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Executive BRIDGING THE GAP BETWEEN TECHNOLOGY & BUSINESS
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. Maurizio Dècina: Il futuro di Internet . Fare impresa in Italia con il Web: intervista a Marco Corradino, fondatore di Volagratis.com . Ram Charan: L'Execution come fattore critico di successo . Il Digital Marketing di Coca Cola verso il "social"
editoriale
Energia creativa per costruire il futuro dell’Italia di
umberto bertelè presidente advisory board ict4executive
Un tasso di crescita che rimarrà ancora molto ridotto (rinviando nel tempo la riconquista del livello di PIL ante-crisi) e una disoccupazione che presumibilmente crescerà ulteriormente - a causa in primo luogo della (peraltro auspicata) crescita della produttività non bilanciata dalla crescita del PIL - sembrano caratterizzare l’economia reale italiana del 2011 appena iniziato. Due aspetti sicuramente non piacevoli, ma ingannevoli se pensati comuni a tutta l’economia. Perché le differenze ci sono, e forti, fra imprese che crescono e imprese che languono, fra comparti trainati dalla domanda internazionale e comparti depressi dalla domanda interna, fra aree del paese che presentano tassi di crescita europei e aree in ulteriore contrazione. Perché la crisi - a livello italiano come a livello mondiale - ha provocato e sta provocando effetti molto differenziati, che tendono a ridisegnare le posizioni relative, a far emergere nuovi campioni e a ridimensionarne fortemente alcuni di quelli tradizionali. Perché la crisi rappresenta come sempre un momento di rottura degli equilibri e di forte dinamicità, che può e deve essere sfruttato tempestivamente dalle imprese più vitali per conquistare spazi in altri momenti inaccessibili. Non è peraltro solo l’economia reale nel suo complesso a destare preoccupazione, ma anche la tenuta finanziaria del nostro Paese, in un contesto che, come noto, vede ormai da molti mesi sotto pesante attacco ben quattro paesi dell’”area euro”. Pesa negativamente per noi il forte debito accumulato nei decenni passati, ma pesa anche (come accadrebbe nella valutazione di qualsiasi impresa) la bassa crescita: a sua volta difficile da controbattere con cure keynesiane (infrastrutture pubbliche, incentivi agli investimenti e all’innovazione, etc.), per i rigidi vincoli sulla finanza pubblica che siamo obbligati a rispettare. Il pericolo maggiore è che i mercati finanziari internazionali, sempre alla ricerca di nuove occasioni speculative, ci individuino come possibile preda. La speranza, se il controllo della spesa pubblica rimarrà saldo e se l’economia reale riprenderà fiato, è di uscire rapidamente dalla zona di pericolo. Sono peraltro convinto che il maggior rigore, seppure con tutte le sue spiacevolezze, presenti anche delle positività: obbligando molte pubbliche amministrazioni a risagomare i propri budget, a tagliare costi inutili e a ridurre le inefficienze. Quello che ho descritto finora, in linea sia con le previsioni ufficiali del governo sia con quelle delle principali istituzioni di ricerca, è un quadro atteso piuttosto negativo. Ma è un quadro ineludibile o possiamo fare di meglio? Io sono convinto che si possa, purchè le nostre imprese - come spesso accaduto nel passato nelle fasi più critiche - riescano a esprimere al meglio le loro energie creative e purchè il Paese trovi la forza per correggere alcuni dei malfunzionamenti che più impattano sulla funzionalità del sistema: semplificando le leggi e accelerando la soluzione dei contenziosi, innovando l’organizzazione della Pubblica Amministrazione, promuovendo il potenziamento delle infrastrutture fondamentali e aumentando la competizione nei relativi comparti. Sono confidente, anche sulla base di constatazioni concrete, che le imprese si stiano muovendo nella giusta direzione. Vedo maggiori difficoltà in ciò che dovrebbe fare lo Stato: non tanto e non solo per una ragione di soldi, ma per la fortissima resistenza al cambiamento che pervade la componente non competitiva del Paese - sia pubblica sia privata - e per lo scarso interesse dei governi (a prescindere dal loro colore) a gestire ristrutturazioni organizzative defatiganti e poco foriere di risultati visibili nei tempi brevi.
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cover story Il futuro di Internet di Maurizio Dècina
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interviste Advisory Board Umberto Bertelè Presidente Advisory Board Giampio Bracchi Politecnico di Milano Carlo Alberto Carnevale Maffè Università Bocconi Maurizio Dècina Politecnico di Milano Giuliano Noci Politecnico di Milano Andrea Rangone Politecnico di Milano Francesco Sacco Università dell’Insubria - SDA Bocconi Federico Barilli Direttore Assinform Alberto Felice De Toni Presidente Associazione Italiana Ingegneria Gestionale Stefano Pileri Presidente Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici Enzo Bertolini CIO Ferrero Group Nunzio Calì Deputy CIO Fiat Group Automobiles e CIO Fiat Group Purchasing Gianluigi Castelli Executive Vice President ICT ENI Pierluigi Curcuruto COO Intesa Sanpaolo Milo Gusmeroli Vicedirettore Generale Banca Popolare di Sondrio Massimo Milanta Amministratore Delegato UniCredit Global Information Services Alessandro Musumeci Direttore Centrale Sistemi Informativi Ferrovie dello Stato Filippo Passerini President, Global Business Services and CIO Procter & Gamble Mauro Viacava CIO Barilla Holding Pierfilippo Roggero Senior Vice President Southern and Western Europe Fujitsu Technology Solutions Raffaello Balocco Segretario Advisory Board
Volagratis.com, sul web un successo made in Italy
Andrea Rangone intervista Marco Corradino, Fondatore Volagratis e Bravofly
Il Digital Marketing di Coca-Cola per dialogare con i consumatori
Andrea Airoldi, Digital Brand Manager Central & Southern Europe The Coca Cola Company
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management
Come e perchè migliorare l’Execution
Ram Charan, consulente e scrittore
Misurare la complessità per gestire il rischio
Milo Gusmeroli e Sergio Tagni, Banca Popolare di Sondrio
Strategie intelligenti per tempi incerti
Andrea Cravero, EPM Sales Consultant Senior Director Oracle Western Europe
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osservatorio
L’ICT spinge l’innovazione nel settore Finance
di Mariano Corso e Alessandra Luksch
Le sfide strategiche per le banche
di Marco Giorgino
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speciale “green computing”
ICT per un business a basso impatto ambientale
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Cov e r s tory
di
Maurizio Dècina
professore di telecomunicazioni politecnico di milano
il futuro di internet Abbiamo vissuto un decennio di straordinaria accelerazione nell’utilizzo delle tecnologie ICT in ogni campo dell’attività dell’uomo. Lo scenario è in continua evoluzione, con la rivoluzione delle comunicazioni senza fili, nuovi modelli di business, il paradigma emergente del cloud computing. Uno dei più noti esperti italiani disegna i trend che ci attendono nei prossimi anni.
Nel decennio che abbiamo trascorso, dal 2000 al 2010, le tecnologie ICT hanno mostrato un progresso straordinario in termini di diffusione del loro impiego in tutte le attività umane. Citiamo qui alcuni indicatori importanti. Per quanto riguarda la penetrazione delle telecomunicazioni a livello planetario, a fine 2010 ci sono quasi 5 miliardi di utenti di telefonia radiomobile e oltre 2 miliardi di utenti di Internet. Il traffico di trasmissione dati che circola nelle reti mobili, in Internet e nelle reti private è cresciuto del 40% all’anno negli ultimi cinque anni, e raggiunge a fine 2010 la straordinaria cifra di oltre 20 exa-byte al mese (un exa-byte è 10 elevato alla 18 byte, e cioè è un miliardo di miliardi di byte!). Il traffico mobile è destinato a crescere nei prossimi 5 anni con un tasso del 100% all’anno, mentre è il video l’applicazione che consuma più traffico: nel 2010 rappresenta già il 50% del traffico totale in rete e nei prossimi 10 anni raggiungerà valori dell’ordine dell’80% del totale. | 6 |
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Anche la quantità di informazione digitale immagazzinata nelle memorie elettroniche, magnetiche e fotoniche, si accumula in rete con velocità vertiginosa: un recente studio mostra che l’informazione globale memorizzata nei sistemi informativi del pianeta a fine del 2010 è uguale a circa un zetta-byte (un zetta-byte è pari a mille exa-byte!) e cresce del 50% all’anno. In un recente rapporto di Morgan Stanley viene previsto il sorpasso degli accessi mobili a Internet rispetto agli accessi da postazioni fisse, entro quattro anni da oggi, e cioè entro il 2014. Il grafico della Figura 1 mostra che a fine 2009 Internet è popolata da circa 1,3 miliardi di utenti “desk-top” e da circa 700 milioni di utenti mobili. Mentre la crescita degli utenti fissi è limitata dal numero di abitazioni (circa 2 miliardi), l’accesso mobile a Internet tende a raggiungere tra un decennio gli oltre 4 miliardi di abitanti del pianeta che già oggi usano i tele-
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foni cellulari. Una vera e propria “rivoluzione della radio” si infatti è verificata a partire dall’inizio di questo secolo con il fiorire delle tecnologie senza fili (wireless), che si prospettano come pervasive di tutte le attività umane e abilitano in prospettiva la cosiddetta “Internet delle cose”, ove gli oggetti che ci circondano diventano “intelligenti”, grazie alla dotazione di nano-calcolatori, e comunicano in rete via radio. Per quanto riguarda le tecnologie wireless a larga banda di tipo radiomobile cellulare, ci sarà quindi una travolgente crescita nel prossimo decennio, passando dai correnti sistemi di terza generazione (3G) che offrono ormai velocità di trasmissione dell’ordine dei Megabit al secondo (sistemi HSPA, High Speed Packet Access), ai sistemi di quarta generazione (4G – LTE, Long Term Evolution) che permetteranno velocità dell’ordine dei 100 Megabit al secondo. In parallelo allo sviluppo delle comunicazioni wireless, le comunicazioni da postazioni fisse evolvo-
A fine 2009 Internet era popolata da circa 700 milioni di utenti mobili. Tra un decennio si prevede che saranno oltre 4 miliardi, mentre la crescita degli utenti fissi è limitata dal numero di abitazioni, circa 2 miliardi. no verso l’impiego delle fibre ottiche per la realizzazione delle cosiddette reti NGN (Next Generation Networks) che consentono il dispiegamento delle fibre fino a casa degli utenti e il raggiungimento di velocità di trasmissione dati che vanno dai 100 Megabit fino a 1 Gigabit al secondo. I dispositivi portabili per l’accesso a Internet in mobilità, quali iPhone e iPad, hanno aperto nuove strade per la fruizione dei servizi a rete da parte dei consumatori. Questi terminali sono dotati di www.ict4executive.it
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figura 1 - Crescita degli utenti fissi e mobili in Internet Utenti Internet (milioni) 2000 Utenti Internet fissi (desktop)
Fonte: Morgan Stanely 2010
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Utenti Internet mobili
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nuove tecnologie (sensori di movimento – giroscopi; schermo sensibile al contatto - touch screen; ricevitori GPS- Global Positioning System - per il posizionamento geografico) che ne esaltano le capacità di uso e in un certo senso banalizzano la tecnologia stessa per potenziare l’uso delle applicazioni e dei servizi. Nel futuro i dispositivi mobili saranno dotati di sensori capaci di interagire via radio con l’ambiente intelligente circostante, con l’Internet delle cose, e serviranno per accedere ad un vasto menù di servizi di contesto ambientale, quali: pagare parcheggi, ricevere informazioni locali, aprire varchi e porte.Il paradigma vincente tuttavia oggi è quello dell’Apple Store, e cioè di un servizio di distribuzione online di musica, video, applicazioni, ecc., secondo il modello del “Cloud Computing”, del “calcolo nella nuvola” o meglio dei “servizi a nuvola”, offerto da un fornitore di prodotti, di interfacce d’utente: Apple. La catena del valore in Internet È interessante osservare come si articola la catena del valore in Internet ed in particolare come si ripartisce il mercato della Rete tra le imprese e i consumatori. Un recente rapporto di AT Kearney fa riferimento alla classificazione in cinque settori di mercato indicata nella Figura 3, e relativa a: • interfacce d’utente, dispositivi terminali e applicazioni; • connettività, reti di accesso, di transito e core; • servizi di tecnologie abilitanti, housing e hosting, fatturazione, pagamenti, pubblicità; • servizi online, comunicazioni, contenuti, ricerca, intrattenimento, transazioni; | 8 |
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• diritti sui contenuti, posseduti dai media e generati dagli utenti. Con riferimento al fatturato globale dei vari settori dell’anno 2008 per complessivi 1.900 miliardi di US$, la ripartizione dei ricavi è la seguente: servizi online 62%; connettività 17%, interfacce utente 16%, servizi abilitanti 3%, contenuti 2%. Molto importante è la distinzione tra ricavi di tipo globale e ricavi locali, dal punto di vista geografico: la connettività è un mercato locale, mentre tutti gli altri settori sono globali. Si osserva che i diritti sui contenuti comportano ben pochi ricavi su Internet. Molto significativo poi è l’indicatore di redditività degli investimenti nel settore, che in termini di ROCE (Return on Capital Expenditure) si ripartisce così: interfacce utente 25%, servizi online 21%; contenuti 14%. servizi abilitanti 13%, connettività 11%. Gli operatori di servizi online non solo operano su un mercato globale, ma hanno anche una redditività doppia rispetto agli operatori di telecomunicazioni. Inoltre, risulta che il 62% del mercato complessivo di 1.900 miliardi è costituito da ricavi business e il restante 38% da ricavi consumer. I servizi online rappresentano ben l’80% dei ricavi business, contro il 33% dei ricavi consumer. La connettività, invece, vale soltanto il 10% dei ricavi business, contro il 35% dei ricavi consumer. Queste considerazioni fanno capire perché il modello di erogazione dei servizi IT “as a service” del Cloud Computing è molto attraente e perché tutti vogliono diventare erogatori di servizi Cloud: da Apple, agli operatori di telecomunicazioni. Gli operatori di telecomunicazioni offrono in aree geografiche limitate servizi di connettività con margini bassi e in calo e sono schiacciati dagli operatori Over The Top (OTT) che, liberi dal peso
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I servizi a nuvola e la metafora di Internet Google, Amazon, eBay, Apple, sono i pionieri del modello di distribuzione dei servizi a nuvola per i consumatori e per le piccole aziende. Questo modello, da sempre presente in Internet, sta per essere adottato anche dalle imprese, da tutte le imprese, grandi, medie e piccole, ed è destinato a diventare pervasivo nell’arco dei prossimi dieci anni. La Figura 2 mostra schematicamente i tipi di servizi a nuvola offerti dai CSP (Cloud Service Provider). Non si tratta soltanto di offrire online applicazioni e business processes, con pagamento a consumo (Software as a Service, SaaS), ma anche di servizi di middleware, e cioè della fornitura “as a service” degli strumenti di sviluppo delle applicazioni stesse (Platform as a Service, PaaS). E’ ciò che fa Apple fornendo gli strumenti di sviluppo delle applicazioni che vende nel suo Apple Store. Inoltre, il CSP offre come servizio anche le infrastrutture hardware tipiche dei Data Center: server virtualizzati, memorie, e reti (Infrastructure as a Service, IaaS). I fornitori di servizi Cloud sono quindi differenti dagli storici ASP (Application Service Provider) perché offrono anche piattaforme e infrastrutture, oltre che applicazioni, e perché sono costituiti in generale da associazioni di operatori (ciascuno specializzato appunto in hardware, middleware e software) che si presentano unitariamente sul mercato delle imprese. Mentre il modello a nuvola di tipo generale, detto “pubblico”, è immediatamente applicabile alle piccole imprese, le medie e le grandi imprese (le banche ad esempio) possono ricorrere più convenientemente a modelli a nuvola di tipo “privato” e “ibrido”. Nel modello Private Cloud, una grande banca o una federazione di banche centralizzano progressivamente i servizi IaaS, PaaS e SaaS e li offrono a consumo all’interno dell’organizzazione o della federazione. Questo modello mitiga drammaticamente le problematiche di adozione delle forniture Public Cloud da parte delle grandi aziende, relative alla sicurezza e privatezza dei dati, e ai complessi aspetti contrattuali (si pensi soltanto alla natura trans-nazionale dei contratti e alle legislazioni nazionali). Inoltre, la realizzazione del Public Cloud richiede l’adozione di
standard adeguati di interoperabilità e sicurezza informatica per sistemi ICT di grande complessità. Nel modello Hybrid Cloud, l’impresa o la federazione d’imprese si approvvigionano in parte con servizi Private Cloud e in parte con servizi Public Cloud. Il modello di fornitura dei servizi a nuvola è applicabile a tutti, consumatori e imprese, e promette il raggiungimento di due grandi obiettivi: 1) una diminuzione dei costi dell’IT aziendale (hardware, licenze software, personale addetto) con trasformazione dei costi da Capex a Opex; 2) un aumento dell’agilità aziendale, in termini di flessibilità e rapidità di immissione sul mercato di prodotti/servizi innovativi e competitivi. Il Cloud Computing avrà un impatto molto significativo nei prossimi dieci anni sul mercato dei servizi e dei prodotti ICT per le imprese e per le pubbliche amministrazioni. In un recente rapporto, Forrester stima che il mercato mondiale ICT del 2010 sia di circa 2.400 miliardi di US$, di cui la metà va alle telecomunicazioni (70% ai servizi e 30% ai prodotti per gli operatori e per le imprese). L’altra metà va all’IT ed è ripartita in circa 250 miliardi per l’IT Outsourcing e circa 950 miliardi per Servizi IT, Apparati IT e Software. Il Cloud (che nasce nel segmento IT Outsourcing) impatta su oltre il 70% dell’ultimo segmento di mercato per un valore complessivo di oltre 700 miliardi di US$. Gartner stima che il mercato mondiale del Cloud (pubblico e privato) raggiunga i 150 miliardi di US$ nel 2013. Tornando al mondo dei consumatori, che è stato pioniere nell’adozione e nella diffusione dei servizi Cloud. I servizi dei motori di ricerca sono servizi Cloud e Google offre i servizi di e-mail e di telefonia come Cloud, gratis. Anche i Social Network, come Facebook, offrono servizi di tipo Cloud, per le foto, le applicazioni e i documenti. Salesforce.com invece offre servizi Cloud alle piccole e medie imprese e recentemente ha adottato la strategia di coniugazione del Cloud e del Social networking, con l’intento di semplificare i servizi Cloud per le imprese: “al punto di renderli facili da usare come Facebook”. I servizi a nuvola sono quindi una vera e propria metafora di Internet.
figura2 - Tassonomia dei servizi di Cloud Computing tipi di servizi cloud Applicazioni, processi e informazioni offerti “as a service” (Software aaS) forniture di servizi cloud
INTERNET
SaaS
Piattaforme Software offerte “as a service” (Platform aaS) PaaS (Middleware) Infrastrutture offerte “as a service” (Infrastructure aaS) (Server virtualizzati, memorie, reti)
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IaaS
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figura 3 - La catena del valore in Internet
Media • Video • Audio • Books • Gaming • Adult content • Editorial control
Emi Blizzard BBC Harper Collins TimeWarner
Generati dagli utenti • Text, Images/vo • Ice/video/Video
Servizi Online
Servizi Tecnologie Abilitanti
Comunicazioni Vonage - MSN - Skype Hotmail - Facebook
Supporti tecnici
Contenuti generali Yahoo! - FT.com match.com - Wikipedia
NTT/Verio - Akamai Limeleight
Ricerca Google - Ask Bing Intrattenimento YouTube - Xbox Live iTunes - Last.fm Transazioni ebay - Bounsorama Amazon - Expeda.com
Fatturazione e Pagamenti
Reti Transito XO Communications Level3
• Online billing & payments SP
Chase - PayPal Google - First Data
Reti Accesso Singtel AT&T Tiscali NTT RoadRunner Vodafone
Pubblicità • Online adv. Agencies/ Networks • Ratings/analytics
WPP - DoubleClick Nielsen - Razorfish
ICT per l’energia: Smart Grid Il rispetto per l’ambiente è una priorità ineludibile per uno sviluppo sostenibile del pianeta che ha assunto livelli di massima rilevanza nazionali e internazionali. La tecnologia ICT mette a disposizione strumenti che abilitano e affiancano le trasformazioni in atto e quelle attese nei processi di produzione, distribuzione, stoccaggio e utilizzo delle risorse (energia, aria, acqua, ambiente). I temi rilevanti per l’energia del futuro sono: risparmio energetico, riduzione delle emissioni di gas serra, ricorso a fonti di energia rinnovabili e distribuite, erogazione flessibile dell’energia e gestione intelligente dell’energia negli edifici, nei trasporti, nei sistemi industriali. La strategia 20-20-20 approvata dall’EU nel 2008 impegna l’Unione entro il 2020 a raggiungere i seguenti stringenti obiettivi: www.ict4executive.it
Reti Core AT&T BT NTT France Telecom
• Web hosting • Content management • Web deisgn/dev.
di infrastrutture capillari di rete, offrono servizi applicativi online ad alto margine per un mercato globale. D’altro lato i fornitori di prodotti terminali, di interfacce d’utente, si stanno diversificando verso la fornitura di servizi online grazie all’accesso garantito dai terminali stessi e alla fidelizzazione dei clienti. E’ recente la disputa tra Apple e gli operatori radiomobili per l’uso della SIM card virtuale di Gemalto al posto di quella fisica degli operatori. Apple identifica infatti tramite carta di credito i propri clienti di servizi online nonché di servizi di manutenzione dei dispositivi terminali.
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Connettività
Interfaccia utente Applicazioni • Software • Media players • Internet browsers
McAfee Symantec Mozilla Real Dispositivi • PCs • Smart phones • Games consoles • Other Internet Access HW • Operating Systems
Apple - Microsoft Nokia - Dell Nintendo
• riduzione delle emissioni di gas serra del 20%, • aumento dell’efficienza energetica del 20%, • aumento del consumo di energia da fonti rinnovabili del 20%. L’ICT è a sua volta sia un settore industriale soggetto all’applicazione dei requisiti illustrati (Green ICT, ovvero: Green IT e Green Telco), sia uno strumento importante per poter rispettare questi requisiti in tutti gli altri settori industriali, dai trasporti all’agricoltura (ICT for Green). Senza azioni di contrasto (business as usual) la tendenza mondiale è quella di un rilevante aumento dell’emissione di CO2, sia in generale, sia del settore ICT specifico. Le riduzioni dovranno riguardare complessivamente il 40% del valore atteso al 2020 (circa 22 GtCO2e, tonnellate di CO2 equivalenti, su 52). Le riduzioni abilitate dall’ICT negli altri settori sono pari ad un terzo del fabbisogno (circa 8 GtCO2e) e sono 5 volte superiori alle emissioni inerziali del settore ICT nel 2020 (circa 1,4 GtCO2e). I settori dell’energia, degli edifici, dei trasporti e dei sistemi industriali sono responsabili di oltre il 75% delle emissioni di gas serra, e in particolare il settore della distribuzione dell’energia contribuisce per ben il 30% delle emissioni. Le riduzioni abilitate dall’ICT in questi settori sono molto importanti: e si ripartiscono così: • • • •
27% - energia intelligente (Smart Grid), 28% - edifici intelligenti, 28% - trasporti intelligenti (Electric Vehicle), 17% - motori intelligenti.
