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U “La generosità e l’altruismo sui luoghi di lavoro”

n eccesso di altruismo sul lavoro rischia di danneggiare le stesse persone che volete aiutare. Vediamo come evitare errori che potrebbero ledere anche noi stessi. In qualsiasi situazione, sia istituzionale, sociale e religiosa si dispensano spesso consigli che tendono a trasmettere sempre lo stesso messaggio: “aiutare gli altri”, poiché chi mette a disposizione il proprio tempo e le proprie energie per gli altri, vivranno una vita felice e ricca di significato. Ma è sempre così? Dipende! Si corre anche il rischio di sentirsi sovraccarichi e stanchi, compromettendo anche la propria serenità se non ci si autoprotegge dal mettere altruisticamente al primo posto i bisogni degli altri. Paradossalmente pur facendolo con le migliori intenzioni, aiutare chi è in difficoltà, può danneggiare involontariamente gli stessi colleghi. Coloro che dimostrano costantemente il desiderio e le capacità di dare una mano vengono, quasi sempre, bombardati di richieste d’aiuto e di conseguenza, loro rischiano il cosìddetto BURNOUT, ovvero quella sindrome legata allo stress lavorativo che assorbe ogni energia del lavoratore, in funzione delle eccessive richieste dell’ambiente lavorativo in cui opera. Questo logoramento genera inoltre due ulteriori conseguenze: l’una che si privano i colleghi dell’aiuto sperato e l’altra che non permette ai dipendenti, che potrebbero dare un contributo, di poterlo fare in quanto invece inoperosi e demotivati. A questo punto è doverosa una precisazione. La gente comune commette spesso l’errore di confondere la generosità con l’altruismo, pensano che essere gentili voglia dire essere sempre a disposizione 24 ore su 24, sette giorni alla settimana che bisogna sempre accontentare tutti in tutto. Invece bisogna fare in modo che il beneficio che ne viene alle persone che aiutiamo non sia superiore al costo che comporta per noi. Trovare il modo di dare senza esaurire il proprio tempo e le proprie energie è una scelta generosa, ma non altruistica. Abituarsi anche a dire dei NO, ci permette di dire di SI quando è più importante. Dopotutto, è difficile aiutare gli altri quando sei così sovraccarico che hai la sensazione di non farcela più. Non tentare di fare tutto per tutti. Se l’aiuto che offrite è in linea con i vostri interessi e con le vostre competenze, diventa meno stressante per voi e più prezioso per gli altri. Anziché sentirvi in obbligo di aiutarli, siate voi che decidete di farlo, il che giova alla vostra motivazione, alla

Abituarsi anche a dire dei NO, ci permette di dire di SI quando è più importante

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Attenzione quindi come si aiuta, a quando si aiuta e soprattutto a chi si aiuta vostra creatività e al vostro benessere. Attenzione quindi come si aiuta, a quando si aiuta e soprattutto a chi si aiuta. Invece di considerarvi dei tuttofare, rendetevi preziosi e fate in modo che gli altri vi considerino degli esperti. Ciò vi permette di concentrarvi sul tipo d’aiuto da offrire e vi autorizza a rifiutare delle richieste che non vi qualifica come esperti. Inoltre, c’è un altro aspetto da non sottovalutare, ovvero il fatto che questa vostra disponibilità in alcuni fa scaturire il sentimento dell’invidia, uno dei sette vizi ca-

Quando un collega si rivela più capace e intelligente, dagli invidiosi sarà guardato con freddezza e comincerà l’opera di demolizione, della critica e persino della calunnia. Lo svogliato è quasi sempre un invidioso poiché non avendo voglia e forza per competere, desidera soltanto che l’altro perda ciò che lui invidia pitali, molto praticato anche nell’ambiente di lavoro. Quando un collega si rivela più capace e intelligente, dagli invidiosi sarà guardato con freddezza e comincerà l’opera di demolizione, della critica e persino della calunnia. Lo svogliato è quasi sempre un invidioso poiché non avendo voglia e forza per competere, desidera soltanto che l’altro perda ciò che lui invidia. Il vaccino contro questo malanno esiste, ma purtroppo è di

