Ignazio Mortellaro - E già sono deserto

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ignazio mortellaro

by

Valentina Bruschi and I g n a z i o M O r t e l l a r o


Ignazio Mortellaro (1978, nato a Palermo, dove vive e lavora) indaga il rapporto tra Uomo e Natura attraverso opere scultoree, collage, video, fotografie o installazioni realizzate in diversi materiali soprattutto metallici, come ferro e ottone, oppure rielaborando elementi trovati in natura e oggetti abbandonati che l’artista riadatta e trasforma. Nel 2018 Ignazio Mortellaro ha realizzato un’installazione site specific per il giardino della Fondazione Merz di Torino. Tra le mostre personali: Galleria Francesco Pantaleone (2017, 2015, 2014). Le collettive recenti includono: Same same but different, Kunst Meran Merano Arte e Museo Civico di Castelbuono (2018); Due South, the Delaware Contemporary, Wilmington (2017).

Ignazio Mortellaro (1978, born in Palermo, where he lives and works) investigates the relationship between Man and Nature through sculptural works, collages, videos, photographs or installations made using different materials, mainly metallic, such as iron and brass, or reworking elements found in nature and abandoned objects that the artist adapts and transforms. In 2018 Ignazio Mortellaro created a site-specific installation for the garden of the Fondazione Merz in Turin. Amongst the solo shows: Galleria Francesco Pantaleone (2017, 2015, 2014). The recent group shows include: Same same but different, Kunst Meran Merano Art and Museo Civico di Castelbuono (2018); Due South, the Delaware Contemporary, Wilmington (2017).



edited by

Radiceterna Arte e Ambiente

IGNAZIO M ORTELLARO


IGNAZIO ORTELLARO by

Valentina Bruschi and I g n a z i o M O r t e l l a r o

published by

hopefulmonster



Introduzione

di

Valentina Bruschi

La mostra personale di Ignazio Mortellaro si inserisce nel progetto, Radiceterna Arte e Ambiente, di cui l’artista stesso è ideatore, insieme alla scrivente, con il coordinamento artistico di Vittorio Rappa. Ispirato dalla Naturalis Historiae di Plinio il Vecchio, citata nelle iscrizioni all’interno della sala ottagonale del Gymnasium, edificio centrale dell’Orto Botanico di Palermo che ci ospita, il progetto fa riferimento a un’opera dell’artista Mario Merz (1925-2003), Se la forma scompare la sua radice è eterna (1984), installata all’esterno del Calidarium, in collaborazione con la Fondazione Merz. L’opera di Merz sottolinea come sia la forza


generatrice delle idee e della Natura, nell’eterna dialettica uomo/paesaggio, alla base della ricerca e accomuna l’indagine degli artisti invitati nella sequenza di mostre che disegna Radiceterna. La mostra di Ignazio Mortellaro segue le personali di Allora & Calzadilla, Katinka Bock, Björn Braun e il suo lavoro è accostato al V libro di Plinio, Geografia dell’Africa, Medio Oriente, Cappadocia, Regno d’Armenia, Cilicia. Come dichiarato nel titolo della mostra, E già sono deserto, preso da un verso del poeta Giuseppe Ungaretti, l’artista si propone di “oggettivare” il termine “deserto”, inteso come paesaggio, luogo dell’estrema atomizzazione, spazio fluido e libero, la cui mutevolezza lo rende labirinto “dove non ci sono scale da salire, né porte da forzare, né faticosi corridoi da percorrere, né muri che ti vietano il passo” (dal racconto breve, I due re e i due labirinti, in, L’Aleph, di Jorge Luis Borges). Riferimenti letterari e geografici che diventano metafora di una riflessione sul tempo e le sue molteplici forme e dimensioni.


Artist’s studio analog medium-format photograph



Vertebrae Cervicales Atlas et Axis (Atlante and Epistrofeo) Traité complet de l’anatomie de l’homme, J. M. Bourgery & N. H. Jacob


Stalactites et stalagmites des grottes de Cravanche. (D’après nature) 19th century engraving


Introduction

by

Valentina Bruschi

Ignazio Mortellaro’s solo show is part of, Radiceterna Arte e Ambiente, a project of which the artist himself is the creator, together with the author of this text and the artistic coordination of Vittorio Rappa. Inspired by the Naturalis Historiae by Pliny the Elder, mentioned in the inscriptions inside the octagonal hall of the Gymnasium, central building of the Botanical Garden of Palermo that hosts us, the project refers to a 1984 work by the artist Mario Merz (19252003), Se la forma scompare la sua radice è eterna (If the form disappears its root is eternal, T.N.), installed outside the Calidarium, in collaboration with the Fondazione Merz. Merz’s work underlines how both the generative force of ideas and Nature, in the eternal dialectic man/landscape, is at the base of the research and unites the survey of the invited artists in the


sequence of exhibitions that shape Radiceterna. Ignazio Mortellaro’s exhibition follows the solo shows by Allora & Calzadilla, Katinka Bock, Björn Braun and his work is linked to the V book of Pliny, Geography of Africa, Middle East, Cappadocia, Kingdom of Armenia, Cilia. As stated in the title of the exhibition, E già sono deserto (And I am already desert, T.N.), taken from a verse by the poet Giuseppe Ungaretti, the artist aims to “objectify” the term “desert”, understood as landscape, place of extreme atomization, a fluid and free space, whose mutations makes it a dizzying labyrinth “which has no stairways to climb, nor walls to impede thy passage” (as in the short story, The Two Kings and the Two Labyrinths, in, The Aleph, by Jorge Luis Borges). Literary and geographical references that become metaphors referencing time and its many forms and dimensions.


