QUI SI INTRECCIANO STORIE MILLENARIE Scrivo l’editoriale di questa Circolare sotto l’effetto della Con-
fiture de mon père: una confettura extra di mele cotogne d’Alsazia e lamponi al kirsch. È dedicata al padre di Christine Ferber, un angelo dell’arte pasticciera che vive in un piccolo paese dell’Alsazia e che sono andato appositamente a trovare. Mi hanno spinto i racconti
di un’amica, Francesca, che prima di me ha immaginato che dietro a quei prodotti ci fosse una persona interessante. E difatti, come leggerete nel diario, questo, come tanti altri, è stato un incontro illuminante, che dice quanto sia potente la forsegue a pag. 2
febbraio
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2019 anno XXIV
periodico dell’Associazione Club di Papillon diretto da Paolo Massobrio > Registrazione Tribunale Alessandria n. 443 del 3.7.93 > Poste Italiane S.p.a. in a.p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, DCB Alessandria > > Aut. Dir. Prov. PP.TT Alessandria > Progetto grafico: Studio Due S.r.l, www.studio-due.it > Impaginazione: Gabriele Curato > Stampa: Litografia Viscardi,
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Golosaria Monferrato l'evento
I Cammini del Vino 30 e 31 Marzo 2019
novità
In uscita con Bell'Italia
ISSN 2532-5973
l’editoriale di Paolo Massobrio
segue da pag. 1
za della storia che ci troviamo a custodire. Il fatto poi che le persone si incontrino, senza l’obiezione dei confini o di credo politici e religiosi, è qualcosa che dà un respiro immenso al senso proprio della nostra vita. Christine mi ha commosso perché il suo è il racconto di una famiglia, di un paese, di un attaccamento a una radice per fare il prodotto più buono del mondo, affinché “il viaggio andasse da lei”, a casa sua. Ma la stessa cosa potrebbe dire Pasquale Forte, che s’è impuntato per fare il Rosso più buono del mondo e chiunque crede che dentro a quel suo prodotto ci sia appunto il meglio del mondo, perché il mondo parte dalla conoscenza, dall’educazione, dall’apertura degli occhi a quella che si chiama realtà. E che succede a tutti, in qualunque parte uno si trovi. Il gusto che entra dentro a queste vite inizia così a dipanare i suoi racconti, intrecciando storie millenarie. Il numero della Circolare che state sfogliando è il primo dell’anno e contiene proprio questo
impulso: abbracciare il mondo così come ci viene incontro. Sembra una frase retorica o a effetto: in realtà è il sentimento che provo dopo questo primo mese dell’anno, dove con tutti i delegati dei Club di Papillon d’Italia abbiamo incontrato Fides Marzi e Gianni Rigoni Stern, due storie contemporanee, che a loro volta hanno intrecciato la storia millenaria del Burundi e quella della Bosnia. E si sono in qualche modo intrecciati con noi, che per i prossimi giorni ci ritroveremo, a tavola, per animare le nostre Cene in ComPagnia. Un aiuto concreto per dire che il gusto, se è vero, ci fa venir voglia di sostenere quella prossimità che ci viene incontro. Ma anche Golosaria Monferrato è il racconto di una storia millenaria, ancor più dentro i suoi castelli, dove avverrà la rappresentazione dei cammini del vino. Questa edizione di fine marzo, idealmente, la dedichiamo a Roberto Maestri, un amico che ci ha fatto gustare la storia millenaria di questo territorio, che non aveva i confini che conosciamo oggi. Roberto è morto pochi mesi fa
in un incidente stradale, mentre tornava da Mantova, marchesato alleato del Monferrato. E anche lui ci ha lasciato un compito: che non si dimentichi mai la storia. Già, la storia: proprio Christine Ferber, nel dialogo di quella domenica di inizio febbraio, mi ha detto: “Come faranno i giovani a scegliere una strada piuttosto che un'altra?”. Ovvero come potranno decidere per un valore anziché per un guadagno? Ci siamo detti entrambi che la legge della vita è la testimonianza, che deriva sempre da una storia e che favorisce lo scorrere della ciclicità degli eventi. È qualcosa di umano, che rende grande e particolare quel vino o quella confettura; il profitto fine a sé stesso può solo spezzare quel ciclo che rende vitale una storia millenaria da cui vogliamo continuamente farci allacciare. In questa Circolare (è proprio un bel nome, come ci disse Bruno Lauzi, perché dice anche delle cose, dei fatti, delle idee che circolano) si parla poi di una serie di locali, almeno cinque, che sono l’esempio di luoghi del futuro. Ebbene, tutti hanno come comun deno-
minatore una certa tradizione, affiancata da un rispetto per un certo modo di concepire il vino. Ma lo stesso percorso sta facendo la ristorazione italiana, quella cosiddetta media (spero che venga definita così solo per il prezzo, giacché la cucina è in molti casi alta), che oggi ha più coscienza di cosa significa creare un rapporto con il cliente. E le botteghe? Le nostre care botteghe italiane, destinatarie di quel manifesto lanciato a Golosaria? Be’, ai bottegai dico solo questo: sapete perché sono stato in quel paesino di 300 anime dell’Alsazia per incontrare Ferber? Perché ho intravisto la vostra stessa speranza che ora vi voglio raccontare: “Io resto qui – ha detto Christine – perché può essere che il viaggio venga da me”. Con questo auspicio, che il lavoro ben fatto da ciascuno di noi possa muovere i fili di una storia millenaria, vi auguro un buon inverno verso la primavera. Ci vediamo a Golosaria! P.S Grazie fin da ora a ciascuno di voi che si farà promotore di una Cena in ComPagnia.
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LA CENA IN COMPAGNIA FEBBRAIO - MARZO 2019
un'iniziativa semplice per imparare di più il gusto...della vita La foto è tratta dall’ultima convention dei delegati del Club di Papillon, a inizio anno, dove si è deciso di indire anche quest’anno le Cene in ComPagnia, coinvolgendo tutti gli amici che conosciamo. La Cena o il Pranzo in ComPagnia è un gesto semplice, giunto alla dodicesima edizione. Ora, la radice della parola “compagnia” è “cum panis”, ma in questo caso ha un significato ancora più profondo perché per noi significa partire dal gusto, che è l’aspetto che approfondiamo con la nostra attività, per condividere i bisogni del mondo, o almeno del mondo che ci è prossimo e che incontriamo, come il caso di Fides Marzi, una ragazza originaria del Burundi, che a 12 anni dovette lasciare la sua terra. Venne adottata da una maestra in Valtellina: una signora che allora aveva 70 anni. L’ha cresciuta, l’ha fatta studiare e laureare e in poco tempo Fides è diventata un punto di riferimento nel mondo zootecnico valtellinese. Dopo 20 anni è riuscita a tornare nella propria terra, con brevi viaggi per costruire un ponte fra la Valtellina e il Burundi. O meglio un progetto che ci ha presentato di microeconomia agricola, per combattere la malnutrizione endemica. E ci ha chiesto una cosa precisa, attraverso le nostre Cene in ComPagnia, ovvero di poter acquistare un numero significativo di vacche autoctone per avviare il suo progetto. Questo obiettivo, che perseguiremo insieme, proseguirà poi con il progetto di comunicazione dedicato alla Transumanza della Pace di Gianni Rigoni Stern. Quest’anno il nostro Paolo Massobrio è stato in Bosnia, dove ha verificato con mano come erano stati impiegati i soldi che avevamo raccolto. Lo step prossimo è
dunque il caseificio in quella zona, dove sono state costruite stalle ed è ripreso l’allevamento. Ma il contributo che vogliamo dare è la diffusione più ampia possibile del progetto e l’acquisto di un cospicuo numero di copie del libro che Gianni Rigoni Stern sta portando a termine, per far conoscere il suo progetto, sperando che altri possano raccogliere il testimone. Gianni è andato diverse volte a Srebrenica, destinando tempo e risorse a quella gente che lo ha commosso e a cui ha donato la sua professionalità di agronomo, ricostruendo, anno dopo anno, il sistema agropastorale andato distrutto dall’incuria, dopo l’eccidio del ‘95 che di fatto aveva decimato i capifamiglia. Alla fine dello scorso anno, a Biella, rivedendo il risultato di questa iniziativa, insieme a Gianni, ci siamo nuovamente commossi, proprio nel senso di volerci “muovere con” per portare a compimento almeno il progetto di un caseificio che possa dare maggiore valore aggiunto a quelle persone, i cui volti ci sono diventati famigliari. La Cena in ComPagnia di quest’anno si svolgerà dal 14 febbraio al 31 marzo. Sul sito ilgolosario.it pubblicheremo un video sintetico sugli obiettivi di quest’anno. Ci teniamo a puntualizzare il significato che ha per la nostra storia questo gesto che tradizionalmente svolgiamo a ridosso della primavera. Il primo aspetto è quello del MANGIARE INSIEME, ossia il gusto di accogliere l’altro, di invitarlo, con un cibo o un vino, a partecipare alla vita. Per questo la tavola deve essere apparecchiata con la TOVAGLIA e con L’ATTENZIONE A TUTTI I PARTICOLARI che portano dentro di sé qualcosa che ha a che fare con la bellezza. Ricordiamo ancora Brillat Savarin che scriveva: colui che riceve i suoi amici e non dà nessun tocco personale al pasto che ha preparato, non è degno di avere degli amici. SI GUSTA QUELLO CHE SI PREPARA: magari a casa propria, condividendo una ricetta tratta dal nostro libro per la famiglia ADESSO oppure una ricetta della tradizione locale e stagionale. Tra amici (in quattro, in dieci, in cento) CI SI DIVIDE I COMPITI: chi porta il vino, chi l’olio, chi la frutta, chi cucina o chi “riscalda”... Nello svolgersi della cena è apprezzabile che entrino CANTO, MUSICA, POESIA, insomma QUALCOSA DI BELLO che abbia a che fare col gusto. Tutto ciò che faremo andrà documentato in un’apposita scheda da compilare a cura del referente o capogruppo. TUTTI I PARTECIPANTI OFFRONO 20 EURO come se fossero stati in trattoria. La raccolta complessiva, che documenteremo sul sito, sarà destinata in egual parte ai due progetti. È dunque un gesto semplice, al quale è possibile invitare i nostri amici più cari, i colleghi di lavoro, i ragazzi coi loro amici, i vicini di casa: sarà un modo per raccontare cosa è e perché esiste Papillon.
COME ADERIRE ALL’INIZIATIVA PER ADERIRE ALLA CENA IN COMPAGNIA INVIA UNA MAIL A info@clubpapillon.it SCRIVENDO:
Desidero partecipare alla Cena in ComPagnia nei giorni di .................................... Saremo in............. (indicare numero partecipanti) Vi invieremo poi la scheda riassuntiva che, appena terminato il gesto, ci inoltrerete compilata e corredata da foto e video per documentare l’evento.
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In una nuova pizzeria gourmet a San Giovanni Lupatoto Riparto per Verona, pensando agli incontri piacentini: gli amici del pane san Pastore di Tortona, il grande Carlo Fiorani che non vedevo da tanto tempo e col quale ci siamo scambiati impressioni di assaggi. E poi tante persone davvero interessanti. A Verona faccio in tempo a prendere la camera dell’albergo e subito mi dirigo in auto verso San Giovanni Lupatoto per provare, per la seconda volta, la pizzeria contemporanea Donatelli 30 11 di Daniele Donatelli, che si è formato alla scuola di Vighizzolo d’Este. Di fianco c’è un nostro locale del cuore, I Caprini Botega & Cusina, che mi mostra i formaggi che ha acquistato a Golosaria a Milano, con sua grande soddisfazione. Ceniamo di fianco, dunque, in questo locale elegante, bellissimo, dove all’aperitivo c’è chi beve il Barolo Sperss di Angelo Gaja, oppure i cocktail che preparano dei giovani barman. Sarà una bella esperienza: uno dei luoghi dove tornerò sempre volentieri. Sta cambiando l’Italia. Di questo ne sono sempre più convinto, perché anche una location semplice come questa via di un borgo alle porte di Verona, è diventata un triangolo di qualità, dove uno attira l’altro. Di fronte alla pizzeria c’è la somma macelleria Carlo Alberto Menini e tutti fanno sinergie fra di loro. Trovarsi qui una domenica sera, in un locale affollato di gente felice che vive questa contemporaneità, è qualcosa di innovativo, che mi ricorda il Laboratorio Lanzani di Brescia e tanti altri luoghi che scoprirò più avanti. Tutti da conoscere.
il diario di viaggio
La Circolare, la prima dell’anno 2019, inizia dagli ultimi giorni di novembre, quando il ricordo di Golosaria Milano era ancora vivo, ma già si inizia a pensare all’edizione del 2019. Partiamo da qui.
25 novembre Con la FIVI il grande mercato del vino dei vignaioli indipendenti Una bella domenica di novembre, non tanto per il tempo che comincia ad adombrare di grigio le giornate corte d’autunno, quanto per l’appuntamento coi vini dei Vignaioli Indipendenti, che sono quelli che aderiscono alla FIVI. Questa storica manifestazione si tiene ogni anno a Piacenza e il pubblico è attirato dalla possibilità di acquistare direttamente il vino attraverso i carrelli (come al market). I Vignaioli Indipendenti sono una realtà dinamica, che cresce sempre di più, tant’è che mi soffermerò per varie ore a scoprire quei produttori che non conosco e che possono rappresentare per me una novità. Ma poi ci sono anche quelli che conosco, da Walter Massa a Giovanna Prandini, fino alla titolare dell’azienda La Morella, che a mio avviso produce il miglior Primitivo che io ricordi. Non ci eravamo mai incontrati, anche perché, con mio dispiacere, non ha mai preso in considerazione i nostri complimenti e riconoscimenti, compreso l’ultimo delle Cantine Memorabili. Ci salutiamo. Ci sono dei vini che senti tuoi in qualche modo. Il Primitivo della Morella mi ha stregato al primo assaggio, nel locale che allora conduceva Franco Ricatti a Bari, abbinato, forse impropriamente, a una magistrale tiella patate e cozze. Poi è diventato Top Hundred, nel 2011 e infine Cantina Memorabile nel 2018 a Golosaria. Un vino che ho consigliato non so quante volte agli amici, sfidandoli. E vincendo. Poche sere prima alla Rampina di San Giuliano Milanese l’ho trovato in carta e l’ho fatto assaggiare a mio figlio. Succede così: un vino lo senti tuo, anche se manca la corrispondenza con chi lo produce. Un po’ spiace, ma la sostanza non cambia: quando un vino è grande è oggettivo.
Daniele Donatelli nella sua pizzeria di San Giovanni Lupatoto
26 novembre Si apre Wine2Wine con presentazione di Vinitaly and the city Giornata di workshop oggi a Verona, dove si tiene l’edizione annuale di Wine2Wine, ovvero i convegni dedicati al mondo del vino: dal marketing all’internazionalizzazione; dalla comunicazione all’organizzazione aziendale. Una due giorni intensa, che non
Lisa Gilbee, titolare dell’azienda La Morella di Manduria
Un momento di Wine2Wine con Giovanni Mantovani di Veronafiere
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diario di viaggio
avrebbe spazio durante Vinitaly, dove l’attenzione è tutta dedicata al business to business. Ancor più oggi che Vinitaly può contare su un vero e proprio Fuorisalone, ovvero Vinitaly and the city, che premia la curiosità dei wine lovers. E così una delle sessioni è dedicata proprio alla presentazione di questa opportunità, che si sta pian piano configurando. La conclusione della due giorni è poi la proclamazione delle cantine che faranno parte di Opera Wine, l’iniziativa preview di Vinitaly organizzata in collaborazione con la rivista The Wine Spectator.
dove mi accoglie un’intera famiglia, per farmi assaggiare i piatti tipici di queste terre. E anche qui mi colpisce la selezione di vini, assolutamente competente, che mai mi sarei aspettato. Ne parlerò subito sul Golosario.it e sul nuovo numero di Papillon. A Carobbio degli Angeli, invece, è radunato il mondo della ristorazione lombarda, per un evento ormai tradizionale con la nostra guida ai ristoranti, il Gatti Massobrio. Siamo in un castello bellissimo, con gli amici delle strade dei vini e del Consorzio della Valcalepio, per un momento di riflessione sul turismo lombardo in chiave enogastronomica. Mi raggiunge Marco Gatti, e la platea è di professionisti di tutte le province lombarde che riempiono la sala. Il momento dell’assaggio sarà poi speciale, con il gorgonzola di Arrigoni di Pagazzano (BG), i salumi di Podere Montizzolo di Caravaggio (BG) e i vini del Consorzio Tutela Valcalepio. Questa voglia dei territori di raccontarsi e di fare squadra è per certi versi emozionante. Da un’inchiesta, che abbiamo svolto sui ristoranti della nostra guida, emerge che la nostra ristorazione è sempre più rivolta a un pubblico internazionale: il 97% degli operatori lombardi ha una clientela dove non mancano i turisti stranieri, anzi, nel 7% dei casi, prendono il sopravvento. I ristoranti si stanno attrezzando per offrire sempre più servizi: uno su quattro propone possibilità di noleggio bici, escursioni o visite in cantina accanto a convenzioni speciali con le realtà limitrofe nell’ottica di fare rete. Straordinaria l’attrattiva del vino: secondo l’82% degli operatori interpellati i turisti internazionali conoscono almeno 3 vini italiani e, nel 60% dei casi, chiedono la possibilità di poter visitare cantine e centri di produzione gastronomica nei paraggi. C’è da lavorare per il futuro. Ce lo diciamo a cena, col nostro delegato di Papillon della Bergamasca, Giorgio Lazzari, che siede con me e Marco ai tavoli del nuovo locale di Giampaolo Stefanetti, il Mille di Bergamo. Altra sosta radiosa del nostro privilegio.
27 novembre Cena fantastica a Rosolina e notte da sogno nella Tenuta Ca' Zen Da Verona, la destinazione del mio navigatore è per Rosolina: un paese che non conosco, sul Delta del Po. Ma prima mi fermerò in una villa fantastica, Tenuta Ca' Zen a Taglio di Po, un b&b molto bello, confortevole, dove al mattino sarò accolto da una colazione fantastica. Una villa che è un museo vivente, che in primavera deve essere uno spasso, soprattutto per il vasto parco intorno. Riesco a lavorare un’ora al computer, in quella stanza piena di ninnoli e ricordi, per poi mettermi in viaggio verso luoghi che non avevo mai battuto. E mi affascina il paesaggio di questa provincia di Rovigo, che va verso Adria, terra di pescatori, dove si allevano le ostriche rosa e le mitiche vongole della Sacca di Scardovari. Stasera sarò a cena da In Marinetta, ristorante sull’acqua, pazzesco e bellissimo, con due eleganti e romantici dehors. È la creatura di Isi Coppola, ex assessore regionale e oggi immersa in questa avventura che vede la consulenza di un grande come Alessio Bottin. Mi colpisce la selezione dei vini, con alcune chicche davvero rare, e poi la cucina di mare assolutamente innovativa. Questo luogo, total white, è un atto di amore al territorio, ma è anche un luogo da favola dove vorrei tornare con mia moglie. È stato aperto da poco ed è già un successo. Anche questo va annoverato fra gli esempi virtuosi capaci di cambiare il genius loci. Lo dico ai miei compagni di merende di quella sera: la sommelier Emanuela Pregnolato che ha selezionato due bollicine rare (il Caluso brut di Gnavi e il Vermentino brut di Quartomoro) e Giovanni Geremia che animano Deltagusto. Quando riparto per quelle strade isolate e silenziose, penso fra me che sono stato dentro a una favola.
Giorgio Lazzari al Mille di Bergamo mentre assaggia le acciughe del Cantabrico servite con burro d’Isigny
Qui di seguito un mio articolo uscito su Avvenire che riprende i lavori di Wine2Wine a Verona. E come vedrete in seguito, farà discutere parecchio.
