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bridging the gap between technology & business
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. Marco Giorgino: l’importanza del Risk Management . Intervista a Gianfelice Rocca, Presidente Gruppo Techint . Paul Sloane: pensiero laterale e innovazione . Il nuovo paradigma dell’Internet of Things
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POLITECNICO DI MILANO
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editoriale
Il made in Italy fra successi internazionali e crisi del Paese di
umberto bertelè presidente advisory board ict4executive
In questo periodo non felice per l’economia e la società italiana, l’industria manifatturiera - nostro caposaldo storico - sembra vivere due esistenze lontane fra loro. Semplificando al massimo, vi è un nucleo di imprese che ha il mondo come mercato di riferimento, che sta mostrando una notevole capacità di riposizionamento nelle aree in maggiore crescita e che macina utili: nucleo di cui fanno parte - anche se molto differenti per dimensioni, configurazioni giuridiche e comparti di attività - le tre imprese oggetto di interviste in questo numero (Gruppo Techint, Barilla e BravoSolution). E vi sono viceversa molte altre imprese, numericamente la maggioranza, che soffrono profondamente sotto il maglio della crisi: perché devono confrontarsi con una domanda interna e con un accesso al credito in continuo calo, perché sono vittime dirette o indirette dell’enorme debito commerciale - 91 miliardi di euro secondo Bankitalia - accumulato dalla PA e della crisi di liquidità che ne consegue, perché sono oggetto alla stregua dei privati di tasse patrimoniali indetraibili (quali l’IMU sui capannoni). La classifica dei The World’s Billionaires, messa a punto recentemente da Forbes, può essere vista come una controprova dello stato di salute delle imprese del primo nucleo. Fra gli italiani inclusi nei top 1000, infatti, vi è una netta preponderanza (solo tre le eccezioni) di fondatori, proprietari e/o principali azionisti di imprese manifatturiere con vendite e presenza fisica su scala mondiale: Michele Ferrero è il ventitreesimo uomo più ricco del mondo, seguito da Leonardo Del Vecchio (fondatore e grande azionista di Luxottica) quarantanovesimo e da Miuccia Prada settantottesima; Giorgio Armani e la famiglia Rocca (Gruppo Techint) sono fra i primi duecento; la famiglia Perfetti e Renzo Rosso fra i primi cinquecento; la famiglia Benetton, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, Mario Moretti Polegato (Geox), Sandro Veronesi (Calzedonia) e Diego Della Valle (Tod’s) fra i primi mille. Ne è una controprova anche la dinamica dell’export - che guarda a quanto esce dal nostro territorio e non a quanto è venduto (ma anche prodotto) all’estero da imprese italiane - che mette in luce non solo la continua crescita dei volumi, ma anche la nostra capacità di dirottare rapidamente i flussi verso i mercati a maggiore sviluppo. È l’altro pezzo della nostra industria manufatturiera che soffre, con un numero crescente di imprese che abbandonano l’attività - volontariamente o a seguito di fallimenti - o presentano comunque gravi sofferenze nella situazione debitoria. Una parte degli abbandoni è fisiologica, e riguarda imprese incapaci di adeguarsi a un contesto competitivo strutturalmente modificatosi nel tempo. Ma l’altra parte no, e mi rattrista il fatto che sia lo stato - con il continuo rinvio dei pagamenti - una della macrocause di questo stato di cose, che potrebbe portare a fallimenti a catena e peggiorare lo stato di salute delle banche, con ulteriori tagli dei crediti alle imprese. E mi rattristano ancor di più, se possibile, due altri aspetti messi in luce da questa vicenda: il senso di impotenza delle istituzioni, che traspare dalla sequenza di pseudo-misure succedutesi nel tempo per risolvere un problema in progressivo incancrenimento; il deficit informativo sulla finanza pubblica, che ha costretto recentemente Bankitalia a stimare prima il debito su base campionaria e a rivedere poco tempo la stima elevandola da 70 a 91 miliardi.
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BRIDGING THE GAP
BETWEEN TECHNOLOGY & BUSINESS
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cover story
L’importanza del Risk Management per il successo delle imprese di Marco Giorgino, Politecnico di Milano
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interviste
Advisory Board Umberto Bertelè Presidente Advisory Board Giampio Bracchi Politecnico di Milano Carlo Alberto Carnevale Maffè Università Bocconi Maurizio Dècina Politecnico di Milano Giuliano Noci Politecnico di Milano Paolo Pasini SDA Bocconi Andrea Rangone Politecnico di Milano Francesco Sacco Università dell’Insubria - SDA Bocconi Gianluca Spina Dean - MIP Enzo Bertolini CIO Ferrero Group Nunzio Calì Deputy CIO Fiat Group Automobiles e CIO Fiat Group Purchasing Gianluigi Castelli Executive Vice President ICT ENI Pierluigi Curcuruto COO Intesa Sanpaolo Milo Gusmeroli Vicedirettore Generale Banca Popolare di Sondrio Massimo Milanta Direttore Generale di UniCredit Business Integrated Solutions Alessandro Musumeci Direttore Centrale Sistemi Informativi Ferrovie dello Stato Filippo Passerini President, Global Business Services and CIO Procter & Gamble Mauro Viacava CIO Barilla Holding Nader Sabbaghian Amministratore Delegato BravoSolution Raffaello Balocco Segretario Advisory Board
Competere in un mondo in profonda trasformazione
Gianfelice Rocca, Presidente, Gruppo Techint
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Il Digital Marketing cresce in Barilla
Alessio Gianni, Social Media & Digital Marketing Director, Barilla G. e R. Fratelli
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Le strategie ICT di Intesa Sanpaolo e UniCredit
Silvio Fraternali, Responsabile Direzione Sistemi Informativi, Intesa Sanpaolo Group Services, e Massimo Milanta, Direttore Generale, UniCredit Business Integrated Solutions
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Acquisti online, il software italiano è usato in tutto il mondo
Nader Sabbaghian, Amministratore Delegato, BravoSolution
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L’innovazione di Tetra Pak comincia dalle persone
Gianmaurizio Cazzarolli, Direttore del Personale e dello stabilimento di Modena, Tetra Pak Italia
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reportage
Smart Working e nuovi modelli di lavoro
di Manuela Gianni
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management
Reinventare il business con il pensiero laterale
di Paul Sloane, scrittore, consulente e public speaker
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Attrarre i talenti, una dura sfida per l’Italia
di Daniele Lazzarin
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osservatorio
L’Internet of Things in Italia
di Angela Tumino e Giovanni Miragliotta, School of Management, Politecnico di Milano
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speciale “cloud & security”
Cloud e Security, uno scenario in evoluzione
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speciale “fatturazione elettronica e dematerializzazione”
Digitalizzare l’impresa, un’opportunità da non perdere
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rubrica | ricerche e studi
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rubrica | nomine
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rubrica | who’s who cio
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Cov e r s tory
Marco Giorgino
L’importanza del risk management per il successo delle imprese
Ordinario di Finanza Aziendale e Risk Management Politecnico di Milano e MIP
L’enfasi sugli obiettivi di risultato di breve periodo troppo spesso lascia poco spazio alla valutazione e alla quantificazione del rischio associato alle diverse scelte aziendali. Si tratta invece di un tema di vitale importanza: per creare valore e cogliere le opportunità del business è necessaria la presenza costante, all’interno del sistema decisionale e di controllo delle organizzazioni, di competenze e attività dedicate
1. Premessa La storia dei sistemi economici e dei mercati finanziari degli ultimi anni è stata caratterizzata da molti casi di crisi e, nelle situazioni più patologiche, di dissesti che hanno certamente lasciato il segno. È difficile trovare un “trait d’union” tra tutti. C’è però un elemento molto ricorrente che caratterizza queste situazioni negative: è il disallineamento tra profili di rendimento e profili di rischio nell’ambito del sistema decisionale e di governance delle aziende. La forte enfasi data alla necessità di raggiungere obiettivi di risultato soprattutto nel breve periodo ha spesso lasciato poco spazio alla valutazione, e alla quantificazione ove possibile, del rischio associato a determinate tipologie di scelte. Il risultato è stato che si è verificato un disallineamento tra la massimizzazione dei risultati rispetto alla capacità di imprese e società bancarie e finanziarie di creazione del valore. | 6 |
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Non è un caso, pertanto, che una delle più importanti eredità che la storia degli ultimi anni ci lascia è la crescente attenzione alle tematiche di valutazione e gestione del rischio, in una parola quello che comunemente viene denominato risk management. 2. Definizione di risk management Una definizione teorica è quella che vede il risk management definito come quell’insieme di azioni intraprese dalle aziende nel tentativo di alterare e controllare il livello di rischio associato alle linee di business e, in generale, all’impresa nel suo complesso. La valenza gestionale di questa definizione è quella di identificare i rischi associati a determinate scelte strategiche e operative dell’impresa e di assumere decisioni sulle modalità attraverso cui trattare tali rischi. Ci sono, tuttavia, alcune assunzioni errate rispetto al risk management che sarebbe opportuno puntualizzare.
c ov e r s tory | l’ i mp o rta n z a de l risk ma n ag e me n t p e r il succ e sso de lle imp re se
Innanzitutto, è errato pensare che il rischio sia solo negativo (downside risk). L’innovazione e la capacità di cambiamento sono per definizione portatori di rischio ma sono, allo stesso tempo, generatori di opportunità in grado di creare valore per l’impresa (upside risk). Assumere una valenza esclusivamente negativa del rischio potrebbe portare all’immobilismo decisionale e al non cogliere e al non costruire determinate occasioni che, nel tempo invece, potrebbero rivelarsi di successo. Di conseguenza, è errato pensare che evitare il rischio sia per definizione una strategia vincente. Oggi più che mai questo potrebbe essere dimostrato. Le imprese di successo, infatti, sono proprio quelle che investono e che hanno nell’innovazione e nel cambiamento alcune delle leve principali di sviluppo, con un governo del rischio che consente di cogliere le opportunità. La disciplina del risk management ha avuto un’evoluzione molto rilevante con un’accelerazione forte proprio negli ultimi anni, nel periodo post-crisi. Da una visione estremamente ‘assicurativa’ del rischio, che ha portato nel tempo ad una ricerca di trasferimento del rischio verso l’esterno, in primis verso il mondo delle assicurazioni, si è passati ad una visio-
ne più ‘gestionale’, che porta alla necessità di trattare il rischio in modo più ‘attivo’ valutando cosa è opportuno trasferire e cosa invece è necessario, per cogliere i vantaggi di certe scelte, trattenere e finanziare internamente. Nell’evoluzione dell’approccio, si è assistito anche ad un allargamento sempre più ampio e complesso delle varie tipologie di rischio cui l’impresa è esposta. Tale evoluzione ha riguardato anche le competenze e le professionalità necessarie per assolvere al ruolo di risk manager. Da una lettura storicamente più vicina alla figura dell’insurance manager, si è andati verso competenze più gestionali, che richiedono, da un lato, una maggiore conoscenza del business e dei suoi processi chiave, così come dei mercati finanziari dove poter trovare risposte alle esigenze di copertura ma anche elementi a supporto dell’interpretazione dell’evoluzione dell’impresa, e, dall’altro, una solida base quantitativa a supporto delle necessarie modellizzazioni per la misurazione e la gestione del rischio. La mappatura dei rischi dell’impresa oggi è un’attività estremamente articolata che passa attraverso un’attenta valutazione dei processi di business, del posizionamento sui mercati, del rapporto con intermediari e operatori finanziari, del modello
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cover story | l’i m por tanz a d e l r i s k m anage m en t p e r il succ e sso de lle imp re se
Politico
11%
Normativo
18%
Reputazione
19%
Controparte
49%
Concentrazione
51%
Rischi finanziari
Inflazione
7%
Commodity
14%
Cambio
15%
Tassi d’interesse
30%
Liquidità
32%
Rischi operativi
Credito
60%
Informatico
25%
Ambientale
26%
Esterno
26%
Risorse umane
32%
Processi
53% 0%
10%
20%
30%
organizzativo. Una recente analisi sulla mappatura dei rischi1 in un segmento molto importante del sistema imprenditoriale italiano, quale quello delle piccole e medie aziende, evidenzia la percezione dell’esposizione al rischio in tre principali categorie: a) rischi strategici, b) rischi finanziari, c) rischi operativi (Figura 1). La declinazione di tali categorie in un dettaglio maggiore vede come rilevanti, nell’ambito dei rischi strategici, i rischi di concentrazione del portafoglio sia da un punto di vista di mercato che da un punto di vista di prodotto, i rischi regolamentari, ossia di adeguamento e compliance alla normativa, e, in misura sempre più crescente, i rischi reputazionali, uno dei principali elementi di novità emerso negli ultimi anni. Un’analisi più attenta sulla categoria dei rischi finanziari lascia emergere, come sarebbe ovvio attendersi, il rischio di credito, tema di forte criticità del momento, inteso come deterioramento delle posizioni creditorie, derivanti sia da attività
Le imprese di successo sono quelle che hanno nell’innovazione e nel cambiamento alcune delle leve principali di sviluppo, con un opportuno governo del rischio associato a queste decisioni di investimento | 8 |
Fonte: Osservatorio Risk Management PMI Italiane, Politecnico di Milano, 2012
Rischi strategici
figura 1 - categorie di rischi
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commerciali sia da attività finanziarie, conseguenza dell’incremento della probabilità di insolvenza delle controparti. Significativi, seppure in misura minore, i rischi di liquidità e quelli di tasso di interesse, legati ad andamenti imprevisti della dinamica finanziaria, da un lato, e a oscillazioni inattese dei tassi di interesse unite allo squilibrio delle strutture di attivo e passivo, dall’altro. Sul fronte, infine, dei rischi operativi, di spicco sono i rischi associati alla strutturazione dei processi aziendali e quelli collegati alla condotta dei manager e dei dipendenti, tema questo molto sentito anche in relazione alla disciplina regolamentare sulla responsabilità delle persone giuridiche2. Il quadro che ne emerge è composito e articolato. È espressione, non solo nell’esempio delle PMI ma estendibile a tutto il mondo dell’economia e della finanza, pur con differenti profili e connotazioni, di una crescente attenzione e consapevolezza sulla disciplina del rischio.
c ov e r s tory | l’ i mp o rta n z a de l risk ma n ag e me n t p e r il succ e sso de lle imp re se
3. Fattori evolutivi Le evoluzioni che mercati finanziari e sistemi economici hanno avuto negli ultimi cinque anni almeno hanno portato ad alzare il livello di attenzione e, di conseguenza, il volume di risorse dedicato alle attività di risk management in imprese, banche, assicurazioni, società finanziarie. Sono due almeno le categorie di fattori che hanno spinto verso tali evoluzioni. Da un lato, ci sono i fattori normativi e regolamentari. La risposta in termini di regole e nuova normativa alle crisi recenti è stata importante. Alcuni settori in particolare sono stati oggetto di una revisione significativa del sistema regolamentare. Spesso, infatti, la risposta alle crisi o ai fallimenti di grandi aziende o di importanti istituzioni è una risposta regolamentare. E altrettanto spesso il contenuto regolamentare è un contenuto focalizzato sulla disciplina nell’assunzione, nella misurazione, nella gestione dei rischi. I settori bancari e finanziari sono storicamente settori regolamentati e vigilati. E sono stati fortemente interessati, in passato e in tempi più recenti, da questo tipo di evoluzione. Altra categoria è rappresentata da fattori economici e finanziari. Le risposte regolamentari sono anche la risposta a fattori economici e finanziari che evolvono. È importante, tuttavia, tenere separate queste categorie sia perché non tutti i settori sono regolamentati e vigilati sia perché i comportamenti delle aziende in questo caso non sono forzati da regole ma sono guidati e decisi da valutazioni discrezionali.
Esempi di fattori evolutivi in tal senso sono la maggiore integrazione, fino alla globalizzazione in alcuni casi, dei mercati che espone le imprese a fattori, una volta poco considerati, che possono modificare i propri risultati attesi. Altro esempio è la crescente difficoltà nella gestione delle posizioni creditorie, dovuta al deterioramento di ampi comparti dell’economia. Questo fattore sta portando le imprese più attente a costruire e ad intensificare, anche con risorse dedicate, processi di selezione e di monitoraggio della clientela molto più articolati e sofisticati. La distinzione tra fattori regolamentari e fattori economici è importante. È spesso una chiave di lettura che consente di cogliere la differenza tra chi è ‘obbligato’ a costruire e implementare sistemi di gestione dei rischi perché deve aderire a norme e codici e chi invece decide discrezionalmente di farlo perché ne valuta positivi gli effetti. Con questo non si vuole affermare che i settori regolamentati siano passivi ma certamente hanno una spinta in più. Tale differenza, peraltro, potrebbe essere letta anche come differenza tra approccio ‘formale’ e approccio ‘sostanziale’ alla costruzione del sistema di gestione dei rischi. 4. Alcune ‘regole’ La funzione di risk management all’interno delle organizzazioni aziendali assume ormai da tempo una rilevanza significativa. Le modalità attraverso cui, però, tale funzione sviluppa le proprie attività
figura 2 - strategie di gestione del rischio Fonte: Osservatorio Risk Management PMI Italiane, Politecnico di Milano, 2012
40% Rischi strategici
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Rischi finanziari
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Rischi operativi
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Transfer
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Avoidance | 9 |
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Il trasferimento del rischio, attraverso prodotti e strumenti assicurativi e finanziari, è la via più utilizzata dalle imprese italiane. Negli ultimi tempi, a questo si sono accompagnate soluzioni di gestione del rischio vere e proprie
sono varie e possono essere valutate attraverso diversi livelli di integrazione rispetto al resto della struttura. Il punto è centrale. La funzione è integrata e supporta i processi chiave dell’impresa pur mantenendo la sua indipendenza oppure la funzione esercita esclusivamente un ruolo di monitoraggio e di misurazione in una logica di controllo? Alcuni principi generali potrebbero aiutare nell’interpretare e costruire il ruolo della funzione in una chiave costruttiva, sostanziale, attiva. a. La funzione deve contribuire alla creazione del valore. Se si parte da modelli valutativi che basano il proprio funzionamento sull’equilibrio tra rendimento e rischio, ciò vuol dire che nell’ambito del sistema decisionale aziendale la valutazione dei rendimenti non può prescindere dalla determinazione del rischio associato a quei rendimenti ed è per questo che sempre più diffusi sono gli indicatori risk-adjusted nella misurazione delle performance aziendali. b. La funzione deve essere coinvolta nei processi di pianificazione strategica. Il livello di coinvolgimento sia sostanziale e non una mera questione formale. Nel momento in cui il top management dell’azienda prende decisioni strategiche, all’interno del processo decisionale, in modo indipendente, l’attività di risk management deve contribuire indirizzando la decisione dove il profilo rendimento-rischio possa essere ottimizzato. c. La funzione deve essere parte integrante del sistema di governance e organizzativo. Spesso ci si interroga su quale sia la collocazione più corretta affinché la funzione assolva nel migliore dei modi al proprio ruolo. Da un lato, c’è la necessità che essa eserciti un ruolo di contributore al processo decisionale, ed è per questo che risulta opportuno tenerla molto vicina ai ruoli e ai processi di business. Dall’altro, c’è l’importanza di considerarla come l’elemento di garanzia affinché le risk policies definite dal consiglio di amministrazione, con il supporto eventuale di comitati consultivi (es. comitato per il controllo interno), siano rispettate quando sono prese decisioni, a tutela del patrimonio aziendale. d. La funzione identifica il rischio per poterlo gestire. Fondamentale è il ruolo della funzione nell’as| 10 |
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sessment del rischio al fine di poter definire quali sono le più opportune modalità di gestione, ossia le strategie attraverso cui trattarlo. Considerando le categorie di rischio che classificano il rischio sotto i profili strategici, finanziari ed operativi, si può osservare come (Figura 2) le imprese italiane, che pur manifestano ancora una rilevante incidenza delle soluzioni di risk transfer, siano diventate più attive. Il trasferimento del rischio, infatti, è stato sovente la soluzione, attraverso la ricerca di prodotti e strumenti nel mercato assicurativo e finanziario. Negli ultimi tempi, a questo, si sono accompagnate soluzioni di gestione del rischio vere e proprie. È, infatti, un dato importante quello relativo alla scelte di risk reduction e di risk retention. Alla riduzione del rischio si perviene attraverso un’analisi dei processi aziendali che consenta di cogliere per ogni fattore la probabilità di accadimento e l’impatto eventuale. Così facendo, è possibile identificare soluzioni che mirino a ridurre tali probabilità e a mitigarne gli effetti, arrivando a ‘ritenere’ quei rischi che è opportuno l’azienda corra per poter generare valore e che, pertanto, dovranno essere finanziati internamente con una adeguata capitalizzazione. e. La funzione evolve con l’evoluzione del business dell’azienda. La funzione è parte integrante dell’impresa. Pertanto, è molto importante che essa abbia un’evoluzione che tenga conto, da un lato, dell’evoluzione del modello di business e dei processi dell’impresa, e, dall’altro, dei cambiamenti che intercorrono sui mercati finanziari e nei sistemi economici. 5. Conclusioni Le crescenti sfide che caratterizzano aziende industriali, bancarie, assicurative e finanziarie richiedono la presenza costante all’interno del sistema decisionale e di controllo di tali organizzazioni di competenze e attività dedicate che consentano di non perdere mai la vista su quale sia il profilo di rischio. È tema centrale nella vita delle aziende. È importante, però, che tale presenza abbia una natura di sostanza e non serva solo ad ottemperare a dettami normativi o a costruire soluzioni di facciata che nulla servono rispetto ad una gestione responsabile del business e ad una sostenibilità della vita di tali aziende nel tempo.
1. Osservatorio sul Risk Management nelle PMI Italiane, Politecnico di Milano, 2012. 2. Si veda ad esempio la disciplina sulla responsabilità amministrativa delle società, sui modelli organizzativi e di controllo (D. Lgs. 8/6/2001 n. 231).
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Gianfelice Rocca
Competere in un mondo in profonda trasformazione
Presidente Gruppo techint
Il boom della Cina, la reindustrializzazione degli Usa, le opportunità di innovazione nel “Medium-Hi Tech”, la crisi del modello europeo e dell’occupazione. Gianfelice Rocca, Presidente del Gruppo Techint, racconta il suo punto di vista sui cambiamenti che in 10 anni hanno radicalmente trasformato l’economia globale. Con l’approccio pragmatico di un industriale che cerca di interpretare il futuro per orientare gli investimenti della sua azienda multinazionale
Per un Gruppo industriale globale come Techint, presente in tutto il mondo con 59mila dipendenti e un fatturato consolidato di 25 miliardi di dollari, ogni decisione di investimento va ben calibrata (date le grandezze in gioco), puntando su un orizzonte temporale non inferiore a dieci anni. Spiega Gianfelice Rocca, Presidente del Gruppo che ha guidato sin dagli Anni 70: «Operando con una logica prettamente industriale e non finanziaria, non possiamo permetterci di sbagliare nell’allocazione degli impianti: è fondamentale comprendere in quale direzione va il mercato. Cerchiamo di capire il futuro, anche se è impossibile prevederlo con precisione». Per questo, la visione di Rocca sulle dinamiche in atto nel mondo globalizzato è sempre aggiornata e puntuale: ne abbiamo parlato a margine di un incontro organizzato dal Politecnico di Milano in occasione dei 30 anni della laurea in Ingegneria gestionale – che qualche anno fa gli è stata assegnata ad honorem – dove l’imprenditore ha tenuto un discorso presentando la sua “vista sul mondo”. | 12 |
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Il Gruppo Techint ha vissuto una crescita straordinaria negli ultimi 10 anni. Nel frattempo però gli equilibri mondiali sono profondamente cambiati, con il boom della Cina e la crisi finanziaria in Europa e Stati Uniti. Quali sono, secondo lei, le sfide da affrontare oggi? Il Gruppo Techint è passato in 10 anni da 5 ad oltre 25 miliardi di fatturato. Ma nel frattempo è cambiato tutto: il PIL del mondo in termini di dollari a prezzi costanti è quasi raddoppiato, con un grande impatto sull’ambiente, sulle risorse umane e sulle istituzioni. I Paesi sviluppati hanno perso posizioni, mentre i cosiddetti “emergenti” sono cresciuti e ormai producono il 50% del PIL mondiale. Fino al 2008 questa crescita è apparsa lineare, ma con la crisi finanziaria sono venuti alla luce alcuni squilibri che mostrano oggi situazioni insostenibili. Il motore della crescita è stata la Cina, che è diventata la fabbrica del mondo: oggi concentra il 25% di tutta l’attività manifatturiera mondiale, a fronte del 12% dei consumi. Il Paese ha goduto di due dividendi: il primo demografico,
I NT E RV ISTA | c o mp e t e re in un mo n do in p ro f o n da t ra s f o rma z io ne
ovvero è cresciuta la popolazione in età di lavoro, passando dal 60% nel 1980 al 73% nel 2011, e questo è uno dei motori più potenti dell’economia. Ma ora è arrivata al picco. Il secondo dividendo è il tasso di risparmio, che è passato dal 37% al 52%. La grande forza cinese nell’export ha finito per generare un colossale risparmio che ha finanziato i paesi sviluppati. Solo la Walmart importa 27 miliardi di dollari l’anno dalla Cina. Si è invertito il flusso che abbiamo conosciuto nel corso degli ultimi due secoli e questo ha contribuito a produrre uno dei fenomeni alla radice della crisi: il mondo si è riempito di denaro facile. Io continuo a pensare che nonostante il deleveraging che sta avvenendo in Occidente e i tentativi di riduzione dell’indebitamento privato e pubblico, vivremo ancora in un mondo caratterizzato dal denaro facile. A ciò si aggiunge l’enorme quantità di investimenti effettuati dalla Cina: il 40% del totale è andato a settori di sostegno all’export, come porti, sistemi di trasporto, infrastrutture. Qual è stato l’impatto di questi investimenti nel settore siderurgico mondiale? Basti dire che in siderurgia la Cina ha finanziato i propri produttori nel corso degli ultimi otto anni per 52 miliardi di dollari. Non è concorrenza leale: l’utile complessivo delle aziende siderurgiche cinesi che producono metà dell’acciaio del mondo è minore dell’utile di Tenaris e Ternium. Come si compete con un sistema industriale che ha aspettative di ritorno zero? Nell’economia globale, quali ritiene che siano le più pesanti conseguenze della crescita esplosiva della Cina? Innanzitutto il forte impatto ambientale. In Cina, fino a poco tempo fa, veniva aperta una centrale di 1000 MW ogni settimana e per ogni centrale sono 6 milioni le tonnellate di CO2 in più che vengono immesse nell’atmosfera. L’aumento del consumo del carbone è stato del 4,7% annuo negli ultimi 10 anni. Inoltre, la Cina è arrivata ad acquistare il 45% delle commodities mondiali. Questo fatto riveste un’importanza enorme per Paesi come l’America Latina, dove le risorse naturali hanno rappresentato un elemento fondamentale per l’economia. Il prezzo delle commodities è cresciuto mediamente del 400%. Questo anche nel settore alimentare: ad esempio il prezzo della soia, fondamentale per l’economia argentina, è cresciuto del 200%.
