Il Collirio #12

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“Quadratura del cerchio. Non si sa cosa sia, ma bisogna alzare le spalle quando se ne parla”.

In copertina: “Radici-Stratosfera” di Pietro Puccio

Edition of 200 offset - stampato presso Tipografia Reali

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Editoriale

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l concetto di tempo, nell’intricato immaginario dell’essere umano, è rappresentabile da una semplice e inesorabile linea retta che avanza veloce nello spazio. Pare che la felicità sia desiderio di ripetizione, di ritualità, di eterno ritorno. Questo è quanto rappresenta, nel nostro estatico immaginario, il progetto Collirio: un talismano, un rito annuale che si rigenera e si autoalimenta, baluardo contro l’inerziale avanzata della banalità e l’inarrestabile svendita dei contenuti. Un enorme serpente, scomodando l’antico Uroboro, che si morde la coda formando un cerchio senza inizio né fine. Il meccanismo di creazione della nostra rivista non è mai statico, ed ha un non so che di alchemico perché, durante il nostro percorso, ripetendolo molteplici volte ci ha permesso di avvicinarci alla perfetta raffinazione: l’evaporazione, il raffreddamento e la condensazione di un liquido, la differenziazione della materia e l’unione delle sue polarità. Proprio come scrittura e illustrazione, componente maschile e femminile che si ricongiungono, il prodotto delle nozze alchemiche tra il Mercurio, la donna, il principio lunare, e lo Zolfo, l’uomo, il principio solare. Finisce qua il primo ciclo, il primo giro di giostra, ma il nostro è un nutrimento primordiale, fatto di passione e creatività scritti nel codice culturale di visionari che credono, come noi, in un nuovo ma fondativo modo di vedere le cose.

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Dal cielo al punto,

passando per un cerchio 4


Ognuno di noi agisce seguendo un frame comunicativo atto a guidare le operazioni di produzione e ricezione di senso, che trae origine da configurazioni culturali, da

proposta da Jurij Lotman per indicare un determinato spazio della significazione, globale e dotato di specificità, una zona di sviluppo di sistemi omogenei che assurgono a

una semiosfera in cui si incrociano testi, pratiche, discorsi, consuetudini comunicative ed espressive. La semiosfera è una concettualizzazione

tratti dominanti per un dato insieme, una collettività, una cultura. William von Humboldt usa la metafora del cerchio per esprimere i confini insiti nella lingua di

una nazione, da cui si esce entrando in altri cerchi, adottando diversi linguaggi e punti di vista. Il cerchio, dunque, limita e chiude un dato universo linguistico che coincide con il mondo reale. La lingua funge da riferimento nella teoria delle istituzioni formulata in primis da Ferdinand de Saussure, che immaginava e disegnava i sistemi come un cerchio, in continuo dialogo con la comunità, il quadrato, sintetizzando la trasmissione delle istituzioni proprio nella quadratura del cerchio. Non sempre si tratta di figurativizzare un dialogo: Simmel usa il cerchio come espressione della separazione classista, alla stregua della cornice di un quadro che delimita un mondo autosufficiente, fungendo da codice regolatore dei rapporti con l’esterno. La nostra costruzione dell’immagine del mondo si basa sull’atto del determinare l’essenza di una certa cosa. L’essenza, concetto astratto e ostico, nella tradizione orientale assume una forma circolare, figurativizzata dal mandala, il cerchio atto a contenerla. Il mandala è una metonimia cosmologica, ma anche una rima plastica tra espressione e contenuto, ossia tra la forma circolare che lo contraddistingue e il suo nome, che significa, appunto, cerchio. Il cerchio ritorna in uno dei cinque simboli del Buddha, la ruota della saggezza, simulacro della verità suprema, sia per la sua compiutezza totalizzante che per la sua vacuità senza inizio né fine, profondamente collegata agli attributi di illuminazione e verità, ma anche al Buddha stesso, raffigurazione della rotondità, che esprime una perfezione insuperabile,

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congiuntamente a un vuoto radicale. In alcune celebrazioni buddiste che si tengono all’interno dei templi come l’hōe, c’è la necessità di rappresentare il cielo tramite il tengai, il suo simulacro sospeso sul soffitto. Il tengai ha forma ottagonale, ma il cielo è rappresentato dal cerchio inglobato al suo interno, che trascrive la mediazione tra quadrato e cerchio, ovvero tra terra e cielo nell’ottagono, dove la circolarità imprime l’effetto di senso dello svelamento della visione assoluta. A tale proposito, l’antico testo cinese Huainanzi propugna la circolarità di cielo e terra, correlando i cinque elementi a uguali forme geometriche: il cerchio è associato all’acqua, il semicerchio al vento. Al cerchio vengono attribuite tali proprietà perché non ha orientazione, bensì carattere cinetico dovuto alla tensione oggettivata al movimento della sua forma. Qualsiasi elemento inscritto nel cerchio riceve movimento, ossia quel moto perpetuo che è la pratica continuativa della coltivazione di ciò che fa bene all’anima e al corpo, inteso come arte spirituale e fisica. Se un cerchio viene disegnato in miniatura, diventa un punto. Non importa quanto sia piccolo, quel punto rimane, non scompare. Ogni cerchio è differente, ma tutti diventano inevitabilmente punti quando rimpiccioliscono, proprio come accade ad anima e corpo. Il cerchio ha un significato esistenziale perché nasce da un’asse intorno cui si forma il mondo.


COSTANTE DI FIDIA

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PROPORZIONE DIVINA

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IL GIROTONDO DEI MOVENTI

Bocca di rosa, naso di viola

Ecco, signori, che arriva Turing[1] il grande genio, il grande mago se oggi possiamo scriver così è grazie a lui e alle sue intuizioni.

si erano avuti, seguendo la legge la legge che viene sopra le leggi. Ma più di tutto, il loro riflesso la loro voce nell’universo lì a vagare tra le galassie e ad istruire sul come si fa.

Lui che studiò lo spazio ed il tempo e come possano esser confusi lui che pensò ai nuovi automi a come avrebbero agito loro.