Artist’s studio analog medium-format photograph


Selaginella lepidophylla (False rose of Jericho) Artwork for vinyl LP cover “Desatura� by The Lotus Eaters, Stroboscopic Artefacts 2018



Tzitz Chu’i, 2018 brass, iron, water, rubber installation at Fondazione Merz for Meteorite in Giardino, Turin


la serpe acquaiola

di

Beatrice merz

Ignazio Mortellaro, artista eclettico, studioso e scienziato, ingegnere e letterato, lettore accanito e colto richiama un’antichità remota ma non rimossa, il fiume carsico di una ricerca nascosta, il canto archetipo di ritmi, riti e tempi siderali eppure umanissimi. Invitato a realizzare un’opera alla Fondazione Merz per la rassegna Meteorite in giardino ha segnato i confini dello spazio esterno a lui affidato attraverso il percorso angolato e tagliente – alchemicamente oro – di una sorta di corrimano ‘concavo’. Questa gronda luminosa accoglie un flusso d’acqua attivato dalla presenza umana attraverso un sensore. In Ttzitz chu’i - la serpe acquaiola, questo è il titolo dell’opera, l’acqua dopo aver percorso tutto il perimetro dello spazio, come in un antico viadotto, ritto su aste a Y, cariche a loro volta di significati antichi, si getta


– direi matematicamente, esattamente - nella vasca che ospita, nel giardino della Fondazione, l’opera di Mario Merz L’acqua, fa e protegge, disfa ma spinge a crescere le piantagioni immense della bellissima Ninfea Cornea Speciosa. I due lavori entrano in completa sintonia, in armonia che potremmo dire musicale, formando quasi un unico corpo. Come scrive Maria Centonze, la curatrice della rassegna “l’acqua, uno dei quattro elementi della filosofia greca che Empedocle chiamava radici, è protagonista dello scenario allestito in questo spazio; segna il passo, lo scorrere del tempo, purifica e lava, dà il senso dell’eterno e del cambiamento di ciò che da essa viene attraversato.” Il contatto tra i due artisti si è stretto anche grazie al progetto Radiceterna, che vede Mortellaro protagonista come ideatore e curatore con Valentina Bruschi, di una preziosa biblioteca d’arte e natura e un nuovo spazio espositivo presso l’Orto Botanico palermitano, un nuovo seme che germoglierà fino a fruttificare arte in un luogo ‘altro’. E così che grazie a questo seme che ancora una volta siamo complici di un connubio tra opere, una meravigliosa esperienza, parte integrante del nostro fare che, tuttavia, spesso latita dal nostro travagliato e barbarico presente. Ignazio Mortellaro è un artista filosofo, che possiede


Tzitz Chu’i, (detail) 2018 brass, iron, water, rubber installation at Fondazione Merz for Meteorite in Giardino, Turin


la capacità di confrontarsi con l’arte, la storia, la letteratura e la manualità. La paura del confronto non gli appartiene. È un autentico pensatore libero, al modo di certe dotte menti rinascimentali. E questo senso di libertà che l’artista trasmette con le opere che presenta nella project room di Radiceterna. E già sono deserto, una geografia senza confini apparenti se non quelli dettati dal nostro potere. Cos’è un deserto, un contenitore di reperti, un giardino incolto, un disegno infinito, un fluido denso, una forma inconsueta, un seme germogliante, un gesto, una riflessione o un sentimento oggi sempre più necessario per comprendere i labirinti della storia e la natura dei nostri compagni di avventura. Quella dell’arte, ovvero della vita stessa.