Alessio Bottin, con la sua squadra in cucina
Troppi campanili fanno ombra al vino. E il “made in Italy” non brinda «Uno per tutti, tutti per nessuno». È il titolo provocatorio che hanno scelto quelli di VeronaFiere per commentare i dati non proprio entusiasmanti sull'export dei vini italiani elaborati da Nomisma Wine Monitor, che è l'osservatorio di Vinitaly. In pratica il timido
28 novembre La ristorazione lombarda a Carobbio degli Angeli e cena al Mille Da Rosolina a Carobbio degli Angeli, passando per una trattoria verace, quasi alle porte di Rovigo, la Trattoria al Ponte di Lusia, la Circolare
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segno positivo dell'export 2018 (un +3,8%) sarebbe trascinato dai vini frizzanti, col colosso del Prosecco, mentre stagnano i vini fermi. E l'ICE (Istituto per il commercio estero) dov'è? Il direttore generale di VeronaFiere, Giovanni Mantovani, ha puntato subito il dito sul problema: «Serve un'armonizzazione delle politiche di promozione all'estero, un salto di qualità come negli anni Ottanta dove erano forti le bandiere di aggregazione del made in Italy». Ad ascoltarlo c'era il ministro per le Politiche agricole Gian Marco Centinaio, ma anche i presidenti delle principali rappresentanze del vino. E il moderatore del talk show Del Debbio ha sottolineato che, secondo lui, dopo aver assistito a un anno di chiacchiere non è cambiato nulla. Se avessi potuto alzare la mano, avrei raccontato che scrivo di vino da 33 anni e il tormentone che mi ha accompagnato, anche ieri a Verona, è sempre lo stesso: «Andiamo all'estero in maniera confusa, promuovendo pezzetti dell'Italia, ma non l'Italia». Già, allora provo a rifare la domanda: l'ICE dov'è? O meglio, questo istituto non si è mai posto il problema che in una fiera all'estero ci sono le Camere di Commercio, le Regioni, i Consorzi, e chi più ne ha più ne metta, penalizzando la sintesi? Questo appello sorge dopo due giorni di intensi workshop che Vinitaly da vari anni concentra a fine anno, per riflettere sul mestiere del vino che è anche marketing, comunicazione, capacità di acquisire dati e di leggerli. Questo lavoro prezioso lo fa una Fiera da tempo uscita dai propri padiglioni per portare nel mondo i produttori e per conoscere i mercati. Nelle scorse settimane a Shanghai, durante un'altra esposizione importante, la miglior rappresentazione del nostro artigianato alimentare è stata per iniziativa di Artimondo, che è un'emanazione dell'Artigiano in Fiera, pronto il prossimo sabato ad aprire i battenti a Milano coi suoi 3.000 espositori di tutto il mondo. Dunque una fiera che si è modificata prolungando l'occasione di promozione e di vendita attraverso l'e-commerce. A proprio rischio, evidentemente, mentre nei convegni si parla, si ripete il solito ritornello. Basta! Le istituzioni non potranno mai rappresentare il made in Italy, ma solo essere funzionali agli scatti intelligenti che arrivano dalle aggregazioni di impresa, fiere comprese. Si chiama sussidiarietà questo atteggiamento. O più semplicemente rispetto. (Avvenire 28 novembre)
bravura. In particolare Tojo, un’azienda di Santo Stefano Belbo, che mi fa assaggiare dei vini davvero interessanti e inaspettati, come il suo Moscato secco, che non pensavo fosse così fragrante. Il buffet nelle cantine del Relais è sontuoso, a cominciare dal risotto con il tartufo. Andrea Alciati mi porta in cucina per farmi vedere il suo bottino di tartufi, uno più bello dell’altro. Gli sorridono gli occhi così come faceva suo padre Guido in questa stagione. Quanti ricordi, quante cene da Guido a Costigliole, con la moglie Lidia in cucina che eseguiva alla perfezione i piatti della cucina piemontese. Nel 2005, quando Rizzoli mi chiese di scrivere un libro, mi ritirai qui, verso i primi di dicembre, per una settimana, a scrivere a qualsiasi ora del giorno e della notte le pagine della mia storia. E ricordo che Andrea e Lidia mi portavano in camera le bottiglie che volevo e poi quei piatti fantastici. Fu un’esperienza di amicizia che ricorderò per tutta la vita. Mi hanno aiutato a tirar fuori l’anima, per uno dei libri che ricordo con particolare partecipazione: Il Tempo del Vino. Due anni dopo La Stampa lo volle editare allegato al quotidiano. E lo ritenni un omaggio a Lidia. 30 novembre Golosaria Monferrato presenta “I Cammini del vino” Iniziano le riunioni per organizzare Golosaria Monferrato, la 13^ edizione che andrà in scena dal 30 al 31 marzo col tema “I Cammini del Vino”. E iniziano i tour per i paesi, gli incontri coi sindaci e con chi sostiene la nostra iniziativa. È il momento creativo della manifestazione, a un mese da Golosaria Milano. Golosaria Monferrato rappresenta il bell’inizio d’anno, quando ci immaginiamo la primavera fra le colline che più amiamo. Lo sforzo ogni anno è quello di far fare squadra a tutte le leve che possono far parlare di questo territorio. Un’impresa appassionante e divertente. Scrive Gaja: “Tu che volevi la tassa sul cabernet” Arriva una lettera di Angelo Gaja, com’è sua consuetudine quando trova interessante approfondire alcuni aspetti che riguardano il mondo del vino. E lo spunto glielo offre quel mio articolo apparso su Avvenire, riportato poc’anzi, dove lamentavo un certo trombonismo. Che è un fenomeno insopportabile: gli stessi concetti, ripetuti per anni a tutti i convegni. Il suono del trombone è infatti monocorde e quello che ritorna durante i convegni sul vino solitamente è: “Dobbiamo fare squadra... perché all’estero l’Italia è sempre rappresentata da troppe realtà. Bla bla bla”. Ora, Angelo Gaja, che è una persona attenta e anche lui combatte i luoghi comuni, ha dato una sua interpretazione, citando un mio vecchio articolo dove scrissi una provocazione: tassare il cabernet in Italia. Ma se avete tempo e voglia, leggete il nostro dialogo a due. E magari fateci sapere la vostra.
29 novembre L’Asti e il Moscato si celebrano a Santo Stefano Belbo Giornata speciale oggi a Santo Stefano Belbo, nei locali di questo ex convento che è diventato un relais di charme: la Locanda San Maurizio condotta dal bravo Andrea Alciati. Il mondo dell’Asti e della Barbera ha promosso tre giorni di incontri con buyer e giornalisti, per presentare alcune aziende. Saranno una ventina, ognuna col proprio tavolino. Ci sono nomi storici, ma anche giovani che incontro per la prima volta e Francesco Bocchino, dell’azienda Tojo che mi colpiscono per la loro la Circolare
Caro Paolo, un commento al tuo articolo su Avvenire del 28 novembre sul rallentamento del nostro Export negli USA. È causato dalla “riscossa” dei produttori del nuovo mondo (extraeuropei). Paesi che sull’esempio della California avevano puntato tutto su alcune varietà francesi, specie Cabernet e Merlot. Dapprima per costruire la domanda interna in loro favore, cercare di soddisfarla e poi esportare anch’essi contribuendo a costruire nel consumatore dei paesi extraeuropei un'assuefazione al gusto dei vini derivanti dalle varietà “francesi”. Negli ultimi anni è successo che consumatori affezionati di quei vini abbiano cercato anche di verificarne la qualità all’origine (Bordeaux), favorendo così la
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Francia, facendole da traino. In minore misura è avvenuto anche per Chardonnay, Sauvignon Blanc, Pinot Nero. Di qui il successo dell’export francese. Sulla presenza del Cabernet in Italia ricordo che tu avevi invocato una tassa comunale: ovviamente era una battuta scherzosa, ma non erano mancati quelli che la prendevano per buona e alimentavano avversità alle varietà internazionali. Mentre invece l’Italia ha grande vocazione a giocare sui due tavoli: quello delle varietà indigene, a 360°, e quello delle varietà internazionali, a condizione di esprimersi solamente ad alti livelli tralasciando di produrre vini di qualità standard. Il successo degli internazionali italiani è lampante: Sassicaia su tutti, Ornellaia, Masseto, Merlot di Ama, Solaia, Didacus, Il Roccolo… Vini la cui qualità il consumatore estero riesce immediatamente ad apprezzare per averli già assaggiati nella versione francese. Essi costituiscono così delle mosche cocchiere che invogliano i consumatori esteri a scoprire anche i vini italiani dalle varietà indigene. Questa è sicuramente una strategia vincente!
quali va riconosciuto grande merito per quanto hanno saputo fare in favore dell’agro-alimentare italiano) ma anche e particolarmente nelle cucine etniche, dei singoli Paesi. Fortunatamente negli ultimi dieci anni ha preso avvio presso le cantine italiane di grande scala l’apertura all’estero di filiali, capaci di operare direttamente importazione e distribuzione dei loro vini, e magari anche di quelli prodotti da altre cantine italiane. In questo settore occorrono maggiori investimenti. La ricetta per il futuro del vino italiano? Non ce l’ha nessuno. Sembra a me che vada augurato ai produttori di continuare a lavorare duro; accettare che gli altri Paesi vogliano anch’essi mangiare una fetta di quella torta che, negli USA ad esempio, ritenevano preparata principalmente per noi; esplorare attivamente i mercati nuovi; liberare gli artigiani di dimensione medio-piccola dall’oppressione di una burocrazia soffocante, assurda, per dare sfogo ad una creatività/genialità/inventiva da parte di un patrimonio umano dedicato al vino che nessun Paese ha così ricco come l’Italia; imparare ad utilizzare il digitale; preservare i luoghi sacri del vino, pochi in verità e fragili, non disperderne l’identità tenendoli al riparo dall’assalto dei turisti per caso: non vado oltre perché ripeterei concetti espressi più volte. Manco di fantasia.
“Andiamo all’estero in maniera confusa, promuovendo pezzetti dell’Italia, ma non l’Italia. L’ICE dov’è?" Sempre a invocare l’ICE che istituzionalmente ha il compito di tutelare-promuovere l’intera PRODUZIONE italiana! Dotato di scarsi mezzi economici, che non ha neppure il dovere di possedere competenze specifiche per la promozione all’estero del vino italiano. Escludendo alcuni Paesi, come gli Stati Uniti che godono della presenza di un direttore capace come Forte, è meglio non affidare all’ICE il compito di promuovere il vino italiano. Ne consegue che da noi a condurla siano CCIAA, Regioni, Consorzi… come spesso più o meno efficacemente avviene per Francia, Spagna, Argentina, Cile, USA, Nuova Zelanda, Israele…
Con amicizia, Angelo La replica di Paolo Massobrio ad Angelo Gaja Caro Angelo, ti ringrazio per la preferenza che mi riservi, avendo preso del tempo per rispondere a un articolo di due giorni fa, che riprendeva i lavori di Wine2Wine a Verona. Prendo atto della tua analisi sui vitigni internazionali, che fa parte di un dibattito che dura almeno da 30 anni. Allora sarebbe stato scellerato appiattire tutto su questa tendenza e ricordo un convegno a Trieste dove io e Gino Veronelli venivamo contraddetti da Luigi Folonari che sposava già allora la medesima strada che dici tu. Il mercato ha poi fatto, fortunatamente, altre scelte, salvando l’unicità della nostra vitienologia e provando a conquistare i mercati anche con vini come il Pecorino o il Magliocco. Detto questo la tua riflessione diventa importante e mi mette in crisi, perché se c’è una cosa che ho sempre rifiutato sono le ideologie, soprattutto quando si tratta di economia. Due anni fa assaggiai i vini di un giovane piccolissimo produttore astigiano, Poderi Girola di Calliano, che esprimeva di nuovo la coerenza del Grignolino di quelle terre. Ma il vino straordinario della sua partita era tuttavia il cabernet da vigne vecchie che aveva impiantato già il nonno. E questo mi ha fatto riflettere, immaginando che i nostri terroir hanno davvero una variegata espressione. E come dici tu, tutto può convivere e chi l’ha dura la vince.
Si faccia avanti chi è capace di progettare una strategia unitaria, di Paese Italia, capace di valorizzare il vino italiano, espressione di oltre 530 DOP-IGP, spumanti, vini da tavola… Chi potrebbe essere autorizzato a farlo sui mercati esteri è Vinitaly. Spetta a loro, più di ogni altro, formulare idee e progetti da sottoporre a produttori e Consorzi, in grado di accoglierli. Senza stare a lamentarsi del fatto che le aziende leader non ritengano strategicamente utile partecipare alle loro iniziative: così come in Francia DRC, i premiers Crus Bordolesi, Dom Perignon, Nicolas Joly… non sono MAI a fare gruppo, perché il loro contributo lo danno già, e forte, operando individualmente. Mancano purtroppo idee, progetti smart, capaci di fare spendere con maggiore profitto il denaro pubblico che piove sulla promozione del vino italiano. Poi occorre aiutare a crescere le cantine Cooperative, che controllano più del 60% del vino italiano, anche troppo! Con nuove iniezioni di denaro pubblico? Sarebbe da scellerati. Vanno aiutate a comprendere che produrre private labels non aiuta ad affermare il marchio. Che anch’esse possono produrre Premium Wines, a condizione di affiancare ai mega-enopoli con catene da 20.000 bottiglie ora, delle cantine più piccole, di tipologia e vocazione artigianale, sul modello dei Produttori del Barbaresco. Se ce l’hanno fatta loro a distinguersi e guadagnare allori, perché non potrebbero farlo altri della cooperazione?
La mia provocazione sulla tassa del cabernet invece (che non ricordavo più, in verità, e qui succede che io diventi vecchio, mentre tu resti sempre sul pezzo) ebbe origine da una certa ubriacatura, sempre oltre 20 anni fa, per cui (secondo il ragionamento sui gusti francesi che riproponi), sembrava che il sapore del cabernet fosse addirittura migliorativo dei nostri vini (legalmente o illegalmente). A quei tempi Daniele Cernilli, che adoro per le sue immagini folgoranti, parlava di “terroir viaggianti” mentre io che scrivevo sull’Espresso, avevo inventato un tormentone, per cui in
Ancora: all’estero viene riconosciuto all’Italia il primato nella produzione di food-wines. Ne consegue che le cantine italiane debbono operare maggiormente per introdurre i vini italiani non solamente nei ristoranti di cucina italiana che sono all’estero (ai la Circolare
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qualunque articolo scrivessi mettevo una domanda “Quanto cabernet c’è in Italia?”. Nessuno mai rispose, salvo ricevere dal direttore la richiesta di intervistare un famoso produttore del centro Italia, che probabilmente era rimasto colpito dalle mie provocazioni. Lo feci, ponendogli la domanda tormentone e altre di questo genere. Uscì l’intervista, ma perfettamente edulcorata da domande e risposte su questi temi considerati sconvenienti. Funziona così il Potere, con la beffa della pierre della medesima azienda che mi telefonò dicendo: “Complimenti dottor Massobrio, abbiamo dato il testo della sua intervista a tutta la nostra forza vendita”. Questo per dire che nel nome del cabernet e dei vitigni internazionali c’è stato anche un periodo buio, nel senso di bugie. Da questo punto di vista la legge sui nostri vini doc è stata un argine che ha costretto l’Italia a scommettere sulla sua biodiversità, volenti o nolenti. C’è stato un momento dove sembrava che vincessimo mentre a Bordeaux qualche problema c’era; altri momenti dove il trend è mutato, ma credo che si ponga un problema di strategia, anche di comunicazione. Ma chi la fa? E veniamo a Vinitaly. Che questa sia la realtà che aggrega il mondo del vino italiano è piuttosto evidente. Lo dissi quando si pose il problema di rappresentare il vino italiano all’Expo 2015, e così avvenne, nonostante alcune fughe in avanti di aziende blasonate, che avevano pretese di rappresentanza, salvo evitare di mettere mano al portafoglio che non fosse quello del ministero. Ora, la scelta di partecipare o meno a una fiera rimane nell’alveo della proprie strategie (e ci mancherebbe); curioso resta vedere i banchetti di alcuni produttori nella sala colazioni dell’albergo dietro la fiera, che non vanno a Vinitaly, ma lo sfruttano. Vabbè. Ancor più curioso è vedere gli elogi a Vinitaly, ma poi leggere sui giornali che il sogno sarebbe fare la fiera altrove. E qui credo che ci dobbiamo capire. Io ho sempre cercato di smentire il detto sui piemontesi cortesi. Ma se a fronte della firma del presidente dell’Unione Italiana Vini, che è un piemontese, di una non so cosa che avviene a Milano sotto il nome di TuttoWine, il sito Cronache di Gusto titola “Si avvera il sogno di Gaja”, rimango confuso. Ancor più quando anche il presidente dell’Unione Italiana Vini, sollecitato tre giorni fa da Del Debbio a Verona, ribadisce che Vinitaly è l’unica realtà capace di … tutto il meglio che possiamo immaginare. Delle due l’una: o si crede che inflazionando le fiere si ottenga un vantaggio maggiore (ma io ho dei dubbi), oppure si crede che Vinitaly vada sostenuto in tutta la sua complessità, che comprende l’esposizione a Verona e anche le iniziative all’estero tanto apprezzate, così come i workshop dei giorni scorsi. Ma in Italia il vero grande rappresentante di tutti noi, lo sappiamo, è Tafazzi, che smonta il suo giocattolo più prezioso (i testicoli appunto), per il piacere di fare qualcosa di diverso. Infine una nota sul mondo cooperativo. Altra diatriba italiana, che non si è mai consumata con un muro contro muro, forse perché i rapporti commerciali fra aziende ed enopoli sono una realtà sotto gli occhi di tutti. E il sistema sta in piedi, all’italiana naturalmente, tutto giocata sul “si dice, non si dice” “si fa non si fa”. Nel mentre ti assicuro, ancor più dopo aver partecipato a ViVite qualche settimana fa, che gli esempi della Cantina del Barbaresco si sono moltiplicati. E come dici tu, questa è la strada. Termino qui, perché anch’io non voglio ripetermi. Con amicizia Paolo la Circolare
È prezioso e davvero originale il rapporto con Angelo Gaja e di questo sono davvero fiero. È una persona attenta, che partecipa sempre. Dopo la pubblicazione on line del nostro dibattito, ha mandato una mail di ringraziamento. Che significa: ci interessa portare chiarezza, più che restare arroccati su opinioni personali. Ed è Angelo Gaja sempre la realtà che può far mutare le opinioni. Ma la cosa peggiore è chi le opinioni non le esprime affatto. 1° dicembre A Nizza va in scena la Barbera Giornata dedicata alla Barbera, in questo caso la Barbera d’Asti di scena a Nizza, con una maxi degustazione riservata ai giornalisti stranieri e italiani. Mi accomodo dunque al mio posto, nella sala ricavata da quello che era il foro boario e assaggio con particolare partecipazione tutti i campioni. E, anche qui, riemerge una vecchia polemica, decisamente datata, sul valore della barrique o meno per la Barbera. Vincono i prodotti in botte grande! Ma poi vengo smentito dal campione di Vinchio che mi piacerà di più. E allora cosa significa? Che la tecnica va al terzo posto: davanti ci stanno il territorio e il genio del produttore. Qui di seguito le mie riflessioni scritte a caldo La Barbera Bricco San Giorgio di Da- dopo la degustazione su ilvide Laiolo golosario.it
Un momento della degustazione Barbera Revolution
Barbera e barrique, fu la strada giusta? L’hanno chiamata “Barbera revolution” la giornata di lavoro di sabato a Nizza Monferrato con i giornalisti provenienti da tutto il mondo. E anch’io come tanti colleghi mi sono approcciato con curiosità ad assaggiare i 19 campioni selezionati dal Consorzio con un criterio di rappresentanza territoriale.
