4°concorso letterario
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Uno scorcio della bellissima Chiesa del Gonfalone di Saltara, dove si svolge la cerimonia di premiazione del concorso letterario Ideobook
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IL CONCORSO
Dopo il buon esito delle tre precedenti edizioni, Ideobook, il concorso letterario promosso da Ideostampa, è arrivato alla sua quarta edizione allargando sempre più l’affluenza dei partecipanti. Ideobook è un contest letterario che vuole promuovere e stimolare gli autori anche utilizzando le nuove tecnologie di stampa digitale che permettono piccole tirature. La partecipazione è gratuita e aperta a tutti, senza limiti di età e diviso in due sezioni (racconti) e (poesie). Siamo particolarmente lieti di questa quarta edizione di Ideobook, sperando di scoprire nuovi talenti e di creare una occasione di incontro e stimolo culturale nel territorio. Ideobook è solo uno dei diversi progetti sviluppati da Ideostampa con l’intento di creare prospettive inedite sulla produzione culturale dell’intero comprensorio della Valle del Metauro. Alfio Magnesi amministratore Ideostampa
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IL PATROCINIO
È un vero piacere per la nostra Amministrazione concedere anche quest’anno il patrocinio comunale ad Ideobook, il concorso letterario promosso da Ideostampa ed arrivato quest’anno alla sua quarta edizione. Tra le diverse iniziativa che contribuscono - come piccole gocce nel mare - ad espandere il tesoro di conoscenza e cultura collettiva, Ideobook ha avuto, fin dall’inizio, una particolare attenzione per la sua del tutto unica capacità di far emergere dal tessuto territoriale potenzialità letterarie nascoste, portarle almeno per un giorno alla luce dei riflettori di una quotidianità troppo spesso assopita ed indifferente, e premiare i rispettivi autori con piccole tirature della propria “creatura”. Grazie ad Ideostampa, ad Alfio e a tutti i suoi preziosi collaboratori, per questo “dono” che fanno alla comunità metaurense, con l’augurio di sempre nuove e proficue collaborazioni. Andrea Giuliani Assessrore alla Cultura Comune di Colli al Metauro
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LA GIURIA
ELISABETTA FREDDI poetessa, già membro di giuria in altri premi letterari GIULIA GIOVANELLI giornalista LUIGI STORTIERO poeta, artigiano PAOLO PAGNINI presentatore e scrittore PIERO TALEVI poeta del Metauro RODOLFO TONELLI ex preside, scrittore e camminatore SILVANO CLAPPIS giornalista, scrittore VITTORIA SCHIAVONI ex insegnante, amante della scrittura e della poesia
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INDICE Angeletti Elvio Barbetti Mauro Barbieri Flora Carlotta Bartolucci Michele Belletti Claudia Berloni Tommaso Berti Mauro Boccolini Maria Grazia Bonanni Lucia Bruschi Emanuele Caranna Cono Casali Samanta Casoni Maria Grazia Colapietro Barbara Costantini Francesca Cumbo Simone Dellabella Cristiano Di Gianni Marcello Dolci Alba Fioriti Simona Fulvi Ugolini Leonardo Grilli Elvio Ist. comprensivo di Coriano (RN) Guiducci Roberto Incen Maury Latini Luciana Mandia Giuseppe Mariani Laura Mencarelli Patrizia Palanca Orietta Palombo Ida 6
pag. 8 pag. 10 pag. 12 pag. 13 pag. 14 pag. 16 pag. 23 pag. 24 pag. 26 pag. 28 pag. 30 pag. 29 pag. 32 pag. 35 pag. 36 pag. 37 pag. 38 pag. 39 pag. 40 pag. 41 pag. 42 pag. 44 pag. 48 pag. 43 pag. 52 pag. 54 pag. 56 pag. 59 pag. 60 pag. 61 pag. 62
Paolini Roberta Patonico Franco Pierandrei Patrizia Polidori Marco Prediletto Vincenzo Renelli Adriana Renzi Erika Rovinelli Stefano Sabatini Dino Sambuchi Pietro Saudelli Roberto Silvestrini Maria Simoncini Alessandra Spezi Deanna Spurio Lorenzo Subotina Darya Tanoni Daniele Centro socio educativo “Francesca� (Urbino) Tombi Michela Vagnini Luca Vaira Marco Vitalini Piergiovanni
pag. 66 pag. 68 pag. 70 pag. 72 pag. 74 pag. 82 pag. 84 pag. 88 pag. 87 pag. 90 pag. 92 pag. 94 pag. 98 pag. 100 pag. 102 pag. 106 pag. 108 pag. 110 pag. 111 pag. 114 pag. 118 pag. 120
Appendice Omaggio a ODOARDO GIANSANTI (Pasqualon, il Poeta Itinerante) di Paolo Pagnini
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Angeletti Elvio LIBERA I TUOI SOGNI Non piangere gli astuti decorati da rivoli e olezzi, saresti darsena, pane prelibato senza vento, per risa su bocche aperte e nidi colmi di volgari verbi. Hanno strani pensieri racchiusi nei circuiti celebrali, bulbi oculari offuscati da nebbie sature d’indifferenza e ne danno conferma. Ragione v’è nell’aria e l’occhio s’apre al risveglio d’ogni stagione, nuvole a monti sul mare cancellano il dolore divenendo fiocchi e gocce per una nuova vita.
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NOTTURNO Questa è la storia di un uomo fragile. Quando l’acqua scese senza memoria si trovò perso nel mare e nella luce diffusa nell’aria. La siepe sconfinò sospesa in sogno, nella notte nera pensò fosse una distesa, un viaggio senza chimera. Nuvole rosse come foglie arse apparvero e note gitane si udirono sparse, donne dalle lunghe sottane danzarono commosse. Sabbia sottile di clessidra segnò la scena pigra e il viaggio si fermò nella terra dove nacque.
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Barbetti Mauro MATEMATICA DEL MONDO Immagino a volte un mondo costruito su una logica diversa. Per esempio in base tre: mi immagino lo scatto d’anni che consegue l’ubriacatura di vivere tra secoli adiacenti la quasi percezione di un rapporto con l’eterno ma a fronte di questo sta il rischio di perdere scordare già domani ogni memoria ogni passato e ciò che è stato è stato banalmente superato. All’opposto è il senso di un mondo in base tredici ove il dispari e il diverso divengano la norma il metro di confronto - sarebbe certo bello ma poi per contro penso al peso di rendere sociale ciò ch’è numero primo vitale monade ribelle e allora mi ravvedo e dico che mi appartiene solo un mondo - il mio col suo equilibrio sempre incerto della vecchia base dieci.
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DAL CONFINE La luce il tardi che vorrebbe spegnerla il tarlo d’una sorte appesa e l’attesa che ci spinge a lasciarla accesa a contare battiti attimi e atti respiratori scivolati via i kilowatt/ore pagati a illuminare la frontiera e la lunga pista verso il nulla. E’ un deserto dei tartari che ci impolvera la vista.
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Barbieri Flora Carlotta AMORE INFINITO Appena aprii gli occhi, per prima cosa vidi un luogo a me sconosciuto. Un silenzio assordante, Chi mi portò in quel luogo una madre sconosciuta, il vuoto mi pervase, le strilla dentro me stessa PerchÊ? Poi sentii una lingua che asciugo le mie lacrime, un cuore palpitante al mio stesso battito cardiaco, solo voi mi potevate salvare da un baratro profondo, e adesso so chi sono, soltanto me stessa.
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Bartolucci Michele ARMONIOSA RIGENERAZIONE Stanco di tanto frastuono, chiudo gli occhi e ascolto il mio silenzio. Sono solo. E’ una notte fredda senza vento e senza suoni. Attorno a me, una foresta intricata di rami soffocanti. Il disco pallido di una luna minacciosa mi sovrasta. Guardo il cielo senza stelle, Erebo smisurato e angosciante. All’orizzonte, il vuoto dell’abisso mi sgomenta. Tremule farfalle grigie si agitano e mi affliggono. Occhi ambrati di muti uccelli notturni mi fissano enigmatici. Provo un senso di vertigine, paura, smarrimento. Ma cosa accade ora? Percepisco che qualcosa sta mutando. Dalle narici inalo aria nuova e salubre. Un respiro profondo rigenera il mio corpo. Sento il battito del cuore, il muscolo che diffonde il sangue e mi dona vigore, pace, benessere. Il ritmo vitale mi inonda di luce. Ritrovo me stesso, ora capace di accogliere e ascoltare, poiché il mio cuore non è vuoto, ma ricco dentro di sé. Tenerezza, gioia, calore sono in me. Un canto vibra nell’aria: è una melodia dolce come il suono di un flauto. Odo la musica della mia anima e con essa imparo ad amare.
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Belletti Claudia NOI DUE Se mi avvolgi in un abbraccio fallo stretto stretto così che possa aderire al tuo corpo. Senza lasciare spazio a null’altro che a noi due. Se mi baci fallo con tutta l’intensità di cui puoi servirti esplora la mia bocca. Senza lasciare spazio a null’altro che a noi due. Se mi vuoi possedere fallo con la passione di cui sei dotato fammi sentire che ti appartengo. Senza lasciare spazio a null’altro che a noi due.
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VENTO Vento. Vento che soffia tra i capelli tra le ciglia. Vento che sfiora la pelle e rizza la cute che si insinua sotto i vestiti accarezzando le membra. Vento che infastidisce che strappa sgarbato la pazienza. Vento che scopre la superficie che scosta la verità che annulla l’apparenza. Vento che aleggia sulla vita sulla forza sulla voglia. Vento che mi disturbi e mi svegli da questa esistenza intorpidita che mi sfregi l’anima e mi ridesti i sensi.
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Berloni Tommaso FUGA DE STAGION Quant’ è inverne cum se sa, l’infuensa vien e va, sa ste temp verament, en ce se capisc più nient, ogg se suda, d’man se gela, co ho da metta per sta sera? E acsi, cum tutti sann, che ce piine sti malann, mo ce ne un o cari mia, nisciun sa perché se pia, è propri una scocciatura, che ma me, me fa paura, pegg dla febra per daver, è l’influensa intestinel; detta virus da qualcun.. en perdona ma nisciun. Quant m’ariva è un macell, quel c’te sembra un venticell, nascond dentra un concentret, da fe fuggia el vicinet, pu amess, che d’aria s’tratta, oppur gent, è na disfatta.. te putria gi anca bnin, se c’è un bagn malì vicin, sia tla macchia o sia tra’n camp, lascia c’tona e che fai i lamp, altrimenti è na sudeta, c’lo vissuta e va arcunteta! 16
Quand el cess d’intorna a te, è ma li, mo è cum se en c’è, chi gabinett rosci o blù, che tle feste metne giù, sa na fila d’vent person, più che atre de tutt donn, cle puret, cum sta ma lora, tutt cuntent den falla fora, provne a fe finta de nient, bocne dentra surident, mo è chier c’cian el magon, de metse dentra a cuvilon, carta ,malta ,un bel pasticc, tra chel grande spiscilaticc, se te sguilla la presa, fnisci tra l’infern stesa, che per das na ripulita, ce vol sol l’acqua bulita. Ste cess è più d’un guei, sa la porta chen s’chiud mei, de cla pesta, mei en di nient, pol fe ni un mancament, ce vien sempre pu l’idea, de pruvè a ste in apnea, mo per tant c’ resistrei, na bucheta pu la fei. Pu ce sempre chel piu brev, c’sa na penna o sa na chiev, 17
non sol ce respira, ma ce trova el temp de scriva, che è nient cunfront a chi, porta l’art dentra malì, e non ve dig sa che culor, sfuma fina su ti mur.. En fnisc manca ste pensier, che en poss più aspte daver, do respiri a pulmon pin.. m’han fat pegg e m’incamin, mentre el stomaco m’arboll, ogni pass che fag triboll, dai Tomaso temporeggia, ec tel mentre na scoreggia, trova el post, passa intera, stag mei, en me par vera. Tra na pussa da non creda, me alluntan sa sta bega, e sa sguard indifferent, me cumport cum s’en so nient.. Guard de qua e guard de la, do miseria la pos fa.. tra na fila ma la giù, veg el cabinott, chel blu.. al post de cl’umigliasion, io la fag in ti calson I dulor m’arcmincene ora, lasc gi anca de discorra, van e vienne cum le doi, 18
dag la giacca ma mi moi, i second en cum le or, caminand ce modi corr, ma la giù intraved qualcò, non so se ce arrivarò, via i boton, slaci la patuella, la cintura , ce anca quella, a chiapp strett fag l’ultim pass, finalmente adè la lasc.. “Scusi lei ma cosa fa? la toilette è quella la?” me dispiec o caro mia, adè è tardi per gi via, e a cul nud , i dig l’ho fatta, benedetta sia sta fratta !