Chi è Gianfelice Rocca Milanese, classe 1948, nel 1974 è entrato nel Gruppo Techint, fondato dal nonno Agostino Rocca nel 1945, assumendo la responsabilità di tutte le attività in Italia, Europa e Messico. Dal 1997 è Presidente del Gruppo. Sotto la sua direzione il Gruppo Techint ha ampliato considerevolmente le attività, creando tra l’altro Tenova, che oggi opera in 26 paesi nei 5 continenti come fornitore di tecnologie, prodotti e servizi di ingegneria per l’industria siderurgica e mineraria, e fondando l’Istituto Clinico Humanitas, ospedale policlinico ad alta specializzazione. Appassionato scalatore, si è laureato in Fisica con 110 e lode presso l’Università di Milano e ha conseguito un PMD presso la Harvard Business School di Boston. Ha inoltre ricevuto la laurea ad honorem in Ingegneria Gestionale dal Politecnico di Milano.
Cosa ha comportato questo incremento dei prezzi delle commodities in America Latina, un mercato dove siete molto presenti? La conseguenza è stata la deindustrializzazione dell’America Latina, quel fenomeno noto in economia come Dutch Disease (la correlazione fra l’aumento dello sfruttamento delle risorse naturali e il declino del settore manifatturiero, ndr). Con i prezzi delle materie prime che crescono, si “primarizza” l’economia, le valute si rivalutano e i Paesi si trasformano in realtà che esportano materie prime arricchite e importano prodotti manufatti della Cina. Il Brasile, un paese industriale, oggi ha un manifatturiero che è solo il 15% della sua economia, mentre in Cina è il 32-33%. La catena metalmeccanica nei paesi dell’America Latina si sta sfilacciando. Chi vende prodotti nel settore della meccanica vede letteralmente scomparire i propri fornitori. Oggi l’America Latina ha mediamente un consumo di acciaio dell’ordine dei 130-150 chili pro-capite, mentre tutti i paesi asiatici sono sopra i 400, con la Corea che detiene il record mondiale di 1200. È nostra convinzione che la mancanza di un’industria meccanica renda impossibile che si formi una stabile classe media, come invece è accaduto in 10-15 anni ad esempio a Taiwan. Un altro problema gravissimo oggi è la perdita dei posti di lavoro nei paesi occidentali… Il vero motore dell’instabilità è proprio la polarizzazione del lavoro nei paesi sviluppati: la mediana del lavoro ha avuto un colpo gravissimo. La crescita è andata ad avwww.ict4executive.it
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INTERVI STA | comp e t e r e i n u n m ond o i n pr of onda t ra s f o rma z io n e
vantaggiare i super ricchi, l’1% della popolazione americana. Ed è stata una crescita senza lavoro dovuta alla globalizzazione del commercio e alla innovazione ICT: molti posti di lavoro nella parte mediana sono stati “mangiati” dalla rivoluzione tecnologica e informatica. Con la classe media che si indebolisce, gli Usa come l’Inghilterra sono diventati paesi a bassa mobilità sociale. Si scopre infatti che se mancano i gradini intermedi diventa estremamente difficile passare da una classe all’altra. Ma la situazione è in evoluzione. La Apple, ad esempio, sta riportando una parte della produzione negli Usa: è recente la notizia di un investimento di 100 milioni di dollari. La Apple dice però di avere un problema di skill labour, non trova cioè profili adatti per coprire questo tipo di mansioni. Anche voi continuate a investire nel USA. Negli ultimi anni abbiamo investito nel Sud degli Stati Uniti e Nord del Messico molti miliardi di dollari. Non bisogna poi dimenticare che negli Stati Uniti è in corso la rivoluzione dello shale gas. Gli Usa hanno 300 tcf (trillion cubic feet) di gas convenzionale e 900 tcf di gas non convenzionale, lo shale gas, che si ottiene tramite le perforazioni orizzontali con fratture nelle rocce da cui fluiscono petrolio e gas: una rivoluzione totale. Il Paese si sta reindustrializzando, con nuovi investimenti: avevano
Techint in Italia e nel mondo Techint è un Gruppo industriale in cui lavorano oggi 59 mila persone con un fatturato di 25 miliardi di dollari. In quasi 70 anni di attività le società del Gruppo, presenti nei cinque continenti, hanno raggiunto livelli di eccellenza in diverse aree di business: siderurgia, engineering & construction, impianti idustriali, oil & gas e sanità. Il Gruppo Techint opera attraverso le società: • Tenaris produttore e fornitore leader a livello globale di tubi in acciaio e di servizi destinati all’industria energetica mondiale e ad altre applicazioni industriali specialistiche. • Ternium tra le maggiori aziende siderurgiche in America latina, produce un’ampia gamma di prodotti di acciaio piani e lunghi. Gli impianti principali sono in Messico, Argentina, Colombia, USA e Guatemala. • Techint E&C società specializzate nella progettazione e realizzazione di pipelines e impianti industriali nei settori oil & gas, chimico e petrolchimico, energia, infrastrutture e minerario. • Tenova, uno dei maggiori fornitori mondiali di tecnologie, prodotti e servizi di ingegneria all’avanguardia per l’industria metallurgica e mineraria. • Tecpetrol una impresa di esplorazione e produzione di idrocarburi che promuove e gestisce reti di trasporto e distribuzione di gas in America Latina. • Humanitas una rete di ospedali in Italia orientati alla ricerca, con una gestione centrata sul paziente e basata sull’uso di sistemi informativi integrati di ultima generazione. | 14 |
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realizzato 21 impianti per ricevere gas liquefatto dall’estero e li stanno riconvertendo per esportare gas. Parliamo di innovazione. È la leva che permette alle aziende occidentali di essere ancora competitiva? L’innovazione è da sempre la forza dell’Occidente, che però deve stare attento a non farsi superare dai nuovi competitori cinesi, che oggi hanno come obiettivo di rendersi indipendenti dall’innovazione “straniera”. Sono convinto che più che l’Hi-Tech, in Paesi come Germania, Italia e Giappone sia molto importante il Medium-High Tech. Perché il Medium-Hi-Tech è più importante dell’Hi-Tech? Sorprendentemente, nei paesi sviluppati la capacità competitiva è più forte nel Medium-High Tech e le esportazioni in questo settore sono in crescita a scapito di quelle Hi-Tech. In Germania sono passate dal 66% al 71%, idem per il Giappone. Gli Stati Uniti, come l’Inghilterra, partendo dal 45% sono cresciuti di 10 punti entrambi. Ma vi è un altro tema di grande interesse: la catena del valore del Medium-Hi Tech rispetto all’Hi-Tech è più territoriale e le professionalità coinvolte garantiscono redditi proprio in quell’area “mediana” che tende a svuotarsi nel mondo. Il nostro gruppo sta studiando le correlazioni fra intensità di Medium-Hi Tech e miglior distribuzione del reddito, per valutare come tale intensità operi come contrasto alle disuguaglianze. Se così fosse, la politica economica dell’Europa, la politica della ricerca e dell’educazione non dovrà essere solo pensata per migliorare la nostra performance nell’Hi-Tech, perché il Medium-Hi Tech rappresenta la forza dei redditi medi. Si tratta di uno dei punti di forza della Germania e in parte anche del Giappone. L’Hi-Tech è importante, ma se andiamo a vedere quanti siano i posti di lavoro creati negli USA, si riscontra che sono relativamente pochi. Credo che la reindustrializzazione, che sembra una parola d’ordine in tutti i Paesi sviluppati, coincida con la riscoperta del Medium-Hi Tech. Con conseguenze in tutti i campi, in particolare nel settore della ricerca e dell’education. È ottimista sul futuro dell’Europa? Negli ultimi dieci anni l’Europa è stata sostanzialmente un successo dal punto di vista della bilancia commerciale, molto migliore di quella americana, sul fronte del debito pubblico, inferiore a quello americano e giapponese, sul fronte della distribuzione dei redditi, anche grazie alla diffusione del Medium-High Tech. Ma il Vecchio Continente è al centro della più grande disfunzionalità istituzionale. L’organizzazione europea sugli Stati afferma un sistema che invece di auto-rimediare i punti di debolezza, finisce per rafforzarli. Quando la crisi si inasprisce e il bilancio pubblico soffre, un paese viene caricato di tasse. Stiamo buttando via uno dei più elevati elementi di civiltà e di lavoro per la difficoltà o incapacità di risolvere problemi di carattere sociale, politico, istituzionale. Credo che questa disfunzionalità creerà problemi sempre maggiori.
LE DIGITA E N O I OLUZ LA RIV TRADA SI FA S
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Milano, 17 - 18 aprile 2013 Atahotel Executive, viale don Luigi Sturzo 45 www.omat360.it/mi13 Orientarsi non sempre è facile ma, oggi più che mai, stare al passo con lo sviluppo delle tecnologie digitali è un aspetto cruciale per ogni attività di business. Dal 1990, OMAT è la più importante mostra convegno italiana dedicata alla gestione delle informazioni digitali e dei processi aziendali, un punto di incontro puntuale per tutti i protagonisti dell’information management e per chi desidera affrontare il mercato in modo sicuro, intelligente e vincente. L’innovazione procede a tutta velocità. Tutte le strade portano a OMAT.
Omat è un progetto ITER S.r.l. - Via Rovetta, 18 - 20127 Milano (MI) - tel. +39 02 2831161 - fax +39 02 28311666 - www.iter.it
m a n ag e m e nt
di
Reinventare il business con il pensiero laterale
Paul Sloane
scrittore, consulente e public speaker
I leader innovativi sono quelli in grado di infrangere le regole, di fare le domande giuste, di non dare nulla per scontato, di andare oltre le best practice: non ascoltano gli esperti, non si fidano delle teorie consolidate. Attraverso molti esempi reali e prendendo a prestito le teorie di De Bono per sviluppare la creatività, Paul Sloane indica la strada che porta a immaginare un modo migliore e diverso per realizzare ogni attività, per creare valore e risolvere i problemi
Cominciamo con uno spunto dalla vita quotidiana: per fare il mio intervento qui a Milano sono venuto con un volo da Londra facendo il check-in online a casa mia. È un’innovazione fantastica: l’esempio di un processo che è stato completamente cambiato dalla tecnologia. Non è stato semplice introdurlo, ma sicuramente ne valeva la pena: è un vantaggio per il passeggero e anche per la compagnia aerea. È un esempio di come sia possibile reinventare il proprio business. L’Italia ha molti problemi, come del resto altri Paesi. Credo che la soluzione non sia nelle politiche di austerità e rigore, ma nell’innovazione, nella creatività, nella capacità di fare le cose meglio, in modo diverso e più intelligente. E l’IT è un ottimo strumento per questo: la tecnologia serve a cambiare il business, e non solo a gestirlo, e i CIO sono i manager che hanno il compito di capire come usarla a questo scopo. Il grande ‘guru’ del management Peter Drucker | 16 |
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diceva che ogni organizzazione deve essere pronta ad abbandonare tutto quello che fa e cominciare da capo. Tra 15 anni ogni business di oggi, se sopravviverà, sarà diverso: i processi, i prodotti, i servizi. È una prospettiva che fa paura, ma bisogna prepararsi. D’altra parte la leadership e l’innovazione vanno sempre a braccetto. Un leader innova sempre, è in grado di trasformare le organizzazioni. Un manager invece riduce i costi, migliora le performance, garantisce il buon funzionamento dei processi: tutte attività necessarie e importanti, ma non hanno a che fare con la leadership, non trasformano un business. Sfidare le regole: da Marconi a Ryanair Per innovare è necessario avere una vision, un obiettivo, una direzione. Per creare un mondo migliore, per cambiare il business, serve un motivo. La vision dovrebbe ispirare, essere concisa, chiara,
m a n ag e m e n t | Re in v e n ta r e il b usin e ss c o n il p e n sie r o l at e r a le
sfidante. Un esempio è GlaxoSmithKline: la vision non è diventare la prima azienda farmaceutica, la più efficiente, ma migliorare la vita della gente, farla sentire e vivere meglio e più a lungo. Un altro esempio di vision efficace è quella del Ministero dell’interno inglese: creare una società sicura, giusta e tollerante. Una vision chiara è quella che motiva le persone, che dà loro una direzione, e che le aiuta a creare valore. Un secondo ingrediente necessario per l’innovazione è mettere sempre alla prova le nostre convinzioni. Lo scrittore Mark Twain diceva: “Ciò che ci deve preoccupare nella vita non è quello che non conosciamo, ma quello che crediamo di sapere con certezza”. Ogni assunzione rispetto al business potrebbe essere sbagliata o semplicemente superata dai tempi. Se non sappiamo le cose, ci informiamo e facciamo domande, ma di solito non mettiamo in discussione quello che pensiamo di conoscere, ed è invece proprio questo che un leader innovativo dovrebbe fare. Bisogna verificare ogni regola e ogni convinzione, perché potrebbero essere sbagliate; non fidarsi degli esperti, ma sperimentare in prima persona, provando e guardando quello che succede sul mercato. Ecco qualche esempio. Il pioniere della radio Guglielmo Marconi dimostrò che le onde potevano essere trasmesse su lunghe distanze, dall’Inghilterra al Canada, anche se l’opinione diffusa era che non avrebbe funzionato, dato che si sapeva che le onde viaggiano in linea retta e la terra è sferica. Ma lui provò comunque ed ebbe successo, scoprendo che in realtà il segnale viene riflesso dall’atmosfera e quindi arriva al ricevitore. Un altro esempio significativo è quello di ‘The artist’, un film francese che ha ottenuto grande successo e vinto l’Oscar pur non rispettando nessuna regola del cinema di oggi: è un film muto, girato in bianco e nero, senza effetti speciali né scene d’azione, ed è interpretato da attori semi-sconosciuti. Un innovatore è anche Michael O’Leary, fondatore di Ryanair, che ha disatteso tutte le regole fino ad allora seguite dalle grandi compagnie aeree. Tutte hanno lavorato molto sull’efficienza, ma non hanno mai messo in dubbio delle cose che erano date per scontate: dare un minimo livello di servizio standard ai passeggeri, assegnare i posti, servire uno snack, vendere i biglietti attraverso le agenzie. Guardando le cose da un punto di vista diverso, O’Leary ha trasformato i viaggi aerei in un mercato di massa.
Chi è Paul Sloane Paul Sloane è uno scrittore, consulente e public speaker esperto in particolare sui temi dell’innovazione, della leadeship e del ‘lateral thinking’. È autore di numerosi articoli sulle principali riviste di business, e di 17 libri su questi argomenti, che hanno venduto oltre 2 milioni di copie, tra cui ‘The Innovative Leader’, ‘The Leader’s Guide to Lateral Thinking Skills’, e ‘A Guide to Open Innovation and Crowdsourcing’. Dopo il diploma in Engineering a Cambridge, Sloane ha lavorato in IBM per 12 anni, partecipando tra l’altro al progetto che ha portato al lancio dell’Ibm pc sul mercato UK, e successivamente è stato Managing Director dello specialista di database Ashton-Tate, Vice President International di MathSoft, e CEO di Monactive. Attualmente presiede la società di consulenza DestinationInnovation, che ha fondato.
Parker non fa penne: fa regali La regola quindi è questa: sfidare le regole, sfidare le ipotesi di base date per scontate, e immaginare uno scenario completamente nuovo. Gli innovatori non ascoltano gli esperti, non si basano sulle teorie consolidate. Ho lavorato 11 anni in Ibm e ho conosciuto Don Estridge. Alla fine degli anni ‘70, Ibm realizzava Mainframe, c’erano i primi computer Apple e il Commodore. Tutti i componenti e il software utilizzati da IBM erano proprietari, sviluppati internamente, chip, schede madri, eccetera. Estridge era incaricato di lanciare un nuovo prodotto, il personal computer, in meno di un anno. E davanti a questa sfida ha rotto tutte le regole progettando un’architettura per pc aperta, e acquistando i componenti all’esterno: i chip da Intel, l’OS da Microsoft. In IBM erano inorriditi, invece fu un grande successo. Ma come si fa a infrangere le regole? Si comincia ponendo delle domande. Perché facciamo le cose così? Quale obiettivo abbiamo? Non bisogna aver paura di fare anche le domande più banali. Prendiamo per esempio Parker, il produttore di penne. A un certo punto era in crisi, con domanda in calo da anni. La domanda che continuavano a farsi era “come vendere più penne?” Ma era una domanda sbagliata, molto meglio chiedersi “in quale business siamo veramente?” Il fatto è che la gente non compra le www.ict4executive.it
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Parker per scrivere, ma per fare regali, e per questo l’azienda a un certo punto ha deciso di considerarsi un player nel mercato dei regali, e non più non in quello delle penne, tornando così al successo. L’auto più innovativa ha il parcheggio garantito
Come si fa a mettere in discussione le convinzioni consolidate? Si comincia ponendo delle domande. Perché facciamo le cose così? Quale obiettivo abbiamo? Non bisogna aver paura neanche delle domande più banali
Il punto quindi è andare ai fondamentali della propria attività, capire qual è il reale valore che si dà al mercato, e qual è il modo migliore di darglielo. Un ottimo punto di partenza è chiedersi perché la gente NON compra, ma in generale bisogna partire da prospettive completamente diverse. Una lezione esemplare in questo senso viene da Edward De Bono, il ‘guru’ del pensiero laterale. Una volta è stato chiamato da Ford, che continuava a introdurre innovazioni di prodotto che venivano immediatamente copiate dagli altri costruttori, e che gli ha chiesto come realizzare un vantaggio competitivo duraturo. De Bono ci ha pensato un po’ e poi ha detto: “Andate in tutte le grandi città, comprate un parcheggio in centro, e rendetelo accessibile solo alle auto Ford”. Era un suggerimento troppo radicale, non fu ascoltato, ma è un esempio fantastico di lateral thinking, perché ha evitato totalmente il classico punto di vista dell’ingegnere che pensa all’auto come insieme di tecnologie e prestazioni, e ha adottato quello del guidatore medio tormentato dal traffico e dalla mancanza di parcheggi. Un altro esempio viene dall’Inghilterra, che nel 1954 ha deciso di concedere delle licenze TV regionali. Tutti si sono fatti aiutare dagli analisti per cercare le regioni più ricche, invece Sydney Bernstein, proprietario di una piccola catena di cinema nel Sud dell’Inghilterra, ha fatto la sua offerta per le regioni del Nord Ovest, quelle in cui piove di più, perché è lì che la gente guarda di più la TV. Ha così fondato Granada Television, con sede a Manchester, che è diventata una delle più importanti case di produzione TV nella storia del Regno Unito, che ancora produce programmi con il marchio ITV Studios.
non vendeva un granchè. Malati e ospedali non la compravano, ma gli Jacuzzi si sono accorti che tra i pochi acquirenti c’erano molti ricchi, e quindi hanno cambiato completamente la strategia di marketing, ottenendo un successo planetario. Ecco quindi un’altra lezione: se avete qualcosa di davvero innovativo, al primo colpo non funziona quasi mai, occorre sempre aggiustare il tiro ‘in corsa’. In altre parole, una risposta sbagliata è giusta per un’altra domanda. Un’ulteriore fondamentale lezione di innovazione viene dal tennis. Perché Rafael Nadal e Roger Federer fanno i doppi falli? Perché devono rischiare: il rischio è previsto nello sport, e lo stesso vale per il business. Dobbiamo tutti mettere in conto la possibilità di fare qualche doppio fallo: occorre essere propensi a una certa dose di rischio se si vuole fare innovazione, è inevitabile. Ma il punto è: quanto rischio? Qui la domanda migliore da porsi è: cosa può capitare nel caso peggiore? Una lezione molto recente qui viene da Carphone Warehouse, una catena inglese di negozi che vendono smartphone. Un giorno il CEO Charles Dunstone esaminando le statistiche di vendita si è accorto che gli acquirenti del Motorola Razr erano per l’80% uomini e per il 20% donne. Ha pensato che fosse un problema di colori troppo ‘seriosi’, e così ha chiamato Motorola chiedendo qual era il lotto minimo per avere uno stock di Razr color rosa shocking da vendere in esclusiva. La risposta è stata 250.000 pezzi. Dunstone ha riunito i suoi manager, hanno valutato cosa poteva succedere al peggio facendo l’ordine, e hanno deciso di correre il rischio. Hanno venduto 600.000 pezzi. Insomma, correte sempre il rischio se è calcolato, e non ascoltate chi dice “chi te lo fa fare, l’azienda sta andando bene comunque”: spesso è più rischioso non far niente, anche perché nel business il rischio non si può azzerare del tutto. In conclusione, quindi, per avere una mentalità innovativa occorre definire una missione, mettere alla prova le convizioni consolidate con tantissime domande, cercare punti di vista nuovi, e correre rischi calcolati. Un leader davvero innovativo celebra i successi, impara dagli errori, e punisce l’immobilismo. Ricordate che c’è sempre un modo migliore per fare le cose: implementare best practice è copiare il passato, mentre innovare è immaginare un mondo diverso.
Il rischio è inevitabile: calcolatelo Veri innovatori furono anche i fratelli Jacuzzi, emigrati dal Friuli agli USA, che negli anni 50 hanno inventato la vasca per cure idroterapiche. All’inizio | 18 |
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Estratto dall’intervento di Paul Sloane all’evento Microsoft Symposium 2012 – Reimagine the innovation, tenutosi il 22-23 novembre 2012 presso l’Innovation Campus di Microsoft a Segrate (MI).
I N TE R V IS TA di
Piero Todorovich
Alessio Gianni Social Media & Digital Marketing Director Barilla G. e r. fratelli
IL digital marketing cresce in barilla Investimenti in continua crescita per la multinazionale italiana, che in tre anni con l’applicazione Mobile iPasta ha raggiunto un milione e mezzo di download. Continua il successo dell’iniziativa “Nel Mulino che Vorrei”, che coinvolge 50mila persone, grazie anche ai Social Network
Per quanto sorprendente possa sembrare, App su smartphone, iniziative Web 2.0 e su Social Network, sono diventate componenti fondamentali delle attività di promozione e marketing di un’azienda tradizionale del “made in Italy” alimentare, come Barilla. Da tempo la società è attiva sul fronte del Digital Marketing con iniziative di successo come iPasta - un’App che dà informazioni utili al consumo dei prodotti, scaricata finora da un milione e mezzo di persone - e altre di cui ci parla Alessio Gianni, Social Media & Digital Marketing Director di Barilla in questa intervista. Come evolve il progetto dell’App iPasta? Partendo dal concetto del libro di ricette abbiamo creato uno strumento che suggerisce i piatti migliori e i prodotti più adatti in funzione delle occasioni di consumo, capace quindi di promuovere la versatilità della pasta. Con la crescita del numero di persone che ha in tasca uno smartphone, iPasta è diventato un asset strategico del marchio Barilla, più importan| 20 |
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te dello stesso sito Web. All’iPhone, l’unico sistema supportato al giugno del 2010 quando abbiamo introdotto l’applicazione, si è aggiunto il supporto per iPad e Android, mentre stiamo ora sviluppando le versioni per tablet Windows e Kindle. Con iPasta abbiamo l’obiettivo di andare oltre la capacità di dare risposte e suggerimenti al consumo: vogliamo chiudere il cerchio con l’atto d’acquisto, sia che avvenga online, mediante Mobile Commerce, sia nel negozio tradizionale. iPasta diventerà uno strumento sempre più utile per le persone, in una strategia che chiamiamo “dal divano al carrello“. Per esempio, nelle vicinanze del punto vendita, il consumatore potrà trovare un invito ad avviare l’App ottenendo un coupon digitale da redimere alla cassa. Questo ci permette da un lato di offrire soluzioni su misura, dall’altro di registrare informazioni preziose per ciò che riguarda la “lista della spesa”, che noi possiamo aiutare a creare con strumenti di compilazione e condivisione.
IN T E RV ISTA | il digi tal mark e t i n g c re sc e i n ba rilla
Quanto contano oggi i Social Network nel vostro marketing mix? Sono luoghi digitali che ci consentono di dialogare con il nostro pubblico: li presidiamo per dare una casa digitale ai nostri marchi. Il nostro impegno vuole essere focalizzato, per questo scegliamo di concentrarci su specifici brand che riteniamo avere un’audience pronta e aperta al dialogo sui media digitali; si tratta spesso di community nate spontaneamente, a dimostrazione del forte legame affettivo che le persone hanno verso i nostri brand. Per analizzare questo legame, ascoltiamo e analizziamo il modo con cui il consumatore “vive” il marchio e come questo è interpretato dalla popolazione online, e in questo senso i Social Network hanno assunto una rilevanza che non può essere ignorata e anzi deve essere alimentata con contenuti che animino conversazioni sugli argomenti rilevanti per i consumatori e per noi. Alcuni nostri marchi, prendiamo Pan di Stelle per esempio, hanno una vera e propria presenza editoriale online, con contenuti pubblicati giornalmente e il Social-magazine “Fan di Stelle”. Abbiamo la possibilità di adattare i contenuti in funzione dell’ora (e a breve del luogo in cui vengono letti), adeguando quindi il messaggio al contesto in cui si trova il consumatore. Parlare di prodotti in offerta nella fascia oraria in cui si fa la spesa è visto come un servizio utile e non come un contenuto invasivo. Prima della pausa pranzo invece è probabile che un contenuto che parla di bontà di prodotto sia più rilevante per chi lo vede.