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Quindi si può dire che non contano le etichette, ma l’insieme, che può dare il polso di dove vada la produzione di Barbera in questo momento, dopo 30 anni dove s’è vista l’affermazione di questo vino sui mercati di tutto il mondo. Questa fu una vera e propria rivoluzione, perché pochi credevano che il vino popolare del Piemonte, quello maggiormente prodotto, potesse diventare un rosso di grande interesse. Ma così è stato. La Barbera ha una straordinaria versatilità, è un vino rosso di caratura internazionale proprio per la sua eleganza, sostenuta da una connaturale acidità. Ora, se negli anni Ottanta (verso la fine), il concetto di “internazionalità” della Barbera fu giocato con l’adozione della piccola botte, a leggere i risultati di questa degustazione verrebbe da dire che non è sempre così. E come non ricordare quel convegno a Quattordio del febbraio del 1986 dal titolo “barrique sì, barrique no”, che oggi risulterebbe anacronistico, visto che la tecnica si è affinata e l’uso della piccola botte è diventato qualcosa di consapevole, contro l’improvvisazione dei primi anni. Già, ma è proprio questo il punto. Se oggi la barrique la si sa usare, perché sono risultati molto interessanti, in questa degustazione collettiva, i vini affinati in botte grande o addirittura nature? Per capirci, merita assaggiare il campione fruttato dell’Azienda Ricossa, campione coerente con le note di amarena e di mandorla. Mi ha poi colpito, e non è la prima volta, la Barbera d’Asti Anni Domini 2016 di Terre Astesane, che invece mi ha dato, della Barbera, l’eleganza, accompagnata da un’acidità diffusa. Michele Chiarlo, storico produttore che ha scommesso fin dagli inizi sulla versatilità della Barbera, si è presentato con le Orme 2016, che mi ha ricordato le Barbera di Mario Pesce (Scarpa), che trent’anni fa, in controtendenza, puntava sulla Barbera che si domava con la pazienza degli anni e senza legni. L’acidità è diffusa, ma mentre l'assaggi senti le espressioni sapide di questi terreni. Chiarlo avrebbe potuto giocare la carta di altre Barbera, ma ha scelto questa per raccontarsi a un pubblico internazionale. Curioso no? La Barbera d’Asti Camp du Rouss di Coppo è una gloria, che si sublima col Pomorosso. Ma in quell’insieme di assaggi si notavano le note di frutta sottospirito e una leggera tostatura. Che apre un capitolo vecchio e sempre attuale: la barrique snatura l’anima della Barbera? Grande la Barbera comme il faut della Cantina Sociale di Vinchio e Vaglio “Vigne Vecchie 50”: la Barbera come t’aspetti. Il rispetto della natura della Barbera l’ho ritrovata anche nel campione di Paolo Berta: un fruttato pulito e un’acidità presente. E qui l’affinamento è per sei mesi in botte grande e sei in barrique. Solo in botte grande è invece il campione di Bersano, la Barbera d’Asti superiore “Cremosina”. Dove le note avvolgenti di frutta si accompagnano a un sorso fresco con una gradevole trama di tannini. Siamo alla Barbera che diventa grande. E grande è anche il contenitore della botte, che a questo punto convince. È dunque la botte grande il contenitore ideale della Barbera? A sentire la piacevolezza di questa Barbera verrebbe da dire di sì! Oppure è la via di mezzo (botte grande e piccola) come raccontano i Marenco di Strevi con la convincente Barbera d’Asti Superiore "Ciresa" 2016, che porta il rosso a livelli di finezza. La Barbera d’Asti superiore “Epico” 2016 di Pico Maccario aveva stoffa, ma in fondo sentivi una nota di vaniglia, che è il regalo della barrique, utilizzata per 12/14 mesi. E fino a qui sembrava che il discorso filasse via liscio. Poi arriva secca una smentita: la miglior Barbera della giornata è quella della Tenuta Bricco San Giorgio il “Rossola Circolare
Mora” superiore 2016. Si nota una perfetta compenetrazione fra i tannini del legno della barrique e la natura della Barbera, tanto da ricordare quando Veronelli parlava di “elevazione” in carati. Che risultato avrebbe ottenuto il giovane Davide Laiolo di Vinchio con la botte grande o addirittura con l’anfora? Non lo sappiamo, certo della barrique ne ha fatto un buon uso. Ed è l’ultimo arrivato, che a questo punto riporta la nostra discussione al via, con una nota non secondaria sul suo modo di lavorare, che forse ha a che fare con la “Revolution”: le macerazioni lunghe. Ha forza e carattere la Barbera superiore la Rocchetta di Olim Bauda, affinata in botte grande per 18 mesi. E qui avverti il piacere delle note terrose e minerali, quei sentori “caldi” della Barbera della memoria. Ma Franco Roero di Montegrosso ci spiazza di nuovo: 18 mesi di affinamento in barrique per la sua Barbera d’Asti superiore “Sichei” 2016. E qui senti la frutta rossa, la mandorla e la piacevole trama dell’acidità. Affinata in barrique è anche la Barbera superiore de Il Falchetto, il “Bricco Paradiso”, e mi è piaciuta parecchio, soprattutto per l’equilibrio finale che ha ottenuto. Stesso dicasi per la Barbera d’Asti Superiore “Passum” della Cascina Castlet. Che dire? Dico questo. Alla fine chi ha parlato ed ha preso la scena non è stata una tecnica di produzione piuttosto che un’altra, ma proprio i cru della Barbera, le colline stesse dei vari paesi, i cui frutti vendemmiati possono solo essere “accompagnati”. La Barbera d’Asti superiore è una materia dirompente, che ha un suo perché comunque la si lavori. La Barbera d’Asti che si presentava senza affinamenti in legno convinceva. Mancava la ventesima Barbera, che in verità ho assaggiato da solo il 20 novembre al ristorante Bardon. La produce un giovane di Mombaruzzo ed è biologica e affinata in anfora. Mi ha sconvolto per la piacevolezza fruttata, la forza, la purezza. È questa la rivoluzione della Barbera? No. Non è mai l’assolutizzazione di una tecnica, perché la materia è terroir, che significa clima, ambiente, uomo che interagisce e legge materia e tempo e lo fa sempre in maniera nuova. Bravi allora quelli del Consorzio che hanno messo insieme blasoni e ultimi arrivati, perché la rivoluzione sta proprio nel confronto che diventa consapevolezza. E può farlo solo quando chi sa di avere grandi terreni e grandi uve, esattamente quelle delle migliori esposizioni, che vengono regalate, nel Monferrato, alla barbera. La tecnica? Lasciamo fare ai cuochi il loro mestiere in cucina e ai vinnaioli quello in vigna e in cantina. È come se qualcuno volesse tirare le conclusioni di questa degustazione (e la tentazione c’era) dicendo che una donna bella e formosa sta bene col vestito rosso e non con quello blu. Anche se qualcuno, in cuor suo sa che la donna nuda è spettacolare. È la Barbera bellezza! 2 dicembre Viaggio nel Chianti Un weekend vinoso anche questo, con una sosta il sabato sera a Bologna, nei locali di Fico, per provare la deliziosa cucina di Guido, ristorante coronato di Rimini. Ne approfittiamo per una cena di lavoro con il nostro architetto dedicato agli eventi, prima di dirigerci alla Tenuta dei Cavalieri di Molino del Piano per la notte. La mattina dopo saremo al Castello del Trebbio, per un incontro speciale con Stefano Casadei che qui ha creato un villaggio che presto diventerà pure un centro di formazione. A pranzo mangiamo con grande soddisfazione nel ristorante La Sosta del Gusto, assaggiando i vini in anfora, ma anche i suoi Chianti davvero speciali. E a sorpresa mi apre una bottiglia del 2003, che è l’anno in cui fondammo qui il Club Papillon di Firenze.
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Sono passati 15 anni e il vino è migliorato. Era perfetta quella bottiglia e non me lo sarei aspettato. Sono stato felice di aver ritrovato Stefano, quasi per caso due anni fa, e oggi d’essere stato, con suo figlio Lorenzo, qui, in questo luogo ameno, bellissimo, selvaggio, dove regna il gusto di una bella famiglia che sta dicendo qualcosa di importante al mondo del vino. E prometto che non passeranno più tutti quei lustri.
Il giorno dopo sono invece a moderare un convegno nei locali della Camera di Commercio, organizzato da Coldiretti, sul tema delle agromafie. Con me il presidente di Coldiretti Giorgio Polegato, che è anche titolare della cantina Astoria e il presidente della Camera di Commercio di Treviso, oltre a vari relatori (il prof. Marcello Fracanzani, del comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità in agricoltura e sull’agroalimentare e giudice corte di Cassazione, Lorenzo Biagi, filosofo direttore del Dipartimento di Pedagogia dello IUSVE, Gianluca Fregolent della Direzione Agroambiente Regione Veneto, l’avvocato Andrea De Checchi, vice sindaco di Treviso) tutti bravi nel dipanare un dialogo su quella che sta diventando un’emergenza. 4 dicembre A Milano coi ristoranti del Buon Ricordo Riparto all’ora di pranzo, dopo una sosta felice alla gastronomia Albertini dove puoi assaggiare i piatti che ogni giorno mettono in vendita. Il viaggio da Treviso, tranquillo, mi porterà a Milano, in via Mecenate, dove sono radunati i ristoratori del Buon Ricordo, sotto la presidenza di Cesare Carbone del ristorante Manuelina di Recco e la segreteria di Luciano Spigaroli, del Cavallino Bianco di Polesine Parmense. Tanti amici, fra giornalisti e cuochi: Antonio Santini, Paolo Teverini e la moglie, manca solo Giovanna Guidetti della Fefa di Finale Emilia che ha avuto un incidente domestico e tutti la salutano con affetto. Si assaggiano i piatti di 9 soci, uno più buono dell’altro, accompagnati dal Franciacorta di vari produttori. «Bella la vita», mi vien da pensare mentre con l’auto raggiungo anche stasera Alessandria. Quante sorprese in questo inizio mese di dicembre. Una è sicuramente lo spirito di appartenenza dei membri di questa associazione che si sta rinnovando nel nome del viaggio. Non so quanti di questi abbiano la stella Michelin, certo so che molti hanno la corona, perché qui risiede il polmone della ristorazione italiana, ovvero i luoghi dove la gente incontra il gusto, con la G maiuscola.
Con Stefano Casadei alla Sosta del Gusto
La tenuta del Castello del Trebbio
3 dicembre Si parte per Treviso a parlare di Agromafie Non è stato facile tornare a casa dopo gli assaggi dei vini del Castello del Trebbio. Però mia moglie mi ha aiutato ad affrontare la prima parte del viaggio e così la mente è ritornata lucida. E oggi sono di nuovo in partenza per Treviso: pernottamento e cena fantastica alle Beccherie, dove è stato codificato il tiramisù. Una coppia di giovani davvero bravi, che riceveranno subito la corona radiosa.
Vincenzo Marconi del ristorante La Fornace di San Vittore Olona presenta il suo piatto del Buon Ricordo a base di reale di manzo “cbt” laccato con spuma di patate al Montebore
Manuel Gobbo e Beatrice Simonetti conducono Le Beccherie di Treviso
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6 dicembre Muore Gianni Frasi Una telefonata a sorpresa di Marco Gatti mi informa che è mancato all’improvviso Gianni Frasi, il titolare del Giamaica Caffè di Verona, di cui proprio una settimana prima mi aveva parlato Walter Massa a Verona. Ho scritto immediatamente un ricordo, che ha dentro la nostalgia e l’assenza di un incontro che ho sempre rimandato.
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Gianni Frasi l'uomo libero del caffè Non c’è più Gianni Frasi, stroncato da un infarto nella sua Verona, il 6 di dicembre. Non c’è più quel personaggio particolare, che aveva spinto ai massimi livelli la selezione del caffè e poi quella dei pepi. Non c’è più il suono del blues che lui amava essendo un uomo libero, senza neanche il cellulare o internet, perché il rapporto umano era tutto. Io lo conobbi tanti anni fa e quando decisi di fare il passo di un grande evento pubblico per presentare Il Golosario, nell’inverno del 2000 alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, lui venne con i suoi caffè, facendomi un regalo grandissimo. Non credo abbia mai partecipato a una fiera con altri produttori, ma quella volta venne, con pazienza, nonostante la ressa di persone che forse non capivano fino in fondo il valore che lui stava comunicando. Lui mi voleva nella sua bottega, al Caffè Giamaica, chiedendo di dimenticare il tempo, perché erano tante le cose da dirci. E più passava il tempo più le cose si accumulavano. E io non riuscivo mai a trovare il tempo (quanto? una giornata bastava?). Sta di fatto che non ci siamo più incontrati, perché era abituato a dettare lui le regole del gioco. Lo faceva con i suoi fornitori, che dovevano passare un vero e proprio esame per avere il suo caffè, che poi diventava un segno distintivo. Imponeva lui le macchine adatte, perché il suo caffè non si adattava “alla qualsiasi”. E il caffè era veramente buono. Nei fornitori cercava il medesimo rapporto umano che voleva con tutti: gli dedicava tempo, cercava di capire se avevano impostato un percorso di qualità. E la sua scelta di diventare fornitore era come una guida. Mi ha colpito vedere il caffè di Gianni Frasi, presentato con il fogliettino esplicativo, nelle pizzerie contemporanee, che lui ha assecondato plaudendo alla loro stessa affermazione. Un giorno mi fermai in un bar alle porte di Colorno, Del Bello Carico, gestito da un personaggio originale, con una selezione di vino particolare. Quando chiesi il caffè mi diede quello di Frasi. E lì capii che quel posto andava guardato sotto una luce diversa. Era così Gianni Frasi, aveva creato un mondo attorno a sé e se guardava con sospetto i ricchi imprenditori, si innamorava dei personaggi più originali. Una settimana fa a Verona, Walter Massa, il produttore di Timorasso, era arrivato di corsa per tenere una conferenza nel pomeriggio a Wine2Wine: “Ho fatto appena in tempo, ero da Gianni Frasi”. "E come è andata?" “Benissimo, anche se si è incazzato perché non lo avevo avvisato, ma siamo stati insieme due ore e lui mi ha parlato dell’intenzione di chiudere la lista dei clienti: sold out”. Dopo una decina di giorni è arrivata la notizia della sua dipartita. E mi sono sentito perso: “Ma dovevamo vederci!”.
Gianni Frasi
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Ero stato il primo al quale aveva annunciato la sua avventura nel mondo del pepe. Quante cose mi avrebbe raccontato. Ma la vita non fa sconti. Quando è l’ora di partire, il biglietto non ha ritorno. Ciao Gianni: grande uomo che hai reso ancora più grande un’intuizione italiana, quella del caffè. 7 dicembre La cassoeula di Peppino Da Torino, dove mi trovo eccomi in viaggio per Milano, oggi che è la festa di sant’Ambrogio. Milano sta vivendo l’Artigiano in Fiera, la grande manifestazione dedicata all’artigianato, anche alimentare, che ogni anno ha sempre maggiori motivi di attrazione. Ma la sosta a Milano la debbo a un rito, che è la cassoeula a casa di Peppino, un amico del quartiere Certosa di Garegnano. Lui la cucina sempre in maniera fantastica. Doppia razione per me, con la Bonarda e il Barbacarlo di Maga Lino. Ma che inverno sarebbe senza una cassoeula! Mi è piaciuta non solo la cassoeula, ma l’idea di Daniela e Peppino di fare una pentola grande per distribuirla agli amici: quelli che c’erano e quelli che non potevano esserci. Certi piatti, come la bagna caoda o la brovada, sono il simbolo dell’amicizia.
L’ottima cassoeula di Peppino abbinata al Barbacarlo di Lino Maga
8 dicembre Al mercatino di Merano e a poi a cena da un elfo Si parte al mattino alla volta di Merano, per andare a vedere i famosi mercatini di Natale. L’invito è arrivato da Roberto Vivarelli, nostro compagno di studi all’Università, giornalista e anche motore di un gruppo di volontari, il Gruppo missionario "Un pozzo per la vita", che da ormai 48 anni in Benin e nei confinanti Togo e Burkina Faso costruisce pozzi, scuole e sostiene ospedali e dispensari. Fantastico il b&b dove dormiamo, Ott Mann Gut, una casa signorile, che sarebbe da provare solo per la colazione che preparano, sorprendente. Siamo a due passi dal centro della città, dove gli stand del mercatino si mescolano fra quelli del cibo e quelli dell’artigianato. Certo l’Artigiano in Fiera a Milano è molto più ricco, ma quello che vince, in questo caso, è il luogo. E a un tratto, in una piazzetta, un gruppo di amici inizia a cantare e a distribuire il vin brûlé. Alla sera saremo a cena in una casa degli Elfi. Ovvero da Onkel Taa a Parcines. Tre generazioni per una cucina originale ispirata proprio ai raccolti dei boschi e alla conservazione di erbe e frutti. Una cosa mai vista, in un locale accogliente, dove con
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Roberto e sua moglie Mirella viviamo un momento bellissimo, preludio al Natale. Peccato che la domenica, giorno della nostra partenza, non si riesca a comprare uno speck come si deve. Gli artigiani citati sul Golosario sono tutti chiusi. Ma Merano non era una meta turistica? Tutto il mondo è paese. Negozi chiusi nel week end dell’Immacolata. Una vera stranezza. Giusto il tema per farci un convegno dal sapore trombonesco.
Roberto Vivarelli con Janette Platino dell’Onkel Taa di Parcines
10 dicembre Cena di santa Lucia a Padova Si riparte per il Veneto, questa volta in direzione Padova, dove mi hanno invitato a presentare la Cena di Santa Lucia: mille persone radunate in un padiglione della Fiera, per ascoltare le storie di solidarietà e di integrazione, che gli amici del Comitato della Cena di Santa Lucia sostengono. Con me a tavola, l’amico Silvio Varagnolo, ma anche il professor Giorgio Vittadini che farà un intervento molto incisivo. Ne scriverò su Avvenire, il giorno dopo, in un pezzo che ripropongo. Sotto lo stesso cielo (almeno a Natale) È iniziato il tormentone del pranzo di Natale e i giornali si sprecano nel consigliare «come sopravvivere alle feste». Ma dove siamo finiti? Me lo sono chiesto il giorno della Cena di Santa Lucia a Padova, dove mille persone si sono sedute insieme per partecipare a un gesto di solidarietà. Se ne fanno tanti di incontri destinati al bene, ma quello di Padova è stato speciale, non solo per il numero di partecipanti ma per quello che si è ascoltato. C'era la storia di Qaraqosh, cittadina dell'Iraq che ha vissuto tre anni e mezzo di devastazione con l'occupazione dell'Isis. E i volontari Avsi vi hanno costruito un asilo che oggi ospita 533 bambini fra i 3 e i 6 anni e ha ricreato un'economia, perché qui si allevavano polli. «È importante che tornino anche i musulmani perché cristiani e islamici prima vivevano in pace», ha detto il segretario della Ong di aiuto internazionale. Clamorosa è poi la storia di Kibera, baraccopoli di Nairobi in Kenya, dove i volontari di Avsi hanno creato un progetto dedicato al teatro, scoprendo che attraverso la recitazione i ragazzi riuscivano a esprimere se stessi in un Paese senza tradizione teatrale. Ma i 140 ragazzi che, coinvolti dal regista Marco Martinelli, hanno recitato Dante («Persi nella selva oscura»), hanno trovato una luce. E tutto questo si apprendeva a cena, mentre 100 ragazzi della scuola Dieffe di Padova servivano i commensali, con la medesima attenzione dei volontari dell'Avsi: la Circolare
che si potesse stare bene nello stesso un luogo e «Sotto lo stesso cielo» (titolo che Avsi ha scelto quest'anno per le sue "tende di Natale" di solidarietà. Il professor Giorgio Vittadini, che ha preso la parola, è stato fulminante: «È un miracolo che in una città italiana, dove secondo il Censis dovrebbe dominare il rancore, ci si metta insieme». E lo fa per commuoversi davanti a una bambina cieca che sorride e canta o a un bambino adottato a distanza: «Per cui la pace inizia dal fatto che tu curi quello lì e non sei tranquillo finché non cresce. Se ognuno di noi si prende cura di un altro – ha detto Vittadini – la somma diventa un popolo». Come i 500 bambini di quella scuola, che vengono educati con amore per diventare persone destinate a costruire la pace. Intanto ognuno faceva la sua parte: l'imprenditore che aveva pagato una quota e i ragazzi che avevano sacrificato il week end perché la cena fosse perfetta. Un modo di avere cura l'uno dell'altro, che dovrebbe diventare l'archetipo di quella che si chiama società. Per questo mi ha un poco disturbato leggere gli articoli sullo stress da pranzo di Natale. Un pranzo dove la preoccupazione è l'ostentazione, mentre il segreto è avere cura dell'altro che sta con te, che siede sotto lo stesso tetto, immaginando che in questa maniera può interessare anche chi vive sotto lo stesso cielo. (Avvenire 12 dicembre) 11 dicembre Al Laboratorio Lanzani Sulla via del ritorno mi fermo a Brescia, per provare la cucina del Laboratorio Lanzani in via Milano, che sarà una goduria. Soprattutto il trionfo di pesce crudo. Al tavolo di fianco c’è anche Mattia Vezzola, uno degli enologi più bravi d’Italia, che ha contribuito a creare il mito di Bellavista. Arriva anche Alessandro Lanzani, che mi saluta con affetto, felice di vedermi ai tavoli di questa creatura che in pratica ha riqualificato una zona periferica della città. Intorno a me tanti giovani, che mangiano, bevono, sorseggiano un cocktail. In questo periodo sto provando una serie di locali dedicati ai Millenials, che mi stanno facendo riflettere: vogliono la qualità, cercano luoghi.
Alessandro Lanzani nel suo Laboratorio
12 dicembre Cena al 16 Bella cena anche Al 16 di Samarate, un locale raccolto che sembra la sala da pranzo di una casa. Con me Roberto, amico di vecchia data, che rimane stupito dal valore dei piatti, decisamente inaspettati. E ancora una volta, al telefono con Marco Gatti nel
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viaggio di ritorno, siamo a chiederci dove vadano a mangiare i critici. Posti come questo sono dei fari. Sono il nuovo che avanza. Un nuovo che tuttavia rispetta la tradizione, giacché questo luogo era una macelleria. 13 dicembre Il cucchiaio d’Argento e la famiglia Callipo Pomeriggio alla Libreria Hoepli a Milano, per presentare la nuova edizione del Cucchiaio d’Argento, curata dalla brava Giovanna Camozzi. Mi hanno voluto come presentatore, perché il nuovo corso di attualizzazione di questo ricettario è in sintonia con i temi che stiamo portando avanti, in particolare nell’ultima edizione di Golosaria a Milano. Bene, alla fine devo dire che non mi aspettavo così tanta gente, che poi ha fatto una serie di domande pertinenti, incentrate soprattutto sul pranzo di Natale e sull’idea di ospitalità. Alla sera, infine, Callipo sbarca a Milano. E lo fa con una serata speciale, dove viene presentato il libro con la storia di questa bella famiglia. Sul palco, sollecitati da una brava giornalista, ci sono Pippo Callipo insieme ai figli Giacinto e Filippo Maria. E in un’ora dipanano la loro storia di imprenditori, ma anche di appassionati delle loro origini. Pippo Callipo poi si commuove, quando presenta la nuora, che porterà alla luce una nuova generazione. Ci si diverte al buffet, bevendo il Trentodoc Ferrari coi piatti a base di tonno. Con me Gianfranco Manfredi, giornalista calabrese, che ha curato questo bel libro dove racconta una storia italiana che andrebbe insegnata nelle scuole.
15 dicembre Un libro sui vigneti eroici e poi a Le Case dei Baff Il giorno dopo sono a Sondrio, nella sede della Banca Popolare di Sondrio, per la presentazione del libro I luoghi del vino di Valtellina, scritto dall’architetto Dario Benetti, con la mia prefazione. Al tavolo con me anche un’amica, Cristina Scarpellini, oggi produttrice di vini in Valtellina, che è a capo di un comitato che ha portato al riconoscimento dei terrazzamenti valtellinesi come Patrimonio Unesco. La sala è strapiena di gente, molti sono produttori di vino. Tutti curiosi di conoscere i contenuti di questo libro dove si intrecciano storia e ricerca, per affermare il valore dei cru. Un lavoro encomiabile che solo uno come Dario poteva coordinare con tanta passione. Dario a un certo punto si è commosso, perché pochi giorni prima era mancato il fratello, Flaminio, che avrebbe apprezzato questo lavoro. Ci teneva che andassi a casa sua, la sera prima, a mangiare gli sciatt che prepara la moglie e che mi dicono siano dei vertici, ma il traffico di Milano e l’ipotesi di arrivare tardi mi ha fatto desistere per non disturbare (quando si dice: i piemontesi).