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SOL MA LIA Tra i sogn e tra i pensier, tra i discors e le preghier, tra i mur e pu tra i camp, tra la pioggia i ton e i lamp, tra la lecca o giù tel fium, in tla banca o sul cumun... porca vacca do sia sia, tel cervel ciò sol ma lia. È el mutor dl’econumia, è el quatrin piu bon c’ce sia, è la porta per la vita, ce se scappa sa fatica... mo de cert, cla vicinansa, chel sfregacc, sa testa e pansa, ha bastet a fam capì, che tutt , passa da ma li! Acsi cmincia na passion, ansi più! Na devusion, al pensier me vien da piagna, la insogn anca che me magna, mi moi dic che so malet, fussa vera, en me curet!!! se a da essa la fin mia, lascia che me porti via. Mo cum fei a non bnedi’ una robba fatta acsi? Gesu Crist quant l’ha inventeta 20
ci ha pers temp, l’ha ben studieta, feva prima per daver, fai un bug cum mal seder? Mo è un brevett più che specel da en pute’ presentè mel. una linea un po’ spurtiva d’una freccia o d’un ogiva, in risalt ed elegant, cum na rosa o d’un diamant, de fattezza misteriosa, irrisolta e un po’ curiosa, che per rendla piu inquietant, è nascosta, tra le gamb. Sal fe di ann, cari fratei, se presenta un bel po mei.. tant el pel, cla feva scura, ce meteva anca paura, mentre invec adè è na festa chi la pela o i fa la cresta, ce chi i met un urecchin, o un tatuagg malì vicin. Anca l’abit è important, e per lia ce le mutand.. chi tut bianc, o chi tut ner, chi cià un fil interdentel, chi a fiurlin o a fantasia, chi en le met, per tirè via, chi invec sfoggia, sa elegansa quel chi arivne su tla pansa. 21
Nulla è più lascet al ches, è na gioia anca el marches, assorbent, più che speciali, che respirne e sa le ali, d’ogni tip, d’ogni misura, per fe front a ogni paura, è daver robe da matt, cian studiet persin un tap per nasconda al mei cse pol e cancele’ tutt quant le prov.. Tant è i nom cla gent i da, per ogni ambient, ed ogni eta’, de sigur ce fan timor quei useti dai dutor, mo tel bar ne sent de mei, e sigur de piu geniei, pro el più bel, quel che vien prima E’ chiamalla passarina!
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Berti Mauro CAMMINO CON LEI IN RIVA AL MARE Cammino con Lei in riva al mare. Camminiamo e parliamo parliamo dell’estate ci fermiamo ci guardiamo negli occhi e ridiamo parliamo dell’autunno ci fermiamo ci guardiamo negli occhi e ridiamo parliamo dell’inverno ci fermiamo ci guardiamo negli occhi e ridiamo parliamo della primavera ci fermiamo ci guardiamo negli occhi e ridiamo Io e Lei parliamo dei nostri cari angeli in cielo ci fermiamo ci guardiamo negli occhi e piangendo ci abbracciamo in riva al mare.
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Boccolini Maria Grazia BEVAGNA In mezzo ai pensieri spremuti d’uva, arance e sogni ho impresso l’odore di carta e muffa nei vicoletti, nelle cantine di Bevagna. L’odore del pane dai piccoli forni, il vino acerbo delle vigne. Il silenzio eloquente degli uliveti, schernito da un leggero venticello sottile. Il rumore sobrio dei sassi sotto le scarpe. E l’acqua limpida che scorre ovunque. IL LUOGO ANTICO Vorrei sentire l’odore di sottobosco e funghi, di muschio morbido e sinuoso. Stendermi nuda, sul morbido tappeto d’erba e di fiori che avvolgono le membra, come lenzuolo fresco e vaporoso. Vorrei camminare nel sottobosco a piedi nudi come il lupo. Nascondermi, vorrei in cavita’di tronco, per cercar col fiuto la mia dimora, dal dentro della quale scoprir la notte fredda e oscura che avvolge la luna piena e chiara. Vorrei ascoltar l’upupa notturna, guardar negli 24
occhi il gufo. Come lupo affamato, vorrei affrontar la valle oscura, fiutare il terriccio mosso da altre impronte. Il cuore mio appartiene ad altra anima vissuta. Il corpo avvolto da folta chioma fulva. Mai paura, di nulla, sento nel mio petto. E sommessamente, scoprire di essere potente. Correndo a gambe strette tra le folte chiome, dai rami cespugliosi, veder, vorrei, il colore della luna. Perche’ un di’ remoto, anche io fui come Lei. Lo spirito si sollevo’ e mi ritrovai in altre membra. Mai potrei tradir l’essere ignoto, che , con il suo calore, mi attinse il fuoco.
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Bonanni Lucia ASPETTANDO DI VEDERTI Aspettando di vederti apro imposte che rammentano ondeggiare di flutti e il tremore nascondo dietro il lucore di tendaggi e cordoni di seta. Non ti perderai tra i vicoli audaci di questo ritaglio di laguna, la via ti diranno le memorie vivaci e le voci che sul molo rappezzano reti. La mia casa scoprirai dal giallo limone e la tenda levantina sipario di liete promesse. E sarĂ il rossore dei gerani alla finestra a dirti del desiderio che il respiro travolge nella brezza leggera. PIETĂ SIRIANA Persone messe ad asciugare su reticoli di spine. 26
Uomini in fila ad attingere acqua e mescolare la vita in conche di ruggine e sale. Bambini spogli impauriti soli e denutriti a chiedere pane e la vista esclusa da rottami e polvere densa. Nella disforia di un’Umanità in delirio i mattini violati contano appartenenze di notti che non arrivano all’alba. Tra pozze di fango la Pietà siriana esce dal marmo e porta in processione il figlio concepito tra ceppi di guerra. L’aporia della Storia scaglia crisantemi bianchi su pezzuole, rosse di sangue.
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Bruschi Emanuele LA TIGRE SULLA SCHIENA Tormento confuso nello specchio declinato la tigre affiora Inesorabile e splendente Insonnia, schermo piatto inutile soffitta che mi punta Il ragno è nell’ armadio gli occhi impolverati come i miei Esser grato del superfluo chiuso dentro l’ingranaggio sputare in faccia al sole poi mi arrendo a sigarette e birra
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Casali Samanta AUTORITRATTO D’ARTISTA Il mio sguardo vaga nella stanza, d’un tratto ecco davanti a me affacciarsi uno specchio dove riflessa è la mia immagine cupa, diversa dalla tela rosea e gioiosa alle mie spalle. Un autoritratto d’artista lontano da ciò che la realtà osserva.
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Caranna Cono LA MIA BAMBINA Al tempo non capivo l’importanza io quasi rimanevo indifferente. Ancor tendevo, all’adolescenza con la coscienza a limitata gioia. In programma, nei rilucenti sogni e voltolarmi, l’ansia a dolce attesa. Muto ascoltavo in pancia a mamma spruzzo d’amore era il tuo calciare. Oh mio germoglio, mia gemma d’amore oh livido di vita che trascende. Bussavi con pazienza la buiosa i battiti, del cuoricino ansioso. Sofferto il gravidismo a viva gioia miracolo! e sei venuta al mondo. Soffice batuffolo, eterea grazia dolci e gonfi occhi aperti a stenti. Radioso io volevo darti un bacio mi limitai... alle rosee manine. Rilievo a incantevole momento essenza deità, miracolo di Dio. Eri talmente fragile, non ho osato dono per me, pensavo esagerato. Al tuo sorriso... esultai felice prestato a darti amore per la vita. 30
SOLITUDINE Disperso e vuoto, dal crudele addio... sfido gli eventi a galeotto tempo. A suo rinuncio lampo, resto un ceppo e senza amor si soffre all’agonia. Fragile cuore, in preda neviera vento che trasporti male avverso. Ti svegli e la tua vita è senza senso se al mattino ti ritrovi solo. Divelto, al nuvolo di pensieri vento che mi dai carezze al tatto. Pure il firmamento trovo spento al presentire del mio amor per lei. Alito che il brivido mi avvince mi sovrasta l’apnea...blocca la lena. Steso nel pantano a cuore in pena sventolo il fazzoletto dell’addio. Respiro radicato al rasentar dar senza tempo e resta l’amarezza. Sarcasmo snob in perfida tristezza non confluir per sempre al cuore suo. Patir, nel mio subire solitario limbo di pena, bilico latente. Al ronzar nel vuoto alla mia mente sfregio su cui riflettere e soffrire. Or, nel pantano con anima soffrente a cuor contrito, e di amor vetusto. Fai a spirar bufera a modo giusto!!! portami... il suo bacio nella notte. 31
Casoni Maria Grazia DESIDERIO D’INFINITO Bussi al cuore con infinita dolcezza, ancora non so darti nome. Sei nella musica che aleggia, che risveglia ricordi ed emozioni, ma non ti fermi, prosegui nella tua ricerca di risposte. Sei nelle lacrime che scendono senza far rumore, quando l’amore che hai dentro è talmente forte che non c’è altro modo per esprimerlo, se non nella commozione. Sei nei colori che circondano la vita, in attimi sublimi assumono tonalità così luminose da sembrare presenze angeliche. Sei nel silenzio che con affanno ricerco e poco spesso trovo, ma è li che risvegli la tua energia ed irrompi come fiume in piena. 32
Sei nelle pagine dove scrivo le mie emozioni che non riuscirei a esprimere in altro modo. Sei in me… Bussi al mio cuore con infinita dolcezza, …ancora non so darti nome. SGUARDO IN PREGHIERA Sono qui indifesa Padre, scintilla tra miliardi di scintille… persa nell’immensità del tuo amore, ancora non mi so orientare. Non vedo tunnel di luce, miracoli eclatanti o segni paranormali, ma ti sento, nelle piccole cose del mondo, quando la natura si esprime nella dolcezza e nella maestosità della sua potenza. Sono persa, continuo a cercare, seppur il tuo spirito un’infinità di volte mi ha condotta alla rinascita. Cerco anche quando il mio cuore ottuso, guarda meravigliato 33
quel figlio immolato, e tutti i tuoi figli che ancora oggi vengono immolati. Dura nel capire che Tu in me sei verità , ed io come tanti sono tunnel luminoso che cammina verso te. Sono qui indifesa Padre‌ piccola scintilla tra scintille, protesa a te, anelante del tuo amore, con il cuore in mano, mi affido abbeverandomi alla tua sorgente per far scivolar via le mie ombre. Tra una moltitudine di cuori, deposito la mia scintilla‌
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Colapietro Barbara TRE ANIME Stralci di felicità salvati nella memoria dilaniata dagli avvoltoi dell’invidia e dell’insuccesso. La coscienza frammentata dai compromessi si risveglia nell’azione per la Vita. Tra città sfavillanti d’illusioni, deserti struggenti radicati nel sole cocente, il passo del cuore di un campione ferito velocizza il ritmo strappato alla frenesia della quotidianità. Al galoppo, tre anime si specchiano alla luce di una candelina dentro i miei ideali… come in un sogno si apre l’orizzonte. Ciak si gira! 35
Costantini Francesca CASA Con queste mie mani ogni cosa ho inscatolato respirandoci ricordi di giorni lontani di risa di pianti Pezzo per pezzo ti ho svuotata casetta mia fino a non trovare piĂš nemmeno i ripari dei fanciulleschi nascondini fra i tuoi muri spogli Invano chiudo la tua porta alle mie spalle il tuo vuoto mi insegue mentre nudo mi allontano incontro al puzzle di un mondo orfano del tassello di te, di me, di noi due insieme.