Qual è la vostra opinione sull’impiego di mezzi più semplici quali gli sms? Il nostro team di Digital Marketing non utilizza spesso l’sms come leva di marketing. Personalmente ritengo gli sms efficaci per dare un servizio limitato nel tempo. Ci sono casi, come nelle collection, in cui gli sms sono uno strumento potentissimo per dare la scossa ai “dormienti” e farli entrare in un nuovo percorso di collezione. A mio parere è uno strumento che va usato, in maniera tattica, ma che non aggiunge in misura rilevante valore alle strategie di Digital Marketing che invece devono puntare sulla qualità dell’esperienza che i consumatori vivono quando entrano in contatto con i nostri brand. Come si è evoluta l’organizzazione del Digital Marketing in Barilla? Barilla è stata molto rapida a inserire nell’organizzazione persone con competenze in questo settore. Il team interno, composto di sole due persone nel 2008, conta oggi 5 persone a Parma e 2 nella nostra sede di
Come gestite, in particolare, il coinvolgimento diretto del consumatore nelle diverse iniziative? Un progetto esemplare - ormai punto di riferimento nel mercato - per l’ascolto dei consumatori è l’iniziativa “Nel Mulino che Vorrei”. Qui accogliamo idee e suggerimenti, e stimoliamo la condivisione di opinioni da parte dei consumatori. Otteniamo contenuti che poi valorizziamo e celebriamo per rafforzare lo spirito di appartenenza delle persone a Mulino Bianco e per alimentare le conversazioni sui temi che ci stanno più a cuore, come sostenibilità, genuinità, saper fare, il “Mondo Buono”. “Nel Mulino che Vorrei” raggiunge oggi una comunità di più di 50.000 persone, rende partecipe il consumatore del miglioramento del Mulino, sostiene la fedeltà e ci offre un modo diverso per comunicare a tutto tondo, attraverso l’amplificazione dei Social Network, raggiungendo un pubblico allargato. www.ict4executive.it
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INTERVI STA | il digi tal mar k e t i ng cr e s ce i n ba r illa
Chicago. Nell’ultimo anno abbiamo individuato altre persone, all’interno dei team di marketing strategico, che fanno da riferimento per le attività di Digital Marketing. In questo modo il nostro team può avvalersi del contributo di chi è a contatto con il business. Questa scelta inoltre favorisce la diffusione della cultura del Digital Marketing in azienda. In questo sviluppo abbiamo sempre avuto un forte commitment da parte del top management. Quanto contano nel vostro lavoro analisi ed elaborazioni dei Big Data? I Big Data non sono solo la moda del momento. È l’ennesima dimostrazione del fatto che Internet più che inventare cose nuove, ha amplificato ciò che già esisteva. Abbiamo sempre avuto strumenti di ascolto e di Market Research, ora possiamo accedere a fonti molto più numerose, sempre disponibili e non mediate. Il punto cruciale è orientarsi in questo mare di conversazioni e dare il giusto peso a ciò che si raccoglie. Si fa spesso un impiego “usa e getta” dei dati, mentre possono essere preziosi per chi deve rispondere alle domande dei consumatori, per chi deve ricercare
Gli errori da evitare L’errore più importante che si possa fare nel Digital Marketing è disperdere le risorse in una miriade di progetti piccoli e poco significativi. «È meglio concentrarsi sui progetti che promettono il maggiore impatto, tenendo presente che i risultati ottenibili dipendono da quanto si riesce a investire», spiega Alessio Gianni. Occorre quindi fare delle scelte, valutare i motivi per cui vale la pena di “buttarsi” ma anche quelli per cui se ne può fare a meno. «Mentre 15 anni fa poteva sembrare obbligatorio dover accendere un sito Web, oggi molte aziende ne fanno a meno e chiudono i siti - precisa Gianni -. Questo non significa che non si debba fare sperimentazione, anzi, ma che se si fa la radiografia di un progetto e lo si guarda in relazione agli obiettivi di business che deve raggiungere e al numero di persone che deve intercettare, ci si rende conto che è meglio fare poche cose, ma più grandi». E non bisogna dimenticarsi che nel mondo digitale è più difficile star dietro agli interlocutori (pubblico, colleghi, partner, fornitori): «È un mondo ontologicamente frammentato, non va sottovalutato il tempo delle persone dell’azienda necessario per portare a buon fine un’iniziativa. Demandare ad altri tutte le attività non è sempre una scelta vincente». Sul fronte dei contenuti, viralità e passaparola possono conseguire buoni risultati, «ma non sono pianificabili e controllabili. E nel Digital Marketing è bene essere consapevoli quando ci si affida alla fortuna».
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insight, per chi deve monitorare il sentiment in modo predittivo e prepararsi a potenziali problemi. Per tutto ciò abbiamo uno strumento interno che può essere funzionale alle ricerche di mercato e alle altre attività aziendali, che non sostituisce ciò che già facciamo, ma lo completa, lo arricchisce e lo facilita, consentendoci di raccogliere in tempi più rapidi l’opinione dei clienti. È funzionale anche al servizio clienti, di cui in futuro è prevedibile un’estensione al canale dei Social Network. Chi fa le scelte tecnologiche e come vengono pianificati i diversi media? La scelta delle piattaforme è fatta in collaborazione con l’ICT, che in Barilla ha risorse dedicate ai progetti di comunicazione sui mezzi Digitali. Riguardo alla pianificazione media, l’investimento è in continua crescita, con una buona fetta dedicata alla pianificazione online a completamento della copertura fatta su altri mezzi (TV per prima). In alcuni casi l’investimento media è stato contenuto: il successo di iPasta per esempio è stato ottenuto, oltre che facendo una bella applicazione, con attività di PR e stimolando con attenzione il passaparola. Barilla è tra le aziende che più di altre ha scelto di usare internet come media di massa, ci impegniamo sempre più spesso a concepire progetti di comunicazione che siano “digital by design”, anche se per nostra scelta la declinazione digitale è più o meno forte a seconda dei marchi. Per alcuni la componente digitale è centrale, per altri è un complemento all’impiego di un media più classico. I media digitali ci permettono di raggiungere fasce di popolazione, come i più giovani, che non sono interessate alla tv, oppure difficili da raggiungere a causa della frammentazione dei canali, o in momenti della vita quotidiana che prima erano irraggiungibili.
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Os s e r vato rio
di
Angela tumino
school of management politecnico di milano
L’Internet of Things in Italia Oggetti “intelligenti” che scambiano informazioni: è il mondo dell’Internet delle cose, un paradigma tecnologico affascinante che alimenta tante promesse e aspettative in molteplici ambiti. Una ricerca del Politecnico di Milano fotografa la realtà italiana, evidenziando che esiste un buon numero di progetti e iniziative già avviati. Mentre cresce l’interesse verso le Smart City e un utilizzo avanzato dei nuovi contatori per il gas
Il paradigma dell’Internet of Things (IoT) si basa sull’idea di oggetti “intelligenti” tra loro interconnessi in modo da scambiare le informazioni possedute, raccolte e/o elaborate. Potenzialmente ogni oggetto dell’esperienza quotidiana può diventare “intelligente”, ovvero acquistare una sua identità nel mondo digitale, essere localizzato, interagire con l’ambiente circostante ed elaborare dati. E questo grazie a microcalcolatori “embedded” che li rendono capaci di comunicare con il mondo esterno, creando delle reti -tipicamente wireless - che sono a loro volta interconnesse con Internet. I potenziali ambiti di applicazione dell’IoT sono innumerevoli: dai lampioni che regolano la loro luminosità sulla base delle condizioni di visibilità, ai semafori che si sincronizzano per creare un’onda verde per il passaggio di un mezzo di soccorso; dai dispositivi che consentono di rilevare una caduta di un anziano, agli elettrodomestici che regolano il loro ciclo di funzionamento sulla base del costo dell’energia; dalle vending | 24 |
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machine che segnalano le necessità di rifornimento sulla base del consumo dei prodotti, ai sensori che monitorano le condizioni micro-ambientali per regolare l’irrigazione e l’uso di fitofarmaci in agricoltura (si veda il Box “Gli ambiti applicativi dell’Internet of Things”). L’IoT può avere impatti importanti sulle attività di imprese e pubbliche amministrazioni, oltre che modificare in meglio la vita delle persone: la velocità di diffusione nei vari ambiti dipenderà dall’esistenza di soluzioni tecnologiche consolidate e dal bilancio tra valore dell’informazione e costo di creazione della rete di oggetti intelligenti. Segnali di interesse Negli ultimi mesi si è osservato un crescente interesse sulle potenzialità dell’Internet of Things. Un primo segnale in questa direzione è fornito dal significativo stanziamento di fondi in numerosi bandi di finanziamento a livello europeo (Future Internet,
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di
giovanni miragliotta school of management politecnico di milano
su tecnologie di comunicazione cellulare: la Ricerca dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano ha stimato che in Italia il numero di oggetti interconnessi tramite SIM dati è arrivato a 5 milioni, crescendo del 25% rispetto al 2011 (contro il 13% dell’anno precedente). Il mercato legato a queste soluzioni vale oltre 800 milioni di euro (il valore include il fatturato, al netto dell’IVA, per la realizzazione di nuovi progetti, l’estensione di progetti esistenti e l’erogazione di servizi post-vendita). Il 43% del valore di questo mercato (circa 350 milioni di euro) riguarda progetti di nuova implementazione, mentre il rimanente 57% (circa 460 milioni di euro) estensioni di scala di progetti conclusi negli anni precedenti e attività di post-vendita. La maggior parte delle attuali applicazioni sfrutta solo in parte le potenzialità di questo paradigma, ma il segnale è molto positivo: c’è un interesse concreto verso processi e servizi che necessitano di oggetti connessi. Questo aspetto, unito alla presenza di soluzioni tecnologiche ormai mature, rappresenta una solida base per l’affermarsi dell’Internet of Things nel prossimo futuro. Le applicazioni più diffuse
Factory of the Future) e italiano (Smart Cities and Communities, Sviluppo e potenziamento di Cluster Tecnologici Nazionali). Oltre a ciò, nell’Agenda Digitale Italiana il Governo ha toccato numerosi temi in cui l’IoT gioca un ruolo chiave: per citarne solo alcuni, basti pensare alla mobilità, alla sanità, alla cultura e turismo, alle Smart Grid, all’efficienza energetica. Una terza indicazione arriva dal mondo imprenditoriale: si registra un aumento del numero di imprese – spesso multinazionali – che ampliano il loro portafoglio includendo una gamma crescente di soluzioni IoT. Vi è poi notevole fermento nel mondo delle startup: inizia a esserci un buon numero di iniziative IoT che ottengono finanziamenti da Business Angel e Venture Capitalist. Oggetti intelligenti in crescita del 25% Il 2012 ha visto un’accelerazione nella diffusione delle soluzioni più consolidate, basate per lo più
Le applicazioni di Internet of Things più diffuse in Italia sono nell’ambito Smart Car (veicoli connessi), che riguarda il 42% del totale degli oggetti connessi. Si tratta soprattutto di box GPS/GPRS per la localizzazione dei veicoli privati e la registrazione dei parametri di guida con finalità assicurative, oppure soluzioni per la fornitura di informazioni geo-referenziate sulla situazione del traffico (Infomobility) su smartphone o dispositivi ad hoc. Seguono, con 1,4 milioni di oggetti intelligenti, lo
Le applicazioni più diffuse sono in ambito Smart Car: si tratta dei box GPS/GPRS per la localizzazione dei veicoli con finalità assicurative, oppure di soluzioni per la fornitura di informazioni geo-referenziate sulla situazione del traffico su smartphone o dispositivi ad hoc www.ict4executive.it
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osservatori o | L’I nt e r ne t of T hi ng s i n I tal i a
la diffusione dell’internet of things in italia 6 5,0 mln
Numero di oggetti connessi (milioni)
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di sensori wireless o su dispositivi mobili come gli smartphone e i tablet che facilitano il coinvolgimento degli utenti consumer; queste tecnologie avranno un ruolo di crescente importanza nell’affermazione del paradigma Internet of Things.
+25% 3,9 mln
4 3,4 mln
+13%
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2
1
0 2010
Cresce la diffusione degli oggetti intelligenti negli ambiti applicativi più consolidati, basati su tecnologie di comunicazione cellulare
2011
2012
Smart Metering (i contatori intelligenti per la misura dei consumi, la corretta fatturazione e la telegestione) e lo Smart Asset Management (la gestione in remoto di asset di valore) nelle Utility. Le soluzioni più diffuse si hanno nel settore elettrico per la trasmissione dei dati di consumo da parte delle cabine secondarie, ma iniziano a crescere – sulla spinta della normativa – i contatori intelligenti per misurare i consumi di gas delle utenze industriali e le soluzioni per la contabilizzazione dei consumi condominiali relativi al riscaldamento. Oltre alle applicazioni nelle Utility, lo Smart Asset Management conta circa altri 500.000 oggetti connessi (pari al 10% del totale) per soluzioni “semplici” che rispondono a esigenze specifiche, come la rilevazione di manomissioni e la verifica della posizione delle Gambling Machine, oppure il monitoraggio del funzionamento degli ascensori. Il futuro: Smart City e Smart Metering Ad oggi in Italia appare ancora limitata la diffusione di soluzioni che facciano ricorso a tecnologie di comunicazione diverse da quella cellulare. Vi sono però alcuni ambiti specifici promettenti, come ad esempio l’illuminazione pubblica, dove i lampioni interconnessi possono consentire di ridurre i consumi energetici e i costi di manutenzione: nel 2012 si sono consolidate le soluzioni tecnologiche e si è ampliata l’offerta di soluzioni di illuminazione intelligente; ci sono le premesse per una crescente diffusione nel 2013. Sulla spinta dei bandi di finanziamento dell’Unione Europea e del MIUR, si inizia a registrare, inoltre, un forte interesse soprattutto in ambito Smart City & Smart Environment, con applicazioni basate su reti
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La Smart City è uno dei campi principali su cui l’Internet of Things giocherà la sua partita nei prossimi anni. In questo contesto, la normativa sullo Smart Metering gas, se opportunamente “riletta” per riportarla sul più ampio tavolo delle Smart City, rappresenta un’occasione unica per accelerare il processo di trasformazione verso le città intelligenti. L’obbligo (tutto italiano) dell’installazione di contatori intelligenti presso almeno il 60% delle utenze domestiche entro la fine del 2018, può infatti diventare un’opportunità per abilitare applicazioni diverse come, ad esempio, l’illuminazione pubblica, la verifica del riempimento dei cassonetti dei rifiuti, il monitoraggio degli spazi verdi, il monitoraggio del traffico, la gestione dei parcheggi. E così una rilettura dello Smart Metering gas per le Smart City può diventare il volano per le “città intelligenti”. Per adempiere alla normativa, infatti, si verrà a creare nei prossimi anni una nuova rete di comunicazione, diffusa nelle principali aree urbane. Se opportunamente costruita e condivisa, questa rete potrebbe essere usata per raccogliere informazioni da numerosi altri oggetti intelligenti della città. Abbiamo “battezzato” questa rete, nativamente condivisa tra più applicazioni, Smart Urban Infrastructure. Il modello della Smart Urban Infrastructure L’Osservatorio Internet of Things ha sviluppato un articolato modello di simulazione che consente di effettuare un’analisi tecnica ed economica del progetto di una Smart Urban Infrastructure. Per misurare il valore di un’infrastruttura di questo tipo, sulla base delle considerazioni ottenute l’Osservatorio Internet of Things ha poi applicato il modello a una media città italiana (70.000 abitanti, 60 kmq) interessata a implementare tre applicazioni: Smart Metering gas, illuminazione pubblica e monitoraggio del contenuto dei cassonetti per la gestione dei rifiuti. Ne emerge che la Smart Urban Infrastructure consente di ottenere risparmi significativi compresi tra il 25% e il 50% dei costi di investimento e tra il 50% e il 70% dei costi operativi rispetto al caso in cui ciascun servizio sia implementato indipendentemente dagli altri. E i benefici crescono ulteriormente all’aumentare del numero di applicazioni attivate.
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Gli ambiti applicativi dell’Internet of Things • Smart City & Smart Environment: applicazioni per il monitoraggio e la gestione degli elementi di una città (ad esempio mezzi per il trasporto pubblico, lampioni, monumenti, parcheggi, cassonetti per i rifiuti) e dell’ambiente circostante (ad esempio fiumi, boschi, montagne) per migliorarne la vivibilità, sostenibilità e competitività; • Smart Metering & Smart Grid: contatori intelligenti (Smart Metering) per la misura dei consumi (elettricità, gas, acqua, calore), la loro corretta fatturazione e la telegestione; rete elettrica “intelligente” (Smart Grid) per ottimizzare la distribuzione, gestendo la produzione distribuita e la mobilità elettrica; • Smart Home & Building: gestione automatica degli impianti e dei sistemi dell’edificio (ad esempio quelli per l’illuminazione, la climatizzazione e gli elettrodomestici) per il risparmio energetico, il comfort, la sicurezza dell’edificio e delle persone al suo interno; • eHealth: soluzioni per il monitoraggio in real time di parametri vitali da remoto a fini diagnostici e di cura, riducendo il ricorso all’ospedalizzazione; localizzazione dei pazienti in modo da lasciare maggiore libertà di movimento e al contempo garantire il controllo e la sicurezza (come ad esempio nel caso di malati di Alzheimer); • Smart Car: connessione tra veicoli o tra questi e l’infrastruttura circostante (come ad esempio i guardrail) per la prevenzione e rilevazione di incidenti, l’offerta di nuovi modelli assicurativi e/o di informazioni geo-referenziate sulla viabilità e sulla situazione del traffico; • Smart Logistics: soluzioni per la tracciabilità di filiera, la protezione del brand e il monitoraggio della catena del freddo, per la sicurezza in poli logistici complessi e per la gestione delle flotte (tracciabilità del mezzo e delle sue condizioni); • Smart Asset Management: gestione da remoto di asset di valore (come ad esempio dispositivi elettrobiomedicali, vending machine) a fini di rilevazione di guasti e manomissioni, localizzazione, tracciabilità e gestione inventariale; • Smart Factory: implementazione di nuove logiche di gestione della produzione grazie all’uso di macchine sensibili al contesto in cui operano, in grado di rilevare informazioni in tempo reale, comunicare tra loro e prendere decisioni; • Smart Agriculture: monitoraggio di parametri micro-climatici a supporto dell’agricoltura per migliorare la qualità dei prodotti, ridurre le risorse utilizzate e l’impatto ambientale.
il mercato dell’internet of things in italia Fatturato totale 2012: 810 mln E Numero di oggetti connessi nel 2012 tramite rete cellulare: 5 mln
Smart Home & Building Smart Car
3%
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10% 27%
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Smart Logistics
9%
Smart Metering & Smart Asset Management nelle Utility Smart City & Smart Environment
3%
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Altro
5% Valore di mercato
Smart Asset Management
Diffusione
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Conoscere l’ICT per innovare il business LE
TECNOLOGIE
DELL'INFORMAZIONE
E
DELLA
svolgono un ruolo sempre più pervasivo e strategico in qualsiasi organizzazione, diventando una potente leva di innovazione e di miglioramento delle performance. Una corretta conoscenza di queste tecnologie e, soprattutto, del loro impatto sul business può portare una qualsiasi azienda a sfruttarle efficacemente per ottenere benefici significativi e migliorare la sua competitività. Gli Osservatori ICT & Management della School of Management del Politecnico di Milano nascono proprio con l’obiettivo di contribuire a questa conoscenza con un insieme ampio e articolato di vicende che analizzano la migliore esperienza italiana, con una forte attenzione agli scenari internazionali. COMUNICAZIONE (ICT)
GLI OSSERVATORI si rivolgono in particolare ai manager e ai decision maker delle aziende utilizzatrici di ICT per fornire loro informazioni sulle opportunità offerte dalle soluzioni più innovative attraverso ricerche puntuali, studi di caso, benchmark, video degli eventi, atti dei convegni, ecc.
GLI OSSERVATORI si rivolgono anche a tutte le aziende che offrono soluzioni e servizi ICT
(software vendor, hardware vendor, service provider, consulenti, operatori del canale), fornendo fotografie approfondite sugli scenari di mercato in Italia, con l’intento di supportarle nella messa a punto di offerte più efficaci.
GLI OSSERVATORI ICT & MANAGEMENT, con i suoi 80 analisti e ricercatori, hanno svolto nell’ultimo anno più di 40 ricerche, analizzando oltre 3.000 imprese e pubbliche amministrazioni e organizzando circa 100 eventi tra Convegni e Workshop.
GLI OSSERVATORI:
• Agenda Digitale • B2b – eProcurement e eSupply Chain • Business Intelligence • Canale ICT • Cloud & ICT as a Service • eCommerce B2c • eGovernment • Enterprise 2.0 • eProcurement nella Pubblica Amministrazione • Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione • Gestione dei Processi Collaborativi di Progettazione • Gestione Strategica dell’ICT • Gioco Online • HR Innovation Practice • ICT & Business Innovation nel Fashion-Retail • ICT & Commercialisti • ICT & PMI • ICT Accessibile e Disabilità • ICT in Sanità • ICT nel Real Estate • ICT nelle Utility • ICT Strategic Sourcing • Information Security Management • Intelligent Transportation Systems • Internet of Things • Intranet Banche • Mobile & Wireless Business • Mobile Banking • Mobile Internet, Content & Apps • Mobile Marketing & Service • Multicanalità • New Media & New Internet • New Slot & VLT • New Tablet & Business Application • NFC & Mobile Payment • RFId • Smart Working • Startup Digitali • Unified Communication & Collaboration
SEZIONE PREMIUM www.osservatori.net per avere accesso alla più ampia base di conoscenza in Italia sugli impatti di business delle tecnologie ICT
PIÙ DI 140 REPORT
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P E R M A G G I O R I I N F O R M A Z I O N I V I S I TAT E I L S I T O
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D I R E T TA W E B DEI CONVEGNI
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Alcuni esempi di domande a cui gli Osservatori contribuiscono a dare risposta
CANA
LE ICT
• Q ua li basate sono le op po s agli o ul Cloud c rtunità che ompu perato le solu tin ri del canale g offrono zioni ICT? • Q ua l è la re del C anale dditività d egli o ICT? perato ri
ECOMM
CIO
tà • Quali sono le priori di invest imento ICT nel 2013? in • Come varia la spesa 2013? outsou rci ng ICT nel
C ERCE B2
• Quanto vale l'eCommerce B2c in Italia nel 2012 e quali sono le potenzialità di sviluppo nei prossimi anni?
M
OBILE • Quan MARKE TING to è cre s ciuto il del Mo bile Ad mercato ve negli u ltimi a rtsing nni in Italia? • Quan te appli c azioni vengon d o svilu ppate d i Mobile Mar ke alle azie nde ita ting liane?
• Come sta evolvendo il mobile commerce in Italia? Come sono utilizzati i Social Network a supporto del processo di interazione con il consumatore?
ICT & PMI
zioni ICT diffuse le solu • Quanto sono ità as a Service al erogate in mod strutturale fra (sia a livello in italiane? o) nelle PMI che applicativ ndizionano i fattori che co tivi • Quali sono ica pl dei servizi ap “as a Service”? la diffusione alità od m in li ra e infrastruttu
NEW MED IA & NEW INTERNET • Quanto va le il mercato dei Media digitali in Ita lia?
MOBIL NFC &
o i success o i casi d n so a li li a a • Qu nt in It e P ay m e d i Mobil ? ro e a ll ’este elco, uolo d i T stema (r in Ita lia si rà o e c e rm le e ff • Qua ider) si a ent? v m ro y P a e P B a nc he l Mobile up p o d e il sv lo r pe
M O B I L E I N T E R N E T, C O N T E N T & A P P S
• Quali rica vi so Applicazioni no generati grazie alle , ai Video O nline, ai So Network e cial ai nuovi de vice?
• Quanto vale il mercato delle mobile application in Italia? • Quali sono i comportamenti degli utenti che scaricano applicazioni dal telefonino?
S A SERVICE CLOUD & ICT A
to del il merca a? • Q ua l è g in Itali n ti ompu Cloud C a ell’offert filiera d g? la n ia ti b u p m ca om • Come Cloud C nto del e v v l’a con
ME E PAY
FAT T U R A Z I O N E E L E T T R O N I C A
• Quali sono i benefici di una soluzione di Fatturazione Elettronica e come si valutano concretamente? • Quali sono i principali “fattori critic i di successo” di un progetto di integrazion e del Ciclo dell’Ordine?
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I N TE R V IS TA di
Alessandra Luksch
Silvio Fraternali Responsabile Direzione Sistemi Informativi Intesa Sanpaolo Group Services
Le strategie ICT di Intesa Sanpaolo e Unicredit Silvio Fraternali e Massimo Milanta, ospiti d’eccezione a un workshop organizzato dal Politecnico di Milano, parlano dell’approccio all’innovazione e delle sfide organizzative che intendono affrontare nei prossimi mesi
Si è svolto lo scorso 30 gennaio il 1° Workshop della Management Academy for ICT Executives, il progetto culturale del MIP-Politecnico di Milano che favorisce da diversi anni la crescita delle competenze manageriali dei decisori ICT. L’incontro è stato dedicato in questa occasione all’analisi dei risultati della Survey CIO sulle priorità di investimento e innovazione organizzativa ICT per il 2013, le cui principali evidenze sono state pubblicate sul numero di gennaio di ICT4Executive. Al Workshop hanno partecipato, come guest speakers, Silvio Fraternali, Responsabile Direzione Sistemi Informativi Intesa Sanpaolo Group Services - la società consortile del Gruppo Intesa Sanpaolo a cui fanno capo i sistemi informativi, i servizi operativi, l’organizzazione e la sicurezza, la gestione immobiliare, gli acquisti e la Contact Unit Clienti - e Massimo Milanta, Direttore Generale di UniCredit Business Integrated Solutions - la società globale di servizi di UniCredit, | 30 |
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dedicata in particolare, all’erogazione dei servizi ICT, Back Office e Middle Office, Real Estate, Security e Procurement, che conta circa 12.000 persone e coordina le attività in 11 Paesi. l’ottimismo in Intesa Sanpaolo Group Services «In Intesa Sanpaolo Group Services si respira un’atmosfera ottimistica per il 2013, perché per chi si occupa di ICT il momento è molto importante e decisamente interessante», ha esordito Silvio Fraternali. Per Intesa Sanpaolo Group Services uno dei temi rilevanti nei prossimi mesi sarà sicuramente quello della multicanalità: è infatti indispensabile seguire lo sviluppo del mercato e del rapporto con i clienti che, ormai, possono non recarsi più fisicamente in filiale, ma relazionarsi con la banca in molti modi diversi fra loro. Si tratta, quindi, di comprendere e gestire al meglio la complessità che caratterizza oggi il merca-
IN T E RV ISTA | L e st rat e g ie ICT di I n t e sa S a n pao l o e Un ic re dit
Massimo Milanta Direttore Generale UniCredit Business Integrated Solutions
Chi è Silvio Fraternali È Direttore Centrale di Intesa Sanpaolo, attualmente responsabile della Direzione Sistemi Informativi di Intesa Sanpaolo Group Services. Inizia il suo percorso professionale nel 1986 presso l’Istituto San Paolo di Torino e ricopre diversi incarichi nell’ambito della gestione dei sistemi informativi e delle operations del Gruppo, in particolare nell’area dei mercati finanziari e del controllo di gestione. Nel 2000 è responsabile delle attività di realizzazione dei nuovi canali tecnologici di Sanpaolo IMI. Dal 2003 si occupa dell’area CRM e dal 2007 è responsabile della struttura di Customer Relationship. Dal 2009 è responsabile della Direzione Sistemi Informativi del Gruppo Intesa Sanpaolo. È stato professore a contratto del Master in Management dei Sistemi Informativi presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano. È autore di pubblicazioni su temi economici e tecnologici. Ha ricoperto la carica di membro del Consiglio di Amministrazione in alcune società del Gruppo Intesa Sanpaolo.