Con Dario Benetti e Cristina Scarpellini alla presentazione del libro I luoghi del vino di Valtellina
Con la delegata del Club Papillon della Valtellina, Francesca Traversi, pranziamo sulla via del ritorno a Le Case dei Baff, un’azienda agrituristica radiosa, condotta dalla famiglia Cerasa. E sarà un pranzo di fronte al camino, assaggiando tutti i piatti della tradizione, ma anche i loro vini speciali. Che accoglienza spettacolare. Mi è venuta voglia di tornare, almeno due altre volte in Primavera. In Valtellina c’è un sentimento di rinascita che credo sia sotto gli occhi di tutti.
Pippo Callipo con i figli e la nuora
14 dicembre Viaggio a Sondrio Resto a Milano, perché oggi c’è un corso di aggiornamento per giornalisti che finisce tardi. Dopodiché si parte per la Valtellina. E arrivo ancora in un orario decente all’Osteria del Benedet di Delebio, fantastica meta del Gatti Massobrio dove avrò modo di assaggiare delle novità dell’enologia locale. Vado poi a dormire in un hotel fantastico, il Wine Hotel Retici Balzi a Poggiridenti, dove davanti a me c’è un panorama mozzafiato su tutta la Valtellina. Non mi sarei mai immaginato di trovarmi in un posto così. E la prossima volta disinnesco il navigatore, perché la strada che mi ha fatto percorrere era da paura. Però ne valeva la pena. Quanto sta crescendo anche la Valtellina. la Circolare
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La famiglia Cerasa conduce le Case dei Baff
diario di viaggio
Muore Gigi Rosso Durante il viaggio di ritorno leggo che è venuto a mancare uno dei patriarchi del Barolo: Gigi Rosso. Un signore di Langa, che ha due figli bravissimi: Claudio e Maurizio, affezionati anche alla nostra storia. L’intensità con cui a ogni numero della Circolare si segnano le dipartite è decisamente in crescendo. E non l’avevamo in conto, all’inizio, quando partimmo. Ma trent’anni di incontri, di dialoghi sono un patrimonio di conoscenze. E solo ora si scopre della ricchezza che hanno lasciato i Gigi Rosso e gli altri che hanno creduto in quello che Beppe Fenoglio definiva il territorio della Malora.
Gigi Rosso
16 dicembre Brunch a Milano e poi in treno a Bologna con la neve Siamo quasi alle porte del Natale e già non ci si rende conto, ogni anno sempre più indaffarati. Con Marco Gatti cerchiamo di trovare una data per pranzare insieme, ma l’agenda scorre via oltre il Natale. Che fare? Un brunch la domenica, ai piani dell’hotel Gallia a Milano gestito dai fratelli Cerea. Un momento elegante, quasi che questo luogo fosse un’isola dentro la grande città che segna gli zero gradi e si prepara al Natale (ma Milano non è sempre pronta al Natale?). E mentre con Silvana e Marco pranziamo amabilmente, prima di partire per Bologna dove abbiamo un appuntamento per cena, scopro sul cellulare che le previsioni del tempo danno neve. Così in quattro e quattr’otto cambiamo i programmi e prendiamo il biglietto del treno. Quando arriviamo a Bologna la città è già imbiancata. Alle 20 siamo nella nostra osteria moderna, il Vicolo Colombina, proprio nel centro di Bologna, in un locale raccolto dove arriverà il nostro ospite. La cena sarà speciale. Per i piatti, per i vini e per l’ospite che nel 2019 ci darà una mano per la guida ai ristoranti. Ripartiamo a piedi verso le 22, sotto i portici che ci conducono fino alla stazione, praticamente sempre al coperto. Saliamo in treno e a mezzanotte siamo a Milano. Fantastico! Posso dire che mi sono goduto Bologna? Non solo per la suggestione della neve, ma per la sua bellezza intrinseca, con la gente che si riversava nei portici e nelle piazze e viveva il genius loci. Ma che idea è mai stata quella di ambientare Fico fuori da questa città d’arte? Bologna, un’ora di treno da Milano.
le dovute correzioni per via di chiusure e cambi di cuochi. E poi ci sono gli auguri da scrivere (rigorosamente a mano) per tutti, mentre siamo riusciti a finire la Circolare di fine anno che, se le poste ce lo concedono, arriverà sotto le feste (in realtà arriva prima la Circolare dei biglietti di auguri). Ci aspetta un lungo periodo di stacco, fino al 7 gennaio. Ce lo siamo meritati? Giovedì sarà l’ultimo giorno e al consueto brindisi fra i col- L’ottimo panettone della Pasticceria Calciano di Tricarico leghi scopriamo che il panettone più buono, dei tre che abbiamo aperto, è quello della pasticceria Calciano di Tricarico, in provincia di Matera, che ci ha regalato Gerardo Giuratrabocchetti, titolare delle Cantine del Notaio. Il nostro panettone dell’anno, che invece ci siamo regalati in ufficio, sarà quello della pasticceria Andreoni di Brescia. Tanti auguri! Cena con il Consorzio di Tutela della Barbera d’Asti Stasera mi hanno invitato a cena i membri del consiglio del Consorzio di Tutela della Barbera d’Asti. E non mi sembra vero, sotto le feste, fare la strada del mio paese che penetra la Val Tiglione fino a Montegrosso d’Asti, dove c’è il ristorante La Locanda del Boscogrande. Ceniamo con i membri del consiglio, il presidente Filippo Mobrici, Stefano Chiarlo e il giovane Enrico dell’azienda Rovero di San Marzanotto, che ha puntato sul biologico. Ognuno ha portato una bottiglia e durante la serata ci si scambiano i bicchieri. Ho provato un senso di intimità tutta mia questa sera: per la Barbera, per quella strada che ho percorso in bicicletta, a piedi, in auto, di giorno e di notte. Il Rio dell’Anitra, la Caina, la strada che porta a Rocchetta, il cimitero di Masio dove riposano i miei, la trattoria Losanna, il Tiglione e... un cinghiale che pascola solitario proprio sul ciglio della strada. Che felicità indicibile ritrovarsi a casa. 18 dicembre Turba mette il turbo alla carne Toccata e fuga a Milano, per salutare i parenti, consegnare i regali e ritrovarmi a cena con mio fratello Franco, in un posto che considero un po’ casa: la Macelleria Turba di Rivolta d’Adda. Il
17 dicembre Ultima settimana Oggi inizia l’ultima settimana di lavoro in ufficio, dove dobbiamo mettere a fuoco i progetti del nuovo anno. C’è Golosaria Monferrato che cresce, si stanno scrivendo i contorni di Vinitaly and the city, e ci sono le nuove iniziative editoriali, fra cui la nostra guida ai ristoranti allegata a Bell’Italia, che in zona Cesarini deve subire la Circolare
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Donato Turba nella sua "trattoria"
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patron, appena mi riconosce, mi porta al piano di sopra dove ha posizionato delle celle avveniristiche per la frollatura delle carni. E la cena che seguirà sarà all’altezza di un momento di grande gusto. La figlia, che serve in sala, mi fa poi assaggiare due vini ottimi: il Bolgheri Rosso “Ferruggini” di Chiappini e l’Umbria Rosso “Ruris” della Fattoria Colsanto. Due aziende che meritano d’essere conosciute meglio. Questa macelleria è una casa di un tempo dove c’era il mulino e il negozio. L’entusiasmo smisurato che tutta la famiglia Turba esprime mi impressiona: dopo un giorno intero a lavorare in macelleria, anziché il riposo, sono tutti qui, a servire i clienti, a fare il racconto della passione della loro vita. Non è bello aspettare il Natale incontrando gente così? 19 dicembre Alla Liuc di Castellanza per una lezione sugli auguri Stasera sono a Castellanza, ospite della Libera Università Carlo Cattaneo, che è sostenuta da un pool di imprenditori della zona, fra cui l’amico Tiziano Barea, che a Montemagno ha creato con il fratello Flavio la Tenuta, tappa speciale di Golosaria Monferrato. Davanti al corpo docente, mi hanno chiesto di fare una riflessione sul gusto e sul posto a tavola. E ho parlato per una buona mezz’ora, prima dell’aperitivo con alcuni prodotti di Golosaria, che i docenti sono venuti a recuperare a Milano. Non mi aspettavo una realtà del genere e uno spirito di amicizia dentro una cittadella universitaria. Fra i docenti c’è anche l’amico Massimo Folador, mio compagno di studi alla Cattolica, autore di libri bellissimi. Un bel modo per farci gli auguri. 21 dicembre La polemica di Rovigo città triste infiamma i giornali “Il mistero di Rovigo, la città del Nordest dove non si vive bene” scrive Libero, e subito impazza la polemica dopo la pubblicazione della classifica delle città più o meno virtuose d’Italia. E io getto benzina raccontando che in questa città ho visto qualcosa di diverso. Lo scriverò su Avvenire e pochi giorni dopo sul quotidiano locale appaiono le due posizioni contrapposte. Ecco il mio articolo di Avvenire.
Il dibattito sui giornali sulla qualità della vita a Rovigo
Classifiche bugiarde sulla qualità della vita Notizie fotocopia questa settimana dove il tam tam sullo stress del Natale parla di sparizione della gioia e agguati alla linea. Poi c'è il rapporto del Censis sugli italiani, che quest'anno sarebbero più arrabbiati che mai. E quando c'era Monti al governo com'erano? Ma saremo stati felici qualche volta? Eh sì: «Non ci son più le mezze stagioni» e «Si stava meglio quando si stava peggio».... la Circolare
La partita si chiude davanti a un caffè coi tormentoni di sempre. Mancava all'appello, prima di sorbirci i servizi infiniti sul cenone, la classifica del Sole 24 Ore sulla qualità della vita nelle province italiane. Ma è arrivata puntuale: Milano è prima! E giù commenti per confrontare Milano con Roma, o addirittura per indicare la metropoli come scelta ideale rispetto alla provincia. Il peggio sarebbe Rovigo, anche se poi è a metà classifica. Ma a Rovigo c'è la nebbia, accidenti (ah, ecco perché Milano è in testa: non ci son più le nebbie di una volta...). Qualcosa proprio non torna in queste classifiche; a Rovigo ci sono stato un mese fa e non ho visto gente stressata. Dietro la piazza più bella c'è un'enoteca che mi ha offerto la Benedina, un vino rosso prodotto proprio a Rovigo, capitale della produzione di ostriche, con quella rosa della Sacca di Scardovari. Ma se poi vai nella trattoria Al Ponte di Lusia, una famiglia intera ti coccola con l'anguilla fritta, mentre a Rosolina l'ittiturismo In Marinetta è uno dei posti più belli e buoni che abbia provato. La famiglia Valier produce noci a Borsea: 11 figli e un'impresa che è diventata multifunzionale. E nel mercato coperto di Piazza Annonaria c'è un negozio con i prodotti di tutte le aziende agricole e artigiane del Rodigino: dal riso del Delta del Po, alle birre di tre microbirrifici eccellenti. Chissà, al Sole 24 Ore tutto questo fermento sarà sfuggito, oppure non è un parametro accettabile quello dell'identità territoriale sulla quale scommettono tanti giovani. Tuttavia, se fosse davvero depressa, quest'area del Paese non avrebbe osterie, enoteche, botteghe, aziende agricole e artigianali. Quindi perché non mettere fra i parametri altri valori, come l'iniziativa in tutti i campi, anche quello della solidarietà, che rende invece viva una comunità? Del resto le cose che hanno a che fare con l'umano mutano ed è difficile ritrovarsi con i commenti a classifiche che insistono su stereotipi abusati. È cambiato anche il cenone: se n'è accorto persino il Cucchiaio d'Argento uscito con l'edizione natalizia. Eppure anche quest'anno, e per chissà quanto tempo ancora, vedremo immagini di sughi e di carni, di paste e di dolci, che forse fanno parte del set di foto scolorite che usano tutti: tivù, giornali, centri di ricerca. Ma il disco è rotto! (Avvenire 19 dicembre) 22 dicembre Si parte per il Sassello, direzione Barcellona Siamo nei giorni precedenti il Natale e quest’anno, con Silvana, abbiamo scelto una cosa diversa: via dall’Italia. Sì, lo so che il detto è “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”, ma una parte di noi, nostro figlio Marco, sta a Barcellona e quest’anno staremo con lui. Quindi saltano i riti di sempre: gli auguri con gli amici, il Natale a Milano con tutti i parenti, la frenesia dell’ultimo minuto. Partiamo al mattino presto per Masio, a fare gli auguri ai parenti stretti, poi verso Cossano Belbo (una scorta di Toccasana Negro) e Acqui Terme (per gli agnolotti irresistibili di Emiliana). Da Acqui saliamo al Sassello e da Giacobbe prendiamo un salame fantastico e anche una bresaola preparata da lui. E infine degli amaretti molto buoni. Col resto che abbiamo caricato in auto c’è quanto basta per arrivare a Barcellona dal nostro Marco. Alle 17 siamo in Provenza, in un paese molto bello, con il suo borgo medievale e il castello. Si chiama Gordes e lì a pochi chilometri c’è una delle più belle abbazie romaniche, quella di Sénanque, immersa nella coltivazione di lavanda. Pernottiamo all’Hotel Mas de la Senancole e mangiamo nel loro ristorante, con buona soddisfazione. La mattina dopo si riparte per Barcellona, non prima di aver fatto una sosta al museo della lavanda.
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Viaggiare in auto è sempre la cosa migliore: ti fermi dove credi e ti appropri dei luoghi. Anche di questa Francia dove per almeno tre volte incontreremo i presidi dei “gilet gialli” che invitano Macron alle dimissioni. È bello e interessante anche vedere come cambiano le varie zone: dalla Francia verso la Catalogna.
Giovanni e Teresa Giacobbe nella loro salumeria a Sassello
23 dicembre A Barcellona! Siamo arrivati alle 14 a Barcellona. Un viaggio perfetto direi. Da qui abbiamo posteggiato l’auto e preso la camera nell’albergo del quartiere del Born. Tutto il resto lo abbiamo vissuto a piedi, concedendoci i pranzi con nostro figlio. Ripartenza il 26 mattina.
Marco e Silvana per le strade di Barcellona
Qui di seguito il resoconto del viaggio, per chi vorrà mettersi sulle nostre tracce. In viaggio verso Barcellona Pensare di fare un viaggio in auto a Barcellona non è fuori portata. Più o meno come andare nel Salento, se il punto di partenza è Milano. Noi ce la siamo presa comoda: una bella mattina di dicembre, il 22 per l’esattezza, destinazione Gordes in Provenza. La meta ce l’ha suggerita la presenza di un’abbazia importante, quella di Sénanque, circondata dai campi di lavanda, che i monaci stessi coltivano. Quindi uscita a Cavalion dove fra l’altro c’è il museo dedicato alla lavanda, esattamente a Coustellet: molto interessante. Avignone, per intenderci, dista 30 minuti. • Prima tappa: l'abbazia di Sénanque Ma la nostra direzione è Les Imberts, una frazione di Gordes dove abbiamo trovato rifugio nell’accogliente hotel Mas de la Sénanla Circolare
cole (tel. 0400767655), un tre stelle con piscina, giardino, belle camere e anche il ristorante l’Estellan (tel. 0490720490) che ci ha servito un ottimo foie gras e anche un’anatra con ceci e purea di zucca di ottima soddisfazione. Il centro di Gordes è in alto, dominato da un castello che guarda una grande valle. Una meta turistica: lo si capisce dall’eleganza delle strade, dagli hotel di ogni ordine e grado e dai localini (tutti chiusi, tranne una pizzeria in piazza, davanti al castello, dove di sottofondo ci sono le canzoni di Albano e Romina e di Celentano). Ma la meta delle mete è l’Abbazia che sta proprio sotto il paese. Una costruzione clamorosa, che in questo momento vede il restauro dell’antica chiesa. C’è da perderci un intero giorno, ma conviene prenotare le visite via internet, secondo gli orari prestabiliti. • Seconda tappa, il giorno dopo, a Barcellona, nel quartiere del Born, ovvero la città antica, fondata dai marinai, che nel 1300 eressero la cattedrale di Santa Maria del Mar, bellissima. In questo quartiere c’è anche il museo dedicato a Picasso, e a pochi passi due altri esempi di gotico come la Catedral Generalitat e Santa Maria del Pi. E qui c’è davvero un concentrato di attrattive, mentre per ammirare la Sagrada Familia (ne vale la pena) bisogna prendere un taxi e andare in quello che era un quartiere povero della città dove Gaudì volle creare questa clamorosa costruzione ispirata alla natura e alla storia della chiesa. Quello che colpisce, sia della Sagrada e sia di Santa Maria del Mar, è tuttavia il genio che ha concepito un’opera architettonica, nel secondo caso, che nel tempo ha retto a terremoti, incendi, bombardamenti. La Sagrada è invece un segno di fede efficace e contemporaneo, che non lascia indifferenti, per la sua disarmante semplicità (e anche per la ragionevolezza di certe situazioni artistiche). Dal Born, non è neppure lontana la rambla, mentre il porto è proprio a due passi. Ultima visita meritevole sarà il villaggio del Poble Espanyol de Montjuic, creato ai tempi dell’Expo, nel 1929, che si svolse proprio in questa zona. Siamo nei pressi del Museo National, del Teatro Greco e della Fiera Internazionale. Dal Born conviene prendere il taxi. Il bello di questo villaggio è la ricostruzione di tutte le aree della Spagna, con le case tipiche, i costumi, i negozi di artigianato. Filmati raccontano poi le feste più importanti del Paese, ma anche le attrattive turistiche. Divertente ed efficace. Barcellona: le nostre soste golose E veniamo ai locali. In questo viaggio non abbiamo cercato le stelle (dopo la delusione dello scorso anno), ma qualcosa che rappresentasse il nuovo insieme all’antico. La prima tappa, in fatto di nuovo, è stato un locale nel cuore del Born, dove c’è una “rambleta” che collega Santa Maria del Mar a un palazzo storico. Siamo in via del Rec 67, dove il Farola è stato aperto da qualche mese da un giovane imprenditore italiano, Marco, che arriva dal lago di Como. E con lui c’è una squadra davvero affiatata di amici che animano quello che è un cocktail bar di livello internazionale: elegante, caldo, con musica dal vivo e un dehors sulla via. Un luogo in cui ci sente a casa, con tanti oggetti appesi alle pareti, e persino la foto di Angelo Zola, il padre del bere miscelato. Un locale pieno di giovani (sia quelli che servono, intorno ai trent'anni, sia quelli che vivono momenti di relax assaggiando cocktail internazionali o d’autore). Marco ha poi una passione tutta sua per gli amari italiani e a sorpresa si scopre che tra le bottiglie c’è il Toccasana Negro prodotto in Piemonte, oltre al Braulio. Si stuzzicano tre tipi di tapas: un pane molto buono,
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croccante, che avvolge salmone, oppure porchetta o gorgonzola. Ci sono stato all’arrivo e poi la sera della vigilia di Natale, fumando un antico toscano ai tavoli del dehors, mentre una buona musica trapelava dal locale, con le vetrate alte, le colonne di fuori, la cornice in black. Un punto di riferimento sicuro se arrivate al Born (non c’è telefono, tanto non si sentirebbe squillare). Almeno così è stato per me, visto che Marco e i suoi amici mi hanno introdotto in una serie di locali che non avrei mai scoperto. Il primo che vi voglio raccontare sta proprio di fianco alla cattedrale del Mar e ha una cucina di origini catalane e asturiane. Si chiama El Chigre (tel. 937826330 – contrada dels Sombreres, 7) e si definisce gastrobar. Un locale informale, dove tuttavia risiede una saggezza antica, soprattutto in quella zuppa asturiana, la Fabada Asturiana, piena di sapori. Anche il polpo qui è cucinato con sapori speciali, mentre il bacalao è imperdibile. Da provare le bombette piccanti, di carne o di polpo, le olive con le acciughe. Si definiscono Vermuteria e sidreria, ma qualche bottiglia di vino buono (poche per la verità) ce l’hanno. Sono collegati a Slow Food, e il loro vermut è decisamente gradevole. Ci tornerei. Al secondo posto, dopo Farola ed El Chigre, vi consiglio di andare in un altro locale informale, sempre in zona Born, ma più verso il mare. Si chiama Perikete (C/Llauder, 6 – tel. 930242229) e fa parte del “gruporeini”. Lo gestisce un italiano e il motivo di questa visita sta nella selezione davvero competente di vini, tutti spagnoli. L’invito sarà il loro vino a bicchiere, un Verdejo, ma anche un Rioja e un Ribera molto buoni. Il soffitto è costellato di jamon; si mangia sui trespoli con tavolini minuscoli e la filosofia è quella delle tapas. Il locale è praticamente all’aperto, ma quel 25 dicembre non abbiamo patito il freddo. Ottima la ventresca di bonito, il polpo gallega, la tortillas di patate e ovviamente un assaggio generoso di Jamon Seron Reserva. Il menu offre una trentina di soluzioni. Wow! Al terzo posto un localino di tapas stuzzicanti: Ziryab (C/GrunYi, 5 – tel. 932681774). Una bella sequenza di degustazioni (prendete la butifarra catalana) e una scelta di vini accettabile. Più elegante, con un’accoglienza italiana è stato poi Cecconi's (Passeig Colom 20 - tel. 933204600). Ma qui i prezzi sono più alti e anche il locale ha un’allure di lusso, con una cucina a vista, dove si griglia e si organizza il brunch dei giorni di festa. Per noi calamari, burrata, puntarelle con alici, un piatto di spaghetti con astice, le uova alla benedettina, la porchetta. Si sta bene, il personale è gentile e accogliente. Una sosta tuttavia ci è mancata, ma la segnaliamo per la prossima nostra visita: il Monvinic di carrer de la Diputació, 249 (tel. 34932726187). Me l’hanno consigliato gli amici di Farola, per la selezione di vini a bicchiere, mentre mi ha molto colpito una boutique del gusto, che offre anche assaggi al tavolo e ha un’enoteca fornitissima: Vila Viniteca (Carrer Dels Agullers, 7 – tel. 34 902 32 77 77). Hanno la torta di nocciole di Enrico Crippa, ed è stato curioso leggere i prezzi di tre vini italiani: Langhe Sori Tildin 2009 di Gaja: 515 euro; Barbaresco Asili 2013 di Ceretto: 144 euro; Sassicaia 2014 Tenuta San Guido: 175 euro. Il nostro viaggio in Spagna finisce qui. La sosta al ritorno è stata a Saint Tropez. Per chiudere con una ragguardevole bouillabaisse da Le Girelier (tel. 0494970387). Considerazioni finali. Mi ha colpito la vivacità di Barcellona, dopo il primo viaggio di 12 anni fa. Mi ha colpito trovare sempre dei giovani dietro ai locali citati, con un’attenzione ai vini spagnoli che finalmente è stata sdoganata (anche se non tifano moltissimo per i Cava e per l’olio patrio). L’apporto dei tanti italiani che hanno la Circolare
scelto questa meta sta poi diventando decisamente importante e in alcuni casi, come i locali gestiti da Marco del Farola (ne ha altri due più informali sulla piccola rambla) hanno condotto a una riqualificazione del quartiere stesso. E questa è una storia molto italiana, dove il gusto viaggia con la bellezza, anche del design. Se questa è la strada, merita fare un viaggio. Ma se già siete in viaggio, fermatevi! 27 dicembre Nessuno si ricorda di Gualtiero Marchesi Ed eccomi puntuale in ufficio dopo questo viaggio ristoratore, di quelli dove sinceramente stacchi. Lo scorso anno ero arrivato a Barcellona il 26 dicembre e avevo impostato il viaggio sui ristoranti cosiddetti stellati, dove francamente non ho colto l’anima che invece mi ha offerto questo secondo viaggio. Ma ricordo anche che, mentre passeggiavo per la città, mi arrivò una telefonata dalla redazione del mio giornale per commentare una notizia che non avrei mai voluto sapere: è morto Gualtiero Marchesi. È passato un anno. Il 29 dicembre io e Marco Gatti eravamo al suo funerale, in quella chiesa vicino al suo primo ristorante in via Bonvesin de la Riva. È passato un anno, certo, ma sui giornali nessun cenno: dimenticato. Eppure le sue intuizioni, la sua cultura, hanno fatto alzare la testa alla cucina italiana che oggi è qualcosa di importante, anche, se non esclusivamente, grazie a lui. Noi lo abbiamo ricordato su Papillon con un dialogo con Maurizio Gigola, che ha curato un film su Gualtiero. È ingiusto dimenticare i maestri. Lo dico pensando a Veronelli, ma anche ad Angelo Zola, a quelli che hanno portato a un cambiamento. Se si dimentica la storia, si perde il filo delle cose. Sì certo, in questo periodo sto visitando locali che funzionano e che si rivolgono ai Millennials, ma guai se nell’attività che svolgono non mettono un pizzico di quelle intuizioni che hanno informato il passato. In quel locale del Born, per esempio, dove fanno cocktail dal mattino alla sera, mi ha quasi commosso vedere appesa alla parete la foto di Angelo Zola. Ci saranno 100 anni che separano le generazioni, ma la vivezza di un riconoscimento prosegue. Ed è così che si fa.