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Cumbo Simone L’ESODO Donne, bambini, il nuovo esodo verso la terra promessa attraversa il mare, ma non c’è nessun Mosè che separa le acque. Solo l’acqua che accoglie e raccoglie quello che l’uomo non sa più riconoscere... FRAGILI Che dio benedica la fragilità! L’essere sospesi, tra terra e cielo, la tenerezza di baci perduti in qualche anfratto sperduto. Amplessi gridati, sussurrati, parole mai abusate, ma osate, come pietre di un castello fatato. Siate diversi, non ostili, non altri. Semplicemente oltre... 37
Dellabella Cristiano LA TUA BOCCA Ogni tanto mi sorprendo a ritornare qui. In riva a questo luogo lontano da tutto, al di fuori del tempo e dello spazio nella sterpaglia dopo un campo di maggese. Immerso nella nebbia. Solo il gracchiare delle gazze ladre ed il tintinnio del pettirosso. mentre Il cielo è disegnato dal volo dei cormorani. Qui Tutto è immobile e stranamente silenzioso. Bramo ancora la tua bocca ed i tuoi occhi neri.
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Di Gianni Marcello TESTIMONE INVISIBILE Mezzanotte, freddo impassibile e vacuo. Dagli infissi i viottoli paiono infiniti e mai abbastanza, come la debole lanterna che illumina i rami curvati. Dei passi indistinti e un vociare confuso debolmente si conficcano tra le mie sfiorate mura che hanno accolto mille venti. Da una casupola una famiglia allegra avverto far festa e intonare canti, e con una stizza d’invidia volgo lo sguardo ferito altrove. Così sono solo il testimone invisibile di ciò che passa davanti agli occhi da uno spigolo di vetro, attendendo forse il sonno sul far dell’alba. E indosserò gli occhi di chi, cantando le sue sfortune, si chieda se vivere non sia portare un fascio di spine avvolto nel felice cuore.
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Dolci Alba UNA CASA tante vite passate una casa spenta una via spezzata fogli bianchi ruotano dentro le stanze umide buie prendono posto sulle pareti ma cadono su un pavimento non piu’ calpestato tante figure trasparenti mi sorridono cercano posto sui fogli dove si adagiano mi ruotano intorno rivedo l’infanzia giovinezza vissute in quella casa spenta UN SOGNO una notte buia dentro la palla di neve mi accompagna in una stretta via di drammi successi affetti amori fiancheggiata da piante spoglie rami secchi presenti come disegni sulla strada illuminata da una luna bianca e si muovono nel passato presente futuro soffoco in un sogno presente in un pellegrinaggio per arrivare alla meta
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Fiorini Simona L’INIZIO Vorrei non dirti quello che sto per dirti. Ma la mia cassa toracica sussulta frenetica di una sarabanda estatica. Mi arresteranno per rumori molesti. Si sente quello che non oso confessarti. È il petalo di una margherita in quel gioco che facevi da bambino. SOGNI Sogni, gemme bianche d’uva come figli maturi d’Agosto e della luna. Al collo dei desideri appesi come perle senza domani né ieri nel silenzio tintinnano lievi traballano in quiete ci mantengono.
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Fulvi Ugolini Leonardo POESIE ESSERE Sono io una persona di questa terra come lo sono tante altre con un nome e un cognome, che vivono la vita donata dalla natura o per chi ha fede Da Dio. Non ci sono gli speciali quello è soltanto ego in realtà siamo tutti uguali, sentirsi perfetti ci rende solo odiosi anzi è una distrazione dalle cose più importanti come l’armonia dello spirito e la salute, tutto il resto è banalità. L’ essere io significa stimarsi, Possedere la propria personalità e saperla coltivarla, giorno dopo giorno coltiva do i suoi frutti con i loro benefici, questi sono gli obbiettivi che dobbiamo aspirare e una volta raggiunti Sapremo dimostrare quanto noi veramente voliamo. 42
Guiducci Roberto BANDIERE Bandiera gialla e bandiera blu vorrei ballare nel mare dei tuoi occhi NATURA VIGILE Sembrava una foglia invece era una multa
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Grilli Elvio E TLE SACÓČ … EL CIÉL <T’arcónt na bèla stòria, nipót mia …> M’ha dit mi nòna pròpi in punt de mòrt : < Purtròp anca s’in vòj, tòca gì via, prò te ninìn en piàgna, fa ch’si fòrt ! Le védi su tél ciél cle nuvulét? Cle biànc,cle più ligér … le pécurèl ? Che pèrne tut in fila … stan strét strét, che pòrtne l’acqua, dične, a catinèl !? Più j’òmin fan el mèl dentra ste mónd, più lóra piàjğne e fan i girotónd ! Ji vag malì, du c’è tu nòn ch’m’aspèta … per aiutèl un po’ … tna nuvuléta ! > È più d’vent’an urmèi che quànd tél ciél c’è l ‘èria ch’pòrta a spas le pécurèl, ne chiàp un po’ per métla tle sacòč … nuvól e vènt insiém … sa tut le vóč e pòrt sempre sa me un po’ de ciél !
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E NELLE TASCHE IL CIELO < Ti racconto una bella storia, nipote mio …> Mi ha detto mia nonna proprio in punto di morte: < Purtroppo anche se non voglio, debbo andare via, però tu piccolo non piangere, vedi d’esser forte ! Le vedi su nel cielo quelle nuvolette? Quelle bianche, quelle più leggere … le pecorelle? Che sembrano tutte in fila … stanno strette strette, che portano l’acqua, dicono, a catinelle!? Più gli uomini fanno il male in questo mondo, più loro piangono e fanno i girotondo ! Io vado lì, dove c’è tuo nonno che mi aspetta … per aiutarlo un po’ … in una nuvoletta! > Son più di vent’anni oramai che quando in cielo c’è l’aria che porta a spasso le pecorelle, ne prendo un poco per metterla nelle tasche, nuvole e vento assieme … con tutte le voci … e porto sempre con me un po’ di cielo !!
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LA NÓSTALGÌA E cum la nébia … piàn piàn s’alśa ala sera… te chiàpa al’impruvìs sal gròp tla góla, la nóstalgìa de quél ch’è stèt ... cum era ... te sòfoca i pensiér e la paròla! Te prènd adòs na gran malincunìa, el tèmp è git tròp fòrt, è vulèt via: la gióventù, t’apèr che fussa iér … invéč s’è persa ti an e ti pensiér! Tut i mumènt che ancóra èn s’èn sbiadìti tun cantuncìn del còr èn custodìti … e quant te senti giù, de tant in tant te vién la nóstalgìa … sai rimpiànt! Prò … chi ricòrd che sciòjne i sentimènt … èn dolci dolci ... en le caréś pla mènt!
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LA NOSTALGIA E come la nebbia ... piano piano arriva di sera ... ti prende all’improvviso col groppo in gola, la nostalgia di quello che è stato ... com’era ... ti soffoca i pensieri e le parole! E sopraggiunge una gran malinconia, il tempo è andato troppo forte, è volato via: la gioventu, ti sembra come fosse ieri ... invece si è persa negli anni e nelle preoccupazioni! Tutti i momenti che ancora non si sono sbiaditi in un angolino del cuore sono custoditi ... e quando ti senti giù, ogni tanto ti viene la nostalgia ... coi rimpianti! Però ...quei ricordi ce sciolgono i sentimenti ... sono dolci dolci ... sono carezze per la mente!
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Ist. Compr. di Coriano di Rimini LA PISTA (Fabiola) Una lastra di ghiaccio davanti a me lucida,bianca,candida. Mi avvicino ansiosa,emozionata,impaurita è il mio turno..forse.. Sento voci di bambini festanti, pettegolezzi degli adulti divertiti e una soave musica di sottofondo. Salgo in pista gioia in vista!
NATURA AUTUNNALE (Filippo) Colline in lontananza foglie gialle in ogni dove muschio ed erba in ogni stanza. Una torre antica, nascosta dall’edera e dall’ortica, si erge sulla terra nera . La nebbia è attraversata dal sole, fredda, affascinante e intoccabile va dove vuole. La tranquillità qui non manca sembra un paradiso terrestre che mai mi stanca. 48
Armonia di odori armonia di luci armonia di colori.
MERCATINI DI NATALE (Siria) Il Natale è vicino e io salgo a San Marino qui ci sono i mercatini ricchi di gioie e regalini. Sotto un grande tendone c’è Babbo Natale con dolci e addobbi che fanno illuminare gli occhi. Gente si affretta in ogni dove per acquisti e cose nuove. Natale sta arrivando e io lo sento già cantando.
NATALE È (Rebecca) Natale è un mercatino di cosa buone, persone che si vogliono bene, regali e doni per tutti. Natale è un gruppo di bimbi che giocano intorno all’albero 49
spenzieratezza e allegria, contentezza e letizia. Questo è per me il Natale... NATALE DI COLORI E SENTIMENTI (Angelica) Mi affaccio alla finestra osservo attorno a me che belle luci! rosse, gialle e blu’ multicolori I terrazzi si accendono e si spengono e cambiano il colore sembrano quasi rincorrersi. Silenzio solo silenzio la neve scende giù.. bianco e’ il mondo poche macchine sfrecciano altre sbattono sportelli rumori di lamiere nemmeno una voce scende la notte nero il cielo su di noi. E’ arrivata la viglia di Natale una festa di immagini colori sentimenti!
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INVERNO (Alice) E’ arrivato l’inverno gelido,freddo,improvviso. Tutto il mio paese si accascia come un vecchio stanco e anche la notte non é più tranquilla. Ululati di lupi nel buio profondo della notte. Il mio cuore si gela ma non si scongelerà da solo. RIENTRO (Gabriele) Luci gialle,rosse,verdi e blu metton gran gioia da vicino e da lontano ancor di più. E’ sera e salgo le scale di casa, in sottofondo il rumore delle macchine che sfrecciano mi sfasa. Mi giro di scatto tanto che sembro un matto, vedo un bagliore accecante che sparisce,quasi all’istante. Giro la chiave ed entro in casa: tutta la stanza è invasa, buio e silenzio mi avvolgono: ed inizio ad avere paura… 51
Incen Maury NINNA NANNA MUSICALE È finita la giornata la città s’è addormentata e per chiudere gli occhietti suonan tutti gli strumenti! C’è il triangolo piccino suona a trillo di bambino come goccia in una grotta o la pioggia quando sboccia. S’addormenta la chitarra con la sua voce di Spagna con sei corde assai sottili canta morbidi motivi. C’è il tamburo che percosso oggi ha corso a più non posso ma la pelle ormai rilassa, dorme il piatto con la cassa. Poi trombone, tuba e corno col fagotto loro nonno si raccontano le fiabe con le ance un po’ impastate. Il violino si stiracchia con l’archetto che lo gratta poi riposa un po’ le chiavi tra sbadigli acuti e gravi. Sono tutti ormai assopiti, Gli strumenti e gli spartiti. bacia tutti il pianoforte, dolce orchestra, buonanotte. COME SI FANNO LE RIME Qui ti insegno a far le rime: è un po’ arduo sulle prime! 52
È cercar parola esatta da incastrare dopo un’altra! Le parole già son belle, ma qui han da esser gemelle tutt’al più anche imparentate attenzione, mai inventate! Se cominci tu con “cane” suonerebbero un po’ strane le parole in -ene e -one non puoi dir che mangia il… “pone”! Stesse sillabe e sostanza, così ottieni un’assonanza! Che sarebbe quando in breve metti due parole insieme che non terminano uguale ma hanno un suono congeniale. Soprattutto presta orecchio rime e musica a braccetto! Hai sentito le canzoni? Sono rime, ritmi e suoni! Non è un caso che anche al mondo tutto rimi, infatti è tondo! Anche se poi cogli un fiore non ne sentirai l’odore? Ci son rime anche un po’ brutte, che si trema a dirle tutte! Pensa un po’ ai film dell’orrore che fan rima con l’amore o alla dolce e calda terra devastata dalla guerra! Ma coi versi, questo è il bello, tu sei il re del tuo castello! Bastan foglio, penna e via! Sarai tu la tua poesia! 53
Latini Luciana PIOVE LUCE Piove luce asciutta e rada sulla geometrica distesa di stelle illuminate a giorno. Taglia in due lo sguardo la campitura di bosco a lambire fiera come di calicanto in fiore lâ&#x20AC;&#x2122;insolente giallo. Sfrontata è lâ&#x20AC;&#x2122;estate e questa aria di fine maggio che morbida lenisce i mali, cauterizza imperfezioni, accende i sogni, nasconde le ombre. Basterebbe poi allargare le braccia nel fiore della sera per allungare il giorno dentro un eterno crepuscolo di dolci nenie nei cuori di rondini, di mille lucciole a punteggiare il buio. E bere questi colori impazziti.
