3°concorso letterario
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Uno scorcio della Chiesa del Gonfalone di Saltara, dove si è svolta la cerimonia di premiazione della seconda edizione del concorso letterario Ideobook
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IL CONCORSO
Dopo il buon esito delle due precedenti edizioni, Ideobook, il concorso letterario promosso da Ideostampa, è arrivato alla sua terza edizione con interessanti novità e il prestigioso patrocinio del comune di Colli al Metauro. Ideobook è un contest letterario che vuole promuovere e stimolare gli autori anche utilizzando le nuove tecnologie di stampa digitale che permettono piccole tirature. La partecipazione è aperta a tutti, senza limiti di età quest’anno con una netta separazione tra racconti e poesie. Siamo particolarmente lieti di questa terza edizione di Ideobook, sperando di scoprire nuovi talenti e di creare una occasione di incontro e stimolo culturale nel territorio. Ideobook è solo uno dei diversi progetti sviluppati negli ultimi anni da Ideostampa con l’intento di creare prospettive inedite sulla produzione culturale dell’intero comprensorio della Valle del Metauro. Alfio Magnesi amministratore Ideostampa
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IL PATROCINIO
È un vero piacere per la nostra Amministrazione concedere anche quest’anno il patrocinio comunale ad Ideobook, il concorso letterario promosso da Ideostampa ed arrivato quest’anno alla sua terza edizione. Tra le diverse iniziativa che contribuscono - come piccole gocce nel mare - ad espandere il tesoro di conoscenza e cultura collettiva, Ideobook ha avuto, fin dall’inizio, una particolare attenzione per la sua del tutto unica capacità di far emergere dal tessuto territoriale potenzialità letterarie nascoste, portarle almeno per un giorno alla luce dei riflettori di una quotidianità troppo spesso assopita ed indifferente, e premiare i rispettivi autori con piccole tirature della propria “creatura”. Grazie ad Ideostampa, ad Alfio e a tutti i suoi preziosi collaboratori, per questo “dono” che fanno alla comunità metaurense, con l’augurio di sempre nuove e proficue collaborazioni. Andrea Giuliani Assessrore alla Cultura Comune di Colli al Metauro
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LA GIURIA
ELISABETTA FREDDI poetessa, già membro di giuria in altri premi letterari GIULIA GIOVANELLI giornalista LUIGI STORTIERO poeta, artigiano PIERO TALEVI poeta del Metauro RODOLFO TONELLI ex preside, scrittore e camminatore SILVANO CLAPPIS giornalista, scrittore VITTORIA SCHIAVONI ex insegnante, amante della scrittura e della poesia
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INDICE Adriana Antognoli Alda Bravi Alessandra Simoncini Alla Melnychuk Anna Maria Speranzini Andrea Lodovichetti Antonio Bacchiocchi Anuska Mainardi Attilio De Angelis Claudia Belletti Cono Caranna Cristiano Dellabella Daniela Rossi Daniela Gregorini Daniele Tanoni Dino Sabatini Jessica Grigioni Elvio Grilli Erika Renzi Francesca Costantini Franco Patonico Giuseppe Mandia Ida Palombo Laura Longarini Laura Marchetti Lorenzo Spurio Lucia Marchetti Marco Polidori Marco Squarcia Maria Grazia Boccolini Mauro Berti
pag. 8 pag. 10 pag. 12 pag. 14 pag. 18 pag. 22 pag. 24 pag. 28 pag. 31 pag. 32 pag. 34 pag. 38 pag. 39 pag. 40 pag. 44 pag. 46 pag. 47 pag. 48 pag. 52 pag. 54 pag. 56 pag. 58 pag. 60 pag. 62 pag. 64 pag. 66 pag. 68 pag. 70 pag. 72 pag. 74 pag. 77 6
Maria Pia Silvestrini Martina Mucciariello Mauro Barbetti Michela Santini Nicola Zarri Michela Tombi Ombretta Mariotti Orietta Palanca Patrizia Mencarelli Patrizia Pierandrei Piergiovanni Paoli Piergiovanni Vitalini Roberta Del Prete Roberta Fava Roberta Tittarelli Roberto Guiducci Stefano Sorcinelli Stefania Riva Umberto Bernasconi Umberto Grieco
pag. 78 pag. 80 pag. 82 pag. 84 pag. 85 pag. 86 pag. 88 pag. 90 pag. 92 pag. 94 pag. 96 pag. 98 pag. 100 pag. 102 pag. 104 pag. 106 pag. 107 pag. 109 pag. 111 pag. 112
Appendice: Omaggio a Giacomo Gabbianelli di Rodolfo Tonelli
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Adriana Antognoli LAGO DI FIASTRA Chiedilo ai pesci quando sprigionano il salto e infilano anelli d’acqua al cane statua che rifugge il sole nella parabola del cespuglio alla fiducia del pescatore quando lancia lontano l’amo e i suoi pensieri trasparenti appesi al filo di nylon alla fuga di pendii specchiati in questo placido acquatico grembo fra le braccia della montagna madre agli azzurri rubati al verde cangianti miscele di acqua sassi, terra e luce ogni albero e filo d’erba, roccia e granello d’argilla è protagonista di quest’incanto chiedilo a tanta bellezza perché le parole s’inchinano ammirate e la penna cattura il mio sguardo
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METAFISICA DEL SENSO E’ un lavoro quotidiano questa ricerca di senso un equilibrismo imperfetto sulla tela di radici scivolose di passato. Lo cerca il mio sguardo strabico e divergente nel presente oggi figlio illuso e nostalgico di ieri. E’ pregno di speranza di senso il futuro della clessidra sgranato nel presente, ricomposto nel passato. Niente è stabile né fermo dentro al senso ma fluida istanza di ricerca.
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Alda Bravi HO VISTO DONNE Ho visto donne a Parigi salire i gradini della Sorbonne, tempio della cultura, ho visto donne a Milano sfilare eleganti e fiere sulle passerelle del made in Italy, ho visto donne a Helsinki disegnare oggetti d’arte e lineari architetture moderne, ho visto donne a Lisbona frequentare biblioteche e nutrirsi dei versi di Pessoa, ho visto donne a Dublino sedute nel verde umido e studiare con passione al Trinity College, ho visto donne a Marakesch vendere il proprio corpo ed appassire come rose, ho visto donne a Malindi fiere dei propri figli ma con l’animo dolorante di malattia, ho visto donne ad Istanbul mormorare preghiere separate dentro l’ombra della moschea, ho visto donne a Theeran pronunciare con coraggio 10
parole di libertà soffocata, ma che donna sono io se mi limito a guardare, se non spremo il mio cuore, se non uso la mente, perché ogni donna possa guardare ed essere vista con dignità? LA RAGAZZA SI CHIEDE Labbra rosse si aprono, parole escono pallide. Chi sono? Si chiede la ragazza sui tacchi. Il video mi dice bella, alta, magra, felice... Esisto perchè appaio sono come mi vedono, ma nessuno mi guarda dentro. Ho anch’ io una essenza? Il dubbio scava, cerca, è difficile trovare per occhi che non vogliono vedere. Parole pallide escono di nuovo: mi sento come una caramella succhiata e sputata come guasta. Dov’ è la mia essenza? Il dubbio rode, cerca, il marmo dell’ anima si spacca. Non sono guasta e gusto la dolcezza della verità. 11
Alessandra Simoncini LA MUSICA DI ALLORA Non è più tempo di balli incantati, quando la musica era in noi. Altri ballano la loro musica, ora quel tempo è lontano. Ma c’è ancora in me la musica di allora e ballo sognando la mia vita.
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COME PIETRA Il corpo è diventato marmo: il dolore inesorabile lo ha scolpito. Nello scorrere del tempo, non una lacrima ha scalfito la dura pietra.
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Alla Melnychuk A SILVIA (donna autistica) Porto ogni giorno rispetto, sorrisi e qualche leccornia a una giovane donna senza chiedere nulla senza invadere spazi misurando parole da avvicinare al suo cuore. Qualche volta mi chiede e mi parla di libri e canzoni mi abbraccia per me il dono piĂš grande altre cerca riparo per terra tra cuscini e angoli e il suo pensiero si perde nel sonno fatto di pianti, di voci maligne. Quando si sveglia la calmo e la guardo accende un sorriso i suoi occhi diventano ali bianchissime. La vita mi mostra le sue mani migliori.
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PRIMA IL VIAGGIO POI L’INCONTRO Vi dirò dei miei viaggi, del mio viaggio nel tempo di un foglio pieno a metà; di quando lasciai l’Ucraina la mia scuola di campagna dove i bambini mi chiamavano maestra e non facevano passare nemmeno un giorno senza regalarmi almeno un fiore; del momento che in lacrime dissi uno strappato arrivederci a mio fratello che ha occhi di cielo e capelli di neve, alla mia grande zia dal cuore più grande di lei e alla povera casa dal tetto spiovente che mio nonno aveva tirato su per noi sudando le ore rubate al riposo con le sole energie racimolate in due patate o in una fetta di pane della sera prima. Alla frontiera ungherese preoccupante muro dove comanda la baionetta dalla valigia vidi fuggire molte delle stelle che avevo pensato di portare con me in Italia. Questo grande Paese che sento anche un po’ mio e da qualche anno mi tiene per mano mi fa compagnia m’insegna la lingua dei vostri paesaggi che anche oggi respiro se ripenso al mio primo giorno con te in quell’intimo borgo sull’acqua.
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Passignano si chiama, è un mignolo del Trasimeno. LÏ le barche hanno vele piccole le case si vogliono bene i pesci e gli uccelli vivono insieme. I miei occhi di ghiaccio verde abbracciavano i tuoi dai riflessi di castagna. Passeggiare con te era come volare conoscere il nuovo percorso per vivere e sperare. Era naturale parlare pure dei nostri futuri bambini e del loro incerto domani fatto forse di un bagaglio a mano con dentro solo sette rubli ma certo con non meno di quattordici sorrisi. Questo pomeriggio sta per finire il sole gioca a scacchi con lo stesso lago. Siamo ancora insieme, un’unica pedina in cerca anche stasera di un dolce riparo.
