Crono ne mangiò la maggior se per alcuni il nome discenderebbe dal termine parte e fu fermato solo da Zeus che, messo in salvo greco afros (spuma), per via della nascita della in giovane età da Rea, riuscì a spodestarlo. Ottenne Dea dalla spuma del mare, come narrato nella così il dominio sul mondo e fece vomitare al padre Tegonia di Esiodo. tutti i fratelli. Afrodite è nota anche con altri nomi: Afrodite è la dea dell’Amore poiché • Filommede (amante del sorriso) poichè è la dea della bellezza e dell’amore; rappresenta l'attrazione delle singole • Citerea per via del suo santuario a parti dell'universo al fine di conservare e Citera; procreare, ed è descritta anche da un Afrodite su • Cipride per la sua gestazione avvenuta Treccani.it altro grande scrittore greco: Omero. nelle acque di Cipro. Nella Iliade è descritta come figlia di Zeus e madre di Enea (futuro fondatore di Roma) e difende i troiani. Afrodite nell’Odissea è anche la moglie del A Corinto era famosa lerodulia secondo la Dio Efesto. quale gli schiavi venivano destinati dal padrone In alto: Sandro Botticelli, La nascita di Venere (1482-1485). Firenze, Galleria degli Uffizi. Sfondo: Alessandro di Antiochia, Venere di Milo (130 a.C.) Parigi, Louvre.
in voto diventando “ieroduli”. In questo modo gli schiavi diventavano adepti della dea e ne curavano i templi con i relativi rituali.
Dioniso nato due volte di Alice Sampalmieri 1^H
Dioniso, Dio della vite, del vino, dell’ebrezza e dei sensi era chiamato anche Zagreo dai Greci e Bacco dai Romani. Proteggeva gli umili ed i deboli ed era ispiratore degli indovini e dava anche delirio profetico. Esistono diversi miti sulla sua nascita: uno sostiene che Dioniso era figlio di Persefone e del suo sposo Ade ed appariva come un secondo Zeus e possedeva il doppio volto di adulto barbuto e di fanciullo. Un altro sostiene che era figlio di Semele e di Zeus; e secondo la leggenda più diffusa, Semele fu incenerita per aver voluto, dietro istigazione di Era gelosa, vedere l'amante in tutto il suo fulgore e Dioniso, non ancora nato, rischiò di perire con la madre. Allora Zeus tolse il figlio dal grembo di lei e lo cucì in una sua coscia fino alla nascita ed è per questo che alcuni poeti definiscono Dioniso bimadre o binato cioè “nato due volte”, poi portò il bambino a Nisa, dove le Ninfe lo nutrirono con miele. Inno a Una ulteriore versione vuole Dioniso, ancora bambino, ucciso, fatto a pezzi e divorato dai Titani; Dioniso si salvò tuttavia il cuore dal quale nacque un nuovo Dioniso immortale; per questo fatto i Titani vennero inceneriti da Zeus e dalle loro ceneri ebbe vita il genere umano. Nel corso della sua vita Dioniso incontrò Arianna, abbandonata da Teseo a Nasso, la confortò e la sposò ed ebbe da lei molti figli. Dioniso venne celebrato specialmente di notte con feste selvagge e violente dette orgie la cui principale caratteristica era il raggiungimento dei partecipanti a di stati di eccitazione ed estasi. Altre feste a lui dedicate furono la dionisya, le lenee e le antesterie ed è a queste feste che si fa risalire la nascita della commedia e della tragedia.
L’invenzione del vino Dioniso visse in una grotta ricoperta dai tralci delle viti che crescevano spontanee, educato da Sileno e rallegrato dalla costante compagnia delle Ninfe. Un giorno molto caldo d'estate, si mise a spremere il succo dell’uva in una tazza d'oro e bevve quel liquido rosseggiante e spumoso. Il suo corpo stanco si sentì subito percorso da uno slancio vigoroso. Visto lo straordinario cambiamento, anche le Ninfe, i Satiri e le Ore ne bevvero. E così subito, invasi da un'eccitante ebbrezza, si misero a ballare e a correre nei dintorni. Tuttavia una certa quantità della bevanda misteriosa fu lasciata nei nappi, ignorando che proprio in quella rimanenza si elaborava la seconda fase del miracolo: la fermentazione. Dioniso e gli altri si accorsero così che quanto più si lasciava "riposare" il nettare nel recipiente, tanto più esso risultava gagliardo e ammaliatore. Aveva creato uno splendido dono, una straordinaria bevanda: il vino.
In alto: Caravaggio, Bacco (1596-1597). Firenze, Galleria degli Uffizi.