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RUDERI Il dramma rude della pietra antica lavato via da questa pioggia fuori tempo erode l’anima annullando ogni pensiero. E ti dimentico perché nulla ora posso. E ti annullo perché nulla ora devo. La luce glabra del maggio implume mi sorprende senza spine al fianco. Nei passi attesi solo inutili cammini e voli planari con addosso ali fradice. Riempiro’ queste rughe lente di orizzonti gentili. Di nube in nube si abbasserà il mio cielo fino al dito che umile aspetta il tocco.
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Mandia Giuseppe IN UN GIORNO DI DONNA Consegna l’alba al nascere del giorno le sue vele porta con sé ancora qualche ricordo di faccende prossime, rimandati sospiri; nudo il cielo tra le case non nasconde la sua bellezza. È donna, mamma e sposa, pensiero, amore e gioia colei che conta le ultime ancore di sonno mentre il bimbo adorato nell’altra stanza astuto già ripassa il suo programma di richieste giornaliere. Recide la virgola dell’ora un trillo ispido, impietoso. È un gioco di frontiera questa nuova partita, mai t’abbandona il sorriso che dolce si ripara nella conchiglia del tuo viso. Strattona la fretta ringhiante del traffico auto, clacson, centimetri da conquistare nel giornaliero porto vorticoso che però non riesce a scolorare la luce che ti danza sulla pelle; né ti velano gli angolosi tracciati del lavoro a braccetto con mani e occhi e voci che spesso del mare non hanno il colore vero. Ancora voli tra le spiagge disallineate del tempo palestra, catechismo, compiti da verificare fino a quando si nasconde l’orizzonte della fatica. Stemperano le prime rughe giovani una carezza calda amica, un palpito, un fermento. Domani germoglierà un altro passo di destino. Resterai multiforme incanto. Donna. Muliebre eco di vento.
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MORIRE IN UN GIORNO DI FESTA (a G. G. e G. L. morti sul lavoro il giorno di Pasqua) Non fa festa la morte. Non conosce fermate né ricorrenze. Con proditorio spregio ghermisce braccia, gambe, sogni, destini ogni dì scegliendo la più subdola via per colpire. Ha sembianze di macchine, cavi elettrici, cisterne, tettoie, pozzi, impalcature. S’insinua tra rifugi di buone intenzioni e protocolli da approvare; faldoni da timbrare e organizzazioni da verificare; fogli e intenti spersi tra le caligini di un tempo che non conosce tempo. Sbeffeggia leggi che non vincono il suo passo lente lente riflettendo su come e quando iniziare la corsa per la vita, per il divenire. Eppure voi invece repentinamente avevate agito il vessillo della sicurezza alzato lasciando in fretta visi gioiosi la corte di affetti, la tavola colma di abbracci in quell’ultimo scampolo di aprile che avreste respirato. È successo in un attimo. Come deve esser stato atroce così morire. Un’anomalia quell’esplosione. È inaccettabile. Lo avevamo detto noi che… Un coro di voci stampate nel quotidiano che riporta morte. Disomogeneo impotente esercito di parole nel rotocalco furioso della morte. 57
E non rivedranno piĂš queste due giuste anime la curva morbida abbracciante di un tramonto il verde vigoroso di un prato in primavera lâ&#x20AC;&#x2122;eleganza di un cigno che dispiega le sue ali il sorriso birichino di un bambino. Si leva un pianto allucinato uno strazio che pesca nellâ&#x20AC;&#x2122;amore le sue reti mentre una pletora di giacche ben portate promette giustizia e fine di dolori. Di lĂ da questi forse altri due occhi stanno rimanendo orfani.
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Mariani Laura MARE Sento le onde infrangersi sulla battigia: aspetto…… Mi ha detto che arriverà l’onda che mi farà volare e vibrare nel suo gorgoglìo silenzioso, dove tutto è tutto e niente nello stesso momento, dove il silenzio assordante entrerà in me, portandomi in luoghi dove non sono mai stato, ma che ogni volta che ti ritrovo è un piacevole ritorno PENSIERI Disegni con la mano spostando le nuvole come su una tela intonsa, squarci nella tela come nell’anima, rivelando l’azzurro che è dentro di noi e che stenta ad uscire Potenza dell’amore.
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Mencarelli Patrizia CICLI E RICICLI la veste gettata nel sacco di rose fiorita e di viole rinasce a vita nuova quando una bimba emaciata con occhi tristi cresciuta la indossa nei campi d’oriente il vello grigio di lupo che ornò il cappotto di moda riscalda ancora l’inverno di un senzatetto d’Europa PRIMA ELEMENTARE Gesù Bambino che fino a ieri correva e sedeva solo se era stanco ora è inchiodato, mento sul banco immolato alla programmazione già pensa che la scuola è come Aushwitz dove si è liberi ma di lavorare già controlla l’agenda per giocare tana liberi tutti nascondino
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Palanca Orietta GAME OVER Dicono che è bello se...dura poco se si è in due ... io e te . Abbiamo giocato . Ho lasciato lì un po’ di me . Hai lasciato qui un po’ di te . Game over Shhh 4.33 UN BACIO (l’ultimo? ) Le mie labbra. Baciale ancora. Sono un caldo abbraccio per la tua bocca. Non sfiorarle solo. Sii gentilmente prepotente come tu sai fare . Io e te senza respiro gli occhi persi nei tuoi, passione e vergogna per questo nettare rubato. Ingoio con te alchimiche essenze. Null’altro tra di noi senza illusioni o delusioni Ti mordo le labbra, mi bevi l anima. Se è l ultimo bacio... che sia infinito come questa brevissima e interminabile notte. 61
Palombo Ida IL NUOVO ULISSE Un uomo comune un giovane che non invecchia un vecchio sempre giovane un eroe senza tempo… Sei il nuovo Ulisse, capace di sognare anche quando i sogni scompaiono calpestati dai passi di una realtà incerta. Un uomo che crede, ama e spera, viaggia e si appassiona incontro all’amore e alla sua Itaca perduta: LA SUA VERA VITA da conquistare ad ogni respiro, in ogni tempo, tra onde placide e impervie tempeste. Ulisse… Nessuno credeva che l’avresti raggiunta: non Polifemo che di te voleva nutrirsi, né le sirene che con il loro suadente canto volevano persuaderti ad esser loro diletto. Ma nel cuore c’era Penelope, tua sposa e nella mente Telemaco, tuo figlio, ed entrambi erano nelle tue viscere, prigionieri dei Proci. 62
Così avesti il coraggio di sciogliere le vele per ogni nuovo giorno che scorreva, usando la scaltrezza per un’ora e la Verità… per una vita intera. LA BALLATA DEI QUATTRO REGNANTI Udite…udite: a voi che ascoltate non lo nascondo… Io, menestrella incantata, da sempre attirata e dal mistero del tempo trasfigurata, fu il primo giorno dell’anno che lo sguardo levando, verso l’orologio e il suo quadrante, scoprii il celato volto del primo regnante… Di femmina si tratta, il suo nome è Primavera, infanzia pura, creata, che emerge da una sfera, dal ventre della terra, di speranza madre ella è sbocciata, la più giovane e bella, tra le sorelle è amata… Oh dolcissima Primavera, infanta incoronata di luci e colori, 63
fiori e profumi, di canti e usignoli… Rivesti la terra arrotondata mentre la luna sorride allo sbocciar di te neonata… ch’ ella come sua figlia sempre ha desiderata. Dietro, dopo di lei avanza Estate, regina adolescente, sirenetta disobbediente, appare dalle onde spumeggiante: ha bionde trecce inanellate di spighe e lucenti girasol son indorate… La giovinetta cavalca i campi pronti per la trebbiatura, tra capricci frivoli e illusioni stellate… Oh Estate… da sempre ti ricercan le anime innamorate dal caldo desio d’amor incatenate. Poi vien re Autunno di foglie e bacche scarlatto e dai colori accesi come fosse Bacco… Oh Autunno saggio… che mesci il vino rosso e il fuoco alimenti, al camin ove ti accendi… Nostalgia dove abitar è l’unico luogo 64
che al cuor che non s’arrende dai riposo. Infine ecco re Inverno, vecchio e bambino insieme: con la barba di neve ammanta il tempo e nel vento gelido ogni desio nasce dal suo tormento… e se tormenta giunge di neve e ghiaccio con la bufera desiderai carpir la sua figura per una vita intera. Volto che immaginai freddo e imponente come vento siberiano che soffia da ponente… Ma se all’aurora Il sole sorge e giace a oriente che sarà del destino dell’uomo che se ne va dormiente? Oh Inverno… che ispiri il mistero della rinascita infinita… ti prego che a rimirar te la mia non sia finita: ma che perpetua… Ricominci Vita.
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Paolini Roberta L’INNOVAZIONE Un giorno un bimbo seduto su un muretto mi chiede: “ Tu mi sai spiegare cos’è l’innovazione?” Ed io a una richiesta così inaspettata comincio a meditare fitto fitto. Innovazione….. Innovazione, è l’immaginazione, è la sperimentazione, è l’ispirazione……. è capire gli errori del passato, è creare opportunità, è condivisione, è capire i punti di vista degli altri. Poi d’improvviso accade…… ritrovi qualcosa che hai dimenticato per anni negli angoli più remoti della tua anima e lo trasformi a nuova vita, così anche le idee che all’inizio ti sembravano più assurde in un momento inaspettato trovano realizzazione. Bimbo, Tu sei il figlio del futuro che verrà.
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I COLORI DELL’ALBA Svegliarsi a un nuovo giorno, svegliarsi a una nuova alba, svegliarsi a una nuova vita, semplicemente svegliarsi e accorgersi che qualcosa è cambiato, che in fondo al buio c’è una luce fioca, che finalmente il mondo è mutato che all’improvviso la vita non è più brutta e nera come il peccato.
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Patonico Franco AYERS ROCK Ah, potessi ritorrnar tra quei silenzi a respirar l’odore della terra e dello spinifex in fiore! Tornar laggiù, dove il divino è sotto i piedi e si eleva fino al sole; dove selvaggia è pure l’aria e di fuoco il vento. Terra, lontana terra, dalle albe e dai tramonti mai uguali, da te io tornerei per amor della natura e per la pace. Sulla marna rossa calpesterò le orme di quell’uomo scalzo, ritto in attesa e il piede sul ginocchio scarno. Lo rivedrò al morir del giorno, quando ascolta e tace e al clamidosauro contende lo scorpione. Col palmo bianco, della mano nera, reggerà la luna e ad occhi chiusi 68
un assorto e religioso mugolio. Andrà poi incontro al sogno ancestrale: parlerà al cielo e chiederà alle stelle d’accompagnarmi al mare. Io, vagabondo, guadagnerò la riva, l’oceano verde e la voglia di tornare.
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Pierandrei Patrizia LA MAGIA DEI SOGNI Nella sera si addormenta il corpo, ma si sveglia la mente al dolce richiamo dell’amico, che ci tende la mano, per ritornare alla dimora in una riposante alcova. Sogni magici d’amore sono i ricami nel cuore, dove alberga il tesoro di una passione con decoro. I desideri riprendono la vita, che aspettava l’avvio di un momento senza addio. I baci e le carezze , che animano il silenzio di fuoco, riaccendono il sentimento con lingue istintive. Ci tocchiamo nel centro della vita, sperando di rimanere attaccati per sempre nell’amplesso dei nostri bisogni affettivi. Nei nostri sogni la notte dura in eterno, nell’attesa di un risveglio fraterno con la venuta di una bella sorpresa, che faccia ritornare la ripresa della nostra esistenza in attesa.
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CANTASTORIE Nelle giornate passate a ricordare il tempo vissuto da indossare, si stampa nella memoria un segno della nostalgia della storia. Ricordi appannati di fumo, che ci hanno lasciato lâ&#x20AC;&#x2122;odore di una esperienza con il sapore di una sostanza speciale, che ora ritorna per il piacere di volerla rivedere. La storia non ci abbandona mai, seguendo il nostro cammino, ci trova in ogni angolo di una strada a spigolo nella porta di ogni singolo. Attaccata alla nostra persona, mai ci fa una brutta canzone, perchĂŠ ce la trasciniamo sulle spalle e ci si affeziona come anime gemelle, che ci intonano le melodie di ritmi vivaci con armonie, che accompagnano il divenire del nostro fugace avvenire.