Come si fa, come far cosa certo l’amore, l’evoluzione l’evoluzione che batte l’inerzia erano tutti ad ascoltare.

Di tutto lo strazio della sua fine per molto non se ne seppe tanto ma ecco qui Alan è riscattato, e aspetta gli altri nel girotondo.

Loro spiegarono senza dettagli tutti lo avevano dentro di loro era una cosa applicata da sempre equilibrare coraggio e prudenza.

*** Subito arriva, ha un che di strano ma lo vedete, ma lo vedete di certo lui non è un umano è quel robot dal numero strano.[2]

Mentre danzavan la musica andava ma lo sapevano, non eran tutti gli ultimi apparsi dovevan venire le loro chiome all’orizzonte.

Lui fa quello che gli hanno detto porta la linfa su altri pianeti poi si distrugge come previsto ma grazie a lui la ragazza[2] nasce.

*** Il primo che avanza è GBV ecco a seguire l’amico RD qualcuno capì e disse a gran voce Vico e Cartesio[6] girate con noi.

Lei nella sua dolce purezza capisce una cosa non certo diretta sa che la vita su ogni pianeta è stata portata da navi-cometa.

Classico e antico, nuovo-moderno cosa si tiene, cosa si getta lo può decidere solo il tempo con il suo filtro, nessuno lo nota.

*** Erano in tre ma divennero sei il girotondo prendeva piede a loro si aggiunsero in un momento quei tre signori dai nomi strani.[3]

Ecco che un testo, ecco che un brano visto moderno da un anziano lascia passare duecento anni ed è un classico, e passa la mano.

E venne Leida, detta anche Rembrandt e venne Pendulus-Galileo e venne Apply, o Isacco Newton l’evoluzione contro l’inerzia.

*** Dieci in cerchio, ognuno parlava certo ogni approccio era diverso ma fu così che si dimostrava l’analogia nell’universo!

Loro amavan parlar con lei la ragazzina dell’altro pianeta[2] avevano tutti la stessa idea la nave-cometa, la nave-cometa. *** Settimo e ottava erano attesi avevan dato di che parlare[4,5] si eran distratti, seguendo gli istinti lasciando il robot[2] a lavorare.

Riferimenti: [1] La macchina persistente al tempo che ruota, in Il Collirio, Inconscio (vol. 3), Ottobre 2014. [2] Lettera ad una ragazza di 10 anni, in Il Collirio, Fede (vol. 4), Gennaio 2015. [3] Il viaggio di Leida, in Il Collirio, Inerzia (vol. 5), Febbraio 2015. [4] Alla natura, al caso, alla necessità, in Il Collirio, Velocità (vol. 7), Aprile 2015. [5] Manuale d’istruzioni, in Il Collirio, Ponte (vol. 9), Luglio 2015. [6] Does the time evolution affect history?, in Il Collirio, Tempo (vol. 11), Settembre 2015.

Lei molto bella, naso di viola lui molto fiero, il cappello in mano

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Sensazioni di arte Sono cinque, come le note musicali. Danzano nudi, tra la terra e lo spazio in una dimensione cosmica senza tempo. Creature leggere, semplici ed essenziali. Girano armoniosamente in punta di piedi senza sforzo né peso generano movimento. Sono esseri unici. Ognuno è a sé eppure uniti si trasmettono energia in un girotondo continuo. C’è ritmo. C’è vita. Le mani si uniscono, poi si sfiorano. Poi il legame si spezza. Due mani non si toccano, Dio e Adamo nella Sistina. Anime primordiali accolgono l’armonia universale in un perfetto equilibrio di linee, forme e colori. Tra i corpi che ruotano spazi vuoti mutano forma di continuo plasmati dal movimento circolare. Sono forme sempre nuove decorative ed espressive.

Siamo inclusi. Siamo nel cerchio. Siamo sulla terra. Verde. Siamo nel cielo. Blu. Siamo nei colori. Verde rosso blu.

Si sente la felicità dello spettacolo in atto.. la purezza delle forme e dei colori... tutto è colore musica danza. Ricordo di una danza medievale. La carola, la danza dell’amore. Mistero della vita. Bellezza e serenità. Pace universale. Equilibrio del tutto col tutto. Arte pura.

Senso di eternità. Cerchio magico. La danza della vita continua all’infinito. Serenità, leggerezza dell’essere. Gioia. Sintesi di forme e colori. Tre colori, puri e brillanti, in perfetto accordo. Favolosamente espressivi. Danno emozioni. Uniformi e saturi, brillano di luce propria...vivono in forme sinuose di speciale bellezza.

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LENTI A CONTATTO

Prendiamo un campionario di umanità, collochiamolo all’interno di coordinate spazio temporali ben definite, ad esempio il melting pot della città degli angeli, e supponiamo di poterne spiare la quotidianità, magari dilatandola con una lente di ingrandimento. Li vediamo tutti presi dalle loro vite, i nostri affezionati soggetti, tutti così dannatamente impegnati a recitare il ruolo che loro stessi hanno scelto di interpretare, come la moglie del procuratore che, da brava borghese dalla mente aperta, figurati se possa mai incappare in pensieri razzisti nei riguardi della sua domestica; o come un poliziotto che non sa resistere alla tentazione di abusare del suo potere, magari sfiorando il corpo olivastro e sinuoso della moglie di un famoso regista tv. Sembrano tutti così impegnati ad avvinghiarsi con fermezza a quel ruolo! Continuano a girare in tondo senza fine, sosta o meta! Ma guarda con più attenzione, vai oltre le apparenze e, se scansi quel velo di sana ipocrisia che tutti indossano, ecco che a galla affiorano rigurgiti di razzismo, rabbia e intolleranza che a stento si è cercato di domare, di ricacciarli da dove sono venuti, perché, d’altronde, basta solo che per un secondo la censura della ragione abbassi la guardia che eccoli lì: pronti a ritornare in superficie con rinnovata veemenza. C’è uno scarto tra loro che sembra proprio essere incolmabile, non si lascia spazio per contatti vari e eventuali. Vorrebbero tutti nascondersi dietro quel muro, quella barriera che hanno innalzato per proteggersi dal diverso da sé, da ciò che è estraneo,

igiene VISUALE

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che non si conosce e che in quanto tale fa paura. A un certo punto però quel girare a vuoto sembra effettivamente farsi compiuto, il cerchio sembra finalmente chiudersi: quel malessere di fondo, la solitudine e la paura del diverso da sé svaniscono di fronte a un’umanità ritrovata che si riscopre davanti al dolore, alla tragedia, alla paura della morte a seguito di una sparatoria o di un incidente stradale. Cosa vuoi che importi che tu sia ricco o povero, verde o giallo? Che senso vuoi che abbia nascondersi dietro apparenze o pregiudizi? Tanto, alla fine, il cerchio si chiude; la tua paura, la tua solitudine, e, in fondo, il tuo bisogno dell’altro è esattamente uguale al mio.