Il vaso di Pandora di Aylin Andrea Treossi 1^H
Prometeo aveva creato gli uomini impastando argilla ad acqua, ed era un Titano, fratello di Epimeteo, dall’animo generoso e leale. Prometeo, essendo molto vicino agli dei per merito della sua sagacia, si accorse che gli uomini non potevano emanciparsi senza quell’energia preziosa che gli dei conservavano e custodivano gelosamente nelle fucine di Efesto: il fuoco. Con uno stratagemma riuscì a rubare e nascondere L’inganno del vaso un tizzone ardente all’interno di un grosso di Flavio Martinelli 1^H finocchio, e giunto tra gli uomini creò il primo falò nello stupore generale. Prometeo spiegò agli Senza indugio, Efesto plasmò dalla terra uomini che il fuoco era fondamentale per la vita e una creatura simile a una vereconda fanciulla. […] Le infuse infine la parola, e il lavoro, per cuocere il cibo e per forgiare i metalli, la chiamò Pandora, in quanto tutti gli e gli uomini iniziarono la fase del progresso. abitatori dell'Olimpo le avevano elargito i Zeus, adirato per il furto di Prometeo, lo fece propri doni. […] Meraviglia prese gli legare ad una rupe dove un’aquila divina gli rodeva immortali e i mortali, quando videro il il fegato durante la notte, fegato che si rigenerava fatale inganno, senza rimedio per gli durante il giorno, in una tortura infinita. Prometeo esseri umani. era riuscito però ad avvertire il fratello di non Subito Zeus ordinò ad Hermes di condurre Pandora da Epimeteo. accettare nessun dono da parte di Zeus e degli dei Sedotto dalle grazie della fanciulla, il in generale. malaccorto titano dimenticò la Infatti Zeus aveva deciso di vendicarsi di tutti gli raccomandazione che a suo tempo gli uomini, creando e donando la prima donna, aveva fatto suo fratello Prometeo. […] Al Pandora, proprio ad Epimeteo, per premiarlo della contrario, Epimeteo prese in sposa sua onestà. Pandora, e troppo tardi si avvide del proprio errore. Togliendo il grande Gli dei, oltre Pandora, affidarono ad Epimeteo un coperchio al vaso che aveva con sé, vaso dal contenuto preziosissimo e segreto, che Pandora disperse sulla terra tutti i mali non andava aperto per nessun motivo. che esso conteneva. […] Sul fondo di quell'orcio infrangibile
Pandora Il suo nome deriva da due parole greche: Pan = Tutto, Dora = Dono. Il dono di tutti, Pandora. Dal matrimonio con Epimeteo nacque una bambina, Pirra, che diventerà in futuro moglie di Deucalione, un cugino figlio del titano Prometeo e di Climene. Saranno poi loro a ripopolare il mondo degli uomini, dopo che Zeus deciderà di eliminare tutti gli uomini, affogandoli sotto il Grande Diluvio. In alcune varianti del mito, il misterioso vaso era già in possesso di Epimeteo, che lo aveva nascosto dopo averlo ricevuto dal fratello: Prometeo vi aveva rinchiuso tutti i mali che avrebbero tormentato l'uomo. In altre, sarebbe stato Epimeteo ad aprire il vaso che custodiva segretamente in casa perché fu contagiato dalla curiosità della moglie.
rimase, da sola, Elpis, la speranza, e non poté volar fuori perché Pandora riuscì a rimettere il coperchio sul vaso, per volere di Zeus egioco. Invece, le altre sciagure, in numero infinito, si aggirano in mezzo ai mortali, riempiendo la terra e il mare. […] Non è assolutamente possibile sfuggire al disegno di Zeus. Testo adattato da:
Esiodo, Le Opere e i Giorni (VIII sec. a.C.), vv. 42-105.
Sfondo: John William Waterhouse, Pandora (1896). Collezione privata.
Il “ratto” di Persefone di Federico Frezza 1^E
Il mito di Persefone narra di Ade che, invidioso degli altri Dei, poiché Ade viveva sotto terra al buio e al freddo, un giorno salì sulla Terra e scorse Persefone. Ade si innamorò di lei e così, visto che di certo Demetra, la madre, gli avrebbe negato il matrimonio, decise di rapirla e di portarla agli Inferi.
Persefone Antichissima divinità della Terra e dell’aldilà, Persefone viene rapita da Ade e in seguito restituita a Demetra, la Madre Terra. Essa simboleggia il mistero della vita e della natura che rifiorisce dopo la stagione invernale nel rigoglio della primavera e dell’estate Persefone, Perifone, Perrefassa, Proserpina: questi sono solo alcuni dei nomi con cui i Greci e i Romani chiamano una antichissima divinità legata al mondo rurale e all’oltretomba.
A sinistra: Dante Gabriel Rossetti, Persefone (1874). Londra, Tate Britain. Sfondo: Gian Lorenzo Bernini, Ratto di Proserpina (16211622). Roma, Galleria Borghese.