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Anna Maria Speranzini UN ACCORATO ADDIO AD UNA VITA TRASCORSA A SCUOLA E’ difficile rinunciare a qualcosa che ti ha costruito, gradualmente, giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto per minuto, per renderti degno di un grande servizio: la sublime missione di educatore, promotore, forgiatore di piccole e fragili creature, che aspettano tutto da te e si identificano a te, quale modello di vita. Creature che pendono dalle tue labbra ed ogni tua parola deve essere attentamente vagliata perché ha la stessa risonanza del sasso lanciato in acqua e, a cerchi concentrici, si espande nel grande mare della vita. E’ difficile rinunciare a qualcosa che ti ha aiutato a ritrovare il tuo io, smarrito talvolta nelle impervie difficoltà della vita, a costruire il tuo io e ad innalzarlo fino a spiritualizzarlo nella reciproca intesa tra te (adulto) e l’altro (bambino). 18
E’ difficile condurre il tuo io ad altre scelte, perché qualcosa di troppo grande soffoca dentro di te e piange, anche quando ti sembra di avere dirottato verso giusti ideali. La sofferenza poi lentamente si va placando: diventi più attento a cogliere altre forze che gravitano attorno a te e quella sordità iniziale si apre attentamente ad altri segnali. Qualcuno si accorge di te, trova le tue impronte, ti si affianca e ti senti allora “maestro di vita”. CHE BELLA LA FOTOGRAFIA Ha un volto, un’età, una storia e suggella tutto nella memoria. Quante cose ha da raccontare: è un romanzo da affrontare!..... E’ un volto da bambina e ti porge pure la manina; è carina, paffutella, morbidosa sulle braccia della mamma amorosa. Quegli occhietti vispi e innocenti pronti a captare i vari momenti non possono immaginare quanto il destino voglia tracciare!... Immersa nei giochi infantili corre felice nei bei giardini. L’età scolare però è presto arrivata la prima responsabilità va affrontata, 19
alla scuola media bisogna andare ma il collegio non fa tanto scherzare! Una foto ricordo collettiva mette in mostra una esclusiva di fanciulle ben schierate quasi pronte per sfilate. Sono attente e incanalate per fare le maestre impegnate. La disciplina è militaresca:, dura, severa e assai grottesca, la cosa ahimè più dolente: il genitore non si sente! Una sola visita al mese si consente, il ritorno alle case per le Sacre Feste. “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate perché fino a giugno non più scappate! La foto della conquista speciale, in mano il diploma magistrale, ogni ostacolo mi fa dimenticare sulle ali della libertà mi fa volare. Si pensa, si galoppa, si progetta: si…. È la gioventù che mi aspetta…. Sono romantica e sognatrice di castelli in aria costruttrice! Ben presto quel bel volto giovanile con tanti bei sogni per l’avvenire ha serrato le fossette sorridenti e stringe le sue labbra fra i denti. Il viso pallido su pietra scolpito è quasi del tutto inorridito, l’abito nero testimonia una tragedia: mia madre è scomparsa dalla scena. In un abisso ci si sprofonda, chi ha coraggio di riprendere la sponda? Mio fratello ha l’azienda da curare, c’è un babbo disperato da salvare, una sorellina di sei anni da consolare. ….. Ma la mamma io la so fare? 20
Tutti i sogni sono svaniti! Le speranze mortificate le illusioni imbavagliate: serrata nel mio dolore debbo uscire con fervore. Rialziamoci! Guardo la foto sorridente… Un amico ? No, lo sposo della mia vita è presente e mi giura una fedeltà convincente. La foto con la cordiale scolaresca segna la nobil impresa e m’adesca quale maestra attenta, premurosa pronta pure ad ogni minima cosa. I figli corniciano il sogno di sposi e sono belli, attenti e giudiziosi. Quest’altra foto cosa mi dice ? Che di tempo ne è già passato da figli e nipoti coronato la vita è bella e decantata quale scrigno va sempre conservata. Un po’ di autostima e di ambizione, i due cardini per la sopraffazione, m’hanno sempre sostenuto nel burrascoso vissuto. Il volto è un po’ solcato quel po’ d’espressione mancato ma assai saggezza ha acquistato per il tanto travaglio superato. Sono coronata di fotografia e sono orgogliosa comunque sia. E’ tutta la vita mia ! Pennellata da gioie e dolori, rinvigorita da luci, colori…. di quella speranza che mi appartiene per Speranzini e Lucetta insieme. Questa è pure la Vita mia racchiusa nella fotografia. 21
Andrea Lodovichetti EL “NEVÓN” DEL DICIÒTT Finalmènt dop... sì, sei ànn tra speràns e qualc’ afàn in -più o mén- quater/quatr’òtt èn calàti sti “dó” fiòcc. Gent a piéd, fiulìn cuntènti (chi è ch’ lavòra... j’acidenti!!!) strad tùt biànc: na cità nòva! En è mèj? ‘Trachè la piòva! Marco Ferri sa’l rusàri dàla gioia en fa più a pàri, e anca Seri, avòja dì c’ha imbrucàt, per ste lundì! “Vièn la név, ho fat la scelta, toca agì, e anc’ àla svelta! Ne fa ‘n scrùl sì, se dio vòl! ...mìnim, dmàn, ve chiùd le scòl!” E tùti dó, cminciànd da iér tra dirètt e le preghiér han tapàt (e cat, è niènt!) tùt le bòc di maldicènt. ...ala fìn, sa ‘n po’ d’arànc’ de sta név n’ha fàta un brànc! E gira mista imbròja: a Fan... c’è rivàt ànca ‘l Buriàn! 22
Le pulèmic, pù, vuoi mai? Noi fanesi? Capirài... “chiud le scòl? Mo cu è c’fa, bév?” Ogg: “...ma insóma! E i spasanév???” Adè basta, dài, prufìta va da cima, t’la sufìta cerca i guànt, prènd el capòt: c’è el “nevón”... quél del diciòt!
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Antonio Bacchiocchi El CANtic dla creatura! Tel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai con una belva oscura che tanta tigna io avea svanita ...per colpa de mi moj. ..e cla creatura! Anch lia sarà diec ann che me se sgola de prenda dentra chesa una bestiola!!! -”T’arcordi tu quant’ermi giù in campagna che je faceva sempre una gran lagna quand vdeva el can in gir se el su pastor che me se apriva tutt le volt el cor??? Volli e fortemente sempre volli El can de razza pura border collie Aaron è il nome che ho pensato per lu’ che sempre ho tant desiderato Lo voglio tutto fiero e tanto bello Hai present quell che vedi sa Fiorello???” -”Adess mujtina mia. .famm el favor. .. en gin a scumuda’ anca el pastor che se maki qualco tocca slarga’ è sol el purtafoj. ..s’el vu cumpra’!!! Mo tant c’ è propri bsogn daver daver de prenda ma ste can .. tutt bianc e ner!!! En se pudeva fa un gest piu cvil de gi’ a capal mala’ in tel canil!!!” Ste can c’avrà sigur el cervell fin mo pro c’ha un gran difett: è juventin! !! -:”De che culor è lu en me frega propi gnent per che squedra tien e quell che dic la gent!!! 24
Adess stamm a sentì: se viv na volta sola?? Alora famm cumpra’ ma sta bestiola!!!” -:”Ho vist che c’hai la testa anca più dura cu t’ ho da dì ...prenden ma sta creatura!” Una matina vegg che spunta el mus quant bocca dentra chesa ...anca l’intrus !! Mezz impaurit sa un po de sugesion è fugit malà distant in tun canton Un cucciul pin de pel sa do zampon che te faceva ni un po d’emusion te fissa sal musin e chi ucchiett ner cum se vulesa di... so’ un furestier??? e pu se fa curagg cum un leon. .. cum per di ..... dacsi sarissi tu el mi padron??? El vegg che incmincia un po a scudinzule e pu s’accuccia giù vicina me -:”mo guerda che rufian d’un fiol d’un can adess cu voj ... ch’en si manca de Fan!!!” -:”Mo guerda ste pigron del mi padron!!! Me porti a spass sa te ...girandulon??? Ho bsogn de gì in tel camp o giù la liscia perché me scappa fort anca la piscia! e se me porti in gir anca ma me te poi ferma’ tel bar per un cafe’!!” E je en ce cred a veda sta bestiola è propi vera, j amanca la parola... ma un can dacsì sa un cert urientament en i vu de manca un insegnament? ? Tucarà pur mandall anca a la scola se no cu voj ch’impara sta bestiola!!! ce manca sol un brav de ch’istruttor 25
sa un cors de studi ch’durne almen diec or che acsi ma no, tel digg in cunfidensa ce s’alsa anch el tass ... dl’inteligensa!!! El vedi pu ma lu tut dritt e dur se mett in su l’attenti de sigur aspetta el su cumand cum un suldat e dop pol anca dì ..quant so’ educat! se adoper ogni tant ste cervell fin avrò pur ingusat un cruccantin! dacse me porti in gir per tutta fan cum se fussa daver un gran Cristian! quand vien sa me ch’el port du c è la gent lu ubdisc, sta atenti, è diligent mo s’ved un animal davanti a lu se butta a tera, el studia, en s’mov più j ha da prenda ben ben tut le misur per fe l’aprocc e gi a colp sicur e quand incrocia un maschi per daver lu prova a ste impettit sal sguard tutt fier sa el su pennacchi da carabinier te dic: -” en hai paura per gnent, che so anca ner??” mo quand te dic: -”en me rompa i maron!!” te mett la coda cum quela del scurpion!!! Se invec cl’altra bestia è gross e grand el vedi che fa el gir un po distant A volt se incrocia ‘na bela cagnulina i vien la voja de daj ‘na nasatina e pu fa finta che ce vol giuca per capì se anca lia i ce vol sta Quand gira in tond e cerca un pusticin lu te vol dì che i scappa el bisugnin Mo in du l’hai fatt che l’ho anca d’arcoja? 26
En ce poss creda ...machi sopra na foja!!! La gent che passa guerda e non ce cred che lu en sporca manch el marciapied. .. Sal mus te fa capi tutt sudisfat hai vist quant so stat brav e delicat??? Te en si un can nurmal si propi fint si un angel del Creat e so’ cunvint! je vria propi sape in du si scapat sol el Padre Eterne t’ha inventat! A chesa è un angiulett tropp educat sa chialtre can avessa mai abajat se el trovi ch’bocca dentra tla cucina avessa mai alsat una zampina e manch te mett el mus vicin vicin per veda quel che c’è sopra el tavlin. E quant è pront el da magné per lu se mett sedut, te guerda e non se mov più e non incmincia el past, magari lagna fintant che non i dici: Aaron, magna! !! Mo pensa si è genial sta creatura un gran capolavor de la natura. Qualcun el chiema principe daver ma st’amic mia mezz bianc e un po piu’ ner. A la fin ma mi moj en i l’ho dit che anca el cor mia ....s’è intenerit!!! al mio cane Aaron
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Anuska Mainardi TIENI, APRI LA MANO Tieni, apri la mano. Senti? Mammella di donna: tonda, pesante, perfetta; liscia al tatto, consistente ma elastica, cede sotto la pressione delle dita. Pelle di seta senza un avvallamento, senza un difetto; traslucida, coperta da un velo rosato, in alcuni punti traspare e mostra l’interno dello scrigno prezioso. Il calore della tua pelle, a contatto con la sua, apre segreti pori che sprigionano un profumo dolce, unico, inconfondibile. Le ghiandole salivari, stimolate dal delicato aroma, emettono tiepidi succhi che invadono il cavo orale e preparano un letto liquido, degno di Paolina discinta. 28
Non puoi più fermarti, ormai vuoi godere il sapore di tanta bellezza: afferri con forza il baluardo robusto che la protegge, che resiste, caparbio, allo strappo. Ma lo squilibrio di forze è palese; l’eroe emette un “plop” di protesta e s’arrende. Ora hai davanti un muro, un muro giallo, cremoso e compatto, che copre l’accesso: è l’ultimo baluardo, l’ultima, inutile, difesa che ti viene opposta. Afferri con entrambe le mani la forma rotonda e piena: il profumo t’inebria; forzi piano, con attenzione, il tenero globo, trattieni il fiato ed ecco, completamente in tua balia, il cuore. Le lamelle gelatinose, ricoperte di succo dolcissimo, sono sistemate con cura l’una sull’altra, trattenute da due lucidi servant di legno pregiato.
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Non puoi più aspettare: affondi le labbra in una delle due metà che sorreggi, aspiri, e… subito sputi i due ossi. Finalmente mordi, succhi e assapori, divorandolo, il caco dolce e carico di umori, di sole e di tutti gli aromi che ha catturato mentre occhieggiava da lassù, dal suo albero di loto che cedeva le foglie al vento, ma tratteneva, geloso, gli splendidi frutti gialli; gialli come il sole che ormai è solo un pallido ricordo.
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Attilio De Angelis IL RAGAZZO COL SORRISO Tutti mi ricorderanno come il ragazzo col sorriso, perchĂŠ a loro sorridevo: SEMPRE. Ăˆ a me che non sorridevo mai perchĂŠ il sorriso non era altro che una stupida maschera che indossavo di fronte a tutti per far sembrare che tutto fosse a posto, come se non potessi desiderare vita migliore.
