Peppe Barbati: «Sketchbook», edizioni ikonaLiber

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SKETCHBOOK DI PEPPE BARBATI

SKETCHBOOK DI

IKONALÍBER

ISBN 978-88-97778-37-0

€ 18,00

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Il libro è stato curato da Marco Soldi e Alba Di Ferdinando. Un ringraziamento a tutti coloro che hanno reso possibile la sua realizzazione, in particolare agli autori dei testi (in ordine di apparizione): Alessandro Di Virgilio, Pasquale Frisenda, Bruno Ramella, Gianfranco Manfredi, i Dago Red, Luca Casalanguida, Antonio Sarchione, Carmine Di Giandomenico, Mauro Laurenti, Alessandro Calore, Maurizio Di Vincenzo; alla Sergio Bonelli Editore, per la straordinaria disponibilità mostrata nei confronti di questa iniziativa. Un ringraziamento particolare va a Glauco Guardigli; alla casa editrice Astorina, per aver autorizzato l’uso delle immagini di Diabolik; a Paolo Altibrandi, per la grafica della copertina e per i preziosi consigli; a Marco D’Isidoro, per la mole imponente di scansioni effettuate. Copyright Balboa è © Play Press Ken Parker è © Berardi e Milazzo Ray Cooper è © Messaggero dei Ragazzi Nick Raider, Magico Vento, Nathan Never, Shangai Devil, Coney Island sono © Sergio Bonelli Editore s.p.a.­Milano Diabolik è © Astorina srl Cruella de Vil, Pongo, Perdita sono © Disney Spiderman è © Marvel

© Edizioni ikonaLíber, 2015 via Lago di Lesina, 15 • 00199 Roma tel. 06 • 86.32.96.53 ikonaliber@ikona.net ikonaliber.com Tutti i diritti riservati. Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, se non autorizzata. Per le immagini di cui non sia stato possibile raggiungere la fonte, l’editore si dichiara disposto a regolare le spettanze di eventuali aventi diritto. ISBN: 978-88-97778-37-0 Collana Segnali di fumo. Progetto grafico: Fabrizio M. Rossi Impaginazione: Claudia Damiani, Fabrizio M. Rossi (studio Ikona) www.ikona.net

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PREFAZIONE Tre anni fa per una stravagante, meravigliosa coincidenza ebbi modo di conoscere José Munõz, a Pescara. Dopo varie e divertentissime chiacchiere il discorso cadde inevitabilmente su Gustavo Trigo. Tra ricordi commossi da tutte e due le parti, il maestro raccontò alcuni aneddoti di quando vivevano insieme a Milano ma l’uno di notte e l’altro di giorno. Raccontò di quando mimavano i personaggi di Breccia. Di quando Gustavo stava lavorando ai primissimi Dylan Dog e Munõz, alzandosi decisamente prima di lui la mattina, trovò sul tavolino della sala una tavola a matita, frutto del lavoro notturno di Trigo. Senza pensarci troppo, prese e se la mise a inchiostrare; ci disse facendoci ridere non poco, che mentre inchiostrava e inchiostrava, la ‘migliorava’. Mimò perfino la reazione di Gustavo quando la vide ma poi tutto andò a finire a ridere, e ridere. Ci raccontò di come da amici, amassero cazzeggiare e di quanta vita ci fosse, dentro quei cazzeggi. «Facevamo dei ‘piscolabis’…», disse il maestro durante quello che era a tutti gli

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effetti un aperitivo. Piscolabis. Pensai che fosse un titolo bellissimo da dare a delle storie. Quando è nata questa idea di fare uno sketchbook delle cose ritrovate di Peppe il termine piscolabis ronzava in testa di brutto. Cosí scrissi, con un bel po’ di paura di sembrare invadente, fuori luogo o puerile una mail al maestro chiedendo cosa fossero in realtà, i piscolabis. Mi rispose cosí: Hola Alba, piscolabis o tentempié: ingestione leggera di cibo a qualsiasi ora del giorno, tanto come per non svenire, aspettando pantagruelleschi asados. Un abraccio y felicidades Muñoz A.D.F.