Ade Tra gli antichi Greci, nome del dio regnante sulle regioni dell’oltretomba. Figlio di Crono e di Rea, fratello di Zeus e di Posidone, partecipò con loro alla lotta contro i Titani e, dopo la vittoria e l’instaurazione del nuovo ordine di Zeus, ebbe in sorte il regno sotterraneo; tutore supremo dell’ordine della morte, è l’espressione diretta della sua ineluttabilità: in Omero è l’«implacabile», l’«indomabile», e come tale il «più odioso» tra gli dei. Detestato dagli dei e temuto dagli uomini, riceve tuttavia il culto come dio che, dimorando sotto terra, può beneficare i vivi favorendo la vegetazione ed elargendo agli uomini i preziosi metalli che la terra nasconde (come tale è chiamato Plutone, cioè dispensatore della ricchezza), oltre che accogliendo presso di sé i morti. Nell’arte antica è raffigurato simile a Zeus, ma con caratteri più cupi nel volto, vestito di chitone e di un pesante mantello; suo attributo caratteristico è il cane Cerbero.
I miti degli eroi
I miti degli eroi narrano le avventure di esseri semidivini, spesso ostacolati da Dei con mostri e prove da superare. Strettamente collegati ai miti degli eroi sono quelli Eziologici, che trattano della fondazione di cittĂ e tradizioni che si fanno risalire agli eroi stessi.
Bellerofonte su Pegaso
Giovanni Battista Tiepolo, Palazzo Labia (Venezia), 1746
Orfeo agli Inferi Chi è costui che con suo dolce nota muove l'abisso, e con l'ornata cetra? I' veggo fissa d'Issïon la rota, Sisifo assiso sopra la sua petra e le Belide star con l'urna vota, né più l'acqua di Tantalo s'arretra; e veggo Cerber con tre bocche intento e le Furie aquietate al pio lamento. O regnator di tutte quelle genti ch'hanno perduto la superna luce, al qual discende ciò che gli elementi, ciò che natura sotto 'l ciel produce, udite la cagion de' mie' lamenti. Pietoso amor de' nostri passi è duce: non per Cerber legar fei questa via, ma solamente per la donna mia….
di Mattia Vignaroli 1^E
La storia di Raffaele Famoos 1^H Euridice e Orfeo erano innamorati, ma lei morì per il morso di un serpente, mentre correva tentando di sottrarsi alle attenzioni del pastore Aristeo, fratello di Orfeo. Orfeo intonò canzoni così cariche di disperazione che tutte le ninfe e gli dei ne furono commossi. Gli fu consigliato di scendere nel regno dei morti per tentare di convincere Ade e Persefone a far tornare in vita la sua amata. Ade e Persefone si convinsero a lasciare andare Euridice, a condizione che Orfeo camminasse davanti a lei e non si voltasse a guardarla finché non fossero usciti alla luce del sole. Arrivato finalmente alla luce del sole, Orfeo si voltò per guardare la sua amata; Euridice, però, non era ancora completamente uscita dal regno dei morti e dunque, quando Orfeo posò gli occhi su di lei, svanì in una nuvola d'aria.
Angelo Poliziano, Fabula di Orfeo (1479-1480), vv.181-196.
Il nome di Orfeo è attestato a partire dal VI secolo a.C. Incarna la figura dell’artista per eccellenza, che dell’arte incarna i valori eterni, ma anche capace di incantare animali e di compiere il viaggio dell’anima lungo gli oscuri sentieri della morte. Fondatore dell’Orfismo, secondo le più antiche fonti Orfeo è nativo della città di Lebetra in Tracia. Figlio della Musa Calliope e del sovrano tracio Eagro, la perdita dell’amata Euridice sarebbe da rintracciarsi nella colpa di Orfeo di aver assunto prerogative del dio Apollo di controllo della natura attraverso il canto. Tornato dagli Inferi Orfeo, rinunciando all’amore eterosessuale, si innamora profondamente di Calais, figlio di Borea, e insegna l’amore omosessuale ai Traci. Orfeo avrebbe quindi ripiegato sull’amore per i fanciulli, traviando anche i mariti delle donne di Tracia. Le Menadi si infuriarono dilaniandolo, nutrendosi anche di parte del suo corpo. Si narra che la testa di Orfeo finì nel fiume Ebro, dove continuò prodigiosamente a cantare. Secondo altre versioni, i suoi resti sarebbero stati seppelliti dalle impietosite Muse nella città di Libetra. Leggi il testo completo
Sfondo: Antonio Canova, Orfeo ed Euridice (1775-1776). Venezia, Museo Correr. A sinistra: Peter Paul Rubens, Orfeo libera Euridice dall’Ade (1636-1638). Madrid, Prado.
