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“Luce, che ottenebra ogni luce e di fronte al quale ogni luce è oscurità. Luce, che mai ombra separa,che illumini insieme tutte quante le cose una volta e sempre, inghiottimi nell’abisso della chiarità.” Mitologia nordica: “Tulugaak”, una creatura metà bambino e metà corvo, che rubò la luce primordiale per illuminare la Terra, fino a quel momento assopita nella notte eterna.
In copertina: “Inghiottimi nell’abisso della chiarità” di Gaia Cairo
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Editoriale
N
ell’Età della Tecnica, nuove prospettive d’esistenza vanno interrogando vecchie dinamiche di adattamento, circa la capacità dell’Uomo di abituarsi al proprio progresso. Nella radura immensa dei potenziali conflitti sollevati da questa dialettica, la luce assume tra questi rilevanza nodale per una, fondamentale, ragione: il valore sinonimico di vita che la luce riveste per l’Uomo. Ci sono voluti giorni luminosi per costruire la Civiltà: giorni per dare un nome alla Rosa, per poi rendersi conto che stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus, giorni di discorsi magniloquenti e abbacinanti, eureka! e lampi di genio, giorni di dichiarazioni d’indipendenza e di muri che crollano, giorni di luci che si accendono di notte su continenti appena scoperti. Allegoria quantomai rappresentativa della conoscenza, la luce deve al suo ruolo di medium tra Uomo e Realtà l’intera valenza della sua carica evocativa: permettendo l’esser-ci, permette tutto il resto. In realtà non c’è molto di allegorico nel buio dell’ignoranza. L’alba della Civiltà dipingeva la Realtà con i colori pastello delle mitologie; poi una timida luce ha cominciato ad illuminarla con pallidi risultati, attraversati tuttavia da fulgidi sprazzi di tensione rovente, come nel 1600 a Campo de’ Fiori; ampie selve sono rimaste ottenebrate per secoli: è occorso molto tempo, rame ed energia per valicare l’equinozio dell’ignoranza. Nell’Età della Tecnica, l’Uomo conquista la notte, umanizza la luce, si emancipa dalla natura, dai suoi ritmi, dalla sua lentezza. Lampioni, strobo e Times Square presidiano la conquista, luce e vita si allungano, ma l’Uomo si stressa. Ecco che si schiude la fulgida e pericolosa potenzialità della luce. Un rischio intangibile ma folgorante, che si traduce nell’eventualità autentica che la luce brilli al punto d’abbagliare il nostro esser-ci, che già risulta effimero, come un fuoco fatuo.
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COINCIDENZE DI LUNA -effetti collaterali-
Assente nel paesaggio muta la parola. Coincidenze di luna mi orientano su latitudini irresistibili: alla ricerca di orizzonti oscuri, passa la nave mia sospinta dal vento, distante oramai dal porto che balugina, fende il mare incurante delle onde. Prendendo il largo da acque passate, sento il vento d’un tratto inorgoglirsi con strappi e sbuffi violenti, ecco: si gonfiano grigi pure i nembi, mentre il mare intona sostenuto con i flutti, sfumando nel bianco di una schiuma di rabbia. Anche il cielo ha il suo languore e lo fa sentire con la tempesta che s’addensa; la nave mia però prosegue incessante, più lentamente, ma per fortuna ancora intatta, perché al centro sta scolpita, come il marmo, una nuvola di sabbia bianca e indifferenza. Che senso ha l’affrettarsi delle conseguenze quando si ha la calma di ignorarle tutte? Lo sciabordio del mare s’infrange prepotente su piatti scogli d’indolenza, riscuotendo un profondo respiro salino, trova in gola qualcosa da sciogliere. Spira la tramontana nella notta scura, gonfia di pioggia e di rabbia immensa; poi una saetta in prospettiva traversa riflette sulla vela quella muta assenza: ombra di un anelito al sublime dell’umano incomprensibile.
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SOMBRAS CINÉTICAS
“En toda luz hay siempre algo de sombra. En toda sombra hay siempre algo de luz" 5
fissazione -the agronomist-
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L’uomo ha costruito bene il suo nido: la città è ricca di comodità, servizi: permette spostamenti veloci, c’è la metro. Strade enormi, ponti e palazzi ordinati costruiti in serie: tutti vanno da qualche parte, tutti dritti alla meta. Le auto e i bus sono pieni di persone indaffarate e reciprocamente indifferenti; a volte si avverte una sensazione di freddezza, specialmente quando ci si accorge che gli scambi dialettici sono ridotti all’ indispensabile. Il tempo è impiegato solo per produrre, costruire e guadagnare; un mondo di macchine questa città, una catena di montaggio avvolta nel suo statico grigiore, indizio quasi inequivocabile della quasi totale assenza di vita. Cosa si produce qui in città? Il progresso, lo sviluppo, la tecnologia; ma accanto a questo di certo si produce inquinamento: anidride carbonica, nitrati, solfati. Eppure tutti preferiscono vivere qui, affezionati al cemento e a tutta l’energia impiegata per adattare la terra alla vita frenetica. Fuori le mura della città c’è un altro mondo: la terra ancora fertile adorna la periferia di colori poco spesso apprezzati; un dinamismo ecologico troppo spinto per essere compreso da chi non ha il tempo di fermarsi. È proprio qui tuttavia che nasce e perdura la vita, si complica, si evolve. È proprio qui che si produce il panis che sazia la città. Qui comanda il verde, il colore che sostiene la vita. Il colore delle piante: il verde, lo scarto più importante di questo mondo. Ciò che si vede di un oggetto, infatti, non è altro che la frequenza elettromagnetica dello spettro luminoso da esso riflessa. Il colore delle piante non fa eccezione: esso è la porzione di luce riflessa dai vegetali, uno scarto. Tutto il resto, la luce assorbita, sostiene la vita sulla terra. Provate a osservare una foglia con attenzione, è uno spettacolo unico: tutto è immerso in una matrice liquida verdastra, la clorofilla. È qui che avviene l’impensabile, quello che solo le piante possono fare: la fissazione del carbonio, anche detta fotosintesi clorofilliana. La luce del sole giunge sulla Terra nella sua forma reale, l’onda-particella denominata fotone. Inizia tutto da qui: l’energia luminosa, ormai intrappolata nel pattern biochimico della fotosintesi, innesca una serie di reazioni di ossido-riduzione e l’ anidride carbonica è trasformata in qualcosa che è ben nota a tutti nella vita quotidiana: uno zucchero, glucosio per l’esattezza. Si sa che l’anidride carbonica è parte dell’inquinamento prodotto dall’uomo, qualcosa di inutile, anzi peggio: dannoso; eppure la pianta tramite la luce è capace di trasformarla in zucchero, energia pura per noi, e come scarto ci lascia ossigeno. Dentro le mura tutto può continuare ad esistere grazie all’invisibile lavoro delle piante, la macchina funzionerà ancora nella totale e diffusa inconsapevolezza.
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YO SOY LUZ -punto cieco-
• Ti ricordi? •Come potrei dimenticare… “Quel giorno il cielo era blu come la carta da zucchero, non c’era una macchia di bianco, quando ad un tratto lì, su quella collina, apparve lei. Sembrava un angelo, folti boccoli scuri che alla luce di quel sole mediterraneo riflettevano un colore cremisi. Da lì in poi passai il più bel periodo di sempre: disegnavamo, creavamo, dipingevamo, l’arte era intorno a noi, l’arte eravamo noi. Poi, come ogni storia d’amore che si possa definire tale, eros chiamò thanatos e fu la rovina di tutto. Un anno vissuto in tutta la sua lunghezza: dalle notti di gennaio a chiacchierare sotto la statua in piazza, fino a che l’alba non ci avrebbe scaldato, a novembre, dove sotto la stessa statua piangevamo, inermi di fronte al grande buio. Tornò al suo paese dopo quell’anno di studi, se ne andò. Mi lasciò una caramella, avvolta in una carta da zucchero blu, con all’interno invece che la solita gelatina, una promessa: la promessa di un arrivederci che sarebbe scaduto di lì ad un anno. Mi disse di aprire il suo dono dopo la sua partenza e quello fu il regalo più bello.” • Un anno è passato, mi è sembrata un’eternità. Trecentosessantacinque giorni di buio: il sole era sempre pallido, i fiori spenti e le persone noiose e lontane. Mancavi e sembrava mancassi anche a tutto quello che avevo intorno. Senza di te era tutto più cupo.