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UNO STRANO OSSERVATORE Era il 1986 e a Napoli aprí, per la prima volta, una scuola di fumetto. Da lettore onnivoro e appassionato mi iscrissi, pensando di saper disegnare. Mi è bastato poco per capire che le cose stavano diversamente ma, per fortuna, scoprii che si poteva fare fumetto anche senza dover mettere una matita su un foglio. Parlo, ovviamente, della sceneggiatura, ma questa è un’altra storia. Dicevo, mi iscrivo e arriva il primo giorno, in cui i docenti presentano il corso e noi alunni cominciamo a conoscerci. Con Peppe è scattato subito qualcosa di speciale, forse perché, nonostante due fisici diametralmente opposti, eravamo molto piú che simili, sia per i vissuti personali, non propriamente felici, sia per la forte determinazione a voler arrivare a creare fumetti, come i nostri idoli dell’e-

mamente, senza indicazione alcuna da parte degli insegnanti, a realizzare assieme – io ai testi e lui ai disegni – una storia breve di quattro tavole. E qui si spiega l’arcano del titolo che ho voluto assegnare a questa poche righe, perché quella storia si chiamava proprio cosí: Uno strano osservatore. La trama? Di una banalità e di un’ingenuità veramente imbarazzanti che, a pensarci adesso, mi si stringe il cuore per la tenerezza. Protagonista un tossico che da una cabina telefonica chiama a casa della ragazza che ama. Risponde però il padre, che lo tratta male e che gli dice di dimenticarsi della figlia, perché mai e poi mai avrebbe acconsentito che frequentasse uno sporco drogato. Lui, il protagonista, disperato, decide di farsi l’ultimo buco, quello definitivo, ma viene salvato da un’ambulanza che, miracolosamente, arriva appena in tempo per salvarlo. Chi avrà mai chiamato i sanitari? Forse qualche passante? Qualche negoziante? Macché! A farlo era stata la cabina telefonica stessa che, testimone dei buchi e dei tormenti del giovane tossico, decide di smettere di essere un oggetto inanimato, un semplice osservatore, per intervenire e salvare la situazione. L’ambientazione poteva essere una qualsiasi, ma scegliemmo Londra per le sue caratteristiche cabine telefoniche.

poca, Attilio Micheluzzi in testa (che entrambi avemmo la fortuna di conoscere e frequentare, ma anche questa è un’altra storia). Con Peppe, quindi, scattò subito una profonda amicizia (una sorta di colpo di fulmine amicale) e, in breve, scoprimmo di abitare a pochissimi chilometri l’uno dall’altro, a una distanza facilmente raggiungibile a piedi. Eh sí, a piedi. All’epoca, anche se entrambi avevamo l’età giusta, eravamo privi di alcun mezzo di locomozione e i servizi pubblici… be’, erano quello che erano. Per farla breve, questa vicinanza geografica cospirò per rendere la nostra amicizia ancora piú forte. Cosí passarono i mesi. Lui piegato sui fogli e io su una Olivetti Lettera 32 che aveva la lettera ‘e’ che restava incastrata una volta sí e una volta pure. Oltre che a scuola ci frequentavamo anche fuori. Specialmente presso le rispettive abitazioni. Devo ammettere, a onor del vero, che, causa la mia innata pigrizia, erano piú le volte che Peppe veniva a casa mia, che il contrario. Un’immagine mi torna alla memoria, proprio adesso che sto scrivendo: era estate e faceva un caldo boia. Stavo alla finestra del salotto e vedevo arrivare Peppe con un incedere maestoso (tu che leggi non ridere: se l’avessi conosciuto capiresti di che cosa sto parlando) e con una forza e determinazione che sembrava aprirsi un varco tra una calura talmente soffocante da diventare solida. Proprio questa sua determinazione ci portò, autono-