Dedalo e Icaro di Ludovica Del Pinto e Maria Letizia Giacobini 1^H
Icaro era figlio di Dedalo e di una delle schiave del re Minosse, Naucrate. Dedalo, che viveva a Creta, era un abile fabbro. Era stato lui a progettare il labirinto nel quale Minosse aveva rinchiuso il terribile Minotauro. Ma il mostro venne ucciso da Teseo con l’aiuto della figlia di Minosse, Arianna, che si era innamorata dell’eroe. Il re di Creta accusò Dedalo di essere intervenuto ad aiutare Teseo nella sua impresa e lo rinchiuse insieme al figlio nella parte più alta del palazzo di Cnosso. Per fuggire, Dedalo disse al figlio di arrampicarsi sul soffitto e di raccogliere i favi di un nido di api, e poi di strappare le penne degli uccelli che si trovavano sulle travi a dormire. Dopo aver succhiato il miele dai favi dall’alveare fece sciogliere la cera facendo convogliare i raggi solari su una lente di ingrandimento: con la stessa cera disegnò le sagome di quattro ali. Quando la cera era ancora morbida e malleabile passò ad infilare le penne dei piccioni che Icaro aveva raccolto dal soffitto, infine completò le ali con delle imbracature di cuoio utilizzando la cintura e i sandali. Dedalo e Icaro si arrampicarono sul davanzale dopo aver allacciato le ali sulla schiena. Si lanciarono nel vuoto mentre il cielo era pieno di stelle. Incontenibile fu la gioia dei due quando cominciarono a volteggiare, Icaro non faceva che gridare: “Guarda papà, sto volando!”. Dedalo però raccomandò al figlio di non spingersi troppo in alto e di mantenere la direzione ad ovest. “Se ti avvicini troppo al Sole la cera potrebbe sciogliersi e quindi rischi di precipitare!”, avvisò. Ma Icaro era troppo preso dall’emozione del volo e non aveva neppure ascoltato l’avvertimento del padre. Arrivato verso l’Orsa Maggiore, Icaro non si accorse che il Sole stava spuntando sulla parte orientale. Elios fece sfrecciare i raggi infuocati verso il cielo e colpì una delle ali di Icaro. La cera cominciò a sciogliersi e le penne si staccarono, così che Icaro precipitò rovinosamente al suolo. Il padre Dedalo vide il figlio che cadeva verso il basso Dedalo senza poter fare nulla, cadendo nel mare che dal Dedalo, era nato ad Atene ed era pronipote di Eretteo, re della suo nome si disse Icario. città. Si dedicò alla scultura e all'architettura, ed era abilissimo in ciò che faceva. Piangendo per l’intollerabile Si narra che le sue statue sembravano vive a tal punto da disperazione di aver così raccontare che esse aprivano gli occhi e si muovevano. Fu perduto il figlio, continuò a maestro del nipote Talo, che uccise per gelosia quando questi volare verso la Sicilia. lo superò nella sua arte. L'Areopago allora lo condannò all'esilio perpetuo e Dedalo si rufugiò a Creta, dove fu accolto benevolmente dal re Minosse, In alto: che gli commissionò il Labirinto per rinchiudere il Minotauro. Jacob Peter Gowy (da bozzetto di Rubens), La caduta di Icaro (1636-1638). Madrid, Prado.
La costruzione di un mito Il mito di Dedalo è narrato dalle stesse fonti che tramandano un ciclo più vasto che comprende il ciclo attico e quello creteseminoico dei quali fanno parte i miti di Pasifae (Dedalo inventa la giovenca di legno), del Minotauro, del Labirinto di Cnosso (costruito da Dedalo) e di Teseo (Dedalo consiglia ad Arianna di usare il gomitolo). Il mito si presenta nella tradizione in varie versioni, il primo nucleo del mito risale al VII a.C. con successive manipolazioni fino a Virgilio. In origine la leggenda di Icaro poteva essere estranea a quella di Dedalo. Le fonti del mito sono numerose, oltre a quelle Medievali e Rinascimentali, le principali fonti classiche sono il libro VIII delle Metamorfosi e il libro II dell’Ars amandi di Ovidio e il libro VI dell’Eneide di Virgilio. Emerge come i due miti, in origine, fossero distinti e che poi successivamente il mito di Icaro sia stato inserito in quello più vasto di Dedalo. Il mito di Dedalo sembra essersi creato man mano di narrazione in narrazione. Volendo seguire le fonti, una versione afferma che Dedalo fosse fuggito da Creta con Teseo e non c’è traccia di Icaro. Diodoro Siculo, (Biblioteca storica, libro IV, vv.75-79, 60-30 a.C.) narra di Icaro e Dedalo, che fuggono da Creta, ma non alati, e della morte di Icaro in quel mare che da lui prenderà il nome: Dedalo, quando apprese che Minosse lo minacciava per la fabbricazione della vacca, dicono che spaventato della collera del re salpasse da Creta, e che Pasifae lo aiutasse e gli desse una nave per la partenza. Insieme a lui fuggì il figlio Icaro e approdarono ad un’isola d’alto mare: Icaro sbarcò su di essa in modo temerario, cadde in mare e morì, e da lui fu dato al mare il nome di Icario, e l’isola fu chiamata Icaria.