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Claudia Belletti IL TUO CUORE Vorrei prenderti il cuore fra le mani per avvicinarlo al mio volto ed accarezzarlo, per contagiarlo col mio amore. Vorrei baciarlo appassionatamente per infondergli il mio calore. Vorrei pizzicarlo delicatamente per suscitare il desiderio, l’ardore le emozioni e la sensualità . Vorrei stringerti il cuore fra le mie mani per farti provare tutta la forza che posso darti. Vorrei morderlo e mangiartelo tutto, per farti capire che non puoi farmi del male.
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L’AMORE L’amore si posa su una foglia sempreverde, ondeggiando ad ogni alito di vento, bagnandosi nella rugiada del mattino, asciugandosi al sole. Ma un giorno anche la pianta muore e l’amore sentendosi abbandonato cede al desiderio di vivere in attesa che una mano benevola lo raccolga e lo conservi per ricordo.
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Cono Caranna IL CORAGGIO DI AMARE Io manco da “vigliacco”, ad assodare il vero e l’animo patisco, incagliato alle sue secche. Da pavido affogato... alle mie grette pecche il varco del mio cuore, alla mia amica è aperto. Il cuore mio arpionato... per planare via con lei nuvole ballerine di un ego alla tempesta. Non vorrei svegliarmi mai, e vaneggia la mia testa. quando sogno lei, alle mie braccia stretta stretta. La vorrei scaldare; alle mie tremolante membra e intanto i nostri cuori, battono il palpitare. Dolci parole vibrano... al dentro l’impattare tra mie turbati e ardenti, di sospirate brame. Cara! Un solo bacio, e il cuor mio diviene tuo il cono d’ombra, accarezza i tuoi capelli d’oro. Miro la tua bellezza che plasma il tuo candore e vorrei donarmi con tutto... tutto il mio clamore. Invece tremo, senza coraggio, tremo di paura e tu, sparisci cupa, timorosa e dolce in volto. Tutto mi sveli e tutto di te...mi dona trasporto e... sussurra alla mia tristezza, Quel tuo soffrire. Quasi, mi fan tenerezza le tue tremule labbra soffri le tue lacune, oh anima triste e vagante. Senti? senti il frastuono del cuor mio che batte? batte per te. Ansioso, di un cenno di certezza. 34
Quando non ti trovo, io Patisco il mio dolore dammi la mano, fammi vivere, dammi il sole. Per dare un senso a ipocrisie... e gratuite fole prendimi il cuore, ed io, mi riprendo la mia vita. Senza di te è buio pesto, le stelle non brillano più quel sole non mi scalda più... e un gelo prevale. Perché... perché sei tu, la vera mia fonte gioviale e diviene glaciale, quel valico angusto al dolere.
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MORTE IN VACANZA Mi sfugge sotto mano il tempo alla mia età scritta da “sora” morte, un’ultima sentenza. Spero durasse a lungo questa sua vacanza senza un granello di cuor, con la mia sorte. Frulla il mio pensiero che porgi la tua mano e vengo via con te perché ho finito il tempo. Di me senza pietà, non resta un che di scampo come per nulla fossi io esistito. Per morir. Annullato. “La morte, ogni male annulla” col misero ricordo dei cari angustiati? Vaghi ricordi ahimè, ai tempi affievoliti al guarda e passa... volati all’infinito. Con te che non si tratta vigliacca come sei dormirò in eterno, smettendo di sognare. Portandomi con forza dove non c’è l’amore l’orgoglio mio ferisci, senza una trattativa. Fascino misterioso... fino al tenebroso col tuo tufato corpo, opprimi il mio pensar. Vaghi nell’universo, ai cuor selezionar e appari a lontananza come millantatore. Miri la donna mia sul tumulo a nero lutto e gemiti di pianto, china, alle mie spoglie. Tumulo... e voleranno delle smarrite foglie spinte da un venticello come una carezza.
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Alla timida ombra ...di cipressi antichi solingo che mi regna, perpetuo nel silente. In sepoltura giaccio, freddo e penitente sparso via nel nulla, alla dimora estrema. Foglie, che mi sfiorano nel riposo eterno mentre come un poeta nella tenebra spento. E di me, un pugno di cenere è sparsa al vento se no, a greco vaso, per nascere un bel fiore.
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Cristiano Dellabella LA RONDINE Oggi me ne sto qui, sdraiato sull’erba, con le mani intrecciate dietro la testa. Osservo un gruppo di rondini che volano in circolo. E tra di loro… una sei tu. Eccola lì. E’ quella dal volo più incerto ma che si spinge più in alto. Vola da sola, poi improvvisamente un colpo d’ali e cambia direzione puntando verso il sole come a volerlo raggiungere. Di scatto cambia ancora il suo volo. Parallela all’orizzonte sfiora le foglie di una quercia ,inseguita da altre. Garrisce ,non sembra mai stanca. In un turbinio elicoidale torna a volare in alto, quasi scompare , ora è un puntino lontanissimo. Di colpo sembra puntare verso di me... Ma a pochi metri mi vede e come spaventata batte le ali e scatta a sinistra. Ritorna con le altre, ma solo per un attimo. Adesso è quasi ferma a mezz’aria come a resistere al vento. Ma subito torna a roteare dentro l’azzurro quasi a volersi perdere nei suoi garriti e nelle sue capriole.
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Daniela Rossi PIOGGIA D’ESTATE Inebriata dal forte e pungente profumo, la terra accoglie nel suo grembo la pioggia d’estate come fosse seme di vita. Ed io che nel buio della notte l’ascolto cadere vigorosa, ne respiro la gradevole fragranza.
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Daniela Gregorini PAPÒL Zitt, zitt, papòl, c’ vurìa ch’armanét zitt, -ganàsc’ rósc’- ch’ ridìt ‘n tè sté camp d’ gran ma magg’ rufiàn. Zitt, énn arcontàt quel ch’ avét vist, énn él dit ma nisciùn ch’ i avét visti per man rivà fin maquasù, su ste muntirozz fiulìn, papòl, -gocc’ d’ sangv - sciamnàt dal sól. Mant-nét ‘l segrét dle lora confidenz, paròl dett pianìn in t’un susùrr, papòl -coralìn d’l bracialtìn- ch’ stagión nata da pòc ha scordàt ‘ntél pràd di giocarèi, dlé capriòl. Non fat l’ perciàcql, papòl d’ carta vlìna sgualcìt dal vènt e ma lu, sopratùt, énn él dìt ch’ d’ chiacchié-r n’aruffa ‘na mucchia a rutlón d’ casa in casa, per l’ stràd… Dìt ch’ nn avét vìst chél prìn basc’ cargh d’ primìzzi, énn l’avét vìst sa chi occhi neri dintórna infraganàti per l’invergógna dla prima vòlta. Tnét per vóiàltr le gióvn nuvéll, -ceràs d’n àlbr arbaltàt dal teremòt d’l còrenn disperdét clé proméss d’amór étèrn fatt sa l’ voc’ pétria e franca. Sól quànd d’ stagión n’avràn muchiàt, ‘sti téndri compàgn d’ strada, -ròsòlàcc’, focaréi d’ colór ch’àrdn, mo ‘nn brùsc’nalóra e sól ma lóra arcontàt piàn quél che savét. Fàti arnì in mènt, ‘sti momènt dolci tra mèzz a i fiór selvàtt-chi, -sémbla pintichiàta 40
‘ntla faccia d’l mond- ‘ndó princìpi ha avùt ìl ‘l lóra sentimènt. ‘Ndó cuntìnua, papòl, tènt d’infinìt. PAPAVERI Zitti, zitti, papaveri, ci vorrebbe che rimaneste zitti,/guance rosse che ridete in questo campo / di grano a maggio ruffiano. / Zitti, non raccontate quello che avete visto, / non dite a nessuno che li avete visti per mano/ arrivare fin quassù, su questo clivo ragazzino, / papaveri, gocce di sangue sciorinate dal sole./ Mantenete il segreto delle loro confidenze, / parole dette piano in un sussurro, papaveri corallini /del braccialetto che neonata stagione ha dimenticato nel prato dei giochi, delle capriole./ Non fate pettegolezzi, papaveri di carta velina / sgualciti dal vento e a lui, soprattutto, non ditelo /che chiacchiere arruffa rotolando di casa in casa nelle strade./ Dite che non avete visto quel loro primo bacio / carico di primizie, non avete visto / con quegli occhi neri di papaveri intorno arrossati / per il pudore della prima volta. / Tenete per voi le fresche carezze, /papaveri ciliegie di un albero rovesciato dal terremoto del cuore./ Non disperdete quelle promesse d’eterno amore / fatte con voci balbettanti e schiette. /Solo quando di stagioni ne avranno accumulate, / questi teneri compagni di strada, rosolacci, /focherelli di colore che ardono, ma non feriscono,/ allora raccontate loro piano quello che sapete, / fate riapparire alle loro menti , questi attimi dolci /in mezzo ai fiori selvatici, lentiggini frizzanti /sulla faccia della Terra dove principio/ ha avuto il loro affetto. /Dove continua, papaveri, sfumature d’ infinito.
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STANÒTT Svèrscia la c’vétta fra i ràm d’ fòra s’ sbàttn l’ nòttl scapciàt da la bòra in tè sta nòtt d’ istàt calàta tròpp prést, ch’ ma sta tréssa ‘nn i la fa a da’ ‘l rèst. Nuglòn brénci scancélln la luna e l’ultm stéll ardochiàl tra l’iscùr sa ‘l sguard vurìa ‘ché nó, contenti, contaiàn pròpi quéll e adè brìll i occhi ma ‘n pàr d’ giorn indrìa: ‘l sól era alt e ma la nòt enn c’ s’ pensàva, ‘n bréllarìn d’ vènt sa l’ mógn nòstr s’ badurlàva i madón, faiàn, a pél d’l mar stolzà, no’dó, chiappàti dal gust d’imparà a bascià. E squizz e zómp ‘n tè chél màr ch’era per nó frésc e pàr com la sfòia tirata tla panàra, i càmp d’ spagnìna fnàt sa la falc’nàra… un dietra a clàltr mucchi d’ giorn ardunaiàn sal sudòr tla faccia ch’ fèva nì da rida ma le gàzz e ma i pàssr ch’ spaventaiàn ora sprecàt ch’ bèlla, prò, hann fatt sta vita. Sbàtt fòrt la fnèstra dla càmbra a sta bèn, cminciàn, arparàti da l’ombra, chiòppa la gràndna tle tégl d’l tétt, mo nn c’ho paura si tu m’ strégni strétt… 42
Sa i rìffl d’l tèmp nisciùn c’ pòl fa gnènt, mo d’etèrn salvà podén scì calcò, si n’ ti occhi d’l còr stanòtt ch’ vién c’ guardàn… e ‘nn smorciànn anicò. STANOTTE Grida la civetta fra i rami , fuori,/ si agitano le nottole spettinate dalla bora /in questa notte d’estate calata troppo presto, / ch’alle torme di nubi non riesce a dare resto./ Nembi imbronciati cancellan la luna e l’ ultime stelle/ Rivederle fra i buio con lo sguardo vorrei /‘ché noi , contenti, contavam proprio quelle/ E ora giro gli occhi verso un paio di giorni addietro:/ l sole era alto e alla notte non ci si pensava, /un alito di vento con le coccole nostre si dilettava, /sassi, facevamo, a pelo d’acqua saltare,/ noi due, presi dal gusto d’imparare a baciare. /E schizzi e tuffi in quel mare/ ch’era per noi fresco e liscio /come la sfoglia tirata nella spianatoia,/ i campi d’erba medica rasati con la falce…/ uno dietro l’altro mucchi di giorni accumulavamo/ col sudore nella faccia che faceva ridere/ le gazze e i passeri che spaventavamo/ ore sprecate, quelle che bella hann fatto questa vita./ Sbatte forte la finestra nella camera/ A star bene, incominciamo, riparati dall’ombra,/picchia la grandine sulle tegole del tetto,/ma non ho paura se tu mi stringi stretto…/ con le folate del tempo nessuno può far niente,/ ma d’eterno, salvare, possiamo qualcosa,/ se negli occhi del cuore stanotte che viene/ ci guardiamo… e non spegniamo tutto.