“Tu luz ha vuelto, no tengas màs miedo”
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ALLUCINAZIONI MITICHE -FOSFENI-
Sudato e stordito mi guardavo intorno alla ricerca di una via d’uscita. L’arte mi stava soffocando, provavo il bisogno impellente di ricongiungermi con la realtà, col cocente asfalto battuto dal sole parigino. Percorrevo i corridoi freneticamente. Le membra pesanti, la vista annebbiata: percepivo i miei sensi allontanarsi dal corpo… Eccomi lì, reduce da quell’esperienza che il mio medico, qualche giorno dopo, avrebbe diagnosticato quale Sindrome di Stendhal. Il mio incontro con l’arte era stato talmente intenso da distaccarmi dalla realtà, il viaggio attraverso quelle forme immutabili ed immortali aveva risucchiato ogni mia energia, lanciandomi in un panico cosmico dal quale ero stato completamente sopraffatto. Quando ripresi conoscenza, ciò che si materializzò davanti ai miei occhi mi sconvolge ancora al solo pensiero. Accanto a me era inginocchiata una fanciulla tra le più belle che avessi mai visto. - Chi sei e da dove vieni? Non puoi essere un’abitante di questa terra. – chiesi, certo di essere davanti ad una rappresentazione della mia mente. -Abitai questa terra, secondo alcuni, ma migliaia di anni son trascorsi. La mia immagine vive ancora nell’arte e nella scrittura… Poco tempo mi rimane per raccontarti la mia storia poiché il freddo marmo mi richiama a sé. La mia divina beltà fece cadere Amore nella sua stessa trappola: fui portata nel suo dorato castello, servita e riverita da ancelle premurose ed amata ogni notte da un uomo meraviglioso, la cui unica richiesta fu quella di non guardare mai il suo volto. Ma io, sciocca, spinta dalle mie invidiose sorelle, una notte mi avvicinai a lui e con l’ausilio di una lucerna scoprii i suoi amabilissimi tratti, le sue ali, il suo arco con le frecce. Il fato maligno volle che una goccia di olio bollente cadesse sulla sua candida spalla, svegliandolo, e lui, accortosi di me che lo osservavo sgomenta, volò via. Maledissi la mia curiosità e quella luce foriera di sventura. Da quel dì vagai giorno e notte alla ricerca del mio amato fino a quando… No, non posso continuare, è tardi... Addio, straniero! Tutto era confuso, i miei sensi sembravano essere ancora assopiti, ebbi solo la forza di mormorare: -Aspetta, Psiche… la mia vista era annebbiata, strofinai gli occhi: quando li riaprii le immagini erano più nitide, ma di quella fanciulla nessuna traccia. Raccolsi le poche forze che stavo riacquistando, mi alzai da quel pavimento gelido e mi guardai intorno: di fronte a me ecco la scultura del Canova che ritraeva due amanti nell’atto subito precedente al bacio. Inutile dire chi fossero. La perfetta armonia delle forme, l’erotismo velato che quei due corpi emanavano, il candore del marmo nel quale quelle mitiche figure erano dolcemente intrappolate: sentivo che l’arte era di nuovo lì, pronta ad appropriarsi di ogni mia forza. Un tonfo. Il gelido marmo del Louvre riaccolse le mie membra esauste.
“Nec quicquam amplius in tuo vultu requiro, iam nil officiunt mihi nec ipsae nocturnae tenebrae: teneo te, meum lumen.”
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320<x<720 “Ho visto la luce, ed ho iniziato a pensarci su. Penso che molti la diano per scontata, la luce. Si accontentano di quella che basta per vedere. Io ho voluto osservarla con attenzione. Mi sono accorto che la luce è più di qualcosa che ci fa svegliare, vedere, camminare, vivere. La luce disegna e modella, crea e nasconde. Nello scenario urbano ha un sacco di occasioni, la luce. Entra in simbiosi con le geometrie architettoniche, ridisegnandole. Passando attraverso l’otturatore di una macchina fotografica queste possibilità si moltiplicano. Foto-grafare. Scrivere con la luce. Il sogno di poter attingere da un calamaio infinito.”
Foto di Luca Baldini, Yashica FX-D QUARTZ, rullino Rollei RPX 25.
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“ L’A r c h i t e t t u r a
è il gioco sapiente, rigoroso e magnifico dei volumi sotto la luce”
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le corbu.
black out cardiaco -radicale libero-
È così tardi che è quasi presto, poca luce entra nella stanza e mette in risalto la silhouette dell’arredamento; lui non dorme. Decine di sigarette fumate, polmoni affaticati e gola irritata, occhi rossi per l’allergia e per il fumo; la stanchezza c’è, ma non abbastanza da farlo addormentare: una strana frenesia accompagna l’attesa del domani. È in posizione supina, respira male, è un soggetto allergico lui, ha bisogno della sua droga: di quel Bentelan© che gli dà sollievo e mette fine a quel “punzecchiamento” continuo all’interno dell’occhio. Si alza e deciso esce dalla stanza in penombra, ma rallenta quando attraversa il corridoio ancora buio e arriva al bagno. La lampadina nel bagno è fulminata: si ferma, si gira, dovrebbe tornare indietro per prendere una torcia ma la pigrizia vince e apre il cassetto dei medicinali: conosce a memoria la scatola del Bentelan©, due o tre compressine e l’allergia svanisce. Le mani frugano: Voltaren©, Augmentin©, Froben©, ed eccolo, è lui, due o tre compresse mandate giù senz’acqua. Esce dal bagno, adesso i suoi occhi si sono abituati all’oscurità, vede le cose con maggiore chiarezza, si stende tra le coperte, si addormenta per sempre. Il mattino è ormai arrivato; suona la sveglia, ma nessuno è lì a sentirla. Nel bagno, aperta nel cassetto, la confezione di digossina di suo padre, medicinale contro l’insufficienza cardiaca: una finestra terapeutica talmente stretta che basta una compressa in più per sfociare negli effetti tossici. Una pillola lo ha ammazzato, una minuscola, apparentemente insignificante pillola; sarebbe bastato un raggio di luce a far chiarezza tra due estremi di uno stesso insieme, vita e morte, enantiomeri di una miscela racemica che è l’esistenza. Per enantiomeri si intende una coppia di molecole asimmetriche, immagini speculari non sovrapponibili l’una dell’altra, che hanno le medesime caratteristiche
chimico-fisiche; ad esempio, le mani sono enantiomeri: palmo a palmo combaciano, sono quindi speculari; invece l’una sull’altra rivelano la loro non sovrapponibilità. Una soluzione contenente la coppia di enantiomeri in uguali concentrazioni è detta miscela racemica. Una miscela racemica era la Talidomide© , un medicinale usato dalle donne in gravidanza per combattere la nausea, poi ritirato dal commercio perché teratogeno, ovvero capace di indurre malformazioni nel feto e nel futuro nascituro. È la luce a segnare il confine tra effetto farmacologico ed effetto tossico: il polarimetro smaschera gli inganni e sotterfugi di un enantiomero tossico che tenta di confondersi nella folla di elementi. Si è infatti scoperto che l’azione tossica è legata solamente all’enantiomero S, mentre quello R conserva intatte le caratteristiche farmacologiche, quindi continua ad essere un antinausea. Il polarimetro altro non è che un tubo, entro il quale è immessa la sostanza, attraversata da un fascio di luce piano polarizzata. Nel caso della Talidomide©, questo piano di luce subisce una rotazione a seconda dell’eccesso enantiomerico presente; invece non subisce rotazione se la miscela è racemica. Se nel tubo vi sarà solamente l’enantiomero R, la luce ruoterà con una certa angolazione ed in un certo senso, se invece quella miscela è contaminata la luce ruoterà di meno o non ruoterà affatto. A sentirlo così appare sconcertante quanto possa esser semplice eliminare l’azione tossica di un medicinale, basterebbe avere un interruttore per accendere una lampadina e non morire ogni giorno. Un polarimetro per analizzare la società come fosse una soluzione satura, per poter salvare il buono che sopravvive e guardare finalmente in faccia il marcio, per escludere un enantiometro e conservare l’altro, per potersi accorgere finalmente della somiglianza terrificante di questi due contrari, per mettere fine a questo black out.