Tzitz Chu’i, (detail) 2018 brass, iron, water, rubber installation at Fondazione Merz for Meteorite in Giardino, Turin


The Uegit meteorite, found by Lieutenant Michele Dall’Olio at Dersa, (Wajid, Somalia), in July 1921 Mineralogical Museum of the Sapienza University of Rome


The water snake

by

Beatrice merz

Ignazio Mortellaro is an eclectic artist, scholar and scientist, engineer and writer, an avid and cultured reader who recalls a remote antiquity not removed, the karst river of hidden research, the archetypal song of rhythms, rituals and sidereal beats yet humanistic. Invited to create a work at the Fondazione Merz for the, Meteorite in giardino (Meteorite in the garden, T.N.) series, he marked the boundaries of the space dedicated to his work through an angled and cutting path - alchemically gold - with a sort of ‘concave’ handrail. This luminous eave receives a flow of water activated by human presence passing through a sensor. Ttzitz chu’i - the water snake, this is the title of the work in which the water, after having covered the entire perimeter of the space, as in an ancient viaduct resting on Y-shaped rods (whi-


ch bear ancient meanings), is thrown - I would say mathematically, precisely - in a pool. This basin, in the garden of the Foundation, houses the work of Mario Merz, L’acqua fa e protegge, disfa ma spinge a crescere le piantagioni immense della bellissima Ninfea Cornea Speciosa (Water, does and protects, undoes but pushes the growth of the immense plantations of the beautiful Ninfea Cornea Speciosa, T.N). The two works merge in complete harmony, like in a musical chord, forming almost a single body. As Maria Centonze, the curator of the series writes, “water, one of the four elements of Greek philosophy that Empedocles called roots, is the protagonist of the scenario set up in this space; marks the passage, the flow of time, purifies and washes, gives the sense of the eternal and of the change of what is crossed by it”. The contact between the two artists was reinforced thanks to the Radiceterna project, that sees Mortellaro as the founder and curator with Valentina Bruschi, of a precious library of art and nature and a new exhibition space at the Palermo Botanical Garden, a seed that will sprout up to fructify art in an ‘other’ place. So it is that thanks to this seed that once again we are accomplices of a union between works, a wonderful experience, an integral part of our doing that, howe-


Tzitz Chu’i, (under construction) 2018 brass, iron, water, rubber installation at Fondazione Merz for Meteorite in Giardino, Turin


ver, is often absent from our troubled and barbaric present. Ignazio Mortellaro is a philosopher artist, who has the ability to deal with art, history, literature and craftsmanship. The fear of confrontation does not belong to him. He is a true free thinker, in the manner of certain Renaissance minds. It is this sense of freedom that the artist transmits with the works he presents for Radiceterna’s project room. E’ sono già deserto (And I am already desert, T.N), creates a geography without apparent borders if not those dictated by ourselves. What is a desert, a repository of remains, an uncultivated garden, an infinite design, a dense fluid, an unusual shape, a budding seed, a gesture, a reflection or a feeling that today is increasingly necessary to understand the labyrinths of history and the nature of our fellow travelers. That of art, or of life itself.


Tzitz Chu’i, (detail) 2018 brass, iron, water, rubber installation at Fondazione Merz for Meteorite in Giardino, Turin


Brevetto di un bigliardino a labirinto, Vincenzo de Lucia , Afragola 1961


Il deserto alle porte

di

RUGGERO RAGONESE

La porta è già visione, è già punto di vista, è già umano. Non si dà apertura se non per l’occhio che l’attraversa e la scruta. Banalità suprema e insieme motore di ogni racconto e di ogni storia. Abbiamo voglia di serrarle con le sbarre, di chiuderle con cancelli, con catenacci, le porte rivelano già la nostra presenza: un altrove che esiste anche se lo teniamo nascosto. La porta denuncia la nostra penetrabilità, il nostro poter essere attraversati e quindi ‘capiti’, scoperti e in qualche modo esauriti. Il labirinto e il deserto, di cui parla Borges e che sono il riferimento del lavoro di Ignazio Mortellaro, sono, in due modi diversi, delle sfide alle porte e di conseguenza delle sfide al punto di vista. Il labirinto è un tentativo estremo di difesa, un tentativo destinato a fallire. Esso moltiplica per migliaia, milioni di volte la por-


ta, dilazionandone il tempo. In fondo, cos’è il labirinto se non questo accesso apparentemente infinito dove il soggetto è chiamato a mutare continuamente sguardo nel tentativo di vedere qualcosa? Si srotola nel tempo più che nello spazio, il labirinto. E scompare quando ne esci, esattamente come la porta. Il povero re arabo, che il suo pari grado babilonese ha lasciato errare nel più vorticoso intrico di vie che si ricordi, si ritrova “offeso e confuso fino al crepuscolo”. E come altro potrebbe essere? Il labirinto ha in sé quella logica atroce del ‘differimento dell’essenza’ che Derrida aveva già sapientemente visto nella Porta del celebre racconto kafkiano, Davanti alla legge. “L’uomo di campagna” che chiede inutilmente per tutta la vita di entrare al suo guardiano non è poi molto diverso dal re arabo che chiede di uscire. Si ritrovano entrambi in uno spazio e in un tempo artificialmente espansi per creare una realtà soggettiva destinata a soccombere. Perché nessun labirinto e nessuna porta possono essere definitivi. Che tu sia Teseo o il Minotauro, in ogni caso, dal labirinto ne esci. Ne esci verso dove? Il deserto è uno spazio pre architettonico e non potrebbe essere diversamente. L’opposto del labirinto, all’apparenza, ne è invece il relato naturale. Il deserto è abbandono perché ab-


