Collirio #01

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Me sumerjo en mi caos interior, no quiero salir a la superficie. Sólo en mi desorden encuentro el orden que me hace sentir en sintonía con el mundo. Este mundo sosterrado de sentimientos y anhelos que con gritas ahogadas suplican que vuelvas.

Sprofondo in un caos interiore, non voglio salire in superficie. Solo attraverso il mio disordine ritrovo l’ordine che mi fa sentire in sintonia con il mondo. Questo mondo sepolto da sentimenti e desideri che con urla soffocate ti supplicano di ritornare.

In copertina: “Caos Interior”, collage di Anarela


Editoriale

A

spasso con Ananke: La fantasia al potere, si diceva ad un certo punto. È un concetto che a noi, grigi – di un bellissimo grigio – uomini della postmodernità, risulta estraneo, sconveniente, quasi sgradevole. La libertà è stato il più grande e magnifico raggiungimento della nostra specie, emblema forte e coccarda del secolo scorso. Serviva sapere di poterlo fare, ma adesso basta. A sussurrarlo è Ananke, capricciosa divinità che racchiude e disvela l’atroce ambivalenza del problema. È il modo in cui si intrecciano caso e destino. Forse è davvero il caso che ha costruito le esistenze, ordinando le loro assolute variabili in uno svolgimento ricco di senso ed emozione. Ogni sorriso, ogni incontro, ogni sensazione di “giustezza”, di pertinenza, rispetto alla vita che sembra esserci assegnata, potrebbe essere figlia di questo folle crossing over dei sentimenti. Ma la meraviglia è proprio qui: nel momento in cui il caso si pratica, nella sua infinita possibilità, ecco che diventa destino, la più stretta e importante necessità che possa esserci. Ogni azione, ogni scelta, si innalza così sotto i colpi della sua stessa importanza, della sua decisività, della sua imprescindibilità. È qui che nasce il problema del dato storico, della sua persistenza assoluta. È qui che nasce l’assoluta necessità di ogni esistenza e del suo magnifico [wunderkind] sviluppo. Ci sarebbe una voglia irrefrenabile di essere maggiormente reazionari, ma come non annegare nella ricerca del discrimine che salverebbe solo ciò che è deciso arbitrariamente?


Volo, volo alla ricerca di un ramo dove riposare. Di fronte a me, ormai, il bosco. Il luogo che accoglieva i miei ritorni, quando vivevo con gli amici in primavera: ricordi, pazzie, paure, amori. Il luogo preferito da tutti, il più intimo rifugio che solo noi potevamo sentire. Ora è nudo. Talmente nudo che mi vergogno a guardarlo, mi sento male, si vede il terreno impoverito, distrutto, da cui escono dei pali grossi e pericolosi, infilzati in un materiale freddo e anonimo.

Non credo che questo posto sia stato scelto per caso, credo che appartenga a me come a noi tutti, ma ci è stato strappato. Non credo nemmeno che queste persone siano state scelte per caso: solo loro sanno il perché di tutto ciò, ma non sanno, però, che stanno diffondendo il caos per l’interesse di pochi.

-punto cieco-


assonanze semantiche -effetti collateraliHendrick’s and Tonic, per favore, sabato sera, come ogni sera, appuntamento col bancone. Hai da fare, andiamo a ballare? Banali allocuzioni sguardi sornioni di vino allucinazioni. Andiamo? Stiamo andando? Siamo andati: ecco, è tutto nero, come il mio umore, come il tuo vestito, come il mio cuore. Guardati intorno: cosa ti circonda? Qualcosa rimbomba? Toni alti, stato brado, il basso squassa il petto, l'ansia. Percezioni alterate perfezioni sfiorate luce ombra alternate, rallentare le attenzioni allentare le tensioni l’inibizione è finzione, e basta un vodka trip. Per un sabato da coma una domenica analgesica: la mente sgombra cerca l’ombra, vino vermiglio e cuore in subbuglio. Indietro non ci torno, nonostante sia domenica, nonostante sia analgesica, nonostante sia nostalgica; piuttosto resto qui ed ascolto nella notte il silenzio dei miei passi, il ritmo del raccolto, l’umore, gli alti e bassi. Evasioni centrifughe da emozioni centripete se fai così ti è più comodo, di sicuro non da lucido, altrimenti è un mondo comico altre venti: un fiume alcolico.

Deleterio, non sei stabile, sei sicuro? Una tequila? Se mi curo andiamo in Messico, te lo giuro andiamo al massimo: ho bisogno del deserto, fiato corto, cielo aperto. Assonanze semantiche atomismo linguistico aperitivo balistico atmosfera da mastice; la visione di un fulmine ed è l’ora del culmine. Sei sicuro, guarda bene, fa’ attenzione a queste cose, non è l’ora, lo sai bene, ma fammi il piacere: una cedrata per il signore ed un Hendrick’s and Tonic, per favore…


farfalle... -il bosone di beppe-

Un viaggio nel tempo; la paura di trovarsi di fronte un Tyrannosaurus Rex; l’affannosa fuga che porta a lasciare il sentiero prestabilito e a calpestare un’incolpevole farfalla, scatenando una serie di eventi a catena capaci di modificare l’esito di un’elezione presidenziale. Questo è lo scenario fantascientifico del racconto “Rumore di tuono” di Ray Bradbury, in cui nasce l’idea che un singolo e apparentemente banale evento possa influenzare il futuro con conseguenze inimmaginabili. Chissà che non sia stato proprio questo l’evento che ha reso in qualche modo possibile lo sviluppo della Teoria del Caos. Una ventina di anni dopo la pubblicazione del racconto, infatti, il matematico e meteorologo Edward Lorenz scelse proprio l’immagine della farfalla per intitolare una conferenza tenuta all’American Association for the Advancement of Sciences, in cui si registrarono i primi elementi, seppure non formali, della Teoria. Il titolo era: “Does the flap of a butterfly’s wings in Brazil set off a tornado in Texas?” Da qui l’espressione “effetto farfalla” che ha colpito fortemente l’immaginario collettivo guadagnandosi un posto di riguardo nella cultura popolare. Il punto sollevato da Lorenz era semplice: negli studi meteorologici non è possibile includere lo spostamento d’aria causato da ogni singola farfalla; ma chi può dire che dopo un paio di giorni il loro effetto non generi una tempesta laddove era prevista siccità? Genera l i z z a n d o l’intuizione di Lorenz, si può affermare che talvolta il desiderio di prevedere il comportamento di un sistema fisico si scontra con la sua esagerata sensibilità a fattori apparentemente insignificanti, che non sempre possono essere presi opportunamente in considerazione. Quando accade ciò si parla di sistema caotico: anche un impercettibile errore di valutazione può trasformarsi in catalizzatore di conseguenze lontane e inaspettate. In questa direzione si sviluppa la Teoria del Caos: cercare di costruire un ordine laddove tutto sembra lasciato al caso; rendere, pur nella complessità, misurabile il disordine. Considerato lo spazio virtuale di tutte le potenziali evoluzioni di un sistema caotico - come ad esempio la meteorologia -, occorre prendere atto dell’impossibilità di individuare la linea precisa che il corso degli eventi seguirà. La Teoria interviene restringendo il margine d’incertezza, permettendo di individuare una regione, detta attrattore, a cui tende la gran parte delle traiettorie possibili, tra cui,