UN ARTISTA È ATTRATTO DA CERTI TIPI DI FORME SENZA SAPERNE IL MOTIVO. PRIMA ADOTTO UNA POSIZIONE PER ISTINTO, E SOLO IN UN SECONDO TEMPO CERCO DI RAZIONALIZZARLA O ANCHE DI GIUSTIFICARLA. F. BOTERO

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Cerchio Secondo -fosfeni-

La bufera era passata. Apparentemente. Il turbinio di sentimenti contrastanti e l’eccitazione improvvisa, nati dal compimento di quell’azione adultera e scellerata, erano scomparsi. L’immagine del mio corpo imprigionato in quella gabbia di forme, profumi e sensazioni, era invece ben presente nella mia mente ancora offuscata dai fumi del vino. Solo. Il piccolo chalet era ormai lontano. Calpestavo la neve soffice e candida, illuminata da una luna piena che giocava a nascondersi dietro gli alti pini, lasciando filtrare la giusta luce che mi aiutasse a ritrovare la strada. Non saprei dire quanto tempo fosse trascorso dal mio vagare, ma improvvisamente enormi nuvole nere coprirono il cielo, le tenebre mi avvolsero. Un vento gelido e pungente si alzò, lugubri lamenti e voci piene di dolore si facevano sempre più vicine man mano che avanzavo a tentoni in quel buio pesto. In lontananza vidi alcuni bagliori, come lucciole, sbalzati in lungo e in largo da quella che era oramai diventata una bufera di vento e neve. Mi bastò poco per capire che i gemiti provenivano da quel luogo. Mi avvicinai ancora, e con mio estremo stupore, mi accorsi che in quei bagliori si muovevano corpi lievi e fluttuanti. Lineamenti fragili e delicati corrotti dall’atroce sofferenza che quella bufera infernale provocava.

Quella stessa bufera interiore, che quella notte mi aveva reso dimentico di tutti i miei affetti di una vita, ora mi assaliva dall’esterno. Dall’anima impalpabile, al corpo tangibile. Il freddo pungente penetrava nelle narici, giungeva al cervello, impedendomi di pensare. Sentii all’improvviso il mio corpo sollevarsi ed essere trascinato nell’aere da una mano invisibile, mi ritrovai così a condividere la stessa sorte di quelle anime dannate. Comprendevo ciò che mi stava accadendo, ma faticavo ad ammetterlo. Ebbi la tremenda conferma alle mie supposizioni quando scorsi, in quel caos, due di quei corpi fluttuanti mano nella mano, innaturalmente fermi, impegnati in una conversazione, che ,ahimè, non riuscii a cogliere. A quel punto l’eccitazione prese il posto della paura, tentai di oppormi a quel vento maligno e di avvicinarmi a quelli, che ero ormai sicuro, fossero quegli amanti cotanto amati da generazioni di lettori, quel Paolo e quella Francesca la cui irrefrenabile passione condusse alla morte. Ancor di più, ardevo dal desiderio di scorgere i loro interlocutori, che erano però coperti dai corpi ingombranti e luminosi dei primi. Fu così che il vento riprese ad essere contrario, impedendo di ritrovarmi di fronte al sommo poeta e alla sua guida. Alzai lo sguardo verso il cielo: Minòs, orribile e rabbioso, disegnava cerchi vorticosi con la coda, per indicare

alle anime, dopo averle confessate, a quale cerchio fossero destinate. Io sapevo perfettamente in quale cerchio fossi. Ripensai a quella notte. La lussuria, sfacciata, aveva preso il posto della moderazione che da sempre mi era appartenuta. Un’insana follia si era insinuata lungo tutto il mio corpo, una sensazione tutta fisica aveva imprigionato la mia mente rendendo difficili anche i più elementari ragionamenti. Distratto da queste mie elucubrazioni non mi accorsi che il vento stava ritornando a spingermi verso quello strano quartetto. Fui scagliato a terra, e quando con le ginocchia tremanti cominciai ad avvicinarmi nel tentativo di scorgere

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finalmente quei due interlocutori misteriosi, sentii un’emozione crescente che dalla pancia giungeva al petto, spezzando il respiro che diventava sempre più affannoso. Pochi passi, due o forse tre. Ma l’emozione mi tradì: sentii che le forze mi stavano abbandonando, tutto intorno a me divenne bianco… “E caddi come corpo morto cade.” Madido di sudore mi svegliai: accanto a me il corpo candido e meraviglioso di mia moglie che beatamente dormiva tra le mie braccia.