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Polidori Marco ARIA... va in altalena sul ramo la foglia sospinta dal vento, sopra formiche indaffarate e lucertole disperate in cerca di code spezzate. Aria, scintilla di vita che sposta le cose...sconvolge le strade mentre fa sbocciare le rose, muove i capelli di mamme e bambine, farcisce di polvere case e vetrine...entra nei polmoni, accarezza le guance, sfiora le mani, bacia i cuori. Aria...respiro quieto della terra, emozione divina che alza il sole verso il cielo ogni santa mattina. Aria...su di noi... che seduti ai bordi della nostra esistenza...ci lasciamo ondeggiare lâ&#x20AC;&#x2122;anima e la carne nella sua trasparente e vitale potenza. Aria.
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NON HO PAURA DELLA MORTE.... Ed io...che rido sotto il cielo, che parlo con i fiori e le castagne...dovrei temer quella donnina in vesti nere con le sue nefaste lagne? Mi vien da ridere, cosa puoi tu vecchia becera contro di me, tu...che non sorridi mai, che glabre hai le braccia e il cuore, che non t’emozioni, che a stento resti in piedi...che hai scelto d’odorar d’incenso e terra...niente puoi contro di me...che ho pelle rossa e mani piene di gioia e caramelle. Ed io...dovrei aver paura della morte e di udir lo stridio funereo delle sue oscure porte? Mi vien da ridere...mentre in silenzio stringo forte forte tra le dita...il battito pulsante del cuore d’ogni vita. Ed io...dovrei aver paura della morte?
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Prediletto Vincenzo ADDIU SIRACUSA! In viaggiu pi mari a ciccari ‘na nova patria… Sulla rotta mediterranea Zancle-Sybaris-TarantumAnkòn! ‘Na notti stillata di menza estati - du luntanu 387 prima di Christu – un manipulu di arditi marinai dorici siracusani, miscati cu’ autri mircanti, pasturi, cuntadini, artigiani e trafficanti pi’ mari e terri luntani, ( comu succedi ancora oggi ‘nto “mare nostrum” sporcu di sangu ) rabbiusi, sfiniti e scuntenti di soprusi, anghirii e privazziuni d’ogni geniri pi curpa du crudeli Dionisiu, signuri e tirannu da’ splendida Siracusa, approfittannu cu’ furtuna da scarsa suvvighianza e du’ cambiu di guardia a presidiu d’Ortigia, lassau rapidamenti u’ portu i’ Siracusa, patria futura du’ miticu Archimede, dopu aviri riempitu furtivamenti d’ogni bbeni ‘i Ddiu un’enormi navi quadriremi, stracarica di armi, viviri, vasillami, anfuri preziusi di granu e bummuli ‘i vinu russu siculu, senza abbandunari i propri fimmini e mugghieri, quacchi cavaddu e quacchi sceccu. Puru si cu’ cori in frantumi, cunfidannu ‘nta binivolenza di Zeus e ‘nta infinita prutiziuni di Poseidoni, diu e sovranu di tutti i mari, spiranzusi di fottùna e incuraggiati do’ cumannanti, suprannuminatu Falcòn Diamantis, drizzarunu ‘a prua sagumata d’un terribili rostru ‘i 74
falcu - cu ‘ favuri du’ sciroccu- versu l’acqui omerichi du Strittu, pi fari ‘na tappa salutari a Zanclòn (Zancle Messene). Sfidannu l’ira di Eulu,diu di venti furiusi e stannu a larga dai vortici risucchianti da’ fata Morgana, sfuggirunu puru – comu ‘u scattru Ulisse – i canti ammalianti di sinuosi sireni appustati tra Scilla e Cariddi; accussì dopu du simani tuccarunu terra ‘nto portu riparatu e caru agli dei a fomma di falce da’ nobbili città greca di Zancle (Messene). Ripusatisi quacchi ionnu e strasaziatisi cu favi, tunnacchioli, piscispada, custaddelli, babbaluci ,fichi ,focacce e gustusi vini ‘ill’Etna e zibibbu du’ Faru Piloru, ‘nta fortezza suvvigghiata dai fidati e ospitali Mamertini, decisuru e giurarunu tutti chi ‘u loru viaggiu sarebbe finitu sulu quannu avissiru truvatu un portu naturali ampiu e sicuru, simili a chistu ‘i Missina. Gustannu a pulmuni chini n’aria supraffina di zagara e gelsuminu, rimarunu a tutta fozza di notti e di ionnu, superarunu Riggiu calabra e risalirunu l’Ioniu d’alghi profumatu, salutarunu sutta costa Locri Epizefiri, Sybaris,Kroton, patria di Pitagura, Metapontu, opulenti e famusi città di Magna Grecia, e pi’ ultima la putenti Tarantu (Taras la chiamarunu 75
i Greci). Appena superatu Capu S. Maria ‘i Leuca, comu richiamati dintra ‘o cori da vuci materna, mirannu sempri in celu ‘a stidda pulari alla ricerca di ‘na nova patria, sprintarunu a mo’ di delfini guizzanti ‘ntra l’ondi placidi di l’Adriaticu , a tutti scunusciutu. ‘Na sira, strimati da’ fatica , incantati stettiru ‘na bedda ‘nticchia pi nuvuli russi du’ duci tramontu, accussi accostarunu a’ un promontoriu copertu da un fittu mantellu viddi di albiri e arbusti, senza torri, senza fari, senza muri e senza casi, un postu chi paria disabitatu, tranquillu, accuglienti, cu un celu chinu di rondini, gabbiani, farfalli e puntinatu da lucciole super lucenti, mentri ‘a vuci amica du’ mari un invitu magicu parìa a sbarcari ‘nta ‘dda costa baciata d’azzurru. A’ un cettu puntu, u cumannanti, in pedi rittu davanti a prua, abbagliatu da biddizza du paisaggiu, ‘e cumpagni rimaturi e a tutti i marinai cu’ l’occhi spiritati ‘sti paroli rivugghìu: “ Uora ‘i me’ occhi – comu vidu ‘i vostri – incantati sunnu da ‘stu mari blu tucchinu trasparenti e di pisci chinu e da sti corbezzoli profumati (du’ Coniru) chi ‘u cori tuttu ricrìanu. Chi meravigghia, chi paci, chi splinduri, accà pi sempri si stabilisci ‘a nostra stirpi, scinnemu, scinnemu prestu, cumpagni e fratelli di tanti avvinturi, accà costruemu casi, rocchi e castelli, 76
accà ‘pizzamu ‘a nostra bannera dorica! Ringraziamu Zeus generosu e Poseidoni nostru prutitturi, baciamu l’aria, l’acqua e ‘sta terra, accà ‘a nostra libbettà ritroveremu, accà vita prenderà ‘u sognu di funnari l’ultima città dorica da’ Magna Grecia. Iò, comu a tutti vui, Doricu Siracusanu nascìa e sugnu, ma ora ccà protettu du’ Coniru mi femmu e bedda comu a Siracusa e Missina Ankòn iò ti funnu”. ADDIO SIRACUSA! In viaggio per mare a cercare una nuova patria… (Sulla rotta mediterranea Messina- Sibari – Taranto – Ancona Racconto epico dedicato – per il suo 2405 anniversario - ad Ancona Dorica, ultima colonia greca sull’Adriatico fondata dai Siracusani Dorici nel 387 a. c.) Una notte stellata di mezza estate – di un lontano 387 prima di Cristo – un manipolo di arditi marinai dorici siracusani, mescolati con altri mercanti, pastori, artigiani, contadini e trafficanti per mari e terre lontane, ( come succede ancora oggi nel Mediterraneo sporco di sangue…) rabbiosi, sfiniti e scontenti dei soprusi, delle angherie e privazioni d’ogni genere per colpa del crudele Dionisio, signore e tiranno della splendida Siracusa, approfittando con fortuna della scarsa sorveglianza 77
e del cambio di guardia a presidio d’Ortigia, abbandonò rapidamente il porto di Siracusa, patria futura del mitico Archimede, dopo aver riempito d’ogni ben di Dio un’enorme nave quadrireme, stracarica di armi, vasellame, viveri, preziose anfore di grano ed orci di vino rosso siculo, senza dimenticare a terra le proprie donne, mogli e figli, qualche cavallo, un paio di mucche e capre e qualche asinello. Sebbene col cuore in frantumi, confidando nella benevolenza di Zeus (Giove) e nell’infinita protezione di Poseidone (Nettuno), dio e sovrano di tutti i mari, speranzosi nella dea fortuna e incoraggiati dal comandante, soprannominato Falcòn Diamantis, indirizzarono la prua sagomata con un terribile rostro di falco – col favore dello scirocco – verso le acque omeriche dello Stretto, per fare una tappa di ristoro a Zanclòn (Zancle Messene). Sfidando l’ira di Eolo, dio di venti furiosi e stando alla larga dai vortici risucchianti della Fata Morgana, riuscirono ad eludere perfino – come l’astuto Ulisse – i canti ammalianti delle sensuali sirene appostate tra Scilla e Cariddi. Sicchè dopo due settimane toccarono terra nel porto riparato e caro agli dei a forma di falce della nobile città greca, detta appunto Zancle (Messene). Dopo essersi riposati per qualche giorno ed aver 78
placato la fame rifocillandosi ben bene con fave, piccoli tonni, pescespada, costardelle (aguglie), lumache, fichi, focacce, mandorle e pistacchi e tracannando gustosi vini dell’Etna e zibibbo di Faro Peloro, nella fortezza sorvegliata dai fidati ed ospitali Messeni decisero e giurarono tutti che il loro viaggio sarebbe terminato solo quando avessero trovato un porto naturale ampio e sicuro, simile a questo di Zancle (Messina). Gustando a pieni polmoni un’aria sopraffina di zagara e gelsomino, remarono con tutte le loro forze di notte e di giorno, superarono Reggio calabra e risalirono l’Ionio d’alghe profumato, salutarono sotto costa Locri Epizefiri, Sibari, Crotone, patria di Pitagora, Metaponto, opulente e famose città della Magna Grecia, e per ultima la potente Taranto (Taras la chiamarono i Greci). Non appena oltrepassato Capo S. Maria di Leuca, come richiamati dentro il cuore dalla voce materna, seguendo sempre in cielo la stella polare alla ricerca di una nuova patria, sprintarono a guisa di guizzanti delfini tra le placide onde dell’Adriatico, a tutti sconosciuto. Una sera- vigilia di Natale -, stremati dalla fatica, incantati rimasero un bel po’ per le rosse nuvole di un dolce tramonto, sicchè accostarono ad un promontorio coperto da un fitto mantello verde di alberi ed arbusti, senza torri, senza fari, senza muri e senza case, 79
un posto che sembrava disabitato, tranquillo, accogliente, con un cielo affollato di rondini, gabbiani, farfalle e punteggiato da lucciole super lucenti, mentre la voce amica del mare un invito magico pareva a sbarcare in quella costa baciata d’azzurro. Ad un certo punto, il comandante, in piedi dritto davanti alla prua, affascinato dalla bellezza del paesaggio, ai compagni rematori e a tutti i marinai con gli occhi spiritati queste parole rivolse: “Adesso i miei occhi – così come noto i vostri – incantati sono da questo mare blu turchino trasparente e di pesci strapieno e da questi corbezzoli profumati ( del Conero) che il cuore intero deliziano. Che meraviglia, che pace, che splendore! Qui per sempre si stabilisce la nostra stirpe, scendiamo, scendiamo subito, compagni e fratelli di tante avventure, qui costruiremo case, rocche e castelli, qui infilziamo la nostra bandiera dorica! Ringraziamo Zeus generoso e Poseidone nostro protettore, baciamo l’aria, l’acqua e questa terra, qui la nostra libertà ritroveremo, qui vita prenderà il sogno di fondare l’ultima città dorica della Magna Grecia! Io, come tutti voi, Dorico Siracusano sono nato e sono, ma ora qui protetto dal Conero mi fermo e bella come Siracusa e Messina Ancona io ti fondo! “ 80
DOLCE PAESAGGIO MARCHIGIANO Una musica lieve riscalda l’aria. La natura incantata innalza alberi di cupo verde. Le dolci distese di grano, quasi pronto per la trebbiatura, sono punteggiate qua e là da vigorosi ed appaganti girasoli. Nei campi baciati dalla tarda primavera si ravvivano gli accesi colori dei rossi papaveri, tra il brulichio indaffarato di minuscole presenze. Percorro l’assolato sentiero, un po’ stordito dall’assordante frastuono di invadenti cicale. Laggiù tra i vuoti casolari, scorgo stupìto quei monti azzurri dissolti nella nebbia. Vorrei che il tempo finisse qui la sua corsa, qui dove posso trovare ancora un po’ di pace e… tanta poesia.