Chi è Massimo Milanta
to e interpretare nuovi modelli di business, tenendo sotto controllo le tante variabili in gioco. «La spinta alla digitalizzazione rappresenta la chiave di lettura di queste trasformazioni e di una nuova visione del futuro», ha commentato Fraternali. «Finora abbiamo investito molto in ICT, e continueremo a farlo, ma l’obiettivo per noi è soprattutto quello di investire nel modo più efficace possibile. Tutto quanto può essere risparmiato in termini di run, ossia di operatività ordinaria, si traduce in opportunità di change e quindi in risorse per investimenti: questo approccio fa ormai parte della nostra esperienza e della nostra metodologia di lavoro. L’obiettivo è quello di evidenziare le competenze interne - dove queste sono disponibili - e di svilupparle laddove sono carenti. Bisogna creare imprenditorialità diffusa in azienda, in modo che, l’apporto dato da tutti i colleghi alla gestione aziendale, permetta di rispondere alle esigenze del mercato», ha spiegato il manager.
È nato a Genova nel marzo 1963, dove si è laureato in Ingegneria Elettronica con specializzazione in Informatica. Nel 1989 inizia la sua carriera professionale presso Andersen Consulting (oggi Accenture) dove ha gestito progetti ICT per 15 anni nel team IT e nella Divisione Banking. In quegli anni ha contribuito allo start-up delle prime aziende di banking online sul mercato italiano, alla definizione di un nuovo sistema di core banking per un consorzio di 17 banche ed è stato Responsabile delle iniziative IT di Accenture per il Gruppo Intesa. Nel 1999 inizia la sua lunga collaborazione con il Gruppo UniCredit, partecipando a molti progetti IT, quali la configurazione dell’architettura multicanale di Banca Xelion e di Bank Pekao (Polonia). Nel 2000 è nominato Partner di Accenture – Responsabile dell’Architettura Tecnica del Gruppo per i mercati finanziari in Italia, Europa dell’Est, Grecia, Turchia e Medio Oriente – e Partner Responsabile di tutte le attività IT per il Gruppo UniCredit. Nel 2004 entra a far parte di UniCredit Global Information Services come Responsabile del Nuovo Programma di integrazione IT in Europa e, dopo la fusione con il Gruppo HVB, è nominato Responsabile di UniCredit per l’integrazione ICT nella Divisione GBS, coordinando il Programma di Integrazione ICT del Gruppo.
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INTERVI STA | Le st r at e g i e ICT d i I nt e s a S anpaol o e Un ic re dit
Fraternali: «Bisogna creare imprenditorialità diffusa in azienda, in modo che l’apporto dato da tutti i colleghi alla gestione permetta di rispondere alle esigenze del mercato» Milanta: «Anche per le banche è sempre più importante il tema del CRM real time. In questo modo è possibile avere una relazione realmente multicanale con il cliente»
Nella visione di Fraternali, quindi, le competenze ICT saranno sempre più centrali se utilizzate al meglio, e potranno stimolare non solo le aziende, ma anche i loro fornitori, incoraggiando, a vari livelli, un atteggiamento basato sulla necessità di anticipare, più che rincorrere i bisogni del mercato.
La Management Academy for ICT Executives La School of Management del Politecnico di Milano punta da sempre alla collaborazione Università-Impresa per fornire agli Executives una visione strategica e manageriale dell’innovazione. In questo contesto si inserisce il progetto culturale della Management Academy for ICT Executives del MIP che, facendo leva sulla conoscenza sviluppata dagli Osservatori, ha favorito in questi anni la crescita delle competenze manageriali dei decisori ICT attraverso attività di formazione, workshop e tavoli di lavoro, che hanno coinvolto più di 1.200 manager in questi ultimi 4 anni. Lo spirito dell’Academy è infatti quello di rappresentare la “casa” di tutti i principali protagonisti della community ICT italiana, dove incontrarsi, riconoscersi, confrontarsi e crescere professionalmente, in una logica precompetitiva. La Management Academy for ICT Executives 2013 è realizzata con il patrocinio di ASSI, Aused, CIO AICA Forum e ClubTI e il supporto di Accenture, IBM, Nolan, Norton Italia, Verizon, Avanade, Dell, NetApp e Orsyp. Il programma si articola in tre filoni principali di attività. • Un ciclo di Workshop a invito, con frequenza mensile, attraverso un collaudato format fortemente basato sulla relazione e la condivisione di esperienze tra gli ICT Executives invitati, i rappresentanti dei Partner e prestigiosi ospiti. • Un insieme di percorsi di Formazione avanzata. • Una serie di Ricerche condotte in esclusiva con focus sui principali trend nella governance e nell’organizzazione dell’ICT. Per maggiori informazioni: Alessandra Luksch - luksch@mip.polimi.it | 32 |
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La vision di UniCredit Business Integrated Solutions Nonostante la difficile contingenza economica, in UniCredit Business Integrated Solutions il 2013 vede prospettive positive di sviluppo. «In questo nuovo anno investiremo molto nei progetti regolamentari, in ottica non semplicemente di adesione alle nuove leggi, ma più in generale per la gestione del rischio in maniera trasversale e integrata», ha spiegato Massimo Milanta. Accanto agli investimenti in ambito di compliance e rischio, UniCredit Business Integrated Solutions vede come prioritario l’adeguamento allo sviluppo multicanale del mercato, con una gestione del CRM in grado di intercettare realmente le dinamiche e interazioni con i clienti. Complementare a questo aspetto è l’attenzione agli Analytics, per comprendere e prevedere i movimenti della clientela e la volontà di spesa, «attività promettenti perché forniscono un enorme patrimonio informativo che ci permetteranno di proporre soluzioni innovative per la nostra clientela», ha sottolineato il manager. Il terzo ambito di investimento, infine, è costituito da nuove politiche di “competence sourcing”. «Se bisogna ridurre i costi operativi, una buona alternativa è quella di far leva sul sourcing competitivo nelle aree che consideriamo commodities/utilities. Mentre per quelle aree su cui si vuole investire all’interno è necessario un adeguato processo di formazione e riconversione professionale delle nostre persone», ha spiegato Milanta, aggiungendo: «Noi stiamo intraprendendo questo percorso e presto avremo la possibilità di verificarne l’efficacia».
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I N TE R V IS TA di
manuela gianni
Nader Sabbaghian
Acquisti online, il software italiano è usato in tutto il mondo
Amministratore Delegato BravoSolution
Sono oltre 600 le organizzazioni che hanno adottato la soluzione di BravoSolution per la gestione dei processi di approvvigionamento e per la Spending Review, fra cui i governi di Regno Unito, Messico ed Emirati. L’AD Nader Sabbaghian spiega il perché di questo successo internazionale
Raro esempio di azienda italiana con un ruolo rilevante nel mercato globale dell’Enterprise Software, BravoSolution raccoglie un successo crescente ormai da diversi anni. Nove anni consecutivi di crescita profittevole hanno permesso di raggiungere nel 2012 un fatturato pari a circa 62 milioni di euro (+10%), con 500 dipendenti in 11 Paesi, dei quali circa 100 ricercatori impegnati nello sviluppo del software. L’ambito di attività è quello degli approvvigionamenti online: il software della società permette di innovare i processi di acquisto e migliorare le performance, con ricadute positive che vanno ben al di là della riduzione dei costi. Soluzioni che sono sempre più apprezzate da grandi aziende e PA in tutto il mondo, ma che - purtroppo - in Italia, proprio nel settore pubblico, faticano ad attecchire. Ne parliamo con, Nader Sabbaghian, Amministratore Delegato di BravoSolution, manager iraniano di nascita, italiano d’adozione, laurea in ingegneria in Canada e “dual master” negli Usa al MIT. | 34 |
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Siete ormai una multinazionale, anche se il “cuore” dell’azienda resta in Italia. Quali sono i Paesi dove avete più successo? I mercati più interessanti per noi sono ora gli Stati Uniti, dove in un anno siamo cresciuti del 25%, e il Medio Oriente, dove abbiamo iniziato a lavorare l’anno scorso: ora ci sono 35 persone nell’ufficio di Dubai, e continuiamo ad assumere. In totale abbiamo circa 600 clienti in giro per il mondo, e quasi tutti utilizzano la soluzione in Cloud, quindi come servizio. Ormai il 70% del nostro fatturato è generato fuori dall’Italia: la situazione d’incertezza del Paese sta rallentando la partenza dei progetti di alcune grandi aziende, che sono i nostri principali clienti. Qual è dal suo punto di vista la diffusione delle soluzioni di approvvigionamenti on line? In generale, si tratta di un mercato ancora poco maturo: quello che noi proponiamo è una soluzione completamente nuova - sebbene già consolidata da
I NTE R V I S TA | Ac quist i o n l in e , il so f t wa re ita l ia n o è usat o in t ut t o il m o n do
oltre 12 anni di esperienza - e per questo siamo molto focalizzati sul “fare cultura” Aiutiamo le aziende a migliorare le loro performance nel mondo degli approvvigionamenti. Nel mondo degli acquisti, Internet non va a sostituire altre tecnologie usate in precedenza, ma strumenti di comunicazione poco strutturati e inefficienti come il telefono, il fax, o i fogli excel. La gestione è molto complicata soprattutto nelle grandi organizzazioni, dove quotidianamente avvengono scambi informativi con migliaia di fornitori. Con la nostra soluzione le comunicazioni avvengono via Internet, praticamente a costo zero, senza carta e in maniera tracciata: è un grande cambiamento. L’introduzione può avvenire in modo graduale? Assolutamente, perché la distribuzione del software è in Cloud, ovvero offriamo ai clienti un servizio con la possibilità di seguire un approccio graduale, un percorso: i costi di avviamento sono bassi, quindi le aziende possono provare a usare il servizio coinvolgendo inizialmente poche persone. In genere si parte da processi semplici, ad esempio piccole gare, per poi arrivare a servizi più sofisticati, come l’analisi della spesa, il monitoraggio dei risparmi, la gestione dei contratti post aggiudicazione. Un esempio è la BBC, la televisione inglese, che è nostro cliente da diversi anni: hanno iniziato a utilizzare il software nel 2005 partendo con 5 licenze e 1 modulo funzionale. Oggi utilizzano tutti i moduli della soluzione e gli utenti coinvolti sono oltre 200. La soluzione che fornite consente di gestire il processo di approvvigionamento online ma anche, a valle di questo, di analizzare i dati, ovvero di fare l’ormai nota Spending Review. Come viene utilizzata? Le soluzioni per la gestione analitica, cioè gli strumenti decisionali per il mondo approvvigionamenti, rappresentano la parte più avanzata della nostra offerta. Nel Regno Unito, ad esempio, utilizzando la nostra soluzione è stato avviato un processo di Spending Review in cui è coinvolto direttamente il primo ministro e che riguarda i principali organi del Governo. La nostra soluzione consente di creare valore a partire dai dati, utilizzando algoritmi che li organizzano, li normalizzano e li classificano, anche quando provengono da sistemi gestionali differenti, senza necessità di intervenire sul formato nativo: uno degli
Governi e grandi aziende gestiscono la spesa con BravoSolution La Software Suite per gli acquisti telematici della multinazionale italiana è oggi utilizzata da oltre 60.000 professionisti degli acquisti, in 60 Paesi. Fra questi figurano il governo centrale del Messico, quello degli Emirati Arabi Uniti e quello del Regno Unito, che ha adottato la soluzione nel 2004, quando è stato avviato un progetto per modernizzare la Pubblica Amministrazione in cui la gestione elettronica degli approvvigionamenti era un aspetto chiave. Un altro progetto rilevante è stato quello dei Giochi Olimpici del 2012: l’intera spesa, oltre 10 miliardi di euro erogati a 20.000 fornitori, è stata veicolata per via telematica attraverso appalti on line, grazie alla piattaforma tecnologica fornita dalla società italiana e accessibile da un portale dedicato. Numerose poi le referenze fra le grandi aziende in tutto il mondo. Fra le italiane: Poste, Autogrill, Astaldi, Impresa Pizzarotti, Banca d’Italia, SEA, Telecom, Aeroporto di Napoli, Sky.
esiti più apprezzati dai manager è una console che fornisce, in tempo reale, l’analisi dei dati di spesa, con il livello di dettaglio desiderato. Così è possibile sapere, ad esempio, quanto è stato speso con un determinato fornitore nell’ultimo quarter e per quali servizi e prodotti. Trovare queste risposte è usualmente molto complesso per le aziende, soprattutto nei casi in cui c’è disallineamento e frammentazione dei Sistemi Informativi, come nella Pubblica Amministrazione. Ci sono aziende italiane che utilizzano queste soluzioni per l’analisi della spesa? Sì, in Italia abbiamo diversi clienti che le utilizzano, fra cui Ferrero, Anas, Sapio, Italcementi, Arriva…
«Nel Regno Unito utilizzando la nostra soluzione è stato avviato un processo di Spending Review in cui è coinvolto direttamente il primo ministro e che riguarda i principali organi del Governo» www.ict4executive.it
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Speciale “Cloud e security”
Cloud e security, uno scenario in evoluzione Le soluzioni Cloud sono una grande opportunità per le imprese, ma pongono nuove sfide sotto il profilo della privacy dei dati personali. La Commissione Europea sta mettendo a punto una strategia comune, nell’ambito dell’Agenda Digitale
Malgrado la forte pressione a cui sono oggi soggetti i budget IT, la security resterà tra le priorità di spesa delle aziende per i prossimi 3 anni. Secondo Gartner la spesa mondiale per la sicurezza, pari a 60 miliardi di dollari nel 2012 (in crescita dell’8,4% rispetto al 2011), sarà destinata a toccare gli 86 miliardi nel 2016. I settori in cui si concentreranno i maggiori investimenti riguarderanno l’outsourcing (managed security services), le appliance (secure web gateway) e i sistemi di security information and event management (SIEM). Secondo la società di ricerche, vedremo nei prossimi anni lo sviluppo di soluzioni Cloud-based in un buon numero di comparti del mercato security e, in generale, una crescita sopra la media dell’offerta di sicurezza in Cloud. La domanda di prodotti e servizi di security sarà in ogni caso sostenuta dal perdurare delle minacce a cui si aggiungeranno attacchi mirati e condotti con meccanismi sempre più sofisticati. In questo contesto, le aziende continueranno ad aver bisogno di esperti e aiuti sul fronte della tecnologia e dei servizi per tenere sotto controllo i rischi e ridurre le vulnerabilità. | 36 |
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un mercato in crescita Gartner fa alcune previsioni per l’evoluzione della security nel prossimo futuro. La prima prevede che entro il 2016 le infrastructure di Cloud pubblico siano regolamentate da leggi stringenti sul fronte security, almeno in USA. A livello globale, le pubbliche amministrazioni troveranno nei servizi Cloud un modo per ridurre i costi dell’IT, abolire duplicazioni e migliorare la loro efficienza. Man mano che saranno sciolte le riserve verso l’adozione del Cloud, diverrà più seria la necessità di difendere le infrastrutture condivise sotto il profilo della security, pena conseguenze a largo raggio sull’economia. Per il 2015, secondo Gartner, il 10% delle soluzioni d’impresa per l’IT security saranno erogate in Cloud. I livelli di crescita di tali servizi potrebbero battere quelli tradizionali. Nei prossimi tre anni gli apparati di security saranno caratterizzati da minori costi operativi, più flessibilità e capacità di deploy in tempi rapidi e in ambienti IT differenti. Sempre per il 2015, Gartner prevede che il 20% del mer-
Speciale “Cloud e security” cato VPN/firewall possa essere correlato con quello degli switch virtuali, sotto il controllo degli hypervisor piuttosto che con le attuali appliance. Soluzioni fisiche a difesa della rete impedirebbero di ottenere il massimo potenziale dalla virtualizzazione dei server. L’integrazione con gli hypervisor è un aspetto importante per la funzionalità delle soluzione e questo permetterà a nuove società di entrare sul mercato dei firewall. La sicurezza negli ambienti Byod In un recente sondaggio di Gartner, il 70% dei rispondenti ha dichiarato che ha implementato o lo sta facendo politiche Byod, per permettere l’uso di dispositivi mobili di proprietà utente in azienda. Passare da dispositivi “controllati” ai dispositivi dell’utente pone almeno tre sostanziali problemi in ambito di security. Il primo riguarda il conflitto tra la gestione privata - con installazione di App
e simili -, e le policy aziendali, con il rischio di acquisire malware o incorrere in perdite di dati. La soluzione è data dall’uso di agenti software per il mobile device management (MDM), soluzioni di filtro (secure web gateway), oltre ad altri supporti come gli quali app-store aziendali. Il secondo problema riguarda l’aggiornamento dei dispositivi per minimizzare le vulnerabilità: quasi impossibile in ambienti eterogenei, non sotto controllo aziendale. Il rischio può essere mitigato con l’uso di password avanzate, blocchi in caso di immissioni errate o time-out, uso della crittografia dei dati. Il terzo aspetto riguarda la privacy, ossia il fatto che le persone possano non accettare di far manipolare il proprio dispositivo dall’azienda senza il consenso. Questo pone dei limiti legali alle azioni che si possono fare. Gli strumenti di cancellazione remota, per esempio dovranno agire in modo parziale, rispettando i dati personali. P.T.
Normativa, lavori in corso nella Commissione Europea Il 2013 può finalmente essere l’anno della svolta per lo sviluppo del Cloud computing in ambito europeo. Spiega Massimiliano Pappalardo, avvocato e socio dello Studio Legale D&P, specialista di Diritto della Proprietà Intellettuale, di privacy e di telecomunicazioni: «Appare chiaro lo sforzo di creare le condizioni di base per consentire a soggetti pubblici e privati di poter beneficiare dei vantaggi competitivi che una soluzione Cloud può garantire, senza essere esposti ai rilevanti rischi che un quadro normativo ancora incerto e strumenti contrattuali inadeguati potrebbero comportare». In particolare, secondo Pappalardo le problematiche normative connesse alla localizzazione dei dati gestiti in Cloud e, in particolare, al trasferimento di dati personali verso Paesi Extra UE, potrebbero essere superate con l’adozione delle cosiddette Binding Corporate Rules (BCR) da parte dei fornitori di servizi Cloud. Le BCR, già da anni utilizzate nell’ambito dei trasferimenti di dati infragruppo, sono infatti un insieme di regole interne di condotta soggette al controllo preventivo di un’Authority nazionale, le quali - una volta approvate - vengono ritenute idonee a garantire un livello di protezione dei dati personali adeguato rispetto agli standard europei. «Solo con un recente provvedimento del 21 dicembre 2012, le Autorità Garanti dei Paesi UE hanno deciso l’entrata in vigore dal 1 gennaio 2013 delle BCR, quale strumento facoltativo, anche in favore dei soggetti che operano quali responsabili esterni del trattamento, ivi inclusi quindi i fornitori di servizi Cloud. Questi ultimi hanno quindi ora a disposizione un importante strumento per ovviare ai problemi di compliance connessi al trasferimento dei dati personali fuori dal territorio dell’Unione Europea», afferma l’avvocato. Inoltre, una strategia comune in materia di Cloud computing è stata posta dalla Commissione Europea al centro dell’Agenda Digitale europea. La strategia sulla nuvola informatica annunciata lo scorso settembre prevede, infatti, tra l’altro le seguenti azioni: elaborare entro il 2013 gli standard tecnici volti a favorire l’interoperabilità e portabilità dei dati; sostenere i sistemi di certificazione a livello europeo destinati a fornitori affidabili di servizi Cloud; elaborare clausole contrattuali-tipo che siano “sicure ed eque” per i contratti relativi ai servizi Cloud; creare una “partnership europea per la nuvola informatica” che coinvolga Stati membri e industria per orientare il mercato europeo del Cloud computing e incrementare la competitività dei provider europei. Un altro aspetto di notevole importanza per lo sviluppo del Cloud è il fatto che iniziano ad essere disponibili prodotti assicurativi specificamente creati per la copertura dei rischi informatici connessi all’adozione di questo tipo di servizi.
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Speciale “Cloud e security”
Cloud, la ricetta di Dell: servizi ‘tagliati su misura’
Già da anni Dell ha avviato un’offerta Cloud che, oltre ad hardware e tecnologie, comprende servizi che negli USA coprono tutti i tre segmenti infrastructure, platform e software as a service, mentre in Europa sono più mirati e basati su alleanze con service provider locali. «In Italia in particolare abbiamo un accordo con Aruba, che è anche un primario cliente, avendo nei suoi Data Denter migliaia di server Dell», spiega Fabrizio Garrone, Solutions Manager di Dell. Tra gli ormai molti player Cloud attivi in Italia, Dell punta soprattutto sulla capacità di tagliare l’offerta sulle reali esigenze del cliente. «Il target non comprende la fascia più bassa del mercato, ma comincia dalle aziende piccole e medie che hanno esigenze differenziate, per esempio di sviluppo ma anche di backup remoto e magari di disaster recovery, e prive delle competenze interne per integrare il sistema informativo interno e le parti che mettono in Cloud: a livello globale siamo tra i principali attori nel Cloud, e in Italia facciamo leva su questa esperienza». L’offerta con Aruba è partita da pochi mesi, e Garrone traccia un primo bilancio: «Si conferma che il Cloud è vissuto come un percorso graduale di trasformazione dell’infrastruttura IT aziendale, e che nessun progetto è uguale a un altro: abbiamo clienti che hanno portato l’intero sistema informativo in Cloud, e altri in cui il Cloud serve solo per il backup o l’estensione della capacità computazionale». Il ruolo diretto di Dell in questi progetti è di analizzare le esigenze del cliente e il suo sistema informativo, per disegnare poi insieme ad Aruba un servizio Cloud ad hoc. «L’infrastruttura – storage, server, eccetera – può essere dedicata al cliente, o condivisa
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Il fornitore spiega l’offerta congiunta con Aruba in Italia: puntiamo su aziende piccole e medie con esigenze differenziate, e senza le competenze interne per integrare ciò che resta in casa e ciò che va in cloud
Fabrizio Garrone Solutions Manager di Dell
e pubblica, ma questa è una scelta che di volta in volta scaturisce naturalmente dall’analisi». Per ora il Cloud in Italia è visto dall’IT aziendale soprattutto come strumento agile e veloce per migliorare i livelli di servizio ed estendere le proprie capacità con servizi che, se sviluppati all’interno, sarebbero troppo onerosi. «Pochi esternalizzano totalmente il Data Center in un Cloud vero, con infrastruttura condivisa e costi pay-peruse: per adesso lo fa solo qualche start-up con ridotte esigenze in termini di sistemi informativi». Le maggiori perplessità delle aziende utenti sul modello Cloud riguardano la sicurezza, «ma va detto che, se da un parte c’è il timore per l’integrità dei propri dati, dall’altro il cliente spesso non è in grado di precisare nel dettaglio di quali livelli di sicurezza ha bisogno». Un concetto cruciale, sottolinea Garrone, è che dev’esserci omogeneità tra la tutela di ciò che il cliente tiene in Cloud e di ciò che resta nel suo Data Center: «La sicurezza dei dati in Cloud è gestita con strumenti sperimentati da chi fa dei servizi di Data Center il proprio business, mentre per ciò che resta in casa noi proponiamo un’offerta di security ‘as a service’, basata sull’acquisizione di SecureWorks, uno dei principali specialisti in questo campo, che ha clienti come Bank of America».
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Big Data e Cloud a portata di piccole e medie aziende
La divisione Systems & Technology Group di Ibm ha presentato anche in Italia una serie di nuovi prodotti accomunati, come spiega il Vice President della divisione Enrico Cereda, dall’intento di dare anche alle piccole e medie aziende l’opportunità di avviare progetti Big Data e Cloud Computing. Si tratta di otto Power System, tre nuovi modelli PureSystem, e alcune soluzioni di storage. I Power comprendono 4 sistemi entry level dotati di processori Power7+, finora destinati ai sistemi di fascia alta, e proposti a tariffe molto concorrenziali («Si parte da 5000 euro, il prezzo di un server x86», spiega Cereda); due PowerLinux ottimizzati per le soluzioni di analisi ‘Big Data’ e due Power System per medie e grandi imprese. Nello storage le novità riguardano SmartCloud Storage Access (soluzione software per creare ambienti storage Cloud), l’upgrade di XIV Storage System, e RealTime Compression Appliance. Infine gli annunci per PureSystems, la piattaforma midrange di ‘sistemi esperti integrati’ lanciati l’anno scorso da Ibm, riguardano nuove versioni di vari componenti per il rilascio accelerato di ambienti e applicazioni in Cloud indirizzate a piccole aziende utenti e service provider. «Il 2012 è stato positivo per la nostra divisione: nel secondo semestre siamo cresciuti oltre il 20%, e ci aspettiamo anche una buona prima metà del 2013 -, spiega Cereda -. Il 2012 è stato anche un anno con molti annunci: nel primo semestre spiccano quelli dei PureSystems, nel secondo abbiamo presentato prodotti di fascia alta, e intanto abbiamo iniziato a registrare decine di vendite di PureSystems, sia a PMI che a grandi imprese, soprattutto banche e telco: l’Italia è una delle country che sono
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Annunciati nuovi sistemi delle serie Power e Pure e soluzioni di storage accomunati dall’intento di dare anche alle PMI l’opportunità di avviare progetti avanzati
Enrico Cereda Vice President Systems & Technology Group di Ibm
andate meglio in questo campo, con un fatturato quasi triplo rispetto a Ibm Germania». Cereda ha rassicurato poi gli utenti di System i (la piattaforma erede diretta dell’AS/400): «IBM ha pubblicato una roadmap fino al 2017, con supporto fino al 2021: l’azienda utente può così scegliere se rimanere su AS/400, o migrare a sistemi Power o Pure». A proposito di PureSystems, il bilancio per ora parla di un centinaio di sistemi venduti in Italia, con 60 partner certificati. Tra questi c’è BinHexS, uno dei primi acquirenti di PureSystems in Italia. «Siamo partiti da un’analisi dei costi del nostro Data Center - spiega il direttore tecnico di BinHexS, Michele Seminara -, ed è emerso che il 65% è legato alle risorse umane: ci serviva quindi un’infrastruttura tecnica molto semplice, per permettere anche a sistemisti giovani di fare attività di gestione, e in effetti PureFlex consente di gestire tutto con una sola interfaccia - storage, switch, macchine virtuali, deployment, gestione dei carichi Power e Intel -, grazie a Flex System Management, il componente più interessante della piattaforma. Ora non è più necessaria la presenza quotidiana del sistemista senior, e inoltre la virtualizzazione è più profonda, ed è ridotta al minimo la necessità di fare ‘fine tuning’ dei vari sottosistemi».