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Cingere per curare Cosa fare quando si presenta un’anomalia? Come rapportarsi ad un’ambiguità? Ma prima ancora, cosa sono un’anomalia e un’ambiguità? Brevemente, si tratta di irregolarità, di elementi che turbano l’ordine e che vanno riassorbiti attraverso una risposta codificata. Può trattarsi di qualcosa di contagioso, dunque di pericoloso per l’ambiente circostante, oppure di qualcosa di fragile, ovvero da proteggere dalla durezza del mondo. Queste due sfumature di ciò che intendiamo per “anomalia” sono molto diverse tra loro, anzi del tutto antitetiche, eppure hanno un punto di somiglianza nella modalità con cui vi facciamo fronte. Per fare degli esempi, è il caso della quarantena e della galera, da un lato, e quello della culla per neonati, dall’altro. In entrambe le eventualità si impongono dei confini, ma nella prima ipotesi è per contenere al loro interno un qualche turbamento sanitario o sociale, mentre nella seconda è per difendere chi vi è riposto. Un morbo o una violazione, un’età o una fragilità determinano tutte perturbazioni dell’ordine, per cui rappresentano fonti di crisi, cioè modificano la struttura dei nostri postulati e, pertanto, richiedono un riadattamento: l’ammalato dev’essere curato e il criminale recuperato, il bambino deve diventare adulto e rafforzarsi; e tutto ciò avviene per mezzo di pratiche sperimentate e verificate, a loro modo rituali. Lo scopo generale è quello di contenere ogni forma di alterazione

entro un perimetro di eccezionalità: la si cinge e la si tiene sotto esame, la si isola e la si controlla. Come si sarà intuito, l’immagine più efficace è quella del cerchio che, a seconda dei casi e del punto di osservazione, racchiude e isola, delimita e protegge, esclude e separa.

Il cerchio, in altre parole, è lo strumento con cui ci rapportiamo all’anomalia, di qualsiasi natura essa sia.

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Nell’India del nord, ricorda Mircea Eliade, «in periodi di epidemia si segna intorno al villaggio


un circolo destinato a vietare ai demoni della malattia la penetrazione del recinto. Il “cerchio

magico”, tanto apprezzato in molti rituali magicoreligiosi, ha anzitutto lo scopo di separare due

spazi eterogenei». Nelle celebrazioni funebri tradizionali del Sud Italia, spiegano Lombardi-Satriani

iniziano il lamento» con cui si accompagna l’anima del congiunto nell’aldilà, l’altrove per antonomasia. In alcuni pellegrinaggi di montagna del Meridione

italiano, come quello per la Madonna di Viggiano, in Basilicata, lo sforzo per salire in cima al tempio è un atto di fede, ma anche una prova fisica. Essa è conclusa con tre giri devozionali intorno al piccolo santuario montano di cui bisogna baciare i quattro angoli perimetrali esterni, come a

e Meligrana, «le donne della famiglia si dispongono a cerchio attorno al defunto e con i capelli sciolti

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circondare per proteggere e a scongiurare l’invasione del male attraverso le giunture, che rappresentano i punti più sensibili di ogni struttura. Nel Salento di Ernesto de Martino, il ruolo protettivo e di contenimento del cerchio si fondono. Per curare il morso del ragno che induceva gli spasmi e le contorsioni riprodotte poi dalla danza della taranta, si attuava un rito di guarigione musicale in cui i suonatori facevano per l’appunto cerchio (la “ronda”) intorno alla malata e, suonando, cercavano di identificare il tipo di tarantola che l’aveva colpita. Quando si intonava la melodia giusta, la tarantata si lasciava andare e cominciava il vero e proprio esorcismo. Oggi, tanto nell’area di Galatina, quanto in altre località del Mezzogiorno, come al santuario di Polsi, in Aspromonte, i balli della pizzica e della tarantella che si compiono nei giorni delle ricorrenze religiose hanno una dimensione corale fortemente sviluppata. La comunità di compaesani/ spettatori attornia i ballerini e li incita e li spinge quasi fisicamente l’uno verso l’altra, per il ballo come per la vita. Simbolo geometrico per eccellenza, allusione all’eterno ritorno e alla ciclicità del tempo, il cerchio assume innumerevoli significati in base agli usi che ne fanno gli esseri umani: da allegoria della comunità di cui si è membri a immagine dell’universo e di dio, da confine opprimente ad abbraccio rassicurante, in una costante ricerca di quella “quadratura” con cui gli uomini ambiscono ad una impossibile trasformazione della propria sostanza.


ME M E NTO L’essere umano tende, nella costruzione delle complesse strutture sociali e dell’immaginario collettivo di riferimento, ad emulare le perfette geometrie della natura. Nel Medioevo, epoca estremamente feconda di idee a differenza di quanto affermano le comuni teorie oscurantiste, si può considerare il cerchio come figura geometrica ispiratrice. In particolare, il tempo e l’esistenza non erano percepiti come sequenze lineari di fatti unici e casuali, ma come eterni movimenti ciclici: nascita - vita - morte - rinascita. Gli uomini del tempo, dunque, per scongiurare la morte, che prendeva la forma di devastanti epidemie (celebre quella del 1348), trassero ispirazione proprio dalla struttura circolare che era alla base della loro visione del mondo: si consolidò infatti la consuetudine di ballare in cerchio seguendo ritmi ossessivi e turbolenti in grado di generare un’estasi collettiva; è la vita che si manifesta nella danza come esorcismo contro la morte. Molte danze canonizzate nel corso dei secoli, come la carola e il rondò, potrebbero affondare le radici proprio in queste antiche tradizioni. Una volta assestatasi la consuetudine, gli artisti contribuirono a formare un vero e proprio tema iconografico per buona parte moralistico: la danza macabra. Il soggetto di base, intorno al quale gli artisti variavano più o meno liberamente, era una danza grottesca tra vivi e morti, questi ultimi sotto forma di cadaveri

MORI

adulto e rafforzarsi; e tutto ciò avviene per mezzo di pratiche sperimentate e verificate, a loro modo rituali. Lo scopo generale è quello di contenere ogni forma di alterazione

e il più delle volte di scheletri. La presenza della componente moralistica a cui si faceva riferimento riguarda i vivi: essi infatti, fortemente caratterizzati dall’abbigliamento, rappresentano tutti i ceti sociali, dal più alto al più basso; questo taglio netto che attraversa verticalmente tutta la rigida struttura piramidale del Medioevo vuole ovviamente sottolineare che la morte colpisce chiunque senza distinzione sociale. Ciò è importante sia per un discorso “di classe” (l’uguaglianza è ribadita dalla presenza degli scheletri, spaventosamente e materialmente identici), sia perché testimonia un cambiamento nella visione collettiva del destino umano e della morte, i quali cominciano ad essere sentiti come eventi individuali ed ineluttabili. Tutto ciò, per quanto tetro, apocalittico ed appunto macabro, è tuttavia fondamentale per allentare la forte presa della dominante concezione cristiana della morte come pena o come premio e del destino collettivo e prestabilito degli uomini. Si spiana così la strada verso il tripudio laicoindividualistico della straordinaria cultura umanistico-rinascimentale. I fiori, dal male.Un morbo o una violazione, un’età o una fragilità determinano tutte perturbazioni dell’ordine, per cui rappresentano fonti di crisi, cioè modificano la struttura dei nostri postulati e, pertanto, richiedono un riadattamento: l’ammalato dev’essere curato e il criminale recuperato, il bambino deve diventare

