Marco Giovenale, «Asemics. Senso senza significato», edizioni ikonaLíber

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collana le forme del linguaggio

ensosenzas asemics ignificato

marco giovenale

asemics senso senza significato note sulla scrittura asemica

2006 – 2023

ikonaLíber
asemics senso senza significato

Ecco che cosa ci dice il lavoro di Masson: perché la scrittura sia manifestata nella sua verità (e non nella sua strumentalità), bisogna che sia illeggibile: il semiografo (Masson) produce scientemente, attraverso un’elaborazione sovrana, un illeggibile: stacca la pulsione di scrittura dall’immaginario della comunicazione (della leggibilità). È quanto anche il testo vuole.

Per indagare sull’asemic writing – scrittura “asemica”, meglio che “asemantica” – si potrebbe legittimamente arretrare alle origini della scrittura verbovisiva, per exempla anche molto remoti. E interrogarsi forse sulla fascinazione che l’indecifrabile ha sempre suscitato nei frequentatori delle zone di confine tra araldica e antichi simboli (pensiamo appena all’eco ipnotica – ben storicizzata – del geroglifico, che ha fatto breccia nell’immaginario di non pochi autori, tra cui Adriano Spatola), o fra arte e tracce aleatorie, naturali, materiche, come ad esempio accade nei flussi di corpuscoli, nelle crepe e nelle frammentazioni escogitate da Dubuffet o Fautrier. L’arte contemporanea, del resto, è stata generosa di passaggi del segno astratto verso rassomiglianze, sembianze calligrafiche. Ma potrà essere utile qui partire dalla fine, dalla “coda”, ossia dal crinale fra XX e XXI secolo, per poi riarretrare rapidamente di circa cento anni.

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Roland Barthes, Semiografia d’André Masson (1973)

L’asemic writing è definibile, con buona approssimazione, come quella modalità della grafica o del disegno – recursivamente presente nel mondo già in tutto il Novecento e fittamente poi nel primo ventennio degli anni Zero – che fa intervenire sulla pagina caratteri, segni e glifi che assomigliano appena a lettere tipografiche, oppure a grafie tracciate a mano, fantasmi imprecisi di linguaggi conosciuti; senza però in verità rinviare ad alcun alfabeto noto, ad alcuna parola o frase reale: nulla c’è da decodificare, perché di una apparenza di lingua significante affiorano solo le possibili cifre e forme, profili organizzati per pura fascinazione visiva; e l’ipotesi di un significato si rivela curiosamente fallace, vuota, negata.

Una volta abbattuto il significato, tuttavia, permane la percezione di un passaggio di senso, ampio, attivato in primis dall’evidenza del senso specifico, visivo, del linguistico.

Il complesso dei segni, e il loro groviglio o la loro rarità sulla pagina, il denso o il labile, organizzano insomma lo spazio come parrebbero fare le lingue note, senza però costituire linguaggio comunicativo.

Ci si potrebbe spingere piú oltre. Si potrebbe cioè arrivare a dire che l’intera produzione di asemic writing che vediamo fiorire e crescere esponenzialmente da vent’anni a questa parte ha i titoli per essere pensata come una grande macchina di disorganizzazione e disintegrazione del significato a opera del senso stesso.

È opportuno sottolinearlo: il campo della scrittura asemica è ormai delimitato e definito da un buon numero di pubblicazioni che in linea di massima, quasi tutte, insistono sull’elemento che un mio articolo del 2013 sulla rivista «l’immaginazione» faceva presente, ossia sulla natura di scritture senza significato

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sul fronte verbale, ma ricche di senso, in generale; e attivanti (a vuoto) i recettori del significare linguistico in particolare, come appena detto. Posta la ineliminabilità di una istanza di senso – in accezione ampia – dall’esperienza e dalla percezione umana, è evidente che materiali segnici della piú diversa natura, soprattutto se elaborati in forma grafica inedita, e se caricati di un’attesa di linguaggio, sollecitano e accrescono la percezione addirittura quasi tattile, fisica, di tale ineliminabilità.