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Renelli Adriana BUONA NOTTE Non spostare il confine del mio sonno Quel tuo fianco disteso Come un Appennino O una cordigliera delle Ande A separarmi dalla ignota Notte. Sopra di me le stelle immaginate Mi aiuteranno nella traversata E mi apriranno la strada. Oppure no. Andrò ad occhi chiusi Se ci sarà il tuo fianco Ad evitarmi la deriva. Sai c’è sempre qualcosa Di irrisolto Nel nostro presente Qualcosa di molto lontano Come una vecchia malattia Da guarire ogni giorno un po’ Che ci tiene vivi. Forse la nostalgia di quel tepore Appena fuori dal grembo Briciole d’amore cadute Per distrazione O l’assenza del robusto sostegno Ai nostri primi passi. Ma io so già Che se accostandomi appena Avrò la certezza di quel confine Io so già che sarà Una buona notte.
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IL VENTO Io non so se il vento sa di me Quando respiravo la vita Aspettando la vita. Io non so se nelle sue Corde arrochite Passa un’immagine O un sogno stracciato Un’umana certezza Se quel filo spinato Quella rabbia di strappi Gli porta ferite. Ma sento che anch’io sono vento Passata dolcezza Dolore e risentimento Vorrei tornare alla lucida calma Di un’alba tranquilla A quelle parole Scritte a mano ferma Per essere lette e rilette E mi accorgo che ogni sillaba E’ polvere fina che il vento Alza e trascina. E guardo i miei giorni dentro Uno specchio d’acqua Che basta un sasso A guastare nei suoi Cerchi confusi. Io non so se il tempo E’ passato davvero Se ogni cosa è stata vissuta O la vita Ristagna innocente Dentro il pensiero. 83
Renzi Erika 25 SETTEMBRE Assaporo il tuo profumo in silenzio, mentre dormi Ascolto il tuo respiro, attenta Osservo spaesata allo stesso tempo estasiata il tuo rincorrere cose nuove Spesso in disparte, resto e fotografo ogni istante del tuo essere in continuo mutamento La nostra storia scorre dentro un album di fotografie di viaggi, scoperte, emozioni Chiudo gli occhi e mi perdo nei pensieri negli sbalzi di umore negli ostacoli nelle nostre notti dâ&#x20AC;&#x2122;amore e fotografo, ogni istante per capire, correggere e vivere la mia vita accanto a te. BACIAMI Ti cerco tra le nuvole che cambiano forma Il vento scorre veloce e spazza via le cose ma non il ricordo che io ho di te. 84
Quanto sei lontana lo sanno le donne che passano accanto, mi sfiorano con lo sguardo, e capiscono che non c’è posto nel mio cuore. Vedo passanti mano nella mano Bocche si sfiorano e tu non ci sei. Un brivido percorre la schiena lo so che mi pensi che rabbia mi fai. Un pensiero mi sfiora il viso so che mi aspetti ed io arriverò. Baciami e stringimi forte non te ne andare come l’ultima volta. Baciami e fammi volare. Baciami e resta per sempre.
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Sabatini Dino L’ ANNUNCIAZIONE Camminavi per le strade d’Israele ed eri ancora tanto ragazzina, e Lui mandò l’Arcangelo Gabriele a parlare della mission divina. Poche son state le domande grande è stata la Tua bontà, con emozione e fede grande nell’ accettar la Sua volontà. Fu poi tanta la delusione con Giuseppe che aveva deciso, aveva trovato la soluzione per non esser dalla gente deriso. Ancor Lui fu costretto un nuovo Angelo a mandare, ad illuminare l’intelletto e nel sonno farlo poi sognare. Sublime era l’evento e si illuminò subito la mente, doveva esser contento che prescelto fu lui solamente. Presa allor la decisione del Bambino fu protettore, come fosse un’adozione con impegno e tanto amore. Così finì l’umana miseria con la nascita di Nostro Signore, è nato dalla Vergine Maria per diventare l’Eterno Salvatore.
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Stefano ‘ Snel ‘ Rovinelli EL CARNEVALÒN Aspetâmi ‘cla giurnâta già da tuta l’invernâta e la sveja è de bunòra per guardà se piov de fòra dop che avèn cumprât el palc preparâmi el catafàlc rivestimi la tribuna sal cartòn pres dalla bruna sai sachèt pini d’farina no tirâmi ‘na pastina propi sòta le custicc ma le dònn ‘sa le pelicc alle tre dop tre gran bòtt incminciàva un quarantòtt tuti pronti, tuti boni vai avanti Pacassoni e cminciâva un gran fracàss caramell giù dalle cass la cagnâra era tignina per el bacio perugina ‘sa la musica arabita la sugina è già partita el capòcia di gogliardi prim scalin era Berârdi l’ultim gir, la luminâria l’emusiòn era a mes’âria sa ‘cle luč in muvimènt tuta fan era un fermènt el furèst ch’era in trasferta armanèva a boca apèrta el trionfo di vulòn c’era tel carnevalòn 88
LA STÈLA PALASÌNA Ji m’arcórd che al pòrt de fan tra i sardón e un mòrs de pan giù da bas da le palât c’è el cantón d’le tre cagât Giulio che dič ma l’Armida èn sò più se piagna o rida cine e tele ancora en c’èn fòra e’ fred en se stà bèn Quindi per fòrsa magiòr c’arman sol da fâ l’amòr quel era un pasatèmp che ‘en costa gnènt prò se sà che c’èn le cunseguèns Un dietra l’altre èn nâti i palasin sin in diciót ades fen un casin erne diciót le stèl culór del miél qualcùn subit ha vlut a gi in tel ciél Quand l’arcònti ma chi vòi che la nonna ha diciót fiòj en ce credèn quest e’l fat ansi dicen che si mat L’ultima stèla la piu piculina ancora splend, ancora è la più blina tien dur ades en fâ la birichina brila più fòrt o stèla palasina
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Sambuchi Pietro CALA LA NOTTE Cala la notte il buio lo ingloba, si sente completo I suoi fantasmi cullano il suo sonno inquieto Ragazzo inconsueto, animo irrequieto All’alba è di nuovo incompleto Cammina perso tra la gente Vive in cerca dell’attimo che sia fuggente Ragazzo cadente, animo ardente Di notte i suoi fantasmi lo cullano dolcemente Parla con l’anima sua, tormentata Innamorato della vita sua, dannata Capisce tutto, telepatia Capisce il nulla, la solitudine e la fantasia Ogni notte chiede ai suoi demoni di portarlo via Questa non è la storia di tanti ma la mia Quel ragazzo sono io Non è lui che sta parlando ma il suo io.
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Saudelli Roberto TI CERCO Ti cerco perché mi manchi, ti cerco nei miei pensieri, ti cerco nei sorrisi della gente, nei loro sguardi, nelle ore che scorrono, nei silenzi, nella rabbia, nelle delusioni. Ti cerco in posti nuovi, nei posti che conosco, nelle ombre di tutti i giorni. Ti cerco anche se fa male, con forza, con la speranza di ritrovarti. Perché mi manchi.. ATTESA Dove sei, in questi giorni tutto crolla attorno a me, la notte i sogni si fanno realtà, diventano lacrime, affanni. Ferite che porterò dentro per sempre. Odio queste notti insonni, penso ai silenzi che mettiamo tra di noi, perché alla fine ognuno va per i fatti suoi, come due perfetti sconosciuti. Dove sei, mi chiedo se doveva finire così, perché adesso che ci siamo trovati sulla stessa strada, dopo una vita già a metà, vorrei stare sempre con te, ed amarti ogni giorno di più. Perché questa vita mi ricorda sempre quanto è bel92
lo amare senza perdersi più. Dove sei, ti cerco oltre il muro che ho costruito per nascondermi, un muro segreto vissuto come un tradimento. Ripenso a quanti sbagli fatti coscientemente perché in quell’attimo erano felicità, ripenso alle parole dette guardandoti negli occhi, e a tutte quelle che porto dentro, che non ti ho detto mai. Dove sei, In questo momento di attesa, io mi fermo ad aspettare te.. anche se l’attesa durerà tutta la vita.. perché dove vai tu, io sarò lì..
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Silvestrini Maria Pia ‘N GRICIUL Scriv,scriv ‘nti p.z.tin d’ carta, ntra i stradei, sui brecci, ‘nti taquin. Ch cuntentezza quant, ch l’ parol sgaspat da ‘l cor, èn mosaici d’ lapislazuli, perl pr.zios, culomb m.sager. Sa l’al guzat, s’ pos.n: su l’ vetrin, ‘nti m.rcatin, sguiln ‘nt l’ sacocc, nt’ la bibliutega Bruxelles èn rivat. Sa l’ doie l’ho parturit, com ‘l vento vol.n via, nun m’ par.n manch più l’ fiol mia. Sa l’armunia, purtaran ‘n griciul d’ puesia?
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BRIVIDO Scrivo, scrivo su pezzettini di carta, tra gli stradelli, sui sassi, nei libri. Che felicitĂ quando le parole dettate dal cuore, diventano mosaici di lapislazzoli, perle preziose, colombe messaggere. Aprono le ali, si posano: sulle vetrine, nei mercatini, scivolano nelle tasche, persino a Bruxelles sono arrivate. Con le doglie le ho partorite, come il vento volano via, non mi sembrano piĂš le mie figlie. Con lâ&#x20AC;&#x2122;armonia, porteranno un brivido di poesia?
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‘L CATORC Ch emuzion da cima ‘l stradon la porta scaturciata i pagni messi ha stend. Babb ch m’apariva e spariva, ntra n’ camp d’ spigh indurat e d’ papol rosc d’amor. Com m’ intrav.deva arturnava dal camp, sa ‘n capel d’ paia ch i cupriva ch la testa ingrigita. All’ombra d’l mor c’ndeva la pipa, Surrideva! ‘N tra chi anei d’ fum, i occhi sua e.r.n dò tizzi d’ fogh ch ‘m inc.diava d’amor ‘l cor. Ch ‘l fium in piena ‘m faceva sparì ogni pena. ‘ncora adè calca volta ‘m rampin su p.r ch’l stradon. ‘L capel d’ paia è tacat ‘n’t ‘n pal ‘l camp è ‘n desert, la porta è incartuciata ma io cunserv g.losament ch ‘l catorc.
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IL CATORCIO Che emozione in cima allo stradone, la porta aperta i panni stesi in balia del vento. Babbo che mi appariva e spariva fra un campo di spighe dorate e di papole rosse d’amore. Come mi intravedeva ritornava dal campo, con il cappello di paglia che le copriva la testa grigia. All’ombra del gelso accendeva la pipa. Sorrideva! Fra anelli di fumo i suoi occhi erano due tizzi di fuoco che mi incendiavano d’amore il cuore. Quel fiume in piena mi faceva sparire ogni pena. Anche adesso qualche volta ritorno alla casa paterna. Il cappello di paglia è attaccato ad un palo, il campo è un deserto, la porta è sbarrata, ma io conservo gelosamente quel catorcio.
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Simoncini Alessandra SPES ULTIMA DEA Speri sempre nel futuro, speri che sarà migliore del passato e del presente. Dovrai cancellare problemi,angoscia e ... ricordare solo attimi stupendi, pure illusioni, sogni. La realtà inganna, travolge come niente nel suo eterno andare. A volte sei distrutto, un’assenza nel mondo, vorresti esserlo per non soffrire. Ma ecco una gioia improvvisa e tu ancora speri, l’anima nell’inconscio ha giocato la sua parte.