Fonte: AT Keamey 2010
Diritti sui contenuti
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L’Italia verso la gara per l’assegnazione delle licenze per il Mobile Internet La crescente necessità di elevata capacità del backhaul tra stazioni radio base è un fenomeno che sta caratterizzando lo sviluppo vertiginoso degli accessi HSPA (High Speed Packet Access), sia tramite terminali mobili (quali iPhone e iPad), sia tramite “chiavette” per modem USB applicate ai lap-top. Si prevede infatti che il traffico delle applicazioni dati mobili a larga banda cresca vertiginosamente al ritmo del 100% all’anno nei prossimi cinque anni, mentre si stimano oltre un miliardo di utenti mobili a larga banda alla fine del 2015. Di conseguenza crescono le necessità, sia di banda tra le stazioni base di terza generazione (3G), sia di disponibilità spettrale: un utente HSPA che esegue un download occupa lo spettro radio molto di più di un utente che telefona. Si sta eseguendo una ristrutturazione (refarming) dell’uso delle frequenze per i sistemi GSM e i sistemi 3G, spostando i sistemi 3G sulle bande molto più favorevoli a 900 MHz dei sistemi GSM, e quest’ultimi sui 1.900 MHz oggi occupati dal 3G, proprio al fine di favorire lo sviluppo dell’accesso HSPA. È assolutamente necessario avere a disposizione nuove bande spettrali da dedicare agli accessi mobili
a larga banda, in particolare ai nuovi sistemi di quarta generazione (4G) di tipo LTE (Long Term Evolution). Questi sistemi necessitano di ampie porzioni dello spettro, in prospettiva dai 20 ai 70 MHz per ciascun operatore, ove 20 MHz servono per i primi sistemi LTE che hanno capacità di download di 100 Mbit/s, mentre i 70 MHz serviranno per la generazione successiva dell’LTE (detta LTE-Advanced) che promette fino a un Gigabit/s di download. Per il lancio del nuovo sistema LTE in Europa sono previste due possibili bande, quella che va da 2.500 a 2.690 MHz e che appare tuttavia problematica per le comunicazioni out-door, e quella UHF (Ultra High Frequency) da 790 a 862 MHz (9 canali analogici da 8 MHz ciascuno), che deve essere messa a disposizione dal “dividendo digitale” nella transizione alla televisione digitale terrestre, ed è molto attraente per l’economicità di realizzazione delle infrastrutture 4G. Molti grandi Paesi europei, tra cui Inghilterra, Francia e Germania, hanno avviato le procedure di assegnazione agli operatori wireless delle bande UHF tramite gare competitive, nella prospettiva, sia di stimolare lo sviluppo della larga banda mobile per la crescita del Paese, sia di incassare interessanti introiti per le licenze. Per i 72 MHz citati di banda UHF, in Germania hanno incassato circa 3,4 miliardi di Euro, mentre nella finanziaria italiana di fine 2010 sono previsti incassi pari a 2,4 miliardi di euro, circa 800 milioni di euro per ciascuna delle tre licenze da 20 MHz da assegnare. Nella distribuzione del dividendo digitale (esterno) ai sistemi wireless il nostro Paese ha stentato a procedere perché le bande UHF sono occupate dalle televisioni locali: nella previsione fatta in finanziaria si prevede infatti che il 10% dei 2,4 miliardi di euro incassati vada alle tv locali a titolo di compensazione. Purtroppo, nel nostro Paese la priorità è data ai servizi televisivi e si sta oggi procedendo alla distribuzione del dividendo digitale (interno) per assegnare nuove licenze di televisione digitale terrestre con modalità di gara del tipo beauty contest. In questo contesto appare evidente l’enorme differenza che c’è tra i miseri incassi che lo Stato fa assegnando l’uso dello spettro ai servizi televisivi (i canoni d’uso sono commisurati ai fatturati dei concessionari e spesso sono insignificanti, così come i contenuti trasmessi sono spesso inesistenti), e gli strepitosi incassi che lo Stato fa assegnando invece l’uso dello spettro alle comunicazioni wireless (nelle previsioni del Ministero del Tesoro lo spettro televisivo UHF viene assegnato ai carrier per una cifra di circa 40 milioni di euro a MHz).
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Le reti di distribuzione dell’energia subiranno nei prossimi decenni una rivoluzione epocale, abilitata dalle tecnologie ICT, paragonabile a quella che si è verificata nell’informatica nel passaggio dai sistemi centralizzati, del tipo mainframe, ai sistemi completamente distribuiti e “autonomici”, del tipo peer-to-peer. L’ICT abilita la riduzione dell’impatto ambientale realizzando il monitoraggio e il controllo dei sistemi a rete, quali appunto la distribuzione di energia, le abitazioni e gli edifici, i trasporti, le utilities e i sistemi di produzione industriale. Ma le modalità con cui si esplica l’ICT for Green comprendono anche gli altri importanti aspetti di de-materializzazione (informazione digitale) e di introduzione di servizi di comunicazione evoluta che siano sostitutivi degli spostamenti (telepresenza). Particolare rilevanza assumono i sistemi ICT nella realizzazione delle Smart Grid e cioè delle future reti di distribuzione dell’energia che impiegano sofisticate tecniche di monitoraggio e controllo elettronico per consentire il miglioramento della qualità dell’energia, la riduzione delle emissioni di gas serra, la generazione diffusa e discontinua dell’energia (tramite energie
L’Osservatorio Mobile Content & Internet della School of Management del Politecnico di Milano Come messo chiaramente in evidenza nell’articolo del professor Dècina, l’accesso a Internet in mobilità si sta rapidamente diffondendo nel mondo come in Italia. Il fenomeno è studiato in modo approfondito dall’Osservatorio Mobile Content & Internet della School of Management del Politecnico di Milano, nato nel 2001 con l’intento di analizzare il neonato mercato dei servizi a valore aggiunto innovativi che, attraverso il cellulare, mettono a disposizione dell’utente finale contenuti digitali di varia natura. Negli ultimi anni, il focus dell’Osservatorio è stato posto, in particolare, sugli scenari aperti dai nuovi paradigmi del Mobile Internet e degli Application store. Più precisamente, l’Osservatorio si pone gli obiettivi di valutare approfonditamente le dinamiche quantitative del mercato del Mobile Internet, Content e Advertising; di comprendere il ruolo e le strategie dei diversi attori operanti nella filiera (Telco, Media company, Web company, Mobile content & service provider, Content provider, Produttori di terminali, ecc.); di analizzare l’approccio degli utenti italiani al Mobile Internet e ai Mobile Content e tratteggiare i principali trend in atto e i possibili scenari evolutivi.
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rinnovabili per le abitazioni, gli edifici e le fabbriche), e un comportamento proattivo da parte degli utenti della rete di energia, consentendo loro di essere sia consumatori che erogatori di energia, e permettendo il diffondersi di tecniche di tariffazione dinamica e di forniture su domanda. Le reti di distribuzione dell’energia subiranno nei prossimi decenni una rivoluzione epocale paragonabile a quella che si è verificata nell’informatica nel passaggio dai sistemi centralizzati, del tipo mainframe, ai sistemi completamente distribuiti e “autonomici”, del tipo peer-to-peer. La rivoluzione delle Smart Grid è abilitata dalla tecnologia ICT che contribuisce ai vari aspetti della loro realizzazione, tra cui: • I contatori intelligenti, gli Smart Meters, che costituiscono i punti terminali verso gli utilizzatori/ produttori di energia, ed assumono la valenza di veri e propri “portali intelligenti” nella rete informativa delle Smart Grid. • I sistemi di monitoraggio, comunicazione e controllo che vanno impiegati ai vari livelli delle Smart Grid (la casa, l’edificio, il comprensorio, l’area) per la generazione e il consumo dell’energia, compresa la gestione dei veicoli elettrici. • I sistemi di gestione e amministrazione delle Smart Grid, compresi i sistemi di tariffazione dinamica e i pagamenti. In Italia l’Enel ha praticamente completato il proprio sistema di telelettura dei contatori, iniziato pioneristicamente all’inizio del secolo, ed è oggi protagonista in Europa per lo sviluppo degli standard degli Smart Meter. La realizzazione delle Smart Grid, così come quella del Public Cloud, richiede infatti enormi sforzi di normalizzazione e standard adeguati di interoperabilità e sicurezza informatica per sistemi ICT di grande complessità. Negli Stati Uniti il Governo Federale ha stanziato 7 miliardi di US$ per lo stimolo nazionale alle Smart Grid nel 2010, mentre le iniziative di standardizzazione si svolgono sotto l’egida del NIST (National Institute of Standards and Technology) e coinvolgono sia l’IETF (Internet Engineering Task Force) che l’IEEE (Institute of Electrical and Electronics Engineers). Nel 2010 l’IEEE ha lanciato un programma integrato sulle Smart Grid coinvolgendo tutte le branche dell’ingegneria elettrica ed elettronica, dal signal processing, al power control, al networking, al software engineering. Uno degli aspetti affrontati è quello dell’educazione dei nuovi ingegneri alla progettazione e alla gestione delle Smart Grid, un settore che si prospetta in forte evoluzione nei prossimi ventitrenta anni e che richiede esperti con conoscenze in energetica, informatica, comunicazioni, automatica, ed elettronica.
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I N TE R V IS TA
di
volagratis.com, sul Web un successo made in italy
andrea rangone
coordinatore osservatori ict&management School of Management Politecnico di Milano
L’idea di sviluppare un motore di ricerca in grado di comparare le offerte delle compagnie aeree low cost ha portato alla nascita di Volagratis e, successivamente, del gruppo Bravofly, oggi uno dei principali operatori europei per i viaggi online. Quella di Marco Corradino è una storia imprenditoriale di grande successo, che testimonia come anche in Italia sia possibile creare e far crescere una dotcom con pochi capitali e una proposta originale.
Marco Corradino è il fondatore del sito Volagratis. com e, successivamente, del gruppo Bravofly, oggi uno dei principali operatori europei nel settore dei viaggi online, di cui è attualmente board member con funzioni direttive in alcune aree. La Web company nasce in Italia nel 2004 con un capitale di 50.000 euro, quando Corradino, con un socio, dà vita al primo sito in grado di comparare le offerte dei voli low cost, cavalcando il successo di Google e facendo leva sulle più avanzate tecnologie Web per rendere più semplice e veloce prima la scelta e poi l’acquisto, vantaggio che gli utenti hanno apprezzato sin da subito. In pochi anni la start up è cresciuta rapidamente e oggi è una società attiva in diversi paesi europei, partecipata da fondi investimento, con 150 dipendenti e 100mila biglietti al mese venduti in tutto il mondo. Nonostante il sensibile calo del ticket medio, trend generale del settore, nel 2009 il fatturato complessivo di Bravofly è aumentato dell’60%, mentre per il 2010 si stima una crescita simile. Con | 14 |
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Marco Corradino ripercorriamo le tappe e le scelte strategiche che hanno portato a questo successo e indaghiamo i possibili scenari futuri di un settore, quello del turismo online, in continua evoluzione. Marco, utilizzo spesso nei miei corsi il caso Volagratis come esemplare della capacità anche degli italiani di essere imprenditori di successo nel mondo digitale. Ci racconti come è nata l’idea e come hai vissuto le fasi di incubazione e di crescita? Il sito nasce nel 2004 da un’intuizione che ha permesso di cogliere un’opportunità che si era aperta nel settore del turismo, derivante dal successo delle compagnie aeree low cost. Queste non erano presenti all’interno dei sistemi di distribuzione tradizionale (i gds come Amadeus o Galileo), e ciò comportava una difficoltà per l’utente: nel momento in cui voleva prenotare un viaggio confrontando le offerte si trovava costretto a visitare tutti i siti delle compagnie singolarmente. Di pari passo con l’offerta commerciale delle com-
I N T E RVISTA | vo l ag rat is. c o m, sul w e b un succe sso ma de in ita ly
Intervista a
Marco Corradino fondatore volagratis e Bravofly
I numeri di Bravofly 2.200.000 visitatori che utilizzano il motore di ricerca; 9.500.000 ricerche sui voli; 150.000 biglietti aerei acquistati sui nostri siti; 16.000.000 di pagine viste 2.000.000 utenti iscritti al nostro sito
pagnie low cost, poi, aumentava l’asimmetria informativa nei confronti dei consumatori e si rendeva evidente la necessità di uno strumento in grado di inglobare l’offerta complessiva e presentarla in un formato più gradevole e funzionale. L’idea è stata quindi quella di sviluppare la tecnologia che ci ha permesso di fornire per primi un servizio di comparazione di tutta l’offerta presente sul mercato, integrando i dati disaggregati relativi ai voli delle compagnie low cost presenti su web per offrirli all’utente finale su un unico portale. Ci siamo accorti che stava avvenendo un cambiamento: abbiamo cavalcato l’onda e abbiamo avuto successo, fin dagli esordi. Successivamente abbiamo ampliato il servizio estendendolo anche agli alberghi e ai pacchetti vacanze completi, aggiungendo valore per i clienti. Il modello iniziale di business era basato sulla sola raccolta pubblicitaria. Ci siamo focalizzati sul-
la gestione degli spazi pubblicitari per raccogliere i fondi necessari per finanziarci e crescere, reinvestendo tutto in tecnologia. Successivamente è stata introdotta anche la vendita della biglietteria aerea, il lavoro di intermediazione da agenzia vera e propria. Questo step ha richiesto molta più focalizzazione sul servizio, perché si tratta di un mercato ipercompetitivo, dato che tutte le compagnie aeree già vendono direttamente sui loro siti. Diventa quindi fondamentale offrire dei servizi distintivi, come permettere di programmare un volo di andata e ritorno con vettori diversi, oppure organizzare un viaggio negli Stati Uniti prevedendo uno scalo con un volo low cost a Londra per ottenere condizioni più vantaggiose, oltre che focalizzarsi sulla parte di postvendita e di assistenza. Si tratta di un lavoro profondamente diverso da quello un’agenzia tradizionale. www.ict4executive.it
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INTERVI STA | vo lag r at i s .c om , s u l w e b u n s u cc esso ma de in ita ly
«Crediamo che la nostra tecnologia possa fare la differenza in alcuni mercati, per esempio Spagna e Francia, dove non esiste un’offerta simile: qui siamo entrati in maniera significativa inglobando know how locale e creando partnership».
Si dice che ormai non c’è vacanza senza Web. Servizi come Bravofly e i voli low cost hanno radicalmente cambiato il modo di organizzare il tempo libero. Quali sono, nella vostra prospettiva, le dinamiche attualmente in atto in Europa nel settore del turismo e come state rispondendo? Noto diversi fenomeni all’orizzonte, che stanno cambiando il mondo del turismo: non saprei dire se si tratta di fatti positivi o negativi, ma di sicuro sono cose con cui siamo costretti a confrontarci. Innanzitutto, la crescente concentrazione del mercato aereo: oramai operano solo cinque grandi compagnie, Ryanair, Easyjet, British Airways, Lufthansa e Air France, mentre cinque anni fa erano una ventina. È un fenomeno che avrà ripercussioni sul mercato del turismo in generale, in cui il segmento aereo è quello più semplice e redditizio, ma anche quello più rischioso, cioè quello in cui si possono avere perdite ingenti. Avremo un mercato più efficiente, che potrà dare dei vantaggi ad alcuni operatori, ma per gli altri sarà dura rimanere competitivi.
I siti del Gruppo Per la ricerca dei voli Volagratis.it; Bravofly.com; Bravofly.fr; Bravofly.de; Bravofly.es; Bravofly.co.uk; Bravofly.ch; Bravofly.at Per la ricerca degli Hotel Hotel.volagratis.it; Hotel.bravofly.com; Hotel.bravofly.fr; Hotel. bravofly.de; Hotel.bravofly.es; Hotel.bravofly.co.uk; Hotel.bravofly.ch; Hotel.bravofly.at Alberghi esclusivi per viaggiatori esigenti Tablethotels.it Prenotazioni di voli per agenzie di viaggio e aziende Volagratispro.it Organizzare e prenotare le proprie vacanze Viaggiare.it
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Un secondo cambiamento riguarda le compagnie charter, ormai completamente soppiantate dai voli low cost. È un fenomeno che sta prendendo piede anche in Italia e che impatterà sui tour operator, perché se con le compagnie charter era facile costruire delle relazioni, con le low cost questo non è possibile. Il 25% dei voli leisure - per esempio verso le Baleari o le isole greche - è coperto da Ryanair. Che significa questo? Che l’utente deve organizzarsi la vacanza da solo? Che l’intermediazione dei tour operator non sarà più possibile? Evidentemente bisogna trovare delle risposte, non è chiaro come evolverà il destino di questo settore, ma bisogna considerare che stiamo parlando di volumi importanti. C’è poi il nuovo paradigma di Internet con cui fare i conti: se fino a poco fa dominava Google, con un importante ruolo per il successo dell’eCommerce e del web in generale, ora sembra essere il momento di Facebook, che sta sempre più catalizzando il traffico della rete e l’interesse dei navigatori. Sembra quindi imminente uno scontro fra questi due colossi, anche se al momento non sembrano notarsi aree di sovrapposizione. Le aziende Web hanno avuto successo grazie a Google e si sono plasmate intorno alla sua struttura, mentre ora bisognerà vedere cosà comporterà la migrazione verso l’orbita di Facebook, in che modo si potrà sfruttare questo fenomeno in ottica di business. Indubbiamente avrà un impatto anche sul mondo delle aziende, ma nessuno ha ancora le idee chiare a proposito. Si procede per tentativi, gli stessi creatori di Facebook non sanno ancora come sfruttare il loro successo. Fa riflettere il fatto che 10 anni fa Google non esisteva e con la sua nascita le web company che hanno saputo cavalcare il fenomeno sono riuscite a crescere e ad avere successo: mi chiedo quindi se ora sia il momento di fare qualcosa di analogo con Facebook. Siete presenti in diversi Paesi Europei, in particolare in Francia e Germania. Qual è la strategia di internazionalizzazione che state seguendo?
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«L’eCommerce italiano è in ritardo perchè c’è carenza di offerta. Il grande successo delle vendite private in rete dimostra che l’utente è propenso a utilizzare i servizi. Ma le aziende mostrano scarso l’interesse per il mezzo».
Quasi con la semplicità dell’immaginario tappeto volante della mitologia antica, le compagnie low cost trasportano oggi le persone in luoghi lontani. Una discontinuità nel mercato del turismo che Bravofly ha saputo cogliere per costruire il suo successo.
Crediamo che la nostra tecnologia possa fare la differenza in alcuni mercati, per esempio in Spagna e in Francia, dove non esiste un’offerta simile sul mercato: in questi Paesi entriamo in maniera significativa inglobando know how locale e creando partnership. Inoltre, ci muoviamo seguendo una logica di opportunity legata alla peculiarità del mercato. Sfruttando le nostre competenze di marketing individuiamo delle opportunità di mercato ed entriamo nel Paese in modo mirato, mantenendo un controllo centralizzato e facendo campagne di marketing ben definite. È questo per esempio il caso di Olanda, Inghilterra e Svezia e stiamo ora pensando di entrare anche in Russia. Facciamo poco in tanti paesi e questo ci permette di portare a casa dei risultati interessanti. Stiamo inoltre lavorando su alcuni mercati emergenti che hanno caratteristiche per noi ideali: frammentazione dell’offerta, inserimento nel mercato di compagnie dirette che ci permettono di valorizzare il nostro lavoro di aggregatori, e la presenza di partner, come Google o altri motori di ricerca, da utilizzare come volano per la pubblicità.
Quali canali di marketing e comunicazione utilizzate per raggiungere la vostra clientela? Fin dagli inizi abbiamo sempre e solo utilizzato il web. È il canale che per noi massimizza il ritorno dell’investimento e che ci permette di uscire dal rumore di fondo. Andare sui media tradizionali, infatti, significa trovarsi in competizione con i marchi più noti, quelli che investono storicamente somme ingenti in comunicazione, con il risultato che il messaggio viene “schiacciato”. Abbiamo un’identità di web company e restiamo sul web: qui, anche con budget limitati, si possono ottenere risultati molto interessanti. Oltre a Google utilizziamo tutte le forme di pubblicità presenti su web, che hanno l’enorme vantaggio di essere direttamente misurabili, permettendo un controllo preciso e razionale sui mezzi da utilizzare per conseguire i massimi risultati, razionalizzando i costi. La tecnologia è uno dei pilastri su cui poggia la vostra strategia. Come realizzate questi investimenti? E come selezionate i vostri partner e il vostro personale? www.ict4executive.it
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«Stiamo lavorando per migliorare il servizio di biglietteria da cellulare. La sfida per il domani è di sviluppare un buon servizio Mobile di post-vendita, seguendo il cliente mentre è in viaggio e avviando un dialogo con lui, cercando di cogliere le opportunità di cross-selling, di CRM e di assistenza offerte dal mezzo».