Gualtiero Marchesi a Golosaria 2007 premiato con il riconoscimento di “maestro del cuoco italiano” da Marco Gatti e Paolo Massobrio
28 dicembre Pizza a Torino da 10 e lode Giornata di lavoro a Torino e una gran bella camminata in centro, in una giornata di sole. Alle 12 mi infilo nella pizzeria Sesto Gusto di Massimiliano Prete, in via Mazzini, e mi godo le intuizioni delle sue pizze contemporanee. Un bel locale, ampio, in una via
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centrale della città, che è già diventato un luogo cult. Bravo Massimiliano! Massimiliano ha fatto centro, e tutti vogliono farlo, a Milano o a Torino. Però ogni tanto qualcosa non funziona: il 35° Piano del grattacielo di Intesasanpaolo, che aveva un doppio locale, fatica e cambia gestione continuamente, così come l’Edit, che dopo un anno vede la ritirata dei fratelli Costardi. Sarebbe interessante, anche dal punto di vista didattico, conoscere quali analisi di mercato hanno svolto prima di aprire. Di contro, il bistrot di Antonino Cannavacciuolo funziona benissimo, a Torino come a Novara. Chi fa un’analisi? 29 dicembre Si parte per Padova Due giorni di lavoro (si fa per dire) a Padova, con Silvana. Dobbiamo mettere a fuoco alcuni dettagli col nostro architetto e incontrare nuovi personaggi che sono pronti a coinvolgersi a Golosaria. E così lavoriamo nei locali del Box Caffè al Prato in Prato della Valle. Poi un pranzo fantastico nel nuovo locale di Alessandro Mazzone, il Sì - Streetalian Food in via Dante Alighieri 42, dove vengono riproposti i piatti o i cicchetti delle migliori ricette italiane. Con noi anche un simpatico personaggio, appassionato di tutto ciò che ruota intorno al gusto: Giovanni Graziani, detto Ciccio. Nel pomeriggio ci viene a prendere Silvio Varagnolo su una Tesla gigante che sembra un aereo, per andare a vedere una villa a Rubano, dove ha i suoi nuovi uffici. Alla sera a cena da don Lucio Guizzo, con le mogli e don Emanuel, un giovane prete cinese. Don Lucio è il parroco della chiesa degli Eremitani, ma soprattutto è colui che segue da sempre il Club di Papillon. È una persona fantastica, perché trova il tempo per allestire un presepe mai visto, bellissimo e ricco di particolari, ma anche per cucinare. E quella sera cucinerà lui per noi: foie gras, risotto (perfetto), un tonno scottato, tutto servito con un’attenzione speciale ai particolari. Mi ha colpito quando ha detto che ai suoi studenti, ma anche ai poveri della città, cucina manicaretti del genere. Lo fa perché il gusto è un segno importante per la vita delle persone: le richiama alla propria dignità. Che bello avere amici così.
Giovanni Graziani
dell’antica pasticceria Racca? La sera saremo a cena ad Albignasego da Federico e Genny, due nostri amici. E si apriranno grandi bottiglie, dove la sorpresa sarà un Sangiovese biodinamico di Tenuta Mara. E poi un piatto che a me fa impazzire: la pentolaccia, che è un sistema di cottura lento delle carni, soprattutto volatili, che rende il boccone assai succulento. Mi faceva piacere stare con Federico e Genny, perché sono due amici solari, come la loro bella famiglia. A Padova abbiamo tanti amici e questa città, che in questi anni abbiamo frequentato assiduamente, sta diventando sempre più nostra.
La pentolaccia preparata da Genny per la cena a casa sua
31 dicembre Da Damini per il Capodanno con Marco Si parte la mattina dell’ultimo giorno dell’anno. I figli sono stati irremovibili: quest’anno il cane lo dovete curare voi. Quindi andiamo a fare la spesa dai fratelli Damini di Arzignano, con un panettone gastronomico che credo sia una delle cose più buone assaggiate quest’anno. Nel pomeriggio siamo già ad Alessandria: stasera faremo Capodanno con Marco Gatti e sua moglie Cristina. Grandi bottiglie, naturalmente, compreso un Barolo Per Cristina di Domenico Clerico. Tanta amicizia per passare da un anno all’altro, con l’auspicio che sia sempre così.
La cena da don Lucio con Paolo Beleù e sua moglie
30 dicembre Cena da Federico e Genny Padova è sempre più bella. Noi ci siamo goduti la visita al mercato in Piazza della Frutta, dove ci sono dei negozietti davvero speciali. C’è quello che fa il pane da grani antichi ed è una cooperativa sociale, quello che rivende il baccalà mantecato, quello della frutta e verdura. La miglior millefoglie l’abbiamo assaggiata lì, alla pasticceria Graziati. Ma che dire della pazientina (il dolce locale) la Circolare
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Con i fratelli Damini nella loro boutique del gusto
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2 gennaio Riflessioni di bon ton a tavola Su Avvenire di questa settimana, prendo spunto dal discorso del Presidente della Repubblica di fine anno, per alcune riflessioni che vi ripropongo. A tavola non si parla di politica. È bon ton A tavola non si parla di politica. È una regola del bon ton, che tuttavia ha fatto fatica a essere rispettata, ancor più nell'ultimo giorno dell'anno passato, dove le cronache parlavano insistentemente della legge di bilancio approvata in extremis. E la coralità dei commenti sembra sia stata diretta a sfrucugliare sui benefici per i microbirrifici e sull'Iva ridotta ai raccoglitori di tartufi. Vabbè... C'è poi il discorso del capo dello Stato, che è sceso nel bel mezzo del cenone di Capodanno. Ed è stato quanto mai appropriato, visto che ha voluto mettere in rilievo il senso di comunità, che poi significa la mutua attenzione verso tutte le fasce di una popolazione: dai giovani agli anziani. Mattarella, all'inizio e alla fine, ha posto l'accento su una questione rilevante come l'unità del Paese, di cui è garante, e sul sogno di un futuro positivo, ricordando che sogni e speranze non possono essere relegati nei confini dell'infanzia (della serie: «Se non ritornerete come bambini...»). Ma non sono mancati cenni e anche esempi vissuti di solidarietà, che han fatto parte del completamento di quel discorso sul senso di una comunità. E qui la lettura maliziosa fa subito pensare alla mannaia sul no profit... (Ehi, non si parla di politica a tavola!). Ancor più quando Mattarella ha invitato a un'attenta verifica dei contenuti del provvedimento appena firmato. La sera a cena, sulla mia tavola con familiari e amici di sempre, c'era un pane buonissimo, prodotto da un'impresa sociale di Padova, Sobon, che mi ha colpito per lo slogan con cui son soliti presentarsi: "La fragilità produce qualità". Sembrava la sintesi del discorso di Mattarella: si può partire da una situazione fragile, se come meta si ha un obiettivo buono. Buono come il pane, buono come quella tavola italiana che è luogo del sentirsi insieme, «del pensarsi una comunità che vuole costruire un futuro comune». Tutto questo lo abbiamo sotto gli occhi quasi tutti i giorni, anche se non ce ne accorgiamo. È nel Dna del nostro Paese, ma poi la si butta subito in polemica. E non dico "politica" perché purtroppo questa parola non sembra più essere qualcosa che ci riguarda da protagonisti. Pensando a quel pane di timilia, grano siciliano dal sapore pronunciato, ho capito allora perché non bisognava parlare di politica a tavola. La politica bisogna viverla, magari cominciando dallo stupore per un pane buono che puoi sempre condividere con qualcuno. Un pane dietro cui c'è quella vita del fare, più che del pensare, che può essere lo scatto di un anno diverso. (Avvenire 3 gennaio)
A fine gennaio i Barolo e Barbaresco si presenteranno con due iniziative, Nebbiolo Prima e Grandi Langhe. La prima è rivolta ai giornalisti, la seconda ai buyer. Ma in entrambi i casi hanno pensato bene di non invitare giornalisti italiani, se non alcuni delle guide che più interessano. Una scelta imbarazzante, anche L’articolo uscito sul Gazzettino del Veneto miope direi, che rivela quanta poca considerazione abbiano per il mercato italiano. Ed è triste vedere che il giornalista che scrive di vino sulla Stampa da 30 anni, che è il quotidiano che esce in Piemonte, non interessa. Chissà, devo aver rotto le scatole a qualcuno, con quel mio vezzo di parlare continuamente dei produttori che emergono. Povere Langhe. Viaggio a Mantova a Cimbriolo, poi a Verona e infine a Rivanazzano All’ora di pranzo sono già in viaggio verso il Veneto: località Cimbriolo, dove c’è una trattoria fantastica che mi ha segnalato l’amico Fabio Perini. Pranziamo insieme, anche con Stefano Pezzini, prima del mio viaggio a Verona, per riprendere i fili di Vinitaly and the city. Al ritorno, cena al Selvatico di Rivanazzano con Cinzia Montagna: riunione su Golosaria Monferrato. I primi giorni dell’anno sono fantastici, perché il telefono squilla di rado e quello che provi sembra di viverlo con più lentezza e con più leggerezza. Rientrerò corroborato da questo viaggio nella Pianura Padana.
3 gennaio Esce l’anteprima di Barolo e Barbaresco, e la recensione sul Gazzettino del Veneto Sulla Stampa esce un articolo per presentare le nuove annate di Barolo e Barbaresco e dalla redazione mi chiedono due assaggi che mi hanno colpito. Li scrivo di getto, dopo aver riassaggiato i vini: sono il Barolo “Arborina” di Nadia Curto di La Morra e il Barbaresco “Roccalini” della Cascina Roccalini di Barbaresco. Intanto il Gazzettino del Veneto pubblica una pagina intera parlando del nostro road show in Veneto di quest’anno, mentre Striscia la Notizia ha dedicato l’ultima puntata dell’anno al Golosario. L’anno inizia bene, viene da dire. la Circolare
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Con Stefano Pezzini e Fabio Perini
L’esterno dell’Osteria di Cimbriolo
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4 gennaio Una questione di tappi con Walter Massa Serata in un luogo super speciale, a Cascina Impero alle porte di Tortona. Qui c’è una bottega, un piccolo ristoro, ma soprattutto c’è la produzione del pane realizzato col grano San Pastore, che è una rivelazione. Ci siamo trovati con Walter Massa, il padre del Timorasso per una sfida: l’assaggio di 7 bottiglie, tratte dalla medesima vasca di Timorasso 2014, ma tappate in modo diverso. Uno è un tappo a corona, un’altra ha il tappo a vite, le altre hanno sugheri differenti. Degustiamo alla cieca, prima di mangiare qualcosa di molto buono di queste terre, che ci ha preparato Luca Benicchi. Alla fine il verdetto è unanime: il vino migliore è quello con tappo a vite. Segue un tappo di sughero, credo speciale e costoso. Ma la cosa impressionante è stato notare la differenza, come se fossero stati sette vini diversi. È stata una bella lezione che dice quanto si debba stare attenti alle ideologie e alle nostalgie. Se un tappo a vite offre le medesime performance, anzi migliori di un tappo di sughero, credo si debba prendere in considerazione la faccenda: Le diverse bottiglie di Timorasso di Wal- minori costi e più immediater Massa per la degustazione alla cieca tezza. Bravo Walter!
A Jovencan nella realtà della Gabella
8 gennaio Compleanno Siamo a 58! Oggi è il mio compleanno, che da sempre festeggio con i soliti amici: Marco, Mario, Angelo e Roberto oltre alla mia famiglia. E come sempre si bevono bottiglie rare, fra cui un Timorasso di Walter Massa del 1992 che sarà stupefacente. Buono anche l’Abadia Retuerta del 1995, il Petrucci di Pasquale Forte, mentre la magnum di Bricco dell’Uccellone finisce inesorabilmente subito.
Le rare bottiglie aperte per festeggiare il compleanno di Paolo Massobrio
Walter Massa alla cena preparata da Luca Benicchi di Cascina Impero
5 gennaio Ad Aosta Un viaggio ad Aosta, o meglio a Jovencan a provare il ristorantehotel-brasserie La Gabella della famiglia Vierin. Arrivo dunque in un angolo della Vallée, non lontano da Aosta, dove ritrovo alcune delle mie cantine del cuore, fra cui quella di Costantino Charrère. Il pranzo sarà poi interessante, con i piatti tipici della cultura valdostana e i vini dei produttori locali, sempre più bravi. Ma mi colpisce lo sviluppo di questo luogo, dove c’è una spa, con dentro una camera, che di notte viene riservata totalmente a chi vi pernotta. E qui siamo oltre al sogno. Al ritorno mi fermo ad Arnad, nello spaccio dei Bertolin, per acquistare qualche pezzo di Fontina che ha ricevuto il riconoscimento Modon d’or, ovvero la selezione delle migliori 10 Fontine d’alpeggio. Ora si può ripartire, domani con gli amici di Milano avremo di che vivere l’Epifania. la Circolare
9 gennaio L’algoritmo della dieta Esce un mio articolo su Avvenire come al solito il mercoledì. L’algoritmo della dieta e il senso di comunità Due chili in più accumulati durante le feste. E’ la media calcolata, chissà con quali algoritmi, dei bagordi fra Natale e Capodanno. Ed è la sintesi di una serie di articoli che paventano diete di ogni genere (c’è persino quella che consiglia di mangiare ghiaccio, accanto al diventare vegani per un mese, vabbè). Ma è proprio questa la fotografia del nostro Paese, sempre uguale ogni anno, con consigli paterni su come tornare in forma? I dietologi si sbizzarriscono, ma alla fine vince la regola del buon senso: porzioni ridotte, attività fisica, cibi semplici evitando fritture e grassi. Niente di nuovo sotto il sole, anche se due notizie, provenienti da due Comuni, Luzzara e Pont San Martin, hanno fatto breccia fra i cliché della comunicazione di inizio anno. Nel primo Comune del Mantovano, il sindaco avrebbe abolito la cattiveria. Ci
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riuscirà? Sta di fatto che il furto degli addobbi natalizi nel presepe dell’asilo ha mobilitato tutta la comunità, che si è prodigata anche per riaprire il teatro, non solo con donazioni, ma lavorando alla ricostruzione. E qui emerge quel senso di comunità evocato anche nel discorso di inizio anno dal Presidente Mattarella che in qualche maniera c’entra con tutte le conseguenze della solitudine, fra cui il mangiare smodato di chi non si vuol bene. Il secondo esempio, a Pont San Martin, invita a donare cibo ai poveri in cambio della diminuzione delle tasse, invito rivolto agli esercizi commerciali che evitano così di sprecare generi alimentari vicini alla scadenza. Se doni 50 chili di cibo in due tranche, per esempio, ottieni uno sconto sulla Tari. E anche qui c’è l’idea dei bisogni di una comunità, che negli anni è mutata se è vero che il 20% della popolazione di tanti paesi è costituita da stranieri. I due filoni di notizie sembrano in contraddizione l’uno con l’altro: da una parte un popolo in sovrappeso che si butta in palestra per tornare in forma, dall’altra l’esempio delle comunità che cercano di intercettare i bisogni, perché questa parola - “comunità” - abbia un senso all’altezza della propria dignità. Tutto questo succede nell’anno che sarà ricordato per i colori dei gilet: gialli, arancioni, azzurri, poi arriveranno quelli rosa e quelli rossi, quelli neri e quelli bianchi, mettendo in scena l’eterna battaglia fra chi sfoga una rabbia e chi confluisce il disagio in un atto di costruzione. L’8 gennaio il Vangelo ricordava il miracolo dei pani e dei pesci. Che è la metafora del bisogno e della Provvidenza, del pane consumato dentro a una comunità di 5 mila persone che ha guardato in un’unica direzione per ricevere una risposta. Anche nel piccolo si può indicare una direzione da perseguire, che non è la rabbia, ma l’assunzione di responsabilità. Luogo dove la Provvidenza è capace di manifestarsi. (Avvenire 9 gennaio) Stasera ero a Verona, o meglio in una cantina di Mezzane in Valpolicella. Una cantina che non conoscevo, Provolo, che produce un eccellente Amarone. Ed è stato molto bello vedere una famiglia all’opera, con il papà silenzioso, anche se giovane, perché deve mandare avanti il figlio. Serata straordinaria: per i vini, per la compagnia, per la scoperta di un altro pezzo del mondo del vino che mi mancava.
potrà raggiungerci sabato alla convention dei Delegati di Papillon, per un problema famigliare e quindi vado da lui, per registrare un video di saluto. Ma prima discutiamo una buona ora sulle bozze del libro che ormai sta terminando e che in primavera vedrà la luce. Un altro passo avanti, un altro pezzo di civiltà da costruire. Faccio appena in tempo a partire, per arrivare ad Alessandria, al termine del rosario della mamma di Francesco Ottoboni, un mio amico di vecchia data, di Alessandria, al quale sono affezionato, benché non ci si veda mai. Credo che lui abbia letto alcune cose nella vita delle persone, e anche della mia, di una profondità rara. Arrivo e lo abbraccio. Lui è lì con il papà, con sua moglie Simona, che lavora con me da una vita, con i suoi figli. Mi vien solo da dirgli, davanti al suo sorriso, che l’amicizia con certe persone è per sempre. E di questo bisogna essere certi. 11 gennaio Alla Bullona la cenetta fra amici Si fa appena in tempo a prendere confidenza con la scrivania e il computer che già bisogna partire. Il weekend che ci aspetta è assai impegnativo: la convention dei delegati di Papillon e quella dei collaboratori della nostra guida ai ristoranti. Due giorni intensi alla Cascina Bullona di Magenta, che per me iniziano già con la cena di venerdì, dove ritrovo Umberto Dallaglio da Reggio, Pio Mattioli da Fermo, Giovanni Pracucci ed Erio Sbaragli da Forlì e naturalmente il patron di questo agriturismo bellissimo, Stefano Viganò, che ci coccolerà per tre giorni. Quante persone incontreremo in questi due giorni? Sono le persone più care, quelle che hanno preso a cuore un progetto e lo portano avanti, con determinazione. Mi viene in mente Arnaldo Cartotto di Biella, che ha preparato una relazione puntuale, oppure Enzo Vasta da Catania che vuole ripartire dai giovani. Prima di raggiungere Magenta mi sono immerso in tutte le relazioni dei delegati e ho provato a scrivere la mia, che poi completerò dopo i lavori, per mandarla anche agli assenti.