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Come andò? Che il docente di disegno (di cui non ricordo il nome) trovò una marea di difetti, che corresse con la matita blu. Da quel momento Peppe non ne volle piú sapere e di quelle tavole, in decenni di peregrinazioni da parte di entrambi, si sono perse irrimediabilmente le tracce. Insomma, quelle quattro tavole sono state la prima storia che abbiamo realizzato io e Peppe. Certo, dopo realizzammo una storia breve (di quattro o cinque tavole, non ricordo) per una rivista intitolata “Quaderni Vesuviani”, pubblicata dall’Osservatorio Vesuviano per l’appunto, che pensai di intitolare Uno strano osservatorio ma, giustamente, Peppe mi stoppò. Poi sono venuti infiniti progetti (di cui ne ricordo solo una Nauticaa) mai portati a termine e la mia partenza per altri lidi. Pian piano quell’amicizia che sembrava eterna si raffreddò, probabilmente a causa mia che, nel frattempo, mi ero trasferito a Roma, mi ero sposato e diventato papà. Cosí ci vedemmo sempre meno anche se, entrambi, abbiamo sempre seguito, anche grazie alle amicizie comuni, le vicissitudini umane e professionali dell’altro. Ultimamente, pochi mesi prima della sua scomparsa, ci eravamo riavvicinati, sentendoci sempre piú spesso al telefono, ripromettendoci di rivederci di persona e di rinsaldare quel legame che ci aveva unito in modo cosí potente. Ma il destino è baro (per non dire bastardo) e le cose sono andate come sono andate, ma quegli anni della scuola, dei grandi sogni di gloria, resteranno per sempre nel mio cuore, in modo indelebile. A.D.V.

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Non mi era mai capitato prima di essere fermato dalla polizia ma nei primi anni ‘90, a Chiavari, accadde anche questo. Lavoravo allo studio di Ivo Milazzo, insieme a Giuseppe ‘Beppe’ Barbati, ed eravamo nella fase di consegna delle tavole finali della prima storia assegnataci, periodo nel quale le ore di lavoro crescono di solito a dismisura. Quella sera, ma dovrei dire notte, uscimmo davvero tardi dallo studio, affaticati dalla lunga giornata. I due agenti ci fermarono per un normale controllo, e incuriositi dal fatto che ci eravamo definiti ‘fumettisti’, ci chiesero: «Ma…Tex Willer?», e noi: «Sí, sí, certo. Tex». Poco convinti della risposta, ma comunque divertiti, ci salutarono proseguendo per la loro strada. Non facevamo Tex, ovviamente, un personaggio da sempre nel nostro cuore (e che sono arrivato a disegnare molti anni piú tardi, mentre per Beppe è stato un sogno che non ha fatto purtroppo in tempo a concretizzare) ma Ken Parker, altro simbolo dell’immaginario mio e di Beppe e personaggio determinante come pochi nello sviluppo del linguaggio dei fumetti ‘popolari’ qui in Italia. L’occasione di collaborare alla nuova avventura editoriale di KP (il ‘magazine’ omonimo, inaugurato nel 1992) era troppo importante per disegnatori ancora agli inizi (io ero persino esordiente) e quindi a quella iniziativa io e Beppe aderimmo senza riserve, accettando anche di trasferirci allo studio del maestro a Chiavari (Beppe saliva da Roma mentre io arrivavo da Milano). Sono stati anni di lavoro intenso, spesso totalizzante (le ore spese al tavolo da disegno lasciavano pochissimi margini di svago o riposo, sabati e domeniche comprese) ma a cui, nonostante i mille dubbi e la fatica, non avremmo mai rinunciato. Ma era difficile raccontare tutto questo, quella sera, a quei poliziotti, quindi ce la cavammo con il buon Tex e poi via, a cercare di dormire un po’, ché il giorno dopo Ken

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Parker avrebbe dovuto attraversare catene montuose a bordo di slitte trainate da cani, e bisognava documentarsi, cercare dettagli, atmosfere, cose che richiedevano attenzione, concentrazione ed una dedizione che, pur con tutti i nostri limiti di allora, da Beppe e da me è sempre arrivata. P.F.

In queste pagine, tavole e vignette pubblicate sulla “Ken Parker Magazine”.