...e uragani quindi, sicuramente anche quella effettiva. La particolarità sta nel fatto che molto spesso tali regioni assumono strutture di frattali, entità particolarmente adatte a rappresentare i sistemi caotici e il binomio ordine-disordine che li caratterizza. Essi sono rappresentabili mediante forme irregolari, linee spezzate, biforcazioni improvvise. Tuttavia, un’analisi più dettagliata rivela un ordine intrinseco quasi inquietante: infatti, ingrandendo una qualunque parte dell’immagine originaria, se ne ottiene un’altra molto simile alla prima, e questo si ripete all’infinito su scala via via minore. Sebbene a rigore siano entità matematiche, in natura esistono innumerevoli forme molto simili a frattali, quasi a sottolineare la dominanza del caos nell’esistenza. I disegni sulle ali delle farfalle, ad esempio; ma anche i vortici d’aria che dal loro battito possono scaturire, gli stessi che amplificandosi su scala sempre p i ù grande potrebbero dar vita ad un uragano. In definitiva, la Teoria del Caos ha d a t o un supporto scientifico all’innegabile constatazione che, per quanto possiamo sforzarci, molto spesso non abbiamo le capacità di prevedere gli avvenimenti futuri. Ovviamente, qualcosa di prevedibile ancora residua: per esempio, nulla in questo momento potrebbe distrarmi dal cercare una conclusione non banale all’articolo. Neanche se qualcuno avesse calpestato un elefante in un viaggio nel tempo potrebbe comparire qui, adesso, nella mia stanza, un Tirannosauro ed impedirmi di mettere finalmente il punt


We live in a chaotic world. We cannot predict the future nor can we project ourselves accordingly; we can only imagine. Our environment is purely defined by dynamic systems, their behavior evolves on the course of time and depends on a multitude of hardly identifiable conditions and stimuli. Nothing is random. This word was born from our need to describe events we cannot comprehend due to the enormous amount of influential elements that must be taken into account. However, as determinist as a system may be, there is always an external corrupting noise that imposes new conditions and constrains which influence how it will behave. The chaos theory has a universal influence on the patterns we witness in nature and englobes every aspect of how we perceive our world. A good example of this influence can be read in river meanders; the scars water courses leave on the soil through time and erosion. Why aren’t rivers following a straight course? They start from a high point, called the source, usually among glaciers and icy summits and they finish their course in the sea. Surely, over time, the water progressively digs its way through obstacles, facilitating its flow and speed. What is fascinating, is that streams are constantly evolving, adapting, changing courses, direction, widening or getting shallower, stretching and bending,

as if animated by a mysterious condition keeping them alive and dynamic. Initially, the flow within a river stream is steady, following the course through the land, but as soon as a outside stimuli, an influential element like an obstacle comes in its way, the consequences are massive. Introducing a blunt body in the river course, like a fallen tree, results in a delicate distortion and unsteady separation of the flow of fluids around it. Instantly the dynamics of the flow are altered as the obstacle changes its natural current and velocity. These turbulences affect the river in many ways: they accentuate erosion along specific curves of the river, they nourish others with sediments and deposits, they dig into the land, growing, joining, merging and eventually leaving behind the scars of where once was the river. Everything around us, every landscape, every natural phenomenon, every molecular compound is evolving towards a higher state of complexity. We believe we are in control of nature, but really we are just a part of it, destined to its inevitability growth and decay, just like everything else around us. We know the direction, but the destination remains a mystery.


lenti a contatto igiene visuale

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Caffè atomico -radicale libero-

Bar centrale, ora dell’aperitivo: pochi camerieri per troppi clienti. Un turbinio di gente si riflette nella serie perpetua di specchi che presidia il bancone: forse servono a ricordare di esser soli in una marea di anime. La porta è spalancata, l’aria è gelida ma serve ossigeno in quel caos di benzopirene, anidride carbonica e polveri sottili che uccidono talmente lentamente che c’è sempre, o quasi, qualcosa che le anticipa. La cassiera vede qualcuno avvicinarsi e, senza chiedere, digita “aperitivo” sul suo touchscreen. Intanto la macchina per l’espresso si raffredda e la miscela si inumidisce: il prossimo caffè sarà pessimo. Ecco, un minuto, ed al bancone giunge il malcapitato: il piattino per la tazza avanti a lui ma nessun bicchier d’acqua; a due metri di distanza, c’è un altro piattino in attesa della tazza: a separarli circa dodici persone che sgomitano per il loro drink. Gocce di etanolo evadono dal bicchiere per disegnare mirabolanti parabole nell’aria, feromoni si sprigionano confondendo inevitabilmente le prede in gonnella. Pronto il caffè. Pallido e abbondante: anche lui è figlio di questo tempo in cui la quantità cerca di supplire alla carenza di qualità. Serve zucchero; equidistante dai piattini, giace la ciotola con le bustine. È un’impresa arrivarci con tutta quella calca. Le due mani si allungano in contemporanea, trovano entrambe uno spiraglio. Le dita lambiscono la ciotola, l’ultimo allungo per la bustina e... Le mani si sfiorano. Blande scuse da circostanza anticipano l’incrocio di sguardi. Si sorridono, sembra che quel loro essere così avulsi dal contesto che ha da offrire solo spritz e languori, li renda amici di vecchia data, legati da qualcosa di inossidabile che va oltre la quotidianità. Sopra le teste degli avventori, milioni di atomi danzano freneticamente, sfiorandosi come le mani in cerca dello zucchero. Danzano, si sfiorano, ma non è detto che diventino molecole: ci vuole un “urto efficace”, non basta essere gli unici due a prendere il caffè in un bar affollato. Le più accreditate teorie cinetiche affermano che a 0°C, alla pressione di 1atm, nel tempo di un secondo, in un centimetro cubo, il numero di urti tra elementi chimici è 1029. Un numero impronunciabile individua gli urti che possono avvenire nello spazio di un cubetto di ghiaccio, lo stesso che adesso rotola sul bancone per un errore di valutazione