Chi non ha dubbi e pensa di sapere già tutto quello di cui ha bisogno, si frega con le proprie mani difficile assunzione e si chiama “umiltà”, con la sua variante della sincerità e della generosità. Anche perché c’è il rischio che, invece di essere umili, si possa diventare “umiliati”. Ma si sa che piuttosto che riconoscere le capacità dell’altro si preferisce ammettere di non avere dubbi poiché il dubbio lo si fa coincidere con l’essere privi di certezze, in quanto avere dubbi riguardo a sé stessi è ancora peggio: si viene velocemente bollate come persone insicure, indecise. Invece il dubbio ci serve, poiché senza il dubbio non c’è avanzamento della consapevolezza. Chi non ha dubbi e pensa di sapere già tutto quello di cui ha bisogno, si frega con le proprie mani. Purtroppo siamo convinti che siccome le informazioni, in linea di massima, sono a portata di mano, possiamo sapere tutto. Ma acquisire un’informazione non vuol dire conoscerla e poterla capire. Soprattutto quelle che provengono dai social e su questo punto credo sia quantomai attuale l’ormai proverbiale giudizio sprezzante di Umberto Eco: “i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività e venivamo subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel ”. Infine, anche se l’aiuto offerto agli altri dà significato al nostro lavoro e alla nostra vita, non sempre infonde in noi più energie. In linea generale, aiutare gli altri rende le persone solo un po’ più felici e non è difficile capire perché. Quando le persone sono altruiste al punto di rischiare il logoramento psicofisico, compromettono la loro stessa capacità di dare e la soddisfazione che ne deriva. Essere generosi, invece, significa prendersi cura degli altri ma non a spese di se stessi. Proteggendovi dal logoramento, vi sentirete meno altruisti. Anzi, finirete per dare di più perché, secondo me, se non si fa nulla per il prossimo, se non si fa nulla per la società, che senso ha avuto la possibilità che ci è stata data di vivere?

Se non si fa nulla per il prossimo, se non si fa nulla per la società, che senso ha avuto la possibilità che ci è stata data di vivere?

Antonio Guido Esperto di galateo e immagine relazionale

Combattere l’obesità con l’educazione alimentare

La conferenza nazionale sulla nutrizione che si è tenuta a Roma dal 21 al 23 febbraio 2023, presso il Ministero della Salute, ha riportato in primo piano il tema della obesità che in Italia ormai interessa non solo adulti ed anziani, ma anche oltre 2 milioni di bambini ed adolescenti, collocando il nostro paese tra i primi posti in Europa per la diffusione di questa patologia. Quello della obesita non è un problema di tipo estetico che riguarda la sfera personale degli individui, come ingenuamente si potrebbe pensare, ma è un gravissimo problema sociale che avra nei prossimi decenni gravi ripercussioni sulla tenuta del nostro sistema sanitario ed economico. Purtoppo i bambini e gli adolescenti obesi o in grave sovrappeso, se non riescono ad armonizzare il loro rapporto con il cibo e con il loro corpo, con diete adeguate e praticando sport ed una vita più salutare, da adulti, se l’obesità permane, vanno incontro a numerose patologie su base alimentare alcune delle quali altamente invalidanti. Un tempo i bambini obesi erano rarissimi, ma ormai questo problema sta dilagando, quindi occorre intervenire con una serie di azioni volte sia ad informare ed a dare supporto alle famiglie dei bambini obesi, sia ad introdurre l’educazione alimentare come materia obligatoria in tutti gli istituti. Occorre prevenire e limitare l’obesità infantile perche, risolvere questo problema in età adulta è difficilissimo, come ben sanno i medici oltre che i nutrizionisti. L’adulto obeso di solito viene messo a dieta dal medico quando i sintomi delle tante patologie connesse alla obesità diventano manifeste ed invalidanti e la sua salute, e spesso anche la sua funzione sociale ed economica è gia pesantemente compromessa. Ma purtoppo queste diete “imposte” e persino i radicali interventi di chirurgia bariatrica, volti a tentare di contenere i casi più gravi di obe-