bandono del punto di vista, naufragio della posizione e dell’orientamento. Negando la porta, il deserto impedisce la visione, la riduzione, l’angolo. Nella sua apertura totale costruisce un tempo che non è più umano, né alla nostra portata. Il ‘re del tempo e sostanza’, il re babilonese creatore di labirinti, ha già quindi segnata la sua sorte, quella di perire in uno spazio assoluto, privo di appigli. Dal deserto non si può uscire, ma nel deserto, forse, si può rinascere (nel deserto ‘si vive due volte’, scrive Abd El Kader). Che ne è, infatti, del re arabo che è stato capace di sortire, rinascere e, infine, vincere (per vendetta) l’arrogante avversario? Perché egli vive nel deserto dove l’altro muore? E dall’altra parte, cosa sarà mai successo al diabolico labirinto costruito dai maghi e dagli architetti babilonesi? Vogliamo davvero arrivare alla triviale conclusione che il deserto abbia ‘naturalmente’ e ‘inevitabilmente’ avuto la meglio sul labirinto? Non è piuttosto che il secondo si appresta a diventare il primo e viceversa? E che, nella più classica delle inversione borgesiane (come Gesù e Giuda), il carnefice/vendicatore si appresti a diventare nuova vittima? Non tarderà il tempo che il deserto non torni a essere labirinto e, probabilmente, se avesse aguzzato gli occhi, troppo accecati dal sole


alto dell’Arabia, il re babilonese non avrebbe tardato a vedere spuntare fra le sabbie i resti di chissà quale antico, e insuperabile, labirinto. Quello che ha capito il re d’Arabia è, credo, quello che è chiaro anche a Ignazio. Che deserto e labirinto sono due momenti dello stesso spazio. E così la foresta pietrificata è in qualche modo identica al tufo dei Templi di Selinunte e le ossa di uno scheletro divengono spazio per le iscrizioni. Non c’è nessuna simbologia astrusa, nessuna enigmistica nel lavoro di Ignazio ed è questo che lo preserva al tempo. Non è la retorica della giustapposizione o del rispecchiamento quella che interessa, non è una riproposizione materica di letterature o filosofie. C’è una logica conseguenziale che come per l’Uroboro divora se stessa. Progettare non il fine ma la fine: è la cifra (ancora un riferimento a Borges, l’ultimo) dell’operazione di Ignazio. La fine è desertificare, abbandonare, per quanto ci è possibile, qualsiasi cosa non sia materia, qualsiasi cosa faccia velo fra labirinto e deserto. Dilatare i tempi, eliminare muri. Rivelata la (im)pietosa menzogna della porta, messa lì a simulare un tempo che non esiste, non resta che abituarsi a vedere quello che c’è: il proprio labirintico deserto nel quale inevitabilmente perdersi.


Mindscape [trail II], 2016 collage of archive photographs 23 x 30 cm


Lucas Jennis’ engraving published on an alchemical emblem-book De Lapide Philisophico (1625)


The desert is at the gates

by

RUGGERO RAGONESE

The door is a vision, a point of view, it is already human. There is no opening except for the eye that crosses it and examines it. Supreme banality and, at the same time, engine of every narrative and every story. We want to lock them with bars, close them with gates, with bolts, as doors reveal our presence: an elsewhere that exists even if we keep it hidden. The door denounces our penetrability, our ability to be crossed and therefore ‘understood’, discovered and somehow exhausted. The labyrinth and the desert, which Borges writes about and which Ignazio Mortellaro references, are two different ways of challenging the doors and consequently of confronting different points of view. The labyrinth is an extreme attempt of protection, a pursuit destined to fail. It multiplies the door for thousands, millions,


of times, delaying its moment. After all, what is the labyrinth if not this apparently infinite access where the subject is called to constantly change his gaze in trying to see something? The labyrinth is unrolled over time rather than in space. And it disappears when you leave, exactly like the door. The poor Arab king, whom his Babylonian equivalent has allowed to wander in the most swirling tangle of paths he remembers, finds himself, “humiliated and confused, until the coming of the evening”. And how else could it be? The labyrinth has in itself the atrocious logic of the ‘deferral of essence’ that Derrida had already wisely seen in the Door of the famous short story by Kafka, Before the Law. “The countryman” who vainly asks all his life the gatekeeper to enter, is not very different from the Arab king who demands to get out. They both find themselves in an artificially expanded space and time, creating a subjective reality destined to succumb because no maze and no door can be definitive. Whether you are Theseus or the Minotaur, in every case, you exit the labyrinth. But where do you come out? The desert is a pre architectural space and could not be otherwise. Apparently the opposite of the labyrinth, it is instead its natural relation. The desert is abandonment because