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cotton fioc igiene auricolare - Everybody loves the sunshine Seu Jorge - Curly Locks Sinead O’Connor - Purple Sunrise Rob Mazurek - I’ll Be Your Woman Chinawoman - The Three Of Us Ben Harper & The Innocent Criminals - Burn Out The Cinematic Orchestra - Ensolarado Graveola E O Lixo Polifonico - Crepuscle With Nellie Thelonius Monk Il crepuscolo, luce di fine ottobre. Pensieri che si allungano come ombre, attimi di convalescenza per il cuor e l’animo. Penso alla tristezza in amore, raccolgo gli addii e le emozioni prive di ornamenti, subisco la mediocrità esente da rumori, la trasformazione della stagione m’investe, senza combattimenti. Stati d’animo tenui e smorzati, il sole continua a calare e l’ombra cresce, sempre più alta rispetto all’anima. Stagione di mezzo che annulla gli eccessi e sfuma i colori, insieme con me la musica e la riflessione, che si spengono, gradualmente, in una mite e costante decadenza.
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LA TEORIA DELLE LUCCIOLE,
OVVERO UNA RILETTURA INNAMORATA DI MARTIN HEIDEGGER -FREI GEIST-
La vita è un lucus a non lucendo. Il mondo è un luogo oscuro. Non che necessariamente non si veda, o che sia di un terribile e fragoroso notturno. Il mondo è luogo di un’oscurità pilotata, che lo nasconde a se stesso. Nelle azioni di ogni giorno l’uomo è assolutamente a suo agio, ogni istante luccica dello scintillio della rassicurazione e della consapevolezza. Eppure, proprio qui, proprio adesso, l’uomo è completamente orfano ed espropriato del suo senso più profondo. È il paradosso intrinseco nella sua condizione, quello per cui, perdurando in ciò che gli appartiene più strettamente, in un mondo assolutamente distante da quell’importante e caricato senso storico che ha segnato generazioni e movimenti dello spirito, l’uomo si allontani sempre più da se stesso, gettandosi nella sua stessa oscurità. Non che il motivo della Kehre – la svolta, la “cura” – si risolva però in una storia di così desolata perdizione. Anzi, con il mutamento di prospettiva – che esamina il mondo dalla parte delle “divinità”, ormai dimenticate nel loro forzoso nascondimento – si realizza una importante rivelazione. Ed è la metafora della luce la più giusta, anche se la più ardita, per comprendere questa condizione. Persistendo nella sua lontananza, nel suo oblio, nelle sue attività mistificatrici, l’uomo realizza in realtà la propria natura, essendo quell’ente che come scopo “ha da essere”. Ed ecco che, essendo se stesso, sprigiona la sua luce, trafiggendo il buio del mondo in cui si è rinchiuso. È proprio insistendo nella sua oscurità che l’uomo illumina e si illumina, ricordando la luce in un’appartenenza al suo senso e allo squarcio originario che l’ha portato via. L’uomo del nostro mondo – questo noi, dolce parola, che cammina nei sentieri delle possibilità – è come una lucciola, spaesato nel suo mattino, invisibile alla luce, brillante nella notte solamente se c’è abbastanza buio.
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il nodo naturale -la piramide-
Il nodo naturale Poniamo x la somma di tuu i giorni andaa, gli speeri del giovane sole. Ognuno di
noi ha visto balenarlo loro
infinitamente, senza essere qui. ,IL RAGGIO. In ogni luogo di x ci è stato padre e nume, come flusso bastardo del mondo. Esso è lo specchio del futuro
Ha visto i mari ramaa infiammarsi di lui, si è visto svanire infinite volte alla sera.
Ha irrigato i giardini, ha seccato le terre del faaore, ed ha visto la vita svanire, tra i fuochi di guerra o sooo un miserabile ponte.
Ha vegliato i miei morr adoraa, e ha condooo i vivi altrui a finger di dormire, prima che la nooe fosse più nera.
Sempre immerso nel freddo nulla, lavato dalla velocità, ha vissuto eternità sulla terra che dorme. E sempre ha reso a noi il pane quoodiano, e rimesso i debii.
Eccolo, chi è stato tuuo e tuu, la stringa infinita, il ranno adorato, la febbre di valiria, creatore di sé stesso. Padre, non son degno di te!
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I C R E P U S C O L I D E L M O N D O
A
mo le prime luci dell’alba e il rumore dei miei passi che risuona per i vicoli vuoti. Amo il silenzio che precede il giorno e quelle ore sospese che ancora profumano di notte. Amo la luce che si spande sottile, quando il sole dorme e le stelle si spengono all’orizzonte. Amo i lenti crepuscoli del mondo: le albe e i tramonti. Amo gli uomini in bilico tra il bene ed il male. Amo gli incompleti, le promesse mancate, le previsioni che portano pioggia. Amo il tutto e il niente, perché in fondo gli uomini non sono altro che orizzonti da guardare, evanescenti crepuscoli: amori, delusioni, sogni, speranze. Certo potrei spingermi oltre, tentarli... ma non è così che va. La concorrenza tende spesso a esagerare: è solo cattiva pubblicità. Io li osservo, li ascolto, li lascio sfogare. Tutto qui. Non che sia un’anima candida, un buono, per carità. Nessuno lo è, figuriamoci io. Però immedesimarmi nella notte, nelle tenebre, nel nulla che incede: no... proprio io che per definizione sono portatore di luce! In fin dei conti sono scelte: i giorni e le notti, il bene e il male, la luce e le tenebre. Un valzer di opposti. Personalmente continuo a preferire i crepuscoli... le prime luci dell’alba, il silenzio che precede il giorno, la vista di Venere che quando sorge ad est prende il mio nome: Lucifero.