Investiamo molto sulle persone, perchè così siamo sicuri di ottenere i risultati migliori. Abbiamo uno staff IT interno molto qualificato di oltre 35 informatici, ma abbiamo difficoltà a trovare le figure professionali che ci servono. Abbiamo bisogno di gente appassionata e competente di tecnologie, che abbia voglia di programmare. Lasciamo al nostro personale molta liberà di sperimentare per raggiungere determinati obiettivi, imparando cose nuove. Ciò è molto apprezzato e ci permette di essere sempre al passo con i progressi della tecnologia. Cerchiamo di avere il maggior numero di competenze al nostro interno, ma ricorriamo anche a collaborazioni esterne, attraverso molteplici partnership mirate, per integrare aree specifiche. Non abbiamo dunque un solo partner di riferimento, ma diverse collaborazioni per interventi mirati. Anche sul fronte Mobile vi state dimostrando all’avanguardia: avete un Mobile site e sull’Apple Store è presente una vostra applicazione che permette di consultare diverse informazioni e anche di acquistare biglietti. Quali risultati ottenete su questo fronte? Come pensate di muovervi nel futuro? Il servizio di consultazione da Mobile funziona molto bene ed è molto apprezzato. Siamo convinti che ci sia una fetta di mercato interessata al servizio di biglietteria da Mobile: il nostro obiettivo è quindi quello di semplificare e rendere il più funzionale possibile il servizio, che abbiamo già avviato. Ad oggi vendiamo all’incirca un centinaio di biglietti al giorno; si tratta di un risultato discreto ma abbiamo la ferma convinzione che si possa fare molto meglio, perchè la procedura d’acquisto è ancora macchinosa e su questo stiamo lavorando. Sul Mobile attualmente abbiamo un tasso di convertion che è circa la metà di quello che otteniamo sul sito, sintomo che c’è qualcosa che non funziona. La sfida per il domani è invece di sviluppare un buon servizio Mobile di post-vendita, seguendo il cliente mentre è in viaggio e avviando un dialogo con lui, cercando di cogliere le opportunità di crossselling, di CRM e di assistenza offerte dal mezzo. | 18 |
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Una recente ricerca del Politecnico ha stimato che il mercato dell’eCommerce è cresciuto quest’anno del 14%, trainato soprattutto dal settore dei viaggi. Se però compariamo i volumi italiani con quelli di altri mercati europei emerge un notevole ritardo. Cosa credi che si potrebbe fare per accelerare questa dinamica? Quello che io vedo è una carenza di offerta. Il grande successo delle vendite private in rete dimostra che l’utente è propenso a utilizzare servizi di acquisto online. Eppure l’offerta non decolla. Sono scomparsi i siti che permettevano di fare la spesa online: dieci anni fa erano 7 e ora è rimasto Esselunga e poco altro. Anche il clamoroso successo di Facebook, che presenta in Italia il più alto tasso di utenti sul totale della popolazione, è un chiaro indicatore del fatto che la gente online c’è: quel che manca è l’offerta. Credo che sia scarso l’interesse delle aziende per il mezzo, mentre il consumatore è più avanti del mercato. Negli altri paesi la situazione è diversa. In Francia, per esempio esiste la possibilità di defiscalizzare gli investimenti in venture capital o private equity di aziende internet, un incentivo allo sviluppo che rende il paese simile al mercato americano, dove si ha anche un più facile accesso al credito per sviluppare idee imprenditoriali di questo genere. Da noi la situazione è molto più complicata. Come ha impattato la crisi globale nel settore del turismo? La vostra azienda ne ha risentito? Quest’anno abbiamo notato una flessione su tutti i fronti: sembra quindi che la crisi abbia impattato anche sul budget di spesa degli utenti destinato ai servizi “leisure”. Un fenomeno che per noi è stato “alleggerito” dal fatto che le imprese, con l’obiettivo di contenere i costi per le trasferte, hanno spostato i loro acquisti di voli aerei su compagnie low cost. Esistono comunque differenze fra i Paesi europei: la Germania sta per esempio andando molto bene, Italia e Francia riprendono con un po’ più di fatica, ma si vedono comunque segnali positivi. Bravofly dal 2007 svolge la maggior parte dell’attività sui mercati esteri, una strategia di diversificazione che ha proprio l’obiettivo di diluire il rischio su diversi Paesi.
m a n ag e m e n t | C o me e p e rc h è migma l io ra re L’ E x e c ut ion nagement
di
Ram Charan
consulente e scrittore
Come e perchè migliorare L’Execution Gli aspetti rilevanti, semplici ma estremamente efficaci, che permettono a un leader di portare la propria organizzazione ad ottenere una eccellente Execution, ovvero ad adottare - e far adottare processi sistematici, in cui si discute in modo rigoroso sui come e sui cosa, portando a compimento gli impegni con tenacia e assumendosene le responsabilità.
Come fanno gli atleti ad eccellere negli sport? Seguendo dei programmi, lavorando per costruire il proprio vantaggio competitivo, che è ad esempio la velocità. Ma come? È il modo in cui ciò viene fatto a fare la differenza, nello sport come nel business.
a cambiare le regole di mercato anche per i propri concorrenti? Con idee originali, strategie innovative e una Execution impeccabile. Come si può imparare l’Execution? Ecco alcuni aspetti rilevanti.
Consideriamo ad esempio il settore del trasporto aereo. Tutte le compagnie dispongono degli stessi aeromobili, sia che li comprino dall’Airbus o dalla Boeing. Cosa fa la differenza allora? Le persone e il servizio fornito ai passeggeri. Chi agisce al meglio realizza profitti più alti dei concorrenti. In altre parole, è l’Execution che aumenta la capacità delle persone e dell’organizzazione nel suo complesso. La disciplina, la pratica delle buone norme, è poi fondamentale e va applicata trasversalmente a tutte le funzioni aziendali: marketing, vendite, operations, finanza ecc. Come è possibile che aziende come Apple abbiano così tanto successo e abbiano così alti margini di guadagno? Come riescono
La disciplina personale Un buon esempio di disciplina sono le riunioni. È buona norma finire sempre un incontro con una conclusione. Ciò significa decidere, alla presenza di tutti, chi farà cosa e quando, in modo che ogni partecipante sappia qual è il risultato di quella riunione. Un chiaro esempio dell’utilizzo di questa pratica me lo ha dato Ted Welsh, ex CEO della General Electric, un personaggio leggendario nel mondo del management. Ho avuto la fortuna di lavorare con lui e seguirlo per 30 anni: aveva questa abitudine quando ancora nessuno aveva sentito pronunciawww.ict4executive.it
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Chi è Ram Charan Ram Charan è uno stimato consulente, oratore e autore. Charan ha formato alcuni dei CEO di maggior successo nel mondo. Per 35 anni ha lavorato dietro le quinte di aziende come GE, KLM, Bank of America, DuPont, Novartis, Honeywell, Thomson Corporation e Verizon. Ha scritto numerosi libri, tra cui What the CEO Wants You to Know, Profitable Growth Is Everyone’s Business, Boards That Deliver, e pubblicato due bestseller insieme a Larry Bossidy, ex CEO di Honeywell, Execution: The Discipline of Getting Things Done e Confronting Reality: Doing What Matters To Get Things Right. Execution è stato in cima alla classifica del Wall Street Journal, ed è stato in quella del New York Time per oltre 150 settimane. I suoi libri più recenti sono Owning Up, Leadership in the era of Economic Uncertainty e The Game Changer. Ha scritto articoli per pubblicazioni prestigiose tra cui Harvard Business Review, Fortune, Time, Information Week, Leader to Leader, Director’s Monthly, Directorship, The Corporate Board e USA Today. Charan ha iniziato la sua carriera da ragazzino, lavorando nel negozio di scarpe di famiglia, in India, fino a ottenere la laurea in ingegneria e poi un MBA e un dottorato – con ottimi risultati – alla Harvard Business School.
re il suo nome, negli Anni 70. Anche al telefono, gli ultimi 30 secondi della chiamata li dedicava a riassumere gli argomenti chiave e a ribadire cosa ciascuno di noi avrebbe dovuto fare e con quale tempistica, oltre a stabilire quando ci saremmo dovuti risentire per confrontarci. Se si prende questa abitudine, anche i colleghi cominceranno a farlo, con il risultato di aumentare l’efficacia delle riunioni e diminuirne il numero, perché si imparerà ad essere più specifici ed efficienti. È una cosa semplice, ma di forte impatto: dà buoni risultati e permette di fare la differenza. Il collegamento tra azioni e strategia Una strategia, perché sia vincente, deve essere semplice, pratica, efficace e realizzata tramite azioni coerenti e concrete. Al seguito di una riunione è importante compiere azioni periodiche di verifica, per controllare che le persone facciano ciò che gli era stato assegnato negli incontri precedenti. Non è un’idea originale, ma spesso nelle aziende non viene fatto. Il lavoro viene tipicamente portato avanti da team: per questo, se una parte dell’ingranaggio si ferma, determina un ritardo che va ad impattare sul lavoro di tutti gli altri. I meccanismi operativi sincronizzano l’energia delle persone, per ottenere velocità. Identificare le priorità È necessario identificare delle priorità che siano dominanti nella vision aziendale e coerenti con la | 20 |
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strategia intrapresa. È fondamentale fissare degli obiettivi, pochi ma efficaci, in base alle specificità aziendali e alle strategie che si intendono perseguire. Un team non può funzionare se non ha degli obiettivi, ed è compito del leader fissarli. Per esempio, gli aspetti che un top manager tipicamente vorrà tenere sotto controllo e migliorare sono il margine, la velocità, il fatturato e la customer satisfaction. Se il margine attuale è il 10%, l’obiettivo sarà portarlo a 12 in due anni; se la velocità attuale è di 9 giorni per la produzione, l’obiettivo può essere portarla a 8. Se il tasso di crescita attuale è zero, l’obiettivo potrà essere portarlo al 3%. Se la customer satisfaction è 66%, vorrete portarla al 90%. È importante focalizzarsi su cosa è rilevante per il proprio business, determinare le priorità: è impossibile focalizzarsi su 20 obiettivi, si lavorerà poco ed in maniera dispersiva, senza produrre risultati. Se invece le priorità sono poche e strategiche per il proprio business, si sarà efficienti e si raggiungeranno i risultati pianificati. Per un’azienda come SAS, per esempio, la parola chiave è la velocità con la quale sviluppa i propri software: punterà quindi a essere più rapida dei suoi competitor. Una cosa che Nokia non è riuscita a fare nel proprio settore. Il focus sulle priorità è la strategia che ha permesso ad un’azienda come Apple di crescere e ottenere un enorme successo. Nel 1997 il CEO di Apple era Gil Amelio, che venne allontanato per non aver raggiunto risultati soddisfacenti. A quel tempo, l’offerta dell’azienda contava 15 piattaforme differenti
m a n ag e m e n t | C o me e p e rc h è mig l io ra re L’ E x e c ut ion
e una linea di 24 prodotti, con il rischio di perdere il focus sui propri obiettivi. Rientrò quindi in gioco Steve Jobs, con una vision incentrata su soli 4 prodotti, che si rivelò vincente. Apple in 12 anni è riuscita ad accumulare più liquidità di qualsiasi altra azienda nel mondo - circa 58 miliardi di dollari - e ad acquisire un valore di mercato più alto di qualsiasi organizzazione, più di Microsoft, di General Electrics o di Siemens. Una corretta gestione delle priorità permette di allineare le persone di un’azienda dal punto di vista dell’energia spesa per conseguire risultati, mentre una vision condivisa aiuta a creare un allineamento emozionale e uno spirito di appartenenza. La corretta gestione delle priorità permette inoltre di realizzare un collegamento concreto tra strategia aziendale ed Execution. Un elemento fondamentale, in questo, è la scelta delle persone, la costruzione di un team. L’Execution consiste infatti principalmente nell’assegnare alle persone della propria squadra i compiti più adeguati per loro, per cui sono più portati e per i quali lavoreranno meglio, ottenendo così migliori risultati. È importante che un buon leader si impegni ad assegnare periodicamente delle priorità al lavoro da portare avanti, e che si assicuri che il proprio team faccia altrettanto e rispetti le decisioni prese. Ford, per esempio, conobbe un periodo di forte declino fra il 1999 e il 2006: la sua quota di mercato diminuì vertiginosamente e la sua situazione finanziaria collassò, accumulando un debito di 22 miliardi di dollari. I creditori fecero pressioni a Mr. Ford convincendolo a dimettersi dalla carica di amministratore delegato e ad affidare la compagnia ad una nuova persona proveniente da Boeing. Il nuovo amministratore delegato si presentò al board aziendale dichiarando di non sapere nulla sul business delle automobili, ma che la sua funzione sarebbe stata quella di costruire un team basato su solidi meccanismi operativi. Una delle prime modifiche apportate fu di indire una riunione settimanale ogni giovedì, in cui ciascuno avrebbe presentato al resto del board l’operato della settimana precedente, fissato delle priorità e definito il lavoro da svolgere per la settimana successiva.
sioni modeste, condotti da persone che non studiano manuali e non partecipano a convegni. È strategia, per esempio, l’azione di un fruttivendolo che a fine giornata si accorge di non aver venduto un determinato tipo di prodotto e quindi decide di abbassare il prezzo per provare a venderlo il giorno successivo. Questa è un azione coerente alla strategia aziendale.
Una corretta gestione delle priorità permette di allineare l’energia spesa dalle persone per conseguire i risultati. Un team non può funzionare se non ha degli obiettivi, ed è compito del leader fissarli, in modo semplice e chiaro, verificando periodicamente i risultati.
Nel 1993 sedevo al consiglio di amministrazione con Mr. Dell, proprietario della nota azienda produttrice di PC, preoccupato dall’andamento del business. La situazione non era buona. In questo settore la velocità nello sviluppare prodotti innovativi è determinante, non si può rischiare di essere in ritardo rispetto alla concorrenza e di presentare sul mercato prodotti già obsoleti. Nello stesso periodo IBM aveva bruciato 800 milioni di dollari per lo stesso motivo. Mr Dell ebbe un’intuizione: se l’innovazione e la rapidità sono ciò che conta, bisognava puntare a raggiungere un indice di rotazione delle scorte pari a 20 per essere competitivi. Ai tempi poteva sembrare una pazzia, e a quanti gli fecero notare che nessuna azienda lavorava così, egli rispose che tanto meglio, quello sarebbe stato il loro vantaggio competitivo, dato che sarebbero stati gli unici sul mercato.
Comunicare in maniera chiara e concisa È importante che ciascuno abbia una chiara visione di come la propria azienda realizza i profitti: solo così può agire coerentemente per aumentarli. Si parla di strategia anche per business di dimen-
Perché una strategia risulti vincente è necessario che sia condivisa: è dunque necessario riuscire a cogliere i contributi di tutto il proprio team e tramutarli in una visione chiara e semplice. In questo senso, il leader è come un direttore d’orchewww.ict4executive.it
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Intervista: «Grandi opportunità per le PMI italiane» A margine del World Business Forum, abbiamo avuto l’occasione di incontrare il Professor Charan e di chiedere un commento su alcuni temi trattati nel suo speech, oltre che le impressioni ricevute negli incontri organizzati con alcuni imprenditori italiani. Professor Charan, uno dei suoi suggerimenti è “Right people in the right jobs“, ovvero le persone giuste nei posti di lavoro più adatti. Ma identificare il talento di una persona non è un compito facile: cosa suggerisce come punto di partenza? Due cose. In primo luogo dobbiamo considerare che ogni genitore cerca il talento nel proprio figlio, così come ogni insegnante nei propri alunni: è una competenza naturale, da esercitare. È difficile, certo, ma si può migliorare. In secondo luogo, bisogna essere onesti quando si osserva una persona per valutarla. È questa la parte più difficile. Ma se si parla mettendo in evidenza gli aspetti positivi, evitando invece quelli negativi, le persone saranno oneste e si apriranno. Continuate a lavorare su questo e vi differenzierete dagli altri. In questo viaggio in Italia, un Paese di PMI, lei ha potuto parlare con diversi manager. Che impressione ne ha tratto? Sono rimasto molto colpito dal grande desiderio dei manager italiani di imparare e di fare cose. Ho notato una certa frustrazione verso il governo e i sindacati. Ma una piccola azienda italiana può muoversi e creare business, non ho dubbi su questo. Gli italiani sono stati capaci di fare grandi cose in molti settori, dal lusso alla ristorazione. L’Italia non può essere equiparata all’America o alla Cina: è un Paese neutrale, come la Svizzera o Singapore. Le piccole imprese, in particolare, hanno una grande opportunità rispetto alle grandi, quella di espandersi in India, Cina, Brasile senza che il governo interferisca nelle loro attività. Ha citato il suo Paese, l’India. Come vede la crescita tumultuosa di questa grande nazione? L’India sta crescendo molto e ha un enorme numero di imprenditori, che si stanno espandendo in Asia e in Africa. Stanno acquisendo compagnie americane e le stanno
trasformando. Ma l’inflazione è forte ed è necessario migliorare le infrastrutture. Molti Executive di successo sono stati educati in Europa e Stati Uniti, quindi il modo di fare business è simile, ma conservano un aspetto peculiare degli indiani, culturale, che è quello di dedicare parte dei guadagni in beneficienza. Le tecnologie ICT sono una grande opportunità per innovare il modo di condurre il business. Non a caso al WBF uno dei principali sponsor è SAS, che fornisce ai manager preziosi strumenti di intelligence. Nella sua esperienza di consulente, quali sono le implicazioni dell’avvento delle nuove tecnologie digitali? Ci sono molti aspetti da considerare ed enormi implicazioni, anche limitandoci al business. Le tecnologie ICT hanno enormemente aumentato la velocità dell’Execution e al contempo hanno accelerato la commodization. Un altro aspetto è legato a Internet, che consente oggi di incrementare le dimensioni del business molto rapidamente. Ciò porta, come effetto opposto, alla morte rapida di tutti quelli che non lo fanno. All’interno delle organizzazioni, poi, le tecnologie aiutano a eliminare passaggi inutili, a prendere decisioni velocemente e anche a correggere in fretta decisioni sbagliate. Lei sostiene che bisognerebbe liberarsi del Power Point. È inoltre convinto che il valore delle persone sia nella conversazione: dobbiamo liberarci anche delle email? Comunicare è necessario, in vari modi, ma penso che oggi circolino troppe mail e questo fenomeno vada controllato, anche limitando la lunghezza dei testi. Lo stesso discorso vale per gli SMS. Io dedico del tempo a ogni SMS, sono molto preciso, chiaro, vado al punto con poche parole, senza abbreviazioni e usando virgole e punti. Bisogna farlo sempre. Questa è una competenza che va acquisita nel tempo. Dieci anni fa ho scritto il mio primo articolo per Fortune, “Perchè i CEO falliscono”, e mi hanno affiancato un bravissimo giornalista che ha eliminato dal mio testo moltissime parole: ero davvero stupito, è stato un grande insegnamento. Manuela Gianni
stra che raccoglie le idee provenienti dalle visioni limitate dei capi delle differenti funzioni – risorse umane, finanza, comunicazione ecc – e le rende globali, fornendo a tutti una visione d’insieme e aiutandoli e diventare concreti, mostrando loro le interconnessioni esistenti tra le varie componenti del business. Il meglio da un team lo si ottiene | 22 |
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quando si parla usando lo stesso linguaggio, quando l’atmosfera è calda e piacevole e quando tutti si sentono a proprio agio. Il mio consiglio è di non usare le presentazioni Powerpoint, che hanno acquisito grande importanza negli ultimi 15 anni, o perlomeno di limitare il loro utilizzo per mostrare diagrammi, immagini e
m a n ag e m e n t | C o me e p e rc h è mig l io ra re L’ E x e c ut ion
grafici. Si dedica troppo tempo ed energia alla preparazione delle slide, mentre è importante ricordare che l’obiettivo di una presentazione è quello di esprimere i concetti chiaramente. Un numero eccessivo di slide, magari complesse e piene di parole, rischia solo di confondere il pubblico, ottenendo l’effetto opposto. L’importante è che all’audience rimangano in mente 4 o 5 concetti fondamentali, non tutto quello che si è detto, e che sia successivamente previsto un ampio momento per discuterne. Se si ha a disposizione un’ora, 15 minuti vanno dedicati alla presentazione vera e propria e 45 minuti alla conversazione a seguire. Il valore del rapporto tra le persone sta nella conversazione; è durante la conversazione che le persone riescono ad arrivare in fretta al cuore delle questioni ed è sempre durante il confronto faccia a faccia che nascono le idee migliori. Assegnare le persone giuste alle giuste posizioni e sviluppare i talenti Nelle organizzazioni molti problemi sono dovuti a persone sbagliate assegnate al lavoro giusto o a persone valide ma assegnate a un lavoro non adeguato per loro. Questo aspetto ha una grande influenza nel creare una buona Execution. Ogni leader è in primo luogo leader di persone. Se una persona è affidata a un lavoro che non fa per lui, non è bene ne per lui, né tantomeno per l’azienda nel suo complesso. Se si è abituati a lavorare secondo le meccaniche prima descritte, e qualcuno non racconta la verità circa i progressi del suo lavoro, non passerà molto tempo prima che gli altri se ne rendano conto. Queste meccaniche aiutano anche a capire nel giro di poco tempo se una persona si trova nella posizione adeguata, o viceversa se il lavoro che gli è stato affidato non fa per lui. È fondamentale che un buon leader si renda conto che buona parte del proprio lavoro consiste nell’allocare le proprie risorse ai giusti compiti affinchè l’azienda abbia successo. Per fare ciò è necessario considerare tre punti fondamentali: • Riconoscere il talento naturale della persona che si ha di fronte, lavorando fianco a fianco, ed essendo il più specifici possibile. Molti dicono che il talento di Steve Jobs di Apple sia la capacità di produrre innovazione, o la sua creatività, ma ciò non significa niente, non è abbastanza specifico: l’innovazione può riguardare i processi, i prodotti o il business model. Ad un’analisi più approfondita si arriva a scoprire che il suo vero
Nelle organizzazioni molti problemi sono dovuti a persone sbagliate assegnate al lavoro giusto o a persone valide ma assegnate a un compito non adeguato per loro. Questo aspetto ha una grande influenza nel creare una buona Execution.
talento è quello di riuscire ad immaginare quello che i consumatori realmente desiderano, e lo ha fatto in maniera continuativa e consistente nell’arco degli ultimi 20 anni. Chi lavora con lui lo sa, perché lo osserva e può rendersi conto di come raggiunge i propri obiettivi e di quali metodologie utilizza. Per comprendere il talento di una persona è necessario che più colleghi si consultino dopo averci lavorato insieme, confrontandosi onestamente. • Valutare la posizione di lavoro che si intende assegnare e identificare con precisione quali sono le competenze necessarie. È un compito difficile e che non ha niente a che vedere con le competenze che ciascuno di noi indica nel proprio curriculum. Perché un leader sappia compiere questo compito al meglio è necessario che faccia esperienza, che migliori col tempo affinando le propria capacità di giudicare una persona e di riconoscere quali sono le competenze richieste per avere successo in una determinata posizione. • Una volta riconosciuto il talento in una persona, è fondamentale aiutarla a svilupparlo. È inutile soffermarsi sugli aspetti negativi, meglio focalizzarsi su come far crescere il talento, identificando e rimuovendo le barriere che gli impediscono di farlo. Quando un leader assegna una posizione alla persona giusta, e questa si rivela poi capace ottenendo un grande successo, prova una grande soddisfazione. Tuttavia non si tratta di una scienza esatta, è difficile essere dei buoni leader. Ogni persona ha delle capacità; trovarle, saperle descrivere, modellarle e affidare a quella persona al lavoro che fa per lei è ciò che determina la capacità di un leader.