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Daniele Tanoni COMBINAZIONE Cercava tra le scanalature dei sampietrini le briciole della pizza bianca che comprava per merenda con le duecento lire sudate e unte prese dal tavolino della cucina buia. Cercava tra le screpolature dei muri i segni incerti delle chiavi della bici i forza Alma, i ti amo Sonia incisi di fretta prima che i vigili svoltassero l’angolo distratti fieri dei loro walkie talkie. Cercava tra i visi delle ragazze del Corso gli occhi stupiti della Giulia quando scorgeva quel tipo strano ma buono che fendeva i rivoli della folla e la incrociava per caso: toh, che combinazione. FIOCCHI Prima arrivò il vento e gelò i pescatori sui moli e fini di stracciare i manifesti sul viale; poi furono i gabbiani a volare a caso come cartacce. E poi dal mare, per confortare i meteorologi arrivò la neve ruvida, ghiacciata, scomposta 44
schifita di toccare le strade e le persone, giusto un piccolo tocco con l’indice un bacino a labbra strette e poi di nuovo in aria nel vento. Solo in qualche angolo cieco, in pochi anfratti urbani tra i capanni del Lido ai piedi delle palizzate di legno alcuni fiocchi imprigionati, senza scampo, ritornavano allo stato di acqua fredda. Alle tre del pomeriggio, tuttavia, il vento cessò si sentì come prendere fiato come se il mare e il cielo trattenessero il respiro e tutti lo trattenevano appoggiando nasi e fronti sui vetri appannati e freddi aspettando l’avverarsi della profezia. Si fece nero il cielo e alla luce dei lampioni scendevano fiocchi lenti e gonfi come pensieri pigri e indolenti da domenica pomeriggio. Falcioni scostava le tende alla finestra guardava i fiocchi e ne sceglieva uno lo seguiva con gli occhi alla luce dei lampioni ma dopo un po’ lo sguardo si incrociava una ventata lo confondeva e Falcioni lo perdeva di vista come le cose migliori della vita, del resto. 45
Dino Sabatini NEVICATA DI MARZO Bella è vederla scender lentamente giù mentre stende la coltre sua perfetta, gira,rigira vertiginosamente sempre più per poi restar soffice, bianca intatta. Mentre sui brulli rami si decora lunghe candele ghiacciate son nei tetti, e a quelli verdi di nuovo li colora mentre gioiosi e felici sono quasi tutti. Saltellando qua e la va il pettirosso nel cercar qualcosa da mangiare, incurante del gelo che vien addosso che al nord di solito v’a migrare. Per magia tutto attorno è surreale il paesaggio di una favola incantato, tanto bello poi sarebbe per Natale non ora in sto Marzo appena iniziato. Anche se prima dovevi arrivare sotto il manto tuo a far dormir la messe, ma le secche falde v’a rinfrescare e per noi sempre è un grande interesse. Tutti a pensar ch’era giusto il detto dura solo dalla sera alla mattina, non s’è avverato quest’anno il fatto ora della neve sempre marzolina. Per uscire ci siam noi messi a spalare nella bufera e sempre nel tormento, mentre i ragazzi sono fuori a giocare gioiosi, felici nel gran divertimento. Freddi un po’ imbronciati son i giorni del sole la neve candida ha paura, ora e sempre lei amante è degli inverni ma questo è il gioco della natura. 46
Jessica Grigioni COM’ È IL MONDO LAGGIÙ? A volte mi chiedo se il mio angelo custode mi abbia mai guardato da Lassù. Se da quel Mondo candido, luminoso, abbia mai pensato alla creatura che Dio gli aveva affidato. Quella creatura che, sola, nella sua stanza piangeva, piangeva lacrime amare come il cuore di chi le aveva volute provocare. A volte mi chiedo se il mio angelo custode mi abbia mai guardato da Lassù. Se da quel Mondo freddo, buio, abbia mai pensato alla creatura che Dio gli aveva affidato. Quella creatura che, ora, riposa Lassù, nel modo di chi, oggi, non c’è più.
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Elvio Grilli J’UDÓR DLA FÈSTA M’arcòrd che da fiulìn ti giórne d’fèsta ala matina prèst, tra l’imbra e l’ambra m’arivèva da de dlà fina tla cambra chi udór che me chiapèvne còr e testa! Dala cucìna … niva su chél prufumìn che fà el cundìt … e pu cl’udór d’aròst tra i sóğn e ‘l dormiveglia dèva gust ... e m’armeteva mèj … sópra el cuscìn! E ti ricórd … j’udór dla ròba bòna, dle tajatèl a man de mama mia … del riturnèl … dla vóč che sempre intòna cla canśuncìna, cum na sinfunìa … del campanón … din dòn, che a fèsta sòna … me fan n’ impàst … intrìs de nustalgìa !!
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GLI ODORI DELLA FESTA Mi ricordo che da bambino nei giorni di festa alla mattina presto, sul far del giorno m’arrivavano da di là fino alla camera quegli odori che mi prendevano cuore e testa ! Dalla cucina … arrivava quel profumino che fa il condito … e poi quell’odore d’arrosto tra i sogni ed il dormiveglia mi faceva piacere … e mi risistemavo meglio … sopra il cuscino! E nei ricordi … gli odori delle cose buone, delle tagliatelle fatte a mano di mia madre … del ritornello … della voce che cantava sempre quella canzoncina, come una sinfonia … del campanone … din dòn, che suonava a festa … mi fanno un impasto … intriso di nostalgia !
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ME MANCA ’L CIÒC ! Tramèśa chél bagìn tèl pién dl’invèrne quànd gela che …’l respìr dvènta vapór, el mònd è griğ, sal gél dle galavèrne e aspèta un rağ de sól che scalda el còr! Tàca la név sal vènt de burburèna sópra i tét di palàs in tla cità … bùfa piàn piàn e tut s’imbiancarà … e intànt fuma un camìn … giù vers la pièna! Dala fnèstra del tèrś piàn, tl’apartamènt sal cald mudèrne di termusifón el ciòc dentra’l camìn m’arvién in mènt … l’udór del léğn che brùscia … l’emuśión del fòc che va, schiupéta e fa i lamént … o quànd cóva piàn piàn sóta i bastón ! Me manca ‘l ciòc … me vién la nustalgìa per el camin, el fòc e … cla magìa !
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MI MANCA IL CIOCCO ! Con i venti freddi, in pieno inverno quando gela che anche il respiro diventa vapore, il mondo è grigio, con l’aria delle galaverne ed aspetta un raggio di sole che riscaldi il cuore! Attacca subito la neve col vento del nord sopra i tetti dei palazzi di città … nevica piano piano e tutto imbiancherà … mentre un camino sta fumando … giù nella vallata! Dalla finestra del terzo piano, nell’appartamento, con il caldo moderno dei termosifoni mi ritorna in mente il “Ciocco” dentro il camino … l’odore del legno che brucia … l’emozione del fuoco che va, che schioppetta e fa i lamenti … oppure quando cova piano piano sotto la brace! Mi manca il “Ciocco” … mi prende la nostalgia per il camino, il fuoco e … per quella magìa !
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Erika Renzi PENSIERI NOTTURNI E’ notte si spegne la luce sulla giornata finita piena di storie infinite. Pensieri, non trovano pace bussano alle porte e la notte non riesce a coccolarci come si deve. Gli occhi si schiudono ai ricordi, scorrono le ore i sorrisi, le parole sguardi che fanno rumore voci, girano in testa grida nascoste dentro silenzi che tolgono il fiato.
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PENSIERI SUL TEMPO Non si misura il tempo camminiamo a testa bassa e non vediamo la sua fretta. Fioriscono i ciliegi il sole si infuoca foglie, colorano le strade e all’improvviso arriva la quiete, neve! Corrono senza tregua le stagioni passano cambiando la luce negli sguardi. Increduli, ci lasciano fermi ad aspettare di vedere da lontano una nuova luce.
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Francesca Costantini ORA Fermati ora: che il tempo può aspettare Appoggia lÏ, la tua corazza vicino alla mia maschera Siediti qui accanto al mio silenzio Ricordami chi son stata allora nel frattempo che scopro chi sei diventata tu Ascolta il canto dei tuoi sogni mentre io riabbraccio i miei Accarezza le mie ferite intanto che sorrido alle tue insicurezze Respira la mia anima e lascia ch’io benedica la tua.
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Ecco, amica mia: siamo pronte a seguirle finalmente ed incamminarci verso dove da sempre, loro vogliono condurci Andiamo ora: che il tempo ci ha aspettate a sufficienza.
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Franco Patonico POESIE SUI MURI DI LEIDA (Gedichten op Muren) Un grande libro regge case e palazzi al centro di Leida. Vagando di strada in strada per altre vedute, osservo quelle pareti, sorpreso e rapito. La città mi prende per mano e mi accompagna alla scoperta di quegli edifici ingentiliti dalla poesia. Rileggo i versi di Orazio, del nostro Montale e più avanti un sonetto di Shakespeare. Ovunque respiro quell’arte diffusa progettata per il solo piacere della lettura. E mi sorprende come l’incontro d’un caro amico, inaspettato. È strano, quel luogo ameno mi sembra di averlo già visitato. 56
SE TU UOMO… SE TU DONNA. Or quando l’amore patisce e un tarlo ti rode da dentro, inefficace è l’anticorpo contro la tua sconsideratezza. Nemmeno l’ombra ti vuol seguire quando cerchi dei falsi motivi e cresce quel cruccio impastato nella melma di un pregiudizio. E tu donna sei forza indiscussa, ma non battagliare da sola; dovrai denunciar la molestia, l’insistenza di chi ne fa spola. Io vorrei armarti la mano con l’arma che non uccide. Ah, potessi riempirti il cuore di consapevole determinazione! Abbandona paure ed indugi, e barattali con il coraggio; poi sciogli quel nodo alla gola, quel silenzio che non ti consola. E tu, mio simile in genere, guarda in alto, sopra i tuoi dubbi, forse trovi nel disegno degli astri l’indizio di chi ha donato la vita. Tu non puoi guarirti da solo spogliati e presentati nudo per bruciare quei panni da orco che vestono il tuo animo crudo.