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TEMPO DORATO Perché vieni a cercarmi nella notte con sogni incantati o giovinezza ? Sono felice e ... mi sento bella come non mai. Perché vieni furtiva età mia dolce, con ricordi leggeri a turbare i miei tardi anni? I miei pensieri or son grevi, l’effimero tempo che fu è un ricordo lontano, incerto e sfocato nelle nebbie del passato. Ma è sufficiente un sogno per sentirmi ancora là, in quel tempo dorato.
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Spezi Deanna IL METAURO Il Metauro corre svelto sotto il ponte dei Bensi chiacchierano le sue acque trasparenti cambiano forme e colore mentre saltellano tra i ciotoli ora in fuga ora distese ora inclinati scivoli per le foglie che si affidano alla sorte che le conduce. Le bacche della rosa canina punteggiano di rosso la scenografia autunnale e intanto il fiume rotola si insinua,narra disegna Storie le intreccia fra i giunchi le corregge le alimenta col vento le ravviva di margherite e tarassaco, tardi le commenta col vociare degli uccelli radunati nel pioppo nei colori del tramonto sul far della sera.
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I GABBIANI Laggiu’ con le onde,dondolano come barchette bianche di origami da un ‘altra prospettiva sono fiori di loto sbocciati a miriadi come nei canali di Delft piu ‘lontano di contro al cielo forse farfalle in viaggio verso l ‘infinito o un fiordo fiancheggiato di spuma in attesa della apparizione di Venere poi,poi... altro ancora i Gabbiani imprevedibili emozioni per il nostro immaginario.
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Spurio Lorenzo D’EUTERPE Caccio alla notte col bagliore irrido il vento che fruga ovunque e calpesto con onore funghi aciduli, le bacche pungono il piede candido lo rinvigoriscono sull’erica rossa che lo solletica e lo contorna. Ribes succhio con anelito orme lascio sull’acqua del rivo mentre la trota s’impenna allora la stuzzico e immergo il piede e lo sfioro graziosa. Il sole lo fa un pezzo d’argento. se il boscaiolo oltrepassa la via, scrollo la chioma e lo saluto il burbero non vede e taglia tutto se c’è Pan si diverte con gli scherzi più amari, legni addosso e tagli incauti su pelle, ossa e scarpe. Le mie sorelle hanno vesti colorate preferisco il cachi per abbracciare alberi e il verde ambrato per diluirmi con le felci, anche se il castoro mi vede. Corro anche se sto ferma e la poiana sollazza poco lontana da me, non c’è gabbia, io volo in ogni pianta e allungo la mano al cielo le cortecce mi donano un gilet quando la sera s’approssima allora rido e canto sull’orlo del fiume. 102
L’acqua si ridesta e lancio un sasso per vedere i cerchi concentrici che amo. Non mi specchio mai nell’acqua immagine sacrale e convinta di vie i coleotteri fan fila per dirmi il cammino l’arco mi protegge ma poco l’adopro e le libellule arricciano il mio crine, del cinghiale non temo le fauci. Grufolo con lui, a volte zirlo, armonia nel canto, l’ugola che scaldo pure la civetta par non resista e spesso chiede il bis, lo concedo sempre. Quando cerco il sole nella selva lui si presenta tra griglie verdi che respirano. Ambigua è la roccia che copre ottenebra il mio canto implorante e offusca la lira e i gorgheggi aulici. Infilzo l’arco nella terra più dura e compio il rito che necessita col pungitopo più irsuto e la betulla. S’ha da prevedere dove biforca e intingerla nell’humus e tra i funghi, brandire l’arbusto e due volte farlo girare. Urania conosce la formula del cielo, la platea tra allodole e castori s’ammalia e allieto col canto mio, d’Euterpe forma.
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STANZA 12 Ad Antonia Pozzi Tornerò nella stanza piccola, confetto d’antan tra pizzi e rassicurazioni di ieri che vivono tra i lembi dell’abitacolo. Respiro aria buona – di montagna-; si staglia come una vecchia nonna impetuosa e sicura, dinanzi a me. M’affaccio su quel pezzo di verde calma assoluta sotto un cielo pezzato, nuvole con strascichi di veli nunziali. Qui raccolgo il pensiero con sazietà, respiro con pienezza e calore sento d’intorno – tempo arreso e inoculato vivo in un decennio pregresso con sospiro pieno e beltà negli occhi imprimo l’aria della Grigna, i colori decisi, i margini amici, ingordo di requie boschiva e tregua piena di un percorso di ricerca. Saperti qui tra i vicoli stretti passeggiare lesta, beata dal sole è confluenza di acque sorelle, ti cerco davanti l’augusto palazzo, ma sei seduta in una roccia-panchina nel fitto di verde, corri con impeto a scattare immagini di vita che germina senza esser presa.
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Subotina Darya SOLE IN COMPRESSE Sole prendiamo noi in compresse. Tra le mura viviamo come in gabbia messi. I paesaggi vediamo dentro gli schermi vari ed ammiriamo gli stand pubblicitari. Nel piatto dell’insalata troviamo la verdura fresca. Per far una chiacchierata usiamo i chat diversi. I musei son il passato. L’attualità son le vetrine. L’aria è profumata dal puzzo di benzina. Da smog e malattie siamo circondati. Notizie negative ci rendono stressati. Liberi non siamo a desiderare. La natura in cui viviamo ormai sta per crollare. Ci manca soltanto staccare le stelle per mandare il mondo nel buio eterno. 106
Ma finché ci resta ciò che gli avi ci han lasciato, il sol in compresse sarà accettato. LA FARFALLA Stupenda e irreperibile, come un’attimo che vola! Una visione irripetibile: il brio delle ali molli! La dalia, come il sole gialla, ti attrae con tanta passione. Graziosa e bella farfalla, tu scendi piano verso il fiore. Sembri avvolta nella perfidia. O, forse, sospetti un’inganno? Voli intorno al pistillo, appena i petali toccando. Prudentemente lo corteggi e, sopra il fiore sfarfallando, il dolce nettare sorseggi, la spirotromba allungando. Il talismano dell’incostanza, il simbolo del tradimento, svanisci tu in un’istante per sempre o per un momento! O, forse, torno a percepire il tuo baleno improvviso... Il tuo tratto di stupire al sogno é così preciso! 107
Tanoni Daniele LA SEQUOIA ED IL BONSAI A certe cose puoi creder purché tu sia dotato di una certa spiccata fantasia; a quel punto anche immaginerai che una sequoia parli ad un bonsai. “Ehi, laggiù in fondo, piccoletto ma ti senti proprio un albero in quel vasetto? Se fossi un albero, una pianta vera non staresti da mattina a sera tranquillo dentro una calda abitazione come un divano o una televisione. Guarda me, degli alberi son il più alto da ogni enciclopedia messo in risalto sfido la pioggia, la neve, la tempesta Il tornado per me? Una mezza festa … Io albero posso esser chiamato non te che sembri uno scherzo del creato!” Se ancora un po’ di fantasia in te è riposta puoi ascoltar ora del bonsai qui la risposta: “Cara sequoia, che tu sia alta è un fatto a smentirlo sarei del tutto matto ma vedi, a questo modo non tutto è la misura ci sono altre cose di cui avere cura ed io son piccolino, questo è vero ma che sia un olivo, un ficus, un pero cerco di dare piacere a chi mi sta vicino chi mi tiene su un tavolo, chi su un comodino non vivo sopra i monti, nei parchi nazionali ma nelle case, anche le più normali e anche se la pioggia o il vento non posso mai sfidare 108
nĂŠ svettante da nessuno mi faccio ammirare sto tra gli uomini, nelle loro abitazioni ascolto le voci, osservo in silenzio tutte le azioni e ogni giorno, bello o brutto che esso sia mi piace fare a ciascuno compagnia e quando il tempo passa, anno dopo anno resto sempre lĂŹ, loro lo sanno, e li accompagno con le foglie e le radici per renderli un poco piĂš feliciâ&#x20AC;?.
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Centro socio educativo “Francesca” Sabina Mangani Valentina Fabrizzioli Luca Moretti Nicolò Guarnieri GUARDA LA LUNA Di notte guardo la luna su nel cielo stellato e vedo il mio viso più illuminato e nella sua falce mi sto a dondolare felice di sognare LA SERENATA Oh ragazza sincera e romantica dai capelli che profumano di biscotto il mio cuore è pieno di dolcezza e speranza. Oh mia adorata con questa serenata vorrei conquistare la tua anima turbata
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Tombi Michela LA QUERCIA E LA LUNA La quercia, la luna, tu ed io. Un solo corpo una sola anima. La notte dentro gli occhi il silenzio intorno. Molte ombre lontane fuori, nessuna paura dentro. Il canto del cuore risuonava dall’invisibile. L’arcano volo di una civetta amica sopra di noi, fu il segreto dono dell’oscurita’ innamorata di ciò che vibrava nell’aria. Un solo pensiero attraversava le nostre menti. Un solo sogno sosteneva la nostra volonta’. Lo stesso amore ci rendeva 111
immortali. E il sangue, rosso, che scorreva nelle vene era un fiume in piena che travolgeva la notte. Per troppa vita che scoppiava in petto come marea. Per troppa vita che morde insaziabile lâ&#x20AC;&#x2122;anima della poesia. IL CANTO SEGRETO DEGLI ALBERI Siete forza, saggezza, purezza, bellezza. Voi amate, proteggete, custodite, vi donate senza riserve. Noi ignoriamo, tagliamo, bruciamo, distruggiamo, ci autodistruggiamo. Impavidi guardiani nel gelo dellâ&#x20AC;&#x2122;inverno. 112
Quando la natura tutta dorme, si riposa, si rigenera. Come lo spirito segreto degli umani, il respiro occulto del profondo. Meravigliose oasi dâ&#x20AC;&#x2122;estate. Splendenti dipinti in autunno. Una tavolozza di magici colori si riversa su di voi. Poi torna la primavera.. Mi commuovo a guardare le vostre chiome in fiore. La speranza e lâ&#x20AC;&#x2122;armonia rinascono dentro la mia anima. Se gli uomini facessero come gli alberi.. La primavera tornerebbe anche nei loro cuori.
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Vagnini Luca IL LUPO Al mio fedele amico Orecchio Piegato Corse nei campi passeggiate al fiume seguendo le tracce dei miei fantasmi uomo e cane entrambi mannari ululavamo alla luna piena nella notte trasformandoci nelle nostre emozioni costantemente affamati dei comuni desideri ci scambiavamo coccole e carezze congiunti dal destino divisi dalla natura la candela piÚ luminosa prima si esaurisce ma la fiamma della nostra amicizia non si è spenta nelle tenebre la terra tra noi non basta a separarci insieme andiamo lontano lungo la strada spalle alla morte fianco a fianco 114
verso il tramonto per sempre uniti oltre l’orizzonte di questa vita che alla tua stregua nell’infinito si perde NOI SIAMO INFINITO Nella frizzante primavera nascosti nell’erba ci abbracciamo stretti tra fiori e lacrime il profumo della terra bagnata dalla pioggia di aprile accende le nostre anime come una scintilla divina L’estate dolce ci prende alle spalle non cicatrizza le ferite della nostra lotta adesso rimangono parole vuote come campi di grano a luglio solo i girasoli mi consolano sei il mio centro di gravità Il pensieroso autunno non spazza via tutto come foglie temerarie 115
i nostri cuori resistono al vento della passione alla pioggia di novembre come i passeri rimasti ci prepariamo al peggio Nell’inverno lungo il camino ci avvicina la neve ci avvolge in un attimo di candida magia poi senza trucco tutto svanisce e ti spegni a febbraio come si sfila una stella lasciandomi senza più desideri Ormai troppe lune senza te in questo mondo così lontano con la speranza tutto muore ma il ricordo non si cancella rinasceremo finalmente insieme in una nuova stagione ti aspetterò per sempre lì dove le lucciole offuscano le stelle
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Vaira Marco PRIMAVERA Rispettoso e mesto è il mirar mio, dell’imponente albero che gemma oltre le mura di confine concedendosi all’avvenuta primavera. Oscura d’ombra il verde prato, lasciando di giallo colorare i fiori e inebriando l’aria di sapori antichi. La siepe rischiara al fiorir del biancospino sul ciglio del fossato a riparo del ruscello che l’acqua versa sul finir del giorno. Giunge la rondine che di casa annida sul campanile del paese spento e con il suo garrire tra le strette vie, annuncia a chi di primavera vive. UN PADRE (suicidio di un figlio) Occhi lucidi scrutano il bagliore che si dipana dagli offuscati vetri della finestra affacciata al cuore. In quella notte di nebbia e pioggia sei scomparso tra sagome di cera, correndo verso il tuo destino.