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La Flagellazione di Cristo -oltre lo sguardo di medusa-
Nell’ambito artistico è lampante il ruolo cruciale svolto dall’elemento “luce”, dal momento che è proprio questo medium a rendere possibile la percezione tridimensionale con il ricorso alle ombre; l’utilizzo della luce, come strumento per indagare gli oggetti nello spazio del dipinto, consente di creare giochi chiaroscurali che esaltano o annullano completamente la fisicità dei volumi raffigurati. Come appare evidente, è praticamente impossibile dare una definizione di luce senza far riferimento al suo naturale contrario, il buio; non solo in termini puramente scientifici, ma anche dal punto di vista di una dimensione spirituale e morale, come naturale contrapposizione tra la luce divina e rivelatrice e il buio infernale del peccato. Riflettendo su questo binomio inscindibile, il mio pensiero va immediatamente al grande artista seicentesco Michelangelo Merisi, più noto come Caravaggio, da sempre definito il maestro della rivoluzione della luce in pittura. Figura dalla personalità scomoda e irriverente, ha vissuto un’esistenza travagliata, segnata da risse, delitti, fughe e denunce; tutta la sua vita potrebbe essere riletta come un continuo barcamenarsi tra l’andare a fondo e il cercare invano uno spiraglio di salvezza, quello stesso barlume riconoscibile in tutte le sue opere. Alcuni storici dell’arte hanno parlato di “rivoluzione luministica” di Caravaggio, proprio per esaltare uno dei tratti salienti del suo metodo creativo, ossia la scelta consapevole di immortalare i tipici ripugnanti esponenti del cosiddetto popolino: quella fascia più bassa ed insignificante della società. Caravaggio riesce a coglierli nella loro umile e degradante esistenza, negli spazi angusti, scuri e maleodoranti in cui riversano le loro tristi vite: gli scenari privilegiati sono misere bettole e sudicie taverne, appena rischiarate dalla fioca luce di una piccola finestra, o dal tremolante bagliore di una candela o di una lanterna, ambientazioni che “fotografano” le storie
e i personaggi nel loro più crudo e autentico realismo. L’artista sceglie di scendere in mezzo alla massa, di rappresentare tutta la drammaticità di personaggi scomodi ed emarginati, di cogliere la loro infima vita terrena e di bloccarla per sempre, mediante l’uso sapiente di una luce secca e tagliente, che non è luce divina, ma un faro luminoso puntato sull’umanità, uno strumento scientifico con il quale indagare il vero, la vita, la quotidianità. Vita ed arte si intrecciano continuamente nella produzione del Caravaggio, e la vita finisce sempre col vincere su tutto il resto: basti pensare al rapporto controverso che l’artista ebbe con le commissioni di indole religiosa, spesso rifiutate e ritenute indegne per l’eccessiva dose di schiettezza e umanità nel dipingerle. Certamente, tra le opere a tema sacro, uno dei capolavori più noti è La Flagellazione di Cristo, che si può ammirare alla fine di un lungo corridoio, al secondo piano del Museo di Capodimonte a Napoli. Chiunque si avvicini alla tela non può fare a meno di percepire l’esplosione della luce vera e rivelatrice, che, come un faro proiettato sui corpi immersi nell’ombra, ne scolpisce delicatamente le fisionomie, rivelando una plasticità quasi scultorea, una tensione drammatica di muscoli, emozioni e pensieri contrastanti. Al centro della tela, attorno alla colonna in penombra, si svolge il dialogo serrato tra Cristo e i suoi aguzzini: il corpo diafano sembra sciogliersi in una dolce danza, mentre i torturatori si avventano su di lui con scatti nervosi e spezzati. Ed ecco che, ancora una volta, si rimane estasiati al cospetto di un tripudio di opposti che si incontrano e si scontrano in una lotta all’ultimo sangue tra vittima e carnefici, vita e morte, redenzione e peccato. La visione caravaggesca, così come la sua vita, corre sui binari paralleli di luce e ombra: al centro della contesa resta, perenne, la flebile fiamma del libero arbitrio.
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“C’è una crepa in ogni cosa
ed è da lì che entra la luce”
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conversazione con lâ&#x20AC;&#x2122; abisso
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SCHERMO NERO A.A.(VOICE OVER) Mio fratello era morto. INT. TAXI. POMERIGGIO-GIORNO Due uomini discutono animatamente all’interno di una Mercedes privata ferma nel traffico. L’uomo seduto sul sedile posteriore e’ A.A.: capelli neri all’indietro e occhi azzurri, il volto marcato dalla stanchezza e dal dolore di un uomo che non riesce a colmare il vuoto dell’oblio. Il tassista e’completamente girato verso A.A. e agita furiosamente le braccia. A.A. (con tono agitato) Non arrivero’ mai in tempo!
SCHERMO NERO
TASSISTA A.A.(VOICE OVER) La colpa non e’ mia signore! Mio fratello era morto. A.A. Invece le avevo detto di non INT. TAXI.passare POMERIGGIO-GIORNO per il ponte! Dovreste sapere che a quest’ora... Due uomini discutono animatamente all’interno di una Mercedes privata ferma nel traffico. L’uomo seduto sul TASSITA sedile posteriore e’ A.A.: A.A.) capelli neri all’indietro e occhi (interrompe azzurri, il marcato stanchezza e dal dolore di Nonvolto mi dica come dalla fare il mio un uomo che non riesce a colmare il vuoto dell’oblio. Il mestiere! tassista e’completamente girato verso A.A. e agita furiosamente le braccia. A.A. (puntando il dito contro il A.A. Tassista) (con tono agitato) Lei...! Non arrivero’ mai in tempo! A.A. sembra rassegnarsi e torna a sprofondare tra i sedili. TASSISTA La colpa non A.A.e’ mia signore! (calmo) A.A. Sa cosa? Non importa! Invece le avevo detto di non passare ponte!verso Dovreste A.A. esce dal taxi per e siildirige la ringhiera del ponte sapere che a Il quest’ora... che affaccia sul mare. sole sta calando. Dell’erba alta cresce al lato del marciapiede. Gli occhi di A.A. fissano il TASSITA sole. Un Close Up rivela la mano di A.A. che accarezza l’ (interrompe erba, un movimento gentile, A.A.) come se accarezzasse un volto. Non mi dica come fare il mio mestiere! A.A. (V.O.) CONTINUED:Come faccio a sentire tutto questo? 2. A.A. (puntando il dito contro il Tassista) Un C.U. di Lei...! due occhi azzurri di un bambino ci guardano per (CONTINUED) pochi secondi. A.A. sembra rassegnarsi e torna a sprofondare tra i sedili. CUT TO BLACK A.A. A.A.(V.O.) (calmo) Mio fratello morto ed io non Sa cosa? Non era importa! ero li’. A.A. esce dal taxi e si dirige verso la ringhiera del ponte che affaccia sul mare. Il sole sta calando. Dell’erba alta INT. SALA PRANZO. GIORNO - 1979 cresce al DA lato del marciapiede. Gli occhi di A.A. fissano il sole. Un Close Up rivela la mano di A.A. che accarezza l’ Una Donna dai lucenti capellicome scuri seduta su una erba, un movimento gentile, se e’ accarezzasse un volto. poltrona. E’ la MADRE. Il suo volto triste e fiero guarda i due figli che sono seduti all’altro lato del salone su un A.A. (V.O.) grosso divano, silenzio. Sono tutto un giovane A.A. e il Come in faccio a sentire questo? fratello, di quattro anni piu’ piccolo, Jack. JACK Dov’e’ la nonna?
(CONTINUED)
A.A. guarda il fratellino, poi la madre. La Madre prende 23 posano sul figlio piu’ tempo, occhi rossi e gonfi si piccolo.