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Giuseppe Mandia I SUONI DELLE MIE STAGIONI Mi cattura un senso d’autunno, forse d’inverno, un ricordo che vorrebbe essere suono leggero di castagne allegre, uva, figurine di pane e coriandoli dolci di panna e amarene; un’anima di vento che potrebbe spannare le note sottili di quella corte affettuosa al mulino del presente celata feconda armonia di scoperte, parole, volti, visuali impaludati o dispersi in un tempo da nulla. Ma non suona più la fisarmonica vissuta da mio padre la paura delle mie mani bambine tra ciliegie prese al di là del cancello; il vigore sano di quel fiume che spumava sui sassi rassicuranti e il capriccio biancazzurro dei fiori a inventare incroci di candore e bellezza. Qui è ora di profili arroccati tra prospettive straniere, di gomiti e minuti invisi alle stelle come i miei sogni indistinti granelli nelle panie di un sordo cammino. Ci sono accordi sbagliati nello spartito del mio destino che reca nostalgie e assenze all’ultim’ora del giorno sotto un cielo che risuona, quasi estremo. La sera smaglia l’ultima sua voce. S’incantuccia il mio respiro e chiama compagnia. Ritrova la speranza in prossime stagioni sulla battigia del penultimo pensiero. 58
SE LA TUA VITA FOSSE STATA UN FILM (a mio fratello) Avrei chiamato Mediterraneo il mare danzante che leggevo nei tuoi occhi per non farli annegare così presto in quell’infimo astuto stagno che è il dolore. Avrei risparmiato ai miei occhi la sedia immobile che era la tua schiena che poco prima s’inarcava e libera ammirava La sedia della felicità. Di Un amore mi raccontavi definendolo bambino perché aveva avuto parole tanto lievi da non poterle fermare sull’abbecedario dei tuoi giorni sfrenati. Poi tutto si era rappreso e ancora allungato nella dimensione folle del male che non sapevi come chiamare. Potrei provare io apprendista di sogni e fratellanza a inseguire per te definizioni e spiegazioni oramai prive di anima e cuore; o a rintracciare quel velocista inesorabile che solcava la pista dei tuoi polmoni. Mi viene però di pensare a quanto avremmo potuto ancora parlare, gioire, sperare e finanche correre verso quel Puerto Escondido cui tanto anelavi; e invece son qui in questo tralcio solingo d’autunno ancora a cercarti mentre buia e immota rimane La finestra di fronte.
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Ida Palombo LIBERTÀ Libertà: bellissima giovane donna indimenticabile al tuo passaggio e con le calze rotte dal tempo. Sul tuo vestito di sposa un cuore tatuato con il sangue dei combattenti e dei martiri. Libertà: misteriosa e accattivante, velata di giustizia e armata di verità… vestita di bianca, eterna bellezza. Libertà: circondata di anime belle, invisibili e luminose fiammelle, coronata del fuoco e della luce del sole. Libertà: la tempesta ti scuote ma non ti spezza… come l’antica sequoia. La pioggia ti lava ma non ti bagna: non marcisce in te nessun sentimento umano vero, perché sei fedele. Libertà: se potessi esprimere un desiderio ti vorrei come unica amica nella mia solitudine che senza di te provo infinita.
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PER NON DIMENTICARE Per non dimenticare… Qualcuno ha pensato di attraversare la porta del tempo della memoria. La storia è una porta sigillata per chi non conosce amore. Avrei voluto volare oltre il tuo ricordo, vagare nel mare delle tue lacrime e camminare oltre le vene del tuo dolore. Ora è tutto crollato ed è difficile farmi spazio in te, come attraverso un labirinto di pensieri ed emozioni, in cui non sento più la tua voce, il calore del tuo respiro, ma posso solo immaginare. I ricordi sono fotografie strappate bruciate dal fuoco sfocate dagli anni e dai rimpianti. Salendo quelle scale a chiocciola ridevamo insieme. Ma ciò che più ricordo è il tuo sorriso che mi ha consolata quando credevo di esser rimasta sola: quel sorriso che non mi ha mai più abbandonata.
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Laura Longarini DONNA Donna splendida creatura travolgente per natura convinta che dietro ogni temporale ci sarà sempre uno splendido sole certa che dietro ogni freddo inverno fremerà sempre una calda primavera sicura che di fronte un mondo che traballa lei volerà libera e leggera come una farfalla e se Dio le ha donato un coraggio da leone è perché dopo ogni piccola o grande delusione saprà affacciarsi col sorriso da quel “suo grande e splendido balcone”. Quel suo balcone che è la sua casa, la sua famiglia e niente di più prezioso fa di lei tale meraviglia. Da lì potrà ammirare un tramonto caldo ed avvolgente certa che nulla mai potrà scalfire quel suo cuore ardente. Donna colei che se il mare in burrasca la travolge e la strabiglia percorrerà migliaia di chilometri sotto forma di conchiglia.
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Laura Marchetti PER IL CORSO Io penso che mia madre se dovesse tornare sotto i portici del corso Correrebbe ancora A comprare questo e quello Le scarpe comode da Ioni o da Marconi La stoffa per quel vestito Che la sarta del paese copiava dalla Vestro E noi tre sorelle come i tre porcellini O qui Quo qua vestite uguali Una bionda una castana (io) e una mora Che la gente ti fermava e ti dava il Pizzicotto (che male!) Sulla guancia E ti chiedevano il nome Oggi no....lo puoi gridare al vento Che non torna I l bar Carlo non lo muove il tempo Un bagno x fare la pipÏ La scusa per un caffè e una pizza E sotto i portici io giocavo a non pestare Le righe Una Delle mie tante fissazioni Che mi fanno oggi camminare indietro O parlare al contrario Andare contro corrente per risalire Il fiume Ma sono convinta che pur correndo avanti In quella fretta di andare Mia madre si sarebbe fermata Come quando dimenticava qualcosa E si toccava le tasche E rovesciava la borsa Ed era smarrita 64
Ed io avevo paura di perderla A sottolineare con un sorriso Il bello Come quando si truccava gli occhi LE RONDINI Hanno già preso il treno che le porta al mare Pallide resistono a un vento che le spinge indietro Vorrei dare l’indirizzo di casa mia Mentre i miei occhi gridano MI SIETE MANCATE! Le rondini che tornavano al paese Erano quegli emigranti col vestito Della festa E riempivano le case lasciate vuote Dagli inverni Un mettere un levare Che musica la nostalgia... Ce n’era una davanti alla finestra della cucina Un nido sotto il terrazzo di Bastiano E mia madre gridava la prima volta Come una bambina Che è tanto che non vede il mare E noi correvamo E ci spingevamo su Lo spettacolo si apriva davanti a due tendine Che il vento muoveva E trattenevo il fiato Per non farlo sparire La prima poesia.... La scrissi a piedi nudi In piedi sulla sedia di casa mia Il primo tatuaggio che non va più via
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Lorenzo Spurio AUSCULTI IL TEMPO CHE PRECEDE (Ad Antonia Pozzi) Non chiedere crisantemi ora che abbracci l’invisibile; le rose stingono la solitudine la noia è trafitta da spine. Quando il giorno è tinto di notte la campagna assiste agli accadimenti più crudeli. Quante falene opacizzano l’aria mentre la stella più luminosa di colpo digrigna i denti. Mi figuro quando cercavi la nutrita polpa del vuoto e vivevi di macigni e negazioni, di quando la borragine in una pozza d’acqua marciva tossendo sfinita. Guardo le tue forti radici che svettano in vortici d’aria, abbracci i torti corpi proibiti e le pervinche, fisse, a guardare attonite i cicli interrotti. Combatti gli occhi persi e le smunte spalle d’avorio con lo scibile più profondo. Se parli di te, confessi il lutto di giornate abiurate alla gioia. Il nulla odora di grigio ma illumina aneliti di fuga quando, severa, compi la scelta della terra.
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NELLA MAGNOLIA A Federico Garcia Lorca nell’ottantesimo anniversario della sua scomparsa Non delle acuminate folgori il colore ma dei campi secchi, lucidi d’oro slavati dal disprezzo alla vita ora stinti e deformati dalla noia. Non delle urla straziate il suono, ruggente e inverecondo ma dello scartocciar della foglia del grillo che cerca la mimesi. Non il lezzo pesto dell’asfissia ma dell’acerbo nettare di zagare leggiadre e di lune che si spogliano timide alla notte. Neppure l’oltraggio del trascinio ma le carezze ricambiate dai nardi le felci brulicanti a proteggere e le untuose bacche di ginepro. Non la poltiglia di odi nel cavo orale ma i succhi di mirto e agave le essenze di alloro e il pane fragrante della vita di attimi. Quando sfioro il viola acceso che tinge il bianco estasiante nella magnolia, parlo con te.
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Lucia Marchetti A URBINO Tira sempre il vento forte quassù Tutto ti lega al passato in Urbino Fosse quella poesia del Pascoli Da recitare ad alta voce davanti Alla città che ride guardando il carpegna Con lo zucchero della neve E medita sulle Cesane Qualcosa di vero E soffia sul campanile del Duomo Spettinando chi passa Che sa che non sa che chiede Dove il palazzo Ducale ha quella sede Giovane è ogni strada che si Insinua in girotondi in salite e discese Un arrampicarsi al braccio cortese Di Urbino Che spiega Che dà
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IL PERDONO DI UN PADRE mi faceva dormire perché sapevo che se chiudevo gli occhi lui mi avrebbe aiutato a riaprirli il perdono di mio padre piccava di barba appena cresciuta da tagliare davanti allo specchio col rasoio elettrico e l’acqua velva che profumava di buono il perdono di mio padre mi faceva scalare la sua vetta perché lì lo raggiungevo dove piantavo la bandiera di un bacio e se fosse stata anche una croce ma per dire grazie anche stavolta mi hai salvato il perdono di mio padre era gigante ed io bambina il perdono di mio padre veniva da lontano perché era quel perdono che avrebbe voluto anche per sé
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Marco Polidori TUTTO È “VITA” Ho visto occhi cosi’ malinconici da far sembrare temporali semplici lacrime, ho visto il tremolio delle mani di uomini e donne far cadere a terra l’amore che sopra v’era appoggiato, ho visto gente senza pace inseguire fasulli aquiloni e farsi inghiottire dalle fauci spalancate di plumbei orizzonti, ho visto un fiore sfamare un’ape e colorare un’ombra, l’ho visto profumare il tempo e saziare centomila narici curiose...poi, l’ho visto morire in un dignitoso silenzio solitario... come un gatto sfinito tra le ragnatele umide dello scantinato. Ho visto, braccia fortissime cedere al peso della vita, ne ho viste altre, glabre e senza muscoli, sollevare mari e mondi interi. Ho visto, animali comportarsi da uomini e ho visto uomini farsi bestie, ho visto monete di lune diventare abatjour e file di stelle in cielo come lanterne accese sul molo. Ho respirato il sole calmo dell’aurora, ho giocato con quello spensierato del meriggio, ed ora...saluto quello rosso che stanco si tuffa dietro antenne e colline. Ho visto...ho respirato, mi sono emozionato ...per tutta la magia che incredibilmente ...ogni santo giorno ci regala il creato.
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PENULTIMA FERMATA Tre vecchi, sei mani macchiate e un’epifania di rughe sedute su una panchina grigia di un parco verde... tre vecchi, dentro una quiete fragile, immobile... certamente stanca ormai. Cravatte lunghe sui colli corti, occhiali larghi sui nasi fini, che leggono epitaffi funerari di amici stesi nelle bare ma dritti ancora nelle foto dei manifesti in bianco e nero...lo fanno per celebrare d’essere vivi, lo fanno per giocare ancora a briscola e bere ancora un po’ di vino...e sentirsi fortunati... d’innanzi quegli amici ormai perennemente coricati. Tre vecchi, sei occhi socchiusi tra la nebbia dello stesso orizzonte, stessi bei ricordi, stessi scapestrati danni...stesse bianchissime dentiere. Tre vecchi, una panchina grigia dentro un parco verde...sei mani macchiate e tremolanti che stringono quel che resta della vita...senza farsi vedere dalla morte...e dai passanti.
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Marco Squarcia IL BIVIO DELLA VITA Guardo mio nonno respirare affannoso, sento la sua anima volare via, leggera. Percepisco fiori di essenza che riempiono l’aria, gli sono accanto e gli tengo la mano, è fredda, sena vita. Intorno ascolto lacrime e singhiozzi, io non ci riesco, non voglio. Niente è finito, tutto comincia. E’ un ciclo, è una reale scelta involontaria, non siamo noi a decidere, non siamo noi i maestri. E’ solo un bivio, quello della vita.
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LENTO Mi avvicino silenziosamente, lascio scontrare il mio sguardo, con il suo corpo. Leggo guardando fuori, una timida perplessità d’animo. Ora ecco cadere qualcosa dinanzi a me, lento, soave, celestiale. Va’ come il vento, lo accompagna, mentre io mi consolo da solo. Gli occhi cominciano a gonfiarsi, mentre quell’oggetto scende sempre di più. Malinconia.