L’articolo è tratto dallo speech di Ram Charam al World Business Forum di Milano, il 27 ottobre 2010. www.ict4executive.it
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I N TE R V IS TA di
manuela gianni
Andrea Airoldi
Il Digital Marketing di Coca-Cola per dialogare con i consumatori
Digital Brand Manager Central & Southern Europe the coca cola company
Le piattaforme digitali conquistano rapidamente spazio all’interno della strategia multicanale del celebre brand, con innovative integrazioni fra il mondo reale e quello online. I consumatori – in particolare i teenager – vengono intercettati in rete dove sono già presenti, da Facebook a Twitter o Youtube, fornendo contenuti rilevanti, correlati fra loro e quanto più possibile specifici per ogni piattaforma.
L’attenzione dei teenager – ma non solo - è sempre più calamitata da Facebook, YouTube, Flickr e altri servizi Social, che offrono la possibilità di dialogare, anche sui brand. E le aziende devono avere un ruolo attivo in queste conversazioni. Pioniere nello sperimentare le nuove logiche del Digital Marketing è Coca Cola, che sta realizzando, anche in Italia, iniziative innovative, che coniugano attività tradizionali con quelle online, superando la logica Web-centrica: se nel recente passato si investiva per alimentare il traffico sul sito aziendale, oggi questo è solo uno degli elementi di un hub digitale Ne parliamo con Andrea Airoldi, che in Coca Cola si occupa di Digital Marketing dal 2007 con la responsabilità di queste attività a livello europeo. Come è composta la squadra digital di Coca Cola e come si colloca all’interno dell’organizzazione? La “squadra digital” è composta di due risorse, e si trova all’interno del gruppo dei servizi di marketing, | 24 |
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che è composto oltre che dal digital anche dal media, dal creative e dal brand pr. Il gruppo dei servizi di marketing, o IMC – Integrated Marketing Communication, lavora a fianco dei brand managers per “rendere concrete”, dalla definizione del concetto creativo alla pianificazione sui mezzi, le strategie dei brand con operazioni di marketing integrato. La Business unit in cui lavoro è Central & Southern Europe , che comprende 23 paesi, tra cui Polonia, Ungheria, Romania, Austria, i Balcani, la Grecia e anche l’Italia, e le attività sono gestite a tre livelli: si parte dal livello Global, dove nella nostra casa madre ad Atlanta vengono studiati i posizionamenti dei brand e le strategie a lungo periodo. Il secondo livello è quello della Business Unit, dove le strategie globali vengono integrate per rispondere alle specifiche esigenze di business. Ed infine il terzo livello, che è l’adattamento locale del singolo paese, che deve concretamente attuare e adattare sul mercato locale quanto viene strategicamente predisposto dalla Business Unit di
I NTE R V I S TA | I l Dig i ta l Ma rke t i n g di C o c a C o l a p e r di a l o g a re c o n i c o n sum at or i
appartenenza, con un margine di flessibilità di modifica e integrazione. Il concetto che guida è “freedom within a framework”, libertà di adattamento all’interno di una cornice condivisa. In base alla sua esperienza, come è cambiata nell’ultimo decennio e come sta cambiando la strategia di Marketing di Coca Cola con la comunicazione digitale, in particolare nella relazione con i clienti? Dieci anni fa, all’interno delle strategie di comunicazione, le tematiche digitali semplicemente non erano presenti. L’introduzione del digital è legata alle promozioni, quando a partire dal 2003 dalle meccaniche complesse di raccolta punti si è passati a meccaniche “instant win”rese più semplici dal supporto della tecnologia, prima con gli IVR, e poi con gli sms in affiancamento al Web come canali di partecipazione. Da quegli inizi ad oggi sono state affrontate molte tappe e si è passati dalla logica sito-web centrica, con investimenti in tecnologia e con campagne media di spinta al traffico sul sito, ad una logica ad oggi che vede il sito web come uno degli elementi di un hub digitale alla pari delle pagine Facebook, dei canali su YouTube, delle gallery su Flickr, o di altre piattaforme, mobile
incluso. La logica è di intercettare i consumatori dove già si trovano con contenuti rilevanti e quanto più possibile specifici per ogni piattaforma, tutti correlati tra di loro. E come invece sta cambiando il consumatore, in termini di aspettative e di risposta alle promozioni? Il consumatore è cresciuto, si è evoluto ed è oggi molto abile nel districarsi nel variopinto mondo delle promozioni, dove le opportunità sono pressochè infinite. Le aspettative dei consumatori variano a seconda della categoria merceologica: se per alcune
«Stamo affrontando molto seriamente il tema Social. Nella casa madre ad Atlanta c’è un team dedicato alla definizione della strategia e alla gestione di Facebook, a partire dalla pagina ufficiale Coca-Cola, che con più di 19 milioni di fan è al nono posto nella classifica generale». categorie rimane sempre valida la modalità raccolta punti e catalogo premi, nel largo consumo oggi premiano le meccaniche semplici come gli “instant win” e premi che sono di vero valore aggiunto. Per le aziende è quindi sempre più difficile emergere e distinguersi. Pensiamo ai recenti Mondiali FIFA in Sudafrica, dove molte aziende di diversi settori mettevano in palio viaggi e biglietti per le partite del campionato. Per noi la sfida nel differenziarci è stata cercare di offrire unicità, facendo leva sugli quegli asset unici che Coca-Cola ha: ad esempio abbiamo dato la possibilità a fortunati ragazzi e ragazze di essere portabandiera all’apertura delle partite della Nazionale, una espe-
rienza davvero incredibile, e tutto questo grazie alla stretta partnership con la FIFA che dura da moltissimi anni. I consumatori inoltre si aspettano innovazione e rinnovamento; un esempio per noi importante è il Natale, che per la sua natura significa tradizione, ma è fondamentale rinnovarsi. E infatti quest’anno coniughiamo la tradizione rinnovando la partnership con Trudi – tutti si ricordano i peluche con gli Orsi o con i Folletti degli anni passati – ma coinvolgendo il nostro partner nel creare un oggetto per lui innovativo: un set di segnaposto da tavola che diventerà di sicuro oggetto da collezione come tanti altri di Coca-Cola. www.ict4executive.it
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INTERVI STA | Il Di gi tal M ar k e t i ng d i C oca C ol a p e r di a l o g a re c o n i c o n sum at o ri
La campagna Fanta “Less Serious Award” Un progetto multicanale e innovativo realizzato di recente da Coca Cola è la campagna Fanta “Less Serious Award”, che aveva come pilastro una partnership con YouTube e al cuore il mondo digitale, nello specifico il canale su YouTube. Obiettivo del progetto era amplificare ulteriormente il piano di marketing di Fanta che promuove la less serious attitude, che è alla base dell’idea creativa. L’originalità del progetto è nella forte integrazione online-offline. Nel mondo online i consumatori potevano divertirsi nel segnalare e votare i video divertenti della rete all’interno del brand channel. Al contempo, era possibile “assaggiare” l’esperienza anche nel mondo offline, dove oltre alla comunicazione dell’iniziativa su tutti i formati di Fanta – con il logo YouTube presente – è stata fatta una speciale affissione interattiva a Milano, dove i video più votati erano proiettati per il divertimento e il coinvolgimento dei passanti. Inoltre, sono state fatte delle innovative attivazioni con totem interattivi anche nella grande distribuzione, con un logica di integrazione e amplificazione lungo tutta la filiera. La semplicità della meccanica, l’accessibilità all’iniziativa e il tema alla portata di tutti hanno portato risultati incredibili, con più di 1,5 milioni di contatti unici al brand channel, più di 100mila voti registrati per i video divertenti, una copertura della campagna digital di 12milioni di utenti unici, il tutto in soli tre mesi di attivazione.
Il Digital Marketing di Coca Cola è sempre integrato nella strategia multicanale di relazione con il cliente? Quanta quota del budget assorbe in relazione alle attività tradizionali? Oggi la squadra digital è coinvolta sin dal principio nello sviluppo creativo di una nuova campagna e quindi della strategia multicanale, ma a seconda della campagna e delle potenzialità dei vari mezzi, il digital può assumere un ruolo più o meno centrale. In generale, il digital ha un ruolo predominante quando si devono fare azioni mirate su un target specifico, che è difficile raggiungere con altri mezzi più di massa, come per un recente caso dello sport drink Powerade, che è online con il progetto Ask&Run: domande e risposte per gli sportivi, in particolare per i runners, con consigli utili per il loro allenamento. La quota di budget dedicata al digital varia in coerenza, e ci possono essere brand e campagne dove l’investimento digital supera abbondantemente il cinquanta per cento e altre dove si colloca ai livelli di mercato e altre dove non è per nulla presente. Non esiste una regola perchè trattiamo il digital come un mezzo alla pari degli altri: un piano media si valuta sempre nella sua complessità, dove ogni mezzo ha un suo ruolo e i pesi degli investimenti variano a se| 26 |
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conda degli obiettivi e delle caratteristiche delle campagne. La quota del digital è comunque in crescita e sicuramente è legata ad una volontà interna di innovazione, ma è anche legata ad una evoluzione stessa del mercato digitale, la cui penetrazione è in crescita e il cui consumo, soprattutto nei teenager che sono il nostro target di riferimento, è oramai predominante rispetto ad altri mezzi. Ci sono delle specificità del mercato italiano in questo ambito? Esistono sicuramente specificità, e conosciamo bene quelle del mercato Italiano, con una forte espansione del mobile rispetto ad altri paesi. Le differenze con altri mercati ci sono, e in particolare nella Central & Southern Europe dove ad esempio alcuni paesi dell’Est in forte crescita stanno vivendo oggi una espansione del mondo digitale ancora più accelerata di quella italiana dell’ultimo decennio. La gestione di questo elemento di complessità per noi è la sfida più grande, perchè dobbiamo sviluppare progetti digitali che devono avere uguale successo per tutti i paesi, facendo leva sugli elementi comuni ma tenendo in considerazione anche le specificità locali. Il fenomeno dei Social Network è dirompente e permette di diffondere e amplificare i messaggi con una potenza senza precedenti. Qual è il vostro approccio? Nel lontano 1999 fu pubblicato il Cluetrain Manifesto, uno dei caposaldi della cultura digitale, e la prima tesi riportava: Markets are conversations. A più di 10 anni di distanza questa tesi non solo è ancora valida, ma le possibilità per i consumatori di “conversare”anche sui brand – si sono moltiplicate. E le aziende devono avere un ruolo attivo in queste conversazioni. Coca-Cola sta affrontando molto seriamente il tema Social, nella nostra casa madre ad Atlanta c’è un team dedicato alla definizione di una strategia social e alla gestione di Facebook, a partire dalla pagina ufficiale Coca-Cola, che con più di 19 milioni di fan, è al primo posto nella classifica delle pagine dei global brands e al nono posto nella classifica generale assoluta. Per i nostri brand le social platform sono oramai diventate elementi cardini degli hub digitali, allo stesso livello di
I NTE R V I S TA | I l Dig i ta l Ma rke t i n g di C o c a C o l a p e r di a l o g a re c o n i c o n sum at or i
«Brand di categorie complementari possono unire le proprie forze per dare ulteriore valore aggiunto, perchè interagire con più brand contemporaneamente è il comportamento naturale di un consumatore».
importanza del sito web, ognuna con il suo ruolo di amplificazione dei contenuti ben preciso. Un esempio è l’energy drink Burn, che è tra i primi nostri brand ad attuare questa strategia a livello globale, con il sito burn.com che è correlato alla pagina Facebook, al canale su YouTube, al profilo su Flickr, a quello su Twitter, alla pagina MySpace, con contenuti specifici per piattaforma e correlati tra di loro. Qual è la vostra strategia in ambito Mobile Marketing? Ad oggi l’esperienza mobile non è ancora ai livelli di maturità del web, sia perchè il settore non offre ancora una sufficiente standardizzazione per campagne multi-paese, sia per una oggettiva difficoltà di creare valore aggiunto per i consumatori. Tornando alle promozioni ad esempio, troviamo più valido per le partecipazioni coinvolgere il consumatore in modo più immediato, con l’invio di un codice con un sms, anzichè investire per attivare il canale wap/mobile web. Campagne adv mobile sono spesso presenti nei nostri piani, sia con obiettivi di coinvolgimento spingendo il download di contenuti o con obiettivi di direct response in occasione di eventi sul territorio. Allo stesso modo siamo presenti nell’App Store con alcune proposte di giochi legate a campagne specifiche, come l’ultima lanciata legata alla campagna di Natale per condividere i propri desideri. I risultati sono incoraggianti quando l’app si integra perfettamente nell’hub di cui sopra, meno interessanti quando le app sono accessorie rispetto alla campagna. Abbiamo iniziato da poco ad intraprendere questa strada e le iniziative sono più che altro tattiche, ma c’è sicuramente spazio per affrontare anche questo tema in modo strategico e con operazioni di lungo periodo, vedo che molti brand del largo consumo ci stanno provando, arriverà presto anche Coca-Cola. È recente l’esperienza di Coca-Cola Village in Israele, un villaggio multimediale per giovani in cui i visitatori - tramite un apposito braccialetto RFId - potevano interagire con le attrazioni segnalando su Facebook ai propri contatti quelle di loro gradimento. Si tratta di un interessante esempio per legare un evento al mondo digitale.
Ci saranno altre iniziative in questa direzione, magari in Italia? Quello è stato un bell’esempio di innovazione e integrazione con il mondo reale, un tema in cui crediamo molto. Non ci sono a piano progetti specifici di replicare quella esperienza in altri paesi, ma ne trarremo sicuramente importanti insegnamenti. Già oggi, ed in diverse forme, c’è una forte integrazione del digital con gli eventi, come abbiamo fatto ad esempio per l’ultimo Coca-Cola Live @MTV 2010, che oltre all’esperienza dal vivo era in diretta TV e web, o come gli eventi Burn, dove i partecipanti sono attivi su Twitter per commentare in diretta quello che accade ed amplificarlo in rete. Di altro genere invece sono le vending machine di nuova generazione, dove il Giappone è all’avanguardia: una semplice operazione come comprare una lattina di Coca-Cola è arricchita da una esperienza multimediale in cui il consumatore, tramite il suo cellulare, può “dialogare” con la vending machine. Infine, uno sguardo al futuro. In un mondo che cambia rapidamente, è possibile azzardare qualche previsione per i prossimi anni? E cambierà sempre più rapidamente in futuro. Le possibilità di interazione per i consumatori aumenteranno ancora, e crescerà ancora di più la loro consapevolezza e il senso critico nei confronti dei brand che a loro si rivolgono. Sicuramente rimarranno validi alcuni temi che già oggi stiamo affrontando. In primo luogo, è il contenuto che guida, quindi la sfida per i brand sarà di proporne sempre di nuovi, utili, coinvolgenti. Un secondo aspetto è la multimedialità, perchè la TV non morirà di certo, ma il consumo dei mezzi sarà sempre più frammentato e sovrapposto. E rispetto a questo ultimo punto una opportunità per le aziende è quella delle partnership, con brand di categorie complementari che possono unire le proprie forze per dare ulteriore valore aggiunto ai consumatori, perchè questo è il comportamento naturale di un consumatore, interagire con più brand contemporaneamente. www.ict4executive.it
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Os s e r vato rio
di
l’ICT spinge l’innovazione nel settore Finance
mariano corso
School of Management Politecnico di Milano
Banche e Assicurazioni si confermano i primi investitori in nuove tecnologie nel nostro Paese, rappresentando circa un quarto della domanda ICT complessiva. Eppure, restano ancora da cogliere grandi opportunità di innovazione e miglioramento dell’efficienza. La chiave per uscirne può essere soltanto una sorta di alleanza a tre fra i responsabili ICT, il Business e il sistema dei fornitori, chiamato a una maggiore collaborazione.
L’attuale assetto del sistema bancario e finanziario italiano è frutto di un complesso processo che ne ha in pochi anni trasformato la struttura, con l’obiettivo di una maggiore integrazione nel mercato europeo. Le tappe principali di questo percorso, iniziato nei primi anni 90, sono la riforma della normativa di settore, culminata con l’adozione dei due Testi unici della Banca e della Finanza, che stabiliscono le finalità dell’attività di vigilanza, le privatizzazioni - avviate alla fine del 1993, con la trasformazione in società per azioni delle Banche pubbliche -, un forte consolidamento e la progressiva apertura all’estero del sistema. In questo contesto, si è innestata dal 2008 una delle crisi finanziarie più violente della storia moderna che, a partire dai mercati finanziari, ha investito i sistemi bancari mondiali e in cascata gli altri settori dell’economia. Sebbene il settore finanziario ne stia scontando ancora gli effetti in termini di prestazioni economiche, la congiuntura creditizia in Italia ha | 30 |
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mostrato nei primi mesi del 2010 evidenti segnali di miglioramento: il credito al settore privato ha ad esempio registrato una crescita annua dell’1,3% con chiari segni di accelerazione1. Anche il settore delle Assicurazioni ha subito a livello europeo una pesante caduta della produzione, ma sembra aver avviato un lento percorso di miglioramento: già nel 2009 la raccolta premi nel nostro Paese ha fatto registrare una inversione di tendenza, con un segno di crescita positivo che ha portato l’ammontare complessivo della raccolta premi a oltre 118 miliardi di euro (+28% rispetto al 2008)2. Il settore Finance, rappresenta da sempre una voce di spesa importante del mercato ICT italiano, con le grandi Banche tra i primi investitori in nuove tecnologie nel nostro Paese. Nello specifico, il settore Finance ha rappresentato nel 2009 in Italia il 24% della spesa ICT complessiva3.
o sse rvat o rio | L’ ict s pi n g e l’ i n n ova z io n e n e l s e tt o r e F in a n ce
di
Alessandra Luksch School of Management Politecnico di Milano
A fronte della crisi di un certo modello finanziario e del conseguente bisogno di ritrovare redditività, rendendo più efficienti e innovativi i servizi bancari e assicurativi, l’ICT sembra destinata ad assumere un ruolo ancora più importante di leva strategica di innovazione e miglioramento. Ne è solo un esempio ciò che sta avvenendo per effetto dell’evoluzione tecnologica e di Internet, cioè l’affermarsi di un modello organizzativo di “Banca/Assicurazione virtuale”, per il quale le tecnologie entrano in modo preponderante nell’organizzazione, innovando i contenuti dell’offerta e le modalità di relazione con i mercati. Se negli ultimi due anni l’attenzione si è focalizzata sul taglio dei costi, nel rinnovato sforzo di ricostruire valore e redditività, l’ICT può essere oggi considerata a pieno titolo una variabile strategica per il settore Finance, sia in quanto leva di razionalizzazione e innovazione dei processi sia come canale per ripensare i servizi e le relazioni con i clienti. Rigidità organizzative e ritardi strategici nelle decisioni, tuttavia, fanno sì che le opportunità potenziali di innovazione e miglioramento dell’efficienza, derivanti da un utilizzo coerente dell’ICT nel settore, siano in gran parte ancora non colte. L’evoluzione del budget ICT e le priorità di investimento
Gli Osservatori ICT & Management del Politecnico di Milano dedicano da tempo al settore Finance un’attenzione forte e crescente attraverso specifiche Ricerche; in particolare, l’Osservatorio ICT Strategic Sourcing4 ha realizzato nel 2010 una Ricerca verticale con un panel di 30 tra le principali Banche e Assicurazioni operanti in Italia, mentre l’Osservatorio Intranet Banche5 – giunto alla sua settima edizione e svolto in collaborazione con ABI Lab – si è focalizzato sull’impatto dei sistemi web sull’organizzazione e sui processi delle Banche coinvolgendo CIO, Intranet Manager e Responsabili dell’Organizzazione di 27 Banche italiane. Le Ricerche confermano il ruolo trainante del settore Finance per l’ammodernamento del Paese, con l’ICT che rappresenta una leva di innovazione dei prodotti/servizi e dei modelli di business nei due terzi del panel di Ricerca, rivestendo un ruolo centrale nei processi correnti nella metà delle realtà analizzate.