sul bancone per un errore di valutazione del barista. Di questi 1029 urti, quelli efficaci saranno una percentuale minima: gli urti che andranno al di là del sorriso mentre la mano pesca la bustina di zucchero saranno il frutto di una improbabile probabilità. L’urto per essere efficace deve avere due caratteristiche fondamentali: la prima è che le due molecole siano disposte correttamente nello spazio, - non tutte le regioni di una molecola hanno le stesse proprietà -, in modo che mostrino l’una all’altra determinate piccole porzioni che sono realmente reattive; la seconda condizione è che l’urto sia abbastanza potente da sprigionare un’energia tale da superare l’energia di attivazione, rompere alcuni legami e formarne altri. Alcuni legami come quello del tricloruro d’azoto possono improvvisamente esplodere, altri invece, possono sciogliersi in un biccher d’acqua, come sodio e cloro che sembravano tanto affiatati tra i fornelli. In questa entropia dilagante ci sono caffeinomani che ormai escono la sera per far conquiste, e puntualmente si ritrovano al parcheggio a discutere degli “orrori” di tattica, qualcun altro si è sposato formando un legame indissolubile. Per ora c’è il caffè, mani incerte che si sfiorano e orbite elettroniche che si corteggiano: adesso sta a loro decidere quale regione mostrare e quanta energia impiegare per far nascere un legame per il quale valga la pena dire “Non è un caso essersi trovati in questo folle caos!”. Buon caffè….atomico!


Rien ne va plus! -fosfeni-

Speranza. Angoscia. Paura. Eccitazione. Gioia. Disperazione. Le sensazioni più disparate albergavano in quel Tempio della Fortuna. Più che la passione per il gioco, era stata la mia innata curiosità ad attirarmi in quel luogo, in quell’albergo della sorte sfavillante e sontuoso. Uomini e donne, di ogni età, si muovevano in quel caleidoscopio di luci e colori. Alcuni erano fermi intorno ai tavoli da gioco, lo sguardo fisso sulla roulette , le speranze tutte riposte in una sferetta d’acciaio, il cui “Tac tac tac “ si divertiva a mettere alla prova i cuori dei malcapitati giocatori. Tra le vittime c’ero anch’io, seduto a uno di quei tavoli: avevo appena fatto una puntata non proprio audace. Ero immerso nei miei pensieri, in attesa del “Rien ne va plus!” del croupier, quando una voce interruppe il mio cogitare: - Una sfera, capisce? Tutto nelle mani di una pallina d’acciaio. Tutto. Anche la vita! – Sussultai. - Sa quanti dopo uno scherzo della fortuna sono usciti qui fuori e l’hanno fatta finita? Io stesso ne vidi uno! – A parlare era un uomo di mezza età, l’aria distaccata ed uno strabismo accentuato ad un occhio. Da dove spuntava quello lì? Da quanto tempo era lì? Era comparso all’improvviso, dal nulla. Per non risultare scortese gli risposi, timidamente -Lei gioca spesso? Mi guardò leggermente sorpreso: -Oh, no no. Ho giocato un’unica volta, è accaduto tanto tempo fa. Vinsi una somma che mi cambiò la vita. Dico sul serio! Non so cosa esattamente spingesse quella sfera a fermarsi lì dove io puntavo. O forse ero io a sapere dove quella si sarebbe fermata… ?– Con le dita si carezzava il mento, cercava di sciogliere l’amletico dubbio. Poi riprese: Beh, non fa alcuna differenza! -Beh io direi di sì… -E invece no, caro signore. Lei pensa esista una logica nel caso? Va bene, ipotizziamo per un attimo che questa esista: pensa che noi saremmo in grado di estrarla? Lei forse non ha ancora capito che siamo solo attori… Attori cui non è dato avere il copione. Che poi c’è da chiedersi se un copione da qualche parte sia scritto… A cosa sta pensando? Pensa che io sia pazzo? Non è d’accordo? -Sto pensando che lei mi ricorda qualcuno. Abbiamo forse avuto modo di conoscerci altrove? -Probabilissimo! - Mi lanciò un sorriso complice e si allontanò, leggero, quasi passeggiasse sulle nuvole. Lo guardai andar via e dissi a voce alta, affinché mi sentisse: -Mi dica almeno con chi ho avuto il piacere di parlare! Lui si voltò di scatto, quasi avesse dimenticato il suo nome, stette qualche secondo a pensare, poi con voce sicura esclamò: -Pascal, Mattia Pascal!



Caoticamente perfetto Il cambiamento ha portato il caos. Mi sono ritrovato, all’improvviso, circondato da forme, persone e sensazioni nuove. Una moltitudine labirintica che non lasciava scampo. Credo che a volte sia meglio accogliere i propri demoni, piuttosto che combatterli. Così ho pensato di plasmare il mio ordine servendomi di ciò che di quel caos era l’emblema. Ho capito che di quella moltitudine costituita da forme svettanti e minacciose, potevo farne un puzzle armonioso, formato da incastri caoticamente perfetti. E d’un tratto, tutto aveva di nuovo un senso.

Luca Baldini sovraesposizioni durante lo scatto. foto scattate con “yashica” 35mm e rullo “portra” 160.



COTTON FIOC cotton fioc IGiENE AURICOLARE igiene auricolare

_Franco Baaato – The Implicate Order

Il maestro è tornato con il suo nuovo lavoro “Joe Paa’s Experimental Group”. La ricerca dell’ordine e dell’estrema sperimentazione in un viaggio aaraverso che ci porta a riscoprire, per nostro estremo piacere, il Baaato eleeronico.