Nel mito più antico Dedalo era considerato un artefice, una sorta di doppione di Efesto. A lui sarebbero state attribuite tutte le opere più arcaiche che gli antichi conoscevano. Alcuni studiosi ritengono che il primitivo ciclo mitico riguardi Dedalo in rapporto con Creta e con la Sicilia e che il mito attico si sarebbe formato in seguito. Dedalo come artefice su Treccani.it
Sfondo: Canova, Dedalo e Icaro (1779). Venezia, Museo Correr.
Il labirinto del Minotauro Il labirinto del Minotauro narra di un eroe coraggioso che si chiamava Teseo e che voleva cercar di sconfiggere il Minotauro che, ogni nove anni, reclamava in tributo dei fanciulli e delle fanciulle. La vicenda si svolge nell’isola di Creta più precisamente nel palazzo di Cnosso dove c’era un grandissimo labirinto residenza del grande e potente Minotauro.
di Daniele Casinini 1^E
L’antefatto In una splendida mattinata di luglio, nello stadio di Atene gremito di un pubblico fremente di curiosità e di passione per lo svolgimento dei giochi Panatenaici, ben sei volte erano stati levati in alto i colori dell’isola di Creta. Questo voleva dire che la vittoria aveva arriso ad un cretese. E questo cretese era sempre lo stesso: Androgeo figlio di Minosse, re dell’isola incantevole. La folla degli spettatori andava in delirio per tanta bravura, mentre gli atleti ateniesi erano lividi di furore e di rabbia.
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I personaggi Teseo: Eroe-fondatore, come Perseo, Cadmo e Eracle, i quali si batterono tutti, risultandone vincitori, contro avversari che rappresentavano antiche religioni ed istituzioni sociali) Come Eracle fu l'eroe dei Dori, Teseo fu l'eroe fondatore degli Ioni e venne considerato dagli Ateniesi come il loro grande riformatore, padre della patria e della democrazia in Occidente. Minotauro: Mostro dal corpo umano con testa e collo di toro, figlio di Pasifae (moglie di Minosse) e di un toro divino che era stato mandato da Poseidone a Minosse come segno della sua predestinazione celeste al dominio su Creta, contro le pretese di altri competitori. Ora Minosse, invece di sacrificare al dio stesso lo splendido dono, lo sostituì con un toro delle sue mandrie: per punire il re, Poseidone fece infuriare il toro, e ispirò in Pasifae un mostruoso amore per esso. Dall'unione di lei col toro nacque il Minotauro, che Minosse fece rinchiudere nel Labirinto appositamente costruito da Dedalo.
Esercizi on-line
Sfondo: Antonio Canova, Teseo sul Minotauro (1781-1783). Londra, Victoria and Albert Museum.
Le fatiche di Eracle introduzione di Asia Trotti 1^H
Eracle fu il più famoso e più popolare degli eroi greci, oggetto di numerose leggende. Era il figlio di Zeus e di Alcmena, moglie di Anfitrione. Zeus, invaghitosi di lei, la ingannò presentandosi sotto l’aspetto del marito assente. Poco prima della nascita di Eracle, Zeus annunciò agli Dei, riuniti in congresso, che sulla Terra stava per nascere un uomo discendente dal suo sangue, che avrebbe regnato sui discendenti di Perseo. Era, gelosa, fece in modo di ritardare la nascita di Eracle, affrettando invece quella di Euristeo, anch’egli discendente di Zeus. In questo modo Euristeo, secondo la promessa di Zeus, avrebbe avuto il regno di Micene, ed Eracle, sarebbe stato costretto a servirlo. Eracle aveva solo dieci mesi, quando Era per liberarsi di lui, spinse nella sua culla due grandi serpenti. Questa fu la sua prima impresa: si liberò, infatti, dai serpenti strangolandoli. Ci sono due versioni su come Eracle si sottomise ad Euristeo: la prima narra che Eracle fu chiamato da Euristeo e dopo aver consultato l’oracolo da cui ebbe risposta affermativa si sottomise a lui dopo aver ucciso sua moglie e i suoi tre figli sopraffatto dalla rabbia causata dalla risposta affermativa dell’oracolo. La seconda, narra, che Eracle si sottomise a Euristeo spontaneamente perché l’oracolo gli aveva predetto che sarebbe diventato immortale al termine della servitù. Egli quindi sarebbe impazzito ed avrebbe ucciso i suoi familiari dopo aver compiuto le dodici fatiche. Comunque stiano le cose, prima o dopo aver sterminato i suoi, Eracle dovette sottomettersi ad Euristeo per dodici anni e compiere le famose dodici fatiche (una per anno) che erano: • L’uccisione dell'invulnerabile leone di Nemea • L’uccisione dell'immortale Idra di Lerna; • La caccia alla cerva di Cerinea; • La cattura il cinghiale di Erimanto; • La ripulitura in un giorno le stalle di Augia; • La caccia agli uccelli del lago Stinfalo; • La cattura del toro di Creta; • La cattura delle cavalle di Diomede; • La conquista della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni; • la cattura dei buoi di Gerione; • La raccolta dei pomi d'oro del giardino delle Esperidi; • La cattura di Cerbero, il cane guardiano degli Inferi. Le prime sei Fatiche hanno come scenario il Peloponneso, altre due si svolgono in remoti angoli del mondo greco, le restanti quattro in luoghi fantastici tra cui il regno dei morti. Antonio del Pollaiolo, Ercole e Anteo (1475). Firenze, Museo del Bargello.