10 gennaio Ad Asiago da Gianni Rigoni Stern Giornata a Verona, dopo la degustazione di ieri sera, per affinare il programma di Vinitaly and the city. Quindi riunioni, contatti, progetti, per far diventare questi 4 giorni il più bel Fuorisalone mai visto. Da Verona parto poi per Asiago: Gianni Rigoni Stern non
Silvana con i delegati Umberto Dallaglio, Pio Mattioli, Giovanni Pracucci ed Erio Sbaragli
Gianni Rigoni Stern manda un video con i suoi saluti ai delegati del Club di Papillon
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12 gennaio La convention dei delegati L’ora di inizio della convention dei delegati è alle 11. Arriva anche don Lucio Guizzo e arrivano i nostri ospiti, Francesca, Fides, Cristina. Ci sediamo intorno al grande tavolo a ferro di cavallo e incominciamo con una mia breve introduzione prima dell’incontro con 4 persone, che ci hanno spiazzato.
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Nel pomeriggio l’assemblea plenaria coi delegati per mettere a fuoco le iniziative del 2019 e infine la messa con don Lucio e la cena, con una Jéroboam di Barbera 2006 di Giulio Accornero, che era fantastica. Hanno partecipato una quarantina di persone. Ora bisogna tenere vivo lo spirito di amicizia, ma anche quel senso di spiazzamento di quelle giornate. Qui di seguito, accanto alle immagini della giornata, la relazione che ho inviato a tutti.
La testimonianza di Fides Marzi
Francesca Settimi racconta della sua scuola dedicata all’integrazione alimentare
Cristina Scarpellini, produttrice di vino in Valtellina
Un momento dei lavori della convention alla Cascina Bullona
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Riprendo subito quanto detto nell’introduzione di sabato mattina. “Davanti a un momento dove ci è chiesto di fare il punto sul lavoro di un anno passato e di un altro che è davanti a noi, il tentativo è stato spesso la negatività, le cose non riuscite, con il contorno dell’idea geniale (perché non venite tu o Marco...) quasi che un altro possa riempire un vuoto. Ma se la situazione non cambia...” Durante il nostro dialogo nel pomeriggio, condizionato dai quattro interventi del mattino che sono stati commoventi e di cui a breve vi dirò, non è emersa la negatività, questo no, ma ci sono stati molti silenzi da parte di delegati storici, che mi hanno fatto pensare. Oppure era un momento di riflessione in atto, di cui sarà interessante sapere eventuali reazioni prossimamente (invece il silenzio è continuato, a distanza di un mese, e questo proprio non va bene. ndr). Mi ha colpito la relazione dinamica di Arnaldo Cartotto, l’ultimo arrivato, che ha aggregato 80 persone del Biellese e ha svolto un programma reale, che in molti casi ha marcato anche una presenza pubblica. Credo che Arnaldo abbia colpito tutti: per la serietà con cui si è posto nell’assumersi un impegno, che durante la convention, in qualche modo, è stato un riferimento. Della serie: “E’ possibile fare il Club come lo abbiamo concepito, ma ci vuole metodo, come abbiamo sempre detto”. Un altro episodio ci ha poi fatto riflettere quando la delegata del Canavese, Loredana, ha detto che la parte del sito dedicata al Club non funzionava, perché apparivano solo le attività dei Club piemontesi, come se ci fosse una pagina regionale e basta. Allora abbiamo aperto in diretta la pagina, per scoprire che le informazioni postate erano quelle che avevamo ricevuto: in maggior parte dei due Club piemontesi, come se non ci fosse altra attività, se non sporadica o legata alle Cene in ComPagnia delle altre delegazioni. Come si supera questo Gap? Alla mattina, abbiamo voluto incontrare qualcuno che in nome del gusto ha messo in pista qualcosa che ha mobilitato la propria vita. Nel segno che la realtà ci supera sempre ed è come un treno che passa di fianco a una grande discarica, oppure a un villaggio di case bombardate. Ma il treno passa e ci fa vedere cose nuove: di fuori e addirittura nei compagni di viaggio che siedono accanto a noi. Io quest’anno mi sono trovato spesso di fronte a una realtà che mi ha superato, che mi ha fatto alzare lo sguardo dai problemi. L’editoriale che ho scritto per l’ultima Circolare di fine anno è forse quello più autentico, perché non ho fatto altro che mettere in fila gli incontri di quelle persone che in qualche modo ci cercano. Ma non per riempire un vuoto, ma per essere insieme, per muoversi con... noi.
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Ecco perché la presenza di Francesca Settimi: una ragazza solare, minata da una malattia che le ha compromesso lo stomaco. Lei faceva l’architetto, ma un’amica l’ha convinta a lasciare tutto e a dedicarsi al gusto. Ha fatto corsi, si è specializzata soprattutto in pasticceria e alla fine ha messo in piedi una scuola dedicata all’integrazione alimentare dove partecipano soprattutto persone di altri Paesi del mondo, che iniziano a conoscere la cucina italiana. Con lei, presto, andremo a conoscere una signora in Francia che fa delle confetture spaziali. Ma quello che mi ha colpito è il suo riposo che ha trovato dentro al gusto, nella sua lotta contro una malattia. A noi sabato mattina ha detto che “il vero amore per le cose rende tutto realizzabile. E alla fine le energie positive iniziano a circolare. E le persone pulite e oneste attirano simili. Commovente quando ha detto che la passione ci fa anche guarire”. Per conoscerla meglio c’è il sito www.cookonthelaikes.it. Poi c’è Gianni Rigoni Stern, con cui siamo stati insieme in Bosnia, questa estate, e lì l’orizzonte si è davvero allargato. Voleva farmi vedere come erano stati spesi i soldi che avevamo raccolto, farmi stare con le persone che sorridevano e quelle che piangevano, con la ricostruzione e la corruzione. E a ogni incontro io pensavo fra me che mi sarebbe piaciuto avere con me qualcuno di voi. Giovedì sono salito ad Asiago per fargli un'intervista, perché a causa di un problema della moglie che è stata ricoverata, non poteva essere con noi. Lo abbiamo dunque ascoltato dal video: 10 minuti dove lui ci ha parlato del libro che sta scrivendo con noi e che vedrà la luce fra un paio di mesi, ma anche di come è nato, 10 anni fa, questo progetto che lui sta portando avanti in prima persona. Poi c’è la Fides, un’altra amica straordinaria, originaria del Burundi, coinvolta nel Club della Valtellina che ha creato un progetto per la sua gente. E quando me l’ha detto le ho proposto di condividerlo insieme, magari partendo dalla presa in capo di un particolare, che può essere l’acquisto di una decina di vacche autoctone, funzionali a un’agricoltura capace di fornire elementi nutrienti. Anche la sua testimonianza è stata importante, soprattutto quando ci ha portato il libro dedicato alla sua madre adottiva, una signora che, a 70 anni, ha deciso di accogliere una ragazzina in pericolo di vita. Per 20 anni non ha potuto tornare in Burundi, ma ora che si sono riallacciati i nodi, dopo aver imparato tutto ciò che c’era da sapere nel campo zootecnico, ha scelto la via del principio di restituzione. E infine la sorpresa di Cristina Scarpellini, che ha iniziato a fare la Delegata di Papillon e oggi produce vino in Valtellina. Ma una che incontra la nostra esperienza, nel senso più largo del termine, non può fare la produttrice qualsiasi, crogiolandosi nei
riconoscimenti e nei premi. E così la forza delle relazioni l’ha portata a condurre a termine un progetto come il riconoscimento del Patrimonio Unesco nella sua terra (i terrazzamenti). Li ho invitati perché per me sono stati quella realtà che ci supera, che ci sprona a vedere un impegno in una prospettiva diversa. Credo che la loro presenza sia stata dirompente o, come ha detto Marco Gatti nella sintesi finali della mattina, è stato un pugno nello stomaco o, meglio, alla nostra misura. Nell’assemblea plenaria della prima parte del pomeriggio abbiamo provato a reagire a quanto ascoltato al mattino, scoprendo anche che quelle persone potranno coinvolgersi in qualche modo con i Club locali. Nella seconda parte abbiamo stilato un programma di cose da fare nel 2019. Che riassumo sinteticamente. • Cene In ComPagnia si svolgeranno nel periodo dal 14 febbraio al 31 marzo, con la consueta formula. Due saranno le realtà che aiuteremo quest’anno: la Transumanza della Pace per il completamento del progetto di comunicazione avviato lo scorso anno e altre necessità e l’iniziativa di Fides in Burundi. • Assemblea Annuale la svolgeremo come sempre a Mortara, alla trattoria Guallina (l’oca), il 24 marzo. • Golosaria Monferrato si svolgerà dal 29 al 31 marzo e quest’anno abbiamo la necessità di avere la collaborazione fattiva (per presidiare le due location principali) degli amici di Papillon che possono essere disponibili. Abbiamo già ricevuto l’adesione di Fulvio Tonello e di Luigi Galluppi. • Giornata di Resistenza Umana torneranno le Giornate di Resistenza Umana, che abbiamo interrotto da qualche anno. La prossima si svolgerà sabato 22 giugno in Valsesia. • Meeting di Rimini al prossimo Meeting per l’amicizia fra i popoli vorremmo tentare di porre un momento di riflessione sul nostro contributo all’integrazione, partendo dai due esempi di Fides e Gianni Rigoni, con la presentazione dei rispettivi libri. L’idea è che la giornata che ci verrà assegnata (che sarà domenica pomeriggio 25 agosto) possa permettere di rimarcare la nostra presenza, di incontrarci per fare una mini convention e magari cenare insieme come da tradizione. • Manifesto della Bottega Italiana lo rilanceremo nei prossimi mesi, chiedendo l’adesione via mail a
Foto di gruppo dei delegati dei Club di Papillon
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chi vorrà sottoscrivere il manifesto e quindi esporlo. Ma su suggerimento di Luigi Galluppi, merita riproporre i 10 punti del nostro Decalogo del Gusto che stanno tornando attuali e che vi allego a questo in un box a parte. Decalogo del Gusto 1 L’ORDINE La prima considerazione da cui vogliamo partire è che siamo dentro a un ordine, segnato dall’Universo, e declinato dalla scansione delle stagioni che in ogni luogo della terra, interagendo con l’uomo, danno di che vivere in maniera consona ed equilibrata. Solo un relativismo spinto può disconoscere questa naturale dipendenza, che è un messaggio esplicito di bene. 2 CONTRO IL DISORDINE L’opposto dell’ordine è il disordine, che in campo alimentare, di fatto, porta alle patologie di questo secolo dove la più contraddittoria è l’obesità. Per questo Papillon punta sull’educazione alimentare, che significa stili di vita, ma anche attenzione alla stagionalità dei prodotti, all’agricoltura di prossimità (il consumo a chilometro ravvicinato) che è fonte di salvaguardia di energia nei prodotti stessi e di maggior salubrità. 3 CONTRO LO SPRECO Un’altra contraddizione di questa società è l’aumento dello spreco alimentare, frutto non solo di un benessere spesso effimero, ma di un’assenza di saperi che un tempo si tramandavano tra generazioni e che avevano come sfondo una moralità, per cui era naturalmente giusto non buttar via nulla. Anche questo è un punto di lavoro e un impegno educativo di Papillon. 4 PER LA TRADIZIONE La parola tradizione deriva dal latino “tradere”, o meglio trarre dal passato ciò che resta attuale per la quotidianità dell’oggi. Per questo è fondamentale il rispetto dell’empirismo sedimentato in secoli di storia e di ciò che ci è stato consegnato. Ma siamo tuttavia per la tradizione come una cosa viva, e mai come un fattore museale o un canto nostalgico del tempo che fu. La tradizione è viva se diventa un’esperienza positiva, oggi. 5 PER L’AGRICOLTURA SOSTENIBILE Dal passato abbiamo ereditato un tesoro di conoscenze, che nei secoli si sono disperse sotto una eccessiva semplificazione che è divenuta anche un generale impoverimento. Per questo guardiamo con attenzione e curiosità tutti i tentativi di capire come certe pratiche di rapporto tra l’uomo e la terra possano essere rivissute oggi. Per questo mettiamo su di un piedistallo quei giovani vignaioli che hanno riallacciato i ponti con alcune esperienze del passato partendo dal legame col proprio territorio; i produttori artigianali che conservano pratiche consolidate a salvaguardia del gusto vero; i titolari di negozi che considerano queste produzioni a volte eroiche e i cuochi che cucinano credendo che la “grande cucina italiana” è quella del proprio territorio e della propria agricoltura. 6 PER UNA CERTEZZA La parola certezza, soprattutto in merito agli organismi geneticamente modificati, non è stata ancora detta. Dietro l’insistenza con cui si vuole penetrare e quindi modificare l’agricoltura la Circolare
italiana, campione della biodiversità, intravediamo il rischio di un’ulteriore accelerazione all’appiattimento agricolo e alimentare. Sarebbe un punto di non ritorno. Per questo occorre meditare pacatamente, superando il muro contro muro di un dibattito minato spesso dall’ideologia su ogni fronte. 7 PER LE DENOMINAZIONI COMUNALI Contro i tentativi di appannare la memoria sull’origine dei nostri cibi, chiediamo che ogni Comune adotti e deliberi la De.Co. (denominazione comunale), ossia quel fattore identitario che connota una comunità, che molto spesso coincide con un piatto, un prodotto, un sapere che è rimasto patrimonio di un paese e che il sindaco censisce a memoria presente e futura. 8 PER IL GUSTO Evocare la parola gusto non significa intonare un inno all’edonismo e al consumo fine a se stesso, ma riconoscere un segno ricco di significato capace di spiegare la nostra stessa origine. Il gusto non è per ricchi o poveri, è semplicemente un dato. Esiste. Vogliamo conoscerlo? 9 PER LA STORIA Nei tratti della storia, in particolare in quell’incredibile movimento che è stato il monachesimo benedettino, c’è l’espressione massima di cosa siano il gusto e il genio umano. Pensiamo solo ai vini, alle birre, agli oli, alla conservazione del latte che sono i formaggi di oggi o dei salumi. Ripercorrere i tratti della storia che ha fatto l’Europa in cui viviamo oggi è un punto di lavoro che ci siamo prefissati. 10 PER IL BELLO Dal gusto per un cibo o un vino alla scoperta del gusto della vita, della bellezza, che si declina anche nella musica, nella poesia, nella pittura, nel canto, nell’arte in tutte le sue forme. C’è stato un tempo in cui questo era tutto più unito; oggi l’estetica sembra inevitabilmente slegata dall’etica, come se la ricerca della bellezza nella propria vita non fosse il faro per la ricerca della verità. Il mangiare e il bere, di fatto, fanno parte di un’unità di esperienza che non è prerogativa degli spiriti raffinati ma dell’uomo come tale. L’uomo che dimentica questa cosa ne paga il prezzo gustando le cose in modo meno umano. Papillon, che è nato da un particolare come il cibo e il vino, ha quindi come orizzonte la scoperta di un significato. Possiamo tentarlo insieme? Paolo Massobrio Ha fatto effetto anche a me rileggere queste note, perché poi la vita ti travolge e cominci a dimenticare. Ma gli amici sono fatti invece per questo: per non dimenticarsi mai. 13 gennaio I collaboratori della guida La riunione con i collaboratori della guida sarà altrettanto partecipata, e dopo l’assemblea plenaria, il momento del pranzo diventerà l’occasione per bere insieme alcune bottiglie eccezionali che ho portato dalla mia cantina. Una su tutte mi rimarrà impressa: il Cabernet Sauvignon prodotto in Trentino da Marco Donati, già autore di un Teroldego leggendario. Anche ai collaboratori abbiamo letto una relazione precisa, che per ovvi motivi non possiamo rendere pubblica e che riguarda il
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metodo del nostro lavoro nel provare i ristoranti. Tanti i consigli e le considerazioni, tanta vivacità. Si parte! Quando finisce tutto, quando cala il silenzio in questa campagna lombarda, ti si stringe il cuore, perché vorresti prolungare l’incontro, il dialogo, il senso di stima reciproca che ci siamo manifestati. Ma la vita incalza. E domani bisogna già ricominciare. Fides, le mucche e il Burundi che cresce Fides Marzi la conoscono tutti in Valtellina. L’hanno vista negli alpeggi, fra le vacche al pascolo che forniscono il latte per la produzione del Bitto e di altri formaggi nobili. Ha lavorato come agronomo zootecnico all’Associazione provinciale allevatori di Sondrio e la sua è una storia fantastica. Arriva in Italia dal Burundi quando ha 12 anni, primogenita di sei figli. Il padre, Simeon Rwabaye, direttore generale del ministero per gli Affari Sociali, era stato ucciso durante una guerra fra etnie agli inizi degli anni Settanta; un missionario comboniano, padre Gianni Nobili, si era prodigato per favorire l’adozione dei figli di Simeon. Chi accetta di prendere in carico Fides è una maestra in pensione di 70 anni, Lena Marzi, classe 1905, che la integra con amorevole cura fino a portarla alla laurea in Scienze agrarie. Lena muore nel 2001, quando Fides è sulla soglia dei 40 anni e dentro di sé matura l’esperienza indicibile che è il principio di restituzione. Appena il clima in Burundi si rasserena, organizza i primi viaggi nella sua terra e, passo dopo passo, mette insieme un progetto per la sua gente dove ci sono tutte le conoscenze che ha appreso nel mondo agronomico e zootecnico valtellinese. Fides l’ho incontrata svariate volte, perché la sua curiosità è infinita: assaggiatrice di formaggi, sommelier, membro del direttivo del Club Papillon in Valtellina, insegnante e fondatrice nel 2006 dell’Associazione Dukorere Hamwe che significa “Lavoriamo insieme", ponte fra Valtellina e Burundi. La stessa associazione pochi mesi fa ha dato alle stampe un bellissimo libro dedicato agli sguardi sulla vita e sul mondo di Lena Marzi, donna che ha dimostrato come ci si possa mettere in gioco in qualsiasi momento, perché la giovinezza è uno stato d’animo e non un dato anagrafico. All’inizio dell’anno Fides e i suoi amici hanno deciso di avviare in Burundi un’attività agricola per introdurre colture che possano risolvere il problema della malnutrizione endemica e dare reddito alle famiglie, introducendo tecniche intensive per una maggiore produttività. Da qui l’esigenza di acquistare bovini di razza autoctona (costo medio 800 euro ciascuno) per ottenere il letame che incrementa la fertilità e accelera i risultati. Si tratta di piccoli progetti, facilmente realizzabili, e all’appello gli amici di Papillon di tutt’Italia hanno risposto subito. Perché commuoversi chiede un’azione: muoversi con qualcuno. Nel 2019 acquisteremo più vacche possibili. (Avvenire 16 gennaio)
lente di sistemi fra aziende, che opera a Verona. Poi l’incontro con un creativo, Ugo Marangoni, che mi ha coinvolto in un cartello di serate in un posto fantastico, la Corte Scaligera di Mozzecane che andrò a visitare il giorno dopo, rimanendo sbaccalito dalla bellezza. Un luogo nato dentro il più grande allevamento di Limousine d’Italia, dove si produce la mitica scottona. Bellissimo. E qui conosco anche Benedetta Tovo, che insieme alle sue quattro sorelle produce un Carnaroli ecosostenibile nel Mantovano. Durante il viaggio, al mio arrivo di ieri, la bella cena al San Mattia, un locale multifunzionale dove vedi tutta Verona dall’alto. Una chicca!
L’interno della Corte Scaligera
Alla sera, il solito amico, Giordano Simeoni, mi preleva in albergo per andare a Sommacampagna alla cantina Corte Gardoni, fondata da Gianni Piccoli. E a sorpresa trovo schierata tutta la sua famiglia, con i figli, i nipoti, le nuore e la moglie, una signora silenziosa che mi ha colpito molto per il suo viso lieto. Gianni ha 77 anni e ha costruito questa cantina leader da sempre. Il suo Bianco di Custoza e il suo Chiaretto sono fantastici, ma ancor di più il Bardolino. E il figlio Mattia, a fine cena, dopo aver mangiato i mitici tortellini di Valeggio e altre leccornie lancia una sfida: una bottiglia cieca della stessa annata 1997 del loro Bardolino Superiore. Era un Sassicaia. Come a dimostrare che si può andare molto vicini a quello che è considerato il vino più buono del mondo. Quando sono arrivato nell’aia, Gianni mi ha abbracciato e mi ha ricordato un articolo, che scrissi sulla Stampa nel 2000. “Me lo ricorderò sempre, perché mi hai chiamato appena dopo una grandine che aveva distrutto tutto”. E lui mi disse che il buon Dio dà e toglie e tutto ha un senso. Me la ricordo anch’io quella lezione. A Natale ogni anno Gianni mi manda una cassa di mele, le sue mele buonissime, una bottiglia di olio e di aceto e il suo vino. Un dono contadino che ricordo come il più bello che possa ricevere. Che serata magica.