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Maria Grazia Boccolini ULISSE L’ APPRODO A ITACA Quando al mattino mi svegliai gli occhi e le palpebre erano appiccicati come resina e l’acqua, mista a sabbia lambiva flessuosa sulle ciglia. La mia bocca, arsa e gonfia conteneva ghiaia e sabbia. tutto il corpo infreddolito e seminudo allungato sulla riva. Le onde frugavano i miei piedi e le caviglie. Il freddo e la nebbia di mattina, non permettevano tregua. Forse qualche gabbiano, impietosito dal mio stato, mi sussurrava qualcosa all’ orecchio. Sentivo odore di catrame e sale, ma ero vivo ancora. Ancora quel freddo pungente che mi entrava nelle ossa. Che fare ora. Se le forze mi avessero aiutato, mi sarei alzato, ma non potevo. 74
Le gambe, pietrificate e legnose, mi sembravano una spugna intrisa d’ acqua e sale. Quindi, ascoltai, per qualche attimo solo, il suono delle ondine che frusciavano sui piedi, freddi, tanto freddi. Qualcosa si avvicinò a me ma non fui in grado di distinguere, vedevo solo malamente , qualche impronta di gabbiano. Forse ero ancora io, il Prode, Ulisse, il forte, il grande, che ora si trovava squamato e gonfio come un pesce morto, in un posto a me e ahime’, sconosciuto e marcio. Motto il mare d’inverno
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TEMPESTOSO Vento circolare, veloce, impetuoso, potente, Vento da Nord. Gabbiani e foglie, girano intorno, come una giostra, lo sfondo grigio, lontano, lo scuro, febbricitante, vortice, infuria e risucchia, la sua ira, espirando, adirato , dalla oppressione, del caldo cielo d ‘estate.
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Mauro Berti PIOVE !! Piove !! Piove sui Tetti. Piove !!
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Maria Pia Silvestrini POESIA Il borgo si accende riannoda i fili della sua storia. Personaggi, episodi e vicende parlano di mare e di campagna. Tasselli di un mosaico che si ricompone nel tempo. Testimoni preziosi di una vita che scorre nelle nostre vene. Un passato che consegna al presente smemorato la sua identitĂ . Narrazione profonda la poesia che custodisce preziosi tesori e li salva dalle insidie del tempo.
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VOCI MEMORE Cuori pulsanti fra gli Appennini, cammei cesellati da mani sapienti, schegge di luci fra boschi odorosi. Dal boato crolli e macerie, tessere impazzite di un mosaico prezioso. Cumuli di rovine le linee forti di un disegno secolare. Dal lenzuolo di neve voci soffocate, greve è il silenzio. Ma la Sibilla solenne vigila. Dall’incontenibile dolore il respiro profondo della speranza. La rinascita.
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Martina Mucciariello E IL TRAMONTO E il Tramonto ci insegue speranzoso lungo le strade di dolore lungo le strade del sogno e dell’amore. E, talvolta, preoccupati per la vastità dell’universo, semplicemente, viviamo.
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NOI SIAMO I SOGNATORI. Noi siamo i Sognatori. Viviamo ovattati in un’estasi eternamente imperfetta Ci scateniamo come menadi danzanti Ci libriamo tra desiderio e speranza difendendo le nostre ali dai denti affilati dell’oscuro mondo. Ritmi veloci lente fermate nebbiose. Il sangue continua a scorrere ma le lacrime sono sintomo di sentimento. Non arrendiamoci a questa pesante soffocante divorante corruzione dell’anima. Tutti lo sanno, la morale è in agonia.
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Mauro Barbetti PADRE Sei del sasso a fine corsa il fermo transito che è stato vicenda che non dà misura di traiettoria occorsa o distanza ma di quel niente che perdura alla vita quotidiana diradandoti in un nome stretto al fiato in lontananza.
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SUL LAGO Passano istanti vetrosi su questo lato d’Appennino silenziosi attraversano liquide distese tra paese e paese rimano una vita tranquilla che produce e non travolge che non urla né squilla seduce per quel po’ che rimane l’immagine di un tramonto verso faville di luce lontane a margine di lago.
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Michela Santini MAREA Ecco scintilla Cresce monta e si fa tempesta. Energia che non potrĂ frenare mai. Fuori sembra sotto controllo sa celarsi e aspettare. Poi divampa e dirompente irrompe nello spazio circostante che vibra intenso. Marea improvvisa sconvolge con violenza. Scavalca scogli e immensa si dirige sulla spiaggia. Non trova altri ostacoli e placida e soddisfatta si placa. Come brace ancora ardente si riposa su morbide radure in attesa di nuovi lampi.
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Nicola Zarri SOLO TU “La strada è tortuosa gli ostacoli sembrano alleati ma esiste un forza suprema dove strade ed ostacoli non hanno motivo ascoltati e guardati quella forza sei tuâ€?
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Michela Tombi ALLE MARCHE La mia terra e' fatta di tante terre in una. Piccola sulla carta, tanto vasta nella sua anima antica. La sua campagna e' una sposa timida, modesta, inconsapevole della sua bellezza. I romantici colli, la sua splendida corona. E' vestita di un verde che travolge, che fa perdere.. Mentre mi perdo, ritrovo me stessa all'ombra di un gigante buono, amorevole, i suoi rami sono braccia paterne. Assaporo un frutto.. Com'e' generosa la mia terra, com'e' dolce questa sposa. Nei borghi, i gatti mi fanno da guida. Le persone, poche e silenziose, mi donano la loro saggezza cangiante. Sguardi trasparenti e diretti al posto di vuote parole. Un sorriso autentico, il saluto piu' sincero. Questa e' la mia terra, questa e' la mia pace. 86
CREATURE INDOMITE Sono guerriera dei sogni, la parola e' la mia spada, la speranza il mio scudo. Viaggio sui cavalli della mia fantasia, siamo creature indomite. Non portiamo stendardi, la liberta' e' la nostra bandiera. Mi dissocio dallo stile di vita superficiale e crudele che regna sovrano. Vivo sul confine. Oscillo fra luce e tenebre in un equilibrio imperfetto ma vero. Afferro la vita che e' sempre dono, che e' sempre libero volo. Sulle ali di un pensiero triste scrivo questi versi. La poesia mi porta lontana dal male, piu' vicina al bene. Nel mio cuore cresce un piccolo seme. Ho piantato armonia, fiorira' la pace.
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Ombretta Mariotti LA FINALE DEL MONDIALE Sono Andrea, ho undici anni, farò il portiere in nazionale che l’Italia tra i suoi affanni, renderò orgogliosa di tifare. Sogno il calcio sin da neonato, tra i piedi ho sempre un pallone che so bene d’esser fortunato a coltivare questa mia passione. Ho negli occhi una brutta scena, di un ragazzino della mia età che ha la voglia ma più non s’allena: è la guerra a giocar senza pietà. Ma lui corre come alla partita quando quelle palle scendono laggiù! Che è vera corsa, è impazzita: al campo da calcio non ci pensa più. Vedo il male vincere facile, giocare libero senza difesa che avanza in porta, a missile, nessun contrattacco: solo la resa. Le due curve zitte e impietrite, l’arbitro fermo lì a guardare che l’ammonizioni ha abolite, solo un sogno io sento gridare: “Sono Abdul e ho undici anni, farò il portiere in nazionale 88
che la Siria tra i suoi affanni, renderò orgogliosa di tifare.” E saremo i nuovi capitani, un unico inno intoneremo che riscriverà il nostro domani: il male insieme distruggeremo. Infine lo scambio della maglietta: sì, la speranza avrà trionfato! Che giocheremo pure in trasferta, nel campo alla vita dedicato. Forza! Scendi in campo umanità! Non ti serve una convocazione! Che puoi fermare questa crudeltà, se ritrovi la tua motivazione. Dai! Scendi in campo umanità! Marca, dribbla senza esitazione! Che puoi riscattar dall’oscurità, scrivendo la storia con un pallone. Presto! Scendi in campo umanità! Fai fare autogol al tuo rivale! Che vincerem ai calci di rigore, alla vera finale del Mondiale. Sono Andrea e presto la voce al sogno di Abdul che sta lontano, che sento gridar ancora in croce e chieder aiuto al capitano.
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Orietta Palanca UN BACIO (l’ultimo?) Le mie labbra. Baciale ancora. Sono un caldo abbraccio per la tua bocca. Non sfiorarle solo. Sii gentilmente prepotente come tu sai fare. Io e te senza respiro gli occhi persi nei tuoi, passione e vergogna per questo nettare rubato. Ingoio con te alchimiche essenze. Null’altro tra di noi senza illusioni o delusioni. Ti mordo le labbra mi bevi l’anima. Se è l’ultimo bacio ... che sia infinito come questa brevissima e interminabile notte. Shhh 4.33
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BRIVIDI Cavalli impazziti, arrivano nel cuore della notte. Si rincorrono imbizzarriti... sono I pensieri di te , di me . La tua bocca mi scrive sulla pelle. I brividi ti rispondono. Un bacio, un altro e un altro ancora. I miei pensieri non ti lasciano andare... accarezzano le tue insicurezze , ti fanno accoccolare nelle pieghe della mia anima. Li sarai al sicuro, sarà il tuo rifugio. Non ti chiederò mai un perchè... io sarò l amante da amare...senza amore . Shhh. 4.33
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Patrizia Mencarelli ABBAGLI cogliere a primavera -vento in frontefasci flessuosi di lupino legare a doppio filo d’erba papaveri fiordalisi grano unire margherite in lungo serto forgiare pendenti di ciliegie avere cuore pieno, sogni in fermento e non capire che l’aspro delle mandorle precoci l’amaro dell’etereo biancospino sono assaggi
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LA STRADA MAESTRA che giusta appariva alla meta deviò impazzita fra i monti sparì nel fitto dei boschi sfiorò le cime, i dirupi finché rinsavita in discesa rientrò nella via verso casa allora fui conscia di quanta Bellezza si trova talvolta perdendosi
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Patrizia Pierandrei REALIZZARE LA VITA Non basta sognare la vita, meditando sul da farsi o cullandosi nei pensieri di un giorno passato, che non ha avuto buoni sentieri. Realizzare i propri desideri, per essere se stessi e diventare ciò che si vorrebbe essere, per vivere pienamente le proprie credenze. E’ più importante avere uno scopo da portare avanti, invece che trascinare l’esistenza tra tanti se o ma, tra molti dubbi ed angosce, che ci inibiscono ad uno stato strisciante e ad un incosciente moto agognante. La vita va vissuta a piene mani, gettandosi con tutta l’anima nei sentimenti, che ci emozionano e ci danno la gioia di sentire le viscere suonare come tamburelli e sonagli tintinnanti. Basta un piccolo accenno per un passaggio, che ci regalerà molto coraggio, per iniziare dal principio un vero gusto di convivio.
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RICORDI Nella giornata annoiati dal solito routine affiorano alla memoria i ricordi della nostra infanzia, che ci ha lasciato in sospeso i desideri da bambini. Gli amori e le passioni ci affollano di pensieri variopinti dell’arcobaleno, apparso dopo una tempesta, che poi è subito scomparso dietro le nubi scure del temporale. Come quando si sperava nella vera pace, ancora oggi il ricordo di quel giorno felice ci appare nitido in mente, portandoci uno spiraglio di luce, dopo una notte buia e tormentata. Siamo sempre in attesa di quell’attimo, che ci faccia accendere la scintilla e ci dia la luce della speranza, per aprire le porte della prima storia. Siamo ancora attenti nell’immagine di quel volto illuminato, che ci renda il conforto, per un ritorno sperato. Siamo al contrario di un’età avanzata, ma la nostra fede non ci sconfigge, nella speranza di riabbracciare la vita, che ci ha creato con gioia gradita.