Italia sita falliscono, perchè la dipendenza dal cibo è più forte di qualsiasi altra motivazione. Ma falliscono anche i tentativi di controllare il peso dei bambini o degli adolescenti obesi se non sono condivisi da tutti gli altri membri della famiglia e se non sono supportati da un adeguato sostegno psicologico e da un radicale cambiamento delle abitudini alimentari, non solo del bambino, ma di tutto il nucleo familiare, spesso fatto a suo volta da obesi. Molto spesso genitori obesi o in sovrappeso, tendono purtroppo ad avere figli obesi, ma non a causa di presunte e non ben definite “disfunzioni ormonali” (peraltro rarissime), ma a causa di un alterato rapporto con i cibo e/o comportamenti alimentari che spesso si tramandano di generazione in generazione. L’eccesso di cibo è come una droga, crea dipendenza e porta alla invalidita ed alla morte, ma a differenza delle droghe viene accettato senza particolari problemi e considerato come un qualcosa di “normale”. La pubblicità delle droghe è vietata, ma siamo continuamente esposti a continui messaggi pubblicitari, spesso occulti, che ci inducono a consumare cibi e dolci industriali, alcolici e super-alcolici, bevande zuccherate e snak di cui potremmo tranquillamente fare a meno. In Italia ci stiamo allontanando dalle nostre tradizioni alimentari basate sulla nostra straordinaria dieta mediterranea, che ha garantito salute e longevità ad i nostri nonni ed in parte a i nostri genitori, per abbracciare i modelli alimentari imposti da logiche di mercato incentrate sul profitto delle aziende (spesso multinazionali straniere) e della grande distribuzione e non più sulla effettiva qualita dei prodotti. Ma rieducare sotto il profilo alimentare gli adulti è difficilissimo, anche perchè le linee guida diffuse da tutte le organizzazioni ed istituzioni sanitarie, sono condivise solo pochi professionisti qualificati. Quello del dimagrimento è ormai un settore commercile in cui gli spazi più importanti sono occupati da aziende specializzate, da “santoni” e “guru” del dimagrimento depositari di metodi “infallibili”e da spregiudicati speculatori, tanto abili nelle strategie di marketing, quanto privi di conoscenze di scienza della alimentazione e di “etica”. Persino i professionisti più seri a volte debbono adeguarsi a questa logica commerciale, propondendo le uniche diete che i loro clienti culturalmente sono disposti ad accettare, quelle che sembra che fanno dimagrire rapidamente e senza troppi sforzi, rispondendo alle logiche del mercato più che a quelle della scienza. Poco importa se dopo qualche mese si torna ad ingrassare ed ancor meno che si perda massa muscolare o che le analisi cliniche vengano completamente alterate. Ci stiamo arrendendo ad un sistema commerciale immorale, che tende a ricavare profitti dal sovrappeso e dalle patologie create da un altro sistema, ad esso speculare, che attraverso la pubblicità di prodotti alimentari poco salutari ed ingrassanti sta di fatto minando la salute della nostra popolazione. L’impegno sul piano dell’educazione alimentare diventa quindi prioritario”. Nelle scuole andrebbero date le basi scientifiche della educazione alimentare che i genitori, dovrebbero studiare insieme ai loro figli per capire i danni che si stanno inconsapevolmente procurando seguendo comportamenti alimentari non idonei o metodi di dimagrimento altrettanto inadeguati. Abbiamo la fortuna di vivere in un paese con eccellenze alimentari che il mondo ci invidia, ma siamo stati “imbarbariti” ed indotti ad acquisire dipendenze verso cibi spazzatura che creano profitti solo a chi li vende, occorre rieducare noi stessi ed educare i nostri figli al gusto dei cibi sani e genuini ed abbandonare una “cultura dell’eccesso” che danneggia prima la nostra mente e poi la nostra salute.

Monica Grosso - Biologo nutrizionista Se volete contattare l’Autore di questo

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