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“Simplicissimus” è il nome di una rivista satirica tedesca, fondata nel 1896. Nel corso dei suoi circa sessant’anni di vita, disegnatori di grande talento la arricchirono con le loro opere. Devo la scoperta di quella prestigiosa produzione proprio a Peppe, che nel periodo di residenza a Bolzano aveva battuto a tappeto le biblioteche della città, fotocopiando una montagna di immagini tratte dalla suddetta rivista. La comune passione ci spinse poi a organizzare un viaggio in auto fino a Tegernsee (Baviera), sede del museo di Olaf Gulbransson, in occasione di una personale di Eduard Thony. All’uscita della mostra, entusiasti e gasati, partimmo alla carica di una libreria antiquaria a Monaco di Baviera: io acquistai un’annata completa e rilegata (costosa assai) del “Simplicissimus”; Peppe, ingordo, ne prese due. M.S.

A sinistra e qui sopra, rapidi schizzi ripresi da Agente x9 di Alex Raymond. In alto a sinistra, copie da Jordi Bernet. Le altre due immagini ricreano il segno di Gino D’Antonio.

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TRATTI DI BLUES 57

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Storyboard utilizzato per il videoclip di Steady rollin’ man eseguita dai Dago Red e ‘cover’ del pezzo omonimo di Robert Johnson Nella pagina a fronte, ritratto di John Lee Hooker, compositore e chitarrista blues.

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Peppe Barbati arrivò da noi a gennaio del 2000. Gustavo Trigo era mancato mesi prima e Peppe si trovò a proseguire le orme del ‘maestro’: narrazione e linea scura. Negli anni poi è diventato un punto di riferimento anche per la figura nei suoi atteggiamenti naturali, il panneggio ma soprattutto, lui che veniva dal western, per i cavalli. A.D.F.

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Peppe l’ho conosciuto alla scuola di Pescara. Avevo iniziato a frequentare il corso di fumetti durante l’università, e lui era fra gli insegnanti. Credo che abitasse ancora a Bolzano, ai tempi. Ricordo che la fisicità mi colpí molto. Un omone barbuto che disegnava delicatamente. Anche solo vedergli la matita in mano faceva strano. Poi aveva un modo di disegnare molto leggero che aumentava l’effetto straniante. Era un bravo insegnante, si vedeva che faceva una cosa che gli piaceva. Parlava molto e ti metteva a tuo agio. Da allievo timido qual ero contava molto, questo. Io arrivavo dai fumetti americani, quindi quasi tutti i nomi che mi faceva e i fumetti che ci mostrava per me erano sconosciuti e nuovi. Io volevo imparare e in lui ho trovato una guida dalla disponibilità infinita. Letteralmente. Dopo un po’ si trasferí a Pescara. Avevo la possibilità di fargli vedere i miei disegni oltre l’orario delle lezioni. Non so quante volte sono andato a casa sua con la qualunque nella cartella. Illustrazioni, tavole mie, matite, chine, tavole di prova. Un casino di roba immonda che lui guardava con pazienza, dicendomi che era immonda, ma ogni tanto decente. Mi ha dedicato un sacco di tempo, ma proprio tanto. Mi ricordo che pensavo chi glielo facesse fare di perdere tutto quel tempo appresso a me. E agli altri. L.C.

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Mi piaceva stare lí a sbirciare mentre lavorava. Mi piace il gesto di far apparire il disegno dal foglio bianco. Il tavolo, le matite, le pagine nuove in lavorazione, quelle vecchie buttate in giro, le fotocopie delle pagine consegnate con le – per me – inspiegabili correzioni, gli schizzi a bordo pagina e sui ritagli sparsi, i modelli di armi antiche, gomme, penne, libri, fumetti, fumetti e fumetti. Peppe diceva di annoiarsi nel fare la china. Cosa che mi faceva sorridere sapendo quanto in realtà sapesse farlo, anche se si era dato alle matite nel lavoro. Ricordo di quando gli portavo le tavole dell’“Eura” che facevo, e sulle chine mi ci metteva del nero qua e là, facendo uscire una tavola che sembrava nuova… magari usando un pennarellone vecchio e cencio, ridendo e citando il motto di Milazzo. Gli insegnamenti di Peppe: curare il disegno, documentarsi, guardare, rubare, adattare, correggere e fare. Fare molto. Che solo facendo si impara. Curare la china, che quella si stampa alla fine, quella si vedrà. Non starci sopra troppo a rimuginare, ma provare a dare il meglio. L.C.

