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TEMPI DA RACCONTARE
Ètutto veloce nella vita di un adolescente, a volte fin troppo. Il tempo ti si avvolge attorno in un vortice di idee, frenesia, ti senti quasi sopraffatto, le persone e i luoghi si fondono davanti ai tuoi occhi come una nebbia. Sempre alla ricerca di nuovi stimoli, nuove esperienze, spingendosi sempre un po’ più in là, uccidendo ogni giorno un altro idolo. Poi tutto si ferma. È scattato il semaforo arancio. Come seduto nell’occhio del ciclone, vedi che attorno a te le raffiche cessano e la casa di Dorothy viene appoggiata di nuovo sull’ arido terreno del Kansas. Il fumo fuoriuscito dalla pistola dello starter, come nel frame di un film visto al contrario, torna velocemente all’interno della canna. La corsa si ferma, tutto è annullato. Pause. È così che descriverei la situazione che stiamo vivendo in questo esatto momento. Ci troviamo intrappolati nelle case, in cui tanto abbiamo desiderato rimanere durante le fredde mattine di novembre, quando invece eravamo costretti ad uscire ed andare a scuola; ci sentiamo strani, inadeguati alla delicata situazione, privati di momenti importanti ed incapaci di creare ricordi, magari dell’ultimo anno di liceo. Ma questo internamento forzato nelle nostre dimore potrebbe darci l’opportunità di sviluppare le nostre passioni, di concentrarci su noi stessi, di dedicarci a ciò che amiamo fare. Ma quando il tempo abbonda è l’ispirazione che viene a mancare. Ad inizio quarantena chi non si è ripromesso di finire quel libro che ormai è diventato parte integrante del comodino, tanto da dubitare se non sia il pezzo di mobilia ad essere sostenuto dal volume di carta; o di fare più esercizio fisico accompagnato magari da una nuova dieta; di diventare vegano o smettere con la nicotina. Mi ero promessa che avrei scritto. Un po’ tutti i giorni, quel poco che serve a tenersi in allenamento e magari estrapolarne qualcosa di decente. Ma alla nona ora del secondo giorno di quarantena i buoni propositi erano già stati dimenticati, come fosse il 3 gennaio. Non riuscendo a scrivere e trovando nauseante anche solo l’idea di uno sforzo,
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decisi che mi sarei dedicata alla sola lettura. In fondo leggere aiuta a migliorare il proprio stile. Ed ecco che si insinua il tedio, la noia di vivere, la nausea di Sartre. Nell’immensa libreria di famiglia, tre scaffalature a parete con i ripiani in mogano inondati da libri stantii, non esiste un libro decente. Eppure potrei giurare di averne visti tanti che avrei voluto leggere qualche mese fa, quando però non avevo abbastanza tempo. Adesso tutte le storie sono noiose, tutti i personaggi sono stereotipi, leggo ma non riesco ad arrivare alla fine del libro (anche se questo è un problema che ho sempre avuto). La noia di vivere diventa noia di leggere. Dopo un’intensa osservazione e analisi di tutti i volumi di casa decido di dedicarmi ad Esercizi di stile di Raymond Queneau, credendo che un esercizio dei suoi al giorno mi possa far bene, anch’esso si rileva un mero fallimento. Alla fine ci lasciamo andare alla fatua promessa rimandare tutto a quando terminerà questo strano periodo, che sembra uscire da un sogno distopico. Sappiamo tutti che le promesse non sono fatte per essere mantenute.
Ma al di là del mio rapporto problematico con la scrittura, sono i sentimenti il tema di oggi. Tutti sanno e sono pronti ad affermare, sentendosi psicologi, che gli adolescenti hanno bisogno di stimoli continui, così da poter crescere e trovare il loro posto nel mondo. Ma adesso, immersi in questa bolla insonorizza ed anestetizzati dal mondo esterno, sembra lontana la routine emotiva alla quale eravamo abituati. Chiusi in casa, con un principio di depressione che sale come un leggero brivido dalla spalla destra per poi insinuarsi come il peggiore degli insetti dentro la tua mente, diventa difficile trovare l’ispirazione per scrivere anche solo qualche riga, un mezzo periodo altalenante e malfermo, che arranca tra le righe del bloc notes. Le relazioni interpersonali sono ridotte ai minimi storici, non che l’avvento dei social abbia remato contro a ciò, e le uniche persone che abbiamo vicino sono i nostri genitori, talvolta amorevoli ma sempre pronti a critiche pungenti e ad esprimere il loro
disappunto verso i propri figli. Per chi è coinvolto in una relazione sentimentale lo scenario si complica ulteriormente: è difficile continuare ad amarsi tramite uno schermo senza il minimo contatto fisico ed è ancora più difficile voler bene a qualcuno quando ormai non ci importa più di nemmeno di noi stessi. Ah e vi prego di non abusare più dell’espressione “amore al tempo del corona” grazie, è penosa e a Marquez di certo non sarebbe piaciuta. Forse è necessario, in questo caos, trovarsi uno spazio mentale sicuro e pulito, nitido dove poter riflettere, analizzare le proprie sensazioni e poi, con un po’ di fortuna, riuscire a tradurle in parole scritte. In un periodo destabilizzante dove tutto somiglia ad un quadro cubista in cui il tempo si è veramente dilatato, forse la cosa migliore è sedersi ed aspettare: osservare il mondo, vedere che quando l’uomo rischia l’estinzione la natura torna rigogliosa e potente, comprenderne le dinamiche, metabolizzare l’emozioni e poi, come William Wordsworth ci insegna, quando tutto sarà finito, ci ricorderemo di queste sensazioni e finalmente riusciremo ad esprimerle con le parole più giuste. Chi adesso non ci riesce tornerà a dipingere, a cantare, ritroverà la motivazione e la voglia di continuare, la spinta verso il futuro. Io forse tornerò a scrivere e le persone torneranno a viaggiare. La corsa verso la vita riprenderà, e i corridori saranno più veloci che mai.