L’impatto sull’ICT dello tsunami finanziario che ha innescato la crisi è stato immediato, con una riduzione generale e diffusa degli investimenti e, soprattutto, con un netto cambiamento delle priorità ed esigenze a cui l’ICT ha dovuto far fronte. In particolare, l’enfasi è stata posta con vigore sul riportare l’attenzione al breve termine, con richieste pressanti di efficienza e di giustificazione degli investimenti e una attenzione spasmodica al tema della liquidità. Nel contempo tuttavia, proprio per recuperare red-
La crisi ha portato a una diffusa riduzione degli investimenti ICT e a un netto cambiamento delle priorità e delle esigenze: ritorni a breve termine, richieste pressanti di efficienza, attenzione spasmodica al tema della liquidità. Ora però i budget sono stabili nel 40% dei casi. www.ict4executive.it
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osservatori o | L’ ict s pi n g e l’i n n ovaz i o n e n e l s ett o r e F in a n c e
Gli investimenti ICT sono pesantemente condizionati dall’esigenza di adeguamento dei sistemi per la compliance alle normative, che non vengono visti come un’occasione di innovazione: in realtà sottraggono tempo e risorse ad altre aree di sviluppo, soprattutto nelle realtà più piccole.
ditività, è emersa sempre più forte l’esigenza che l’ICT supporti processi di cambiamento e razionalizzazione del business. Le Direzioni ICT si sentono così pressate da richieste potenzialmente contrastanti di riduzione dei costi e di proattività e miglioramento dei tempi di risposta al business. Ciononostante, rispetto ad alcune previsioni 2009, il quadro che emerge dalle stime di chiusura relative al 2010 e dai trend previsti per i prossimi tre anni lascia prevedere un progressivo miglioramento: sebbene non si possa ancora parlare di crescita dei budget ICT, è in atto un’inversione di tendenza con una stabilità del budget, in oltre il 40% dei casi analizzati dalla Ricerca ICT Sourcing nel Finance 2010 (Figura 1). Ciò sottende il fatto che le aziende puntano a finanziare un aumento degli investimenti (CAPEX) attraverso una riduzione dei costi operativi (OPEX). Molte Banche e Assicurazioni stanno dunque investendo in progetti di innovazione ICT che prevedono importanti impegni. Tali investimenti permetteranno, in alcuni casi, di migliorare i processi di erogazione del servizi, aumentando l’efficienza e
riducendo in tal modo anche i costi operativi, come nel caso dell’uso del canale diretto, con la possibilità da parte dei clienti di svolgere tutte le operazioni direttamente via web, riducendo l’impegno di risorse dell’azienda solitamente impiegate in tale attività. Analizzando in modo congiunto i dati relativi al trend di CAPEX e OPEX, la Ricerca ha messo in luce come siano le Banche di grandi dimensioni ad investire maggiormente e a ridurre i costi operativi: questo a riprova del fatto che, in questi casi, gli investimenti ICT rappresentano una delle leve utilizzate per il rilancio, permettendo di innovare il business e di ottenere un aumento dell’efficienza dei processi che vengono sempre più automatizzati, con conseguente riduzione degli OPEX. Analizzando le destinazione del budget ICT, nel settore Finance in Italia, emerge che gli investimenti ICT sono pesantemente condizionati dall’esigenza di adeguamento dei sistemi per la compliance alle normative. In particolare, il settore bancario continua ad attraversare un processo di evoluzione normativa senza precedenti, iniziato nel 1990, con
Figura 1 - Il trend del budget ICT, di CAPEX e di OPEX
Fonte: ICT Sourcing nel Finance: è il momento di innovare assieme, 2010
Trend 29%
Budget totale
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42%
29%
42%
CAPEX
45%
30%
OPEX
0%
27%
20%
40% Aumento
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13%
43%
60% Invarianza
80% Diminuzione
100%
o sse rvat o rio | L’ ict s pi n g e l’ i n n ova z io n e n e l s e tt o r e F in a n ce
il varo di importanti provvedimenti legislativi (la Legge 287, a Legge 218 Amato-Carli, “Patti Chiari”, Single Euro Area of Payments – SEPA, Payment Services Directive - PSDMiFid, Basilea 2, Basilea 3, ecc.). In ambito assicurativo la principale direttiva che negli ultimi anni ha condizionato fortemente le scelte aziendali è Solvency 2, con lo scopo di estendere la normativa di Basilea 2 al settore assicurativo. Sebbene un atteggiamento proattivo e innovativo nell’affrontare le esigenze di compliance potrebbe divenire un’occasione di innovazione e generare vantaggi competitivi, la realtà è che per lo più si tratta di “investimenti” dovuti che sottraggono tempo e risorse ad altre aree di sviluppo. Questo è particolarmente vero per le Banche e Assicurazioni di piccole dimensione per le quali gli obblighi di compliance assorbono la grande parte delle risorse ed energie disponibili. Altrettanto importanti, per quasi il 90% dei rispondenti, risultano gli investimenti rivolti all’automazione dei processi interni (back office) poichè permettono di ottenere vantaggi elevati in termini di efficienza e riduzione dei costi operativi. Un’elevata priorità di investimento è data anche alla creazione di nuovi canali, area molto rilevante per oltre il 60% dei casi analizzati, e di soluzioni di supporto alle attività di sportello e di relazione con il cliente (front office). A questa categoria afferiscono le iniziative di sportello self-service e i nuovi canali web che permettono al cliente l’autogestione dei conti o delle polizze, offrendo non solo una riduzione dei costi operativi, ma anche la personalizzazione a basso costo del servizio e quindi un’attrazione e fidelizzazione di nuovi possibili target ed un aumento dei ricavi. Risultano molto rilevanti anche le soluzioni di supporto alle decisioni e al risk management, spesso supportate da strumenti di business intelligence. Altre aree di investimento considerate importanti, seppur meno prioritarie rispetto a quelle finora citate, sono quelle relative allo sviluppo e miglioramento delle infrastrutture ICT e al supporto alla collaborazione e comunicazione interna. il ruolo dei partner tecnologici
inferiore al livello desiderato. Secondo le aziende analizzate, sono le società di consulenza, spesso coinvolte in progetti di innovazione, a fornire il contributo maggiore (ma anche System Integrator, Outsourcer Specializzati Nazionali e Università/ Centri di Ricerca), mentre altre tipologie di fornitori, a cui spesso sono richiesti solo obiettivi di efficienza, rimangono vincolati da gabbie contrattuali che inibiscono la genesi di innovazione (Fornitori as a Service, Joint Venture e Consorzi e Outsourcer Internazionali). In questo quadro, secondo la Ricerca ICT Sourcing nel Finance 2010, la quota del budget complessivo ICT destinata all’acquisto di servizi esterni è già oggi tra il 25% e il 50%, e quasi il 40% delle aziende analizzate nel 2010 ne prevede un aumento nei prossimi tre anni. Non mancano, tuttavia, alcuni casi nei quali si prevede di riportare all’interno alcune attività ICT. Si tratta in particolare di Banche di grande dimensioni, che, anche a fronte di un aumento del budget ICT, ridurranno la percentuale di budget dedicata all’acquisto di servizi per la necessità di gestire gli esuberi emersi a seguito dei processi di fusione e acquisizione. Le aziende di medie/piccole dimensioni risultano invece maggiormente orientate al ricorso all’outsourcing. In essa sono presenti casi di netto aumento del budget ed anche del trend della quota destinata agli acquisti: la scelta di esternalizzare, in questi casi, non è stata quindi una leva utilizzata per ridurre i costi ICT. In termini di relazione, tuttavia, dalla Ricerca emerge come il rapporto tra cliente e fornitore sia nel settore ancora molto tradizionale e, in sostanza, negoziale: oltre il 70% dei rispondenti dichiara la presenza di revisioni periodiche del contratto, che
La quota del budget ICT destinata all’acquisto di servizi esterni è già oggi tra il 25% e il 50%, e quasi il 40% delle aziende ne prevede un aumento. A volte però si sceglie di riportare all’interno alcune attività per gestire gli esuberi.
Dalla Ricerca ICT Sourcing nel Finance emerge che in quasi la metà delle aziende censite non esistono figure e/o unità organizzative esplicitamente dedicate all’innovazione ICT, malgrado l’importanza di questi investimenti. La domanda di innovazione viene invece generata dal Management e dalle Direzioni di Line e trova in questi e nella Direzione ICT i principali sponsor. L’apporto di innovazione da parte dei fornitori risulta invece sensibilmente www.ict4executive.it
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osservatori o | L’ ict s pi n g e l’i n n ovaz i o n e n e l s ett o r e F in a n c e
figura 2 - Le modalità attuali di relazione con i fornitori 8%
71%
21%
Revisioni periodiche del contratto
Fonte: ICT Sourcing nel Finance: è il momento di innovare assieme, 2010
11%
32%
11%
36%
18% 39%
35%
29%
4%
7%
54%
21%
18%
64% 39%
7% 4%
20% In programma di utilizzare
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36%
32%
57%
40%
60%
Di interesse
spesso prevedono benchmarking sulle tariffe concordati tra le parti (per circa il 50% dei casi del panel). Per più delle metà delle aziende, inoltre, i contratti hanno durata che non supera l’anno, consentendo di rivedere frequentemente le condizioni contrattuali, anche come elemento di stimolo alla propositività dei fornitori. Tali trend risultano in linea con il periodo di grande cambiamento in cui molte aziende bancarie e assicurative si trovano a operare: necessitando di elevata flessibilità al cambiamento e avversione verso fenomeni di “lock-in” da parte dei fornitori. Risultano purtroppo molto meno diffusi meccanismi per spingere verso rapporti evoluti di partnership cliente-fornitore, come comitati misti per l’innovazione, meccanismi di gain sharing, bonus di sovra-performance (Figura 2). In tale contesto, appaiono attrattive le nuove formule on demand che, almeno sulla carta, permettono di “accendere e spegnere” un servizio a seconda delle reali necessità dell’azienda, con evidenti benefici sulla scalabilità, i costi di avviamento, la conversione dei costi fissi in variabili e un’indubbia apertura all’innovazione, spesso insita nei servizi (come ad esempio Software as a service e Infrastructure as a service). Quasi la totalità delle aziende analizzate ritiene infatti che in futuro si svilupperanno in modo rilevante questi nuovi modelli di offerta, in cui la fruizione on demand basata sul Cloud Computing lascia disporre di risorse scalabili e flessibili con il pagamento di | 34 |
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Joint venture
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Comitati di innovazione cliente-fornitore
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Durata breve del contratto (massimo 1 anno) Benchmarking concordati sulle tariffe Formula on demand senza baseline Formula on demand con baseline Incontri di revisione dei livelli di servizio settimanali Innovazione tecnologica continua prevista a contratto (refresh tecnologico)
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Di nessun interesse/non risponde
un canone basato sul consumo effettivo, senza che l’utente debba acquisire gli asset. La sfida è innovare assieme In questo scenario, la domanda di innovazione nei confronti dei fornitori è modesta e il contributo spontaneo proattivo da parte dei fornitori è limitato dal mancato sviluppo di relazioni basate su logiche di collaborazione e condivisione di obiettivi, anche di lungo termine. La mancanza di apertura e propositività e la carenza di figure o unità organizzative dedicate all’innovazione fa sì che anche la relazione con il business risulti poco efficace, ingenerando così una sorta di doppio circolo vizioso in cui sia l’innovazione esterna da parte dei fornitori, sia quella interna stimolata dal business (demanddriven) risultano via via meno efficaci. La chiave per uscirne può essere soltanto una sorta di alleanza a tre fra responsabili ICT, Business e sistema dei fornitori (Figura 3). Non si tratta, tuttavia, di un percorso facile né naturale: se da un lato le best practice analizzate confermano che innovare assieme è possibile e conveniente, dall’altro l’analisi empirica mette in luce l’esistenza di fortissime inerzie: la rigidità dei modelli organizzativi, la presenza di elevati “legacy” a livello di tecnologie e competenze, nonché la difficoltà a far fronte agli eventuali esuberi che
o sse rvat o rio | L’ ict s pi n g e l’ i n n ova z io n e n e l s e tt o r e F in a n ce
ICT motore di innovazione in Credem Credem, Gruppo bancario presente in 19 regioni italiane, opera sul territorio nazionale, sia sul mercato retail sia su quello corporate, con 605 unità tra filiali e centri imprese, 53 negozi finanziari e una rete di circa 1.000 promotori finanziari. Il Gruppo è composto da società specializzate nei settori del banking, dell’investment banking, dell’asset management e della bancassurance. I principali fattori critici di successo sono la continua innovazione di prodotto e l’eccellenza del servizio; in questo scenario l’ICT ha un ruolo da protagonista, il cui compito primario è di motore per l’innovazione, sia in termini di prodotto sia di processo. In particolare, l’ICT supporta principalmente l’area del risparmio – con strumenti che permettono di fare l’assessment del rischio degli investimenti finanziari – e l’area commerciale, per rispondere al meglio alle esigenze di propositività delle reti di vendita e di compliance. In quest’area si focalizzano maggiormente gli investimenti ICT, con progetti di innovazione per i sistemi di sportello e di Internet banking. Elevati investimenti ICT sono inoltre indirizzati all’aumento dell’efficienza, con lo snellimento dei processi e la dematerializzazione dei documenti. Se da un lato, quindi, il budget ICT per investimenti è in aumento, la Banca cerca di ridurre le spese correnti per finanziare l’evoluzione del sistema. Per quanto riguarda le politiche di ICT Sourcing, Credem si affida da molti anni a un gruppo di fornitori selezionati in una logica di outsourcing governato. In particolare Credem ha instaurato un rapporto di partnership per lo sviluppo del sistema di gestione dello sportello, condividendo con il fornitore l’intero investimento e collaborando per il mantenimento e l’evoluzione del sistema. In particolare, questa soluzione ha permesso di creare un centro di competenza in cui sono presenti sia le risorse della Direzione ICT sia quelle del fornitore, e all’interno del quale è stato possibile condividere idee ed esigenze. In particolare, le risorse interne si sono specializzate sull’esplicitazione dei requisiti funzionali, mentre quelle esterne nella realizzazione della soluzione. Per quanto riguarda i nuovi modelli di offerta, Credem utilizza una soluzione di posta elettronica secondo il modello di “Software as a Service”, con un pagamento basato sul numero di caselle postali attivate in logica “pay per use”.
figura 3 - Il doppio circolo virtuoso per l’innovazione
+ Contributo esterno all’innovazione
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Supply driven innovation Cycle
Relazione con i fornitori
+ Efficacia dell’innovazione
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Demand driven innovation Cycle
Relazione con il business
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Contributo interno all’innovazione
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osservatori o | L’ ict s pi n g e l’i n n ovaz i o n e n e l s ett o r e F in a n c e
La strategia di ICT outsourcing di UniCredit UniCredit Group è uno dei principali gruppi finanziari Europei con una forte presenza in 22 paesi e uffici di rappresentanza in altri 27 mercati, circa 9.578 sportelli e oltre 162.000 dipendenti. UniCredit opera attraverso la più estesa rete di banche nell’area dell’Europa centro-orientale con circa 4.000 filiali e sportelli. UniCredit Global Information Services (UGIS) è la Global ICT Company del Gruppo, con quasi 4.200 dipendenti, distribuiti in 19 siti presenti in otto paesi europei. In UniCredit, l’ICT è ormai da tempo considerato una leva abilitante delle strategie di business e negli ultimi due anni tale convinzione si è rafforzata ancor di più nel Top Management del Gruppo. L’ICT poi, oltre che strumento per lo sviluppo del business, costituisce una delle opportunità per ottenere maggior efficienza all’interno delle aziende a livello di costi generali. In UGIS il ricorso a partnership esterne è diffuso in diverse aree. Ciò che sta maggiormente evolvendo nelle politiche di ICT Sourcing è da un lato un processo di vendor consolidation, dall’altro l’approccio nei confronti dei fornitori, che rappresenta l’elemento di maggior innovazione. Infatti, da una logica basata su contratti “Time & Material” ci si sta spostando verso un approccio maggiormente focalizzato sulle responsabilità specifiche dei fornitori, che sono quindi chiamati a lavorare per obiettivi e a rispondere dei risultati in modo maggiormente proattivo. Il governo delle attività oggetto di sourcing esterno viene comunque mantenuto internamente. I fornitori a cui UGIS si rivolge maggiormente sono partner di dimensione internazionale, a cui viene richiesto un apporto rilevante, per gestire al meglio la crescita del business del Gruppo, crescita alla quale l’ICT sarà sempre più chiamato a contribuire. Per aumentare la propria capacità di rispondere alle esigenze del business UGIS potrà così anche contare sulle sinergie con i partner tecnologici.
i nuovi modelli organizzativi potrebbero far emergere, fanno sì che molte aziende scelgano di non affrontare o di posticipare il cambiamento. Superando a fatica tradizioni e pregiudizi, nel lungo periodo, la Ricerca lascia prevedere un trend strutturale verso un modello di ICT più aperto, in cui la Direzione ICT si apre verso l’esterno e diventa “agente di innovazione” e “laboratorio aperto” che integra le migliori competenze esistenti sul mercato delle tecnologie in ciascuno specifico ambito. Il vantaggio competitivo nei prossimi anni dipenderà da quanto la singola azienda saprà interpretare e cogliere proattivamente questo trend bilanciando l’esigenza di rinnovamento con quella di corretta valorizzazione delle risorse interne e gestione del cambiamento. Anche ai fornitori sarà richiesto di fare la propria parte, sia a coloro che già oggi sono considerati partner per l’innovazione che ad altri che oggi vengono considerati scarsamente propositivi. Sarà richiesto di mettersi in discussione e coinvestire per migliorare la qualità e l’integrazione del loro apporto di competenze. Probabilmente questo scenario richiederà un cambiamento strutturale forte, quasi generazionale, ma nessuno può più pensare, per sopravvivere, di innovare da solo.
1. Fonte: Rapporto di Previsione AFO-Financial Outlook 2010-2012 2. Fonte: Relazione sull’attività svolta nell’anno 2009, ISVAP 3. Fonte: Rapporto Assinform 2010 4. Per una trattazione approfondita si faccia riferimento al Report della Ricerca 2009 “ICT Strategic Sourcing: nuovi equilibri oltre la crisi” e al Report 2010 “ICT Sourcing nel Finance: è il momento di innovare assieme” della School of Management del Politecnico di Milano, disponibile sul sito www.osservatori.net 5. Per una trattazione approfondita si faccia riferimento al Rapporto della Ricerca 2009 “Networking in Banca – Nuovi strumenti per migliorare la collaborazione e l’operatività” della School of Management del Politecnico di Milano, disponibile sul sito www.osservatori.net. | 36 |
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o sse rvat o rio | L’ ict s pi n g e l’ i n n ova z io n e Os n e lservatori s e tt o r e F in a n ce o
di
Marco giorgino
professore di analisi dei sistemi finanziari politecnico di Milano
LE SFIDE STRATEGICHE PER le BANChe Il settore, lungi dall’aver superato la profonda crisi che l’ha colpito, sta attraversando una fase molto delicata. Il modello di banking dei prossimi anni dipenderà dal nuovo impianto di regole che il sistema sta definendo e dalla capacità di controllo.
La profonda crisi dei mercati finanziari ha origini lontane e, ad oggi, ha tutt’altro che esaurito i propri effetti. Le cause sono state molteplici e di origini diverse. In parte possono essere ricondotte ad una forte carenza nei sistemi di gestione e controllo dei rischi. In realtà hanno natura più ampia e possono essere ricondotte ad una inesorabile deriva del ruolo che la finanza e i mercati finanziari hanno avuto rispetto al sistema economico e all’economia reale. Una crescente diffusione di strumenti finanziari non sempre correlati a fondamentali dell’economia che li potessero sostenere, da un lato, e una politica monetaria, in alcune aree del mondo, particolarmente orientata alla liquidità e alla disponibilità di risorse finanziarie, dall’altro, hanno rappresentato una miscela esplosiva. Non sempre le autorità di controllo e le agenzie internazionali di valutazione del merito di credito di tali strumenti finanziari sono state all’altezza della situazione. Nel momento in cui la capacità di credito degli emittenti si è rivelata inconsistente, molte operazioni, con effetto
‘domino’, sono andate in default contribuendo ad una profonda crisi finanziaria, ma anche di fiducia, all’interno di ampi comparti dei mercati. Ad oggi, gran parte delle risposte e delle azioni correttive che il sistema sta cercando di dare si basano sulla definizione di un nuovo impianto di regole e di capacità di controllo. Il sistema che ha generato la crisi sta cercando di dotarsi di nuove e più stringenti regole per risolvere la crisi e anche per minimizzare i rischi che in futuro si possano creare ancora condizioni così negative. La risposta regolamentare è importante. Ci sono, ad esempio, le regole in fase di definizione del nuovo Accordo di Basilea (Basilea III), l’istituzione di nuove autorità di vigilanza, come ad esempio quelle europee, l’attenzione ai rischi sistemici che possono essere in carico alle SIFI (Systematically Important Financial Institutions). L’attenzione alla ridefinizione delle regole è alta. È una fase molto delicata e, a seconda di come le nuove regole verranno definite, si potrà comprendere quale sarà il ruolo e il modello di banking nei prossimi www.ict4executive.it
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osservatori o | LE L’ ict S F IsDpiEnSgTeR AT l’iEG n nI ovaz CHE PER i o n el enba e l nche s ett o r e F in a n c e
Oggi è in discussione il modello di business delle banche. La crisi ha messo fortemente in risalto la fine della contrapposizione tra banca di investimento e banca commerciale per tornare al concetto di unica banca universale.
anni. Questo è uno degli elementi di maggiore criticità che oggi caratterizza il dibattito: come saranno le banche del futuro e, soprattutto, da dove trarranno i loro benefici e i loro margini. In questa fase storica, come molti dati dimostrano, le banche continuano ad alimentare e a sostenere il proprio conto economico attraverso attività di tipo prevalentemente finanziario. L’intermediazione creditizia presenta, infatti, nella media, dei profili rendimento-rischio che non sono così interessanti. Ma c’è da chiedersi se banche che fonderanno il proprio modello prevalentemente su attività finanziarie assolveranno a quelle che sono le proprie funzioni istituzionali. Le sfide che le istituzioni finanziarie hanno di fronte sono molto importanti. La regolamentazione definirà gli ambiti e le regole del gioco, ma una profonda riflessione strategica è in questo momento assolutamente necessaria. Le sfide strategiche importanti si possono articolare su vari ambiti, distinti ma fortemente interrelati. Innanzitutto vi è un tema di capitalizzazione che va risolto. A seconda del modello che emergerà queste esigenze potranno essere differenti, ma in ogni caso ci sarà bisogno di ricorrere ad immissioni di nuovo capitale sia per far fronte al crescente rischio del portafoglio attivi sia per rispondere ad esigenze regolamentari più stringenti. Il tema della capitalizzazione, poi, va ac-
compagnato a quello della redditività. Maggiori risorse proprie andranno remunerate. Si aprono quindi degli ambiti rilevanti sia sul tema della capacità di generare margini, aspetto che richiama assolutamente al modello di business e all’approccio al banking, sia sul tema della capacità di generare efficienza a vantaggio della redditività. Oggi è in discussione il modello di business delle banche. La crisi ha messo fortemente in risalto la fine della contrapposizione tra banca di investimento e banca commerciale per tornare al concetto di unica banca universale. Ed è sempre più rilevante il numero di investment banks che stanno diventando parte di banche universali. Ma lo stesso approccio al banking si sta riconfigurando. La logica transattiva tipica del transactional banking potrebbe lasciare posto ad una logica relazionale (relationship banking). La relazione fiduciaria tra banca e cliente oggi è ancora più importante e qualsiasi soluzione, anche tecnologica, che può favorire tale relazione sarebbe sicuramente apprezzata dal mercato. Nella figura si evidenzia come proprio nel periodo di crisi più profonda, a parità di condizioni, è più probabile il default aziendale per clienti che hanno una relazione con il sistema bancario giovane e non consolidata nel tempo. Relazioni consolidate nel tempo, invece, che sono auspicabili, possono derivare solo da una fiducia reciproca che tra banca e cliente si instaura nel tempo. Gli ambiti sono molti. E le sfide non sono facili. C’è un nuovo equilibrio tra redditività e capitalizzazione che andrà gestito e che rappresenta una sfida importante, dalla quale potranno nascere soluzioni di business e di banking nuove, così come c’è una relazione con il cliente da valorizzare e sulla quale ricostruire, attraverso maggiore prossimità, minori tempi decisionali, maggiore trasparenza e quel valore fiduciario che è alla base dell’attività bancaria e finanziaria.