Bayadère sans nez, irrésistible gouge, Dis donc à ces danseurs qui font les offusqués: <<Fiers mignons, malgré l’art des poudres et du rouge, Vous sentez tous la mort! Ô squelettes musqués, Antinoüs flétris, dandys à face glabre, Cadavres vernissés, lovelaces chenus, Le branle universel de la danse macabre Vous entraîne en des lieux qui ne sont pas connus! (C. Baudelaire, Danse macabre)

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Il gioco del cerchio -la piramideEnunciato: non bisogna sapere la matematica per accorgersi che non si arriva mai alla fine del cerchio. Eccolo, fuscello nel vento, il Caos. Poniamo x la somma di tutti i giorni andati. • • • • • Io sono la piramide, e ho lasciato andare i giorni; sempre immerso nel freddo nulla, vi ho seppellito le mie creature.

Il gesso che ho nelle vene ha visto i mari ramati infiammarsi di lui, e lo capiscono SOLO le cicale e tutti i metalli. Non mi si accusi che di orrori spirituali: una sequoia mi difenderà ondeggiando sul folle mare al tribunale idiota della morale. Nulla torna veramente: Eccolo, fuscello nel vento di tutti i giorni andati. ̴

Poniamo x il Caos.

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cotton fioc Fullness Of Wind Brian Eno

igiene auricolare

Nautilus Bob James

Circuito Chiuso Armando Sciascia Sleepy Time Raymond Scott

Fall Miles Davis

Exchange) Massive Attack feat. Horace Andy

Alianthus Julia Kent

8. Early In The Mornin’ 22, Little Red, Tangle Eye & Hard Hair

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Sfrondando l’età dell’oro -frei geist Due sono i modi di concludere un progetto: la completezza e l’incompiutezza, la perfezione e la condanna. Ed entrambi questi modi attingono alla medesima radice simbolica, la circolarità, intesa come atto senza grumi o come perpetua ripetizione. La perfetta circolarità appartiene ad un mondo che non ha ancora imparato a deviare la materia, ad un mondo in cui la vita è manifestazione del fenomeno [parlando con una voce interpretante che forse manca il bersaglio ma certamente restituisce le atmosfere] e si nutre di una illusione, quella della circolarità del tempo. La quale cosa, giacendo in una prospettiva lamentosa come quella umana, rivela una ottimistica realtà: il meglio – che assolutamente non è il tempo che viviamo nel nostro presente – è destinato a ritornare, in un certo momento, i prati rifioriranno, e l’escatologia del cerchio imploderà

– o forse, meglio, si esaurirà – in un istante presente, perpetuo, ma allo stesso momento finale [non mi si accusi qui di confusione circa le concezioni di filosofia della storia]. Il rovescio della medaglia è l’intuizione viscerale che accomuna due nonfilosofi [l’uno è filologo, e ha iniziato come audace lettore di antichismi, l’altro è scienziato, ma si è sempre spinto troppo oltre] estremamente sovversivi, e in qualche modo padri della cultura contemporanea. Nietzsche tematizza il suo eterno ritorno come il peso più grande, la provocazione finale di un demonio che infligge la ripetizione del dolore e della sventura e della pochezza della vita quotidiana [pensiero debole?] ab aeterno, prometeico al contrario, perché non vi è fuoco, ma solamente l’aquila. Il movimento circolare è anche un po’ la realizzazione della [non-] metafisica della volontà, chiave avvincente e

rurale della minaccia prospettivista. Al termine della sua avvolgente, confusionaria, barbara, filosofia della storia, la Genealogia della morale, l’unico residuo di senso è la volontà a tutti i costi. Freud, nella seconda fase del suo pensiero, quella in cui alla topica è affiancata una economica, e dunque una erotica, lascia sprigionare dalla supposizione scientifica un sostrato di implicazioni mitico-culturali di raffinatissima suggestione. Non è tanto l’epica battaglia tra eros e thanatos, fin troppo “raccontata”, quanto la postulazione di pulsioni antecedenti – temporalmente, logicamente, prioritariamente – ai bisogni animali quali l’autoconservazione e il piacere. Una di queste, insieme alla pulsione di morte, quella che dovrebbe ristabilire lo stato di cose della quiete – la non-vita, e alla pulsione di vita, la spinta all’aggregamento

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cellulare, è la coazione a ripetere. L’istintiva e nonsense struttura di un divertissment da bambini che diviene sintomo di un disagio più profondo, di una incontrollabile pulsione che gioca con i concetti di soggetto e autoappercezione. L’immagine del compimento è divenuta quindi l’immagine della scalfitura, della decostruzione. In un passaggio semplice e articolato, tutto ciò che è vita è redento in quanto vita, ma non in quanto anelito, non in quanto speranza. È un insegnamento terribile, il peso più grande, l’ennesima sfaccettatura di un modo di pensare che ha creato il nostro tempo. Nel privato, nel pubblico e nel mistico, se ad ogni ontologia corrisponde una politica.