_The Doors – The End

Il richiamo dello sciamano Morrison, musica che estende la percezione e rivoluziona la società. Una poesia ipnooca che si insinua lentamente dentro l’ascoltatore.

_Pj Harvey – Hardly Wait

Il caos ormonale, il subbuglio sessuale di uno dei simboli dell’indie rock britannico. Un pezzo che porta con sé una forrssima carica sensuale. L’apice? L’interpretazione di Julieee Lewis nel film anarco-punk “Strange Days”.

_Jesus and Mary Chain – Just Like Honey

Lo shoegaze degli scozzesi, la psichedelia degli anni 80’. Il “muro” delle chitarre distorte e del noise che looano con l’armonia e le melodie sognann delle voci.

_The Flaming Lips – The Great Gig in the Sky

Prendi una delle canzoni più belle della storia della musica, scomponila e ricomponila con chitarre e sinteezzatori. Un tributo ai Pink Floyd che solo quei maa dei Flaming Lips potevano concepire.

_Joy Division – Disorder

La new n wave e l’epilessia che si uniscono e si fanno canzone. Il basso corposo e la sezione ritmica aprono le porte della prima, la meravigliosa voce e le movenze di Ian Currs riassumono il disturbo di cui il cantante soffriva.

_Tool – Vicarious

L’influenza negaava dei media raccontata dai più grandi rappresentann dell’alternaave metal. Sound post-moderno e ambientazioni post-apocaliiche che perfeeamente incarnano la società post-industriale.

_Sex Pistols – God Save the Queen

Un emblema del punk rock: il 10 giugno 1977, il giorno del Giubileo della Regina Elisabeea, la band cercò di suonare la canzone su una barca sul Tamigi, di fronte al palazzo di Westminster. Dopo una rissa, la barca aaraccò e undici persone furono arrestate. Più punk di così.


Si combattono da sempre: l’uno approfitta dell’altro, delle reciproche debolezze, tuttavia nessuno dei due riuscirebbe a sopravvivere senza l’acerrimo nemico. È ben noto che i conflitti nascono dalle differenze, talvolta semplicemente morfologiche, dalla necessità di appropriarsi di qualcosa che solo il nemico possiede, che solo lui è capace di produrre. Non si tratta dei recenti conflitti, non è la Guerra Fredda; l’America stavolta non c’entra niente, e tantomeno gli estremismi religiosi, le multinazionali, il petrolio e l’industria bellica. I due regni si combattono da molto tempo prima: da quando è comparsa la vita sulla terra. Si tratta dell’eterna lotta tra il mondo vegetale e quello animale. Gli animali - uomo ovviamente incluso - hanno da sempre attinto alle piante per soddisfare le loro necessità: sostentamento, rifugio, materia prima da trasformare; le piante d’altro canto, non essendo capaci di deambulare, si sono servite degli animali per i fondamentali spostamenti di polline e semi. Le differenze morfologiche e comportamentali sono lampanti: divisione dell’organismo in organi, capacità di spostamento, di sensibilità, di produrre suoni e di percepirli. In verità, molte di queste certezze riguardo al mondo vegetale sono state sfatate di recente, ma non è questo che ora ci interessa. Quello che realmente colpisce è come si siano venute a formare tutte queste differenze: l’albore del conflitto. Tutto sembra aver inizio da una calma irreale, un ordine apparente. Interazioni tra atomi, la vita molecolare basata sull’RNA, le prime forme di vita cellulare, ed ecco la concretizzazione del caos per eccellenza: l’evoluzione. Da molecole ripetitive, schematiche e modulari quali gli acidi nucleici, si giunge alla complessità della vita come la osserviamo oggi. I percorsi differenti, involontariamente intrapresi dagli antenati degli attuali abitanti dei due regni, sono stati dettati dalle pressioni ambientali e dal conflitto stesso, forse l’unico lecito da sempre, l’unico che vale la pena combattere: la lotta per la vita. La sopravvivenza, l’affermazione di una specie all’interno di un regno è semplice frutto di casuale

selezione. La continua lotta per colonizzare un territorio, per riprodursi, per adeguarsi alle asprezze dell’ambiente e superare le insidie del nemico, si manifesta nel concetto di pressione evolutiva e selettiva. Come alla fine di ogni storia ci si aspetterebbe che qualcuno vinca: niente di più sbagliato. È un conflitto eterno per concetto, quello per la sopravvivenza. Possiamo tuttavia prevedere chi di certo non perderà mai: l’individuo, la famiglia, il regno capace di variabilità, sia biologica che comportamentale. Destinato all’estinzione è chi resta rigido in uno sterile e tranquillizzante ordine.

-the agronomist-


LA CONFUSIoNE dei sensi di scena al whisky a go go’ -peto sounds-

“If the doors of perception were cleansed every thing would appear to man as it is, Infinite. For man has closed himself up, till he sees all things thro’ narrow chinks of his cavern.” 1790, data esatta sconosciuta. L’uomo smette di considerare eterni e immutabili quei limiti che esso stesso si è imposto, il mythos precede e pervade il logos, il potere dell’immaginazione apre le porte della percezione. W. Blake affida alla mente umana, attraverso la raccolta di poesie “Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno”, il compito di combattere lo stato di alienazione e tirannia che il mondo ci impone, riaffermando uno spirito che punta più all’espressione che alla spiegazione. L’impulso creatore di Blake è concentrato sulla mente umana: esso spinge il lettore a mettere fine allo stato di alienazione attraverso la forza dell’immaginazione, e lo fa rivoltando come un calzino il più grande simbolo della mitopoiesi cristiana, la Bibbia. Il poeta inglese ne ribalta l’etica, arrivando a lodare la saggezza dei “diavoli”, rafforzando la potenza comunicativa del “Grande Codice”. “Le Poète se fait voyant par un long, immense et raisonné dérèglemente de tous les sens […]. Car il arrive à l’inconnu! […] Qu’il crève dans son bondissement par les choses inouies et innombrables, viendront d’autres horribles travailleurs; ils commenceront par les horizons où l’autre s’est affaissé!” 15 maggio 1871. Parole che si trasformano in densità concettuale, che investigano l’invisibile e ascoltano l’inaudito, che nel giro di due anni si scopriranno essere profetiche. La “Lettre du Voyant”, missiva con proprietà veggenti inviata da un appena sedicenne A.Rimbaud all’amico Paul Demeny, diventerà il principale manifesto delle correnti simboliste e surrealiste e dei movimenti d’avanguardia letteraria che sarebbero germogliati di lì a poco. Un tuffo nel mondo caotico della perdizione, azzerando ogni regola e ogni sovrastruttura, coltivando in sé allucinazioni e percezioni arcaiche, distruggendo l’ordine apparente al fine di “salpare”, con il poeta-profeta al timone, verso l’Avvenire di un nuovo mondo generato dal Caos. « The killer awoke before dawn, he put his boots on, He took a face from the ancient gallery And he walked on down the hall He went into the room where his sister lived, and... then he Paid a visit to his brother, and then he He walked on down the hall, and And he came to a door and he looked inside Father? Yes son? I want to kill you 21 agosto 1966. La confusione dei sensi di scena al Whisky a Go Go di Los Angeles. L’esigenza di disordine purificante spinge J.Morrison ad arricchire la rappresentazione live di “The End” con una ricostruzione moderna del mito di Edipo. La versione messa in scena quella sera sarà quella definitiva, registrata sull’album di