Speciale “Cloud e security”
il rischio maggiore viene dalla scarsa conoscenza
Il recente Security Report 2013 non dà adito a dubbi: la sicurezza resta un problema per le imprese, per una serie di fattori che riguardano sia l’elemento umano sia l’evoluzione delle minacce. Realizzato da Check Point analizzando un campione di 900 aziende di vari settori in tutto il mondo (40% europee), il Security Report fa luce su aspetti poco conosciuti della sicurezza, che riguardano i dati che transitano sulle reti aziendali, testimoni delle attività più rischiose compiute dagli utenti, oltre che sulle varie forme di malware ed altre fonti significative di rischio. La ricerca ha rilevato nel 63% delle aziende del campione segni di contaminazione da bot pericolosi, oltre a tentativi di attacco alla rete con cadenza giornaliera. Le applicazioni Web 2.0, sempre più amate dagli utenti, hanno offerto agli hacker nuovi modi per attaccare le reti aziendali. Nel 91% delle aziende è stato riscontrato da parte degli utenti l’utilizzo di applicazioni che comportano seri rischi di protezione. Nel 47% delle aziende sono usati strumenti che permettono di fare navigazione anonima; sono inoltre usati software p2p, servizi di cloud storage e di condivisione file. Le informazioni aziendali non sono mai state così accessibili e vulnerabili rispetto a comportamenti intenzionali o ingenui da parte degli utenti con il rischio di perdite di dati. Più della metà delle aziende del Report (54%) ha sperimentato almeno un caso di perdita di dati nell’anno. «È un panorama poco confortante per la sicurezza delle imprese, che assume in Italia toni ancora più forti – commenta Rodolfo Falcone, Country Manager di Check Point in Italia – per la scarsa consapevolezza del rischio». Le aziende italiane hanno spesso sbagliato approccio in
Gli attacchi e le perdite di dati restano un punto critico, come rivela il recente Security Report 2013 di Check Point Ma le imprese italiane hanno poca consapevolezza e adottano spesso un approccio non adeguato
Rodolfo Falcone Country Manager Check Point Italy
tema di security, «anteponendo l’implementazione di tecnologie di difesa all’analisi delle necessità e alla formazione delle persone». La formazione in tema security è fondamentale per Falcone: «Il 70% delle perdite di dati avviene per colpa dei dipendenti che usano l’e-mail in modo ingenuo o superficiale. Occorre fare più cultura sui comportamenti corretti da tenere con gli strumenti forniti dall’azienda». La sicurezza ha inoltre bisogno di policy efficaci, che definiscano per esempio se si può usare Dropbox per condividere file, oppure i social network durante l’orario di lavoro e infine gli strumenti tecnici per l’enforcement delle regole, «Rispetto agli altri fornitori, Check Point si distingue per l’approccio a 360 gradi ai problemi di sicurezza – precisa Falcone –. Partiamo dalla consulenza per arrivare alla soluzione. Serve capire come lavora il cliente, quali sono le sue aree critiche e quindi focalizzare gli interventi allineando l’investimento alle risorse a disposizione». I problemi più frequenti? «In molte aziende ci sono dispositivi diversi a difesa dei servizi web, client e reti, che comportano diseconomie nella gestione e falso senso di sicurezza. Una tutela efficace richiede strumenti di protezione capaci di agire in modo integrato», conclude Falcone.
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il cloud trasforma le imprese
Il Cloud non va visto solamente come tecnologia che si concretizza in servizi digitali, accessibili in modo flessibile e a costi ridotti, ma come una modalità del tutto diversa di concepire i processi di business, che sfrutta infrastrutture e servizi digitali. Questo impone un cambio di prospettiva, dove il Cloud venga letto e interpretato dal punto di vista del fruitore dei servizi, il cui comportamento è assimilabile a quello di un vero consumatore, che può scegliere il servizio di proprio interesse, con gradi di libertà enormemente superiori rispetto al passato, sia all’interno che al di fuori delle mura aziendali, dove policy e limitazioni tecnologiche riescono difficilmente a contenere l’adozione spontanea di strumenti di produttività individuale o di piattaforme necessarie per il business. In quest’ottica diventa quindi fondamentale considerare tre chiavi di lettura, quali il servizio nel suo insieme, i processi operativi necessari all’erogazione del servizio e il ciclo di vita delle istanze e del catalogo dei servizi. Alla luce di questo nuovo scenario, l’IT è chiamato ad evolvere in termini di competenze, tecnologie e processi e a riorganizzarsi, incorporando i nuovi paradigmi e le nuove offerte in un continuum di servizi ibridi, tradizionali e Cloud, misurandosi contestualmente con una competizione esterna in termini di qualità e costo. Il CIO deve essere ora necessariamente a diretto contatto con il business, rinnovando il proprio rapporto con esso in un’ottica di partnership. Al tempo stesso deve ridisegnare i processi IT in ottica di servizio e le politiche di acquisto devono foca-
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non solo nuove tecnologie e servizi, ma un cambio di prospettiva per l’organizzazione IT. L’approccio Converged Cloud di HP consente alle aziende di sviluppare il proprio percorso Cloud in maniera bilanciata, con l’obiettivo di trarre i massimi benefici
lizzarsi sul costo e sulla qualità dell’unità di servizio a dispetto dell’unità tecnologica. Infine, anche la classica segmentazione dell’IT in layer, in domini applicativi e in processi a supporto deve essere ripensata al fine di ottimizzare la realizzazione e l’erogazione di servizi. Non intercettare e considerare i servizi erogati dal Cloud all’interno di una visione globale si tradurrebbe inevitabilmente nell’utilizzo incontrollato da parte dei consumatori, con conseguenti rischi ed inefficienze. HP può contare su un posizionamento unico, grazie al suo ruolo di pioniere in ambito di Converged Infrastructure, che l’ha vista come primo attore capace di tradurla in tecnologia immediatamente disponibile e a realizzarla in tutte le sue componenti – quali server, storage, networking, management e automation, power e cooling. HP Converged Cloud rappresenta la naturale evoluzione di questa strategia e si concretizza in tecnologie come Cloud System Matrix, Cloud System Enterprise e Cloud System SP, pensate per soddisfare diverse esigenze applicative, che – grazie all’integrazione di elementi di Converged Infrastructure e Converged Management – consentono di allineare i benefici dell’architettura a quelli di business. L’approccio di HP nasce per consentire alle aziende di sviluppare il proprio percorso Cloud in maniera bilanciata, con l’obiettivo di trarre i massimi benefici in tutte le sue fasi di esecuzione (breve, medio e lungo termine), valutando i parametri di business, tecnici, gestionali e di processo all’interno di un maturity framework.
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IT security, non solo tecnologia ma un percorso formativo continuo
L’odierna rete non è più limitabile alle quattro mura aziendali: la mobilità e la produttività degli addetti anche da remoto, il trend Bring Your Own Device, la condivisione di risorse e informazioni attraverso moderne piattaforme Cloud, la convergenza sulle reti IP di un sempre maggiore numero di servizi che vanno oltre il mero traffico dati, sono imprescindibili per il successo di qualsiasi attività. Nella fretta di ampliare gli “orizzonti” della rete per far fronte alla mutazione delle esigenze, abbiamo però trascurato un’accezione fondamentale della sicurezza informatica, che dovrebbe invece tornare ad essere una priorità: la “lotta” contro il tempo. Travolte dalla rutilante e continua evoluzione della tecnologia, le reti invecchiano, il software invecchia: App, Web 2.0, tablet & co. scalzano i tradizionali strumenti di lavoro, senza però fare i conti con infrastrutture IT sempre più obsolete. Se da un lato la crescente ecumenicità delle nostre reti non agevola la registrazione del loro “naturale” invecchiamento, dall’altro la rapidità con cui nuove tecnologie si affermano sul mercato rende indubbiamente difficile tenere il passo. È sicuramente più comodo ignorare l’invecchiamento, effettuando interventi “cosmetici” sulla nostra infrastruttura IT, anche se finirà col trasformarsi in un’incartapecorita star del palcoscenico dal viso pieno di botox. NetAsq è dell’opinione che darsi una “spolverata” con “cosmetici” dai nomi altisonanti non sia un’adeguata risposta alla necessità di tracciare in maniera
La consumerizzazione degli strumenti informatici e il massiccio utilizzo della connettività internet mobile hanno reso più accessibili le tecnologie IT, trasformandone l’impiego radicalmente. una vera lotta contro il tempo, e La sicurezza IT non fa eccezione
sicura l’invecchiamento dell’infrastruttura IT e di porvi rimedio - per tempo - in modo efficace. Tutti gli strumenti impiegati per garantire la produttività aziendale su base quotidiana dovrebbero essere inventariati, analizzandone in maniera continuativa la stabilità e verificando l’eventuale presenza di falle che possono comprometterne la funzionalità. Sappiamo tutti che qualsiasi tipo di software è già obsoleto non appena commercializzato, o meglio, che ogni giorno si individuano nuove falle che ne inficiano l’uso o ne consentono un impiego fraudolento. Tale attività di monitoraggio è un lavoro a tempo pieno per i sistemisti oculati, i quali, oltre ad amministrare la rete aziendale si informano quotidianamente, su siti dedicati, delle nuove vulnerabilità che potrebbero intaccarla. Purtroppo spesso ci si limita ciecamente a vendere la sicurezza come un oggetto, alla stregua di un’automobile o una bicicletta. La sicurezza va invece intesa come un percorso formativo continuo, nel quale gli strumenti che le moderne tecnologie ci mettono a disposizione sono solo un piccolo aiuto, non un punto di arrivo. Ben vengano le nuove tecnologie, purché siano funzionali alle nostre esigenze e ci consentano di tenere il passo, smaltendo in maniera automatica ed affidabile un po’ di lavoro.
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Sicurezza e innovazione: insieme in viaggio verso il Cloud
Le aziende sono consapevoli che il Cloud Computing rappresenta un’opportunità in termini di flessibilità, ottimizzazione delle risorse, miglioramento dell’efficienza e di contenimento dei costi. Il Cloud Computing consente agli utenti di usufruire di più mobilità, fornisce alle organizzazioni maggiore capacità di storage e riduce la necessità di intervento da parte dei reparti IT - il tutto ad un costo nettamente inferiore rispetto alle tecnologie informatiche tradizionali. Sostanzialmente, il concetto di Cloud Computing è incentrato sulla trasformazione delle risorse IT disponibili in servizi da utilizzare e pagare in base all’uso, un modello più dinamico che prevede anche l’utilizzo di infrastrutture o piattaforme esterne all’azienda, rispetto alle quali è assolutamente necessario prevedere alcuni building block obbligatori come la virtualizzazione dei carichi di lavoro, l’automazione della parte di gestione e anche la modifica dell’erogazione dell’Information Security. Secondo il report 2012 Cloud Computing Study di IDG Research, il 70% delle aziende nutrono ancora dubbi sulla sicurezza e riservatezza delle informazioni che risiedono in ambienti virtuali e Cloud. A conferma di questo dato, una ricerca globale sul tema della sicurezza Cloud, promossa annualmente da Trend Micro, evidenzia che il 46% degli intervistati che hanno adottato un servizio Cloud ha sperimentato almeno un problema di sicurezza dei dati negli ultimi 12 mesi. Questo trend è in crescita se consideriamo che il dato è passato dal 43% del 2011 al 46% del 2012.
Le soluzioni tradizionali, che proteggevano il perimetro aziendale con una logica di ‘difesa del fortino’ non sono più sufficienti. serve ora una protezione in grado di seguire i dati nei loro spostamenti attraverso ambienti fisici, virtuali e in-the-Cloud
Luca Zerminiani Systems Engineering Manager VMware Italia
Gastone Nencini Senior Technical Manager Trend Micro Southern Europe
La causa di tale incremento non è dovuta al mutare delle esigenze di protezione ma alla profonda trasformazione che il Cloud computing comporta. È infatti indispensabile tenere presente che nei nuovi ambienti IT la gestione della sicurezza non può più essere legata a singoli silos applicativi, ma deve evolversi verso un approccio differente, sorretto da policy e regole ben definite da considerare indipendentemente dalla piattaforma di riferimento. «Nel nuovo mondo Cloud le soluzioni di sicurezza tradizionali, che proteggevano il perimetro aziendale con una logica di ‘difesa del fortino’ non sono più sufficienti - spiega Gastone Nencini, Senior Technical
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Manager Trend Micro Southern Europe -. È infatti necessario che la sicurezza viva un processo evolutivo che la porti a controllare e tutelare i dati in modo affidabile espandendo la protezione per seguirli nei loro spostamenti da un ambiente all’altro». Nell’era del Cloud, pensare di implementare la sicurezza informatica semplicemente trasferendo gli stessi strumenti usati finora per proteggere i server fisici è un approccio che può avere conseguenze negative non solo sul piano della sicurezza in sé, visto che anche le minacce si stanno adattando alle nuove architetture Cloud e richiedono contromisure adeguate, ma soprattutto in termini di mancato raggiungimento dei veri benefici che l’innovazione del Cloud comporta: l’ottimizzazione delle performance. Questa avviene tramite architetture condivise, rispetto alle quali per tutelare i dati aziendali è fondamentale implementare un controllo “di chi fa cosa”, cioè procedere ad una segregazione dei dati in termini di competenze e diritti, un’amministrazione delegata che definisca le procedure di base e il controllo degli accessi. Solo mettendo in campo tali procedure e rispettandole, la condivisione dell’infrastruttura non diventerà una condivisione dei danni. Per le aziende l’obiettivo in termini di sicurezza è quindi poter estendere le policy per tutelare le applicazioni e le informazioni contenute nel Cloud con la stessa decisione con la quale proteggono quelle presenti negli ambienti tradizionali. Solo in questo modo sarà possibile cogliere pienamente tutti i benefici che il Cloud Computing abilita senza rinunciare alla sicurezza delle informazioni. Oggi è possibile trasformare la sicurezza attraverso un approccio trasversale che consenta di integrarla in ambienti virtuali e Cloud: non più apparati fisici a garantire sicurezza perimetrale, separazione di ambienti applicativi o attività di IDS/IPS, bensì appliance virtuali, soluzioni “agentless”, che possano seguire i carichi di lavoro anche quando questi vengono esternalizzati in Cloud pubblici. Si tratta di promuovere la visione di un nuovo modello “più intelligente”, che focalizza l’attenzione sui dati e prevede una protezione che li segue nei loro spostamenti attraverso ambienti fisici, virtuali e in-theCloud. In questo modo l’IT aziendale resta pienamente in controllo delle politiche di sicurezza indipendentemente dalla geografia dell’infrastruttura. Questo non solo aumenta la flessibilità ma restituisce all’azienda la consapevolezza di “avere tutto sotto controllo” visto che, di fatto, non vi è alcuna differenza nei livelli di sicurezza garantiti tra datacenter locali e in remoto. Con questo obiettivo, VMware forte della sua leadership nel mondo della virtualizzazione e del Cloud Computing, mette a disposizione di aziende come
VMware Forum 2013 Partecipa al principale evento del 2013 per scoprire tutte le novità su Cloud Computing, virtualizzazione e Mobility da VMware e dai suoi Partner strategici. Se stai cercando nuove soluzioni per innovare, semplificare e garantire la sicurezza del tuo ambiente IT, non perdere l’occasione di partecipare al VMware Forum 2013. Trend Micro parteciperà al VMware Forum 2013 in qualità di Sponsor, proponendo la propria offerta di sicurezza all’avanguardia e studiata in maniera specifica per gli ambienti VMware. VMware Forum 2013 Milano, 14 maggio Roma, 16 maggio www.vmwareforum2013.com
Trend Micro le API, che consentono a chi sviluppa sicurezza per le macchine virtuali un accesso diretto al “sistema operativo” della virtualizzazione. In particolare, grazie alla stretta collaborazione con VMware, Trend Micro ha saputo per prima introdurre una soluzione per sicurezza “agentless”, completa, adattativa ed estremamente efficiente, che protegge le applicazioni e i dati aziendali da violazioni e interruzioni dell’attività senza costose patch d’emergenza e abbraccia l’intero Cloud, non le sue singole istanze virtuali. «Il Cloud Computing è un processo evolutivo privo di discontinuità che sta garantendo alle aziende italiane importanti benefici e potenzialità. Garantisce infrastrutture IT automatizzate, più agili ed efficienti, nuovi modelli di creazione e fruizione dei servizi. Il percorso verso il Cloud Computing consente all’IT di allinearsi e guidare il raggiungimento degli obiettivi di business - commenta Luca Zerminiani, Systems Engineering Manager di VMware Italia -. In questo percorso di trasformazione è indispensabile associare competenze e visione in termini di innovazione tecnologica ed evoluzione della sicurezza perché il cambiamento in atto avvenga in modo graduale, garantendo alle aziende tranquillità e controllo ma soprattutto la possibilità di sfruttare in pieno i vantaggi del Cloud computing». | 45 |
S S E R VAT O R I . N E T
ict & management
Startup Boosting
MISSIONE
Giocare un ruolo sempre più attivo nello stimolare la nascita e lo sviluppo di nuove avventure imprenditoriali in ambito digitale in Italia: è questo l’obiettivo che gli Osservatori ICT & Management si pongono nella convinzione che ciò rappresenti un ingrediente fondamentale per il rilancio della nostra economia. Per questo motivo nasce il progetto Startup Boosting che intende identificare le idee di business e i progetti imprenditoriali più innovativi nei diversi settori digitali, che saranno supportati e seguiti nel loro sviluppo. CHI PUÒ PARTECIPARE
AMBITI DI APPLICAZIONE
Possono partecipare: • persone fisiche (singole o in gruppo) in possesso di un’idea di business fortemente innovativa; • aziende in fase di startup e con elevato potenziale di crescita; • imprese anche già avviate che abbiano sviluppato innovative idee di business.
MOBILE APPS FA C E B O O K E C O S Y S T E M E-COMMERCE B2C MOBILE MARKETING & SERVICE SOCIAL MEDIA & WEB 2.0
COSA OFFRE
I candidati che supereranno il processo di valutazione: • saranno supportati nella messa a punto del progetto imprenditoriale, con l’obiettivo di accelerarne lo sviluppo e il raggiungimento degli obiettivi di business; • avranno la possibilità di frequentare gratuitamente un percorso di alta formazione presso il MIP – la Business School del Politecnico di Milano – finalizzato ad accrescere le competenze e l’empowerment del gruppo imprenditoriale; • saranno supportati nella ricerca dei capitali di rischio necessari.
ICT SECURITY D I G I TA L M E D I A & T V N F C & M O B I L E PAY M E N T ICT IN SANITÀ CLOUD COMPUTING & ICT AS A SERVICE FAT T U R A Z I O N E E L E T T R O N I C A E D E M AT E R I A L I Z Z A Z I O N E
MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE
• La partecipazione è gratuita. • Per iscriversi compilare il Form di registrazione sul sito www.startupboosting.com che include una breve descrizione del progetto imprenditoriale, in cui vengono messi in evidenza: prodotti/servizi innovativi erogati, mercato target, principali concorrenti, fatturato previsto e investimenti stimati (anche solo in modo approssimato). • Ogni mese vengono valutate le proposte pervenute.
GIOCO ONLINE
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ENTERPRISE 2.0
AUGMENTED REALITY
U N I F I E D C O M M U N I C AT I O N & C O L L A B O R AT I O N E - P R O C U R E M E N T & E - S U P P LY C H A I N
www.osservatori.net
BUSINESS INTELLIGENCE AND ANALYTICS SEMANTIC WEB E-GOVERNMENT
INTERNET OF THINGS D I G I TA L M A R K E T I N G
Speciale “Cloud e security”
La gestione di identità e accessi diventa “as a service”
Una gestione efficiente delle identità e degli accessi all’interno dell’impresa costituisce una sfida complessa e impegnativa per molte organizzazioni, soprattutto se si considera il gran numero di utenti esterni cui oggi le aziende rendono accessibili le loro applicazioni. È in corso una profonda evoluzione: le aziende cercano di trovare soluzioni innovative per risparmiare soldi e sviluppare il business adottando ad esempio servizi Cloud o introducendo policy che consentano il modello BYOD (Bring Your Own Device) e il supporto delle identità “social” come strumento per avvicinarsi ai clienti. In questo contesto, la soluzione CA CloudMinder si pone come unica plancia di comando per gestire le identità e gli accessi di dipendenti, partner e clienti ad applicazioni on-premise o cloud a prescindere dal tipo di dispositivo o identità utilizzati. Configurato per supportare le identità sociali e altre applicazioni “on-premise” e Cloud come Office 365, CA CloudMinder può aiutare le aziende a fidelizzare i clienti e incrementare il giro d’affari, contribuendo inoltre a snellire la gestione degli utenti e dei rispettivi accessi in modo efficiente ed economico. CA CloudMinder prevede funzionalità di gestione delle identità e degli accessi di livello enterprise all’interno di una soluzione IAM-as-a-Service multi-tenant e scalabile che offre tre importanti tecnologie, da implementare singolarmente o assieme, in un unico servizio IAM integrato: • CA CloudMinder Advanced Authentication impedisce gli accessi non approvati o autorizzati impiegando diverse forme di autenticazione forte per convalidare l’identità dell’utente.
CloudMinder È la nuova soluzione CA Technologies di Identity and Access Management (IAM) as a Service che gestisce le identità e gli accessi di dipendenti, partner e clienti ad applicazioni on-premise o cloud, a prescindere dal tipo di dispositivo utilizzato
• CA CloudMinder Identity Management offre funzioni di provisioning e de-provisioning degli utenti per una vasta gamma di applicazioni “on-premise” e servizi Cloud, oltre a una serie completa di funzioni di gestione degli utenti. Disponendo della possibilità di operare e sincronizzarsi con altri identity store “on premise” già esistenti, quali Active Directory o altri directory supportati da LDAP, CA CloudMinder Identity Management impiega le tecnologie esistenti ai fini di un deployment più rapido. • CA CloudMinder Single Sign-On supporta l’impresa ibrida ed estesa con una federazione affidabile delle identità digitali in un’unica soluzione SSO (Single Sign-On) basata su Cloud. Grazie alla tecnologia basata su CA SiteMinder, CA CloudMinder Single SignOn è scalabile e può controllare gli accessi di milioni di utenti. Le imprese hanno già toccato con mano i vantaggi forniti dal modello Identity and Access Management as a Service. In un test, CA CloudMinder ha consentito al team IT di realizzare in soli tre giorni l’attività di sviluppo, istallazione, configurazione e test che aveva richiesto due mesi con un approccio on-premise. In base alle stime della stessa azienda presa ad esempio, è stato possibile utilizzare CA CloudMinder a metà del costo, usufruire di tre funzionalità IAM al posto dell’unica che si sarebbero potuti permettere e alleggerire il carico di lavoro del proprio staff che, anziché occuparsi di attività di manutenzione dell’infrastruttura on-premise, può ora dedicarsi ad iniziative più strategiche per l’IT.
p er u lt er i o r i i n f o rma zioni...