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Piergiorgio Paoli AMICO È facile allontanarsi sai se anche lui come te ha i suoi guai Ma quando avrai bisogno sarà qui perché un amico è così Non chiederà né il nome né il perché ti ascolterà e si batterà per te E poi tranquillo lui ti sorriderà un amico così mai ti lascerà E ricordati che finché tu vivrai se hai un amico così non ti perderai mai In strade sbagliate percorse da chi nella vita non ha un amico non ha un amico così Non ha bisogno di parole mai con uno sguardo solo capirai perché dopo un no Lui ti dirà di sì perché un un amico vero è fatto fatto così E ricordati che finché tu vivrai sempre al tuo fianco lo troverai Vicino a te mai stanco perché un amico è la cosa più bella che c’è Ricordati che fin quando vivrai se un amico è con te non tradirlo mai È il compagno di viaggio più grande che hai un amico è una cosa che non muore mai..
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DEDICATA Dedicata a da tutti coloro che amano la vita dedicata a tutti quelli che amano la verità Dedicata a tutti quelli che stanno male Dedicato a tutti quelli che stanno bene ma pensano di stare male Dedicato a tutti quelli che la mattina si alzano e non possono vedere il mare Dedicato anche quelli che il mare lo possono vedere però non lo fanno Dedicato a tutti quelli che pensano di essere più furbi degli altri Dedicata anche gli altri che invece sono più furbi ma non lo dicono Dedicata a tutta la gente che non può girare il mondo Dedicata anche a tutti quelli che non meriterebbero di girare il mondo Ma lo fanno solo perché sono pieni di soldi Dedicata a tutta la gente che soldi non ne ha ma è piena di dignità Dedicata a tutti i miei amici che vorrei vedere tutti i giorni felici Dedicata anche a chi qui non c’è più ma ci guarda da lassù E perché no dedicato anche a me che amo il mare è sempre a bagno vorrei restare.....
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Piergiovanni Vitalini IDRO MITILOGICO Figlio dell’energia dell’Universo! Scorso DNA univoco. 12 marzo 2212, l’acqua è l’oro trasparente, che ammira lo sguardo femminile. 2212 Roma coperta da una cupola di energia per proteggerla dalla morte che il potere del tempo, inesorabile la condanna! Idro mitilogico ami la femminilità dell’acqua, ormai il tuo valore è inestimabile per la vita! La nascita della prole per il futuro ormai benemerito solo per la saggezza del profeta! Rumori e musiche si confondono nel caos cosmico. Arte bellezza e degrado si impastano di tempo imperfetto! Rischio di capire cosa è la verità, questo è terribilmente sconvolgente! Le forze mie alleate, non so, capire i vostri segreti è pericoloso? Capire i vostri segreti è incredibile! Buio stelle spazio tempo immagini potere magia trasferimento! Idro mitologico, namilico, sulle onde vitali di un serpente beniamino del re del sole, brama diventare dio. Piero Forza Giovane, il pensatore artista guerriero armato di parole, iniziata a Roma e finita a Calcinelli il 09/03/2018 ore 22.50.
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SOGNATA GUERRA! Siamo in guerra, paradossalmente non vediamo il nostro nemico, non conosciamo il nostro nemico, che ci spara con cannoni di bombe al napalm. Siamo in sanguinosa guerra e pensiamo di vivere senza combattere. Siamo in guerra e armiamo i nostri figli di false speranze. Siamo in guerra e dormiamo con le porte aperte. Siamo in sanguinosa guerra, e mandiamo i nostri figli a imbrattarsi di multimedialità. Il sole improvvisamente sognato si clona in due, poi tre sole, il cielo è pervaso da una cupola di lampi nel ultimo giorno, un boato infernale mi scaraventa a terra, mi sveglio fortunatamente. Una figura nera alta in cappotto lungo nero mi aggredisce di parole, sognata, rispondo tu sei molto peggio di me! Un nero meteorite o un messaggio? Sognata guerra! Sognata verità! Sognata giustizia! Sognata amicizia! Sognata pace! Sognata guerra! Quale carta calerà il comando del destino? Piero Forza Giovane, il pensatore artista guerriero armato di parole, finita a Trebaseleghe, il 06/03/2018 ore 01.43.
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Roberta Del Prete CUORE DI CONCHIGLIA Vorrei tuffarmi nelle tue acque chiare, vestirmi del tuo fresco azzurro, e sentire la carezza delle mani, dalla forza antica, cullarmi con leggerezza. Mi condurrai oltre il visibile, i miei occhi vedranno isole inesplorate. Mi poserai sulla spiaggia dorata e con le tue onde accarezzerai dolcemente la mia pelle e i pensieri. Il mio cuore di conchiglia si schiuderà ed io ti donerò la perla del mio infinito amore.
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PANNI ALLA FINESTRA Ho steso i panni alla finestra. Ho appeso i miei ricordi ad asciugare al sole… Li guardo, uno ad uno colorati, immobili, inanimati… Ora che il vento tace, tutto è fermo. Minute gocciole scintillano, fra trame colorate di vita. Respirano accese le emozioni non si arrendono, né si rassegnano a spegnersi… Sono lacrime silenziose, un distillato di rosa fra le pieghe del cuore e un’essenza di vaniglia sulle labbra. I minuti, le ore passano… Le mie lacrime, ora, leggere nuvole trasparenti, sono aquiloni che il vento rapido porta via con sé. Nell’anima, solo inerti e muti grovigli di fili spezzati. Ho steso i panni alla finestra. Ho messo il mio dolore ad asciugare al sole.
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Roberta Fava SOSPENSIONE Decontestualizzando dalle sfere della nostra identità da questo pugno d’anni trascorsi dalla materia che ci incatena rimaniamo solo io e tu, non noi. L’una di fronte all’altro, uno sguardo originale che è non il primo datoti da innamorata. Ti guardo percependo già lo svanire di questa sospensione tentando di prolungarla di un istante ancora. Un istante ancora, ti prego… E’ bellissimo. Vibro di una poliedrica mescolanza di emozioni che mi calamitano a te. Vorrei avvicinarmi sentire il calore e l’odore della tua pelle, una nuova prima volta che non può replicare la prima volta. Sfioro l’essenza di noi.
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2:23 Mi prendi la mano e mi elevo come piuma sorpresa da un’aria attesa sospesa mi abbandono alla dolce poesia delle tue labbra dondolo ebbra nella brezza di questo sogno.
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Roberta Tittarelli ROBERTA Tu sei bella e rara come una rosa di Maggio che sboccia solo quando è primavera e profuma nel mio cuore
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SE FOSSI...UN AQUILOTTO Se fossi un aquilotto volerei nel cielo non solo con il pensiero alla scoperta del mondo intero dalle montagne alle colline alla scoperta della isole coralline Ecco il sogno di un aquilotto che non ha ancora imparato a volare ma che ha tanta voglia di viaggiare
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Roberto Guiducci MIGRANTI sgambetti al confine angheria
MOTOROLA ho scritto una poesiola ti ricordi il motorola il telefono che si apriva come una conchiglia quando telefonavi si sentiva il mare una birra e una quattro stagioni la sabbia barche crociere rimanere al verde bancomat che espellono farfalle
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Stefano Sorcinelli NEL REGNO DELL’INDIFFERENZA… Abbagliati dal fluire persistente e intenso di fredde notizie, senza spazio e tempo, che ci impantanano e sommergono togliendoci lucidità e fiato come immersi in un girone dantesco. Tutto è possesso e individualismo. Tutto è bieco egoismo. Innalziamo muri di indifferenza per un pensiero sempre più alienato disinnescando gli ultimi sprazzi di coscienza, di umanità, ormai sempre più perversa e chiusa in sé stessa. Tutto è possesso e individualismo. Tutto è bieco egoismo. Assuefatti alla cieca violenza di donne massacrate dai propri amati di corpi sepolti in fondo al mare di bombardamenti sugli ospedali di milioni di innocenti affamati e sempre più ai margini. Tutto è possesso e individualismo. Tutto è bieco egoismo.
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Inventiamo muri per trovare rifugio, per sopravvivere agli eventi e a noi stessi, soffocando la speranza che possa esistere qualcosa di diverso l’uguaglianza nel dolore e nella morte … focalizziamo l’essenziale, prima che sia tutto perso! PAROLE VUOTE Le nostre parole tradiscono i pensieri oppure, semplicemente li svelano… Vani appigli su pareti di specchi fredde e taglienti come lame lucenti. Le nostre parole generano silenzi assordanti oscurità abbaglianti nauseabonde vertigini su infinite voragini. Le nostre parole innalzano intrecciate siepi che smorzano gli ultimi, flebili raggi di sole mentre la nostra pelle, tiepida lentamente muore. 108
Stefania Riva ESISTE Non perché esiste il diluvio il cielo cessa d’esistere. Neppure le stelle friabili - il firmamento intero la notte più grave induce all’oscurità. Un segno pur minore spiega silente e mite al mondo come il dolore infondo sia luce viva attraverso ogni ferita e nella catastrofe improvvisa fondata spensieratezza rara sopravvive
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IL DISEGNO DELL’ONDA Rotto il disegno dell’onda - le linee portanti di una struttura interiore - il gesto decade. Così l’apparente mostrarsi delle cose incrina gelide fratture agli estremi. Separa un paese silenzioso allo zenit da una stagione avanzata tra gli alberi. Il corpo scisso dalla fibra urlata. La voce dal restante suono non emesso. Colui che lo segue chiama. Colui che avanza solo, viene chiamato. Li separa un ricordo dall’altro. Ci sono istanti tra loro.
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Umberto Bernasconi SILENZI A CARTOCETO Il silenzio tremendo delle morti. Il silenzio del dolore che ha seccato gli occhi dei figli e delle mogli. Un silenzio che fa venire alla luce la grandezza dei vuoti lasciati in una comunità che riemerge, la speranza in un borgo traboccante di storia e di bellezza. Il silenzio dell’attesa di scalinate senza passi, di campi gioco senza rimbalzi, di un teatro senza battimani, di una biblioteca troppo silenziosa, di una banda musicale troppo lontana. Il silenzio pesante della terra lavorata, il silenzio leggero delle botteghe d’arte.