debutto dei The Doors; il “richiamo” edipico del Re Lucertola costerà alla band il licenziamento immediato dal Whisky a Go Go. Il forte potenziale comunicativo dei The Doors nel 1967 si spiega con la forza mistica del loro frontman che, nelle vesti arcaiche dello sciamano, si appella alla veggenza rimbaldiana, alla forza dell’immaginazione discendente da Blake e al potere del rito. Jim credeva che l’America avesse bisogno di una rinascita dalla spregevole razionalità che aveva portato alla guerra in Vietnam, all’inquinamento del globo e alla malattia della storia immorale: l’unico modo per contrastare la superficialità era ripristinare la saggezza della cerimonia primordiale, occorreva la fase del disordine, dell’arcaico disastro per purificare gli elementi e scovare “un regno più pulito e più libero”. La performance art dello sciamano Morrison raggiungeva in scena “un voluttuoso panico, deliberatamente evocato attraverso droghe, canti e danze”, lasciandosi alle spalle ogni credenza o sistema ortodosso e preimpostato. E’ così che ci ritroviamo insieme alle tastiere di Manzarek “perduti in una landa romana di dolore”, identificabile negli Stati Uniti di allora, “in attesa della pioggia estiva” del rinnovamento, sperando di cogliere il misterioso richiamo dello sciamano e di “cavalcare il serpente verso l’Anti-

co Lago”. Ma “The End” finisce nell’incertezza, non ci è concesso sapere se la fine porti o meno a un nuovo inizio: l’appello del Re Lucertola non è facile da seguire, soprattutto in tempi in cui si combatte l’irrazionalità. L’unica certezza Jim Morrison ce la trasmette vivendo la vita in modo mitico, superando tutte le convenzioni e perdendosi nella “forza disgregatrice”, fino a morire da creatore di mito: il nuovo cosmo scaturisce dall’eroe-poeta pronto a pagare il prezzo del caos.

Siamo nel tempo dell’ordine apparente, nel quale l’essere umano post-moderno sembra ossessionato da un unico orizzonte raggiungibile: trarre un senso da esperienze che ne sono apparentemente prive, sentire l’urgenza di cercare nel caos un ordine implicito che probabilmente non c’è. Questa propensione alla vuotezza coincide con la mancanza di eroi che, attraverso la musica, guidino l’evoluzione culturale che tanto ci servirebbe. La strada maestra l’hanno indicata i miti del romanticismo: abbandonarsi e farsi attraversare dal mythos, lasciando alla razionalità le briciole della ricerca di sé stessi.


Yellow Island

-oltre lo sguardo di medusa-

Quando dipingo io non sono molto consapevole di ciò che sciuto nella mia infanzia. Prendo della vernice nera: ė il colore del mio umore; comincio a versarla direttamente sta accadendo… dal barattolo, poi impugno un bastone di legno per aiutarmi a stenderla sull’ampia superficie della tela; faccio Pollock, 1947. tutto in modo spontaneo, non seguo uno schema fisso, Cosa dipingo oggi? No, non voglio chiedermelo, non le uniche direttive sono quelle dettate dall’inconscio; m’interessa programmare, né ho voglia di limitare la mi accorgo però che c’è troppo nero, manca un tocco mia immaginazione con superflui e fastidiosi schemi di luce: il giallo, che poi sarebbe quel pizzico di speranmentali. Tutto ciò che mi basta è il mio casermone in za che non guasta mai; squarcio il nero della mia anima campagna, il mio studio personale: un’alcova di silenzio con la punta del pennello, qua e là, senza sapere dove e caos interiore, dove dare libero sfogo alle mie sensa- piazzarlo con precisione. A questo punto non mi resta zioni più profonde; i miei pensieri e i miei sentimenti si che sollevare la tela: la lascio in verticale per qualche riversano come un fiume in piena in un greto di ciot- minuto, in modo tale che la vernice ancora fresca postoli irregolari, un torrente che segue sentieri impervi e sa gocciolare liberamente in tutte le direzioni, creando scoscesi, un flusso irruento che senza sosta scorre su una trama fitta di linee, ora più spesse, ora più sottili. e giù nella mia testa, nelle mie viscere; poi d’un trat- Ora sì che sono soddisfatto! Quelle linee così casuali, to trova la mano dell’io-artista, che blocca lo spasimo che si rincorrono impazzite sulla tela, sembrano proiniziale del mondo interiore e lo trasforma in misce- prio il riflesso del mio caos interiore, lo specchio del la creativa. In questo modo il mio caos diventa opera mio stato d’animo attuale, momentaneo. Sono riuscito d’arte, dipinto dell’anima, specchio del subconscio; la a condensarlo in una forma concreta che tra qualche mano dell’io-artista plasma i miei pensieri e li trasforma ora non sarà più la stessa. Ho dipinto con impeto la in azione pura, gestualità casuale e irruenza creativa. solitudine della mia anima tormentata e selvaggia, ma Prendo un grande pezzo di tela, lo piazzo a terra, co- sono sicuro che esiste anche per me, da qualche parmincio a girarci intorno e ad ogni passo sento i miei te, un’isola di salvezza e speranza dove poter placare pensieri scalpitare dentro me: vogliono uscire, liberarsi gli affanni di una vita intera. Manca un titolo per comcon un urlo violento, parlare al mondo senza pretende- pletare l’opera…ma sì, Yellow Island sembra perfetto; è re di essere compresi. In questo momento mi sembra questa l’isola che aspettavo! di essere un indiano Navajo che traccia liberamente dei segni sulla sabbia, proprio come quelli che ho cono-