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Cerchio di fango di Rivoli, Cerchio di Romolo -oltre lo sguardo di medusa Un’unica stanza, due cerchi realizzati in materiali differenti, uno a parete e l’altro sul pavimento. Entrando nel Castello di Rivoli a Torino i “cerchi” di Richard Long accolgono il visitatore coinvolgendolo in un dialogo a tu per tu con la natura. Siamo nel campo della Land art pura, in cui le creazioni artistiche sono fatte con materiali prelevati direttamente dall’ambiente naturale e trasportate all’interno dei luoghi tipici del sistema dell’arte, ovvero gallerie e musei. Gli interventi creativi dei landartisti sono il risultato di semplici azioni condotte nella natura, al fine di ristabilire un contatto ravvicinato e spirituale tra l’essere umano e l’ambiente puro e incontaminato; con la Land art la terra si trasforma in una pagina bianca o in una tela immacolata su cui incidere la propria firma con gesti essenziali, come il tracciare una linea nel terreno, oppure accumulare un mucchio di pietre per formare semplici figure geometriche. Alla base dell’intervento dei landartisti c’è un chiaro spirito critico, una forte volontà di non rinchiudere la grandezza dell’arte in un mero sistema rigido e controllato, di non cadere nella schiavitù del mercato, succubi della macchina distruttiva “produzionecommercializzazioneconsumo” intorno a cui ruota tutta l’economia contemporanea. All’interno di questo discorso rientrano sia i casi di interventi più invasivi e violenti condotti sul territorio mediante

l’utilizzo di dinamite, pale meccaniche e bulldozer, che quelli più discreti e rispettosi nei confronti del patrimonio naturale, tra i quali si distingue proprio l’esperienza di Richard Long, protagonista della Land art europea. L’intervento creativo di Long si basa su alcuni concetti chiave, ovvero quelli di mobilità, leggerezza e libertà, mettendo in atto processi elementari e scontati, come una semplice camminata avanti e indietro sull’erba, che si trasformano in puro atto creativo, in opera d’arte concettuale strettamente connessa al luogo espositivo o ad uno specifico tema. Nel caso dei “cerchi” del Castello di Rivoli, l’artista si appella alla figura geometrica del cerchio, tema ricorrente nelle sue installazioni, in quanto forma primitiva per eccellenza, mediante

la quale rievocare una dimensione ancestrale del puro gesto artistico, esplicitata anche dai particolari materiali utilizzati e dalle specifiche modalità di esecuzione dell’opera d’arte. Più precisamente, il Romulus Circle, realizzato nel 1994, rievoca la figura mitica di Romolo proprio attraverso l’utilizzo di massi di tufo provenienti dal Lazio, disposti sul pavimento a formare una circonferenza, che rimanda immediatamente a specifici rituali antichi in cui le pietre erano utilizzate per delimitare i primi esemplari di abitazione. La stessa figura circolare ritorna in Rivoli Mud Circle, opera site specific del 1996, in cui stavolta la circonferenza è realizzata sul muro con il fango prelevato dal luogo di realizzazione dell’intervento artistico, per l’appunto Rivoli, applicato sulla

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parete con le sole mani, rievocando la gestualità istintiva dei primi graffi preistorici realizzati sulle pareti delle caverne, nonché l’immagine delle prime capanne. In tutte queste operazioni elementari c’è la pretesa nascosta di dar vita ad una scultura originale, testimone di un’ azione all’aperto, un’azione spesso effimera e di per sé scontata, realizzata con il proprio corpo o con l’impiego di materiali semplici e lasciati allo stato grezzo, raccolti durante passeggiate di esplorazione nella natura, in cui la semplice esplorazione si trasforma improvvisamente in situazione emotiva e i singoli materiali raccolti in oggetti dotati di vita propria, che raccontano storie e avventure inequivocabilmente legate al territorio e all’epoca specifica da cui provengono.

IL PAESAGGIO È LA MIA OPERA… R. LONG


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A v o lt e r i t o r n a n o Spesso, la maggior parte di noi è abituata a prendere in considerazione la Storia evento dopo evento, periodo storico dopo periodo, come se fosse un fascio rette che parallele , con sporadiche apparizioni di altre popolazioni che ne influenzano il corso. “Allontanandosi” un poco, il lettore comprenderà subito che la situazione cambia: questo insieme di rette, in determinati punti, si interseca, creando una serie di intrecci dove diversi popoli si incontrano, commerciano, combattono e si fondono o si dividono dando vita ad altre rette, e così all’infinito. Ma ciò non è sufficiente per vedere cosa in realtà si trova sotto il disegno che la Storia ci vuole mostrare: da sempre sotto gli occhi delle persone e spesso ignorato, con catastrofiche conseguenze; la Storia non è in realtà neanche un intreccio di rette, bensì un continuo di avvenimenti collegati fra loro, che nel corso delle epoche si ripetono. Quindi un cerchio di eventi, in cui passa il tempo, cambiano gli usi e i costumi, l’uomo si evolve, ma che inesorabilmente, anche se leggermente modificati e adattati all’epoca, si ripropongono anche a secoli di distanza. Ad esempio, sentendo la parola deportazione viene subito in mente la Shoah, che durante la seconda guerra mondiale ha causato la morte di circa due terzi degli Ebrei in Europa. Ma guardando indietro nella Storia la stessa sorte era toccata agli Africani a fine 1400, quando iniziò un

colonialismo senza scrupoli e ai Nativi Americani a fine XIX secolo. Per rimanere nell’attualità si possono citare le crociate condotte nel Medioevo dall’Occidente per fare trionfare il Cristianesimo in Oriente. Oggi si invertono le parti, con una cellula Orientale pronta a qualsiasi cosa per far trionfare la propria religione su chiunque la pensi diversamente. In nome di un dio. Un altro esempio di avvenimento che spesso torna nella storia, forse più di ogni altro, è il tentativo delle classi regnanti di nascondere l’insoddisfazione dei ceti più bassi. Si pensi solamente alle Olimpiadi nell’antica Grecia, ai banchetti romani, ai tornei medievali e ad una sfilza di eventi che i sistemi totalitari organizzavano per mettere un paraocchi ai propri cittadini. Tutto ciò è ovviamente presente anche nell’era contemporanea con televisione, giornali, qualsiasi mezzo di informazione che ci dice, volontariamente o no, a cosa prestare attenzione e cosa dimenticare. La Storia però ci insegna anche che non sono solo i brutti episodi a ripetersi. L’essere umano infatti è da sempre riuscito, in momenti critici, a superarsi, a migliorarsi per riuscire ad andare avanti e certi avvenimenti hanno ancora oggi un ché di miracoloso, come la Pax Romana, il Rinascimento, la Rivoluzione industriale e il Boom economico.

che pervade il mondo e si insinua fra i popoli, inevitabile ma non crudele, poiché è l’uomo a dargli un’accezione negativa o positiva con le proprie azioni. Purtroppo, anche conoscendo ogni singolo fatto storico avvenuto da qui all’alba dei tempi, sarebbe impossibile prevedere il futuro. Quello che resta da fare all’uomo è essere ben conscio di quello che ha passato nella storia e tenerlo presente quando prende decisioni importanti per l’avvenire, perché non è vero che il passato lo rimpiange chi non ha futuro, ma piuttosto chi non ha futuro ignora il proprio passato.