INT. SALA DA PRANZO. GIORNO - 1979 Una Donna dai lucenti capelli scuri e’ seduta su una poltrona. E’ la MADRE. Il suo volto triste e fiero guarda i due figli che sono seduti all’altro lato del salone su un CONTINUED: 2. grosso divano, in silenzio. Sono un giovane A.A. e il fratello, di quattro anni piu’ piccolo, Jack. Un C.U. di due occhi JACK azzurri di un bambino ci guardano per pochi secondi. Dov’e’ la nonna? TO BLACK A.A. guarda il fratellino, poi la madre. La MadreCUT prende tempo, occhi rossi e gonfi si posano sul figlio piu’ A.A.(V.O.) piccolo. Mio fratello era morto ed io non ero li’. MADRE (lentamente) Lei e’ su un treno...che si ferma INT. SALA DA PRANZO. - 1979 soltanto adGIORNO una stazione...Prima di tornare qui. Una Donna dai lucenti capelli scuri e’ seduta su una poltrona. E’ la MADRE. Il suo volto triste e fiero guarda i JACK due figli che sono seduti all’altro lato del La prossima volta voglio andare consalone su un grosso divano, il lei! in silenzio. Sono un giovane A.A. eSCHERMO NERO fratello, di quattro anni piu’ piccolo, Jack. A.A. si alza in piedi A.A.(VOICE e vede alcune persone che salgono al OVER) JACK era piano di sopra. Le segue. Lentamente, seguendo il passo Mio fratello morto. Dov’e’ la nonna? delle persone, supera la fila ed entra nella camera dei genitori. A.A. fratellino, poi la madre. La Madre prende INT.guarda TAXI. il POMERIGGIO-GIORNO tempo, occhi rossi e gonfi si posano sul figlio piu’ piccolo. INT. LETTO. GIORNO Due CAMERA uomini DA discutono animatamente all’interno di una Mercedes privata ferma nel traffico. L’uomo seduto sul MADRE Lasedile stanzaposteriore e’ buia, illuminata da due neri piccoli lumi ai lati e’ A.A.: capelli all’indietro e occhi (lentamente) del letto. il Sulvolto letto, coperta da lenzuola bianche, c’e’ ladi azzurri, marcato dalla stanchezza e dal dolore Lei non e’La su un treno...che si vuoto ferma nonna, defunta. Nostra si il posa sul dell’oblio. volto pallido un uomo che riesce a Vista colmare Il soltanto una stazione...Prima die agita della nonna. A.A e’ad intimorito, restaA.A. a fissarla. tassista e’completamente giratomaverso tornare qui. furiosamente le braccia. FADE TO BLACK JACK A.A. Ladi prossima volta voglio con Lux Aeterna Preisner viene uditaandare in sottofondo. (con tono agitato) lei! CONTINUED: 3. Non arrivero’ mai in tempo! A.A. si alza in piedi TASSISTA e vede alcune persone che salgono al piano di sopra. Le segue. seguendo il passo La colpa non e’Lentamente, mia signore! (V.O.) (CONTINUED) delle persone, supera A.A. la fila ed entra nella camera dei le sembianze in cui ti genitori. Oscure sonoA.A. mostri. Invece le avevo detto di non passare per il ponte! Dovreste INT. CAMERA sapere DA LETTO. che GIORNO a quest’ora... EXT.SPIAGGIA.GIORNO - A.A. ADULTO La stanza e’ buia, illuminata TASSITA da due piccoli lumi ai lati Maestose si poggiano sull’orizzonte grigio c’e’ e blula del del letto.nuvole Sul letto, copertaA.A.) da lenzuola bianche, (interrompe mare. defunta. A.A. Non cammina con l’abito grigio a piedi scalzi sulla nonna, La Nostra Vista si posa sul volto pallido mi dica come fare il mio spiaggia. Vede da ma lontano, che piano piano si della nonna. A.Aun e’ragazzino intimorito, resta a fissarla. mestiere! avvicina. Il RAGAZZINO, 12 anni- capelli neri e occhi azzurri- lo prende per il braccio, lo ferma e gli un FADEmostra TO BLACK A.A. punto indefinito(puntando all’orizzonte. A.A. guarda, non sembra il dito contro il vedere , ne’ nulla. Iludita bambino lo invita a sedersi Lux Aeterna dicapire Preisner viene in sottofondo. Tassista) con lui. A.A. si siede accanto al bambino,incrociando le Lei...! gambe. La Nostra Vista si posa sul volto perso di A.A.. A.A. sembra rassegnarsi e torna a sprofondare tra i sedili. A.A. (V.O.) La distanzaA.A. del tempo mi (CONTINUED) intimorisce. Dove sono i tuoi occhi (calmo) fieri che Non un tempo mi mostravano la Sa cosa? importa! via? A.A. esce dal taxi e si dirige verso la ringhiera del ponte A.A. sembra vedere qualcosa all’orizzonte, il punto che affaccia sul mare. Il sole sta calando.verso Dell’erba alta indicato bambino. Si alza e lentamente entra acqua. il cresce aldal lato del marciapiede. Gli occhi di A.A.infissano sole. Un Close Up rivela la mano di A.A. che accarezza l’ erba, un movimento gentile, come se accarezzasse un volto. EXT. SPIAGGIA. TRAMONTO -TEMPO INDEFINITO A.A. (V.O.) La Nostra Vista si posaa sulla schiena una donna dai Come faccio sentire tutto di questo? capelli lunghi e neri. Il sole si sta abbassando rapidamente verso l’orizzonte. E’ incinta ed immersa nell’acqua fino alla vita. Ci spostiamo dalle spalle della donna, fino ad arrivare a vedere il suo volto sofferente e pieno (CONTINUED) di gioia. Alle sue spalle dieci donne- cinque al lato destro e cinque a quello sinistro- nude, coperte da un sottile telo bianco 24 lentamente, quasi fluttuando, che parte dal capo; si muovono verso la donna che accarezza il grembo.
intimorisce. Dove sono i tuoi occhi fieri che un tempo mi mostravano la via? A.A. sembra vedere qualcosa all’orizzonte, verso il punto CONTINUED: 3. indicato dal bambino. Si alza e lentamente entra in acqua. EXT. SPIAGGIA. TRAMONTO A.A. -TEMPO (V.O.) INDEFINITO Oscure sono le sembianze in cui ti La Nostra mostri. Vista si posa sulla schiena di una donna dai capelli lunghi e neri. Il sole si sta abbassando rapidamente verso l’orizzonte. E’ incinta ed immersa nell’acqua fino alla vita. Ci spostiamo dalle spalle della donna, fino ad EXT.SPIAGGIA.GIORNO - A.A. ADULTO arrivare a vedere il suo volto sofferente e pieno di gioia. Alle sue nuvole spalle si dieci donnecinque al lato destro cinque Maestose poggiano sull’orizzonte grigio e e blu del a quello nude, coperte da un telo bianco mare. A.A.sinistrocammina con l’abito grigio a sottile piedi scalzi sulla che parte Vede dal capo; si muovono lentamente, spiaggia. un ragazzino da lontano, che quasi piano fluttuando, piano si verso la donna che accarezza il grembo. avvicina. Il RAGAZZINO, 12 annicapelli neri e occhi azzurri- lo prende per il braccio, lo ferma e gli mostra un A.A. (V.O.)A.A. guarda, non sembra punto indefinito all’orizzonte. (dolcemente) vedere , ne’ capire nulla. Il bambino lo invita a sedersi Madre! con lui. A.A. si siede accanto al bambino,incrociando le gambe. La Nostra Vista si posa sul volto perso di A.A.. La Nostra Vista si sposta sott’acqua, dove intravediamo il neonato che lentamente al mondo tra le braccia di A.A.viene (V.O.) un’ancella. la del donna lo abbandona tra le braccia La Subito distanza tempo mi 4. sicure della madre. intimorisce. Dove sono i tuoi occhi fieri che un tempo mi mostravano la via? EXT. OCEANO. GIORNO A.A. sembra vedere qualcosa all’orizzonte, verso il punto indicato bambino. Si alzamembra e lentamente entra acqua. Il blu ci dal avvolge. Le nostre sembrano aver in trovato sollievo e le sensazioni si espandono. Nuotiamo leggeri e non abbiamo bisogno di tornare in superficie per respirare. EXT. SPIAGGIA. TRAMONTO -TEMPO INDEFINITO A.A. (V.O.) La Nostra Non Vista si cosa posa sono sulladiventato? schiena di una donna dai vedi capelli lunghi e neri. Il sole Mostrami la via della si sta abbassando rapidamente verso l’orizzonte. E’ incinta ed immersa nell’acqua fino Bellezza...della Grazia... ancora alla vita.una Ci volta. spostiamo dalle spalle della donna, fino ad arrivare a vedere il suo volto sofferente e pieno di gioia. Alle sue spalle dieci donnecinque al lato destro cinque La Nostra Vista guarda su, verso la superficie. Una elontana a quello nude, coperte da un e sottile telo bianco sagoma di sinistroun uomo galleggia sull’acqua un possente raggio cheluce parte dal capo; si muovono lentamente, quasi fluttuando, di filtra tra l’acqua scura. verso la donna che accarezza il grembo. FADE TO BLACK A.A. (V.O.) (dolcemente) Madre! La Nostra Vista si sposta sott’acqua, dove intravediamo il neonato che lentamente viene al mondo tra le braccia di un’ancella. Subito la donna lo abbandona tra le braccia sicure della madre.