La cintura delle Amazzoni
di Elisa Rossi 1^H
Euristeo aveva una figlia di nome Admeta, che quando sentì parlare della cintura di Ippolita, la regina delle Amazzoni, se ne invaghì e chiese al padre di averla a tutti i costi. Era un’impresa assurda e Euristeo ordinò ad Eracle di portargli quella cintura che il dio Ares aveva donato a sua figlia. Le Amazzoni abitavano un paese sulle rive del Mar Nero; era un popolo di donne guerriere che uccidevano senza pietà gli uomini che osavano avvicinarsi al loro regno.
I personaggi: Euristeo: Leggendario re di Micene, strettamente legato alle vicende di Eracle. Nipote di Perseo e pronipote di Zeus per parte del padre, Stenelo. Admeta: Figlia di Euristeo, sacerdotessa di Era. Ippolita: Mitica regina delle Amazzoni, figlia di Ares e dell’amazzone Otrere. Esione: Mitica figlia di Laomedonte, re di Troia. Laomedonte: Mitico re di Troia, figlio di Ilo e di Euridice, padre di parecchi figli, fra i quali Priamo ed Esione.
Quando Eracle arrivò nel regno delle Amazzoni, contro ogni previsione fu accolto benignamente da Ippolita che quando seppe il motivo di quel viaggio, promise che avrebbe dato volentieri la sua cintura. Durante la notte però, Era aizzò le Amazzoni dicendo loro che l’eroe voleva rapire la bella regina. Così l'intero popolo di donne si scagliò contro Eracle che, dopo tanto lottare, riuscì a sconfiggerle uccidendo Ippolita, alla quale prese la cintura. In viaggio verso Micene, Ercole accorse in aiuto di Laomedonte, re di Troia, tormentato da un terribile mostro inviato da Poseidone, in collera con il re che non aveva pagato al dio il compenso pattuito per la costruzione delle prodigiose mura di Troia. L’eroe e il re stabilirono allora un accordo: Ercole avrebbe ucciso il mostro e salvato Esione in cambio delle cavalle sacre che Laomedonte aveva ricevuto da Zeus. Alcuni raccontano che arrivò proprio nel momento in cui il mostro stava ingoiando la principessa, la seguì e per salvarla non esitò a farsi a sua volta ingoiare. Rivenne infine alla luce praticando un taglio nella pancia del mostro, uccidendolo e portando in salvo se stesso e la principessa.
Se nascosta in qualche sacca o ruga di questo slabbrato circondario esista una Pentesilea riconoscibile o ricordabile da chi c' è stato, oppure se Pentesilea è solo periferia di se stessa e ha il suo centro in ogni luogo, hai rinunciato a capirlo... fuori da Pentesilea esiste un fuori? Italo Calvino, Le città invisibili (1972).
In basso: Domenico Carella, Ercole che libera Esione dal drago (1776). Martina Franca, Palazzo ducale – sala del mito. Sfondo: Anfora a figure nere con lotta tra Eracle e le Amazzoni (550-525 a.C.). Bologna, Museo Civico Archeologico.