of the impossibility of having a point of view, the shipwreck of any position or orientation. By denying the door, the desert prevents vision, reduction, angle. In its total openness it builds a time that is no longer human, nor lies within our reach. The ‘king of time and substance’, the Babylonian king, the creator of labyrinths, has therefore already marked his fate, that of perishing in an absolute space, devoid of handholds. From the desert you can’t get out, but in the desert, perhaps, you can be reborn (in the desert ‘you live twice’, says Abd El Kader). What happened, in fact, to the Arab king who was able to get out, be reborn and, finally, win (for revenge) the arrogant adversary? Why does he live in the desert where the other dies? And on the other hand, what happened to the diabolical labyrinth built by the Babylonian magicians and architects? Do we really want to reach the trivial conclusion that the desert has ‘naturally’ and ‘inevitably’ got the better of the maze? Is it not rather that the latter is preparing to become the first and vice versa? And that, in the most classic of the Borgesian inversions (like Jesus and Judas), the executioner / avenger is preparing to become a new victim? It won’t be long before the desert returns to being a labyrinth and, probably, if


he had focused his eyes, blinded by the strong sun of Arabia, the Babylonian king would not have delayed in seeing the remains of some ancient and unsurpassed labyrinth rising amongst the sands. What the king of Arabia understood is, I believe, what is also clear to Ignazio. Desert and labyrinth are two moments of the same space. Therefore, the petrified forest is somehow identical to the tuff of the Temples of Selinunte and the bones of a skeleton become a space for inscriptions. There is no abstruse symbolism, no enigma in Ignazio’s work and it is this that preserves it over time. It is not the rhetoric of juxtaposition or mirroring that interests us, it is not a material re-proposition of literatures or philosophies. There is a consequential logic that devours itself, like the Ouroboros. Designing is not the aim but the end: it is the cipher (again a reference to Borges, the last) of Ignazio’s operation. The end is desertification, to abandon, as far as we can, anything that is not matter, anything that creates a veil between labyrinth and desert. Dilate time, eliminate walls. Revealed the (un)forgiving lie of the door, put there to simulate a time that does not exist, what remains is to get used to seeing what there is: one’s own labyrinthine desert into which inevitably to lose oneself.


Overtunring Moment, 2015 site specific permanent installation Archeological Park of the Walls of Dionysius, Syracuse


Project of a “Danteum”, Rome 1938 by architect Giuseppe Terragni with P. Lingeri


LA PICCOLA SCALA DEL TEMPO

di

giuseppina vara

Esiste un tempo universale dai codici e ritmi disciplinati e infinitamente decodificabili, che nell’analisi si sconvolge, sovvertendo l’idea di una storia integralmente conoscibile. C’è un microcosmo geologico, linguistico, anatomico, in cui Mortellaro si addentra come un “paleontologo” votato all’impulso conoscitivo, al desiderio di dare forma al tempo, di cristallizzarlo in materia nuova, laddove questo s’invera nella forma. Ci sono poi due scenari contrapposti in cui il naturale incedere dell’ordine progressivo sembra disarticolarsi e perdersi, da un lato negli ingegnosi meandri di un labirinto; dall’altro, invece, nel paesaggio riarso e spoglio, nella terra desertica apparentemente desolata, un vuoto così dilatato da tendere verso le sue infinite possibili esistenze. Tra questi due poli prende vita un codice miniato oggettuale, attra-


verso il quale l’artista si cala nei recessi della storia, di questa volendo forse divenire punto di vista fisico e metafisico, dialettico indagatore che scandaglia il passato. Dall’archetipica dimensione abissale riemergono i reperti, a raccontare l’assoluto problema del tempo attraverso la piccola scala dei suoi segni. L’inversione di proporzioni dichiara di fatto la possibilità di un’irriducibile tensione verso l’eternità che affiora nel recupero del piccolo, del dettaglio che le circostanze hanno preservato o rivelato. Le dimensioni ridotte della vita, dell’esistenza delle cose, dell’uomo, del regno animale e minerale diventano funzioni grammaticali dell’unitarietà dell’essere al di sotto di un enigma. In quest’algebra dell’essenziale si collocano i lavori di Ignazio Mortellaro: un inventario di impronte, un piccolo atlante che funziona per indici rivelatori. Il calco di una stalagmite è indizio di un intervallo stratigrafico conoscibile, concrezione cristallina che sedimenta cadenzando il lento svolgersi del divenire. Poi ancora le prime due vertebre della colonna e il corpo ellissoidale di un serpente non ancora scheletrito, conservati da un tempo che adesso sembra ininterrotto e dichiaratamente teso verso il presente. Ogni elemento è epifania della progressione della storia, dell’età inafferrabile che