Due concetti che Peppe ripeteva spesso ai ragazzi: «Ricordatevi che ogni tavola è figlia della precedente e mamma della successiva». «Le forme vanno abbozzate, ma il disegno è fatto di millimetri».

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Layout quasi microscopici, utili per una rapida visualizzazione delle sequenze.

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NOTE A MARGINE Vignetta di Fabrizio ‘Pluc’ Di Nicola. Sopra la ‘nuvoletta’, riconosciamo Alex Toth, Andrea Pazienza e Hugo Pratt.

‘Beppe’: la B e la doppia P rappresentavano il Barbati nella sua fisicità e gentilezza. A tal punto che quando ci incrociavamo a scuola a Pescara, lui per sfottermi mi chiamava Spiderman e a quel punto il delirio, perché il mio saluto era saltargli addosso. Quante risate! Spesso quando facevo lezione di anatomia in movimento, eccolo che entrava in aula e restava lí a osservare. Restava lí accanto e guardava curioso. Agli inizi non capivo e una volta gli chiesi perché entrasse in aula e guardasse la mia lezione. «Devo imparare e disegnare l’anatomia…». «Mi prendi in giro?», gli chiesi, pensando che scherzasse. Lui mi rispose che il corpo umano lo conosceva bene, ma era curioso di vedere e capire come

altri, altri tipi di disegnatori, risolvessero la figura, come la impostassero, come la interpretassero. «È la fame, la curiosità che ti spinge a migliorarti». Ci rimasi. Beppe era un bambino che voleva capire, conoscere tutto ciò che incontrava sulla sua strada. Ed è stato incredibile che per il rispetto reciproco che avevamo di entrambi non ci siamo mai chiesti un disegno. Pazzesco. Fino all’anno scorso, quando, a una cena tra amici, tra un arrosticino e del buon vino, pigliammo una penna e ci ‘sfidammo’ su una tovaglia di carta pane da pub. Un disegno veloce a due mani. Lui disegnò Tex a cavallo, io uno Spiderman che gli volteggiava accanto. C.D.G.

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Ho conosciuto Peppe nel lontano 1985, durante la mostra mercato di Lucca, che si teneva ancora fuori le mura, all’interno del Palasport. Ricordo che io, alle prime armi e con un esiguo numero di pagine pubblicate, fui avvicinato da Alessandro Di Virgilio, uno sceneggiatore di cui avevo illustrato una storia sulla rivista “Boy Comics”; alle sue spalle c’era un omone in nero che, per mole e sguardo ‘texiano’, sembrava la sua guardia del corpo. Fatte le presentazioni ed esauriti i convenevoli, Peppe si rivelò essere un disegnatore esordiente, tanto motivato quanto acerbo nella resa grafica. Volle mostrare a me, che probabilmente ne sapevo quanto lui, l’unico disegno che aveva con sé per un parere professionale: si trattava, guarda caso, di un Tex a cavallo, sotto la mira di un brutto ceffo armato di fucile, appostato in alto, su una roccia. Pensai, nonostante l’immediata simpatia per ‘l’omone in nero’, che era il disegno piú scarso che avessi mai visto e dall’alto delle mie undici o dodici tavole pubblicate, mi lanciai in consigli e suggerimenti vari su cosa potesse correggere e non. Mai e poi mai avrei pensato che Peppe potesse arrivare al professionismo, figuriamoci se potevo immaginare che sarebbe diventato uno straordinario disegnatore, riferimento a sua volta di tantissimi giovani fumettari. La forza di Peppe era nella consapevolezza di non avere la facilità nel disegno di chi riceve un talento ‘alla nascita’; lui ha fortemente voluto fare il disegnatore e per questo si è applicato con abnegazione e senza soste: ha raggiunto il suo obiettivo, e lo ha fatto alla grande. M.D.V.

Caricature a opera di Maurizio Di Vincenzo.