Una più stretta Relazione fiduciaria banca-cliente riduce il rischio di default aziendale
Fonte: Rapporto Unicredit sulle Piccole Imprese, VI edizione
Probabilità di tensione finanziaria (%)
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Speciale “outsourcing”
la strada per il futuro
Una moderna infrastruttura IT prevede l’adozione di avanzate soluzioni architetturali e di sistemi di ultima generazione. Ne traggono beneficio la velocità di elaborazione dei sistemi e la sicurezza dei dati. Tutto questo è sufficiente per garantire all’azienda la disponibilità delle applicazioni e la continuità operativa dei “processi core” da cui dipende il raggiungimento degli obiettivi di business? Il ruolo del responsabile IT in azienda è fondamentale per affrontare correttamente queste tematiche. Studiando più a fondo il problema o vivendo le conseguenze di un non corretto approccio a tali problematiche, ci si accorge che gli aspetti da tenere in considerazione sono molteplici. Definire i corretti livelli di ridondanza dei sistemi e delle applicazioni, analizzare e minimizzare i “point of failure”, ottimizzare i processi di ripristino e adottare strategie per ridurre gli impatti negativi sugli utenti, sono alcuni degli aspetti da considerare, ma siamo sicuri di avere preso in considerazione tutti gli elementi critici? Abbiamo analizzato aspetti quali il livello di assorbimento di potenza, l’adeguatezza delle soluzioni di condizionamento e l’affidabilità dell’intera infrastruttura CED? È stata fatta un’analisi dei rischi dell’attuale infrastruttura al verificarsi di un evento critico? Quale potrebbe essere l’impatto sul business? La verità è che spesso i direttori IT hanno ben presente questo genere di problemi, ma affrontarli in modo approfondito, fino alla radice, spesso non è compatibile con le risorse a disposizione o purtroppo, i tempi di realizzazione sono troppo lunghi rispetto agli obiettivi di business. Il ricorso all’Outsourcing prevede l’utilizzo di capacità esterne per l’erogazione di servizi a supporto dei processi “core”; si pensi in particolare ai servizi
gestire in Outsourcing i sistemi IT attraverso un modello di servizio modulare permette di migliorare l’efficienza, di ridurre il TCO dell’IT e di garantire la continuità operativa, con un impatto positivo sul business.
Giuseppe Bellia Amministratore Delegato ErpTech
gestiti in ambito IT per le aziende pubbliche e private. Tramite l’Outsourcing le aziende possono focalizzarsi maggiormente sul “core business”, aumentare la loro specializzazione, sviluppare la loro flessibilità e quindi ottenere evidenti benefici economici. Spesso la gestione e il mantenimento dell’infrastruttura IT esistente assorbe la maggior parte delle risorse disponibili dalle aziende, lasciando poco spazio ai progetti innovativi finalizzati allo sviluppo e al potenziamento del proprio business. ERPTech può venire in aiuto alle aziende gestendo in Outsurcing i sistemi IT attraverso un modello di servizio modulare che permette di migliorare l’efficienza, di ridurre il TCO dell’IT e di garantire la continuità operativa; il tutto con un impatto positivo sul business. Oggi è sempre più importante disporre di un’infrastruttura all’avangurdia, performante e sicura. ERPTech dispone dei più avanzati servizi di gestione IT per garantire la business continuity e la sicurezza del dato durante tutto il ciclo di vita; mette a disposizione delle aziende piattaforme di classe enterprise fruibili anche come servizio (pay as you grow). ERPTech, inoltre, utilizza da tempo soluzioni di virtualizzazione, al fine di consolidare gli ambienti operativi e sfruttare al massimo le capacità elaborative dei sistemi. Un esempio; attraverso la virtualizzazione è possibile creare e gestire ambienti SAP, mettendo in condizione, in breve tempo, i team applicativi di operare con gli sviluppi strategici per l’azienda.
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Speciale “Green computing”
ICT per un business a basso impatto ambientale L’uso delle tecnologie ICT può contribuire alla sostenibilità ambientale in molteplici ambiti, per esempio attraverso la riduzione della carta e degli spostamenti fisici delle persone. In parallelo, si registrano diverse iniziative che puntano a migliorare l’efficienza energetica dei data center, anche se l’interesse resta circoscritto alle organizzazioni di grande dimensione.
Quale ruolo possono avere le tecnologie ICT nell’ambito della più rilevante problematica del nostro tempo, ovvero la sostenibilità ambientale del sistema economico e produttivo? Gli aspetti da prendere in considerazione per dare una risposta sono molteplici; aziende, centri di ricerca e organismi internazionali sono al lavoro per mettere a punto criteri univoci che consentano di misurare e valutare le varie iniziative avviate in tutto il mondo. In un workshop organizzato sul tema al Politecnico di Milano, nell’ambito dell’Academy for ICT Executives, la professoressa Barbara Pernici del Dipartimento di Elettronica e Informazione ha spiegato che una prima grande distinzione va operata fra l’impatto ambientale dell’ICT in se stessa, soprattutto dal punto di vista dell’efficienza energetica, e quello che la tecnologia ICT può fare per contribuire a rendere più efficienti i processi e le soluzioni in vari contesti applicativi. | 40 |
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Nel primo filone rientra l’importante tema dell’assorbimento energetico dei grandi data center, utilizzati dalle banche come dagli ospedali, dalla PA o dalle società di e-commerce, solo per citarne alcune: non solo tutti i server e gli apparati di storage vengono alimentati 24 ore su 24, ma è anche necessario che gli ambienti vengano opportunamente raffreddati, perchè i server generano calore. Per avere un riferimento, si utilizza, in questo contesto il parametro di efficienza Power Usage Effectiveness (PUE), che appunto misura la quota parte del totale dell’energia assorbita dal data center effettivamente utilizzata dalle risorse di calcolo. In genere, infatti, raffreddamento e UPS rappresentano circa il 40% dei consumi totali. Per migliorare l’equilibrio fra performance e consumi, si tenta di raffreddare i data center riducendo l’uso di condizionatori, di recuperare il calore disperso o di utilizzare energie alternative: si va dal collocarli in zone fredde, come l’Islanda, a interrarli nel
Speciale “Green computing”
La ricerca punta sul “Green”
deserto, sfruttando oltre alla bassa temperatura anche l’energia del sole per i pannelli fotovoltaici, a metterli nel mare, fino a recuperare il calore generato per riscaldare le case. Altre soluzioni che vanno nella direzione della riduzione dei consumi sono la virtualizzazione delle risorse, lo spegnimento e accendimento dei sistemi all’occorrenza, l’uso di memorie flash per limitare il movimento dei dischi usati per lo storage, la sostituzione di sistemi obsoleti e particolarmente dispendiosi in termini energetici. Per quanto interessanti, queste tematiche, al momento, trovano un interesse circoscritto alle aziende che utilizzano data center di grandissime dimensioni, quali i carrier o gli operatori che forniscono servizi di outsourcing ai clienti o colossi quali Google o Amazon. Nella gran parte delle organizzazioni il problema appare poco sentito, tanto che nella maggior parte dei casi i responsabili IT neanche sono in grado di quantificare con esattezza l’importo della bolletta energetica che li riguarda. E se l’energia consumata non fa parte del budget dei CIO, perchè loro dovrebbero impegnarsi a ridurla? Del resto, il risparmio energetico nei data center è solo una delle molteplici facce del “Green” e, come emerso dal dibattito che ha coinvolto CIO e manager di aziende dell’offerta di ICT e di consulenza, ciascuno pone l’accento su diversi aspetti, che però messi tutti insieme possono fare la differenza. C’è per esempio il tema della dematerializzazione, che significa meno consumo di carta e processi digitalizzati. Il ruolo della Pubblica Amministrazione qui è molto importante: basti pensare al recente provvedimento che ha obbligato i medici di base a inviare all’INPS certificati di malattia digitali per i dipendenti pubblici, eliminando migliaia di documenti cartacei. Sempre in tema di PA va segnalato il ruolo di Consip, l’azienda che sta portando l’eProcurement nella PA italiana. Digitalizzare i processi di acquisto, infatti, consente notevoli incrementi di efficienza, come testimoniato da diversi studi. Inoltre, Consip nella stesura dei bandi di gara può tenere in conto questi aspetti e fare da volano: è già così per quanto riguarda l’efficienza energetica, che viene evidenziata come parametro. Infine, un ruolo importante lo rivestono le tecnologie per le comunicazioni, in particolare la videoconferenza, che riduce gli spostamenti
A gennaio 2010 è nato il Consorzio GreenTouch (www.greentouch. org), associazione in costante crescita formata da aziende ICT, centri di ricerca, università ed enti no profit di tutto il mondo con l’obiettivo di migliorare di 1000 volte l’efficienza energetica delle reti dell’Information and Communications Technology in cinque anni. Le conoscenze e le competenze necessarie per raggiungere questo scopo sono multidisciplinari e riguardano: circuiti, algoritmi, architettura delle reti e protocolli di trasporto delle informazioni. Secondo quanto dichiarato, l’energia che viene consumata attualmente in un giorno con i nuovi sistemi sarà utilizzata in tre anni. Tale risparmio si tradurrà anche in una riduzione dei livelli di inquinamento in quanto saranno prodotte 250 milioni di tonnellate in meno di anidride carbonica ogni anno. Un’altra iniziativa particolarmente rilevante in questo ambito è il progetto Europeo GAMES (Green Active Management in IT Service Centers).
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I servizi di consulenza organizzativa e normativa di InfoCert
Il passaggio dei processi documentali dalla gestione cartacea alla gestione digitale porta indubbi vantaggi sia alle imprese, sia alle Pubbliche Amministrazioni. Tuttavia il percorso da affrontare può essere articolato, poiché richiede la definizione di interventi di tipo organizzativo e di processo, l’adozione di soluzioni tecnologiche adeguate con una attenzione costante ai dettami imposti dalla normativa vigente. Consapevole di questo, InfoCert ha arricchito la propria offerta con servizi di consulenza organizzativa, normativa e legale, complementari e trasversali alla propria gamma di prodotti e soluzioni. Tali servizi consulenziali coprono diversi ambiti, quali, ad esempio: l’implementazione dei processi con l’uso di nuove tecnologie (firma digitale, posta elettronica certificata, gestione documentale, workflow, fatturazione elettronica), la conservazione sostitutiva, il protocollo informatico, la privacy, l’antiriciclaggio, la responsabilità penale delle aziende. In questo modo le imprese non sono sole nell’affrontare il cambiamento, che viene controllato e gestito in maniera informata e sicura, con assistenza continua in tutti i passaggi e un valido supporto nella scelta delle soluzioni e dei servizi più adatti ad ogni esigenza. Le aree di applicazione concreta della consulenza offerta da InfoCert sono sostanzialmente due. Quel-
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La società mette a disposizione la propria esperienza per aiutare i clienti a cogliere tutti i vantaggi derivanti dal passaggio dei processi documentali dalla gestione cartacea a quella digitale.
la relativa alla certificazione di processi e prodotti, dove è importante verificare che una procedura di dematerializzazione sia correttamente implementata rispetto alle previsioni di legge, che un flusso di conservazione sia coerente con la normativa di riferimento e che l’adozione degli strumenti di firma digitale sia eseguita in modo da diminuire al minimo il rischio di contenzioso. La seconda area riguarda l’assistenza relativa ad eventuali interpelli ed istanze da presentare sia all’Agenzia delle Entrate sia alle autorità di controllo, in modo da poter risolvere in maniera corretta e sicura ogni problematica relativa al caso specifico. Alla consulenza vera e propria, InfoCert affianca attività di formazione su specifici temi di interesse per aziende e pubbliche amministrazioni. Con InfoCert imprese e Pubbliche Amministrazioni possono pertanto beneficiare, oltre che di soluzioni tecnologiche in grado di gestire in formato digitale tutto il ciclo di vita dei documenti, anche di assistenza completa nei processi di digitalizzazione dei flussi documentali e di consulenza in tema di privacy e adozione di nuove soluzioni informatiche, semplificando la complessità del passaggio e avendo la piena sicurezza e certezza della conformità delle procedure di dematerializzazione alle normative vigenti ed alle esigenze interne ed organizzative.
30%* in meno sulla bolletta dell'energia elettrica del tuo data center non è che l'inizio Immagina solo cosa potremmo fare per il resto dell'azienda Un risparmio del 30% sulla bolletta dell'energia elettrica del tuo data center non è una cosa da poco e, dal momento che i prezzi dell'energia elettrica continuano a lievitare, ogni watt risparmiato conta. I data center, infatti, non lavorano da soli; essi supportano e vengono supportati da altri sistemi — processi, HVAC e sicurezza, per elencarne alcuni — che richiedono un altrettanto elevato dispendio di elettricità.
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LA FIRMA DI INTESI GROUP SULL’INNOVAZIONE DIGITALE
Alcune grandi banche Italiane, i più attivi centri applicativi del circuito bancario ed importanti enti della Pubblica Amministrazione hanno già adottato la soluzione di firma digitale remota di Intesi Group, che – a due anni dal suo rilascio, avvenuto immediatamente dopo l’entrata in vigore della relativa normativa – rappresenta lo stato dell’arte della tecnologia per sicurezza, scalabilità e prestazioni. L’impegno e i risultati di Intesi Group nel settore della firma digitale remota sono comprovati dalla partnership recentemente siglata con InfoCert, il primo Ente Certificatore in Italia: competenze e patrimonio tecnologico di Intesi Group si fondono e si arricchiscono con l’offerta e l’infrastruttura di InfoCert, integrandosi con i suoi servizi di emissione e controllo dello stato dei certificati e concorrendo a realizzare una soluzione di firma remota di grande valore. Se i costi di gestione delle classiche soluzioni di firma, basate su smartcard e token USB, hanno spesso costituito un ostacolo non da poco alla diffusione della firma digitale, il servizio di firma remota di Intesi Group e InfoCert garantisce infatti, a grandi e piccole organizzazioni, lo stesso livello di funzionalità e performance delle soluzioni realizzate nei progetti di maggior rilievo, ma a costi estremamente competitivi. E con la possibilità d’implementare, oltre alle funzionalità di firma remota qualificata, anche soluzioni di firma automatica massiva.
Leadership tecnologica nelle soluzioni di firma digitale remota per le organizzazioni di ogni dimensione: massimi vantaggi, minimo investimento. Siglata una partnership con InfoCert, il primo Ente Certificatore in Italia.
L’adesione al servizio e l’utilizzo del software necessario comportano il semplice pagamento di un canone, direttamente commisurato al numero di utenti e di credenziali attivate. Liberando dalla necessità di installare hardware e software sui dispositivi degli utenti, il servizio di Intesi e InfoCert è un’opportunità notevole per tutte quelle organizzazioni che, pur avendo una popolazione di utenti significativa, vogliono avviare l’utilizzo delle tecnologie di firma senza oneri di acquisto di costosi apparati e di progettazione di complesse architetture di sicurezza. La firma remota è così lo strumento ideale per diverse tipologie di organizzazione. Ad esempio, le banche che hanno necessità di raggiungere i propri clienti con nuovi servizi ad alto valore aggiunto senza costringerli a recarsi in filiale. Magari per far sottoscrivere, direttamente da casa o dall’ufficio, i contratti d’acquisto quali quelli per le carte di credito. Ed ancora le pubbliche amministrazioni, locali e centrali, che vogliono eliminare il supporto cartaceo, rispettando così le ultime direttive ministeriali sulla semplificazione amministrativa. O i poli universitari e di ricerca che voglioni minimizzare il tempo impiegato nell’espletamento delle formalità burocratiche.
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I ntesi G roup S .p.A.
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publiredazionale E gli operatori dell’ambito sanitario, la cui rapidità d’esecuzione delle attività accessorie consente di dedicare maggiori risorse alla salute dei cittadini. Ma gli esempi potrebbero essere molti, ma molti di più. Funzionamento e aspetti tecnici della firma remota Grazie agli investimenti congiunti dei due partner, è stata messa a punto - presso la server farm di InfoCert - una configurazione completa hardware e software ad alte affidabilità e prestazioni per la generazione e la gestione delle credenziali (certificati e chiavi di sicurezza). L’installazione in produzione di sistemi multipli, operanti in parallelo, garantisce la tolleranza ai guasti e incrementa la capacità operativa grazie al bilanciamento del carico, con distribuzione delle richieste di firma su tutti i server in linea: diverse migliaia di firme al secondo, con una popolazione di decine di milioni di credenziali contemporaneamente attive. E la configurazione speculare nel sito di disaster recovery garantisce la continuità di esercizio, anche in caso di gravi disservizi del sito primario. Inoltre, un articolato sistema di Strong Authentication - nel pieno rispetto della normativa italiana - mette a disposizione degli utenti un meccanismo di autenticazione basato su generazione e controllo
di password dinamiche (OTP - One Time Password). Ad esempio, l’utente può di volta in volta avere – in modo semplice, poco impegnativo ma assolutamente sicuro – il codice OTP, ricevendolo mediante SMS sul proprio telefono cellulare o generandolo direttamente su di esso grazie all’attivazione di specifiche configurazioni. O, in alternativa, adottando dispositivi hardware di mercato quali Vasco ed RSA, già perfettamente integrati nella soluzione. L’azienda o ente che aderisce al servizio può installare presso la propria sede uno o più sistemi di firma virtuali per gestire le richieste e smistarle verso i sistemi presenti in InfoCert, garantendo la segretezza e l’inviolabilità dei documenti da firmare che non possono essere consultati al proprio esterno: il processo di firma prevede, infatti, l’elaborazione in locale del documento e il successivo invio ai sistemi remoti della sola “impronta” da firmare. Giacché tutte le operazioni che non implicano l’accesso alle chiavi private vengono svolte localmente, il traffico sulla rete di collegamento con InfoCert è assolutamente contenuto con conseguente vantaggio in termini di prestazioni complessive della soluzione che è facilmente integrabile con le applicazioni dell’organizzazione cliente, grazie ad una ricca gamma di API disponibili per i principali ambienti di sviluppo .Net, Java e Web Services.
L’eccellenza di Intesi Group Intesi Group SpA è un’azienda italiana di Information & Communication Technology specializzata in firma digitale, sicurezza logica dei dati, card processing, system integration e service management. In questi ambiti applicativi ha sviluppato un percorso di eccellenza, avviato sin dal 1998 – anno di sua fondazione ad opera di tre professionisti ICT - e costantemente finalizzato a ideare e realizzare prodotti e servizi ad alta innovazione di cui trasferire i benefici ai clienti, senza gravarli degli aspetti più tecnici. Grazie all’identificazione di best practices e all’uso di tecnologie all’avanguardia, Intesi Group progetta e rilascia soluzioni dall’utilizzo semplice ed immediato in grado di governare la complessità delle problematiche affrontate, senza svilirla in alcun modo. Con tale metodologia, l’azienda è in Italia uno dei player più accreditati nell’offerta di prodotti e
soluzioni per la realizzazione di infrastrutture di firma e nell’ideazione di tecnologie di supporto allo sviluppo delle applicazioni in cui la sicurezza è un requisito abilitante. Dematerializzazione di documenti con valore legale, fatturazione elettronica, conservazione sostitutiva a norma, tesoreria sono solo alcuni di questi ambiti applicativi, il cui numero cresce giorno dopo giorno. Indipendentemente dalle dimensioni del progetto da affrontare, i prodotti della famiglia PkSuite di Intesi Group rendono facile l’integrazione di operazioni di firma, verifica, applicazione di marche temporali, controllo dello stato dei certificati e interfacciamento sia dei dispositivi crittografici sia delle Certification Authority, gestendo quindi tutte le funzionalità tipiche di un’applicazione di firma secondo i requisiti di legge.
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m a n ag e m e nt
di
Misurare la complessità per gestire il rischio
Milo Gusmeroli
Vicedirettore Generale Banca Popolare di Sondrio
Le imprese operano in un sistema economico che, per sua natura, è aperto e dinamico: vari fenomeni che si verificano nell’attuale mondo globalizzato e la comparsa di nuovi soggetti lo rendono sempre meno prevedibile. Ma l’incertezza è sinonimo di rischio. Per questo, gestire la complessità con un nuovo approccio pratico e rigoroso è diventata oggi una questione di importanza strategica per le imprese.
Uno dei fenomeni che caratterizzano i nostri giorni è rappresentato dalla cosiddetta globalizzazione, ovvero il progressivo allargamento in senso lato della sfera delle relazioni sociali che consente di superare i confini fisici propri della nostra condizione di individui. Il mondo è diventato per certi versi “piccolo” e, sicuramente, sempre più interconnesso. Questa sorta di “interrelazione globale” ha consentito una generale maggiore libertà personale ma anche una crescente interdipendenza, per cui modifiche sia pur marginali che avvengono in una parte del pianeta avranno, in virtù di questa interdipendenza, ripercussioni anche in altri angoli del pianeta stesso, in tempi relativamente brevi. Siamo dunque consapevoli di fare parte di contesti (sistemi) dotati di elevata e crescente imprevedibilità. Appare quindi auspicabile un nuovo approccio teorico e pratico volto a rappresentare il momento storico in cui viviamo non tanto e non solo attraverso la semplice scomposizione ed analisi dei diversi elementi | 46 |
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che lo costituiscono, ma bensì determinandone le regole di funzionamento, di reciproca influenza e del conseguente adattamento al mutare delle condizioni di riferimento e, in ultima analisi, quantificandone il grado di fragilità ovvero di incertezza. La genesi della teoria della complessità La “teoria della complessità”, come termine, vede la sua genesi nel 1978 in un articolo pubblicato sulla rivista “Scientific American”; pur tuttavia la materia è stata oggetto di trattazione, in modo più o meno esplicito, già in periodi precedenti. Nel 1984 è stato costituito il primo centro internazionale avente come missione la tematica della complessità: l’istituto di Santa Fe. In senso assoluto e anche da un punto di vista scientifico, la complessità non trova una precisa e puntuale definizione. È forse più facile fare riferimento alla nozione di complesso e del relativo contrario, ovvero semplice. In verità lo spartiacque tra le due
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di
Sergio Tagni
ICT auditor Banca Popolare di Sondrio
Osservando la natura, tale considerazione appare evidente e viene facile comprendere come nell’ecosistema naturale ogni elemento sia in realtà un sistema complesso sebbene in gradi diversi. Potremmo quindi riassumere i concetti sopra espressi sostenendo che, in natura – nel senso lato del termine – i sistemi hanno caratteristiche proprie che variano nello spazio e nel tempo in modo non lineare ovvero non deterministico. La complessità è quindi una grandezza potenzialmente misurabile di un sistema il cui andamento influenza in modo “strategico” il sistema stesso, rappresentandone peraltro uno dei presupposti per lo sviluppo. Un insieme consistente di entità caratterizzato da una trama di relazioni fitte è infatti la base per lo sviluppo di nuovi elementi o caratteristiche non determinabili a priori che consentono di acquisire nuove peculiarità: in pratica il sistema sembra assumere un comportamento che è slegato da quello dei suoi componenti. Il “sistema” citato in precedenza può essere costituito da vari fenomeni non sempre e non solo materiali, quali la cultura, la politica e l’economia. Prima di procedere, è opportuna una doverosa precisazione tra i termini “complesso” e “complicato” che a volte sono impropriamente utilizzati come sinonimi: un sistema può essere complicato in quanto strutturalmente formato da molti elementi senza per questo risultare complesso ovvero in grado di comportarsi in maniera inaspettata. definizioni non è rigido e fissato in termini assoluti, quanto piuttosto variabile in base alle situazioni. Razionalizzando i concetti sopra espressi potremmo definire “semplice” l’entità minima normalmente chiusa ovvero non aperta verso il sistema della quale fa parte e quindi priva di relazione con altre entità. La situazione descritta risulta essere, nel nostro quotidiano, praticamente impossibile. La complessità, per come ne abbiamo delineato le caratteristiche, potrebbe essere intesa come una peculiarità di ogni sistema in quanto dinamico, sia questo inteso come fenomeno naturale, sociale o economico. Tale peculiarità è peraltro derivante dall’interazione dei vari elementi costituenti il sistema e non solo dalle caratteristiche di questi ultimi.