trascorre e diventa dato empirico, adesso rapportata al rigore della riproduzione dettagliata, al cimento inappuntabile del ridare forma e nuova vita materiale. In questi scarti s’inserisce l’articolazione tra atlante ed epistrofeo, non solo come perno della stabilità, della connessione tra mente e corpo, tra sussistenza fisica e pensiero, ma anche e soprattutto come articolazione della mobilità, correlativo dell’identità titanica del tempo e della sua percezione. Nel mito se ne rintraccia uno dei significati espliciti: con Crono Atlante si alleò per guidare l’audace impresa mitologica dei titani, forze cosmiche primordiali, contro gli dei dell’Olimpo forieri di un primo principio regolatore. Ma l’identità visibile sottende la rivelazione di un ordine diverso da quello materico, che fa capo al simbolico. Il suo palesarsi è affidato ad un collage di immagini che si ricostruiscono nei territori della mente, in cui tutto inconsapevolmente si inabissa per riaffiorare attraverso una memoria immaginifica. L’archivio di Mortellaro assume la valenza di un fondo, al pari della biblioteca del Calidarium dell’Orto Botanico, cartario del tempo letterario, del pensiero, di una forma di conoscenza non più solo iscritta nella materia, ma nei suoi spazi interstiziali. “Byss and Abyss, Nothing and All, Time and Eternity”. Nella


forza oppositiva delle parole di Jacob Böhme (1575 - 1624) si fragilizza la presenza granitica del tempo, in queste intercapedini ossimoriche definite da una congiunzione, che suonano come amnesie in cui si ricolloca la nostra presenza al mondo. E qui si spiega forse la dimensione simbolica: nelle congiunzioni, nelle corrispondenze che prefigurano qualcosa dentro di noi. Il simbolo non era altro che un mezzo di riconoscimento, un oggetto irregolarmente infranto perché, facendo combaciare le due parti, i possessori potessero riconoscersi. Un tale tipo di inventario, pensando ai vuoti potenziali tra gli assoluti, diventa in fin dei conti un’auto-archiviazione, un tentativo di riposizionarsi nella storia personale, nelle tortuosità complesse di un tempo universale e infinito, che riguarda i poli estremi del tutto, dell’abisso, dell’eterno. Il tempo a sovrintendere, come matrice di sensatezza e significatività. Se immagino il labirinto e il deserto dei racconti di Borges, non posso che pensarli in quella pausa, nei solchi del reale in cui il caotico sconfina nel desolato, laddove si vive una condizione di aumentata sensibilità nei confronti dell’esistenza.


Chiseling laboratory spaces analog medium-format photography


Et sic in infinitum Utriusque cosmi maioris scilicet et minoris metaphysica, physica atqve technica historia, 1617, Robert Fludd


THE SMALL SCALE OF TIME

by

giuseppina vara

There is a universal time with disciplined and infinitely decodable codes and rhythms, which becomes disruptive if analysed, subverting the idea of an integrally knowledgeable history. There is a geological, linguistic, anatomical microcosm, in which Mortellaro enters as a “paleontologist� devoted to the cognitive impulse, of the desire to give form to time, to crystallize it in new matter, where this takes form. Then there are two opposing scenarios in which the natural development of progressive order seems to be disjointed and lost, on the one hand in the ingenious meanders of a labyrinth; on the other hand, in the parched and bare landscape, in the apparently desolate desert, which murmurs the vacant being, a void so dilated as to tend towards its infinite possible existences. Between these two poles a material mi-


niated code takes form, through which the artist descends into the recesses of history, perhaps wanting to become a physical and metaphysical point of view, creating an inquiring dialectic that explores the past. The artifacts re-emerge from the archetypal abysmal dimension, to question the infinite problem of time through the small scale of its signs. The inversion of proportions declares in fact the possibility of an irreducible tension towards eternity that emerges in the recovery of the smaller scale, of the detail that circumstances have preserved or revealed. The modest dimensions of life, of the existence of things, of man, of the animal and mineral kingdoms become grammatical functions of the unity of being under an enigma. Ignazio Mortellaro’s works are placed within this essential algebra: an inventory of traces, a small atlas that provides clues. The cast of a stalagmite is an indication of a visible stratigraphic range, crystalline concretion that sediments by pacing the slow unfolding of being. Then again the first two vertebrae of the human column and the ellipsoidal body of a snake, not turned skeleton yet, are preserved from a time that now seems uninterrupted and openly tending towards the present. Each element is an epiphany of the progression of history, of the


Laboratory spaces of sand casting analog medium-format photography


Laboratory spaces of sand casting analog medium-format photography


elusive age that passes and becomes empirical data, now related to the rigor of detailed reproduction, to the irreproachable pursuit of restoring form and new material life. The Atlas-Axis block is inserted in these fragments, known not only as pivot of stability, of the connection between mind and body, between physical subsistence and thought, but also and above all as an articulation of mobility, correlative of the titanic identity of time and its perception. In the myth one can retrace the explicit meanings: Atlas had allied himself with Kronos to lead the audacious mythological enterprise of the Titans, primordial cosmic forces, against the Olympian Gods harbingers of a first regulatory principle. But the visible identity underlies the revelation of a different order than the material one, which belongs to the symbolic. Its manifestation is entrusted to a collage of images that are reconstructed in the territories of the mind, in which everything unconsciously sinks to re-emerge through an imaginative memory. Mortellaro’s archive assumes the value of an inventory, like the library of the Calidarium of the Botanical Garden, paper archive of literary time, of thought, of a form of knowledge no longer only inscribed in matter, but in its interstitial spaces. “Byss and Abyss, Nothing and