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r e p or tag e di
manuela gianni
Smart Working e nuovi modelli di lavoro Quali sono i cambiamenti che investono l’area HR delle aziende? Come le tecnologie permettono di migliorare le performance organizzative? Ne hanno discusso una ventina di CIO e responsabili risorse umane di importanti aziende italiane in un evento organizzato da ICT4Executive nella sede di Microsoft
Se le persone sono libere di scegliere dove, come e quando svolgere il proprio lavoro sono più felici e rendono di più. Lo conferma una recente ricerca del Politecnico di Milano e lo testimonia Microsoft Italia, che da qualche anno a questa parte ha cambiato completamente le regole per i propri dipendenti, ottenendo risultati molto positivi. Ma come si fa ad abbandonare il modello di lavoro tradizionale e a creare le condizioni di lavoro che permettono di rispondere contemporaneamente ai nuovi obiettivi del business e alle esigenze delle persone? E quali sono gli aspetti più critici da affrontare? Se ne è parlato in un evento organizzato da ICT4Executive nella nuova sede di Microsoft in provincia di Milano cui hanno partecipato una ventina di responsabili delle Risorse Umane e CIO di importanti aziende italiane (gli atti del convegno sono disponibili sul sito ICT4Executive.it). | 48 |
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Ad aprire l’evento è stato Mariano Corso, Ordinario di Organizzazione e Risorse Umane del Politecnico di Milano e responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working, che ha presentato i risultati della survey realizzata su 200 manager italiani, focalizzandosi su tre aspetti che insieme definiscono il profilo del cosiddetto “Smart Working”: l’organizzazione flessibile dello spazio e dell’orario di lavoro, il supporto dato dagli strumenti ICT e il cambiamento degli spazi fisici all’interno delle imprese, che in molti casi, fra cui Microsoft, è un ottimo punto di partenza per l’innovazione del lavoro. «Oggi è necessario andare verso un modello non tradizionale, che neghi i principi su cui si sono finora basate regole e procedure - ha affermato Mariano Corso -. Non serve più una gerarchia rigida, ma collaborazione, comunicazione, valorizzazione di talenti, personalizzazione e flessibilità». Ma le barriere al cambiamento sono forti, anche se in genere superabili: in primis c’è la paura di perdere il controllo da parte del middle management, che deve
re po rtag e | Sma rt Wo rkin g e n uov i mo de l l i di l avor o
quindi quando una persona fuori dall’ufficio non era raggiungibile - ha spiegato Corso -. È chiaro che l’ICT ha sgretolato dal di dentro questa logica ma il cambiamento è difficile». I casi di eccellenza, che in Italia non mancano, testimoniano però che vale la pena di fare uno sforzo, perché i benefici sono concreti. Microsoft, in particolare, ha avviato il percorso nel 2005 con un esperimento di telelavoro e non è più tornata indietro. Il salto è avvenuto un anno fa, con il trasferimento nel nuovo e modernissimo palazzo in provincia di Milano: oggi tutti i dipendenti possono organizzare il tempo secondo le proprie esigenze, venire in ufficio o stare a casa, usufruire di spazi flessibili dotati di tutti gli strumenti necessari, dalla sala riunioni allo spazio relax, dalla palestra alla stanza silenziosa per concentrarsi, fino alle postazioni per telefonare senza disturbare i vicini. Nessuno ha un ufficio chiuso, nemmeno l’Amministratore Delegato, ma solo aree assegnate alle diverse funzioni aziendali, in un open space altamente tecnologico. L’unica cosa che conta, in Microsoft, sono le performance e i risultati ottenuti da ciascuno, assegnati con chiarezza e misurati periodicamente in un colloquio con il proprio manager.
imparare a valutare la persone solo in base agli obiettivi, anche quando non può vedere il dipendente seduto alla scrivania 8 ore al giorno. «I manager di oggi hanno formato i loro modelli di leadership quando non esisteva la posta elettronica, e
«Le persone fanno la differenza – ha affermato Luca Valerii, Direttore Risorse Umane Microsoft Italia - . Lo dicono tutti, sembra un cliché, ma noi l’abbiamo messo in pratica. Attraverso politiche di ascolto, abbiamo capito che le esigenze sono molto diverse rispetto a pochi anni fa: oggi ci chiedono flessibilità, fiducia, responsabilizzazione, modalità di organizzazione personale. Questo crea un maggior senso di appartenenza e fa sì che le persone da sinistra
Marcello Caenazzo CIO Italy & Southern Europe Microsoft
luca valerii Direttore Risorse Umane Microsoft Italia
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reportage | Smar t Wor k i ng e nu ov i m od e l l i d i l avo ro
mettano nel lavoro quel qualcosa in più che non può essere scritto in nessuna job description». I benefici cominciano con la riduzione dei costi che deriva da un building con un layout moderno e flessibile, che crea efficienza. Basta pensare che le postazioni di lavoro in Microsoft sono pari a due terzi circa dei dipendenti. «A un anno di distanza siamo orgogliosi di avere intrapreso questa strada - ha affermato Valerii. Una survey interna conferma la soddisfazione delle persone. Abbiamo azzerato l’assenteismo e i risultati di business sono incoraggianti». A portare il punto di vista dell’IT è stato Marcello Caenazzo, CIO Italy & Southern Europe di Microsoft, che ha evidenziato come le tecnologie attuali permettano di rispondere alle nuove esigenze delle persone, abilitando lo Smart Working: il Cloud porta la flessibilità nell’uso di applicazioni e servizi; la Consumerizzazione dell’IT facilita l’uso dei device, il Social Computing cambia le regole della comunicazione interna. «Su Yammer oggi chiunque può mettere in piedi un gruppo e condividere le informazioni: è possibile fare qualunque domanda tecnica e in 10 minuti ottenere la risposta di qualcuno», ha affermato Caenazzo. Dario Francolino, Head of communications & PA di Roche, ha portato all’attenzione dei relatori le criticità che un approccio innovativo comporta: «Come è possibile che tutti i dipendenti abbiano una quota della retribuzione variabile? E come superare vincoli normativi, ad esempio la legge 626?» Secondo l’esperienza di Valerii «Il capo azienda deve essere convinto: se è così tutte le problematiche si possono risolvere, anche se è vero che da un punto di
L’Osservatorio HR Innovation Practice L’HR Innovation Practice, giunto alla sua terza edizione, è un Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net) nato con gli obiettivi di affiancare gli HR Executives nel processo di evoluzione della gestione e dello sviluppo delle Risorse Umane generato dalla diffusione di nuove tecnologie ICT e modelli organizzativi, costituendo un punto di riferimento per lo sviluppo della cultura dell’innovazione nell’ambito HR. Il programma culturale 2013 dell’Osservatorio prevede un ciclo di 2 Workshop e una Executive Convention, nel corso dei quali vengono presentati i risultati dell’attività di Ricerca; l’assegnazione degli HR Innovation Award ai progetti che maggiormente si sono distinti per la capacità di utilizzare l’ICT come leva di innovazione nella gestione delle risorse umane; la realizzazione di un Report di Ricerca contenente i principali risultati delle Ricerche esclusive dell’Osservatorio e gli approfondimenti sui casi di studio analizzati; la promozione e la gestione della community HR Next Practices su LinkedIn. L’edizione 2013 dell’Osservatorio HR Innovation Practice è realizzata con il supporto di ADP, DocFlow Italia, HR Access, INAZ, NorthgateArinso, OD&M Consulting, Zucchetti e Windex. | 50 |
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vista normativo l’Italia è paurosamente arretrata. Ma non contravveniamo a nessuna regola». Roberto Fonso, CIO di BPM, ha evidenziato che «gli AD sono sensibili a temi di ritorno economico reale e non virtuale quale la riduzione di CO2 ed il tempo risparmiato dal dipendente negli spostamenti; in base a questo ritorni economici vengono decise le priorità». Argomenti concreti, certo, ma le esperienze confermano che i risparmi ci sono e che c’è anche un vantaggio di produttività che si somma al risparmio di costi stimato. Paolo Melis Responsabile Ufficio Organizzazione di Reale Mutua si è invece interessato all’aspetto di progettazione del building, dato che l’azienda ha in programma l’allestimento di una nuova sede. «Chi ha definito il concept del nuovo edificio? E come va gestito il cambiamento culturale?», ha chiesto. Valerii ha spiegato che il progettista è stato affiancato da una task force di impiegati, alcuni entusiasti e altri più tradizionali che non capivano il perché del cambiamento. «All’inizio c’è stata grande perplessità - ha rivelato -. Passare dall’ufficio chiuso agli spazi aperti è un grande cambiamento, ma alla fine offre grandi stimoli e occasioni di incontro e collaborazione». Vincenzo Di Martino, Responsabile Learning Technology, LMS & Governance di Vodafone, ha testimoniato che anche l’operatore di TLC ha avviato il percorso, incontrando alcune resistenze: « Il modo di lavorare moderno ha due abilitatori rappresentati dalla nuova definizione degli spazi di lavoro e dalle tecnologie che facilitano la connettivita’ e la collaborazione. Con il vodafone village abbiamo trovato una perfetta sintesi di questi due elementi. In questo percorso non si puo’ guardare solo alla tecnologia ma dovremo permettere alle persone di fare la differenza accompagnando il cambiamento culturale e di mentalità a tutti i livelli», ha ribadito. Olga Lo Conte della direzione HR di Mondelēz International, precedentemente conosciuta come Kraft Foods, è intervenuta per comprendere quale sia la popolazione aziendale maggiormente coinvolta in questa nuova forma di organizzazione del lavoro e se, a trarne beneficio, siano anche i “seniores” su cui oggi le aziende pongono sempre maggiore attenzione in previsione anche dei futuri effetti della riforma del sistema pensionistico. L’esperienza dimostra che è proprio così, perché i giovani preferiscono andare in ufficio per socializzare, mentre il telelavoro è più apprezzato da chi ha famiglia, in particolare le mamme. Infine, Umberto Gorni, Responsabile IT Infrastructure Siemens, ha sollevato il tema della libertà nella scelta dei dispositivi. Il trend sembra ormai impossibile da interrompere: La consumerizzazione è oggi la grande sfida dei CIO, un cambiamento fortissimo, solo due anni fa impensabile, che va gestito.
PROSSIMI EVENTI LA SCHOOL OF MANAGEMENT
La School of Management del Politecnico di Milano, con oltre 240 docenti, e circa 80 fra dottorandi e collaboratori alla ricerca, dal 2003 accoglie le molteplici attività di ricerca, formazione e alta consulenza, nei campi del management, dell’economia e dell’industrial engineering che il Politecnico porta avanti attraverso le sue diverse strutture interne e consortili. Fanno parte della Scuola il Dipartimento di Ingegneria Gestionale, le Lauree e il PhD Program di Ingegneria Gestionale e il MIP, la business school del Politecnico di Milano. La School of Management ha ricevuto nel 2007 l’accreditamento EQUIS. Dal 2009 è nella classifica del Financial Times delle migliori Business School d’Europa.
GLI OSSERVATORI ICT & MANAGEMENT
Gli Osservatori ICT & Management della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net) vogliono offrire una fotografia accurata e continuamente aggiornata sugli impatti che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) hanno in Italia su imprese, pubbliche amministrazioni, filiere, mercati, ecc. Gli Osservatori sono ormai molteplici e affrontano in particolare tutte le tematiche più innovative nell’ambito delle ICT: Agenda Digitale, B2b – eProcurement e eSupply Chain, Business Intelligence, Canale ICT, Cloud & ICT as a Service, eCommerce B2c, eGovernment, Enterprise 2.0, eProcurement nella PA, Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione, Gestione dei Processi Collaborativi di Progettazione, Gestione Strategica dell’ICT, Gioco Online, HR Innovation Practice, ICT & Business Innovation nel Fashion-Retail, ICT & Commercialisti, ICT & PMI, ICT Accessibile e Disabilità, ICT in Sanità, ICT nel Real Estate, ICT nelle Utility, ICT Strategic Sourcing, Information Security Management, Intelligent Transportation Systems, Internet of Things, Intranet Banche, Mobile & Wireless Business, Mobile Banking, Mobile Device & Business App, Mobile Internet, Content & Apps, Mobile Marketing & Service, Multicanalità, New Media & New Internet, New Slot & VLT, NFC & Mobile Payment, RFId, Smart Working, Startup Digitali, Unified Communication & Collaboration. OSSERVATORIO ICT IN SANITÀ
7 MAGGIO 2013
Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2013
Politecnico di Milano Aula Carlo De Carli Campus Durando Via Durando 10, Milano
Durante il Convegno, realizzato con il contributo dell’ICT Institute, saranno presentati i risultati della sesta Ricerca che, in continuità con il lavoro svolto negli anni precedenti, analizza le tematiche connesse ai budget e agli investimenti ICT, con l’obiettivo di stimare le risorse destinate all’ICT nel settore sanitario e comprendere gli impatti della Spending Review e le sfide che questa pone agli attori chiave della Sanità. Inoltre, la Ricerca consente di identificare gli ambiti ICT prioritari per l’innovazione e di stimare i benefici ottenibili con l'introduzione di soluzioni ICT in tali ambiti. I risultati della Ricerca saranno seguiti da una Tavola Rotonda, a cui parteciperanno rappresentanti autorevoli delle Istituzioni e delle strutture sanitarie italiane. Nel corso del Convegno sarà consegnato il “Premio Innovazione ICT in Sanità” alle strutture sanitarie, pubbliche e private, che si sono maggiormente distinte per la capacità di utilizzare le tecnologie ICT come leva per migliorare l’efficienza e l’efficacia aziendale. A valle del Convegno si terranno alcune Sessioni Verticali di Approfondimento focalizzate su alcuni ambiti specifici, tra cui Cartella Clinica Elettronica, Dematerializzazione, Telemedicina, Servizi Digitali al Cittadino, Business Intelligence e Sistemi di Reporting, ecc. OSSERVATORIO ICT NEL REAL ESTATE
21 MAGGIO 2013
Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2013
Politecnico di Milano Aula Auditorium Campus Leonardo Viale Romagna 62, Milano
Durante il Convegno, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con in2it, verranno presentati i risultati della nuova Ricerca dell’Osservatorio che si è posta come obiettivi analizzare criticamente il ruolo dell’ICT a supporto dell’innovazione di business per diverse tipologie di organizzazioni, pubbliche e private, che gestiscono patrimoni immobiliari rilevanti; contribuire a una maggiore diffusione della consapevolezze del ruolo strategico dell’ICT nel Real Estate e mettere in evidenza i principali trend in atto nel settore, con particolare attenzione alle opportunità offerte dalle soluzioni di Smart Building. I risultati della Ricerca saranno seguiti da una Tavola Rotonda, a cui interverranno alcuni fornitori di soluzioni e servizi ICT che si rivolgono ad imprese operanti nel settore Real Estate. OSSERVATORIO FATTUR AZIONE ELETTRONICA E DEMATERIALIZZAZIONE
28 MAGGIO 2013
Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2013
Regione Lombardia Auditorium Palazzo Lombardia P.zza Città di Lombardia 1, Milano
Durante il Convegno verranno presentati i risultati della nuova Ricerca, che si è posta l’obiettivo di indagare il tema della Fatturazione Elettronica inquadrandolo all’interno di un contesto più ampio: quello della dematerializzazione dei documenti e della digitalizzazione dei processi per organizzazioni pubbliche e private del nostro Paese. Il Convegno 2013 si strutturerà in due parti. La prima, oltre a fotografare l’attuale stato di adozione delle soluzioni di Fatturazione Elettronica, Conservazione Sostitutiva e Integrazione del Ciclo Ordine-Pagamento, sarà dedicata a indagare – attraverso testimonianze ed evidenze empiriche – l’impatto della Digitalizzazione come leva concreta per la creazione di valore competitivo. La seconda allargherà lo scope, andando a presentare come la Digitalizzazione rappresenti una leva competitiva per i C-level che decidono di intraprendere il percorso della Dematerializzazione, per arrivare a delineare la roadmap verso una completa Dematerializzazione e Digitalizzazione dei processi di business.
P E R M A G G I O R I I N F O R M A Z I O N I V I S I TAT E I L S I T O
w w w. o s s e r v a t o r i . n e t
I N TE R V IS TA di
vincenzo zaglio
Gianmaurizio Cazzarolli
L’Innovazione DI tetra pak comincia dalle persone
direttore del personale e dello stabilimento di Modena Tetra Pak ITALIA
Spazi di lavoro modulari, disponibilità di scrivanie non assegnate, magazzino ridotto all’indispensabile, stampe tramite badge, meeting room comuni con le stesse regole in vigore nelle biblioteche. Così Tetra Pak ha rivoluzionato il modo di lavorare dei dipendenti italiani. Con le idee di un ingegnere
Un ingegnere meccanico prestato all’HR. Un uomo di business che si è reinventato Direttore delle Risorse Umane. Gianmaurizio Cazzarolli è Direttore del Personale e direttore dello stabilimento di Modena di Tetra Pak, colosso del packaging da 22mila dipendenti e 10 miliardi di dollari di fatturato in tutto il mondo. Una storia singolare. Un percorso professionale tutto sviluppato in ambito business e produzione. E poi, a 55 anni, il salto della barricata per gestire il personale della filiale modenese: 810 persone con un’età media di 39 anni, per il 27% donne e per il 13% di nazionalità straniera. Un salto nel vuoto potrebbero dire molti. E invece, da buon ingegnere, Cazzarolli ha applicato lo stesso metodo e la stessa impostazione di quando era sul campo a sviluppare prodotti e gestire il business. L’HR? Di supporto al business «Per me l’HR è una funzione di supporto al business. In tutto il mio percorso professionale ho sempre cercato | 52 |
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di fare le cose “faster, better and cheaper”, come direbbero gli americani. Perché allora non si possono applicare questi concetti anche alla gestione del personale?» Partiamo dall’ambiente di lavoro per esempio. In Tetra Pak l’open space è portato all’estremo. Tutti gli uffici sono in vetro trasparente (anche quello dell’amministratore delegato). Nessuna tenda. «La privacy viene dall’acustica, non dalla visuale», spiega Cazzarolli. Gli spazi sono divisi in moduli, intercambiabili come si vuole, perché «è l’ufficio che deve adattarsi all’organizzazione che cambia, non viceversa». Ogni gruppo organizza gli spazi in modo diverso, perché ogni gruppo ha esigenze diverse. Gli armadi praticamente non esistono. C’è una sala “biblioteca” dove non si parla e non si telefona, l’ideale per chi ha bisogno di concentrarsi. Alcune scrivanie non sono assegnate, il che ha permesso di costruire sale riunioni in più a parità di spazio. «Anche se siamo più di 800, mediamente in ufficio ci sono meno di 500 persone ogni giorno».
I N T E RVISTA | L’ In n ova z i o n e di t e tra pa k c o mi n c i a da lle p e r so ne
Gli spazi sono sempre più costosi per cui, molto pragmaticamente, tutto quello che non serve in produzione nelle prossime 24 ore non deve stare nel sito. «Negli uffici e nelle officine i materiali devono arrivare quando servono. Non ha senso tenerli e occupare spazio». Tutto questo processo viene gestito attraverso un tool dedicato. Ogni item ha un codice e un responsabile, se la persona cambia mansione, è sufficiente cambiare il nome del responsabile. Se il tempo di stoccaggio scade, gli item vanno direttamente in rottamazione. Tutti i materiali risultano cosi sotto controllo. Addio a cartellini e timesheet Va da sé che anche i flussi di lavoro siano stati profondamente rivisti. Cartellini e timesheet sono stati aboliti, l’orario di ingresso è flessibile ed è il dipendente ad autocertificare le ore lavorate. «Cerchiamo di responsabilizzare tutte le figure a comportarsi come professionisti, a gestire il lavoro in autonomia. La valutazione non riguarda gli orari, ma la produttività», continua Cazzarolli. Ma non c’è il rischio che qualcuno se ne approfitti? «In realtà il punto è un altro: quanti sono quelli che se ne approfittano? Le regole vanno fatte per le persone di cui mi fido che sono l’estrema maggioranza dei collaboratori. Non bisogna fare le regole per pochi». L’accoglienza di questo modo nuovo di lavorare è stata molto positiva da parte del top management e molto collaborativa da parte del sindacato e dai colletti blu. È importante fare cultura nei confronti del middle management che in effetti perde un po’ di controllo, «ma il bilancio complessivo è estremamente positivo», continua Cazzarolli. Il comfort del posto di lavoro La tecnologia ovviamente è fondamentale per raggiungere questi livelli di eccellenza. Negli uffici Tetra Pak, per esempio, le condizioni ambientali vengono monitorate in tempo reale (temperatura, umidità, livello di CO2, eccetera) e adeguate in funzione del numero di persone presenti. «Grazie all’installazione del sistema “building automation”, cerchiamo i prevenire le situazioni sgradevoli prima che si presentino», continua Cazzarolli. La stampa? Quando serve Ancora, in Tetra Pak si stampano circa 4 milioni di fogli l’anno. Peccato che ogni mese, pile di docu-
menti si accatastavano in ogni dove, dimenticate nei vari pertugi. «Invece di mettere delle regole - spiega Cazzarolli - abbiamo sfruttato l’IT. L’utente non deve scegliere la stampante ma deve solo stampare. Dopodiché appoggia il badge sulla stampante desiderata, la quale riconosce che c’è un processo in corso che riguarda l’utente e stampa di conseguenza. Non entro nel merito di quanto uno stampa e non do regole. Parto dal presupposto che se uno stampa è perché gli serve. Ma con questo metodo abbiamo tagliato i costi del 41%». Quale consigli dare allora, per gestire al meglio l’HR? «In ogni azienda il miglior investimento che si può fare è nelle persone. Fondamentale è saper ascoltare e sono molte le idee che sono nate bottom-up: dall’asilo nido, allo shuttle bus per arrivare in sede, all’area wellness». Il lavoro? Un modo di essere «Work is a state of being, not a place», conclude in inglese Cazzarolli. «Stiamo cercando di andare oltre l’orario flessibile e dire ai collaboratori: lavorate dove volete e vi misureremo per quello che fate». Un approccio pragmatico, da ingegnere meccanico.
Tetra Pak, una storia di successo nata nel 1943 Tetra Pak è una multinazionale che produce sistemi di trattamento e confezionamento di alimenti liquidi: prodotti lattiero-caseari, succhi e nettari, gelati, alimenti secchi, frutta, vegetali e cibo per animali domestici. È stata fondata nel 1943 in Svezia da Ruben Rausing, inventore di un contenitore di cartoncino rivestito di plastica, e quindi assolutamente impenetrabile all’aria, ideato per conservare e trasportare il latte e chiamato Tetra Classic perché a forma di tetraedro, solido regolare a quattro facce triangolari. Con il tempo l’azienda, anche attraverso alcune acquisizioni, ha esteso gli ambiti di attività ai macchinari per il trattamento, riempimento, imballaggio e distribuzione degli alimenti, e si è espansa all’estero: oggi ha sede centrale in Svizzera, è presente in oltre 170 Paesi con 40 sedi commerciali, un’ottantina di uffici di vendita, e 21.800 dipendenti (dati aggiornati a gennaio 2011). In Italia, Tetra Pak è presente dal 1965 (primo insediamento fuori dalla Svezia) e impiega circa 1.100 dipendenti nelle sedi di Rubiera (RE) e Modena, dove ha sede il centro mondiale di Ricerca & Sviluppo Tetra Pak sui sistemi di confezionamento asettici.
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m a n ag e m e nt di
Daniele Lazzarin
Attrarre i talenti, una dura sfida per l’Italia I dati mostrano con chiarezza che la «fuga dei cervelli» dal nostro Paese continua inesorabile e non riguarda solo gli scienziati. Nell’attesa di interventi strutturali sul Sistema Paese, le grandi imprese cercano di trattenere i migliori con nuove politiche di valutazione e valorizzazione. I pareri di Passerini (P&G), Colombo (Fincantieri), Guindani (Vodafone), Colombo (Edison) e Spina (MIP)
L’Italia oggi è un Paese molto difficile in cui muoversi per le università e le aziende interessate ad attrarre studenti e professionisti competenti e brillanti, e a convincerli a rimanere nel nostro Paese a studiare o lavorare. I fattori negativi ormai sono tali che la notoria qualità della vita in Italia da sola non riesce più a controbilanciarli, e in attesa di interventi strutturali l’unica via è ricorrere a politiche di valutazione, valorizzazione e sviluppo basate su best practice tipiche delle organizzazioni abituate a operare in un contesto internazionale. Questo in estrema sintesi il responso dell’incontrodibattito ‘Valorizzare e attrarre i talenti: una sfida per l’Italia’, organizzato dal MIP-Politecnico di Milano in partnership con Procter & Gamble, e a cui hanno partecipato il presidente del MIP Gianluca Spina, e alcuni manager di primo piano nell’ambito della gestione delle risorse umane come Filippo Passerini (Group President Global Business Services & Chief information Officer di P&G), Pietro Guindani (Presidente di Vodafone Italia), | 54 |
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Andrea Colombo (Group HR Director di Fincantieri), e Giorgio Colombo (Direttore Personale e Organizzazione di Edison), moderati da Enzo Riboni, giornalista del Corriere della Sera-Lavoro. Disoccupazione e fuga all’estero: i dati Proprio Riboni ha aperto il dibattito con una serie di dati singolarmente già noti ma utili per dare una visione d’insieme dello scenario. In Italia i disoccupati nella fascia 15-24 anni a fine 2012 erano il 36,6% (+4,9% rispetto all’anno scorso, dato Istat), e i NEET (not in education, employment or training) erano 2,11 milioni, cioè il 22,1% della fascia 15-29 anni, contro il 10,7% in UK e il 14,6% in Francia (dati Eurofond), con un costo per la collettività valutato in 26,6 miliardi di euro: l’1,7% del PIL italiano. «Inoltre nell’anno accademico 2011/12 gli immatricolati sono calati del 17% rispetto a 8 anni prima, mentre i laureati nella fascia 30-34 anni sono il
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19%, contro una media europea del 30% (dato OCSE), e infine secondo Istud i neolaureati che vorrebbero lavorare all’estero sono il 46% (l’8% in più di un anno fa) e il 61% pensa che nella vita avrà una posizione sociale inferiore rispetto ai propri genitori», ha detto Riboni. Un quadro che qualitativamente è confermato da Passerini di P&G: «Da 25 anni lavoro all’estero e giro il mondo continuamente: mi sono fatto l’idea che in Italia il talento resta abbondante e la preparazione accademica molto buona. Gli skill che più servono oggi, innovazione e cambiamento, sono nel DNA degli italiani, ma il Sistema Paese manda ai giovani il messaggio che skill e competenze non bastano: per questo molti sono disposti ad andare all’estero, dove tra l’altro l’occupazione è meno tutelata da leggi e sindacati, pur di veder riconosciuti i loro meriti». La tendenza alla ‘fuga all’estero’ è innegabile secondo Spina del MIP, che cita dati dell’AIRE (Associazione italiani residenti all’estero): «Negli ultimi anni gli espatri ‘ufficiali’ con intenzione di rimanere all’estero sono arrivati a oltre 30mila all’anno, ma quelli reali sono almeno il doppio: 60-80.000. La massima concentrazione è nella fascia 25-34 anni, con titolo di studio alto, e prevalentemente da regioni del Nord». Molti hanno sì un impiego, ma le molte prospettive di sviluppo all’estero sono migliori, e non è vero che siano in gran parte ricercatori e scienziati: prevalgono infatti ingegneri e laureati in economia. «Se i giovani brillanti scappano sistematicamente è un problema, soprattutto perché l’Italia ha anche una bassa capacità di riportarli a casa: sempre secondo dati AIRE, il 70% degli espatriati con
un profilo di tecnico o scienziato non ha intenzione di rientrare, il 50% se consideriamo anche i manager». «I percorsi di formazione siano realistici» La maggior parte dei talenti italiani all’estero quindi non è propensa a tornare, ma l’Italia ha un problema generale di scarsa attrattività anche per i giovani talenti stranieri (vedi box ‘I punti critici su cui intervenire’). Occorre insomma uno sforzo colossale per rilanciare l’immagine internazionale del Paese, ma da dove cominciare? Secondo Colombo di Edison, il punto di partenza dev’essere una politica industriale omogenea con tutti gli elementi di scenario odierni - politica, impresa, scuola, media -, e che definisca una conseguente gamma di percorsi di formazione realistici. «Occorre capire quante e quali professionalità di alto livello oggi siano assorbibili dal nostro mercato del lavoro, e quali percorsi formativi siano più funzionali. In mancanza di questo nascono paradossi come il tasso di disoccupazione altissimo mentre ci sono molti posti vacanti nelle nostre imprese. Mancano corsi di laurea specialistici, e mancano le scuole di mestieri mentre il mercato ha bisogno di saldatori, addetti a macchine utensili, installatori, artigiani». Molto simile il punto di vista di Passerini: «Ho vissuto in sei Paesi diversi – spiega – e ho notato che il circolo virtuoso di creazione del lavoro nasce sempre quando ci sono forti sinergie tra Stato, impresa e mondo accademico: Israele in questo è un modello fenoda sinistra
gianluca spina presidente mip politecnico di milano
Filippo Passerini Group President Global Business Services & Cio P&G
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Non ci sono leggi che promuovono l’inversione di tendenza: provvedimenti come quello per il rientro dei cervelli non hanno effetti duraturi, mentre per il permesso di soggiorno la Legge Bossi-Fini tratta gli studenti dei Paesi emergenti come tutti gli altri immigrati
menale, è diventato il secondo Paese tecnologicamente più avanzato e ha tassi di disoccupazione minimi». La sfida dell’estero: il caso Fincantieri Nell’attesa dei cambiamenti strutturali necessari per il Sistema Italia, è particolarmente interessante capire quali politiche le singole aziende stiano attuando per attrarre, gestire e mantenere i talenti nella situazione attuale. Fincantieri per esempio è un ‘laboratorio’ significativo, essendo diventata una realtà internazionale solo dal 2009, tramite un’acquisizione negli USA. «Oggi siamo un’azienda fortemente dinamica e in espansione all’estero, stiamo cambiando l’atteggiamento delle persone verso il lavoro, pur nel rispetto delle leggi italiane che sono molto rigide - spiega Andrea Colombo -. Puntiamo su un sistema di valutazione delle prestazioni che ci aiuti a ‘misurare’ le persone per quello che danno o che possono dare: i talenti si possono sviluppare, se sono motivati a cambiare, a imparare, ad adeguarsi a nuove condizioni. Inoltre stiamo internazionalizzando anche competenze e procedure, per l’acquisizione per esempio abbiamo dovuto assumere esperti in diritto e finanza internazionale che non avevamo. Un’altra esigenza è, con l’innalzamento
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dell’età pensionabile, di trovare i modi per motivare e mantenere i talenti fino a età avanzata, e di far convivere costruttivamente diverse generazioni. Ma soprattutto abbiamo istituito un’attività periodica di assessment su tutte le persone, e di rotazione e crescita ‘forzata’, per evitare ‘blocchi’ e forzare promozioni e piani di successione, puntando soprattutto su quelli che chiamiamo ‘persone dei tre salti’, cioè giovani talentuosi che devono crescere in tempi brevi, molto inferiori a quelli classici di carriera italiani». Questa politica nel 2012 ha portato a 140 trasferimenti, di cui più di 40 all’estero. «La sfida è convincerli: molti hanno famiglia e legami, e quindi occorre saper assicurare condizioni attraenti, ma questo vale a maggior ragione per i giovani, che si spostano più spontaneamente, ma vanno incentivati al ritorno con un vero e proprio piano di carriera». P&G promuove gli interni, Edison il gruppo Quanto a P&G, investe moltissimo in formazione e sviluppo delle carriere perché è una delle pochissime grandi multinazionali che privilegia fortemente la promozione interna: «In particolare per i livelli manageriali medi e alti non facciamo assunzioni all’esterno, e questo richiede un grande lavoro per avere sempre pronto un piano di successione per tutti i manager in questa fascia», spiega Passerini. Edison invece punta per esempio sulla rapida eliminazione del ‘gap’ delle retribuzioni dei neoassunti. «Tutti i dati concordano: la retribuzione media del primo impiego stabile in Italia è del 20% più bassa che nel resto d’Europa, anche a causa del ‘cuneo fiscale’ che nel nostro Paese è particolarmente gravoso, e noi non facciamo eccezione, visto che assumiamo un neolaureato a 26mila euro; però i più meritevoli dopo soli tre anni sono già a 38-45mila euro, in linea con i maggiori Paesi europei». In generale in Edison, come in altre aziende italiane, continua Colombo, i sistemi di valutazione e incentivazione mostrano un’evoluzione del modo di vedere il talento: «Prima si premiava l’individualismo, il mero ottenimento dei risultati, ora si sta passando a una logica di gruppo, dove il talento è al servizio degli altri, anche
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se sempre orientato ai risultati». La metafora migliore è quella del rugby, uno sport dove il successo passa sempre dalle mani del compagno: «Il talento deve saper mettere in condizione anche gli altri di arrivare al risultato, va premiato solo se è autorevole nell’ambito di un gruppo, e questo è omogeneo con il concetto di azienda come sistema complesso di interazioni a conoscenza diffusa». Vodafone e la rotazione internazionale Infine in Vodafone Italia la mentalità è di andare oltre il contesto italiano utilizzando strumenti molto concreti e mirati a livello multinazionale. «Il concetto di base è che la gestione dei talenti deve servire a motivare le persone allo sviluppo delle loro potenzialità per
contribuire tutti alla creazione di valore, e a conciliare al meglio le proprie aspirazioni con le opportunità che nascono in azienda», spiega Guindani. Questo si traduce tra l’altro in programmi per attrarre i talenti, come Discover (una sorta di master di un anno per studenti di qualità dalle migliori università, a cui viene data la possibilità di ruotare tra le varie funzioni e farsi rapidamente una visione d’insieme di come funziona un’azienda), e per sviluppare i talenti, tra cui quelli per favorire la rotazione internazionale. «Per esempio recentemente è stato introdotto un sistema di obiettivi espliciti di esportazione e importazione di persone di valore tra le varie filiali, anche per evitare ‘arroccamenti nazionali’; inoltre non si entra nel senior leadership team se non si è avuta un’esperienza internazionale significativa, cioè una posizione di responsabilità per un certo periodo».