15 gennaio A Verona, in un locale dove vedi tutta la città e la clamorosa Corte Scaligera di Mozzecane Anche questa settimana sono a Verona, per le consuete riunioni su Vinitaly and the city: tre giorni intensi come sempre, con qualche inserto simpatico. Il primo sarà l’incontro, a pranzo, con Federico Pendin preside della scuola Dieffe di Padova col quale impostiamo un master dedicato alla ristorazione, che potrà tenersi a maggio a Padova o a Verona, dove hanno una bella sede. Pranziamo insieme con Bernhard Scholz, presidente nazionale della Compagnia delle Opere e con Luca Castagnetti che è un consula Circolare
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La famiglia di Gianni Piccoli di Corte Gardoni
diario di viaggio
16 gennaio Muore Giancarlo Bini La notizia mi arriva il giorno dopo: è morto Giancarlo Bini. Era una persona buonissima, straordinaria. Era un esperto di cose buone, un appassionato di olio, un ristoratore. Aveva inventato I Salotti di Giancarlo Bini e ricordo oltre 20 anni fa quando partecipai a quello che fece sul Monte Argentario. Era generoso e amico sincero. Lo conobbi a casa di Giacomo Bologna e da allora lui è sempre venuto a cercarmi, con sua moglie Lella. Venne a Grosseto, quando seguivo Maremma Food Wine Shire, ma soprattutto venne a Golosaria a Milano, nell’ottobre scorso, con suo figlio che ha un locale a Milano. Mi mancherà quella persona perbene, mite e tenace nel medesimo tempo, uno che sapeva essere amico, che non voleva mai diventare invadente e che mi seguiva con simpatia, anche se avrebbe potuto insegnarmi moltissimo. Sono felice di essergli stato amico.
Un ricordo con Giancarlo Bini
17 gennaio A cena al bistrot Ottocento Risveglio a Verona e, come detto, visita alla Corte Scaligera, poi un appuntamento a Padova e infine a Bassano del Grappa, nell’hotel di Roberto Astuni dove, alle 17 in punto, mi metto a letto, perché sono stanco quanto basta. Alle 20 saremo a Pove del Grappa, all’interno del vecchio albergo Miramonti, dove Roberto Astuni e Riccardo Antoniolo hanno deciso di giocare la carta di un nuovo locale dedicato alla pizza contemporanea. Un locale elegante, dove le pizze già ottime di Riccardo saranno declinate in quattro versioni. Riparto al mattino presto alle 6 per raggiungere in tempo Alessandria. Ma riesco anche a fermarmi in un autogrill a leggere i giornali del giorno per confezionare La Notizia. Gennaio avanza e bisogna darsi da fare. 18 gennaio Claudia Oggi è l’ultimo giorno di lavoro di Claudia Gerosa, che è con noi da oltre 15 anni. Claudia è stata una colonna della nostra realtà, un punto di riferimento, un’amica. Siamo cresciuti insieme, professionalmente, condividendo successi e insuccessi, fatiche e momenti belli. Quando arrivò ad Alessandria, per questioni di cuore, bastò un colloquio veloce per capire che era la persona che faceva per noi. Ma appena dopo l’ultima Golosaria ci ha detto che avrebbe cambiato vita, perché così ha deciso col suo compagno. E insieme abbiamo accolto il suo desiderio come quando un figlio ti dice che va via di casa, ma rimane sempre un figlio. la Circolare
Claudia Gerosa
Una cosa ci è sempre stata chiara, a me e Silvana: la vocazione delle persone che diventano amiche va assecondata, sennò non è amicizia, ma diventa possesso. Certo dispiace, ma il cambiamento fa parte della dinamica della vita. Ora troveremo chi potrà entrare in squadra con noi e già due persone nuove sono al lavoro. Con Claudia ci rivedremo ancora, così come è stato con tutti quelli che sono stati con noi. La sua avventura professionale sarà in campo agricolo e io già tifo perché sia un successo. Non siamo poi così distanti. Un grande abbraccio da tutti noi.
19 gennaio Diesse a Saronno Un sabato mattina a Saronno, a fare una lezione a un gruppo di insegnanti delle scuole materne. Mi hanno invitato quelli dell’Associazione Diesse, che promuove l’aggiornamento professionale degli insegnanti e il titolo del mio intervento è “Nel cibo il racconto della nostra origine”. Starò quattro ore con loro, a raccontare quanto è potente il gusto nella vita di ciascuno di noi. Alla fine si apre un dibattito ampio, con tante domande e considerazioni che creano un quadro della situazione educativa di oggi, dove la composizione delle classi a scuola è mutata e bisogna cercare i punti di incontro. Una bella mattina. Alla sera, invece, mi trovo con Resi e Nello in un posto clamoroso, alle porte di Milano. Si chiama L’Agricola e sta a Lainate. Un’azienda agricola che ha generato una bottega, un ristorante, un bistrot dove servono hamburger. Insomma un posto dove si mangia bene e dove il chilometro zero è applicato in grande stile. Dopo il locale di Mozzecane, anche questo rappresenta un esempio del nuovo che avanza. Uno di quei luoghi dove la gente va volentieri e si riconosce nei valori della nuova agricoltura. Mi mancava. Silenzio, si mangia! A scuola di gusto La cucina italiana è sempre più amata: lo dicono le classifiche rilevate nella Rete, ma lo dice anche l'evoluzione che si registra in alcuni Paesi. In Spagna, per esempio, sono in crisi i locali che dispensano tapas, ovvero i luoghi dove si sfamava una certa popolazione: pare che dal 2004 a oggi siano spariti 50.000 esercizi del genere, mentre negli ultimi due anni sono aumentati i ristoranti. I motivi di questa crisi spagnola sono dovuti anche allo spopolamento dei piccoli borghi, più che a una mera questione di denaro circolante, altrimenti non si capirebbe perché aprano i ristoranti. Tuttavia, analizzando i locali che fanno tendenza nel quartiere del Born a Barcellona, si scopre che molti locali che hanno fortuna sono frutto di creatività italiana. E in questo caso, più che una cucina che viene amata, si può parlare di prodotti, se è vero che il gorgonzola abbinato al Vermut di casa nostra sta diventando una novità. Detto questo, ha fatto riflettere l'intenzione della giunta pentastellata di Torino (in realtà non ancora ufficialmente manifestata) di allontanare i fast food dalle scuole, così come avrebbe già fatto il sindaco di Londra. Distanza di sicurezza: almeno 400 metri. La proposta, se verrà manifestata, è destinata alla polemica, anche perché necessita di un riferimento normativo nazionale. Tuttavia la domanda che ci si pone è un'altra: quale sarà l'alterna-
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tiva? Sì certo, tutti ricordano la panetteria di Altamura che riuscì a battere la concorrenza di un McDonald's; ma quali economie di scala riesce a mettere in atto un esercizio di casa nostra per avere prodotti alla portata delle tasche dei giovani? Bisognerebbe riflettere su quella propensione al chilometro ravvicinato che è diventato uno slogan facile, ma che poi trova scarsa applicazione. Eppure è culturalmente importante, perché invita i più giovani a provare il gusto di ciò che nasce da una terra di prossimità e da un sapere artigianale locale. Sabato scorso a Saronno ho avuto il piacere di un dialogo con una ventina di maestre intorno al tema del gusto. E siamo finiti a parlare del silenzio. Ossia della necessità che quando si mangia qualcosa di buono bisognerebbe stare in silenzio. Per me che degusto un vino, per esempio, è impossibile coglierne le sfumature in un locale assordante, ma la stessa cosa vale per il cibo. E così ho scoperto che in alcune classi questo gioco del silenzio hanno iniziato a farlo da tempo, ottenendo dei risultati interessanti sul fatto che il mangiare non è un atto meccanico. Ora, se si vuole davvero contrastare un modello che non ci appartiene, sarebbe importante domandarsi quale modello meriti invece d'essere valorizzato. E se questo secondo modello richiama il gusto, occorre attuare una strategia perché sia rispettato. Senza troppo rumore. (Avvenire 23 gennaio) 20 gennaio A cena a Inverigo Stasera, domenica, cena sorpresa alla Vignetta di Inverigo con Marco Gatti. E quando il patron dice che fanno la cassoeula, faccio volare il menu dalla gioia. Mangeremo alla grande, in un locale radioso, curato da una coppia davvero bella. Ma ciò che apprendiamo è che quest’anno sono stati tolti dalla guida Michelin. La strategia sembra chiara: tagli alla tipicità, e soprattutto alla cosiddetta ristorazione media (che non voglio più chiamare così, perché questa è la ristorazione italiana. Alta, altissima).
A pranzo il delegato di Papillon di Bari, Michele Franco con sua moglie Elisabetta mi porta nell’ennesimo locale innovativo, che si chiama Cortigiano, dove scopriamo una carta dei vini pazzesca e una formula smart che raggruppa tantissima gente, pur non essendo nel centro di Bari. La Bari vecchia la vedremo invece la sera, per una cena tipica al ristorante La Locanda di Federico! Il giorno dopo la convention nei locali di una realtà che si è trasformata. Si chiama Ad Horeca e sta a Modugno. Loro nascono come venditori di alimenti per la ristorazione ma hanno avuto l’intuizione di creare un centro di formazione. Che appare moderno, dotato di ogni elemento per favorire la crescita dei propri clienti. Il personale è gentile, giovane, preparato. E in questo contesto inizia il dialogo con 40 persone, che assistono anche allo show cooking di Sergio Vineis, titolare del ristorante coronato il Patio di Pollone. Nel pomeriggio un salto a Polignano a Mare e poi in aeroporto: alle 20,30 saremo a Linate, giusto in tempo per provare l’ottima cucina del ristorante Antico Borgo di San Giuliano Milanese. Il dottor Marco Neri, vice presidente della Federazione Italiana Fitness, ha fatto una lezione interessantissima sul valore delle acque leggere. Non lo conoscevo, ma le sue argomentazioni mi hanno colpito molto e ho trovato una connessione interessante con quanto dicono i dietologi: l’acqua ha un potere curativo che non conosciamo. Per questo è necessario scegliere quella giusta.
Cena con il gruppo di Lauretana alla Locanda di Federico
23 gennaio A Milano e nevica Scende la prima neve, che da Milano si espande lungo tutto il tragitto, fino ad Alessandria. Una breve parentesi imbiancata, che quest’anno ancora non avevamo visto. Domani sarò a cena a Felizzano all’ottimo Sebastiano a Stefania, ristorante col sorriso e con grandi bottiglie. E poi via per un altro tour de force. Simone e Betty Galli della Vignetta di Inverigo
21 gennaio A Bari nell’hotel della Cgil Si parte al mattino presto, destinazione Bari. Gli amici di Acqua Lauretana mi hanno voluto come moderatore di un incontro con la loro forza vendita, per favorire un dialogo intorno ai loro valori. Si parte dunque con l’aereo al mattino, per giungere l’Hotel dove si svolge il congresso elettivo della Cgil, per cui all’ingresso vedo la Camusso con quello che sarà il neosegretario, Landini. Ma anche Sergio Cofferati e altri personaggi storici del sindacato. la Circolare
25 gennaio A cena con Giorgio Grai Mattina a Torino con mia zia ultraottantenne che deve sbrigare alcune pratiche e io e mio fratello la assistiamo. Poi di corsa a Sommacampagna per una riunione di Vinitaly and the city e infine a Pozzolengo, al Muliner dove cucina l’ottimo Lorenzo Bernardini, per una cena in onore di Giorgio Grai, 89 anni, uno degli enologi più preparati d’Italia. Appena arrivo in camera, mi ritiro a dormire un’oretta, dopodiché scarico la posta e vado nella sala ristorante, dove Giorgio Grai è già seduto attorniato da varie persone che lo ascoltano. Cenere-
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mo poi insieme, allo stesso tavolo, assaggiando i suoi vini: il brut, il Pinot Nero, il Cabernet, il Moscato Rosa, ma anche due suoi vini prodotti in Francia dove ha iniziato una nuova avventura. E a cena ci raccontiamo la vita, compresi i momenti bellissimi che abbiamo vissuto insieme, a Rocchetta Tanaro. Sorprendente davvero la vitalità di Giorgio Grai e la sua saggezza. Sorprendenti anche i vini. Il giorno dopo Giorgio mi chiamerà al telefono per ringraziarmi della compagnia: «Sai non ci siamo più visti». «Eh sì, Giorgio, io sono andato a letto all’una passata». «Io invece ho fatto le cinque».
Siamo in un agriturismo sociale, dove questa coppia, Angela e Andrea Pirollo, integra ragazzi di ogni parte del mondo. Un altro esempio virtuoso che con orgoglio abbiamo sul nostro Golosario. Mentre dipano la cronaca di questi mesi, mi rendo conto che sto raccontando tantissima innovazione. Nascono nuovi locali, che attirano gente e tutti esulano dalla formula classica. In più ognuno di questi locali vende prodotti, magari confezionati nella cucina. Come Cà Mariuccia che mi permette di portare a casa un paio di zuppe di stagione, ma anche il loro tonno di coniglio in vasetto. Stiamo assistendo a una rivoluzione.
26 gennaio I tortellini di Valeggio Risveglio al mattino per andare a Valeggio sul Mincio: un caffè con una persona e poi la spesa in un altro posto incredibile, che è il Pastificio Remelli, dove fanno dei tortellini fantastici. Compro anche i loro tortelli all’Amarone e le sossole di Carnevale, ma intanto sbircio il locale con tanti tavolini dove la gente si siede e mangia. E poi acquista i migliori prodotti (anche del Golosario) confezionati da questa squadra. A pranzo ad Alessandria, mangerò queste specialità. Incredibili.
28 gennaio Golosaria nel Monferrato si sta compiendo Giornata dedicata interamente a Golosaria. Prima la riunione in ufficio per verificare le adesioni che come ogni anno arrivano e sono assai interessanti. Quindi il viaggio nel Monferrato: a Fubine, per incontrare i nuovi amministratori locali, poi a Vignale col sindaco, per mettere a fuoco il premio all’amico del Grignolino di quest’anno; quindi a Moncalvo con gli amici della Pro loco. Nel mezzo di questo tour, andiamo anche a visitare una nuova cantina, a Vignale Monferrato, in località Mongetto, dove una famiglia di imprenditori che risiedono a Bergamo, i Rosolen, hanno rilevato un’azienda agricola esistente per creare la cantina Hic et Nunc. E rimango colpito dalla freschezza della loro Barbera, ma anche dal Cortese da vigne vecchie. I loro due brut invece, li conosceremo nel Castello di Uviglie, a Golosaria. Alla sera, la tradizionale bagna caoda preparata da Valentino Veglio, produttore di olio nel Monferrato. Un momento divertente, con un centinaio di persone. Un momento che inizia con una fettunta per ricordare un amico che non c’è più: Giancarlo Bini.
27 gennaio L’Albugnano è Doc Domenica in campagna, in un altro posto clamoroso, ovvero l’agriturismo Cà Mariuccia di Albugnano, che è allevamento, vigneto, bottega di prodotti, ristoro e agripizzeria. Ci ritroviamo in otto, gli amici della Gallia, e dentro il locale della pizzeria ci raccontiamo la vita assaggiando i vini eccellenti di questo produttore, alfiere del vino Albugnano Doc a base di uve nebbiolo.
L’esterno di Ca’ Mariuccia
La cantina Hic et Nunc di Vignale Monferrato
Andrea Pirollo di Ca’ Mariuccia con i suoi vini
Alla serata dedicata alla bagna caoda
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31 gennaio Se il gusto vuol dire Matè E siamo arrivati di colpo al 31 gennaio, la fine del mese con gli eventi che incalzano. In settimana riunioni a Milano e a Carmagnola, per impostare già la 70^ Fiera nazionale del Peperone. Poi stasera l’incontro con un altro personaggio davvero dinamico. Lui si chiama Giuliano Mattavelli e ha realizzato un format, chiamato Matè, a Treviglio in piazza Garibaldi che è una teoria fra cibi di ottimo livello e nutraceutica. Con lui lavorano uno staff di ragazzi giovani e i prodotti sono tutti di aziende agricole del circondario, compresa una realtà fantastica, Adamas, che produce caviale (ne assaggeremo sei tipologie differenti, fra cui il raro caviale bianco). In carta i vini della Bergamasca e nel cuore una serie di progetti clamorosi, che vedranno la luce nei prossimi anni, tutti votati all’integrazione intorno al gusto. Il locale è poi bottega, pizzeria, bistrot, dove fra l’altro mangeremo proprio bene. Posso definitivamente dire che questo è stato il mese delle novità, come se gennaio mi avesse fatto vedere la prospettiva di ciò che sarà. E anche questo Matè, che richiama l’origine, la terra, è un progetto di successo. Il fatto di avere incontrato tutte queste realtà sembra quasi una strada per dirci che dobbiamo raccontarle. 1° febbraio Esce I Ristoranti del Golosario Puntuale esce su La 7 e poi sul Corriere della Sera la pubblicità con la nostra copertina rossa de I Ristoranti del Golosario. Si tratta del primo volume di una serie di 3, allegato a Bell’Italia, che raccoglie tutte le nostre recensioni dedicate alle soste a tavola. Marco Gatti mi manda lo spot di La 7 sul telefonino e ci diciamo, per scherzo: “Ma allora è una cosa seria!” Oggi, intanto, sono a Verona ci sono arrivato in treno all’ora di pranzo: stasera ci sarà la cena di gala organizzata dal Consorzio di Tutela della Valpolicella, prologo della presentazione del giorno dopo dell’annata 2015 dell’Amarone. Ci si ritrova come sempre davanti al ristorante Vittorio Emanuele II in piazza Bra, per l’aperitivo di fronte all’Arena, con i produttori, i giornalisti e il ministro per le Politiche Agricole Gian Marco Centinaio. A cena assaggio, con i colleghi, una ventina di vini di aziende affermate e di new entry. Fra i produttori che vengono coccolati c’è Le Guaite di Noemi, che ha avuto l’onore di due recensioni importanti nei giorni scorsi. E il suo Amarone 2010 è decisamente all’altezza della fama. Ma mi intrigano i vini di Giovanni Mattia Ederle, che non conoscevo e che già a cena propone il suo Amarone 2015 e il Valpolicella 2016. Be’, se queste sono le premesse, iniziamo bene!
Grandi conferme le abbiamo avute anche dagli Amarone di Carlo Boscaini, di Cà la Bionda, di Dal Cero, di Degani, di Gino Fasoli (anche quest’anno ai vertici), di Secondo Marco e Vigneti di Ettore (due nostri campioni degli assaggi degli anni passati), di Zymè, di Benedetti Corte Antica. Voti alti anche per realtà più giovani e ancora meno conosciute, come Aldegheri, Corte Figaretto, Scriani, Corteforte, Le Guaite di Noemi, Massimago, Tenuta Santa Maria, Tinazzi, Villa Spinosa. Per molti produttori si è trattato dell’annata migliore degli ultimi 30 anni, migliore dei millesimi 2011, 2001, 2000. Entusiasmante questa degustazione che ci ha fatto ripetere, più di una volta, che il vino è una gran bella invenzione. Ora ci aspetta il tour de force di settimana prossima in Toscana, con i vini della Maremma, il Chianti, il Vino Nobile di Montepulciano e il Brunello di Montalcino. Dura la vita, eh?