All, Time and Eternity”. In the opposing force of the words by Jacob Böhme (1575 - 1624) the granitic presence of time is fragmented, in these oxymoronic interspaces defined by a conjunction, which sound like a blackout in which we relocate our presence to the world. And here perhaps the symbolic dimension is explained: in combinations, in correspondences that prefigure something within us. The symbol was nothing more than a means of recognition, an irregularly broken object because, by matching the two parts, the owners could recognize each other. Such a type of inventory, thinking of potential gaps between absolutes, ultimately becomes an individual archive, an attempt to reposition oneself in personal history, in the complex intricacy of a universal and infinite time, which concerns the extreme poles of the whole, of the abyss, of the eternal. Time to oversee, as a matrix of meaning and significance. If I imagine the labyrinth and the desert of Borges’ stories, I can’t but think of them in that pause, in the creases of reality in which the chaotic blurs into the desolate, where one lives a condition of increased sensitivity towards existence.


Foundry analog medium-format photography



Artist’s studio analog medium-format photograph


I due re e i due labirinti

Narrano gli uomini di fede (ma Allah sa di più) che nei tempi antichi ci fu un re delle isole di Babilonia che riunì i suoi architetti e i suoi maghi e comandò loro di costruire un labirinto tanto involuto e arduo che gli uomini prudenti non si avventuravano a entrarvi, e chi vi entrava si perdeva. Quella costruzione era uno scandalo, perché la confusione e la meraviglia sono operazioni proprie di Dio e non degli uomini. Passando il tempo, venne alla sua corte un re degli arabi, e il re di Babilonia (per burlarsi della semplicità del suo ospite) lo fece penetrare nel labirinto, dove vagò offeso e confuso fino al crepuscolo. Allora implorò il soccorso divino e trovò la porta. Le sue labbra non proferirono alcun lamento, ma disse al re di Babilonia ch'egli in Arabia aveva un labirinto migliore e che, a Dio piacendo, gliel'avrebbe fatto conoscere un giorno. Poi fece ritorno in Arabia, riunì i suoi capitani e guerrieri e devastò il regno di Babilonia con sì buona fortuna che rase al suolo i suoi castelli, sgominò i suoi uomini e fece prigioniero lo stesso re. Lo legò su un veloce cammello e lo portò nel deserto. Andarono tre giorni, e gli disse: "Oh, re del tempo e sostanza e cifra del secolo! In Babilonia mi volesti perdere in un labirinto di bronzo con molte scale, porte e muri; ora l'Onnipotente ha voluto ch'io ti mostrassi il mio dove non ci sono scale da salire, né porte da forzare, né faticosi corridoi da percorrere, né muri che ti vietano il passo." Poi gli sciolse i legami e lo abbandonò in mezzo al deserto, dove quegli morì di fame e di sete. La gloria sia con Colui che non muore.

Da L’Aleph di Jorge Luis Borges, Adelphi, 1998


The Two Kings and the Two Labyrinths

It is said by men worthy of belief (though Allah’s knowledge is greater) that in the first days there was a king of the isles of Babylonia who called together his architects and his priests and bade them build him a labyrinth so confused and so subtle that the most prudent men would not venture to enter it, and those who did would lose their way. Most unseemly was the edifice that resulted, for it is the prerogative of God, not man, to strike confusion and inspire wonder. In time there came to the court a king of Arabs, and the king of Babylonia (to muck the simplicity of his guest) bade him enter the labyrinth, where the king of Arabs wandered, humiliated and confused, until the coming of the evening, when he implored God’s aid and found the door. His lips offered no complaint, though he said to the king of Babylonia that in his land he had another labyrinth, and Allah willing, he would see that someday the king of Babylonia made its acquaintance. Then he returned to Arabia with his captains and his wardens and he wreaked such havoc upon kingdoms of Babylonia, and with such great blessing by fortune, that he brought low his castles, crushed his people, and took the king of Babylonia himself captive. He tied him atop a swift-footed camel and led him into the desert. Three days they rode, and then he said to him, “O king of time and substance and cipher of the century! In Babylonia didst thou attempt to make me lose my way in a labyrinth of brass with many stairways, doors, and walls; now the Powerful One has seen fit to allow me to show thee mine, which has no stairways to climb, nor walls to impede thy passage.” Then he untied the bonds of the king of Babylonia and abandoned him in the middle of the desert, where he died of hunger and thirst. Glory to him who does not die. From Collected Fictions by Jorge Luis Borges, Penguin Books, 1998



Forests, 2017 Collage, 35 x 45 cm old print of the early 1900s (petrified forest of Arizona) and original photo (archeological site of Selinunte)



Abysses, 2018 Collage of old prints, 45 x 85 cm Ererti Valley (1929, Dancalia) and starry sky (Science de l’univers, 1972, J. C. Pecker)