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lenti a contatto igiene visuale
La luce, nella quasi totalità delle religioni e delle società, ha una connotazione divina. L’aureola dei santi, gli dèi egizi, luminosi per loro stessa natura, e gli scheletri del Paleolitico sepolti con il viso a oriente, dove il sole sorge, ad andare incontro a una vita ultratrerrena. E, ancora: la veglia pasquale, periodo in cui i cattolici attendono il risorgere di Gesù ripetendo “Lumen Christi, Deo gratias”. Nel film in questione il tema della luce è ripreso e ricollocato come metafora della discesa agli inferi dei due protagonisti per mezzo della droga.
La luce, salvifica, caratterizza la prima parte del film (chiamata emblematicamente “Paradiso”), fino a diventare nemica e poi assenza, nelle altre due (”Terra” e “Inferno”). Una luce, divina e ambivalente, che non riesce a squarciare le mura pesanti di un baratro tappezzato di rancore e sensi di colpa. È luminosissimo il loro futuro, è fatto di sole e tavolette di cioccolata il loro presente. O, almeno, così dichiarano i voice-over, che come moderni traghettatori Danteschi accompagnano lo spettatore in questa storia d’amore che è, forse, solo pretesto per raccontare il disagio più profondo dei due amanti. (Paradiso + Inferno - N. Armfield, 2006).
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U 27
Non propriamente i l l ato O s c u r o SOLO QUELLO CHE VOGLIAMO RACCONTARNE
-peto soundsQuanto c’è di consapevole nel potenziale filosofico di un concept album? Quanto è frutto dell’interpretazione personale, quanto della semplice casualità degli eventi che l’hanno ispirato e concepito? Iniziare un articolo con due quesiti è tipico di chi, guardandosi attorno, cerca i cardini dell’esistenza, di chi si sente al centro di un meccanismo perfetto, ma deleterio e ridondante. Era il dicembre del 1971, e i Pink Floyd erano in cerca di stimoli e materiale per produrre un nuovo album: Roger Waters propose di utilizzare un unico tema, focalizzandosi concettualmente sulle sfaccettature dell’uomo moderno e sui problemi mentali di Syd Barret, costretto a lasciare la band per i danni procurati dall’eccessivo uso di LSD. Il prisma è la chiave di lettura: la vita è la luce bianca e pura, l’uomo un prisma triangolare infernale che altera la realtà a seconda delle sue visioni, mettendo a repentaglio la propria sanità mentale, assorbendo e risputando fuori il bagliore primordiale sotto forma di vari colori, ognuno corrispondente a una differente deriva a cui è soggetto affrontando l’esistenza figlia dell’alienante società moderna. Pulsioni benigne e maligne prodotte dallo
stesso contesto, che danno un senso al passare del tempo, sempre sull’orlo tra dark side e bright side. L’avarizia, l’apatia, l’infermità mentale e la morte, compressi in un lavoro che analizza l’effetto della società sull’individuo, e lo affianca nella ricerca del libero arbitrio: concettualmente resterà un punto di riferimento per prossime dieci generazioni, musicalmente sarà il primo mattone del passaggio dei Pink Floyd dalla psichedelia all’alternative rock. LA NASCITA. (Speak to Me) “I’ve always been mad. I know I’ve been mad, like the most of us are. Very hard to explain why you’re mad, even if you’re not mad.” Il passaggio dal pacifico mondo del ventre materno alla realtà esterna, scandito dalla tirannia del tempo, dalla corsa al denaro e dalle stupide convenzioni moderne; l’immagine passa dal semplice e rassicurante battito del cuore di una madre al rumore di sveglie, registratori di cassa e urla infernali. La nascita suscita panico nell’inconscio del bambino, rappresentato con un climax ascendente di suoni freddi e caotici: ecco il benvenuto in un mondo che promette pazzia e alienazione. L’AMORE MATERNO. (Breathe) “Breathe , breathe in the air Don’t be afraid to care Leave but don’t leave me.” L’atmosfera si placa improvvisamente, le braccia rassicuranti della madre diventano lo scenario della riflessione: si stabilisce l’unione psicologica tra madre e figlio, l’essere cerca nella madre la fiducia per non sentirsi più angosciato. L’idea è quella di vivere la vita liberamente, illusione che viene schiantata dalla prevedibilità della vita, dal meccanismo della routine lavorativa e dalle derive psicologiche che quest’ultima provoca all’uomo. LA FOBIA, L’ANSIA, LA TENSIONE (On The Run) “Have your baggage and passport ready and then follow the green line to customs and immigration. BA flight 215 to Rome, Cairo and Lagos.” La paura di volare del tastierista Richard Wright ispira la psicosi, deriva che colpisce da subito l’individuo rimasto solo. Il suono nevrotico dei sintetizzatori, l’altoparlante di un aeroporto, l’esplosione di un aereo riassumono il tema della paura attraverso la fobia, l’incomunicabilità e, più in generale, rappresentando la semplice e cruda paura di vivere l’avvenire.
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LA DISTORSTIONE TEMPORALE (Time) “No one told you when to run you missed the starting gun.” Lo scorrere del tempo, l’improvvisa esplosione di centinaia di sveglie, Martin Heidegger il faro del percorso filosofico: il ruolo della morte è dare una struttura alla vita dell’essere umano, valorizzandone la sua dimensione temporale limitata. L’angoscia del passare del tempo che attanaglia l’uomo, adagiato nel suo contesto/routine e risvegliato dalla riflessione sulla morte e sul tempo che ha sprecato. IL RITORNO ALL’OZIO (Breathe-Reprise) “Home,home again I like to be here when i can When i come home cold and tired.” Il palliativo del ritorno a casa, descritta come luogo d’ozio che diventa familiare quanto l’abbraccio e le rassicurazioni materne di Breathe. Un benessere solo apparente, paragonabile al conforto offerto al credente dalla religione e i suoi dogmi. IL GRANDE CONCERTO NEL CIELO (The Great Gig in the Sky) “And I am not frightened of dying. Any time will do; I don’t mind. Why should I be frightened of dying? There’s no reason for it— you’ve gotta go sometime.” La paura della morte, spesso negata dall’uomo, ma istintiva e soffocante quando si affronta di notte, al cospetto della natura e dei corpi celesti. Il grande concerto nel cielo, paura atavica e innata con cui ogni uomo deve fare i conti: le urla di terrore di Clare Torry, a cui i Pink Floyd chiesero di esprimere visceralmente le emozioni che la fine di tutto le provocava. IL DIO DENARO (Money) “Money,so they say is the root of all evil today.” L’attaccamento veniale ai soldi, con tutti le contraddizioni del consumismo: il rumore del registratore di cassa e dei soldi sfavillanti sdrammatizzano la canzone precedente, mettendo l’accento sull’essere umano che si trasforma in animale, rendendosi ridicolo, pur di accaparrarsi gli agi del denaro. La deriva peggiore, raccontata con un testo ambiguo e tagliente. LA GUERRA NELL’INDIVIDUO (Us and Them) “God only knows it’s not what we would choose to do Forward he cried from the rear And the front rank died And the general sat,and the lines on the map.” La deformazione intrinseca che la violenza produce sull’essere umano, che sfocia in guerre stupide e mosse da principi futili: l’animalesca brama di fare guerra ai propri simili per affermare la propria superiorità come individuo. La traccia attacca anche le alte cariche dell’esercito che dettano le strategie ai poveri soldati, mandandoli al macello sul campo di battaglia.