NON M’INTERESSA L’ESPRESSIONISMO ASTRATTO… E COMUNQUE NON SI TRATTA DI UN’ARTE SENZA OGGETTO, NÉ DI UN’ARTE CHE NON RAPPRESENTA. IO A VOLTE HO MOLTA CAPACITÀ DI RAPPRESENTARE, ANCHE SE DI SOLITO NE HO POCA. MA SE TU DIPINGI IL TUO INCONSCIO, LE FIGURE DEVONO PER FORZA EMERGERE… LA PITTURA È UNO STATO DELL’ESSERE… LA PITTURA È UNA SCOPERTA DEL SÉ. OGNI BUON ARTISTA DIPINGE CIÒ CHE È. J.P.


L’odore della

nebbia


INT. VILLA SUI COLLI EUGANEI-SALONE. NOTTE

22.

CONTINUED:

Cinque persone sono sedute attorno ad un pesante tavolo barocco in mogano, con gambe a forma di zampa di leone, in un salotto di inzio ’900 con soffito alto e travi in legno. Due uomini sono seduti su un divano di seta a fantasia orientale: sono Mr Firestone e Ludovico. Mr Firestone , 64 anni, newyorkese, ha una stempiatura accentuata e una faccia rotonda e paonazza. Giacca blu e camicia floreale sembrano sopportare a gran sforzo l’imponenza della pancia dell’uomo. Fuma un Partagas che rende ogni sua parola incomprensibile. Ludovico ha 48 anni, capelli scuri e ricci e porta un paio di occhiali con pesante montatura in osso. Minuto, con occhi iniettati di sangue, beve il suo quarto rum liscio. Ai lati del divano, due poltrone sulle quali sono sedute la moglie di Mr Firestone, Sylvia, e la ragazza di Ludovico, Angelica. Sylvia e’ un’elegante donna a cui il tempo non ha risparmiato rughe e doppio mento pendente. Indossa un paio di grossi occhiali che, insieme alla bassa attaccatura di capelli biondi, lasciano poco spazio alla fronte luccicante. Angelica, seduta esattamente di fronte a Sylvia, e’ una giovane mora dai lunghi capelli mossi. Indossa un vestito nero con uno spacco sulle gambe, accavallate, e scarpe con tacco. La mano destra regge un lungo bicchiere di vodka cranberries. All’altro lato del tavolo, in abito semplice scuro, siede Vincent. Vincent ha 37 anni, capelli scuri, brizzolati al lato. Nella sua mano destra un bicchiere di Hendrick’s and tonic. Ritratti e dipinti datati contribuisono ad appesantire l’atmosfera.

Pardon?

VINCENT

MR. FIRESTONE (lentamente, con piu’ decisione) WHAT KIND OF WRITER? VINCENT I write for a magazine.. MR. FIRESTONE (interrompendo Vincent) Gossip? VINCENT Unfortunately not. It is magazine based in.. MR. FIRESTONE ( interrompendolo ancora) What a pity! Sylvia loves gossip. Don’t you Sylvia? Sylvia accenna un sorriso. LUDOVICO But now he is writing a novel, the second one. ( rivolto a Vincent) Eh Vincent? E parla un po’ anche tu, dai!

LUDOVICO (con forte accento italiano) Mr Firestone,I was telling you that Vincent is a writer. A very good one.. (verso Vincent) Come si dice "secondo me"?

Una cameriera bassina sulla cinquantina entra in salone ed interrompe la conversazione.

VINCENT In my opinion..

CAMERIERA Signori! La Contessa Donatella Randolburn von Teushker.

LUDOVICO (bevendo un altro sorso di rum) ..in my opinion. Ludovico poggia la mano sulla gamba di Angelica. Mr Firestone, fingendo attenzione, si mette dritto sul divano. MR. FIRESTONE (con il sigaro ancora in bocca) What kind of writer?

La CONTESSA entra nel salone con passo lento e elegante. 68 anni, capelli raccolti in uno chignon mantenuto da due bacchette in legno; indossa un lungo vestito blu scuro e una pesante collana. Al seguito della CONTESSA, un ansimante basset hound. All’entrata della CONTESSA, gli ospiti si alzano in piedi. MR.FIRESTONE e’ il primo a raggiungere la CONTESSA. MR. FIRESTONE (baciando la mano piena di anelli della Contessa) Contessa! It’s a pleasure to meet you again.

(CONTINUED)

(CONTINUED)

33.

CONTINUED:

44.

CONTINUED: VINCENT (sfiorando con le labbra la mano della CONTESSA) Esatto!

CONTESSA (accennando un sorriso) Glad that you are here.. MR. FIRESTONE This is my wife Sylvia, she’s french.

Con un cenno della mano destra la Contessa ordina agli ospiti di tornare a sedersi. La contessa fa altrettanto, occupando il posto accanto a VINCENT. Il cane la segue.

SYLVIA C’est un plaisir!

CONTESSA (rivolta alla cameriera) Dominique! Porti qualche aperitivo ai nostri ospiti.

La CONTESSA accenna un sorriso. SYLVIA Et cette maison est.. "Favolosa!"

CAMERIERA Subito Contessa!

CONTESSA Merci Madame ! Je suis vraiment.. LUDOVICO!

La CAMERIERA esce dal salone.

La CONTESSA vede LUDOVICO che la bacia sulla guancia. CONTESSA (sorridendo) Finalmente ha accettato il mio invito! LUDOVICO Sa benissimo che ero impegnato con il lavoro.

CONTESSA (rivolta a Vincent) Allora, caro, devo dirle che mi e’ piaciuto molto il suo primo romanzo. A tratti acerbo, e’ vero, ma... ho ritrovato un romanticismo... un romanticismo che oggi mi pare smarrito... quasi fanciullesco, ecco. Ma, mi dica... lei crede in quello che scrive? Vincent sembra spiazzato dalla domanda. Poi si riprende.