Rischio e complessità Nel presente contesto, possiamo definire il rischio come sinonimo di incertezza e, quindi, l’esposizione del sistema a quest’ultima. L’incertezza è quindi il fenomeno che, come abbiamo visto parlando di complessità, può essere considerato onnipresente nella nostra realtà. L’economia, quindi il “sistema economia” inserito tra i vari “rapporti umani”, è uno dei possibili esempi che hanno dimostrato, nel recente passato, cosa comporti vivere in un ambiente non deterministico e sottoposto a forte dinamicità con la conseguente manifestazione di comportamenti latenti del tutto imprevedibili. Pen-
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Un sistema può essere complicato o molto complicato in quanto strutturalmente formato da molti elementi senza per questo risultare complesso ovvero in grado di comportarsi in maniera inaspettata.
siamo solo all’impatto che l’introduzione di sofisticati sistemi finanziari ha avuto sull’economia reale: l’imprevedibile comportamento del sistema unito alla dinamicità in senso spaziale e temporale dello stesso, hanno portato a rendere possibili casi non contemplati nei modelli di calcolo del rischio normalmente utilizzati. Le attuali metodologie di calcolo dell’esposizione al rischio hanno una certa quantità di soggettività derivante anche dalle finalità della gestione oltre che dalla sensibilità di chi effettua la valutazione del rischio stesso. In tal senso, i vari enti normatori si sono nel tempo attivati al fine di ovviare al problema sopra esposto affinando anche le tecniche di verifica. Appare comunque evidente come l’opportunità di semplificare il nostro modo di organizzare le cose stia assumendo un ruolo sempre più importante proprio nell’ottica di gestione del rischio e, quindi, della fragilità vista come tale. Relativamente alla definizione della fragilità ci viene in aiuto un Principio determinato dal Dr. Marczyk della società Ontonix, il cosiddetto “Principio di incertezza”, che si esprime con la seguente equazione: “Complessità * Incertezza = Fragilità”. La formula aiuta forse a comprendere meglio perchè è opportuno gestire la complessità e come tale azione diventi una questione di importanza strategica non solo per aziende ma anche per governi e nazioni: 1. la complessità di tutte le cose è destinata ad aumentare per via delle leggi della natura. Infatti, la spinta evolutiva nella nostra biosfera si manifesta proprio attraverso l’apparizione di organismi via via più complessi; 2. l’incertezza (turbolenza) del nostro eco-sistema socio-politico-economico aumenta (grazie anche alla menzionata globalizzazione ed al conseguente aumento delle libertà individuali e dei tempi di diffusione e propagazione degli eventi); 3. la fragilità aumenta inevitabilmente. Va quindi gestita attraverso le nostre “azioni” (ossia come gestiamo le aziende, sistemi di traffico, etc.). In pratica, per mantenersi su livelli costanti di fragilità bisogna diminuire la complessità per contrastare l’aumento dell’incertezza (in questo caso dovuto alle leggi della fisica). | 48 |
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misurare la complessità: l’esperienza della Banca popolare di sondrio Il tema della misura della complessità è molto dibattuto tra gli esperti della materia. Nel presente intervento faremo riferimento a quanto realizzato dalla società italiana Ontonix che propone un proprio sistema di calcolo applicato a livello internazionale in aziende di diversi settori merceologici. La principale difficoltà nel misurare la complessità deriva essenzialmente dall’assenza di un concetto univoco che la definisca. Si tratta quindi non tanto di determinare la complessità dei singoli elementi costituenti il sistema quanto piuttosto quella dell’insieme inteso come componenti dinamiche tra loro relazionate secondo logiche non sempre evidenti a priori. La Banca, ma potremmo parlare della maggior parte se non della totalità delle imprese, opera nell’ambito di un sistema economico che, per sua natura, è aperto e dinamico e, quindi, soggetto alla comparsa di soggetti, pratiche, fenomeni di varia natura che lo rendono difficilmente prevedibile. La banca può essere vista come un aggregato di unità organizzate secondo un determinato modello di business, ma anche come l’insieme dei clienti della stessa, delle direttive strategiche e delle conseguenti politiche di gestione. L’azienda opera in un ambito territoriale più o meno esteso, ha dei concorrenti diretti a loro volta costituiti da un insieme di soggetti che potrebbero avere delle relazioni con diversi altri istituti. La banca opera nel sistema finanziario ed è inevitabilmente influenzata dalle oscillazioni, dallo sviluppo e dalle crisi di quest’ultimo; è peraltro fortemente informatizzata e connessa in tempo reale con i mercati, ulteriore elemento di apertura e di relazione interno ed esterno. L’indice di complessità “Ontospace” della società “Ontonix”, di cui la Banca Popolare di Sondrio si avvale, è una misura che si pone l’obiettivo di determinare la complessità aziendale o, meglio, del relativo contesto analizzato, descrivendo la mappa delle relazioni tra gli elementi presi a riferimento, il livello di robustezza o di sostenibilità del business, l’indice di stabilità dell’insieme analizzato. In modo abbastanza intuitivo, una complessità alta comporta maggiore sforzo di gestione tanto è vero che, di norma, la soluzione preferibile, a parità di condizioni, è quella più semplice. In linea generale, un sistema non può svilupparsi oltre il proprio limite fisiologico che, nell’ambito del presente contesto, viene definito “complessità critica”. Quando tale livello viene raggiunto il sistema tende a divenire più fragile e, in definitiva, vulnerabile incrementando significativamente l’esposizione a situazioni di crisi. Peraltro, l’elevato grado di apertura del sistema comporta la
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rapida propagazione del fenomeno con impatti non determinabili a priori. Generalizzando, una crisi locale può avere ripercussioni su scala globale. Lo stato di salute di un sistema può anche essere espresso come la differenza tra la complessità e la complessità critica dello stesso: di conseguenza è bene saper gestire tale differenziale al fine di preservare l’azienda da possibili fenomeni critici che, ovviamente, possono avere origine da elementi esterni ma anche provenire dall’interno dell’azienda stessa. Una prima caratteristica da citare nel descrivere il sistema di misura definito da “Ontonix” è come lo stesso sia “model-free”, al fine di evitare l’introduzione di distorsioni nelle analisi. Il risultato ottenuto vuole quindi rappresentare la “realtà” presente nei dati considerati. L’obiettivo di partenza è quello di estrarre la struttura nascosta nei dati multidimensionali preservando le informazioni originali e, soprattutto, non utilizzando tecniche statistiche o approssimazioni/ metodi di regressione, che possano alterare le informazioni contenute nei dati. Descrivendo sommariamente quello che è il processo di analisi di Ontonix, la prima fase consiste nel considerare le variabili che compongono la definizione del sistema: tale confronto viene effettuato per
tutte le coppie di elementi di dati rappresentando il risultato nei grafici a dispersione. Il passo successivo è quello di esprimere le grandezze sopra determinate in immagini, processando queste ultime con tecniche proprie dell’elaborazione digitale al fine di determinare il grado di “struttura” contenuto nelle stesse. Viene quindi determinata la mappa del sistema intesa come insieme dei flussi di relazione tra le variabili che compongono il sistema stesso. Nel dettaglio, le variabili vengono rappresentate in diagonale secondo l’ordine di catalogazione previsto e i legami tra le stesse sono espressi da punti e linee di intersezione. Nella mappa sono inoltre riportate con un cerchio le variabili “hub”, ovvero caratterizzate da un elevato grado in interscambio nell’ambito del sistema analizzato e, quindi, quelle potenzialmente più critiche. Il software è in grado di calcolare il grado di complessità del sistema analizzato, secondo funzioni specifiche, rappresentando lo stesso nelle tre grandezze che ne consentono una adeguata gestione: i livelli di complessità minimo, attuale e massimo. Semplificando l’esposizione, possiamo dire che il sistema raggiunge il grado di complessità massimo quando tutte le relazioni tra gli elementi sono sature: il progressi-
La mappa di sistema
Esempio di una mappa di sistema nella quale sono riportate le variabili riferite all’azienda e quelle dell’ecosistema di appartenenza (concorrenti diretti, situazione del mercato in cui opera, mercati finanziari e variabili economiche globali). I punti e le linee rappresentano i collegamenti in essere tra le variabili. A destra i dati riassuntivi del sistema con la misura della complessità e il rating (in basso a destra) rappresentato da un valore compreso tra 1 a 5 stelle.
Economia mondiale
Mercati finanziari
Concorrenza Segmento di mercato
Map info: Nodes: 167 Active Nodes: 167 Rules: 3957 Density: 0,29 Entropy: 33378,71 Complexity Measures: Critical: 76,47 Current: 54,94 Minimum: 21,05 76,47
Ecoistema 54,94
Azienda
21,05 Robustness: 79,1% Rating: I I I I www.ict4executive.it
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La complessità è misurabile in modo oggettivo, consentendo di individuare il posizionamento e il limite oltre il quale un’azienda diventa eccessivamente complessa e dunque fragile, vulnerabile e a rischio di sopravvivenza.
vo avvicinarsi a tale soglia è indice di una crescente imprevedibilità del sistema. Al contrario, un livello di complessità prossimo alla soglia minima è sinonimo di un sistema stabile che sostanzialmente opera in modo deterministico. Sinteticamente, la complessità è funzione dei seguenti elementi: • la struttura, come espressione delle componenti il sistema; • l’entropia, intesa come quantità di informazioni scambiate all’interno del sistema e, parallelamente, il grado di “disordine” all’interno dello stesso; • il grado di risoluzione del sistema, rappresentato dall’insieme delle variabili considerate; • il grado di granularità, inteso come la quantità, in termini spazio temporali, delle osservazioni effettuate e, quindi, dei dati elaborati. Inutile precisare come la risoluzione del sistema e anche la granularità dei dati siano due elementi estremamente critici e che possono condizionare in modo assoluto le risultanze ottenute. Applicazione concreta del modello Ontonix in Bps Descrizione del rating di stabilità del business Come abbiamo già visto, la banca è inserita all’interno del proprio sistema di riferimento e in tale ambito opera secondo le direttive gestionali. Uno dei punti di partenza di una sana e prudente gestione potrebbe essere rappresentato da una crescita graduale e costante nel tempo dei risultati aziendali costituendo una espressione di solidità e indipendenza rispetto all’andamento generale del sistema economico. L’indice di stabilità viene incontro a questa esigenza valutando il sistema nel quale l’azienda opera attraverso il calcolo di un valore su scala da 0 a 1 che ne esprime il grado di volatilità. Il punto di partenza per effettuare il calcolo è costituito dalle principali variabili che caratterizzano le varie dipendenze della banca: citiamo quale esempio i dati relativi alla raccolta, agli impieghi, al numero di dipendenti ecc. | 50 |
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I risultati osservati consentono di determinare le filiali caratterizzate da una maggiore stabilità e quelle nelle quali le variabili hanno una maggiore oscillazione. L’indice calcolato, peraltro, può essere utilizzando anche per altri tipi di interpretazione: un esempio è costituito dall’ottica commerciale, per la quale la dipendenza caratterizzata da elevata stabilità potrebbe in realtà essere passiva rispetto alle prospettive di espansione del business. Di riflesso si potrebbe stimolare una riflessione circa l’adeguatezza del personale preposto ovvero il giusto dimensionamento quantitativo dello stesso come pure le eventuali peculiarità del mercato considerato. Il confronto dell’indice calcolato con quello dell’area di riferimento ovvero della stessa tipologia di filiale, costituisce un ulteriore elemento valutativo per intraprende le azioni strategiche più opportune. Descrizione dell’applicazione sperimentale nell’ambito del processo del credito Il cliente è, a tutti gli effetti, un “sistema” per come l’abbiamo definito in precedenza e può essere quindi oggetto di analisi quale entità autonoma. Nel caso specifico della banca tale analisi viene svolta con finalità di riduzione del rischio, ad esempio quello di credito. Vengono quindi presi a riferimento i dati del cliente, i rapporti intrattenuti dallo stesso piuttosto che quelli derivanti dalla centrale dei rischi banca d’Italia, al fine di tracciare, nel tempo, il profilo di complessità analizzandone nel dettaglio le componenti. La complessità e gli indici ad essa correlati possono quindi portare alla determinazione di un giudizio complessivo che viene sottoposto alle competenti strutture con lo scopo di intraprendere le azioni opportune volte al contenimento del rischio. Conclusione Una riflessione finale ci porta a porre l’attenzione di tutti sulla tematica della complessità, che incorpora e supera quella della gestione del rischio. La complessità è una misura presente in natura e in ogni sistema, rappresenta una condizione favorevole per l’evoluzione e per affrontare le correlate sfide. La complessità è misurabile in modo oggettivo, secondo i sistemi descritti nel presente intervento, consentendo di individuare il posizionamento e il limite oltre il quale una data struttura diventa eccessivamente complessa e dunque fragile, vulnerabile e a rischio di “sopravvivenza”. Potrà quindi risultare indispensabile adottare nuovi criteri gestionali che mirino a considerare la complessità o, meglio, la soglia massima di quest’ultima gestibile dal sistema, come l’elemento utile e quindi il “faro” da osservare per guidare l’azienda nel suo operare nell’ambito di mercati sempre più turbolenti e imprevedibili.
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di
Andrea Cravero
EPM Sales Consultant Senior Director Oracle Western Europe
Strategie intelligenti per tempi incerti L’eccellenza nella gestione (Management Excellence), intesa come estensione di quella operativa, necessita di maggiore attenzione da parte delle imprese. L’utilizzo di un framework di riferimento aiuta a individuare le azioni da compiere per migliorare le performance aziendali, dal monitoraggio delle attività quotidiane fino all’affinamento delle tecniche previsionali.
Oggi i CFO sanno che è sempre più difficile fornire previsioni che vadano oltre il riferimento temporale del trimestre: a prescindere dal settore di attività e dall’area geografica, infatti, il business ormai è diventato una questione da gestire praticamente in tempo reale. “La strategia è importante, ma non oggi” è una frase che ricorre spesso. Il dilemma che molte organizzazioni stanno affrontando oggi è proprio quello di garantire da un lato la leadership nel lungo termine e dall’altro riuscire a gestire le urgenze del momento, concentrandosi sul core business ed intraprendendo tutte le necessarie azioni protettive. Gli strumenti di Enterprise Performance Management possono aiutare a risolvere questa sfida, contribuendo a ottimizzare i processi di governo e gestione d’impresa e a creare un’azienda intelligente, flessibile e allineata, capace di colmare così il divario tra breve termine (l’attenzione
all’oggi) e lungo termine (il respiro strategico). Ciò è possibile riconciliando due approcci: l’attenzione all’interno (ai piani, alla negoziazione, alle performance interne) e l’attenzione all’esterno (al mercato, ai concorrenti, ai clienti). Vuol dire riuscire a interpretare al meglio i dati disponibili (intelligenza), percepire i cambiamenti del mercato (flessibilità) cogliendone le opportunità e saper comprendere i contributi e le richieste degli stakeholder (allineamento). Intelligenza - Smart Oggi non vi è carenza di dati, tutt’altro. Quello che realmente importa però è la capacità di interpretarli e sfruttare al meglio le informazioni che se ne derivano . Nello studio “Competing on Analytics”1, i professori Thomas Davenport e Jeanne Harris mostrano come le aziende possano fare la differenza dal punto di vista strategico www.ict4executive.it
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Figura 1 – Management Excellence
Competitivve advantage
Smart agile aligned
Il framework Management Excellence MANAGEMENT EXCELLENCE
OPERATION EXCELLENCE
Tempo
grazie all’analisi continuativa dei dati interni ed esterni e alla sperimentazione di nuovi metodi di miglioramento. Flessibilità - Agile Quasi ogni articolo o studio inizia con una frase che recita così: “Nell’attuale scenario mondiale, il mondo del business sta assumendo caratteristiche sempre più complesse”, oppure: “Nell’attuale scenario mondiale, il ritmo del business sta aumentando a grande velocità”. Nonostante possano essere considerate un cliché, sono affermazioni veritiere. La globalizzazione ha portato alla concorrenza fra diverse aree del pianeta. La concorrenza scaturisce inoltre da mercati contigui e da nuovi sviluppi tecnologici. In questo contesto le imprese che hanno maggiori probabilità di successo sono quelle in grado di dimostrare più flessibilità e capacità di adattamento. Allineamento - Aligned Nello studio “The Future of Work”2, il professor Thomas Malone riporta alcuni dati che dimostrano come, anche in presenza di fusioni e acquisizioni, le dimensioni medie delle imprese si siano ridotte. Una situazione dovuta principalmente all’outsourcing e alla focalizzazione sulle competenze cosiddette “core”. Per avere successo le imprese necessitano di una più stretta collabora| 52 |
zione lungo l’intera catena del valore. Il vantaggio strategico è infatti il risultato di una gestione ottimale delle relazioni piuttosto che della gestione dei processi.
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Ma quanto sono davvero preparate le imprese ad affrontare questa sfida? Gli ultimi vent’anni hanno visto notevoli passi avanti sul fronte dell’eccellenza operativa, per esempio attraverso l’introduzione di sistemi ERP, CRM, SCM che hanno consentito la standardizzazione dei processi aumentandone l’efficienza e riducendo il costo per transazione. Eppure i processi di governo dell’azienda, essenziali per conciliare la leadership nel lungo termine e l’operatività immediata, neppure si avvicinano a quel livello di perfezionamento. I processi di management risultano infatti spesso poco definiti e relativamente poco sviluppati. In altre parole, l’eccellenza nella gestione (Management Excellence), come estensione di quella operativa, necessita di maggiore attenzione. Per predisporre, pianificare, valutare ed elaborare gli elementi che portano alla Management Excellence, le imprese possono ricorrere ad un framework recentemente introdotto da Oracle, e definito Strategy-to-Success (S2S): esso è un’estensione del concetto di Porter3 che definisce la catena del valore attraverso i vari processi di business. Come qualsiasi altro processo di business, l’approccio S2S prevede una serie di passaggi, nello specifico sei: • Gain to sustain - comprendere l’ambiente degli stakeholder e migliorare le comunicazioni con essi. • Investigate to invest - identificare le opportunità e i rischi del mercato. • Design to decide - formulare e confrontare le diverse strategie. • Plan to act - sviluppare e implementare il business plan. • Analyze to adjust - monitorare, identificare eventuali problemi e apportare le necesarie azioni correttive. • Record to report - raccogliere informazioni necessarie a fornire un feedback rilevante a tutti i livelli dell’organizzazione (e agli stakeholder esterni).
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In sostanza, le imprese devono comprendere le aspettative dei loro stakeholder, analizzare il mercato, definire le strategie di supporto al modello di business, gestire il business plan, condurre le attività di business e fornire un riscontro a tutti i livelli attraverso la misurazione dei risultati. È opportuno porre l’accento sul primo passaggio, che fa capire come la gestione delle performance non sia una pratica top-down. Le aziende si trovano infatti a operare all’interno di una rete composta da stakeholder differenti e ciascuno di essi contribuisce alle performance aziendali. I dipendenti contribuiscono con il lavoro, gli azionisti apportano il capitale, i fornitori e i partner mettono a disposizione materiali e servizi per progettare, costruire e vendere i prodotti, i clienti generano la domanda, la società offre un’infrastruttura e gli enti normativi garantiscono un clima di concorrenza leale. Le imprese possono contare su questi contributi solo se riconoscono e accettano le esigenze degli stakeholder. Devono mappare i loro contributi e le loro richieste, utilizzandole come base sulla quale sviluppare la loro strategia.
Gli ultimi vent’anni hanno visto notevoli passi avanti sul fronte dell’eccellenza operativa, per esempio attraverso sistemi ERP, CRM, SCM. Ma i processi di management risultano spesso poco definiti e relativamente poco sviluppati.
In conclusione, visti i tempi particolarmente tumultuosi, questo framework risulta di estrema praticità e utilità in quanto mette in correlazione le pressioni del breve termine con la visione di lungo termine. I singoli passaggi del framework Strategy-toSuccess richiedono azioni immediate che possono essere intraprese per migliorare le performance aziendali, dal monitoraggio delle attività quotidiane fino all’affinamento delle tecniche previsionali. Questo framework di Enterprise Performance Management, insomma, aiuta le imprese a gestirsi al meglio anche in tempi incerti come quelli attuali, mettendole nella condizione di far fronte correttamente alle rapide modificazioni delle condizioni macro-economiche, alle improvvise decisioni dei governi, ma anche alla volatilità dei prezzi dei prodotti, dei corsi valutari e dei tassi di interesse.
Figura 2 - Strategy-to-Success High Impact Performance Management
Traditional Performance Management
SMART
Gain to sustain
Investigate to invest
Design to decide
Plan to Act
Analyze to Adjust
Record to Report
AGILE
ALIGNED
1. Thomas H. Davenport e Jeanne G. Harris (2007), Competing on Analytics: The New Science of Winning, Harvard Business School Press. 2. Thomas W. Malone (2004), The Future of Work: How the New Order of Business Will Shape Your Organization, Your Management Style, and Your Life, Harvard Business School Press. 3. Michael E. Porter (1985), Competitive Advantage: Creating and Sustaining Superior Performance, The Free Press. www.ict4executive.it
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r u b r ic a | r ice rche e st u d i a cura di
andrea ferretti
Ricerca del Politecnico di Milano: L’eCommerce B2c cresce del 14% nel 2010. Ora è un mercato da 6,5 miliardi di euro
Sicurezza dei dati aziendali. Il 97% delle aziende ha cieca fiducia nella correttezza dei propri dipendenti Il recente caso di WikiLeaks – in cui pare che la fuga di notizie riservate sia da attribuirsi ad un impiegato che li avrebbe salvati su semplici Cd Rom – può servire da spunto per stimolare una riflessione circa la sicurezza dei dati sensibili all’interno delle aziende. Da una ricerca svolta da Yarix, azienda che opera nel settore della sicurezza informatica, e basata su 213 interviste a manager italiani in diversi settori, emerge che il 97% del campione preso in esame si dichiara certo del fatto che i propri dipendenti non trafughino dati aziendali riservati senza autorizzazione. I dati dimostrano invece che si tratta di un fenomeno ben più diffuso: il 5% delle aziende che sono state colpite da attacchi informatici
hanno scoperto in seguito che il danno deriva o da un uso fraudolento dei dati da parte dei propri dipendenti o da disattenzioni colpose, e il 17% di queste dichiara che il danno subito è stato elevato. Il 100% delle aziende che non adotta nessuna misura di sicurezza per prevenire il fenomeno dichiara altresì di avere assoluta fiducia nei propri dipendenti, e quindi di non essere preoccupato dall’eventualità di una fuga di dati. Si tratta di un atteggiamento piuttosto ingenuo, soprattutto in realtà di grandi dimensioni, aggravatao dall’attuale momento di crisi, in cui alcuni dipendenti potrebbero nutrire risentimento verso l’azienda a causa di ritardi nei pagamenti o per ricorsi alla cassa integrazione.