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Non câ&#x20AC;&#x2122;era luce ad illuminare la strada, quando il lucente selciato ostacolava il tuo smarrito cammino. Cercavi la vita nei sogni infranti in un dove mai raggiunto, versando lacrime sui tuoi ricordi. Un cielo terso dal colore azzurro dipingesti in un giorno di primavera tra fiori rossi e verdi prati. In quella stanza ti rivedo ancora, mentre tâ&#x20AC;&#x2122;accarezzo e mi sorridi regalandomi gioie di felici giorni. Nel tuo disperato scappare, desideravi calma da donarti al cuore, ma colorasti di nero il mio amore. . Ora è spento il volto mio in fronte al fato che figlio mio mi hai donato.
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Vitalini Piergiovanni Piero Forza Giovane, il pensatore artista guerriero armato di parole, corsaro del lavoro per i giovani di spirito di ogni età! GIOVINEZZA Perché mi abbandoni giovinezza del corpo? Mai nessuno potrà prendermi la giovinezza del mio spirito, lei rimarrà sempre con me! Per vedere, bisogna sapere ascoltare. Domanda latente, lungo la strada suprema, fa tramigrare i sentimenti del giovane di spirito di ogni età, dal corpo all’anima! Ho corso lungo la criniera dei giorni passati, per raggiungere il contatto con l’Energia dell’Universo immortale. Calcinelli 19/01/2019 ore 22.40.
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CONOSCENZA TI AMMIRO Scorre il mare della conoscenza, davanti agli occhi della mia anima, ogni giorno più assetati. Il mio respiro è attratto dal confine dell’infinito, dove le anime si rigenerano nel segno dell’arcobaleno universale. E tu donna vestita di bianco, continuerai in eterno a generare la musica della vita, mi guardi... Nessuna nube oscurerà mai la tua luce, conoscenza, sarai sopra ogni buio, il tuo velo impreziosito di verità è da baciare. Il lavoro necessario per abbracciarti è il più gioioso del vivere quotidiano che ci doni. Calcinelli 03/02/2019 ore 17.32.
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Appendice Omaggio a ODOARDO GIANSANTI (Pasqualon, il Poeta Itinerante) Recentemente insignito dall’UNILIT di Pesaro, di una inedita ed originale “laura ad honorem e ad memoriam” in Giornalismo Itinerante e Comunicazione Vernacolare, Odoardo Giansanti era nato a Pesaro il 18 settembre 1852. La sua vita è caratterizzata da tre diverse fasi. Un’infanzia felice. La prima infanzia la trascorre in famiglia, col padre ufficiale delle guardie pontificie e la madre esperta commerciante, e con il privilegio (per l’epoca) di studi privati che gli permettono, a soli sette anni di leggere, scrivere e conoscere addirittura i primi rudimenti del latino. Il brusco cambiamento. Le cose cambiano drasticamente con la morte della madre, e il trasferimento del padre a Roma con la nuova moglie. Inizia così, per il piccolo Odoardo, abbandonato da solo a Pesaro, un periodo difficilissimo. Sono circa 10 anni di stenti e miseria, con un lavoro di calzolaio che spesso non gli garantiva neppure la sopravvivenza quotidiana. A vent’anni decide di provare a raggiungere il padre a Roma e parte per un disperato viaggio a piedi, che si conclude però in un nulla di fatto, 123
visto che pur essendo riuscito incredibilmente a rintracciarlo, non riesce a convincerlo ad accettarlo in casa con lui. A Roma tenta ancora di proporsi col suo mestiere di calzolaio e poi prova anche a fare il muratore, ma le fatiche del lavoro hanno la meglio sul suo fisico provato ed è costretto al ricovero in ospedale dove entra in contatto con i Monaci Concettini dai quali riesce poi a farsi accogliere in convento, dove trascorre un periodo di vita finalmente senza troppi affanni. Ma faticando a sottomettersi alle rigide regole monastiche, conclude dopo un anno la sua esperienza tra i religiosi, e si ritrova di nuovo in strada, con la vista molto indebolita, che non migliora neppure dopo un intervento di un illustre luminare romano. Ritornato a Pesaro ritenta con la sua attivitĂ di calzolaio in una bottega ricavata al piano terreno della casa dove era nato Gioachino Rossini, poi riparte, ancora a piedi, alla volta Bologna con lâ&#x20AC;&#x2122;intento di farsi operare agli occhi. Il capoluogo emiliano viene raggiunto dopo un interminabile viaggio tra la neve, il freddo pungente e la difficoltĂ , a causa del suo aspetto poco rassicurante, ad ottenere cibo e riparo lungo il cammino. A Bologna resta un mese, ricoverato in ospedale 124
come “interessante soggetto di studio” (così scrive Edgardo Cinotti). Ma lo sconforto per la quasi totale cecità e per la sorte avversa portano l’ancor giovane Odoardo (aveva solo 27 anni) a comportamenti che inducono i medici, per timore del peggio, a disporne il trasferimento in manicomio. La rinascita del Poeta. Qui la sua vita si trasforma ancora. Gli capita infatti di ascoltare, declamate ad alta voce, le liriche del poeta dialettale romagnolo Giustiniano Villa, e si appassiona a quelle poesie in vernacolo al punto non solo da voler lui stesso impegnarsi a recitarle in pubblico, ma anche a comporne di sue. Il primo componimento, che a causa della sua cecità non può far altro che dettare a uno degli altri degenti, è il “Dialogo fra Pasqualon e il suo padrone”, che gli regala il soprannome che lo accompagnerà per sempre e gli dona un nuovo motivo per vivere. Da allora infatti subirà anche due infortuni che lo renderanno claudicante, sarà più volte ricoverato in manicomio e si sposerà, ma soprattutto creerà oltre trecento poesie che andrà declamando in giro per la città, e che lo porteranno ad essere il cantore cittadino rinomato non solo a Pesaro, ma anche ben oltre i confini del territorio. Questa attività gli consentirà di racimolare il necessario per garantirsi di che vivere e lo 125
farà diventare quel grande personaggio amato e conosciuto che ancora oggi ricordiamo e celebriamo. Morirà pochi giorni dopo aver compiuto gli 80 anni, in quella Pesaro che aveva più volte provato a lasciare ma che lo ha sempre riaccolto e che è dunque stata ed è ancora oggi a tutti gli effetti la sua città. Paolo Pagnini
fonte: Edgardo Cinotti - Note Biografiche all’Opera Omnia di Odoardo Giansanti - Società tipografica A. Nobili di Pesaro - 1934 126
Abbasso i critici Signori gentilissimi Sti giorne a i ho imparèd Che i versi miei vernacoli I è poch desiderèd Perché si stenta a leggere Ste mi’ dialett bsares Non tutti lo capiscono Parchè l’è mezz frances; Così diceami un critico: “Mo scriv in italièn “Che tutti lo comprendono “E te t’ giréss pió ben; “Declama il verso italico, “Alora t’ fa i baiocch...”; Ma un’altro sussurravami: “T’ saréss un papaloch; “Saresti tu per credere “Parland a us letterèd “Che tutti riderebbero “Listess com pel passèd? “Quei frizzi che muovevano “Le fodre di giubén, “E quei che spalancavano “Le bocch di cuntadèn? “Quei detti che fiutavansi “Dai nès intabachèd “Movean le vesti ai medici “Le togh ma i avochèd? “Son versi insuperabili, “Mo scrétt in italièn “A branchi abbaierebbero 127
“Listess com baia i chèn...”. In questa via trovandomi Tramezz a dó martei, A l’un e all’altro subito Me a cerch da contentèi Con un lavor reciproco (Da matt già ben intes) Facendo un verso italico Mistèd sa chel bsares; Che la moderna logica Ce dic, sa vlém gì drétt, Servir convien due popoli Magnè la papa e zétt! Ma contro l’impossibile Me a vagh in t’un st’moment, L’intruso insopportabile Lavora pió content... Tirando il suo gran mantice, Batend sa ‘l su’ martell Farà una nuova critica: - Che roba da scurcell Che schiavitù! Che secolo! S’i ved a bata un chiod, Ognun gli ficca il biasimo, Nisciun po’ fè a su’ mod. Rammenterò la favola Ch’ me dciva el por mi’ zi’, E questa è molto analoga De quell che me a v’ voj dì: C’era una volta un villico Sa ‘l fiol mezz incantèd, Avean con loro un asino, I giva in sel marchèd; Siccome il vecchio rustico, El giovne più invurnid, Tenean la bestia libera 128
E lori i giva a pid. Diversi che osservano Un quèdre bel acsé A tanta stupidaggine I ha incomincièd a urlè: “Ah! Che imbecilli uomini! “Che raza d’ papagall! “Aver la bestia, o stupidi, “E d’en montè a cavall?..” Fra sè il vecchio borbottola: “I avria ragion cle gent” E subito si arrampica, Persuès da fèj cuntent. Inforca il suo quadrupede S’ mett a cavall ben ben, E il figlio dietro andavagli Tirand i sass ma i chèn. Ma fatto già un chilometro I sent ‘n antre schiamazz Da altri che osservavano Le gamb de chel ragazz Che quasi si piegavano, I ha incomincèd a urlè: “O vecchio rincrescevole! “Mo smonta gió da lé! “Non vedi il tuo unigenito “Ch’en pò caminè pió?...” E il padre giù in un attimo Ma ‘l fiol fa muntè só. Lì a poco, quattro uomini, (Vedend ma st’ ragazacc Che tutto insuberbivasi Sopra chel sumaracc E il veglio trascinavasi Sa ‘l su’ capell sle mèn Mostrando il crin suo candido) 129
I cmincia a fè un bachèn... E contro il figlio scagliano I colp e j acident E tutti gli ripetono: “Mo en te vergogn par gnent? “A un vecchio così debole “Fèl vnì de dria a pid? “Non osi di soccorrerlo, “Brutt pezz d’un invurnid?..” Costui, fra le vertigini, L’era par smuntè gió Ma il padre disse: “Fermati! “Stà bon ch’a i stém tutt dó! ” E tutti due tenevansi Ben fort par en caschè, Ma l’asino storcevasi Ch’en vleva caminè; E questi due trovandosi Tramezz a tant question Da orbi lo batterono Ch’i ha rott quatre baston; A questo gran spettacolo È cors ‘na mucchia d’ gent; Se presto non scendevano Sucdeva un mazament Per quel paziente martire Ch’inn’j pudeva purtè: “Abbasso!” In cor gridavano En c’era da scherzè; Ma dopo poi che scesero, Tutt clori i s’è sparid E, il padre, il figlio e l’asino, I è armast tutti tre a pid; L’un l’altro poi guardandosi, Nisciun saveva com fè, Montar più non osavano 130
E manca a caminè. Il vecchio più bisbetico, Trovandse in tant imbroj, Legò le zampe all’asino Par en trovè pió noi; Poi mise una gran pertica Travers ma l’animèl E a spalla lo portarono Com s’ porta ma un agnel... Ognun di voi s’immagini Che, ariv in sel marchèd, Ragazzi, donne e uomini, I ha fatt dle gran risèd; Quei disgraziati stettero Fra j urle sin’ a nott Bersaglio di quei critici Ch’i s’ cred d’essa i pió dott. Il caso mio è identico; Mo quant a vegh el brutt, Lego le zampe al diavolo Acsé a fagh méj de tutt; A spalla poi portandolo Insiem sa la ragion Sospeso alla mia logica Che quella è un gran baston; E tutti i suoi malefici Sa tutt i maldicent Mi dican pur cuticola Ma me an m’importa gnent. Abbasso dunque i critici, Abbass le su’ lezion, Abbasso le pettegole... Evviva Pasqualon!
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Questo volume è stato stampato a Colli al Metauro (PU) nel mese di Maggio 2019 dalla tipografia Ideostampa srl
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4°concorso letterario
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