È dunque in campo una sorta di allusione al linguaggio subito revocata, spostata; un felice scarto – piú o meno laterale, marginale, ai limiti non del detto ma del dicibile. Lo suggerisce Barthes in un celebre saggio del 1979: Cy Twombly «fa riferimento alla scrittura […] e poi si dirige altrove. Dove? Lontano dalla calligrafia, cioè dalla scrittura formata, segnata, calcata, modellata, quella che nel XVIII secolo veniva chiamata bella mano. / A modo suo [Twombly] dice che l’essenza della scrittura non è né la forma né l’uso, ma solo il gesto, il gesto che la produce lasciandola trascinare: uno scarabocchio, quasi una sozzura, una negligenza» (sottolineature mie: Twombly allude, «fa riferimento» alla scrittura, ne esprime l’attesa, approdando poi a un segno altro). Il brano è compreso in L’ovvio e l’ottuso. Saggi critici III, Einaudi, Torino 1985, 20013, p. 158. Andrea Cortellessa parla di «effetti di scrittura», nel suo saggio From a Handbook of Fantastic Writing. Or: The Twombly Funcion, in Andrea Bellini e Sarah Lombardi (a cura di), Writing by Drawing. When Language Seeks its Other, Skira, Milano 2020, p. 45. «Riferimento», attesa, allusione, «gesto», «effetti di scrittura», «negligenza» (nulla): prestiamo attenzione a questi primi termini.

Come si sono manifestati e si manifestano questi riferimenti, gesti o effetti? Come vengono osservate dagli artisti stessi e dai critici queste sembianze o apparenze linguistiche?

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EXEMPLA
Rosaire Appel, Sonographic # 11 (2021) Anneke Baeten, Silhouettes speak, dalla serie Celestrial Snippets (2017) May Bery, 5 spheres (2017) Marcia Brauer, Unsaid, Unfinished, Unsent… what I meant to tell my mother (2018)

L’autore e l’editore desiderano ringraziare sentitamente tutti coloro che hanno permesso la riproduzione delle opere contenute nel libro: Graziosa Bertagnin e Roberto A. Bertagnin; Giovanni Galli per le edizioni Canova; Katrin Keller, il Zentrum Paul Klee di Berna; e gli artisti Rosaire Appel, Anneke Baeten, May Bery, Marcia Brauer, Axel Calatayud, Cecelia Chapman, Tim Gaze, Ariel González Losada, Michael Jacobson, Satu Kaikkonen, Karri Kokko, Jim Leftwich, John McConnochie, Miriam Midley, Stephen Nelson, Laura Ortiz, Ekaterina Samigulina / Tae Ateh, Lucinda Sherlock, Jay Snodgrass, Lina Stern, Miron Tee, Cecil Touchon.

Una speciale gratitudine va all’Accademia di Belle Arti di Palermo, a Enzo Patti e Toni Romanelli, che – per un incontro sulla scrittura asemica lí organizzato da Francesco Aprile nel dicembre 2019 – hanno non solo dato occasione a questo saggio di nascere, ma lo hanno poi accolto nel terzo volume dedicato alla collezione di libri d’artista dell’Accademia e hanno dato il loro assenso alla ripubblicazione – in forma qui variata – presso ikonaLíber.

Un ringraziamento a clo damiani per la revisione del testo.

© Edizioni ikonaLíber, 2023

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Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore È vietata ogni duplicazione, anche parziale, se non autorizzata.

ISBN: 978-88-97778-79-0

Collana Le forme del linguaggio

Progetto grafico: Fabrizio M. Rossi.

Impaginazione: studio Ikona [www.ikona.net]

Finito di stampare per ikonaLíber

nel mese di febbraio 2023

da Printí, Manocalzati (AV) su carte ecologiche certificate

Fedrigoni Arcoprint, Lecta Coral Book Ivory e Gardamatt Art

Composto in Scala e Scala sans

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