I punti critici su cui intervenire rapidamente «Tutti i confronti internazionali mostrano che l’Italia è un Paese poco attraente per studenti e professionisti brillanti - sottolinea Gianluca Spina del MIP -. Qualcuno ha detto che come Paese siamo un importatore netto di badanti e un esportatore netto di cervelli: nessun altro Paese occidentale ha un saldo di questo genere. I problemi sono due. Il primo è che non ci sono leggi che promuovono l’inversione di tendenza: provvedimenti come quello per il rientro dei cervelli non hanno effetti duraturi, mentre per il permesso di soggiorno la Legge Bossi-Fini tratta gli studenti che cerchiamo di arruolare nei Paesi emergenti come tutti gli altri immigrati. Il secondo è che il sistema formativo di alto livello (corsi di laurea, master, dottorati) è poco aperto e organizzato per accogliere gli studenti stranieri: solo il 4% degli universitari immatricolati viene dall’estero. Decisioni simboliche come quella del Politecnico, che dal 2014 erogherà tutta l’offerta di secondo livello solo in lingua inglese, che è la ‘lingua franca’ sia delle scienze e del business, sono estremamente rare». Attrarre talenti e attrarre investimenti per un Sistema Paese è la stessa cosa, sottolinea Guindani di Vodafone: «Una persona quando sceglie dove andare a studiare o lavorare fa un investimento a medio-lungo termine. Per questo un fattore decisivo è l’immagine internazionale, e quella dell’Italia in questo momento la conosciamo, ma il problema non è solo questo: oggi in Italia per acquisire un visto un indiano o un egiziano ci mette da tre mesi a un anno; per evitare la doppia imposizione sul reddito, in patria e qui, occorre raccogliere un’enorme documentazione; la recente riforma del mercato del lavoro ha reso più difficile l’importazione di persone che lavorano a progetto, tra cui ricercatori e scienziati; e l’offerta sanitaria, locativa, scolastica per una famiglia straniera sono tutti elementi su cui l’Italia è su bassi livelli».
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Speciale “Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione”
digitalizzare l’impresa un’opportunità da non perdere
Nonostante le numerose esperienze positive, alcune imprese guardano ancora con scetticismo alla digitalizzazione dei processi, sia interni sia esterni. Eppure la normativa e la tecnologia consentono di dematerializzare quasi tutti i documenti di business, liberando creatività e capacità di innovazione che, invece, sono oggi imbrigliate nell’esecuzione di attività a scarso/nullo valore aggiunto
di
Paolo Catti
School of Management, Politecnico di Milano
Digitalizzare le attività aziendali significa progettare e gestire in modo integrato e collaborativo i processi interni (per esempio, che coinvolgono più funzioni nella stessa organizzazione) ed esterni (verso clienti o fornitori), idealmente attraverso la condivisione delle logiche di gestione di ciascun processo e delle principali informazioni che lo caratterizzano (in forma elettronica strutturata elaborabile). Una misura del potenziale di miglioramento legato alla “Digitalizzazione” del Paese è rappresentata da un dato “eclatante” stimato dall’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione della School of Management del Politecnico di Milano: sono oltre 600 miliardi i fogli e 45 miliardi i documenti di “business” che potrebbero essere dematerializzati in Italia. Non è tanto questa una misura del possibile risparmio di alberi e CO2 – pur obiettivi importanti – quanto piuttosto una misura del potenziale di creatività e innovazione che rimane “ingabbiato” in processi complicati e burocratizzati, all’interno delle aziende e ancor di | 58 |
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più nelle relazioni interaziendali e con la Pubblica Amministrazione. Quasi 10 miliardi di ore/anno “perse” in attività a limitato/nullo valore aggiunto è un’altra impressionante stima di questo potenziale inespresso. Digitalizzare i processi è possibile In alcuni casi le imprese guardano ancora con scetticismo alla Digitalizzazione dei processi, sia interni sia esterni. Tale comportamento è dovuto al timore di fare qualcosa di “non coerente con la normativa” e con i regolamenti aziendali obsoleti o, addirittura, di non poter più ricorrere a prassi operative consolidate ma mai realmente definite, chiudendo spesso le porte alle opportunità offerte dalla Dematerializzazione e dalla Digitalizzazione. Tuttavia, il quadro normativo risulta, nel suo insieme, completo e tendente a un livello di armonizzazione crescente, già in grado di consentire la Dematerializzazione di moltissime tipologie di documenti, con poche peculiari eccezioni, insignificanti per
Speciale “Fatturazione Elettronica Speciale e Dematerializzazione” “Cloud e security”
il business. Naturalmente, a variare da caso a caso è la complessità dei diversi progetti necessari per realizzare una completa digitalizzazione dei processi. In definitiva, la normativa consente di dematerializzare molti documenti (per poi conservarli in formato digitale, in modalità sostitutiva) e mette ordine dando “certezze” sull’opponibilità a terzi anche in sede giudiziaria: offre, dunque, molteplici opportunità rispetto a quanto è già tecnologicamente possibile fare. La gran parte degli strumenti informatici abilitanti è, infatti, disponibile da tempo, pienamente affidabile e accessibile. Si pensi, per esempio, alla firma digitale, alla marca temporale, ai sistemi di gestione massiva dei documenti, agli storage sicuri, alle soluzioni di scansione, ai software di riconoscimento automatico e Data Capturing, ai molteplici canali di comunicazione utilizzabili (EDI, Extranet, PEC ecc.), agli standard esistenti per lo scambio di informazioni strutturate, così come alle molteplici soluzioni che rendono tra loro interoperabili standard diversi. La digitalizzazione per uscire dalla crisi Le opportunità di miglioramento legate all’adozione delle ICT in maniera consapevole, pervasiva, integrata e strategicamente legata al business possono rappresentare un nuovo paradigma organizzativo, che consente di affrontare con consapevolezza le evoluzioni e i potenziali rischi del futuro e non più un mero differenziale competitivo di breve-medio termine per muoversi in modo più efficiente in un contesto noto. Si tratta di un percorso necessario per passare da organizzazioni “chiuse” – orientate alla creazione di efficienza prevalentemente nei propri processi – a imprese “aperte” agli ecosistemi in cui operano: in grado di creare vantaggi competitivi nell’integrazione e nella collaborazione, sia con clienti e fornitori sia – in alcuni casi – con i “competitor”. Un’analisi congiunta condotta da diversi gruppi di Ricerca afferenti agli Osservatori ICT & Management ha portato a stimare che una decisa accelerazione verso una “Italia digitale” permetterebbe alla Pubblica Amministrazione italiana di ottenere risparmi pari a circa 20 Miliardi di euro/anno e alle imprese di risparmiarne altri 20 Miliardi nei loro processi di interazione con la Pubblica Amministrazione e circa altri 160 Miliardi nei processi interni e di relazione verso clienti e fornitori (60 Miliardi di euro, per esempio, dalla “sola” adozione
estesa dei modelli di Digitalizzazione del ciclo OrdinePagamento). Questi benefici sono essenzialmente legati a un recupero di produttività del personale che – se anche non fosse impiegato per ridurre realmente i costi – potrebbe generare un enorme bacino di “capacità” per migliorare l’efficacia dei processi a parità di risorse operative. In altre parole, si potrebbero liberare la creatività e la capacità di innovazione che, invece, sono oggi imbrigliate nell’esecuzione di attività a scarso/nullo valore aggiunto. Le “lesson learned” di chi ha dematerializzato Alcune delle domande fondamentali, profondamente trasversali su diversi contesti, che è opportuno si ponga chi vuole “fare” progetti di Dematerializzazione e Digitalizzazione dei processi sono: “dove oggi è presente una firma autografa, questa serve?”; “se la firma autografa serve, a chi realmente serve (è richiesta da un regolamento interno o dal Legislatore?) e per quale scopo (controllo, conferma, riconoscimento, opponibilità giuridica?)?”; “se non serve la firma, quanto costa mantenere quel processo, basato sul cartaceo?”; “come si coinvolgono tutti gli attori su cui impatterà l’innovazione legata alla Dematerializzazione (clienti, fornitori, PA ecc.)?”. (Ri)scoprire la corretta risposta a queste prime domande, in molti casi ha consentito di trovare il necessario consenso per far partire i progetti. Anche l’impatto dell’innovazione sugli attori coinvolti rappresenta un elemento non trascurabile: maggiore è la volontà di fare efficienza e incrementare l’efficacia da parte dell’intero sistema, più interessanti sono le opportunità di reingegnerizzazione del processo e, di conseguenza, il valore ottenibile attraverso la Digitalizzazione dello stesso.
Sono oltre 600 miliardi i fogli e 45 miliardi i documenti di “business” che potrebbero essere dematerializzati in Italia: dati che danno la misura del potenziale “ingabbiato” in processi complicati e burocratizzati www.ict4executive.it
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L’innovazione dei servizi di pagamento passa per le bollette
In un contesto economico in profonda trasformazione, nel quale ciascun attore sta attuando ingenti sforzi al fine di recuperare efficienza ed efficacia, il settore finanziario italiano sta investendo risorse ed energie per la creazione di nuove soluzioni a supporto del processo di invio e riscossione di conti spesa (tra cui le bollette) emessi da soggetti creditori, privati e pubblici, cosiddetti “fatturatori” (Biller). In linea con la sua storia e proprio con riferimento allo scenario economico domestico ed internazionale, il Consorzio CBI - con i suoi 618 istituti finanziari consorziati (che rappresentano il 95% dell’industria bancaria italiana, Poste Italiane e CartaLis) che offrono servizi di pagamento e di fattura elettronica a circa 900.000 imprese, nonché servizi informativi e dispositivi evoluti alla Pubblica Amministrazione - ha definito una nuova offerta di servizi Business-to-Consumer secondo il modello di Electronic Bill Presentment and Payment (EBPP), sempre nel pieno rispetto dell’area competitiva dei singoli Istituti Finanziari. Con tale premessa Liliana Fratini Passi, Direttore Generale del Consorzio CBI presenta il servizio CBILL «operativo dal primo febbraio, permetterà agli Istituti Finanziari di offrire nuove modalità più efficienti per il pagamento delle bollette grazie ai vantaggi che garantisce a clienti e Biller». «CBILL - continua la Fratini Passi - permette infatti agli utenti di Home Banking e/o Corporate Banking la consultazione e il pagamento di “bollette” (cioè i documenti che notificano a un cittadino o ad un’impresa, l’importo dovuto a seguito dell’erogazione di un servizio o a
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il consorzio CBI lancia il servizio CBILL, che permette agli Istituti Finanziari di offrire ai clienti nuove modalità più efficienti per il pagamento delle bollette in logica multicanale
Liliana Fratini Passi Direttore Generale del Consorzio CBI
fronte di un obbligo amministrativo) emesse da soggetti “Biller”. Il servizio CBILL è quindi rivolto ai debitori, che potranno pertanto pagare le proprie bollette in logica multicanale (Home Banking, ATM, smartphone,ecc.), e ai Biller, che potranno inviare i dati delle bollette ai propri clienti e debitori abilitandone il pagamento automatico tramite Internet favorendo la dematerializzazione. «In particolare - sottolinea il Direttore Generale - da una parte il Biller potrà ampliare la propria proposta commerciale verso il cliente debitore, migliorare l’efficienza delle proprie transazioni e dei propri processi interni semplificando la riconciliazione contabile, nonché potrà raggiungere un alto numero di utenti online (retail e imprese) attraverso un unico contratto, dall’altra il cliente debitore oltre a poter pagare in modalità multicanale, potrà visualizzare la bolletta da pagare e l’intera posizione debitoria aggiornata in tempo reale». Il Consorzio CBI, con questo nuovo servizio e con le ulteriori evoluzioni della rete CBI promuove le innovazioni per supportare la competitività degli Istituti Finanziari suoi consorziati anche sul mercato internazionale, massimizzando il valore aggiunto a vantaggio di tutti gli stakeholder.
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Digitalizzazione dei processi e dematerializzazione per le pmi
AGS propone una soluzione completa, modulare e personalizzabile per la gestione dell’intero ciclo di vita dei documenti elettronici tramite strumenti semplici ed efficaci. Le opportunità di ottimizzazione dei processi e di riduzione dell’uso del cartaceo sono infatti molteplici e ogni azienda presenta esigenze e priorità differenti, per cui non esiste un’unica soluzione adeguata a tutte le situazioni. Tecnologie Leader di Mercato AGS integra nella propria soluzione tecnologie leader di mercato per garantire ai propri clienti la massima affidabilità ed efficacia. Le tecnologie selezionate sono prevalentemente di origine open source, con costi in linea con le aspettative del mercato delle PMI italiane. Il cuore della soluzione, che è fruibile on-site oppure come servizio in outsourcing, è la piattaforma di ECM Alfresco™, che oltre ad un repository affidabile e potente mette a disposizione funzionalità evolute di gestione e di fruizione delle informazioni. A queste sono state aggiunte funzionalità specifiche per gestire la documentazione secondo le normative della legislazione italiana, quali
Advanced Global Solution, AGS S.p.A. è un’azienda italiana che dal 1998 offre servizi e soluzioni IT di elevata complessità e ad alto valore aggiunto. AGS aiuta i propri clienti nella realizzazione di progetti per la gestione documentale e la dematerializzazione grazie all’esperienza maturata collaborando con importanti imprese nei settori della P.A. dell’industria e delle banche.
Le soluzioni open source proposte da AGS, fruibili anche come servizio, portano importanti riduzioni di costo e vantaggi competitivi anche alle piccole e medie imprese
la protocollazione digitale, l’apposizione della firma digitale e la conservazione sostitutiva. Completano la soluzione vari strumenti per l’automazione dei processi, quali ad esempio tool per la cattura e riconoscimento dei contenuti, per la composizione automatica di contratti e modulistica, servizi di mailroom per l’automazione della corrispondenza. Partire in modo veloce AGS propone la personalizzazione ed integrazione del sistema in base alle specifiche esigenze del cliente, tramite tre semplici passi: • Analisi: assieme ai nostri specialisti vengono analizzati i processi che si desidera automatizzare e vengono identificate le responsabilità organizzative e i ruoli degli utenti coinvolti; • Disegno: viene disegnata l’architettura di sistema per supportare le attività identificate, e vengono disegnati i workflow necessari per automatizzare i processi operativi del cliente; • Avviamento: viene installata, testata e rilasciata la soluzione con le personalizzazioni concordate e viene effettuato un training per gli utenti. Grazie a tecnologie affidabili e a una metodologia di progetto consolidata AGS è in grado di garantire risultati concreti e vantaggi misurabili in tempi brevi.
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Acquisizione ed estrazione automatica dei dati dai documenti anche in Cloud
Con il suo arrivo in Italia, Ephesoft Italia vara una serie di iniziative a supporto di fornitori di Soluzioni End to End e Servizi tecnologici ad alto valore aggiunto basati sull’utilizzo della piattaforma multicanale di auto classificazione in logica Open Source, dove la parola d’ordine è NO CAPEX ma solo OPEX. Ephesoft Enterprise, infatti, nasce su uno stack tecnologico Java su un modello multitenant dov’è il Cliente che sceglie la modalità di fruizione: attraverso una installazione On Premise oppure in Cloud, con notevoli vantaggi in termini di costi. Con questo Business Model è infatti possibile un utilizzo regolare e profittevole del sistema, senza costosi investimenti upfront e ammortamenti a lungo termine. Per il cliente che utilizza Ephesoft ecco alcuni vantaggi: • costo certo e ricorrente, messo a bilancio come OPEX; • nessun costo di acquisto del software (no CAPEX); • scalabilità a 3 livelli in Cluster active-active; • connettori per Email, MFP, FS e CMIS; • client di acquisizione web (zero footprint); • nessuna limitazione sulle pagine acquisite; • nessuna limitazione sui client concorrenti; • abbattimento di costi dovuti al lavoro manuale; • riduzione degli errori operativi. I vantaggi sono anche per i Partner che rivendono le soluzioni Ephesoft:
Ephesoft sbarca in italia con la propria soluzione disponibile come servizio e basata sulla tecnologia Open Source Enterprise, che consente di acquisire, classificare ed estrarre i dati
• offrire il modello SaaS o PaaS per raggiungere le PMI (mySYNAPSE); • upselling competitivo per offrire scansione e classificazione distribuita; • moduli configurati per fatture passive, cartelle cliniche, mailroom, ecc.; • versione Platinum con API Web Services; • supporto Enterprise fino a 24/7; • accesso ai sorgenti Java; • programma di Lead generation. L’Acquisizione e la Classificazione automatica in base a contenuto e layout è oggi con Ephesoft alla portata di tutti. La sostenibilità dell’utilizzo di queste tecnologie intelligenti parte dalle 3 declinazioni del Cloud: IaaS, PaaS, SaaS dove quest’ultimo ha valori ancora piccoli ma con crescite sostenute (443 milioni di euro, incrementi del 25% anno su anno)* , dove la maggioranza degli investimenti 2011 sono sul Private cloud (240 milioni di euro)* e dove il Public Cloud vale oggi 203 milioni di euro *. mySYNAPSE, basato su piattaforma Ephesoft Enterprise multitenancy , offre alla PMI la possibilità di usare l’automazione avanzata, oggi neanche presa in considerazione per ragioni di costi di licenze elevati, a prezzi molto accessibili. L’approccio Cloud di mySYNAPSE permette una scalabilità orizzontale e verticale tale da coprire le esigenze di svariate tipologie di PMI ed Enti governativi locali. *Fonte: Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Milano
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Speciale “Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione”
Dall’EDI alla Conservazione sostitutiva
Gruppo Tesi ha di recente curato per conto di una nota azienda di elettrodomestici ed elettronica un progetto di dematerializzazione, partito dall’EDI e giunto sino alla fatturazione elettronica, con l’obiettivo di ottimizzare e migliorare qualitativamente i processi organizzativi. Il progetto - di natura internazionale - consente infatti il completamento di transazioni commerciali elettroniche con oltre cento business partner dislocati in una decina di Paesi Europei, tra cui Germania, Turchia, Spagna, Portogallo, Francia, UK, con i quali Tesi collabora giornalmente. Il servizio e-Integration di TESI è infatti un gateway internazionale in grado di interfacciare il cliente con diversi Paesi nel rispetto delle legislazioni locali. Tesi ha da subito messo a disposizione del cliente un team di professionisti specializzati, che si è occupato di rapportarsi con i Business Partner seguendoli in tutte le fasi progettuali, dal contatto iniziale, allo scambio delle specifiche tecniche, all’effettuazione della fase di test, fino al go-live. «Il cliente non necessitava di un mero fornitore di servizi informatici - spiega Guido Ferrero, Solution Manager Tesi SPA – ma di un partner in grado di offrire una soluzione rapida, sicura e a prezzi competitivi. Era loro intenzione poi, non solo ridurre gli archivi cartacei e ottimizzare l’utilizzo dei sistemi informativi in loro possesso senza nuove installazioni, ma anche avere un unico fornitore di servizi EDI. Sono questi i motivi per cui siamo stati scelti per un progetto di natura internazionale». Il progetto è stato condotto con successo rispettando le tempistiche stabilite sia nello step iniziale di migrazione (da altro provider internazionale), sia nell’atti-
un progetto B2B internazionale curato da tesi consente il completamento di transazioni commerciali elettroniche con oltre cento business partner dislocati in una decina di Paesi Europei
vazione di nuovi business partner, cogliendo l’obiettivo di ottimizzare quanto già attivo e consentendo l’evoluzione dei nuovi processi logistici. Grazie ad un’integrazione soft ed efficiente con il Sistema Informativo già presente in azienda, Tesi ha permesso l’inoltro dei flussi attraverso una molteplicità di canali di comunicazione e standard di tracciato. La consulenza funzionale e tecnica offerta ha riguardato non solo la definizione dei processi in ambito EDI e di Fatturazione Elettronica internazionale, ma anche l’integrazione con i sistemi interni, tenendo conto delle esigenze di business di tutte le Direzioni e le Country coinvolte, rispettando le singole normative locali. «La proposta di Tesi - continua Ferrero - si è distinta per la flessibilità delle tecnologie utilizzate, personalizzate in base alle esigenze ed ai sistemi del cliente. Inoltre ci siamo proposti come interlocutore unico con cui organizzare le attività, ottenendo un processo armonico e ben strutturato, una suite composta di moduli intersecati ma altresì indipendenti da inglobare nei meccanismi già esistenti. Migrando su un unico fornitore il processo EDI, le fatture attive vengono ora inoltrate automaticamente verso una pluralità di destinatari, consentendo agli utenti uno sgravio delle attività quotidiane; le stesse fatture, poi, nella maggior parte degli Stati europei, subiscono il processo di Fatturazione Elettronica e conseguente Conservazione Sostitutiva, affidato a Tesi in outsourcing, permettendo la sensibile riduzione delle tempistiche di trattamento dei documenti».