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L’LSD E LA MALATTIA MENTALE (Brain Damage) “The lunatic is in my head You raise the blade,you make the change You re-arrange me’till i’m sane.” I problemi di Syd Barret con l’lsd, la demenza senile e più in generale i problemi mentali: il rischio che si pronosticava all’inizio dell’album è diventato realtà. La società moderna aliena l’uomo e lo rende instabile mentalmente, lasciandolo in solitudine sul lato oscuro della luna. LA LUCE ECLISSATA (Eclipse) “All that is now All that is gone All that’s to come And everything under the sun is in tune But the sun is eclipsed by the moon.” Sunto e morale di tutto The Dark Side of the Moon: ogni cosa è illuminata dal sole, ponendo l’accento sulla perfezione della realtà che viviamo; la beffa è rappresentata dall’autolesionismo dell’essere umano, unica irregolarità che eclissa, proprio come la luna fa con il sole, la bellezza della vita. L’ambiente circostante è potenzialmente perfetto, e continuamente minato dai nostri impulsi che deformano la percezione che si ha della luce solare: sta all’uomo decidere su quale lato della luna stare, se ricercare l’equilibrio con la natura circostante o se farsi guidare dagli impulsi del lato oscuro della mente. Guardandosi attorno e riflettendo sulla natura dell’esistenza, si può ridurre ai minimi termini il concept, riassumendolo in una dicotomia: la perfezione della vita terrena, fonte di luce e bellezza, e la totale imperfezione dell’essere umano, costretto a fingersi perfetto per assorbire il flusso che il mondo gli trasmette. “There is no dark side of the moon really. Matter of fact it’s all dark.”
nuovi lumi sulla luce -il bosone di beppe-
Inizi del Novecento. La comunità scientifica entra in un periodo di lieve fermento: nuovi concetti e nuove costruzioni matematiche riguardo ad una quantizzazione delle grandezze fisiche vengono introdotte, ma ancora non si ha idea su dove condurranno. Nel frattempo, Albert Einstein trascorre la sua vita tranquilla, sopra la media, ma ancora lontana dalla luce dei riflettori. La svolta si ha nel 1905, in quello che sarà ricordato dai posteri come il suo Annus Mirabilis; e si capisce immediatamente che, trattandosi di Einstein, una tale definizione equivalga ad una profonda rivoluzione, ad un radicale mutamento nel paradigma interpretativo della Fisica. Oltre ad un importantissimo trattato sul moto browniano, all’ideazione della famosissima Teoria della Relatività ristretta, al lavoro sull’equivalenza tra massa e energia – sintetizzata nell’altrettanto famosa formula E = mc2 –, a quest’anno risale anche un altro studio che, sebbene sia stato messo in secondo piano dall’immaginario collettivo, assume un’importanza almeno paragonabile a quella dei lavori prima citati. Tale studio, intitolato “Un punto di vista euristico sulla produzione e la trasformazione della luce”, tenta di spiegare il cosiddetto effetto fotoelettrico, ossia il fenomeno di estrazione di elettroni da un metallo colpito da un fascio luminoso. La questione su quale fosse la vera natura della luce aveva arrovellato già la mente di numerosi illustri scienziati per almeno tre secoli. Il dibattito, infatti, nacque nel XVII secolo e vide fin da subito contrapposte due teorie: il modello corpuscolare, secondo il quale i raggi di luce sono costituiti da flussi di particelle, e il modello ondulatorio, che interpreta la luce come onde che trasportano energia. Inizialmente, grazie al sostegno di Isaac Newton, il modello corpuscolare ebbe la meglio: d’altra parte, come si poteva pensare che l’uomo che aveva scritto le leggi fondamentali della Meccanica, costruendo le basi della Fisica Classica, potesse sbagliarsi? Tuttavia, con il palesarsi di alcune lacune, la teoria ondulatoria si affermò sempre di più; rispetto alla teoria corpuscolare, essa riuscì a spiegare in modo più coerente alcuni fenomeni. Tra questi, uno dei più rappresentativi è quello dell’interferenza, fenomeno che si verifica in alcuni casi, quando la sovrapposizione di due fasci di luce, invece di produrre una luminosità maggiore, dà luogo a zone d’ombra; l’interferenza si può verificare per qualunque tipo di onda: ad esempio, lanciando due sassi nell’acqua, le onde da essi generate, a seconda che siano in fase o in controfase nei punti di intersezione, possono dar luogo a zone in cui l’ampiezza dell’onda aumenta e altre in cui diminuisce. L’osservazione di questo e di altri fenomeni portarono, quindi, all’affermazione della teoria ondulatoria, che fu affinata nel corso degli anni, fino a trovare compimento e solidità nell’elettromagnetismo. Così si giunge al famoso anno 1905. Come detto, in un solo anno Einstein riesce a mettere in discussione alcuni concetti fondamentali della Fisica Classica, tra cui le conoscenze sulla luce. In particolare, il suo lavoro dà concretezza fisica al concetto di fotone, particella elementare e indivisibile, priva di massa e piena di energia, che costituisce il quanto – ossia l’unità fondamentale – della radiazione elettromagnetica. Egli riporta così in auge il carattere particellare della luce,
ma soprattutto, dà la spinta definitiva al pieno sviluppo della Meccanica Quantistica, che qualche anno dopo permise di chiarire definitivamente il dualismo onda-particella. Concetto che, per di più, fu presto esteso anche agli elettroni e, per induzione, a tutta la materia. La sintesi hegeliana tra due teorie apparentemente incompatibili, dunque, trova compimento nel Principio di Complementarità: la luce - così come tutta la materia - può comportarsi sia come particella sia come onda, ma i due caratteri non si possono mai manifestare contemporaneamente in un unico fenomeno. Ecco, con quest’ultimo risultato possiamo finalmente affermare “Fiat Lux!”. Ma l’evoluzione del pensiero attorno alla luce e in particolare l’esperienza di Einstein mette in risalto un limite del sapere scientifico: la sua relatività rispetto al periodo storico e alle possibilità che esso offre. Tutto può essere messo in discussione; a volte basta un anno, una persona: d’altro canto proprio Einstein non potrebbe non aspettarselo...
Foto di Laura Bani, Nikon D7000, obiettivo Tamron 17-50mm.
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Ἐ Π Ά Μ Ε Ρ Ο Ι Τ Ί Δ Έ Τ Ι Σ ; Τ Ί Δ ’ Ο ὔ Τ Ι Σ ; Σ Κ Ι ᾶ Σ Ὄ Ν Α Ρ Ἄ Ν Θ Ρ Ω Π Ο Σ . . .
ESSERI DELLA DURATA D’UN GIORNO. CHE COSA SIAMO? CHE COSA NON SIAMO? SOGNO D’UN’OMBRA È L’UOMO... 31
“Le stelle non pensano” ci hanno indicato il contesto: un Caos generazionale trafitto dall’avverarsi del caso. Ora la Luce ci indica un altro luogo: l’altrove...