Siamo dunque di fronte ad una ciclicità

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VENERI DANZANTI SCOMPOSTE E RIDONDANTI

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inesorabile Aprì gli occhi sapendo a cosa sarebbe andato incontro. Era già lì la sera prima, come un presentimento. Fu normale ritrovarlo, non appena sveglio. Lo accolse con il consueto fastidio, e con la speranza che se ne stesse buono, sperando non crescesse. Gli venne in mente una canzone dei CCCP, si avviò verso il

bagno canticchiandone una strofa “Mi ricordo di discorsi belli tondi e ragionevoli. Belli tondi e ragionevoli, mi ricordo di discorsi.” Nel lavarsi la faccia, cedette alla tentazione di mettere la testa sotto il getto d’acqua fresca, mentre il dolore

cresceva, inesorabile, seguendo il solito percorso. Sfregò l’asciugamano contro il viso, sapeva un po’ di stantio, pensò che fosse ora di cambiarlo. -”...Belli tondi e ragionevoli, mi ricordo di discorsi.” Continuò a sfregarsi la faccia, poi la testa, sempre più forte, in cerca di un conforto che svaniva subito.

- “Mi ricordo di discorsi belli tondi e ragionevoli. Belli tondi e ragionevoli, mi ricordo di discorsi.” La voce di Giovanni Lindo era ormai in loop, sembrava essersi innestata sullo stesso binario lungo il quale il dolore avanzava, circumnavigando il cranio,

trasformando i suoni in rumori e la luce in schegge odiose. Preparò il caffè nella penombra della cucina, strizzando gli occhi. Spense il fornello al gorgogliare della moka, la lasciò li - “...Belli tondi e ragionevoli, mi ricordo di discorsi.” - Sentiva il cerchio chiudersi intorno alla testa mentre tornava verso la camera da letto. Entrando fu grato al buio che regnava nella stanza. Fu grato che fosse sabato e che dalla

po’ d’acqua nel bicchiere sul comodino. Frugò nel cassetto a casaccio, riuscì ad estrarre degli analgesici. Ne mandò giù un paio, deglutendo rabbiosamente. Tossì, e fu come se una scarica elettrica gli attraversasse il cervello, irradiandosi dal centro e rimbalzando contro la scatola cranica. Schiacciò la faccia contro il cuscino per soffocare la tosse, non avrebbe mai voluto svegliarla. Avrebbe

strada giungessero pochi rumori, distanziati, distanti. Fu grato che lei stesse ancora dormendo. Con i bulbi oculari che pulsavano si immerse fra le coperte, la testa sotto il cuscino, cercando di alleviare quella morsa, di sfuggire a quella spietata aureola di ferro.

sicuramente iniziato a parlare, magari a lamentarsi, in paranoia per gli strascichi della notte prima. Un ultimo colpo di tosse. La guardò agitarsi, cambiare posizione ed emettere un sospiro infastidito.

- “Mi ricordo di discorsi belli tondi e ragionevoli...”

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C’era ancora un

Adesso bisognava soltanto aspettare. Dopo un po’ si accorse che i CCCP non suonavano più.