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Umberto Grieco IL COSTO DI UN BACIO Chiudo gli occhi É cielo azzurro Chiudo gli occhi Sono labbra L’indice disegna lenti ghirigori Quasi immobili Lettere oblunghe,deformi I nervi doloranti nel silenzio Sospesi a mezz’aria Il costo di un bacio È alto Il prezzo di due labbra? L’assenza dal mondo L’essenza di ogni respiro Si Ogni bacio ha un suo costo Giorni trascinati sulla curva di Un raggio di Sole Sogni mendichi ad un angolo Della notte Tutto per due labbra Ed un boccone di cielo Clessidre capovolte strozzano Granelli di sabbia Lancette nerborute 112
Trattengono il tempo Improvvisi poi Ripidi pendii Col vento che schiaffeggia Il cuore rotolato malamente Su brividi che bruciano Lasciando spegnere Impotenti Mattine intorpidite Da brevi attimi di felicità poi Seguite da sere interminabili Ubriache di malinconia Tutto per due labbra Il debito irredimibile contratto con l’Amore OLTRE LA MUSICA Un cuore incurva il pentagramma Con le note che rotolano via Resta la nota più importante Sei tu Una croma affilata La falce di sguardi intontiti Un accordo sapientemente Eseguito preludio ad una sinfonia Di fiati ed archi il cui suono Diviene amore 113
Acuti striduli Pessime scale Dita malmesse sulle corde Tasti premuti a caso Questa è la vita Lontana da te E’ allora che il silenzio diviene Un dono La dolce carezza di un’immagine Quando tacciono i rumori molesti Quando le melodie fuori scala Si allontanano sfumando Nella notte Resto Io resto A cercare paziente le note rotolate via Ad inarcare le righe del pentagramma Resto A lasciare che la croma Recida il passato Con la sua lamina Spingendo il cuore Ben oltre le cinque parallele Della musica A curvare anche il cielo
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Appendice OMAGGIO A GIACOMO GABBIANELLI di Rodolfo Tonelli Giacomo Gabbianelli è la voce di Fano dell’età post moderna. Ricco di immaginazione e di fantasia, aventi le radici nell’anima popolare della Città della Fortuna, affronta argomenti storici, e li trasforma con arguzie, accorgimenti originali, sorridendoci sopra, fino a contagiare il lettore. Ai temi epici ridimensionati Giacomo accosta in scioltezza piccoli eventi di tutti i giorni, facenti parte della quotidiana esperienza e della storia di personaggi comuni e non comuni dell’umile epopea popolare. Con le sue rime dà vita ai detti ed alle espressioni idiomatiche, certamente meglio di una raccolta, sia pure necessaria e doverosa, ma che senza contesto risulta di freddo repertorio. Giacomo rinverdisce nei suoi brani le colorite espressioni popolari, nate da un lampo di genialità, che vengono applicate ai suoi racconti in rima, ed è stato abile ed originale nel crearne di sue, destinate ad incrementare il patrimonio linguistico del dialetto locale. Inoltre, i suoi modi di dire hanno oltrepassato i confini municipali, contribuendo ad ampliare il patrimonio linguistico dei comuni viciniori, ai quali è stata data la veste dialettale propria, a prova di riconosciuta valenza culturale. Viene in tal modo animata la fantasia popolare e, soprattutto, fatta rivivere la sostanza di un passato semplice e complesso, impiantato su tradizioni che, per gli intrinseci valori collaudati da generazioni, vanno difese, perché La vita può essere capita solo 115
all’indietro, ma va vissuta in avanti (S. Kierkegaard). Tutte le espressioni tipicamente locali, nuove ed originali, impreziosite dall’uso, passano di bocca in bocca, si affermano e si confermano per diventare patrimonio condiviso e costituire un’anima popolare arricchita, fondamento della personalità di base in divenire, su cui si impianta ogni personale individualità. L’appassionato cultore del dialetto, poeta o rimatore che sia, per ispirazione o per necessità di rima, riprende detti, sentenze, motti arguti, associazioni di idee, similitudini e metafore della cultura popolare. In tal modo si mette loro il vestito della festa e, soprattutto, si compie il sacro rito della celebrazione letteraria, che deve necessariamente essere affidata alla carta stampata, per dare ad essi l’immortalità o, quantomeno, la stessa durata che hanno nella storia della umanità e del cosmo lo spazio e il tempo. Le rime di Giacomo Gabbianelli sono una miniera a cielo aperto di espressioni colorite, battute di spirito insieme ad esempi di buon senso dell’anima popolare fanese, in particolare, e marchigiana in generale. Pertanto, i suoi lavori sono motivo di ispirazione oltre che opportunità di aiuto per chi si dedica alla invenzione di Giochi di Rima I più tipici personaggi locali, veri o dal vero desunti, divenuti notori per semplici accentuazioni psicofisiche, emergono… (A. Gaspari) dalla storia degli umili, venendo accostati a personaggi storici e ad eventi di fama nel libro “Genesi e… otrotra” per assurgere a comune notorietà, quasi livellati per infrangere le abissali differenze che hanno sempre ostacolato l’instaurazione del bene comune e rimandato a più oltre la realizzazione della Pace tra i Popoli.
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Re Riccardo d’Inghilterra Rivisitazione teatrale di Rodolfo Tonelli Personaggi: N. Narratore R.R. Re Riccardo L.C. la Coscienza L.R. la Regina R.R. Che spetacol cla moj mia, ma perché sarò gitt via! N. Re Ricardo d’Inghilterra che s’ trovava in Palestina en tna tenda dorm per terra, anch si d’ nott pela la brina. Stava pegg’ che ne un porett che in qualch mod s’el gòd el lett. Lu’ credeva che l’ crociat sa cle armi e chi soldat l’avria vint t’un batter d’occhi, ma en pensava che ‘l malocchi l’impegnas, gira e muscina, per tanti ann, sera e matina. Per en di’ che in più i mancava la regina, ch’el scaldava quant tel lett ern vicin più gustosa d’un scaldin. R.R. Che spetacol cla moj mia, ma perché sarò gitt via!
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N. È partit co’ l’elmo in testa com si foss per gi’ a na festa; adè invec’ tra i Musulmann lu’ s’ mordeva tutt do’ l’ man, ché ‘l nemico, ossia ‘l sultano, quell fa vita da sovrano: ogni po’ ch’i vien cert voj c’ha da scej tra ssanta moj, mentre lu’ per ave’ gloria, per ave’ un post tla storia, combatend per le crociat, fa na vita da castrat. Dic’ la ment: “E’ mej distrass!”. Ma el problema è più da bass. En ti atacc de nostalgia i a m’arcord arpiavn el via. R.R. Che spetacol cla moj mia, ma perché sarò gitt via! N. Se di notte la sognava fin al punt da facc’ la bava, se sveghiava tutt d’un bott come quant pi’ un gastricòtt e a motivo de chel sogn s’acaniva d’ più el bisogn. I mancava la regina… che a uno sguard o na moina o se dolce come brezza gli faceva na carezza, sudisfava la promessa, fnit el giorn, la notte stessa. Ogni tant argiva indria sal pensier d’ pensa’ ma lia; pensa i balli tel castell, i tornei, le robb più bell… 118
e perfino i tetti grigi sulle sponde del Tamigi. R.R. Che spetacol cla moj mia, com m’è nut pensat d’ gi’ via! N. Passa i giorn, i mes e i ann, da ogni ogg’ s passa a dman senza un minnim de speranza che finiss tutt cla matanza. Re Ricardo d’Inghilterra en tna pausa de cla guerra, tra i atacc de nostalgia, ch’era un pezz ch’era gitt via, sent la voce dla coscienza, ché anca lia perd la pazienza. Tant, si non la perdi mai… chi s’acorge che ce l’hai?! L.C. Via le spade e via le mazz; git a spass tel mezz dle piazz. Via i gambai, le ginochier, manda a spass ma chi scudier! Via gli scudi, via le lanc’ facet pac’ tutt in t’un slanc’ invec’ che davv’ la tortura sugli spalti e sotta i mura, perché è mej su questa terra fa’ l’amore e no la guerra! R.R. Che spetacol cla moj mia, ma perché sarò gitt via! N. Passa el temp, veng’n i pensier che più sta più dvent’n ner, specie pu’ ma chi c’ha un regn 119
che a cmanda’i basta un cenn. La Coscienza ancora incalza. L.C. N’era mej durmi’tna stanza, dentra el lett, sa n’imbutita, invec’ d’ ni’ a rischia’ la vita; tant per dilla, e dilla tutta, d’arman semr a bocca sciutta. Sai tel mezz dla Guerra Santa vòi capì che acsì en se campa! Vannn in gir i cavalier ch’el fann propi de mestier da tenta’ ma tutt le donn, anch se c’hann sotta le gonn la cintura d’ castità, ch’en s’ sa quant pòl dura’. Na pipì che sia acidina la corod a la matina. Mett la ruggin.. un grimaldell? I fan festa sul più bell, ché più lunga è l’astinenza più s’ cunsuma la pazienza d’aspeta’ tropp el marit… Si pu’ artorna… E si è sfinit? Dai e dai, tra snì e snà, pòl ni’ anch n’invalidità. R.R. Che spetacol cla moj mia, ma perché sarò gitt via! L.C. Chi giamblan di cortigiani, ch’en poi di’ che non èn strani, si sta lontananza dura, quei t’ preparne na congiura. Tu fratel dett Senza Terra (ch’en i va da fa’ la guerra) 120
niss in ment d’ fatt na sorpresa sa tu moj che sta in atesa? Com ma n òss sa un po’ de ciccia pia ma lia e la mastriccia? Si ‘n stai atent a rtorna’ prest te pia el regn e tutt el rest! Si continui a sta’machì en el so com girà a fni’: fai la fin dna costarella messa a coc’ su na gradella. R.R. Che spetacol cla moj mia, ma perché sarò gitt via! L.C. Sa sta guerra d’ religion me so’ rott propi i minchion! So’ dla stirpe d’ Normandia, vòi ch’en trov un mod d’ gi’ via!? Anch’ la truppa ormai è stanca: io mett su bandiera bianca; fo’ diec’giorni d’ trattativ sal sultano… a le Maldiv; tant me sa che anch’ ma lu’ i piac’ dop tant temp arfa’ la pac’, e chisà che prima o poi en m’impresta un par de moj. Arivat na certa età, m’el sai di’ co’ ce pòl fa’? Pu’ sincasi io i l’ardo’, cunsumat soltant un po’. Dop arvo’ da la moj mia, spèr che ancora tardi en sia. N. La regina tel castell ‘n’era gitta mai invell e aspetava inchiavardata 121
prima o poi d’èss liberata. Liberata, ma da chi, si el marit fa tardi arni’! En tla vita c’ vòl pazienza, ma ‘n se campa d’astinenza. Si Ricardo, t’un cla terra en tna pausa de cla guerra mett ch’ s’imbatt t’una odalisca, e co’ c’ vòl che d’ lia s’n’infischia! Finalment dop tant sufri’ el marit el sent arni’. Manda via la sentinella e s’ prepara tutta bella, pronta a da’ sudisfazion ma Ricardo Còr d’ Leon e, per dilla com la stava, anch’ per sé lia ce contava. Quant Ricardo è su da lia, quel ch’ c’ha adoss el butta via: via la spada, via la mazza, le g’nochier e la corazza. Cava l’elm, cava i speron, le mutand…, dop di calzon per gli ossequi alla Signora che aspetava da mez’ora. A di’ el vera lia aspetava da tanti ann na notte brava. Era ormai tra lum e scur che l’ parol ern un susurr. R.R. Porca boja, è un fatt grav, e do’ è ch’ho mess la chiav!? N. Cerca e ruspa nti vestit ma cl’atrezz par ch’ sia sparit, tle sacocc’, ti sacucin, 122
dl’armatura en ti angulin, en ti orli del mantell, ma la chiav en c’era invell. Re Ricardo è disperat. La R. Acident quant t’ho aspetat! N. Dic’ la moj più che nervosa, ch’era un pezz che stava in posa, aspetando l’apertura dla sua intima armatura. In cert cas si t’ pia la fretta par ch’aumenta la disdetta: t’ va su i fum, t’ pia i calor, ch’en èn quei per fa’ l’amor. R.R. L’avrò persa tel Giurdan tra i Ebrei e i Musulman. N. Re Ricardo, Còr d’ Leon era rosc’ com un pevron, sa un magon ch’el porta via pr’ave’ fatto cl’idiozia; è vilit, è ardott un stracc’ tanto più ch’ sudava giacc’. E la moj? Da parte sua, è furiosa com un bua quant en vòl ch’i s’ mett el giog o com chi c’ha adoss el sfog d’ santantoni su la pell che un po’ d’ pac’ en trova invell. Lu’ sgauccia in qua d’in là, ma la chiav en s’ fa trova’. …Com è gitta a fni’ cla sera? Io en el so, perché non c’era!
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Questo volume è stato stampato a Colli al Metauro (PU) nel mese di settembre 2018 dalla tipografia Ideostampa srl
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3°concorso letterario