L’eCommerce B2c ritorna a crescere in Italia. Dopo la battuta d’arresto del 2009, le vendite online aumentano infatti del 14% nel 2010, facendo così raggiungere al mercato un valore di 6,5 miliardi di euro. Per la prima volta si supera la soglia dell’1% di vendite online sul totale delle vendite retail, un dato che riguarda sia le vendite di servizi (+15%) che di prodotti (+13%). Le stime sono dell’Osservatorio eCommerce B2c della Business School del Politecnico di Milano. Positivo è il confronto con l’andamento dei principali mercati europei e con gli USA, dove la crescita attesa è mediamente inferiore a quella nel nostro Paese. L’incremento previsto nel 2010 per il mercato italiano è infatti circa doppio rispetto a quello inglese e statunitense
(+8%), superiore a quello tedesco (+12%) e in linea con quello francese (+15%). A testimonianza di un mercato ritenuto finalmente interessante (dopo UK, Germania e Francia, l’Italia è considerata il quarto mercato europeo) si registra l’ingresso di un player del calibro di Amazon nel mercato italiano, con un sito ed un’offerta dedicata. Anche nel 2010 è l’Abbigliamento a far registrare l’incremento più elevato con il 43% di crescita rispetto al 2009, mentre tutti gli altri settori hanno incrementi compresi tra gli 11 ed i 19 punti percentuali. In valore assoluto sono invece Turismo (con +443 milioni di euro) e Abbigliamento (con +149 milioni) i settori che danno maggiori contributi alla crescita. In particolare, in occasione di Natale si sono re-
e commerce B2C in italia: la dinamica delle vendite per comparto merceologico 6.582 mln di € 5.754 mln di €
5.763 mln di €
5.032 mln di €
85
189 491
Fonte: Politecnico di Milano
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1.160
2008
2009
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Altro Grocery Editoria, Musica, Audiovisivi Abbigliamento
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Assicurazioni
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Informatica ed Elettronica
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Turismo
2010 (stima)
gistrati 6 milioni di acquisti online per un valore di quasi 1,5 miliardi di euro; 1 viaggio ogni 10, 1 libro su 13 e 1 televisore su 15 sono stati acquistati online. Gli acquisti più gettonati - secondo Netcomm - sono stati i regali tecnologici, soprattutto smartphone, nuove TV, tablet pc ed e-reader. In generale il settore Informatica ed Elettronica ha segnato un + 20% rispetto al Natale scorso. Gli acquirenti online in Italia hanno raggiunto quota 8 milioni, spinti certamente anche da fenomeni sociali come i social network, che hanno determinato l’acquisizione di una maggiore dimestichezza e fiducia nel Web. La spesa media annua dell’acquirente italiano è allineata a quella dei consumatori online francesi e tedeschi con valori compresi tra gli 800 ed i 900 euro ed è significativamente più bassa di quella dei web shopper inglesi, pari a oltre 1.400 euro. L’export cresce del 19% raggiungendo quota 1,05 miliardi di euro, e sono moda, voli e hotel le categorie merceologiche più vendute all’estero, tanto che alcuni tra i brand più noti della moda Made in Italy hanno una quota di export – prevalentemente in Unione Europea, Stati Uniti e Giappone – decisamente superiore alle vendite effettuate in Italia. La bilancia import-export dell’eCommerce italiano è però nel complesso negativa. Il valore assoluto dell’import è infatti pari ad oltre 2 miliardi di euro, più del doppio del valore dell’export, essenzialmente riconducibile alla biglietteria aerea (ad esempio Easyjet, Ryanair) e alla prenotazione di hotel (Booking su tutti) che insieme valgono oltre i tre quarti dell’acquistato da parte di italiani su siti stranieri.
RUBRICA | ricerc h e e studi
Internet of Things. 16 miliardi di dispositivi interconnessi in rete entro il 2020 Una ricerca di Analysys Mason dello scorso ottobre ha previsto che entro il 2020 la cosidetta Internet of Things – finora tipicamente limitata ad applicazioni industriali – crescerà fino a raggiungere i 16 miliardi di dispositivi interconnessi, abbracciando il mercato consumer. La stima è tuttavia più che prudente: nel report si legge infatti che in realtà la previsione spazia in un range compreso tra un’ipotesi ottimistica che vede 44 mld di device online e una più pessimistica di 6 mld. “La prudenza si deve alla necessaria cautela con cui un’analisi a così lungo periodo deve essere condotta - affermano gli analisti -, ma ci sentiamo di affermare che per il 2020 si conterà una media mondiale compresa tra 0,6 e 5,8 dispositivi interconnessi in rete per ogni
persona”. Il mercato della Internet of Things affonda le proprie radici nelle comunicazioni di tipo industriale machine-to-machine, ovvero applicazioni telematiche in cui dei dispositivi si scambiano informazioni tra di loro in autonomia sfruttando le tecnologie wireless. Visto il continuo ribassamento nel tempo del prezzo di questa tecnologia, i produttori possono oggi impegarla in un numero crescente di prodotti ed applicazioni, pensati anche per il mercato consumer. Dagli smart meters – contatori intelligenti – per l’energia, utilizzati per regolare l’efficienza energetica in primis per applicazioni industriali, non hanno infatti tardato a comparire i più svariati sensori intelligenti a controllo remoto applicati a elettrodomestici per la casa, automobili e sistemi di si-
curezza, gestiti in mobilità da device come i cellulari di nuova generazione. Non è lontano un futuro in cui gli utenti saranno in grado di interagire con i più disparati dispositivi con il proprio smartphone e, per esempio, prenotare un parcheggio che autogestisce la disponibiltà dei posti o azionare l’impianto di condizionamento o di riscaldamento prima di rientrare a casa dopo aver controllato la temperatura. Secondo gli analisti, l’Internet delle cose, o Internet 3.0, deve tuttavia ancora assumere i contorni di una proposta per il mercato di massa, ma nei prossimi anni saranno disponibili sempre più tecnologie e strumenti affinchè ci si muova in questa direzione, e su questa intuizione gli analisti giocano la propria analisi.
Banche italiane sempre più multicanale: sono oltre 16 milioni i conti abilitati all’utilizzo via internet, telefono o smartphone. Una ricerca ABI Un conto corrente su due viene acceduto anche via Internet, smartphone o telefono. In Italia, sono infatti oltre 16 milioni i conti abilitati ad almeno uno dei canali alternativi allo sportello tradizionale. Internet è il canale preferito dalle famiglie italiane: sono abilitati ai servizi online il 48% dei conti correnti. È questo il quadro che emerge dal settimo rapporto dell’ABI su “La multicanalità delle Banche” presentato lo scorso novembre in occasione del convegno Carte 2010 e basato su una ricerca condotta alla fine del 2009. In valore assoluto, i conti correnti abilitati ad operare via internet sono 15,5 milioni, in aumento del 17,7% rispetto all’anno precedente,
e, di questi, 4,2 milioni operano quasi esclusivamente online. Ogni conto registra in media 1,4 operazioni online la settimana. Via internet gli utenti consultano il proprio estratto conto (in media 2,4 volte la settimana), fanno bonifici (movimentando più di 98 miliardi di euro nel corso dell’anno in esame), effettuano pagamenti online (spendendo 44,8 miliardi di euro), effettuano ricariche telefoniche (837 milioni di euro) e di carte prepagate (389 milioni di euro). I conti abilitati al phone banking sono invece 11,8 milioni, pari al 37% del totale dei conti correnti delle famiglie, con un aumento del 26,5% rispetto all’anno precedente. Via telefono
gli utenti richiedono informazioni sul proprio conto corrente (39 milioni di operazioni nel corso dell’anno in esame) o sull’attività di trading (34 milioni), ma effettuano anche bonifici (movimentati 2,6 miliardi di euro su questo canale) e ricariche telefoniche (40 milioni di euro) o di carte prepagate (40 milioni di euro) I conti abilitati all’utilizzo via smartphone sono 6,2 milioni, pari al 19% del totale, con una crescita del 31% rispetto all’anno precedente. Le operazioni più frequenti via cellulare sono le richieste di informazioni (circa 6 milioni, 130 mila delle quali relative ad operazioni di trading), le ricariche telefoniche (2,1 milioni di operazioni) ed i bonifici (circa 190 mila).
Le difficoltà degli imprenditori italiani nel fare impresa Una recente ricerca di Regus, azienda che fornisce soluzioni per gli spazi lavoro, ha raccolto le opinioni dei titolari di PMI di tutto il mondo per tastare il polso del settore imprenditoriale e conoscere la loro visione circa il livello di supporto ricevuto dai propri governi e istituzioni. Il 75% di titolari di impresa in tutto il mondo ritiene che gli interessi delle piccole e medie imprese siano generalmente trascurati dai governi, mentre in Italia tale percentuale sale al 93%. La ricerca, condotta su una base di oltre 5000 imprenditori di 78 diversi paesi, ha portato a definire un particolare indice di ambiente economico che riflette la visione degli imprenditori circa la facilità di gestire un’impresa nel loro paese. L’indicatore tiene in considerazione l’andamento dei ricavi e degli utili nonché le principali preoccupazioni e cause di stress per gli imprenditori; contro una media globale di circa 100 punti, l’Italia se ne aggiudica soli 52, evidenziando una situazione più difficile per il nostro paese. Il 74% dei partecipanti su scala mondiale e il 93% in Italia, ha evidenziato come l’accesso al credito sia una questione di primaria importanza per gli imprenditori, e per la quale insorgono le maggiori difficoltà imprenditoriali. A questo proposito non sembra dunque aver sortito un effetto apprezzabile il recente accordo sottoscritto
dalla Banca europea per gli investimenti e il gruppo Intesa San Paolo volto a fornire finanziamenti sul medio e lungo termine per un totale di 680 milioni di euro alle imprese italiane di piccole e medie dimensioni. L’86% degli imprenditori a livello mondiale e il 93% in Italia ha inoltre affermato che gli imprenditori e le iniziative imprenditoriali dovrebbero essere sostenuti da fondi governativi di capitale di rischio. Affermando che la conservazione del cash flow è una questione centrale per le piccole imprese di tutto il mondo, il 72% dei partecipanti su scala globale e l’88% in Italia hanno inteso dichiarare che sarebbe opportuno introdurre sanzioni legali per il ritardo nei pagamenti delle fatture. In particolare, le PMI italiane lamentano ritardi nei pagamenti che spesso causano il fallimento delle startup entro i primi 18 mesi di vita. L’ultima direttiva UE a riguardo autorizza le imprese ad addebitare l’8% di interessi alle fatture non pagate e 40€ per coprire le spese dovute alle fatture in ritardo, ma non è accompagnata da misure di esecuzione. Viste le ultime ricerche Atradius che mostrano un’Italia con la più alta media di giorni necessari per ricevere un pagamento dopo aver effettuato un servizio (83 giorni), non sorprende che la comunità di PMI italiane apprezzerebbe l’introduzione di una penale per i ritardi nei pagamenti.
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r u b r ic a | n om in e FRANCESCO SIGNORETTI Amministratore Delegato di Bravofly Da luglio 2010 Francesco Signoretti è Amministratore Delegato di Bravofly, gruppo leader in Europa per la ricerca e la vendita dei voli lowcost con sede a Chiasso. Romano, classe 1965, Signoretti si è laureato in Ingegneria Meccanica presso l’Università di Roma e ha iniziato la sua carriera nell’aprile del 1993 come consulente presso la McKinsey & Company dove è rimasto fino all’agosto del 1999. A settembre è tra i fondatori di eDreams.it, un sito dedicato al turismo on line.. Dopo due anni, in seguito ai cambiamenti della compagine azionaria di eDreams decide di passare a Wind Telecomunications dove diventa Marketing Consumer Manager. Rimane nel settore delle telecomunicazioni fino al 2004 quando, chiamato
da UniCredit Banca, diventa responsabile marketing. In UniCredit rimane fino al 2010 assumendo diversi incarichi: è prima responsabile della Direzione Organizzazione e Vice Direttore Generale di UnicreditBanca ed è a capo del Progetto Integrazione Retail di Capitalia. Nel febbraio del 2009, assume la posizione di Head of Global CRM & MultChannel Banking oltre che di Deputy Head of Global Retail Marketing & Segments per tutto il Gruppo Unicredit. La voglia di raggiungere gli amici e colleghi con i quali aveva condiviso l’esperienza eDreams (Fabio Cannavale e Marco Corradino, fondatori di Volagratis e Bravofly) e l’antica passione per i viaggi l’hanno oggi portato alla guida del gruppo Bravofly con obiettivi di grande crescita su nuovi mercati e ampliamento della gamma prodotti.
Ugo Cosentino Presidente e Amministratore Delegato di Pfizer Italia Ugo Cosentino è il nuovo Presidente e Amministratore Delegato di Pfizer Italia. L’azienda farmaceutica, con un fatturato 2009 di oltre 1,2 miliardi di euro, è presente in Italia con 3 stabilimenti di produzione (Aprilia, Ascoli Piceno, Catania), un centro di ricerca clinica a Milano (specializzato nella ricerca oncologica a livello internazionale) e unità di safety e farmacovigilanza che hanno responsabilità di controllo su oltre 35 Paesi. Contemporaneamente, Cosentino manterrà nel Paese la guida della Business Unit Specialty Care, una delle BU più strategiche per la crescita dell’azienda perché include trattamenti in aree terapeutiche importanti e a
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forte impatto sociale come l’emofilia, l’artrite reumatoide e i vaccini. Il compito di Ugo Cosentino sarà quello di rafforzare ulteriormente la presenza di Pfizer in Italia dopo la fusione con Wyeth, dando continuità e sviluppando ulteriormente quelle aree relative a farmaci innovativi che vedono Pfizer eccellere nel mercato nazionale e internazionale. Prima dell’attuale nomina, Ugo Cosentino ha ricoperto il ruolo di Vice President Operational Business Strategy Europe, con la responsabilità di guidare le funzioni Marketing, Business Innovation e Business Effectiveness della divisione Animal Health basate a Parigi. Nel 2006
Cosentino è stato Vice President e Managing Director Europe della veterinaria, gestendo un’organizzazione costituita da 900 dipendenti e con un fatturato pari a 300 milioni di dollari e portando la Wyeth ad essere l’azienda con il tasso di crescita più elevato nel periodo di gestione. In precedenza, tra il 2001 e il 2006, in qualità di General Manager per l’Italia di Wyeth Animal Health, Ugo Cosentino è riuscito a raddoppiare il fatturato del gruppo portandolo dalla undicesima alla sesta posizione di mercato. Ugo Cosentino ha conseguito una laurea in Economia presso l’Università La Sapienza di Roma.
RUBRICA | nomine
Enrico Pellegrino Managing Director di Peugeot Motocycles Italia
Enrico Pellegrino ha assunto da dicembre il ruolo di Managing Director di Peugeot Motocycles Italia. 46 anni, dopo la laurea in economia e commercio ha da subito dimostrato una grande passione per il mondo dei motori dove ha trascorso praticamente tutta la sua carriera lavorando per marchi di primaria importanza come Ford, Ducati e Yamaha. Profondo conoscitore del mercato italiano e personaggio di rinomata esperienza Pellegrino entra a far parte del gruppo PSA (Peugeot e Citroen) nell’anno in cui lo stesso festeggia il bicentenario. Sposato con una figlia, il manager ha origini calabresi e vive
da diversi anni in Brianza. Dopo la Laurea in economia e commercio e un Master in Business Administration presso la Scuola di Amministrazione Aziendale di Torino - S.A.A. ha focalizzato la sua esperienza professionale sull’automotive in area commerciale e marketing occupando diverse posizioni. Dopo l’esordio in Ford Italia S.p.A. come area manager, nel 1997 entra in Ducati iniziando come direttore di area per poi diventare direttore vendite Italia, direttore generale Italia ed infine Amministratore Delegato delle filiale UK. Nel 2002 entra in Yamaha dapprima come direttore di divisione e poi come direttore generale.
Francesco Pesci Amministratore Delegato di Brioni
Paolo Vagnone Country Manager Italia, Gruppo Generali Paolo Vagnone sarà il nuovo Country Manager per l’Italia del gruppo Generali a partire dal primo febbraio 2011. Nel nostro Paese il gruppo triestino conta il 30% degli affari totali, attraverso cinque società. Vagnone, 50 anni, ha un’ampia esperienza nel settore assicurativo, ma-
turata fra l’altro con un incarico precedente come Amministratore Delegato di Ras e Lloyd Adriatico, principale competitor del Leone in Italia. Entrato in Ras nel 1997 e Nominato Amministratore delegato nel 2005, il manager ha lasciato la società nel 2007 per assumere la guida
delle attività italiane dei fondi d’investimento gestiti da Fortress Investment Group. In precedenza ha lavorato in McKinsey. Vagnone è laureato in ingegneria elettronica e ha conseguito un Master in Business Administration presso l’Insead di Fontainebleau.
È Francesco Pesci il nuovo amministratore delegato del gruppo Brioni, azienda sartoriale nata nel 1945 a Roma con oltre 25 mila clienti, 1.800 dipendenti e un fatturato che sfiora i 200 milioni di euro. Francesco Pesci nasce a Roma nel 1967 e dopo la laurea in Economia e Business Administration conseguita nel 1992 presso la Luiss di Roma inizia il suo percorso professionale in Colgate-Palmolive per poi approdare in Brioni nel 1994. I primi passi in Brioni avvengono come assistente al direttore vendite ma, dopo un soggiorno in Giappone di diciotto mesi finalizzato a decidere la strategia distributiva di Brioni in quel mercato, assume la responsabilità commerciale per il mercato asiatico, l’Oceania
e il Medio Oriente nel gennaio 1997. Nel 2002 Pesci si trasferisce a Milano con la posizione di responsabile dello show-room Uomo che ricopre per due anni mantenendo la posizione di area manager dei mercati sopra indicati. Alla fine del 2004 Pesci lascia la Brioni per una nuova esperienza professionale che lo porta in Damiani International, prima come responsabile dell’area del Far East e poi come Direttore e Amministratore Delegato della filiale giapponese. La nuova esperienza a Tokyo permette a Pesci di perfezionare la conoscenza della cultura e della lingua giapponese, che oggi parla con fluidità, ma l’amore per Brioni lo riporta in Italia ed è del settembre 2007 la nomina a Direttore Commerciale mondo del Gruppo.
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r u b r ic a | who’ s who cio Gianluigi Castelli Executive Vice President ICT, eni
Nato nel 1954, Gianluigi Castelli oggi è Executive Vice President ICT di Eni. Laureato in Fisica a indirizzo cibernetico, dopo gli studi svolge attività accademiche presso il Dipartimento di Scienze dell’Informazione dell’Università di Milano, per poi entrare in Etnoteam, dove resta 18
Enzo Bertolini CIO, Ferrero Group
anni con diversi incarichi fino ad occupare la posizione di responsabile della Divisione di System Integration. Successivamente passa in Infostrada dove ricopre il ruolo di CIO e poi in Fiat dove nel periodo 1997–2001 opera come CIO di Fiat Auto e come CEO di Fiat GSA, la so-
cietà di servizi software del Gruppo. Approda poi al ruolo di CIO e di CTO di Vodafone Italia, azienda la cui strategia è focalizzata sull’innovazione dei prodotti e servizi e di cui l’ICT è parte integrante. Nel 2003 assume la carica di CIO del Gruppo Vodafone, con la responsabilità del coordinamento e del consolidamento informatico a livello mondo. Nel 2006 entra in Eni con il ruolo di CIO. Eni fu fondata nel 1953 come Ente Nazionale Idrocarburi, ed oggi è una Società per Azioni quotata sulla Borsa di Milano e al New York Stock Exchange (NYSE). È un’impresa integrata nell’energia, impegnata a crescere nell’attività di ricerca, produzione, trasporto, trasformazione e commercializzazione di petrolio e gas naturale, presente in 77 paesi con oltre 78.400 dipendenti.
Enzo Bertolini entra a far parte del Gruppo Ferrero nel 1992 assumendo la responsabilità di sviluppo informatico e successivamente nel 2000 prende la posizione di Direttore IT per la sede italiana. Nel 2003 assume la carica di CIO del Gruppo Ferrero entrando a far parte dell’Execu-
Agostino Ragosa CIO, Poste Italiane Nato nel 1950 a Salerno, si è laureato in Ingegneria Elettronica e Telecomunicazioni presso il Politecnico di Napoli. Tra il 1978 e il 1994 lavora in Italcable, ricoprendo incarichi via via più prestigiosi, fino alla Direzione Operativa. Successivamente passa in Telecom Italia, dove rimane fino al 2003 partecipando alla creazione stessa di Tele-
com, assumendo incarichi dirigenziali in diverse Divisioni dell’azienda: dalla Direzione Servizi della Clientela Retail, alla Business Integration, alla Direzione della Società Learning Services. È stato Consigliere di Amministrazione in Telespazio, in Telesoft e in Atesia. Dal 2004 è CIO di Poste Italiane S.p.A. e Consigliere di Amministrazione di Postecom.
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Direttore responsabile Manuela Gianni (manuela.gianni@ict4executive.it)
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tive Board, in concomitanza con la creazione della Direzione Sistemi Informativi di Gruppo, che oggi conta circa trecento professionisti IT a livello globale e comprende una serie di servizi affidati a terzi. La Direzione è nata nell’ambito di un processo più generale teso a costituire un riporto centrale, a livello Gruppo, delle diverse Direzioni aziendali che ha favorito la trasformazione della Ferrero da una confederazione di imprese nazionali ad un Gruppo con visione multinazionale. Prima di arrivare in Ferrero Enzo Bertolini ha svolto una lunga ed interessante esperienza in società di consulenza IT. Tra il 1970 ed il 1980 è stato cofondatore dell’Associazione AIC, una delle più importanti aziende italiane di consulenza, e dal 1989 al 1992, dopo l’acquisizione da parte di Cap Gemini, è strato nominato Vice Direttore Generale. Dal 2010 ha assunto l’incarico di Presidente dell’Advisory Board di CIONET Italia, sezione locale del network di CIO attivo in larga parte dell’Europa.
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