Giasone e gli Argonauti di Simone Ricci 1^E
Regnava nella città di Iolco in Tessaglia il re Atamante. La sua sposa Nefele era morta lasciando due bambini: Elle e Frisso. La nuova sposa di Atamante, Ino, invasa da furore omicida, suggerì al re di sacrificare i bambini a Giove. Allora Nefele, trasformata in una nuvola leggera, mandò ai figli mandò un ariete volante dallo splendido vello d’oro, perché li conducesse in volo nel lontano Oriente. Durante il viaggio si levò una violenta tempesta, che fece precipitare Elle nelle acque sottostanti con un volo vertiginoso. Da quel giorno quel tratto di mare si chiamò Ellesponto. Frisso proseguì il viaggio aggrappato al vello dell'ariete che lo condusse in un paese della Colchide, alla città di Ea. Appena mise piede sulla terraferma, Frisso sacrificò il montone a Giove e regalò il vello d’oro al re di quella città. - Appenderemo il prezioso dono a un robusto albero della foresta - disse il re - Alla sua guardia sarà posto un drago che lo difenderà da ogni tentativo di furto. Leggi l’intero Passarono gli anni. A Iolco ora regnava Pelia, che aveva usurpato il trono al fratello Esone e cacciato il piccolo Giasone, legittimo erede del regno. Ma quando questi arrivò alla città per racconto reclamarne il trono, Pelia richiese il vello d’oro per cedere la città al nipote. Giasone allora fece costruire una nave robusta, e la chiamò Argo dal nome del costruttore. Insieme a lui s’imbarcarono i più famosi eroi di tutta la Grecia, chiamati Argonauti dal nome della nave. Dopo un viaggio ricco di avventure, gettarono le ancore in Colchide, alla città del re Eeta, che li accolse benevolmente insieme alla figlia Medea. Ma quando Giasone chiede al re il permesso di conquistare il vello d’oro egli, sdegnato, oppone delle prove che solo grazie all’aiuto di Medea, innamoratasi dell’eroe, Giasone riesce a superare. Furibondo, Eeta deve concedere infine il permesso di tentare la conquista del vello d’oro. C’è ancora un ostacolo da superare: il drago custode del vello. Medea intona allora un dolcissimo canto, che lo addormenta. A notte alta, gli Argonauti salpano in silenzio, temendo l’ira di Eeta a cui hanno sottratto il vello d’oro e la bellissima figlia che, a fianco dell’eroe, guarda con nostalgia per l’ultima volta la terra natale. Annibale, Agostino e Ludovico Carracci, Le storie di Giasone e Medea (1584). Bologna, Palazzo Fava. In alto: La costruzione della nave Argo. A sinistra: La conquista del vello d’oro.
I membri della ciurma
Medea È uno dei personaggi più celebri della mitologia greca. Il suo nome in greco significa "astuzie, scaltrezze", infatti la si descrive come una maga dotata di poteri grandissimi. Quando Giasone arriva nella Colchide lei se ne innamora perdutamente. Gli Argonauti tornano a Iolco con il Vello d'Oro. Lo zio di Giasone, Pelia, rifiuta tuttavia di concedere il trono al nipote, come aveva promesso in precedenza, in cambio del Vello: Medea allora sfrutta le proprie abilità magiche e con l'inganno si rende protagonista di nuove efferatezze per aiutare l'amato. Convince infatti le figlie di Pelia a somministrare al padre un "pharmakòn", dopo averlo fatto a pezzi e bollito, che lo avrebbe ringiovanito completamente. Le figlie ingenue si lasciano ingannare e provocano così la morte del padre. In alto: Biagio d’Antonio, Scene della storia degli Argonauti (1472-1516). New York, Metropolitan Museum of Art. A destra: Frederick Sandys, Medea (1866-1868). Birmingham, Museum and Art Gallery.
Castore e Polluce: sono due personaggi della mitologia greca e romana, figli gemelli di Zeus e di Leda, conosciuti soprattutto come i Diòscuri, ossia "figli di Zeus", ma anche come Càstori. Orfeo: Figlio della Musa Calliope e del sovrano tracio Eagro, appartiene alla generazione precedente degli eroi che parteciparono alla guerra di Troia. Egli, con la potenza incantatrice della sua lira e del suo canto, placava le bestie feroci e animava le rocce e gli elementi della natura. Eracle: noto in particolare per le "dodici fatiche" . Nessun mortale poteva ucciderlo, ed Ercole decise di darsi la morte da sé, facendosi bruciare vivo su una pira funeraria. Giove, impietosito dalla sorte del suo figlio prediletto, scese dal cielo e lo prese con sé nell'Olimpo, mettendo fine alla sua agonia. Nell’Olimpo sposò Ebe, dea della giovinezza.
Esercizi on-line
Il teatro greco
Il teatro greco porta in scena storie di Dei ed eroi, spesso collegandole alla nascita delle comunitĂ . Le storie sono raccolte in cicli, solitamente di tre tragedie e un dramma satiresco finale.
Teatro greco Epidauro
Ciclo dell’Orestea di Anna Battistini e Vittoria Porcu 1^G
Prima del V sec. a. C. i Greci vivevano la giustizia ad un livello tribale, per cui l’offeso si faceva giustizia da sé, ed era dura far capire ai Greci che la legge è uguale per tutti. Scorreva sangue dentro le famiglie e tra famiglie in conflitto e pochi facevano ricorso all’Aeropago, nato come Tribunale dei delitti di sangue, per arginare il fenomeno del sangue sparso dentro le mura di casa. Ebbene la trilogia dell’Orestea riguarda una catena di sangue che si consuma dentro le mura domestiche degli Atridi, infame famiglia. L’Orestea (in greco antico: Ὀρέστεια, Orésteia) è una trilogia formata dalle tragedie Agamennone, Le Coefore, Le Eumenidi e seguita dal dramma satiresco Proteo, andato perduto, con cui Eschilo vinse nel 458 a.C. le Grandi Dionisie. Delle trilogie di tutto il teatro greco classico, è l’unica che sia sopravvissuta per intero.