CONTESSA (sorridendo verso gli altri ospiti) Ma quanto potra’ essere mai impegnato un produttore... vallo a capire...

VINCENT Beh, di sicuro a quel tempo ci credevo...

La CONTESSA si interrompe volgendo la sua attenzione a VINCENT. CONTESSA (tendendo la mano destra verso Vincent) Ma chi e’ questo bel giovanotto?

CONTESSA Sa, io ammiro i romantici. Dico davvero: hanno questi occhi velati che... sembrano filtrare fumi di inutili chiacchiere e vedere al di la’ delle futili conoscenze. Lo sguardo di Vincent si perde nel vuoto. La Contessa riprende a parlare con i suoi ospiti. FADE TO BLACK

LUDOVICO Contessa! Questo e’ lo scrittore di cui vi ho parlato. CONTESSA Certo! Certo! Vincent giusto? (CONTINUED)


55. EXT. VENEZIA-PRESSI DI RIALTO. ALBA Una sottile foschia avvolge il Canal Grande e un sole rosso pallido filtra tra le nuvole. Vincent cammina indeciso nel dedalo di vicoli che costeggia il Canale. Ascolta il silenzio della mattina, fissando un punto indefinito davanti a se’. D’un tratto confusi schiamazzi attraggono la sua attenzione. Vincent segue la fonte del rumore. EXT. MERCATO DEL PESCE. ALBA Vincent esce da uno stretto vicolo che lo conduce ad una piccola piazza colma di gente e bancarelle di pesce a tendaggi rossi. I venditori urlano e la gente confusa vaga da una bancarella all’altra. Vincent s’incammina verso una bancarella, fermandosi a guardare un grosso pesce. VENDITORE (con forte accento veneziano) Bello, vero? Se vuole le faccio un buon prezzo. VINCENT (esitante) Io... Veramente...

66. Vincent e’ ormai lontano e torna a perdersi nei vicoli e nella foschia, lasciandosi alle spalle la confusione del mercato. INT. CIRCOLO DEI SOCI. GIORNO Vincent viene accolto alla porta da un maggiordomo in classica uniforme in nero. MAGGIORDOMO La prego! Il Signore la sta aspettando. Con un cenno di ringraziamento, Vincent lo segue in un salone pieno di arazzi arabeggianti. Un grosso lampadario in legno, mangiato dalle tarme, s’impone su un ampio tavolo e un grosso tappeto. Ai quattro angoli del salone dominano quattro staue di ebano di guerrieri etiopi dagli occhi vitrei. In uno di questi angoli c’e’ un tavolino con due poltrone. Un vecchio uomo e’ seduto su una poltrona fumando una sigaretta. E’ il CONSIGLIERE. CONSIGLIERE Vincent! Come sta? VINCENT Bene! Lei piuttosto?

Vincent scuote la testa e passa oltre. VENDITORE (ad una signora li vicino) Buongiorno signora! Cosa le interessa? Abbiamo uno spada buonissimo oggi.

Vincent si siede di fronte al Consigliere. Bene!

Vincent continua a vagare tra le bancarelle. D’improvviso si ferma. Un uomo e’ intento a sventrare un’orata. Vincent rimane li’ a fissare il pesce, mentre l’uomo continua la sua opera. Poi sembra accorgersi di Vincent. VENDITORE 2 E’ suo? E’ quasi pronto. Finisco di.. Con un grosso coltello rimuove le lische del pesce. Vincent sembra impressionato dalla semplicita’ con la quale l’uomo compie queste azioni. Scuote la testa e ricomincia a camminare. VENDITORE 2 Signore! La sua orata!

CONSIGLIERE

VINCENT Ha letto quello che le ho mandato? COSNIGLIERE Ho letto... ho letto. (pausa) Mi dica, perche’ continua a mandarmi sprazzi di lavoro incompiuto? Lei mi conosce, sa benissimo quanto peso io dia alle critiche: forse non le converebbe conoscere il mio parere... VINCENT (lentamente) No... no... Al contrario, io ne ho bisogno...

(CONTINUED)

88.

77.

CONTINUED:

EXT. VENEZIA. TRAMONTO

CONSIGLIERE (interrompendolo) Ma, mi scusi... bisogno di cosa? Mi dica: cos’e’ che la turba? Non riuscire piu’ a scrivere il vero? E non riuscire neanche ad ammetterlo? Per questo ha bisogno di me?

Vincent cammina a passo incerto tra lo schiamazzo della folla. Sembra inquieto, continua a riflettere sul precedente incontro con il Consigliere e alle parole della Contessa. D’un tratto il canto di un coro gregoriano cattura la sua attenzione. Vincent si dirige verso una chiesa romanica a ridosso di un vialetto secondario.

Vincent si accende una sigaretta.

INT. CHIESA. TRAMONTO

CONSIGLIERE Vede, ho notato questa metamorfosi... profonde inquietudini la trascinano continuamente da una sponda all’altra, e troppo spesso la portano alla deriva. Poi d’un tratto sembra volersi lasciare tutti i pesanti strascichi del passato quando scrive... Aspetti...che..

Vincent entra in Chiesa e viene avvolto dall’odore e il fumo dell’incenso. Alza lo sguardo e vede una tiepida luce filtrare tra le finestre. Poi lo vede: un coro prova ai piedi dell’altare. E’ il "Kyrie Eleison". Vincent si siede su una panchina in legno e si guarda intorno. Alle pareti della navata ci sono due dipinti enormi di eta’ diversa: entrambi rappresentano "La cacciata dei mercanti dal tempio". Vincent si perde nei volti dei protagonisti dei dipinti. Il contrasto di pace e confusione nello stesso posto sembra turbarlo ancora una volta. Si alza ed esce dalla chiesa, tornando a vagare tra la folla.

Il Conisgliere cerca qualcosa nella giacca. Finalmente caccia fuori un pezzo di carta e legge.