Con Giovanni Ederle, giovane produttore di Amarone
Si parte per l’Alsazia Col treno da Verona, alle 14,30 raggiungo Milano, dove mi aspettano in stazione Centrale Silvana, Francesca, Beppe e Monica per un viaggio sorpresa in Alsazia: 5 ore abbastanza tranquille, prima di raggiungere Colmar. Per una faccenda di parole sbagliate abbiamo affittato un pullmino da 9 posti, che è differente da un’auto a 9 posti e lo scopriremo solo al ritorno. Quindi un mezzo decisamente ingombrante che con coraggio guiderà Silvana. Mi incuriosiscono gli autogrill della Svizzera, dove nei bagni si accede pagando un euro e ritirando un biglietto con cui scontare gli acquisti all’autogrill (che non sono proprio a prezzi modici). Alla sera, sotto una pioggia battente, verso le 21 siamo a Colmar e, dopo un consulto
2 febbraio Amarone 2015: grande! Al mattino alle 10,30, mentre si svolge il convegno nel palazzo della Gran Guardia, io e Marco Gatti siamo già col bicchiere in mano per testare il valore di questa annata che si annuncia strepitosa. Dai nostri assaggi alla cieca di 68 Amarone 2015, diciamo subito che la rosa dei magnifici 6 ci ha dato questi nomi: Cà dei Frati, Collis Riondo, San Cassiano, Pietro Zanoni e Zeni 1870, con la sorpresa del campione che più ci ha conquistato che è stato quello, manco a dirlo, di Ederle, piccola azienda veronese del giovane e appassionato Giovanni Ederle. Non è stato facile, in verità, valutare le differenze, perché tutti i campioni avevano lo spessore di questo millesimo. E non si tratta di Amarone muscolosi, quanto invece di vini eleganti, con un calibro perfetto fra acidità, tannicità e note speziate, non sempre sfacciate. la Circolare
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Tra i paesini dell’Alsazia
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su internet seguendo la guida Michelin, scegliamo il primo locale che indicano: le Boucherie. Una delusione (avessimo scelto Tripadvisor magari ci andava meglio). Alle 22 siamo a Turckheim, un paese molto bello, con un centro storico raccolto e tanti localini invitanti. Posteggiamo il nostro mostro in piazza, davanti alla chiesa e ci rifugiamo nell’accogliente Hotel de Deux Clefs. Che sensazione di spensieratezza ti offre il viaggio, soprattutto nei luoghi che non conosci. Questo in Alsazia sarà il primo di una serie e già mi sorprendono i paesini del vino, con i cartelli dei Vignerons Indépendants sulla porta. Domattina faremo un giro fantastico, nonostante i fiocchi di neve. Buonanotte! 3 febbraio L’incontro con la fata delle confetture L’incontro clamoroso sarà quello del mattino, nel paese di Niedermorschwihr, 350 anime, tante cantine, ma soprattutto una pasticceria famosa in tutta la Francia. È quella di Christine Ferber autrice di una teoria di confetture stratosferiche che da due anni, con il fratello (lui si occupa della parte salata, quindi foie gras e quant’altro) ha inaugurato un laboratorio bellissimo, su due piani, con le sale di lavorazione e gli uffici che danno sui vigneti di riesling e di pinot nero. Stiamo con lei qualche ora, compreso il pranzo, ottimo, nel ristorante Caveau Aux Chevaliers de Malte. E ci serve un Muscat demisec come aperitivo da gustare con le lumache. Quello con Christine, per quanto mi riguarda, sarà un vero e proprio incontro, favorito da Francesca che me ne aveva parlato sei mesi fa. Ne scriverò su Avvenire, appena tornato. Mi ha colpito il senso del lavoro di questa signora che ha la mia età. Mi ha colpito la scelta di lavorare nel suo paese d’origine, nonostante le sirene della gioventù che ti portano via. Ho provato forte il senso di famiglia, di gratitudine, e la volontà di fare le cose più buone del mondo. Ci è riuscita? Assaggio la sua confettura di rabarbaro, quella dedicata a suo padre, leggermente alcolica, la torta rosa con dentro pezzi generosi di litchi e quella al cioccolato. Il suo negozio, che è una vera e propria boutique del gusto dove arrivano da ogni parte ad acquistare le torte, il pane d’épices, le brioche, si riempie di gente fino all’orario di chiusura: le 13. Nel laboratorio immacolato sta per partire un ordine di vasetti per il Giappone. E la sera Christine farà una festa per una sua dipendente del Sol Levante che tornerà a casa. Tutto il mondo è paese? Si dice così, ma nei paesi, forse c’è il segreto di una riuscita. La lezione di Christine, angelo d'Alsazia Tutto il mondo è paese. Talvolta questo antico adagio ti viene tirato fuori d'istinto, pensando che già Cesare Pavese ci aveva ricamato sopra dicendo: «Così questo paese, dove non sono nato, ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo. Adesso che il mondo l'ho visto davvero e so che è fatto di tanti piccoli paesi, non so se da ragazzo mi sbagliavo poi di molto«. Questo ho pensato domenica scorsa quando sono stato a Niedermorschwihr, un paesino dell'Alsazia di 350 anime dove abita l'angelo delle confetture, al secolo Christine Ferber. Una donna che lavora sodo, dalle 5 del mattino alle 10 di sera, confezionando a mano le sue confetture che rivende in tutto il mondo. Lei, figlia di un panet-
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tiere, s'è ritrovata a vivere in questo Comune del vino, dove nel dopoguerra le finestre delle case erano mosaici creati coi fondi delle bottiglie. Appena dopo i vent'anni sente però le sirene della città e va a lavorare a Parigi, ma prima – consigliata dal padre che non desiderava quella partenza – si specializza a Bruxelles in pasticceria. Nel 1979 vince la Coupe de France, il concorso per giovani pasticcieri. Del suo paese è anche Pierre Hermé con cui si confronta, perché è combattuta: tornare a casa o viaggiare? Nel 1980 decide: «Tornerò al mio paese e farò i migliori dolci del mondo. Può essere così che il viaggio venga da me». Be', sono passati quasi 40 anni ed è successo proprio questo. Ma quello che m'ha stupito durante il dialogo è che tutto, ancora oggi, le sembra nuovo. E ritorno a Pavese quando, dicendo che un paese ci vuole non foss'altro che per andarsene via, scrive: «Possibile che a quarant'anni, e con tutto il mondo che ho visto, non sappia ancora che cos'è il mio paese?». Christine lo dice con le sue parole: «Ogni giorno è diverso: per le stagioni, per le feste, per i ritmi. Tutto parte e tutto ritorna: è lo scorrere della vita». Ma guai ad accontentarsi: «Così il mondo si ferma». Guai a pensare: «Quanto tempo ci vorrà» per fare una cosa. Con questa paura – dice – si tarpano le ali della libertà. Ora il dialogo con questa donna, mia coetanea, mi ha fatto riflettere su quale Paese voglia disegnare la politica odierna. Ma amministrare una nazione non significa guardare le forze, culturali e sociali, che vivono al suo interno? E molte sono in quella periferia abbandonata, privata dei servizi essenziali, considerata nel migliore dei casi uno spazio di relax per cittadini. E se invece un paese con la sua storia, con quel senso integrale della famiglia e della comunità, fosse un modello? Da rispettare, da assecondare, da incentivare, sapendo che il genio si è formato in quell'humus di storia. Dopo aver conosciuto Christine, dopo aver assaggiato la perfezione assoluta della sua confiture de mon père («Marmellata di mio padre»), ne sono convinto. (Avvenire 6 febbraio)
Con Beppe, Francesca, Christine, Silvana e Monica
Il Diario di questa Circolare finisce qui, alla vigilia di una giuria a Piacenza sulla cucina sostenibile, e prima di partire per la Toscana. Mi leggerete su ilGolosario.it, ma intanto prepariamoci alla primavera. Ci vediamo a Golosaria!
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L'incredibile e inaspettato riconoscimento ricevuto dal nostro Cipressi Nizza è indubbiamente un orgoglio per la nostra famiglia, ma vista la risonanza che sta avendo in Italia e all'estero sono convinto che darà un bel contributo alla notorietà e al prestigio della denominazione e ne beneficeranno anche tutti i produttori della medesima, il che mi riempirebbe il cuore di gioia. Grazie Paolo della tua amicizia e tanti cari auguri per un Nuovo Anno pieno di soddisfazioni. Un forte abbraccio
lettere al direttore
AUGURI SCRITTI A MANO
Berhnard Scholz, Milano
Caro Paolo, ti ringrazio di cuore per i tuoi preziosi libri e per i tuoi cari auguri. Le tue opere sono veramente testimonianza di una cultura millenaria che sa valorizzare tutto e vedere il nesso profondo che congiunge tutte le cose fra di loro e con la nostra vita. Che tu abbia saputo cogliere questa cultura e renderla feconda per la nostra vita oggi, non può che essere fonte di gratitudine. Auguro a te e a tutta la tua famiglia che la festa del Santo Natale illumini e dia vigore alle giornate del Nuovo Anno. Grazie Bernard per queste parole, che mi colpiscono, come leggerai anche nell’editoriale di questo giornale. Quello che raccontiamo è infatti qualcosa che travalica i confini, che riguarda quel nesso incredibile fra la natura e il lavoro, le intuizioni e commozioni degli uomini e la capacità di esprimere qualcosa che, come una cattedrale, è un vertice che si può toccare, col gusto. Questo ho pensato dopo aver incontrato una donna della mia età, che vive in Alsazia e fa le confetture più buone che abbia mai assaggiato. Ma perché ci siamo incontrati, appositamente, essendo distanti tanti chilometri? È questo il segreto della vita che progredisce: incontrarsi, perché non si è mai sazi di aver imparato qualcosa.
IL TUO ARTICOLO MI HA EMOZIONATO
Michele Chiarlo, Calamandrana (At)
Caro Paolo, ho letto con grande piacere su ilGolosario.it il tuo bellissimo articolo su di me e sulla mia barbera Nizza che mi ha profondamente emozionato. Mi ha fatto ripercorrere oltre trent'anni di amicizia con te e assistere alla tua incredibile ascesa come scopritore e promotore di cibi e di vini di eccellenza, diventandone uno dei massimi critici italiani, e sono particolarmente orgoglioso del fatto che tu spesso mi citi come tuo ispiratore (involontario) della tua splendida carriera. Io, fin dagli albori della mia attività, ho posto in primo piano la Barbera, allora vino umile e bistrattato, nel quale però ho sempre creduto come vino di potenziale eccellenza, se proveniente da vigneti ben condotti situati in zone particolarmente vocate. Il mio convincimento l'ho particolarmente estrinsecato quando con l'amico Giuliano Noè abbiamo avuto l'idea di creare una zona di eccellenza identificandola nel territorio di Nizza Monferrato e di pochi paesi limitrofi; abbiamo lavorato per molti anni per convincere produttori e autorità della bontà del progetto e contribuito a darne regole di produzione particolarmente restrittive. Sono molto soddisfatto che, dall'iniziale piccolo gruppo di produttori che hanno aderito alla denominazione, siamo passati agli oltre 60 di oggi e il livello qualitativo medio si è decisamente elevato. la Circolare
Caro Michelino, il fatto che ti emozioni di un mio articolo mi confonde. Il riconoscimento ai Cipressi de la Court 2015 come miglior assaggio di Wine Enthusiast è qualcosa che riempie di orgoglio anche me, e lo sai. Vedere che la Barbera, vino dei miei avi, si eleva a livello dei bicchieri internazionali più blasonati, è qualcosa che dice quanto i nostri nonni, e i padri prima di loro, avessero intrapreso la strada giusta. Ma è stato grazie a gente come te, come Giacomo, e come tanti altri, che l’intuizione è diventata una strada certa per tutti. E di questo ti dico grazie!
L’INCONTRO CON PAPILLON ACCOGLIENZA E PASSIONE
Francesca Settimi, Colazza (No)
Se ripenso al mio incontro con Papillon, le prime tre parole che mi vengono subito in mente sono: accoglienza, passione e generosità. È stato commovente vedere che, per un gruppo così numeroso e diffuso in tutt’Italia, il cibo non rappresenti solo divertimento e piacere, ma anche attenzione all’altro, amore per le tradizioni e il territorio, impegno civico e sociale per un mondo migliore. La vostra accoglienza mi ha riscaldato il cuore e rinvigorito. Grazie Paolo e Marco, grazie Papillonisti, continuate a coltivare la speranza e la bellezza! Grazie a te Francesca, per la testimonianza che ci hai portato alla convention dei Delegati e per esserti messa subito in sintonia con noi, portandoci a conoscere persone fantastiche, non ultima Christine Farber. Io credo che questo lo possiamo fare davvero: metterci in relazione, con curiosità e solarità, come sai fare tu, avendo la certezza che questo è l’atteggiamento che costruisce. L’impegno civile nasce dal riconoscere un valore, anche nelle persone più distanti da noi. Non bisogna mai smettere di imparare. Tutto questo lo abbiamo imparato insieme, nelle ultime settimane. Passi da gigante, direi.
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CONVOCAZIONE ASSEMBLEA ORDINARIA ANNUALE Domenica 24 marzo presso la Trattoria Guallina di Mortara (fraz. Guallina - via Molino Faenza, 19) alle ore 8 in prima convocazione e alle ore 13 in seconda convocazione ORDINE DEL GIORNO: comunicazioni del Presidente - approvazione bilancio consuntivo 2018 preventivo anno sociale 2019 - variazioni allo statuto - varie ed eventuali Il Presidente Paolo Massobrio
lettere al direttore
22 giugno VALSESIA GIORNATA DI RESISTENZA UMANA Tornano le Giornate di Resistenza Umana, un omaggio a quelle persone che “resistono” nel produrre la qualità enogastronomica in luoghi spesso poco conosciuti o poco frequentati dal turismo e dal grande pubblico. Il prossimo appuntamento è fissato per sabato 22 giugno in Valsesia.
prossimi appuntamenti
PROSSIMI APPUNTAMENTI COL PAPILLON 5 - 8 aprile VERONA VINITALY AND THE CITY Dopo il successo del 2018, torna a Verona Vinitaly and the City, il fuori salone di Vinitaly che, per quattro giorni, animerà il centro di Verona, con degustazioni e appuntamenti nelle sue piazze principali, dove saranno allestite enoteche a tema ma anche un Palazzo del Vino Sostenibile, ospitato a Palazzo Carli, con la possibilità di conoscere e assaggiare i vini attraverso i dispenser di WineEmotion. Un appuntamento imperdibile per tutti i wine lover e una piacevole occasione per scoprire e vivere Verona. • Venerdì 5 Aprile: 17.00 - 24.00 • Sabato 6 Aprile: 11.00 - 24.00 • Domenica 7 Aprile: 11.00 - 24.00 • Lunedì 8 Aprile: 17.00 - 24.00
agosto RIMINI MEETING DI RIMINI Il Club di Papillon sarà presente al prossimo Meeting per l’amicizia fra i popoli con un momento di riflessione sul nostro contributo all’integrazione, partendo dai due esempi di Fides Marzi e Gianni Rigoni Stern, che presenteranno i loro rispettivi libri domenica 18 agosto. 26 - 27 - 28 ottobre MILANO GOLOSARIA La quattordicesima edizione di Golosaria Milano, la rassegna agroalimentare dell'eccellenza italiana, è in programma l'ultimo fine settimana di ottobre al MiCo Milano Congressi (viale Eginardo ang. via Colleoni - Gate 3) con i seguenti orari: • Sabato 26 Ottobre: 12.00 - 22.00 • Domenica 27 Ottobre: 10.00 - 20.30 • Lunedì 28 Ottobre: 10.00 - 17.00
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Golosaria I Vini del Golosario
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I LU O G H I D I G O LO S A R I A
Alessandria 30 e 31 marzo
Casale Monferrato
La roccaforte di Golosaria dedicata al cibo. Nelle sale del suo castello ospiterà i magnifici produttori de ilGolosario, le Cucine di Strada e le birre artigianali, mentre le vie del centro storico si animeranno aprendo ai visitatori le bellezze artistiche e culturali della capitale del Monferrato.
Castello di Uviglie
Il quartier generale del vino. Accoglierà la quarta edizione di Barbera&Champagne, ovvero l’incontro tra le bollicine italiane, gli champagne dei vignerons d’Oltralpe e i grandi rossi del Monferrato accompagnati da sfiziosità e dalle proposte golose di altre Cucine di Strada. Fra queste ostriche, carne cruda, i salumi del Monferrato e tante altre sorprese.
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Altavilla (Mazzetti d’Altavilla) Per tutto il weekend la distilleria sarà attiva con degustazioni gratuite di grappe e distillati, visite guidate in distilleria e alla barricaia, visite libere alle esposizioni, al parco storico di casa Mazzetti e alla cappella votiva La Rotonda.
Altavilla (Cascina Cerola) In cima alla strada che collega la frazione Franchini alla provinciale Vignale-Montemagno, Cascina Cerola incontrerà i visitatori di Golosaria con visite all’azienda agrituristica, passeggiate tra i vigneti e degustazioni di cose buone.
Castello di Frassinello Nella giornata di sabato il castello sarà aperto alle visite con tour guidati, degustazioni di vini locali e un mercatino con i prodotti tipici del territorio.
Fubine Il sabato di Golosaria Fubine ospiterà un convegno a tema “I cammini del Vino”, con la presenza del ministro Gian Marco Centinaio. Domenica sarà invece protagonista la passeggiata, con un itinerario che toccherà Montemagno, Altavilla e arriverà a Fubine per la presentazione di un libro dedicato ai cammini, presenti l’autore Franco Grosso e Antonella Parigi, assessore regionale al Turismo
Vignale Monferrato Da sempre una delle roccaforti di Golosaria. Per tutto il weekend accenderà i riflettori sul Grignolino; sabato con la terza edizione di “Grignolino nel Mondo” e domenica mattina con la proclamazione dell’Amico e dell’Amica del Grignolino 2019.
Ozzano Monferrato Per tutto il weekend anche Ozzano si animerà con visite al borgo antico (mura medievali, chiese, parco del castello, palazzi, infernot), festeggiamenti e degustazioni di prodotti tipici locali.
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Masio Una new entry 2019. Domenica 31 marzo, presso la Torre Medievale - museo La Torre e il Fiume, ospiterà la presentazione della pubblicazione dedicata ai restauri della chiesa parrocchiale del XIV secolo. Dalle 10 alle 18, degustazioni di vini della cantina sociale Post dal Vin e della cantina Buonaria.
Castello Sannazzaro di Giarole Sabato e domenica il castello sarà aperto al pubblico con visite guidate in programma durante tutta la giornata (11,30 - 15 17) e una mostra d’arte contemporanea allestita nelle cantine e nei fondi del maniero.
Serralunga di Crea In occasione di Golosaria, il ristorante di Crea ospiterà “Wine Revolution”, con banchi di vignaioli innovatori e produttori di tipicità locali. Per tutto il weekend sarà possibile effettuare visite guidate all’adiacente Santuario di Crea.
Terruggia Saranno gli infernot l’attrattiva di Terruggia, che sabato 30 e domenica 31 marzo, dalle 10 alle 18, regalerà una vera e propria “full immersion” nella cultura e nelle architetture simbolo del Monferrato.
Valenza (Villa Gropella) Domenica 31 marzo, Villa Gropella aprirà al pubblico e alle famiglie gli ampi spazi del suo parco secolare.
Rosignano Monferrato A due passi dal castello di Uviglie, la casa del vino di Golosaria che rinnova l’incontro fra Barbera&Champagne, il comune di Rosignano proporrà le “Camminate tra le vigne”. Tre tipologie di percorsi per grandi e piccini, alla scoperta delle bellezze rosignanesi, dal centro storico ai luoghi di maggiore attrattiva di tutto l’areale.
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I LU O G H I D I G O LO S A R I A
Asti
30 e 31 marzo Casorzo Da sempre inserita tra le location di Golosaria, anche quest’anno Casorzo proporrà percorsi e visite al centro storico e al bialbero, un gelso con ciliegio divenuto nel 2017 albero monumentale. E poi festa in paese con il tango argentino.
Grazzano Badoglio È la location che, da tradizione, ospita la cerimonia di chiusura di Golosaria con il taglio della torta di Aleramo. Sabato e domenica aprirà al pubblico i suoi cortili e gli infernot, oltre alla chiesa parrocchiale dove riposa il marchese Aleramo, il suggestivo chiostro romanico e le sale del Museo Badoglio.
Castello di Piea Uno storico punto di riferimento della rassegna. Sabato e domenica aprirà al pubblico le sue sale mettendo in scena la X edizione de “Il Narciso Incantato”, con oltre 40.000 narcisi e tulipani in fiore da ammirare nel suo parco secolare.
Montiglio Monferrato Montiglio, da sempre, significa anche GolosExpo. Sabato 30 e domenica 31, negli spazi della struttura MontExpo, le Pro Loco e i Circoli di Montiglio si riuniranno per cucinare i piatti tradizionali monferrini, mentre una serie di itinerari metteranno in mostra le bellezze del centro storico di Montiglio.
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Castell’Alfero Sabato 30 e domenica 31, Castell’Alfero si vestirà a festa offrendo la possibilità di visitare i monumenti e le chiese del suo borgo medievale, ma anche il giardino storico e le sale del Castello dei Conti Amico, oltre al museo ‘L Ciar dedicato alla civiltà contadina.
Castagnole M.to Anche il paese che dà il nome alla Doc del famoso Ruché si attiverà per Golosaria con degustazioni e visite alle cantine.
Portacomaro Panificazione e grani antichi saranno al centro del programma di Portacomaro, che sabato e domenica organizzerà laboratori dedicati.
Montemagno (Tenuta Montemagno) Uno dei luoghi più affascinanti del Monferrato. Una tenuta con affaccio privilegiato sui vigneti di Montemagno che nel weekend sarà aperta al pubblico con visite, pranzi all’aria aperta e momenti di intrattenimento, anche per i bambini.
Moncalvo Anche la “più piccola città d’Italia” prenderà parte al palinsesto della kermesse, a partire da una speciale notte bianca organizzata dalla Pro Loco il sabato di Golosaria.
Viarigi (Locanda del Monacone) Per il secondo anno, in occasione di Golosaria, La Locanda del Monacone presenterà “Uvantica”, una rassegna dedicata ai vini ottenuti da uve autoctone rare del Piemonte, recentemente recuperate o la cui coltivazione ha resistito, sebbene in quantità molto ridotte o confinata in aree esigue. Da provare il Baratuciat e la Slarina.
E tra le iniziative collaterali è da segnare in agenda anche l’appuntamento con il Fiat 500 Club Italia - coordinamento di Asti e provincia, che nel weekend di fine marzo porterà tra le colline più di 50 auto storiche per sigillare con il suo raduno annuale la ormai consolidata presenza a Golosaria.
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