Tzitz Chu’i, 2018 brass, iron, water, rubber installation at Fondazione Merz for Meteorite in Giardino, Turin




Tzitz Chu’i, (Martin Mßnch, solo piano concert) 2018 brass, iron, water, rubber installation at Fondazione Merz for Meteorite in Giardino, Turin



Nothing and All (Atlas and Epistropheus), 2018 brass (lost-wax casting), iron plinth 21 x 21 x 144 cm



Time and Eternity, 2018 brass (sand casting), iron, glass plinth 34 x 34 x 89 cm



Byss and Abyss, 2018 bronze and brass (lost-wax casting), iron plinth 55 x 55 x 55 cm



Nella carne dei giorni, 2017 brass, iron 4 elements 290 x 3,5 cm , 1 element 290 x 4,5 cm



Eco, 2017 CNC etching on brass 2 elements 38 x 38 cm


Questa pubblicazione è stata realizzata in occasione della mostra This catalogue is published on the occasion of the exhibition Ignazio Mortellaro. E già sono deserto. 10 ottobre - 4 novembre 2018 | Oct 10th - Nov 4th 2018 Radiceterna Arte e Ambiente Calidarium, Orto Botanico dell’Università di Palermo, Italia A cura di | Edited by Valentina Bruschi, Ignazio Mortellaro Testi | Texts Valentina Bruschi, Beatrice Merz, Ruggero Ragonese, Giuseppina Vara Traduzioni | Translations Valentina Bruschi Courtesy Ignazio Mortellaro, Galleria FPAC Palermo/Milano Pubblicato da | Published by hopefulmonster, Torino Stampa | Printed by Officine Grafiche Soc. Coop., Palermo isbn 978-88-7757-2738 © 2018 Ignazio Mortellaro, hopefulmonster editore, Radiceterna Per ogni forma di riproduzione, in particolare elettronica, di questa pubblicazione o parti di essa, è necessario il consenso scritto da parte degli autori Any and all reproduction, especially electronic reproduction of this publication or part of thereof, requires the prior written consent of the copyright holder


Radiceterna Biblioteca Arte e Ambiente Un progetto promosso da | A project by Ass. Cult. Radiceterna Arte e Ambiente In collaborazione con | In collaboration with Sistema Museale di Ateneo, Università di Palermo Ideato e curato da | Conceived and curated by Valentina Bruschi, Ignazio Mortellaro, Eveline Wüthrich Coordinamento artistico | Artistic coordinator Vittorio Rappa Radiceterna is part of Manifesta 12 Palermo Collateral Events and Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018 Il progetto Radiceterna è realizzato in collaborazione con: Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Palermo, la Fondazione Merz, I Never Read - Art Book Fair Basel, e PLANETA. Ignazio Mortellaro ringrazia: Laura De Savelli, Luca Mortellaro, Francesco Pantaleone, Agata Polizzi, Nathalie Humbro, Ettore Machì, Riccardo Davola. Si ringrazia per il sostegno: Irfis-FinSicilia S.p.A; Engel & Volkers, Cefalù Palermo; Birra Menabrea, Villa Catalfamo, La Collina di Loredana e Stroboscopic Artefacts. Un ringraziamento particolare alla galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea Palermo/Milano Un grazie sentito a Silvano Bertalot, Paolo Inglese, Aloisa Moncada di Paternò, Vito Planeta, Margherita Baleni, Luca Mortellaro, Giulia Anselmo, Raffaella Agrati, Mariano Boggia, Vito Priolo, Peppe Di Carlo e tutti coloro che hanno reso possibile questo progetto.


Questo libro a cura di Valentina Bruschi e Ignazio Mortellaro, è stato stampato a Palermo in cinquecento copie numerate da 1 a 500 10 ottobre 2018 Palermo, Italia

This book edited by Valentina Bruschi and Ignazio Mortellaro, was printed in Palermo in five hundred copies numbered from 1 to 500 10th October 2018 Palermo, Italy


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Biblioteca Arte e Ambiente

n°04 Printed in italy


Radiceterna Arte e Ambiente, fondata nel 2017 da Valentina Bruschi, Ignazio Mortellaro e Vittorio Rappa è una piattaforma per la ricerca e la promozione dell’arte contemporanea. Questa collana editoriale, edita da hopefulmonster, consiste in una serie di monografie realizzate in occasione del ciclo di 37 mostre basato sui libri della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, una raccolta che tratta, in forma enciclopedica, i temi dell’Uomo e della Natura.

Radiceterna Arte e Ambiente was founded in 2017 by Valentina Bruschi, Ignazio Mortellaro and Vittorio Rappa as a platform for the research and promotion of contemporary art. This catalogue collection, edited by hopefulmonster, consists in a series of monographs published for the 37 exhibitions cycle based on Pliny the Elder’s Naturalis Historia, a collection of books which treat, in an encyclopedic form, all the topics concerning Man and Nature.

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