CUT

CONSIGLIERE "Ed e’ dove finisce la terra e comincia il blu immenso | che il mio spirito va | lasciando le membra ormai stanche a decomporsi al sole. | Solo allora mi sembra di capire | le mie sensazioni si dilatano | tendendosi all’infinito|| ". Il Consigliere fa una lunga pausa e fissa Vincent che ricambia lo sguardo, desideroso di conoscere il commento. CONSIGLIERE Cosa vorrebbe comunicare? Che senso ha questo slancio poetico? Crede forse di essere capace di innalzarsi al di sopra della massa? Vincent non risponde. CONSIGLIERE E allora, ancora una volta le chiedo: in che modo credeva che io la potessi aiutare? CUT TO


le caos:

-la piramide-

Eccolo, fuscello nel vento, IL CAOS era il mare che nasconde la terra, grandioso elisio, giardino di mirra. Ti ho cercato per lungo tempo, nei sogni violenti, nei fumi d’incenso, nei ghirigori senza senso. Ho lasciato andare i giorni, io ho preso altre strade. Nuove porte oltre la storia degli uomini: DOVRETE ESSERE ELETTI Dipingere sogni chiari e scrivere le vertigini oscure

Dopo che il Mito si fu placato i bambini iniziarono il girotondo a grandi salti infreddoliti, per salutare l’almovàr, il genio del mondo

Il Sole discese col suo carro alato, e l’uomo lascio il cavallo immondo; i cani scorazzarono inferociti, poiché la padrona aveva visto dal samovar fumare albe diverse. Le tre Mesdames sono venute a dividersi i deserti dell’anima: Mongolia d’acqua, torrenti del propano, dune di zolfo. La commozione non è più una vergogna per gli uomini forti.


Se ci fosse un perché e se questo fosse pensabile, a giudicare dalla principale occupazione degli esseri umani il nostro scopo ontologico sembrerebbe la ricerca dell’ordine. Mettiamo ordine nell’ambiente circostante e nei cassetti degli armadi, cataloghiamo le stelle del cosmo e le leggi del codice penale, controlliamo le manifestazioni di piazza e ci chiariamo le idee che balenano nella nostra testa. Siamo continuamente impegnati a difendere l’ordine o a ripristinarlo: è un’attività senza sosta e inarrestabile, come il respirare. Potremmo dire che viviamo di ordine. Infatti, proprio come quando ci manca l’ossigeno, se non abbiamo ordine ci sentiamo soffocare: siamo fuori posto, disorientati, in un buio che dobbiamo rapidamente illuminare per continuare ad esistere o, almeno, ad esistere come prima dell’asfissia. L’ordine è regolare, dunque prevedibile e rassicurante, mentre il disordine è ambi-

guo e frastornante. Al contempo, però, l’ordine è noioso e il disordine è stimolante, per cui ci troviamo in una continua tensione tra il conservare e il trasformare, tra l’archiviare e lo scompigliare. Questo accade anche grazie ad una caratteristica peculiare dell’ordine: è profondamente mutevole. È così variabile che è difficile stabilire se sia fragilissimo o beffardo: non lo si raggiunge mai davvero e, quando si pensa di averlo in pugno, lui sguscia via e non lo si riesce a mantenere a lungo. È come il “centro di gravità permanente”: per sempre temporaneo, eternamente chimerico. Allora tentiamo di disciplinare almeno i concetti con cui pensiamo (ovvero: costruiamo e ordiniamo) il mondo, definendo razionale ciò con cui siamo uniformi e irrazionale quel che ci è distante, ma anche qui dopo un po’ ricomincia il gioco delle sfumature che si trasformano in abissi. Pazienza e persuasione sono le strategie


più efficaci per rendere armonico il nostro trambusto, ma talvolta è necessario uno shock in cui inquietudine e fiducia si confrontino per stabilire a quale assetto non si può rinunciare: il precedente o quello a venire? In questo caso, però, bisogna far attenzione agli articoli grammaticali con cui lo definiamo: se vi è l’articolo determinativo significa che l’ordine è una contraddizione, una negazione. In questo caso, cioè, l’ordine è un’essenzializzazione ed un’imposizione: ne esiste solo uno ed è questo! Si tratta di un ordine che cancella tutti gli altri ordini esistenti e possibili, e che muta in un paradosso, perché se intendiamo l’ordine come una forma di equilibrio, allora questo non può rinunciare al plurale e non può che essere sintesi di voci e visioni molteplici: solo così può dirsi effettivamente accordo di note disparate. Il mio ordine dà certamente senso al mio esserci, qui ed ora, ma non vale per tutti: è un qualcosa di giusto per me e per il mio gruppo, ma non è l’unico e non è quello autentico. L’ordine di alcuni, infatti, è disordine per altri, così come la confusione può essere una perfetta organizzazione agli occhi di chi vi è in mezzo, ma assolutamente incomprensibile per chi ne è all’esterno (immaginate la camera di un adolescente: cos’è ordine e cos’è disordine?). Gli stili di vita degli altri ci sembrano sempre assurdi, ma non è detto che lo siano realmente, forse seguono solo premesse diverse e allora

necessitano di una nostra maggiore attenzione per essere compresi e valutati. Il mio ordine è ciò che conosco e che mi rassicura, è ciò che ogni mattina dà un significato alla sveglia e rende meno ignota – a me, come a qualsiasi altro essere umano sul pianeta – la giornata in cui sto per immergermi. L’agenda degli impegni, però, è solo una finzione di gestione, un’illusione di controllo perché l’ambiguo e l’incerto assediano permanentemente gli schemi, le classifiche, i crono-metri, le strutture, i manuali con cui senza sosta edifichiamo l’impalcatura della nostra esistenza individuale e della nostra vita collettiva. Attraverso l’ordine abbiamo l’ambizione di controllare l’esperienza, sebbene il disordine lo metta in costante pericolo: l’incerto irrompe in ciò che riteniamo assodato e ci costringe a rimescolare, a ripensare, a ricostruire. Ci obbliga a ri-fare. Ma è proprio in questo continuo fare-disfare-rifare che si rifugia il perché dei perché a cui ciascuno dà una risposta differente. Come suggerisce Otto Neurath nel descrivere la filosofia degli scienziati, la nostra condizione è come quella dei marinai che in mare aperto devono riparare lo scafo della loro nave, senza poterla smantellare in un bacino per ricostruirla con materiali migliori, anzi dovendo fare i conti con ciò che hanno a disposizione e, per di più, lottando contro venti violenti e onde tempestose. Insomma, nel caos.


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GIOVANNIGUGG L’ORDINEDELCAOS



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