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CAPITOLO SECONDO Ogni generazione riceve in eredità un bagaglio culturale, una fitta trama di informazioni assorbite per osmosi che finiscono per stratificarsi e cementare nella coscienza collettiva, fino ad assurgere alla dignità di concetti assodati e pressoché immutabili. Per quanto mi riguarda, se c’è una cosa che la tv mi ha insegnato è che non esiste magia che si rispetti senza il suo mirabolante Abracadabra a precederla, che le grandi dichiarazioni d’amore di preferenza hanno luogo nel bel mezzo di un temporale o quando uno dei protagonisti, avventato e frettoloso, sta per sposare la persona sbagliata, che quando si disinnesca una bomba il filo giusto viene tagliato un secondo prima che esploda e che i gol decisivi vengono segnati sempre un attimo prima che l’arbitro fischi per tre volte la fine dell’incontro. In effetti dette così sembrano un bel po’di cose, ma il tutto si riconduce al semplice concetto che i momenti importanti non avvengono in circostanze qualunque. Potete quindi facilmente immaginare il mio spirito quando in una mattina qualunque del mio ordinario lavoro ho preso un normale vassoio di dolci per portarlo in una qualunque classe di una qualunque scuola per festeggiare chissà quale ricorrenza di uno studente qualunque. Uno spirito, appunto, predisposto all’ordinario, assolutamente impreparato a qualsiasi deviazione emozionale. Quindi classico pigiare forte sui pedali al ritmo delle cuffie, il vassoio nel cestino, mentre le macchine incazzate danno libero sfogo a sinfonie di clacson, sapientemente orchestrate da fischietti e palette. Intanto, con le mie rituali dissertazioni sul traffico e sullo smog avvolte nella riproduzione casuale, continuando a dondolare tra parafanghi e paraurti, arrivo finalmente a scuola. Parcheggio la bici, spengo la musica e tolgo le cuffie, perché sono educato come pochi, quindi chiedo indicazioni per la classe e percorro qualche rampa di scale e un paio di corridoi immerso in pensieri di cui avrete certamente individuato la levatura. Arrivo davanti alla classe, che ha la porta aperta, e dimenticando la mia rara educazione entro senza bussare, ritrovandomi nel fondo di un’aula immersa in un insolito silenzio, riempito solo da una voce d’oltremanica: - …ago my God after that long kiss I near lost my breath yes he said I was a flower of the mountain yes… Seduta dietro la cattedra, il professore all’impiedi appoggiato al muro in tutta la sua inadeguata calvizie; - …because I saw he understood or felt what a woman is and I knew I could always get round him and I gave him all the pleasure I could leading him on… I contorni cominciano a sfumare, l’aria si fa densa dell’attenzione rubata, non già più solo quella degli altri; - … till he asked me to say yes and I wouldn’t answer first only looked out over the sea and the sky I was thinking of so many things… Allora trattengo il fiato, un po’ perché non sono sicuro di riuscire a respirare, un po’ per paura di spezzare con un sospiro questo filo sottile; - … and those handsome Moors all in white and turbans like kings asking you to sit down in their little bit of a shop and Ronda with the old windows… E mentre il mondo attorno scompare in un’ovatta rosa la vedo davvero, donna nei suoi 25 anni o giù di lì, la testa bassa sul libro da cui legge, una mano ad accarezzarne le pagine; - …and O that awful deepdown torrent O and the sea the sea crimson sometimes like fire and the glorious sunsets and the figtrees in the Alameda gardens yes and all the queer little streets and pink and blue and yellow houses… E poi comincio a volare, sorretto da questi che devono essere tanti piccoli Cupido, che mi portano su una calda nuvola e mi si stendono accanto con il mento sui palmi a godersi lo spettacolo; - … Gibraltar as a girl where I was a Flower of the mountain yes when I put the rose in my hair like the Andalusian girls used or shall I wear a red yes and how he kissed me under the Moorish wall… E allora lei piega la testa da un lato, e io posso vedere lo sguardo concentrato sulle parole mentre con una mano leggera si accarezza il lungo collo e aumenta il ritmo della lettura; - … then I asked him with my eyes to ask again yes… 32
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Il mio cuore accelera guidato dalle parole, - … then he asked me would I yes to say yes… Così forte che ho paura faccia rumore, - … I put my arms around him yes… Le parole hanno ormai un ritmo convulso, - … and drew him down to me so he could feel my breasts all perfume yes… La mano sfrega forte sul collo, - … and his heart was going like mad… E io credo di essere pronto ad impazzire - … and yes I said yes I will Yes. Rilascio finalmente il fiato, e questa volta devo evidentemente essermi dimenticato tutti gli scrupoli sull’atmosfera. Me lo dicono chiaramente le risatine soffocate, che smettono di nascondersi dopo che il professore tossicchia, come per schiarirsi la voce, e mi dice, senza sforzarsi di camuffare il divertimento che la mia espressione persa deve procurargli: - Quando vuoi! Articolo qualche sillaba, collezionando scarsi risultati in termini di suoni intelligibili, e avanzo imbarazzato tra i banchi, cercando di darmi un tono in mezzo a tante risate, guardando dritto alla cattedra dove poserò il vassoio per poi fuggire verso la porta. Durante la mia eterna passeggiata della vergogna tra le poche file di banchi, anche Lei alza la testa. Per un brevissimo istante i suoi occhi calamitano i miei, poi si fanno più piccoli e luminosi, trasfigurati dal riso in arrivo, perché Lei è troppo sveglia per non trovare la situazione divertente. A dir la verità, anche troppo educata per non abbassare la testa e mettere una mano davanti alla bocca nel tentativo di non offendermi, nei limiti del possibile ovviamente.
Affronto il resto della giornata con il tipico entusiasmo degli straordinari non pagati, servendo caffè e cornetti a tutta la varietà umana che un paesino grossicello può offrire. Uomini e donne, vecchi e bambini, cornuti e amanti, tipi da fazzoletto nel taschino e altri dal congiuntivo raro. Espresso o macchiato? Spritz o bitter rosso? Un bicchiere d’acqua per favore. Il tempo passa viscoso, con un alto coefficiente d’attrito, e allora è inutile ogni tentativo di accelerare perché la fisica, o in sua mancanza l’esperienza, lo spiega tale e quale che l’attrito è capriccioso e soprattutto non è mai d’accordo. Finalmente l’orologio sulla parete, preceduto dai primi pigri reclami dello stomaco, mi annuncia che si è fatta ora di andare a pranzo. Pedalando verso casa decido di seguire l’invito del sole e prendere la strada panoramica. Magari mi fermo anche a fumare una sigaretta per commemorare lo spettacolo. O magari incrocio una Smart bianca come ce ne sono tante e per uno strano caso guardo dentro, e per uno strano caso dentro magari c’è Lei. Allora si dà il caso che ho gambe forti a furia di pedalare tutti i giorni, così giro la bicicletta e spingo forte per raggiungere la macchina. E la raggiungo. E guardo dentro. E lei se ne accorge e si volta e mi guarda con la sua bella espressione a punto interrogativo, e allora io metto insieme il più ebete dei miei sorrisi. Lei quindi si gira avanti, e io mi perdo nei suoi movimenti. Vedo le sue mani lunghe scivolare delicate sullo sterzo, vedo la sua testa ruotare leggermente, vedo la coda morbida rimanere sospesa. Vedo anche la Smart che si allontana da me. Quello che dimentico di vedere è l’aiuola che significa l’inizio dell’area pedonale. I pochi attimi in cui volo a mezzo metro dai sanpietrini bianchissimi non sono male, molto adrenalinici. Se non fosse per la figura di merda probabilmente lo rifarei. La botta invece è un po’peggio, diciamo che questa non la rifarei. Non so dire adesso se più per l’atterraggio poco elegante o più per il dolore. Per fortuna a quest’ora non c’è molta gente, così mi rialzo lentamente e intanto dalle cuffie Alanis Morisette mi chiede “Isn’t it ironic?”. In effetti abbastanza. Se non fossi impegnato a inventare qualche fantasiosa imprecazione probabilmente riderei. Raccolgo la bici e mi preparo a fuggire da interventi improvvisati di pronto soccorso, e invece vedo lei, che è scesa dalla macchina e viene verso di me. Alanis Morisette adesso mi spiega che “life has a funny way of helping you out”. Avanza con cautela e la sua faccia adesso presenta un complicato intreccio di segni di interpunzione che nell’insieme significheranno qualcosa tra un “tutto bene?” e un “quanto sei coglione?”. 33
Se è possibile metto insieme un sorriso ancora più ebete di quello di prima, ma infondo m’importa poco. Ogni generazione riceve in eredità un bagaglio culturale, e se c’è una cosa che la tv mi ha insegnato è che se lei brilla e tu ne sei accecato, poco importa che il contorno perda consistenza. Ormai sai dove andare. Luce.
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