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CRONOLOGIA

INDICE

1966 Giuseppe Barbati nasce a Napoli. Frequenta il Liceo Artistico e l’Accademia di Belle Arti. 1987 Pubblica sui “Quaderni Vesuviani” una prima breve storia a fumetti scritta da Alessandro Di Virgilio. 1990 Si trasferisce a Roma dove lavora presso lo Studio Leonetti. 1992 Disegna un albo di Balboa per le “Edizioni Play Press”. 1992-1994 Con altri giovani disegnatori, quali Pasquale Frisenda, Max Bertolotti, Laura Zuccheri e Goran Parlov, collabora alla realizzazione del “Ken Parker Magazine” di Ivo Milazzo e Giancarlo Berardi per la Ken Parker Editore. 1994 Disegna alcuni episodi di Ray Cooper per il “Messaggero dei ragazzi”. 1995 Esordio in Bonelli come matitista di Bruno Ramella su Nick Raider n. 85, La morte è in vendita. Seguono Delitti a soggetto e Cadaveri a sorpresa. 1997 Passa alla nuova serie di Gianfranco Manfredi Magico Vento. Alle matite, in coppia con Bruno Ramella, disegna svariati episodi: 2, Artigli; 6, Lungo coltello; 7, Il figlio del serpente; 10, Scheletri; 13, Il demone degli inganni; 5, Blizzard; 18, L’ombra del guerriero; 26, Seminatori di morte; 27, L’ultimo agguato; 32, L’incendio di Chicago; 35, La luna delle foglie cadenti; 47, I sicari; 56, I cavalieri del cerchio d’oro; 128, El camino del diablo; 130, Ultimo atto. Da solo realizza il numero 49, Il Regolatore, e l’87, Halloween. Con Maurizio Di Vincenzo realizza cinque numeri: 60, Minuti contati; 73, La montagna degli specchi; 78, Gli speculatori; 95, Agorafobia; 102, Il ritorno di Aiwass. Con Frederic Volante disegna i nn. 103, Appuntamento a Providence e 109, La pista dei fuorilegge. Con Cristiano Spadoni i nn. 114, Il segreto e la colpa; 118, Exodus e il 122, La morte degli alligatori. Il numero 123, Sentieri di Sangue, è realizzato con Bruno Ramella e Stefano Biglia. 1998 Si trasferisce a Bolzano. Insegna alla Suola Romana dei Fumetti fino al 1999. 2000 Inizia a insegnare alla Scuola del Fumetto di Pescara (oggi Accademia del Fumetto di Pescara) e nel 2001 inizia la collaborazione con il gruppo blues Dago Red. 2002 Si trasferisce a Pescara. 2007 Realizza il n° 2, anno 46 di Diabolik, Il Drago di Giada. 2010 Esordio su Nathan Never n. 231, Memorie del passato, dove disegna una storia in coppia con Paolo Di Clemente. 2011 Per l’“Almanacco della fantascienza 2011” di NN disegna Zanne d’Acciaio su testi di Davide Rigamonti e chine di Luca Casalanguida. 2012 Nathan Never n. 248, Scontro finale, con Roberto De Angelis e Luca Casalanguida. 2012 Disegna tre albi di Shanghai Devil con Bruno Ramella: 7, Sotto ricatto; 10, L’ora degli assassini; 11, Il guerriero invincibile. L’ultimo lavoro per SBE è stato Coney Island, mini-serie scritta da Gianfranco Manfredi, uscita postuma nel 2015. Recentemente era al lavoro su di una storia dell’Agente Speciale Alfa.

Prefazione 3

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Uno strano osservatore

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Il periodo genovese

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L’approdo in Bonelli: Nick Raider

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Gli stili e gli autori preferiti

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Magico Vento

31

Tratti di blues

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Diabolik 65 L’insegnamento 73 Shanghai Devil

77

Tra una tavola e l’altra…

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Nathan Never

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I progetti non realizzati

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Coney Island

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Note a margine

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Finito di stampare per IkonaLĂ­ber nel mese di ottobre 2015 da Digital Team, Fano (PU) su carte ecologiche Fedrigoni Arcoprint e Burgo Selena Green. Composto in Scala sans.

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