Agamennone
Baron Pierre-Narcisse Guérin, Clitennestra esitante prima di uccidere Agamennone addormentato (1817). Parigi, Louvre.
Alla caduta di Troia, Agamennone torna ad Argo. Alla notizia dell'imminente rientro del re, il coro dei vecchi Argivi innalza una preghiera a Zeus e manifesta i suoi cattivi presentimenti: Agamennone ha sacrificato la figlia Ifigenia, prima di partire per Troia. Clitennestra, la moglie di Agamennone, finge di essere felice, ma durante la sua assenza è diventata amante di Egisto cugino di Agamennone, con il quale ha deciso di assassinare il re, per impadronirsi del potere oltre che per liberarsi del marito. Tra i prigionieri di guerra di Agamennone c'è la profetessa Cassandra, figlia di Priamo, che rifiuta gli inviti di Clitennestra a entrare nel palazzo e, invasata dal dio Apollo, prevede davanti ai vecchi Argivi sbigottiti fatti imminenti di sangue e la propria fine. Infatti, quando entrerà nel palazzo, vi troverà la morte insieme ad Agamennone per mano di Clitennestra e di Egisto. Clitennestra ed Egisto difendono il loro gesto come un atto di giustizia, mentre il coro minaccia la vendetta del figlio di Agamennone, Oreste.
Giustizia tribale è stata fatta, ma ora chi vendicherà la morte di Agamennone, vendetta necessaria perché il patriarcato deve vincere sul matriarcato e perché la catena di sangue non si può interrompere? Qualcuno dovrà uccidere Clitennestra. Di qui nascono Le Coefore, portatrici di cibo per i morti, la seconda tragedia della trilogia. Sfondo: Cratere attribuito al Gruppo di Konnakis, Oreste a Delfi (360-340 a.C.). Sankt Petersburg, Hermitage.
Le Coefore Oreste, figlio di Agamennone torna ad Argo, spinto dal dio Apollo, per vendicare la morte del padre. Sulla tomba di Agamennone incontra la sorella, Elettra, furente di desiderio di vendetta contro la madre. L’incontro dei due alla presenza del coro di coefore è toccante e prelude al movimentato scontro tra Oreste e sua madre Clitennestra. Oreste si presenta al palazzo di Argo sotto le spoglie di un viandante. Accolto nel palazzo uccide Egisto, l’amante della madre, e poi, dopo un attimo di esitazione di fronte alle preghiere materne, uccide anche Clitennestra. I due cadaveri appaiono in scena in modo simmetrico all’apparizione dei cadaveri di Agamennone e Cassandra.
Arrivati a questo punto, le Erinni, queste dee vendicatrici dei morti, cominciano ad inseguire Oreste, rendendolo un pazzo in fuga. Oreste chiede quindi aiuto ad Apollo, e siamo entrati nella terza opera, Le Eumenidi. Questi lo esorta a rifugiarsi ad Atene presso il tempio della dea Atena, garante di Giustizia.
Le Eumenidi
Inizia nel tempio di Apollo a Delfi, dove Oreste giace spossato dal cammino e ancora sporco del sangue materno. Gli stanno sempre appresso le Erinni ‘spiriti della vendetta’ della madre, che vogliono punirlo per il suo delitto. Apollo caccia le Erinni e consiglia a Oreste di recarsi ad Atene per cercare William-Adolphe Bouguereau, salvezza nel tempio di Il rimorso di Oreste (1862). Norfolk, Chrysler Museum of Art. Atena. Ad Atene assistiamo ad un vero e proprio processo giudiziario. Atena chiama a giudicare Oreste i migliori 11 cittadini, istituendo così il tribunale dell’Areopago. Apollo difende Oreste affermando che ha fatto il suo dovere vendicando la morte del padre. Le Erinni lo accusano affermando che in nessun caso avrebbe dovuto uccidere la madre. Si vota. Atena vota per ultima e stabilisce che in caso di parità l'imputato sarà assolto. Al termine della conta, la dea emette il verdetto: "Quest'uomo è assolto dalla sua colpa: i voti, per lui e contro di lui, sono pari". Le Erinni vengono placate con l’offerta di un culto in terra attica e si trasformano in Eumenidi, protettrici di Atene. L’età della faida famigliare è terminata, la catena di sangue interrotta. D’ora in poi la giustizia e non la vendetta governeranno gli uomini.
Ascolta un passo dell’Orestea
Esercizi on-line
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IC “De Filis” di Terni. A.s.2016/17. Clicca qui per scaricare l’e-book.