P

U

N

T

O

CAPITOLO DODICESIMO - Perché sei così stronza? - Perché qualcuno deve pur esserlo. I “In quest’opera l’artista riporta sulla tela tutta la sua urgenza attraverso una pennellata grossolana e decisa.” Sono un uomo dalle passioni fugaci. Quest’anno ho frequentato un corso di francese. Diciamo le prime tre lezioni di un corso di francese. Provate a chiedermi il verbo essere. Ho anche preso lezioni di chitarra per un po’, poi ho capito che per suonare come Kurt Cobain forse avrei avuto bisogno di un pizzichino di pratica in più, e sapete com’è, fare le cose così, tanto per farle, non mi sembrava il caso, e allora se non posso essere il nuovo rappresentante della generazione X meglio lasciarla nel fodero la chitarra. Ma mi ritengo ancora il re indiscusso del giro di Do. Per un periodo ho anche accarezzato l’idea di diventare vegetariano, poi per fortuna ci ha pensato il furgoncino dei panini a farmi cambiare idea. Da un po’di tempo invece mi sto dedicando all’arte concettuale. “La fusione dei colori richiama fortemente l’aspetto onirico e sembra dare forma alle più sfrenate fantasie dell’autore.” Allora mi concentro più intensamente sulla tela, sforzandomi anche io di dare libero sfogo alle più sfrenate fantasie che questo intreccio di linee, colori e forme riesce ad evocare in me. Forse è il momento di chiudere anche con l’arte concettuale. Peccato però. Non mi dispiace l’ambiente radical chic. L’accurata trasandatezza nel vestire e la voglia di distinguersi a tutti i costi dagli stereotipi sono il motore che spinge la maggior parte delle persone che abitualmente incontro a queste mostre a conformarsi ad uno stereotipo nuovo, semplicemente. E la cosa mi rassicura. Insomma, non è difficile integrarsi. Anche se a dirla tutta ho sempre avuto qualche problema con il rifiuto categorico del mainstream (qualsiasi cosa significhi di questi tempi). Voglio dire, ascoltare Gli Angeli di Vasco continua a farmi venire gli occhi lucidi. Vago ancora un po’ per la sala alla ricerca di qualcosa che catturi la mia attenzione. La trovo nei pressi di una scultura dall’aspetto vagamente antropomorfo. Mi piacerebbe parlarvi più estesamente dell’opera in questione, ma la verità è che il mio sguardo è prettamente indirizzato alle gambe di una ragazza che è lì ad osservare e sembra anche molto interessata. È girata di spalle e indossa un vestitino a fiori leggero, e ad un tratto si volta da un lato e chiama piano un nome da uomo. Un ragazzo, il suo ragazzo, si stacca da un gruppetto e si avvicina, e prima di darle un rapido bacio si sorridono, e in quegli occhi felici mi sembra di rivedere qualcosa che è stato mio, un tempo. Mi arriva rapida una fitta di gelosia. Per un attimo, nel pieno di un delirio di onnipotenza, mi viene voglia di avvicinarmi e provare a conquistare quella ragazza. Chissà, magari ama i gesti eclatanti, e allora le manderei fiori ogni giorno. O magari le piacciono gli stronzi, e qui ci dovrei lavorare, ma insomma un modo si trova. Ho voglia di andare lì e rovinare qualcosa di bello. Perché infondo lo so che non sarebbe per la ragazza tutto questo. Lo farei per essere guardato ancora da un paio di occhi innamorati. Decido che non ho più molto da vedere e quindi esco. La bici l’ho lasciata lontano e quindi mi tocca camminare, anche se mai come oggi, con il sole che tramonta, mi va di fare due passi. Ad un incrocio trovo Ercolino, come sempre al suo posto, poggiato con la schiena ad un palazzo antico e ben curato. Anche se già conoscevo la storia, una volta gli chiesi cosa ci facesse lì. - Guagliò mantengo il palazzo, che altrimenti se ne cade. E quindi ogni giorno, incurante del mondo che gli corre attorno, Ercolino lo trovi lì, a svolgere la sua missione. Certe volte, a percorrere le solite strade popolate dalle solite facce, capita che i confini di un paese comincino ad andarti stretti. Magari avresti voglia di goderti la solitudine di una folla di sconosciuti, ma qui non ti è concesso. Ti senti soffocare e hai l’impressione che la vita vera vada avanti dappertutto, tranne che qui. Vedi i tuoi amici che sono andati fuori e ti sembrano arricchiti di qualcosa che capisci, ma solo fino ad un certo punto. E tu invece fermo, al punto di partenza. Altre volte, invece, cammini per quelle stesse strade che percorri ogni giorno e ti sembrano più belle. Sarà la luce al tramonto

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che fa il suo lavoro. Ti senti quasi protetto e pensi che infondo non puoi davvero lamentarti e che dopo tutto, vada come vada, non c’è sole, pioggia o vento che tenga, tu sei al sicuro. Ci pensa Ercolino a mantenere il palazzo.

Come al solito mi ritrovo in bici a pedalare. Non ho di meglio da fare, quindi decido di andare a fumare una sigaretta mentre mi godo il sole che tramonta sul mare. Mentre pedalo per raggiungere la solita panchina, come la prima volta incrocio una Smart bianca come ce ne sono tante, e come la prima volta dentro c’è lei. Julia. Sono mesi che non la vedo, ma è rimasta bellissima. Sarà per questo che lo stomaco comincia a bruciare e sento caldo ovunque. Fermo la bici e mi volto a guardare la macchina che continua per la sua strada. Allora magari potrei girare la bici, e siccome si da il caso che io abbia gambe forti a furia di pedalare, raggiungerei la macchina, e magari guarderei dentro, e lei si accorgerebbe di me e io risponderei con uno dei miei sorrisi ebeti. Certe attitudini tendono solo a migliorare con il tempo. Magari questa volta non andrei a sbattere da nessuna parte, ma lei si fermerebbe lo stesso, mi chiederebbe come stai, come sto, che ci fai di nuovo qui. Magari ti inviterei a cena, ordinerei un bel bianco forte e passeremmo tutta la serata a ridere e sorridere. Poi sotto casa ti bacerei, e magari mi inviterai a salire. E magari così, quasi senza accorgercene, ci riproveremmo. E allora sì, magari parto, sì, ti inseguo, vengo a prenderti e ti riconquisto e riprendiamo tutto da come lo avevamo lasciato. Sì. Sì, magari lo faccio. O magari no.

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AUTOALIMENTANTI IN ORDINE DI APPARIZIONE:

HANNO ILLUSTRATO PER NOI: 3-35 4-5 6-7 8 10-11 15 16-17

Natale De Gregorio Editoriale Bianca Terracciano Dal cielo al punto passando per un cerchio Fabio Montagnaro Il girotorno dei movimenti

18-19 21 22 23

Alessandra Amodio Sensazioni di arte Valeria Ercolano [fosfeni] Cerchio Secondo

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Giovanni Gugg Cingere per curare

Claudia Tail Claudia Pace Federica Iaccio Valeria Cafagna Giovanni Esposito Livia Albanese Ginammi Matheus Cartocci & Gloria Cota Visedo Emiliano Mait Valentina Tassalini Giacomo Moggioli Rachele Cantiluppi & Alice Vacondio Massimiliano Boz Gabriele Boretti Van Mile Severino Iritano Saudade

Le Flâneur Memento Mori Dario Chiaiese [la piramide] Il gico del cerchio

COPERTINA/BACK COVER: Pietro Puccio Elisa Cartocci

Vittorio Mollo [frei geist] Sprofondando l’età dell’oro

I G E N E A U R I C O L A R E B Y: Zac Anarela

Raffaella Ferraro [oltre lo sguardo di medusa] Cerchio di fango di rivoli, cerchio di Romolo

IGENE VISUALE BY: Federica Salini Laura Marta Mancini

Marco Bravi A volte ritornano

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Alessandro Vullo Inesorabile

I N S E R T I F OTO G R A F I C I: Alba Fancini Alessandro Vullo

CAPITOLO DODICESIMO: Pinco Pallino

PER COLLABORARE CON NOI: www.effettoplacebo.org ASS.EFFETTOPLACEBO@GMAIL.COM FACEBOOK: EFFETTO PLACEBO

© 2015 [Effetto Placebo]

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