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Speciale “Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione”
NAscono gli stati digitali della memoria
C’è stato un tempo in cui i documenti che segnavano le tappe della nostra vita di cittadino erano gestiti e conservati rigorosamente in modalità cartacea, un procedimento amministrativo era confinato in un polveroso archivio di un ufficio pubblico, e non si pensava nemmeno lontanamente alla possibilità che una fattura o un documento sanitario potessero non essere stampati su carta, quindi, tangibili e riponibili in uno scaffale. Se queste inveterate abitudini hanno iniziato a cambiare già da qualche anno e la digitalizzazione comincia a prendere piede ormai in numerosi settori, tanta è ancora la strada da fare per arrivare a un completo (e sicuro) passaggio dalla carta al bit. La carta ci ha ispirato e ci ispira ancora (sotto alcuni aspetti a ragione) certezza e sicurezza: un documento cartaceo, se ben conservato, può durare nei secoli, se timbrato e firmato ci permette di riconoscere con immediatezza la sua validità e di avere certezza del firmatario e quello stesso documento, rispetto a un documento digitale, si presta meno ad insidiose alterazioni. Ma questa diffidenza verso il digitale può e deve essere superata. D’altronde, come ampiamente si legge nell’Agenda Digitale Italiana, negli anni a venire si prevede la massiccia digitalizzazione di numerosi processi: nella PA nella sanità, nella scuola, nel settore fiscale e in quello bancario-amministrativo, ad esempio, ci sarà un progressivo abbandono del documento cartaceo in favore del documento (nativo) digitale. Questo futuro “senza peso” potrebbe portarci un risparmio di tempo, denaro, un vantaggio per l’ambiente e una gestione dei documenti più funzionale e trasparente, meno burocratizzata. Di fronte a questo cambiamento è giusto non ostinarsi nell’eccessiva cautela, ma nemmeno la-
ANORC ha dato vita a un presidio permanente che coinvolge tutte le Associazioni italiane che si occupano di digitalizzazione documentale e sicurezza informatica
sciarsi prendere da facili entusiasmi. In questo processo, infatti, i vantaggi e i rischi giocano alla pari, e l’altra faccia della medaglia è la possibilità di mettere a repentaglio i nostri documenti e con essi la nostra memoria, metterne in pericolo l’immodificabilità, l’integrità, la certezza della paternità. Per far pendere l’ago della bilancia dalla parte dei vantaggi è necessario che la digitalizzazione sia regolata da una normativa coerente, di ampio respiro e ben strutturata, e da regole tecniche esaustive, entrambe caratteristiche che attualmente mancano al nostro apparato legislativo. Per tenere alta l’attenzione sull’importanza di attuare una corretta digitalizzazione ANORC (Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti) ha promosso la fondazione degli Stati Generali della Memoria Digitale, una struttura elastica e trasversale, una sorta di presidio permanente che coinvolge più associazioni e organizzazioni che si occupano oggi in Italia, in maniera diversa e complementare, della digitalizzazione documentale e della sicurezza informatica e le quali sono unite dal desiderio che “gli archivi digitali siano resi sicuri, affidabili e autentici nel tempo” e che tali tematiche siano i pilastri fondanti su cui poggiare l’Agenda Digitale Italiana ed Europea. Il Manifesto costitutivo degli Stati generali della Memoria Digitale, contenente alcuni principi fondamentali, quei diritti che dovrebbero essere garantiti a ogni cittadino digitale, è stato sottoscritto durante la manifestazione “DIG.Eat. Another bit in the wall” (www. digeat.it), grande evento nazionale dedicato da ANORC all’Agenda Digitale che si è svolto a Roma il 13 marzo. avv. Andrea Lisi (Presidente) dott.ssa Silvia Riezzo (Responsabile Comunicazione)
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rubrica | ricerche e s tud i a cura di
paola capoferro ronchetta
I media digitali in Italia arrivano a 5,4 miliardi di euro Il mercato media abilitato da Internet cresce del 90%, secondo il Politecnico di Milano. Volano Video Online, Social Network, Applicazioni, Smartphone e Tablet Video online, Social Network, Applicazioni, Smartphone e Tablet possono diventare il motore del cambiamento del mondo dei Media. È quanto emerge dalla fotografia scattata dall’Osservatorio New Media & New Internet della School of Management del Politecnico di Milano. Dal 2008 a oggi, infatti, il mercato complessivo dei Media, che include introiti pubblicitari e ricavi pay è passato da 18,4 miliardi di € a 15,9, con una riduzione di 2,5 miliardi. Nell’ultimo anno la contrazione è stata pari al 5%. Ma non tutti i canali Media stanno registrando un trend negativo. Afferma Andrea Rangone, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio New Media & New Internet: «I New Media, infatti, dal 2008 a oggi, sono cresciuti senza mai subire alcuna battuta di arresto. Con 5,4 miliardi di euro nel 2012 sono arrivati a pesare per oltre un terzo del mercato complessivo dei Media. E nel 2013 si prevede una crescita del 6%». All’interno dei Media digitali, la componente più dinamica è sicuramente quella
connessa al nuovo paradigma di Internet – il cosiddetto New Internet – che si basa su sette componenti principali: i nuovi device – Smartphone, Tablet, Connected Tv – che moltiplicano le occasioni di fruizione di Internet; i Social Network, che stanno sempre più diventando il luogo privilegiato di interazione digitale; le Applicazioni, che semplificano l’accesso ai contenuti; i modelli di business basati sulla vendita di contenuti a pagamento; i Video che si stanno diffondendo in modo pervasivo in Rete. E infatti il mercato Media abilitato dal New Internet - Video online, Social Network, Applicazioni, Smartphone e Tablet – cresce del 90% nel 2012. Il numero di Smartphone presenti in Italia ha raggiunto i 32 milioni di unità, con una penetrazione del 60%, e sono già circa 320 le Applicazioni Media di varie testate disponibili per questi dispositivi. Il mercato Media veicolato attraverso questo device è cresciuto del 70% rispetto al 2011. I Tablet in Italia sono, attualmente, più di 3,5 milioni. Le testate giornalistiche che
stanno creando un’App ad hoc sono in forte crescita: +46% nel 2012, per un totale di oltre 300 App disponibili. Il mercato è cresciuto del 90%. Le Connected Tv hanno un potenziale non ancora sfruttato: sono 2,5 milioni in Italia, in crescita di oltre il 120% rispetto al 2011, ma solo il 18% sono connesse. Attualmente i ricavi sono di tipo pay, legati soprattutto a servizi premium come Cubovision e Chili. I ricavi pubblicitari sono promettenti anche sui Social Network: nel 2012 è stata registrata una crescita del 60%. L’85% degli utenti Internet li utilizza e la maggior parte di loro (circa il 95%) interagisce su Facebook: una platea da 23 milioni di persone. Una platea altrettanto vasta è quella che visualizza i Video online: a fine 2012 sono oltre 25 milioni gli utenti che li fruiscono, pari a quasi l’85% degli Internet User – in crescita del 30% circa rispetto al 2011. Preroll e overlay permettono di sfruttare al meglio questa vetrina: il 50% della crescita dell’advertising in tutto il mercato Internet Media è dovuto a questo specifico canale.
le dinamiche di crescita dei media tradizionali e dei new media in italia mln E 16.000 14.000
14,1
-16% +1% 11,9
12.000
Vengono considerati New Media tutti quei Media che si basano su reti distributive digitali e vengono fruiti dagli utenti tramite terminali digitali
-4% 12,0
11,5
-9% 10,5
10.000 8.000
Fonte: Politecnico di Milano
6.000
+7% 4,3
4.000
+9%
+6%
4,6
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2009
2010
+3% 5,2
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2.000 0 2008
2009
2010 Old Media (mld E)
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RUBRICA | ricerch e e studi
Le aziende italiane verso i Social Media Una survey fa emergere una lieve crescita nell’utilizzo, perlopiù nell’area Marketing e Comunicazione, e più consapevolezza delle potenzialità
Boom del Mobile Advertising nel 2012
Le aziende italiane si muovono in direzione dei social media. Anved (Associazione delle imprese per le vendite a distanza), Aidim (le imprese del direct marketing), eCircle e Cribisi D&B hanno presentato i dati di un’indagine secondo la quale l’utilizzo dei social media sarebbe cresciuto del 2% rispetto allo scorso anno. Dal 75 si sarebbe arrivati al 77% su un campione di oltre tremila aziende selezionate che per il 30% è formato da aziende con oltre cinquanta milioni di giro d’affari. L’ecommerce è in testa con il 94% delle aziende social, e tra i settori diventati più social rispetto allo scorso anno ci sono anche retail e non profit. In generale prevalgono ancora obiettivi di utilizzo generici come consolidare e trasmettere i valori del brand o dell’azienda e comunicare con i nuovi clienti, ma iniziano a farsi strada obiettivi più strettamente legati al business. Al terzo posto con il 34% delle preferenze troviamo infatti promozioni o vendite, seguito dalla raccolta di nuovi lead con il 33% e dai feedback immediati sulle preferenze dei clienti con il 26%. Si tratta di un segnale dell’utilizzo più consapevole di questi strumenti che hanno visto crescere la
Crescita del 55% del mercato, che sfiora i 90 milioni di euro e rappresenta ormai il 7% di tutti gli investimenti pubblicitari su internet. Triplicate le App dei 100 Top Spender
loro importanza nel marketing mix. A conferma di una certa maturazione delle strategie, si fanno strada gli strumenti a maggiore tasso di complessità e valenza di business come applicazioni (20%) e advertising (29%), comunque ancora lontani dalla classica fan page che raccoglie il 65% delle preferenze. Sei aziende su dieci hanno un team dedicato, e poco frequente è il ricorso a risorse esterne per la gestione di questi spazi. In generale si riscontra la mancanza di una strategia integrata di social commerce, visto che questi strumenti sono al momento utilizzati in prevalenza per generare traffico sul sito e raccogliere iscritti per le newsletter. Però, quasi un quarto delle aziende già integra i social media con il CRM. Il lato negativo è che solo un quarto misura il ROI e le visite al sito sono il criterio più utilizzato per misurare le performance. In tutto questo la soddisfazione media rimane abbastanza moderata. Solo 12% delle aziende è pienamente soddisfatto e il 50% solo parzialmente. La fiducia però c’è. Quasi la metà delle aziende aumenterà l’investimento nel canale nel breve periodo.
Le imprese più innovative del mondo Sul podio Nike, Amazon e Square: hanno saputo portare sul mercato le novità più significative. La classifica della rivista americana Fast Company riferita al 2012 «La semplice ragione per la quale Facebook e Twitter non fanno parte della lista delle aziende più innovative è che nel 2012 non hanno prodotto nessuna innovazione». Così Fast Company, la rivista americana specializzata in tecnologia e business, liquida i due colossi del Web. Per cercare la vera innovazione è dovuta andare verso altri lidi e in particolare da Nike. «Una delle mie paure è di essere una società lenta, burocratica e felice del suo successo». Così la pensa il CEO di Nike, Mark Parker, che per allontanare i timori ha sfornato un paio di prodotti che gli sono valsi il primo posto davanti ad Amazon. Il primo è FuelBand, un braccialetto da 150 dollari, che misura i movimenti durante il giorno calcolando distanze e calorie e ar| 66 |
chiviando i dati. L’altra novità è costituita dalle leggerissime Flyknit Racer, scarpe più simili a un calzino con una suola. Le nuove calzature hanno comportato un ripensamento del processo di produzione che ha permesso di ottenere un prodotto più rispettoso dell’ambiente e che in tempi lunghi potrebbe portare a una diminuzione dei costi di produzione. Al secondo posto c’è Amazon: Fast Company sottolinea l’importanza dell’allargamento del servizio, avviato tre anni fa, di consegne nello stesso giorno in sette città americane. Al terzo posto troviamo Square, protagonista nel mondo dei pagamenti Mobile: permette di abilitare i pagamenti con carta di credito sui dispositivi mobili.
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Dopo l’accelerazione del 2011, anche nel 2012 in Italia è proseguita con forti tassi di crescita l’espansione del mercato Mobile Marketing & Service, secondo i risultati della sesta edizione dell’Osservatorio omonimo della School of Management del Politecnico di Milano. Il valore assoluto degli investimenti in pubblicità pensata appositamente per gli smartphone, infatti, è salito in un anno del 55%: da 57 milioni di euro nel 2011 a 89 milioni nel 2012. Un dato che rappresenta l’1% del totale degli investimenti pubblicitari in Italia (in linea con Francia e Germania, mentre in USA la percentuale è del 2,4% e nel Regno Unito del 3%) e il 7% sul totale della pubblicità digitale (pc, tablet, mobile), anche qui dietro solo a USA e Regno Unito, e davanti, anche se di poco, a Germania, Francia e Spagna. In termini di formati pubblicitari, sono più che raddoppiati gli investimenti in search e display advertising su siti Mobile e su App, e la raccolta degli ad-network, e fortemente cresciuti anche quelli a performance (cost per click). I settori utenti più attivi sono telco, automotive, intrattenimento, finanza e assicurazioni. Nell’immediato futuro però, sottolineano i ricercatori dell’Osservatorio, si espanderà fortemente l’utilizzo di formati innovativi come i Rich media (banner interattivi e coinvolgenti, video HD a tutto schermo, ecc.) e assisteremo a una crescente integrazione del Mobile in iniziative che coinvolgono altri Media, come pc, tablet, e anche la TV (come per esempio le pubblicità simultanee e integrate su Tv e Smartphone noto come ‘second screen’). Un’analisi dell’Osservatorio sui 100 Top Spender italiani in advertising del 2012 classificati da Nielsen inoltre evidenzia che il 58% del campione ha almeno un’app (+18% rispetto al 2011), e soprattutto triplica il numero di app uniche complessive (per intenderci la stessa app disponibile su App Store Apple e su Google Play conta per due): da 94 del 2011 a 265 nel 2012.
RUBRICA | ricerc h e e studi
Chi investe nel Cloud spende di più anche in IT Da una ricerca IDC per il mercato italiano emerge una correlazione fra la presenza di iniziative Cloud nell’impresa e gli investimenti in Information Technology Una prima nota positiva: la spesa IT nelle aziende italiane non è in crollo verticale. Secondo una ricerca di IDC, nel 2013 il 15% dei rispondenti prevede una crescita degli investimenti, il 53% ipotizza investimenti stazionari e il 32% investimenti in calo. Dov’è la nota positiva? Che nel 2011 era ben il 53% ad avere budget in calo (il 33% nel 2012). Insomma, siamo ancora pesantemente nel tunnel, ma qualche flebile, fioca luce all’orizzonte si intravede. Dall’analisi di IDC emerge un dato interessante: una correlazione positiva fra chi ha iniziative Cloud in azienda e chi investe in ICT. «Non possiamo dire se ci sia una relazione di causa/effetto – spiega Fabio Rizzotto, IT Research & Consulting Director di IDC Italia – ma questa correlazione
indubbiamente c’è». Detto in altre parole, chi investe di più in ICT ha mediamente qualche progetto Cloud in azienda. Le 3 priorità di investimento fra i CIO sono il miglioramento della qualità dei servizi IT, l’integrazione di sistemi IT eterogenei e la sicurezza. Questa classifica però cambia leggermente se andiamo a considerare solamente le aziende che hanno delle iniziative Cloud in corso. In questo caso, al primo posto troviamo sì il miglioramento della qualità dei servizi IT, ma al secondo posto balza l’allineamento fra IT e processi di business e il terzo posto se lo giocano 3 attività: aumento delle competenze dello staff IT, integrazione di sistemi IT eterogenei e sicurezza. Leggendo in modo diverso i dati, si può ipotizzare che le aziende che inve-
stono nel Cloud hanno un approccio “strategico” alla tematica IT, con iniziative che riguardano il “cuore” dell’Information Technology (miglioramento della qualità dei servizi IT, skill, allineamento col business). La ricerca IDC ha evidenziato anche alcuni percorsi di sviluppo del Cloud che le aziende stanno portando avanti. Considerando che la maggior parte dei workload sul Cloud riguardano l’email e il backup, si vedono ormai strade ormai consolidate: chi parte dall’email, sposterà poi sul Cloud i workload relativi alla web conference, al document management e al CRM/ERP. Chi parte dallo storage/backup passa poi all’email e a seguire document management, web conferencing e CRP/ERP.
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r u b r ic a | n om in e Fulvio Dodich Amministratore Delegato Sanlorenzo Yachts
Fulvio Dodich è stato nominato Amministratore Delegato dei Cantieri Navali San Lorenzo. Ravennate, classe 1953, Dodich ha alle spalle diciotto anni di esperienza maturata nella divisione commerciale di diversi settori: nel 1996 approda in Ferretti, che lascerà nel 2007, e nel 2002 viene nominato Amministratore Delegato dei brand Ferretti Yachts, Mochi Craft e Custom Line. Dal 2008 ha svolto un’importante attività di consulenza per progetti di acquisizione di aziende su base worldwide. Con questa nomina i Cantieri San Lorenzo, che si trovano al terzo posto nella classifica mondiale dei maggiori costruttori di imbarcazioni sopra i 24 metri, confermano la volontà di perseguire una strategia di ampio respiro, prevedendo di espandere il business mediante nuove acquisizioni. Dodich nel nuovo ruolo contribuirà alla creazione di nuovi prodotti che porteranno a una profonda penetrazione dei mercati esteri.
Patrizio Mapelli Presidente e CEO, NTT Data per l’area EMEA NTT Data ha annunciato la nomina di Patrizio Mapelli come nuovo Presidente e CEO per la regione EMEA. Questa nomina rientra all’interno di una strategia pianificata da tempo: Patrizio sostituisce Thomas Balgheim che, dal 2008, ha supportato l’espansione del business di NTT DATA in Europa, Medio Oriente, Africa e America Latina, e gestito con successo la piena integrazione di tutte le acquisizioni sotto il brand NTT DATA. L’incarico è effettivo a partire dal 1 aprile 2013. Prima di ricoprire questo ruolo, Mapelli è stato Ceo and managing director di NTT in Italia ed executive vice president and head of enterprise business unit di NTT in Emea. Precedentemente, è stato Ceo di Value Team, acquisita da NTT DATA nel giugno 2011, e parte di NTT DATA in EMEA a tutti gli effetti dall’aprile 2012. Tra le sue esperienze
manageriali figurano anche i ruoli di vice president di At Kearney e senior partner di Ernst & Young. Mapelli, classe 1995, si è laureato in fisica teorica presso l’Università degli Studi di Milano e ha seguito un executive program presso la Kellogg School of Management.
Alessandro Felici Presidente e AD Heinz Italia
Heinz Italia ha un nuovo presidente e amministratore delegato: è Alessandro Felici. Romano, 42 anni, laureato in Economia presso l’Università la Sapienza di Roma, dopo un
inizio di carriera in Procter & Gamble, dove ha potuto sviluppare le competenze manageriali soprattutto di area commerciale, è entrato in Heinz Italia nel 2005 come Direttore Marketing, diventandone nel 2010 vicepresidente e Direttore Generale. Heinz - entrata in Italia nel 1963 con l’acquisizione del brand Plasmon, che ha arricchito negli anni con Nipiol e Dieterba - ha come obiettivo del 2013 il consolidamento della posizione nel mercato, puntando sull’innovazione e la vicinanza al consumatore.
Fabio Fregi Amministratore Delegato e Country Manager CA Technologies Italia Fabio Fregi è il nuovo Amministratore Delegato della filiale italiana di CA Technologies, multinazionale specializzata nel settore del software per la gestione dell’IT. Fregi riporta a Pierpaolo Taliento, Vice President e General Manager Southern Europe, e assume anche la carica di Country Manager. Nel suo ruolo | 68 |
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avrà il compito di guidare la crescita di CA Technologies in Italia coniugando la strategia dell’azienda alle specificità del mercato locale con l’obiettivo di garantire la continuità del business e sviluppare nuove opportunità. Fregi entra in CA Technologies dopo aver lasciato Microsoft Italia, dove dal 2011 rico-
RUBRICA | nomine
Giuseppe Di Nuccio CEO, Borbonese
Jean-Christophe Babin Amministratore Delegato Bulgari Bulgari, marchio di lusso che dal 1884 crea alcuni dei più importanti ed esclusivi gioielli italiani, ha un nuovo amministratore delegato. Si tratta di Jean-Christophe Babin che guiderà la gioielleria acquisita dal gruppo di lusso di Bernard Arnault, LVMH, nel 2011 e che fa parte della divisione ‘Orologi & Gioielli’ capitanata da Francesco Trapani. Jean-Christophe, che ha la doppia nazionalità francese e italiana, assumerà la carica a Roma. Il nuovo patron di Bulgari si è laureato alla scuola di commercio HEC Business di Parigi. Ha iniziato la sua carriera nel 1983 nelle vendite e nel marketing, successivamente ha lavorato in Procter & Gamble in Francia, e in Benckiser e Henkel in Italia. Nel 2000 ha fatto il suo ingresso nel gruppo LVMH come CEO del marchio di orologi di lusso TAG Heuer, che ha guidato per 13 anni.
priva il ruolo di Direttore della Divisione Enterprise e Partner Group. Laureato in informatica all’Università di Bologna, inizia la sua carriera in Oracle Italia - successivamente ad un’esperienza in CNI, azienda specializzata nella produzione di sistemi hardware e software -, dove nel giro di pochi anni diventa
Giuseppe Di Nuccio, manager che ha maturato esperienze da Giorgio Armani e Jil Sander, è il nuovo CEO di Borbonese, società di pelletteria con base a Pianoro (Bologna), nota per la produzione di borse in pelle ovina e texture con il motivo “occhio di pernice”. Succede a Massimo Macchi. Di Nuccio, comunica l’azienda, è stato chiamato per portare avanti le linee strategiche di sviluppo e il piano di internazionalizzazione del brand.
Ernesto Mauri Amministratore Delegato, Gruppo Mondadori
Cambio della guardia in Mondadori. Il Direttore Generale dei Periodici Ernesto Mauri sale al vertice e diventa Amministratore Delegato al posto di Maurizio Costa, che alla guida del gruppo da 16 anni, da dieci anni anche come vice presidente, resterà comunque nella squadra della famiglia Berlusconi, diventando vice presidente di Fininvest. Mauri, 66 anni, in Mondadori era già dallo scorso novembre Direttore Generale dei Periodici e presidente di Mondadori France da agosto 2008. Era inoltre consigliere di amministrazione di Gruner+Jahr/ Mondadori. Nato a Vimercate, laureato in Economia e Commercio, dopo una prima esperienza in una società di revisione, inizia la sua attività professionale nel mondo dell’editoria nel 1975 in Rusconi, di cui diventa Direttore Generale nel 1980. Nel 1991 entra in Mondadori in qualità di Direttore Generale della Divisione Periodici,
per poi passare, nell’ottobre del 2000, al Gruppo Telecom, dove ricopre il ruolo di Amministratore Delegato di La7. Nel luglio del 2003 entra a far parte del Gruppo Cairo Communication, con la nomina di Amministratore Delegato di Giorgio Mondadori Editore e di Cairo Editore. Mauri rientra in Mondadori nel luglio 2007 come direttore generale di Mondadori France.
Business Development Manager per la divisione Communication e Media Solution. Nel 2002 entra in Microsoft Italia per occuparsi della vendita di soluzioni SaaS nel settore Telco e Media, fino a diventare nel giro di pochi anni Global Account Manager per Telecom Italia. Nel 2007 assume la responsabi-
lità del segmento di business che si rivolge alle aziende di comunicazione e media e dal giugno 2008 al 2011 ricopre la posizione di Direttore della Divisione Public Sector lavorando a stretto contatto con le amministrazioni centrali e locali, il settore sanitario e il mondo delle scuole e dell’università.
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r u b r ic a | who’ s who cio Massimo Cova ICT & Process Organization Director, SGM Distribuzione
Massimo Cova è il Direttore dei Sistemi Informativi, delle telecomunicazioni, dell’organizzazione e dei processi della SGM Distribuzione, gruppo noto nel consumer electronics business con i marchi Marcopolo Express (negozi) e marcopoloshop (web). Dopo la laurea conseguita presso l’Università di Pavia e corsi di specializza-
zione internazionali, ha ricoperto il ruolo di Responsabile dei Sistemi Informativi e delle telecomunicazioni per un’azienda alimentare e per una di servizi, e di consulente presso alcune delle più note società internazionali, dove ha realizzato progetti nell’ambito dei sistemi informativi e dell’organizzazione presso importanti clienti di medie e grandi dimensioni. Il suo impegno attuale è quello di far sì che la SGM Distribuzione disponga di Sistemi Informativi, organizzazione e processi in grado di vincere la sfida di un mercato in cambiamento, caratterizzato da nuovi canali e nuovi attori, sempre più competitivo e rivolto all’internazionalizzazione. Tra i progetti più recenti seguiti da Cova, la realizzazione del nuovo sito marcopoloshop e l’introduzione della tecnologia voice nel magazzino centrale.
Gionata Berna ICT Executive Director Riello Group
Marco Zanussi dal 2001 ricopre la posizione di CIO e Global HR Director di M&G, gruppo multinazionale chimico e dell’ingegneria con sedi e stabilimenti produttivi in Cina, India, Italia, Brasile, Messico ed USA. In M&G è anche membro dal 2001 del Comitato Esecutivo del Gruppo. Precedentemente, dal 1995 al 2001 ha
ricoperto la carica di Direttore Organizzazione e Sistemi Informativi di Polimeri Europa e dal 1988 al 1995 varie posizioni all’interno del Gruppo Enichem, in Italia e negli Stati Uniti. Laureato in Ingegneria nel 1987, ha conseguito un Master presso la Scuola Superiore Enrico Mattei dell’ENI a Milano nel 1988 ed un Certificate in Information Management presso la New York University nell’anno 2000. Dal 1994 al 2001 è stato membro della Commissione di Verifica e Controllo del SIAN (Sistema informativo Agricolo Nazionale) per il Ministero Dell’Agricoltura.
Gionata Berna attualmente ricopre il ruolo di Responsabile della Governance e dell’impostazione Strategica per l’Information e Communication Technology di tutto il Gruppo Riello. Laureato in Ingegneria Gestionale presso l’Università di Padova, prima di specializzarsi nell’IT management Berna si è occupato di Corporate Governance, Business Risk Management and Control (Arthur Andersen) e di controllo di gestione (Marzotto Group). In seguito ha maturato 13 anni di esperienza in IT governance, change management e business process reengineering per grossi gruppi industriali. In particolare, prima di approdare nel 2010 in Riello, ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità dapprima in Marzotto – Valentino Fashion Group e Benetton Group. Oggi in Riello supporta lo sviluppo del business e l’innovazione dei processi attraverso l’introduzione delle nuove tecnologie, assicurando un continuo miglioramento dell’efficienza complessiva curando il consolidamento e l’ottimizzazione del parco applicativo.
ICT4EXECUTIVE
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è una testata di ICT and Strategy S.r.l. Via Schiaffino, 25 - 20158 Milano Iscrizione presso il R.O.C. Registro degli Operatori di Comunicazione al n. 16446 Testi e disegni: riproduzione vietata.
Paola Capoferro Ronchetta, Daniele Lazzarin, Piero Todorovich, Vincenzo Zaglio
Stefano Mandato
Direttore responsabile
immagini
Stampa
Manuela Gianni (manuela.gianni@ict4executive.it)
Illustrazioni di Fabio Margarita, Claudia Nasuti, Marco De Giorgi
AG Printing Srl - Peschiera Borromeo (MI)
Marco Zanussi CIO e Global HR Director Gruppo M&G
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